Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Admin Gio Mag 10, 2012 1:50 pm

    Riferimento: libro Ghedin, Ben-essere disabili
    esercizio finale
    Scrivi in una o due pagine di word una risposta ragionata su uno di questi due argomenti. Salva e ricopia nel forum.

    1 (se hai scelto il cap 1 Ben-essere nella disabilità)
    Parla del benessere, della felicità della soddisfazione rifacendoti agli autori e alle questioni proposte da Ghedin soffermandoti sul benessere per le persone con disabilità.
    Svolgi il tuo lavoro ricollegandoti ai lavori della prof. M.L. Iavarone
    e ad uno o più forum che hai svolto.

    2 (se hai scelto il cap 6 verso un'educazione inclusiva)
    Proponi il tuo ragionamento sulle figure chiave di supporto all'inclusione
    parlando di: insegnanti, ambiente di apprendimento, famiglie e capability approach in educazione.
    Ricollegati all'Index per l'Inclusione testo scaricabile da internet
    e ad uno o più forum che hai svolto.
    FB


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  elena.scognamiglio89 Sab Mag 12, 2012 8:41 am

    Sin dall’antichità gli uomini hanno sempre parlato di felicità. Nel periodo pre-socratico,essere felici significava avere una buona sorte,quindi tutto era legato alla fortuna. Con Socrate,Platone e Aristotele si inizia a pensare ad un uomo che può diventare felice,anche contro la sua sorte. Molti paesi distinguono tra qualcosa di estremamente immediato,come la gioia o il piacere,e qualcosa di più durevole,come la soddisfazione o l’appagamento. Nettle fa una distinzione tra felicità di primo livello(la felicità si ha per aver ottenuto qualcosa di desiderato) da una felicità di secondo livello( facendo un bilancio tra emozioni positive e negative,le persone si rendono conto che hanno avuto più emozioni positive). Esiste poi un senso di felicità più ampio che è l’ideale aristotelico del vivere bene. Le teorie contemporanee sulla felicità includono la teoria eudonica e la teoria eudamonica: per la prima,la felicità consiste nella massimizzazione dei piaceri e nella minimizzazione del dolore;per la seconda,la felicità consiste nell’attualizzazione del potenziale dell’individuo,quindi nello sviluppo delle forze e virtù individuali e non dal perseguimento del piacere. Ghedin afferma che l’uomo nel corso della sua esistenza,acquisisce e integra le informazioni ambientali che incontra continuamente,proprio per questo diventa importante analizzare ciò che è possibile,desiderabile e significativo per il singolo e per la comunità,perché permette di prestare attenzione ai punti di forza,a risorse,processi di crescita in una prospettiva più ampia. Canevaro afferma che il ben-essere deriva dall’insieme di capacità di organizzarsi e adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano. Delle Fave afferma che è fondamentale che ciascun individuo venga visto come capace di cambiamento e sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri della comunità anche quelli più svantaggiati. Infatti ella afferma che queste persone diventano svantaggiate perché c’è qualche discrepanza rispetto alle aspettative e alle regole sociali. Tutti abbiamo le potenzialità per decidere ciò che vogliamo essere e il ruolo dell’educazione è quello di far sviluppare queste potenzialità e creare un ambiente facilitante in cui le persone possono avere uno sviluppo positivo. Personalmente mi sono ritrovata molto nel pensiero di Schafer,che afferma che il ben-essere è definito come vivere bene da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico,anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica. Mi sono resa conto che il concetto di felicità e ben-essere è molto soggettivo,varia da persona a persona:per me è riuscire a stare bene fisicamente più a lungo possibile,trascorrere del tempo con le persone che amo,raggiungere l’indipendenza economica. Ho posto la stessa domanda a mio fratello di 12 anni e mi ha risposto che lui sarebbe molto felice se riuscisse ad avere il cellulare che tanto desidera;mia nonna invece mi ha risposto che lei è felice se tutti noi stiamo bene. Il ben-essere non dipende solo dallo stare bene fisicamente , ma anche dagli stili di vita e di lavoro,dal tempo libero e dall’ambiente.
    Nell’800 Edouard Seguin guidò la prima scuola per bambini disabili per far sì che anche loro potessero assumere il giusto ruolo nella società. Purtroppo nel corso del tempo queste scuole hanno modificato il loro obiettivo,trasformandosi in luoghi che isolavano i disabili dalla società favorendo il sovraffollamento e l’abbandono. Dopo tanti anni queste istituzioni sono state chiuse e c’è stata la completa inclusione con servizi di educazione speciale e supporto alle famiglie. Il ben-essere delle persone disabili deve quindi essere considerato come il raggiungimento della piena autonomia,basti pensare alle case domotiche,alle protesi come nel caso di Pistorius. L’obiettivo è quello di far sì che queste persone siano in grado di scegliere da soli come vivere. In Italia è stata fondamentale la Legge 104 che offre alle persone disabili gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici dei normodotati,come il lavoro,i trasporti,l’educazione. Questo sta a dimostrare che la partecipazione delle persone disabili,non solo migliora la loro vita,ma anche il loro ben-essere soggettivo. Purtroppo però,pur esistendo questa legge,i disabili incontrano ancora molti problemi. Nell’incontro con l’U.N.I.Vo.C ,ad esempio,mi sono resa conto tramite il video presentatoci,che c’è poca informazione,stesso io non sapevo dell’esistenza del percorso per le persone non vedenti,eppure me lo ritrovo tutti i giorni davanti agli occhi. Bisogna poi tener conto di tutte le barriere che incontrano in generale tutti i disabili a causa dei servizi che non funzionano,come ci hanno dimostrato le Iene nei loro servizi,o a causa nostra che parcheggiamo auto e motorini dove non dovremmo. La Prof. Iavarone afferma che la pedagogia,in particolare quella sociale,ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto,occupandosi della sua istruzione ed educazione,tutelando la salute e il suo sviluppo fisico e psicosociale,quindi bisogna formare diversi professionisti che sappiano gestire relazioni di cura,sostegno e aiuto perché tutti abbiamo il diritto di star bene ed essere felici.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Antonella Russo Sab Mag 12, 2012 11:35 am

    Ho deciso di trattare il primo capitolo del libro ben-essere disabile perché mi è piaciuto particolarmente. Alla domanda che cos’è la felicità, non so, se c’è una risposta. Quest’interrogativo è stato al centro del dibattito per centinaia di anni. Il concetto di felicità varia da cultura a cultura. Molte le distinguono tra qualcosa di immediato come la gioia o il piacere, oppure tra qualcosa di significativo e durevole come la soddisfazione o appagamento. La felicità la possiamo intendere anche con il termine Eudaimonia che sta ad intendere “buon demone”, una buona sorte. La Ghedin ci illustra il passaggio e l’evoluzione di questo termine attraverso gli studi di Socrate, Platone e Aristotele. Questi celebri autori avevano caricato di significato il termine Eudaimonia. Per arrivare ad affermare che l’uomo con le sue scelte e la sua libertà può diventare felice, anche contro la sorte. Il termine felicità può essere suddiviso in tre livelli. Il primo livello di felicità è quello più immediato, il quale implica un’emoziono o una sensazione, qualcosa come la gioia o il piacere. Questa sensazione è provocata dal raggiungimento di qualcosa che si è sempre desiderato ma non coinvolge molta cognizione a parte il raggiungimento stesso. Quando un soggetto afferma di essere felice della sua vita, dopo aver analizzato accuratamente piaceri e dispiaceri, e nonostante tutto sperimenta più emozioni positive che negative, siamo dinanzi ad una felicità di secondo livello. La felicità di terzo livello viene spesso associata all’ideale aristotelico del vivere bene, infatti, l’eudaimonia, viene spesso tradotto con il termine felicità. Per eudaimonia si intende una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità.
    Spesso si fa confusione tra il termine felicità e benessere. Il termine benessere ha una valenza scientifica. Esso ha una componente cognitiva che valuta l’intera soddisfazione di vita e una componente affettiva che è suddivisa, a sua volta, nella presenza di affetto positivo e nell’assenza di affetto negativo. A questo punto potrei citare la famosissima frase di Canevaro “le parole sono importanti”. Quest’affermazione ci fa capire come è importante dare il giusto senso alle parole, anche a quelle che ci sembrano più futili. Per benessere intendiamo “vivere bene, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica. A tal proposito Canevaro afferma che la condizione di benessere è collegata alla condizione individuale di un soggetto e alle capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi con le strutture che lo circondano e con i contesti. Gli studi che si tengono sulla condizione di benessere hanno come obiettivo di individuare quei metodi attraverso i quali possono rendere in grado i soggetti di aumentare il loro grado di benessere.
    Mi fa riflettere la suddivisione che l’autrice del testo fa della parola ben-essere. Se ci pensiamo, l’autrice ha voluto dare un doppio significato a questa parola; da un lato benessere inteso come qualcosa che ci fa star bene e dall’altro “bene essere disabili” come se volesse intendere essere dei buoni disabili, riuscire a far raggiungere a questi ultimi il giusto ruolo all’interno della società.
    Il medico francese Edouard Seguin, non molto tempo fa, guidò la prima scuola per bambini disabili. Il suo modello di scuola si diffuse rapidamente, ma con il passare del tempo la scuola cambiò obiettivi. Con la dimostrazione che gli studenti venivano poco curati, le scuole divennero sempre meno educative. Tant’è vero che recentemente si sono sviluppati servizi si educazione speciale,cercando cosi di far fronte ai problemi emersi nelle scuole e di promuovere il benessere delle persone disabili. L’obiettivo non è solo quello di far sì che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi, ma e soprattutto, possiamo attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. Come tiene a precisare la prof. Iavarone il ben-essere non può essere assimilato ad una generale condizione di ben-essere fisico o economico, ma va definito come uno stato variamente complesso perché multicomponenziale, multi direzionale, multidimensionale. Sono stati molti gli studiosi che hanno effettuato ricerche sullo stato di benessere. Negli anni settanta del secolo scorso Zigler scoprì che i bambini con ritardo mentale rispetto ai loro coetanei normodotati,avevano migliori aspettative di successo, bassa motivazione alle sfide e si affidavano molto di più agli altri invece che a se stessi per la soluzione di problemi. Un'altra ricerca è stata effettuata anche su ruolo dei genitori. La figura materna, è stata individuata come colei che rimpiange la perdita di un bambino perfetto. Alla nascita del bambino sono connesse profonde aspettative, infatti quando nasce, al posto di un bambino “sano e bello”, un bambino con disabilità la nascita si trasforma in un evento angosciante e luttuoso. Mullins ha però condotto una ricerca su quest’argomento affermando che esistono delle madri nelle quali si sviluppa questo senso di angoscia, ma allo stesso tempo esistono altre madri che dalla disabilità dei loro figli hanno aggiunto qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato. Tutto questo potrebbe far cadere il mito, dell’assenza di felicità di quelle madri che partoriscono figli disabili. Questi ultimi sono persone che necessitano di felicità e benessere come tutti, essendo cittadini a pieno titolo.
    Concludo, riprendendo le parole della prof. Iavarone la pedagogia, soprattutto quella speciale, ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche psicosociale.
    LA FELICITA' E' PER TUTTI E DI TUTTI!
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Che rumore fa la felicità?

    Messaggio  Sabrina Vitulano Sab Mag 12, 2012 2:01 pm

    Che cos è la FELICITA’?Credo che sia impossibile trovare qualcuno che,almeno una volta nella propria vita,non si sia posto questa domanda.
    Il concetto di felicità è presente in ogni cultura. Alcune di esse la intendono come una gioia o un piacere immediato,altre,invece,come una soddisfazione o un appagamento più duraturo e significativo. Quindi,a mio parere,sulla base di ciò,si può dire che non esiste una definizione universale di “felicità”.che valga per tutti perché ognuno è libero di poterla intendere e interpretare a modo proprio. E’ possibile individuare tre livelli differenti di felicità:
    - Il primo livello è dovuto al raggiungimento,forse inaspettato,di uno stato desiderato.
    - Il secondo livello è dovuto alla riflessione su un bilancio tra emozioni positive ed emozioni negative,con la prevalenza delle prime.
    - Il terzo livello,infine,è dovuto alla realizzazione,da parte del soggetto,delle proprie potenzialità.
    Da un punto di vista edonistico,la felicità riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni sensoriali hanno maggiore peso delle esperienze dolorose. Al contrario,la felicità da un punto di vista eudaimonico risulta dall’attualizzazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del proprio vero sé. Infatti,è molto importante,per riuscire a vivere una vita significativa,che il soggetto sfrutti a pieno le proprie forze per raggiungere i propri obiettivi,provando soddisfazione per ogni traguardo conseguito e dando un senso e uno scopo alla propria vita.
    Ognuno di noi nasce con la capacità di ben-essere ed ogni soggetto è unico e irripetibile,e dotato di individuali possibilità e,ovviamente,anche di limiti. Spetta,poi,ad ogni singolo individuo il compito di imparare a costruirsi e a vivere il ben-essere,come meglio crede.
    A tal proposito,Iavarone afferma che: “Il benessere segue più direzioni e la sua percezione,da parte del soggetto,cambia sia nei diversi “tempi”della vita che nei suoi diversi ”luoghi”. Il ben-essere possiede più dimensioni in quanto il desiderio di ben-essere si trasforma sia sincronicamente,in concomitanza con un episodio particolare in un determinato momento dell’esistenza di un individuo,sia diacronicamente se il processo di tensione al ben-essere lo si riduce a una fase o a un intervallo di tempo più lungo della vita di un soggetto.”
    Quello che mi ha colpito molto di questo primo capitolo,sono state le ricerche realizzate sulle famiglie aventi dei figli disabili. Solitamente,alla nascita di un bambino sono connesse profonde aspettative di gratificazione personale e sociale. Il desiderio di ogni genitore è quello di avere un figlio sano,bello e che abbia tutto al proprio posto. Quando invece,nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma in un evento angoscioso e luttuoso. Quasi come se fosse accaduta una TRAGEDIA. A tal proposito,Mullins ha condotto un’analisi di circa 60 libri scritti da genitori di figli disabili,e ha messo in evidenza la presenza di stress emotivo e preoccupazioni,ma ha anche concluso che,per la maggior parte degli autori,la disabilità dei loro figli ha aggiunto qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato. Senza dubbio,crescere un figlio disabile non può essere un’impresa facile ma,certamente,non è IMPOSSIBILE. E’ una questione di volontà,quella per serve per ogni cosa. E’ importante stare accanto al bambino disabile,fargli percepire la nostra presenza ma soprattutto è fondamentale amarlo con tutto il cuore e non farlo sentire mai diverso da nessuno. Vorrei concludere,basandomi anche sulla mia esperienza personale,dicendo che le persone affette da disabilità hanno un “QUALCOSA IN PIU’” che li rende speciali. Una marcia in più che a noi manca. Loro sono in grado di insegnarci più di quanto crediamo come ad esempio l’avere una maggiore consapevolezza della nostra vita,o l’essere meno egoisti e più altruisti,ma soprattutto l’essere più sensibili e amorevoli proprio nei riguardi di coloro che ne hanno più bisogno. Ognuno PUO’ e DEVE essere felice.
    La felicità non è un PRIVILEGIO,ma un DIRITTO.
    UN DIRITTO CHE SPETTA A TUTTI!!!!!
    Fabiola Mangini
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Fabiola Mangini Sab Mag 12, 2012 5:31 pm

    Che cos’è la felicità? Il concetto è sfuggente ma ciò non ne altera il valore. Il concetto di felicità compare in ogni cultura. La radice della parola “felicità” deriva dal prefisso indoeuropeo “fe”, da cui deriva “fecundus”, “ferax” tanto che i latini parlavano di terra “felix” quando la stagione era stata fertile. La felicità è connessa al portare a compimento l’intera vita, non con il piacere che si prova nell’attimo fuggente. Per questo in Aristotele la felicità è strettamente connessa all’etica e alle virtù, intese nel senso di azione, di attività. Il senso più immediato e diretto di felicità implica un’emozione o una sensazione, qualcosa come gioia o piacere. La sensazione è provata dal raggiungimento di uno stato desiderato, definito da Nettle “felicità di primo livello”. Si definisce, invece, “felicità di secondo livello” la percezione di una quantità maggiore di emozioni positive rispetto a quelle negative, mentre la “felicità di terzo livello” si ha quando la persona nella vita realizza le proprie vere potenzialità. Seligman ha proposto diverse strade che conducono alla felicità, in modi differenti. Una di queste strade verso la felicità l’individuazione di talenti o forze. Di particolare importanza è la teoria della felicità autentica di Seligman relativa alla vita piacevole, alla buona vita e alla vita significativa. La vita piacevole è quella che massimizza le esperienze piacevoli e positive, invece, la buona vita si ha quando gli individui sviluppano le loro forze in attività da cui l’individuo trae piacere e di cui è appassionato ed infine la vita significativa si ha quando gli individui applicano le forze e le virtù in attività che contribuiscono a un bene più grande come sviluppare amicizie o servire la comunità. Le teorie contemporanee sula felicità includono la teoria eudonica, la teoria eudamonica, sviluppate dal movimento della psicologia positiva. Da un punto di vista edonistico, la felicità riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazione sensoriali hanno maggior peso delle esperienze dolorose. Al contrario, la felicità da un punto di viste eudaimonico risulta dal perseguimento del proprio vero sé. L’obiettivo prioritario nel campo dell’educazione è quello di favorire l’adozione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita, per essere in grado di gestire le proprie scelte e di adottare comportamenti consapevoli nella direzione della propria felicità.
    Il benessere viene definito dall’economista A.M.Sen, attraverso i concetti di functionings e capabilities. I funzionamenti consistono nei risultati e nei traguardi che una persona di fatto consegue. Le capacità sono, invece, l’insieme dei funzionamenti di cui la persona potenziale dispone nell’ambiente. Nel 2007 a proposito del benessere, Canevaro afferma che il benessere di un individuo è legato al capitale sociale, cioè all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano, con i contesti.
    Ognuno di noi nascendo ha la capacità di benessere. Ognuno può essere espressivo, pensante, consapevole, creativo, ognuno può costruirsi e vivere il benessere. Tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo. Il ruolo dell’educazione è quello di permettere l’attivarsi di questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente “facilitante” in cui gli attori coinvolti possono essere in grado di co- evolvere insieme nella direzione di uno sviluppo positivo.
    C’è la necessità di approfondire la conoscenza sul benessere che non ignora la sofferenza umana ma tenta di prevenirla attraverso la promozione di una buona salute, resilienza e crescita psicologica.
    Ghedin parla di benesseri disabili spiegando che inizialmente la preoccupazione maggiore per coloro che si occupavano di disabilità non era certo promuovere il benessere delle persone disabili. Seguin invece, promosse la visione progressista per la quale i bambini con disabilità andrebbero appropriatamente educati affinché potessero assumere il loro giusto ruolo nella società. Per promuovere il benessere delle persone disabili si sono sviluppati servizi di educazione speciale e di supporto alle famiglie, e programmi basati sulla comunità che mirano a far incontrare i bisogni materiali degli adulti. È importante considerare il benessere, non come uno stato individuale, ma come un progetto dinamico da condividere con gli altri. Come dice Iavarone: questo perché non si parla di benessere fisico o economico, ma benessere come stato variamente complesso perché multicomponenziale, multidirezionale, multidimensionale.
    Sono vari i filoni di ricerca che hanno contribuito a indagare le dimensioni di felicità e benessere nella disabilità, con l’obiettivo di promuovere capacità di condurre una “buona vita”, vivere vite stimolanti e soddisfacenti e coltivare ciò che è meglio per se stessi. Di recente degli studi hanno analizzato la soddisfazione provata dai disabili rispetto alle condizioni esterne di vita, a dove uno vive, o al lavoro e gli amici. Si è giunti alla costatazione che migliorando gli indici oggettivi o esterni della qualità della vita può non necessariamente condurre ad uno stato durevole di felicità nelle persone con disabilità. Un ulteriore ricerca si è focalizzata sui modi di identificare e migliorare i comportamenti negativi e i sintomi. Queste analisi necessitano di essere condotte insieme all’indagine sul benessere della persona con ritardo mentale, a come essi possono provare sentimenti di speranza, gratitudine, felicità. Forse la promozione di questi stati positivi, come pure l’attenuazione dei sintomi negativi, potrebbe aiutare le persone con disabilità ad affrontare con maggiore consapevolezza le situazioni della vita di ogni giorno. Altri studi sono stati condotti nell’ambito della motivazione indirizzati ad aumentare il comportamento e l’apprendimento centrati sul compito per i bambini con deficit intellettivo. Anche se gli studi sulla motivazione dovrebbero includere questioni relative al benessere, ad un adattamento di vita, o alla felicità, in quanto l’obiettivo è quello di favorire lo sviluppo di un sentimento globale di autoefficacia fondato sulla possibilità di rendere potenti le persone nella gestione delle loro vite. Ultima ricerca è stata effettuata sulle famiglie di bambini con ritardo mentale. Quando invece del “bambino sano e bello” nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma in un evento angosciante e luttuoso. Le madri, secondo Dykeus, passano attraverso diversi stadi: shock, disorganizzazione emotiva, e poi riorganizzazione, dopo che esse si adattano al trauma di avere un bambino con disabilità. Alcune indagini condotte da Mullins, Lazarus, hanno dimostrato che lo stress può anche non essere una conseguenza inevitabile dell’avere un figlio disabile, in quanto la disabilità dei loro figli ha aggiunto qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato. Di questo ne abbiamo avuto conferma nel giorno in cui abbiamo incontrato tre genitori di bambini autistici, genitori non stressati, genitori che senza dubbio hanno aggiunto elementi positivi alle loro vite, genitori che quotidianamente vedono miglioramenti nei bambini autistici curati nella struttura che hanno realizzato. La politica in molti paesi si è posta l’obiettivo di aumentare la partecipazione da parte delle persone con disabilità, poiché migliora non solo il loro standard di vita, ma anche il loro benessere soggettivo. Anche se vari studi non hanno riscontrato differenze tra persone disabili e persone “normodotate” sulla valutazione della soddisfazione di vita, frustrazione e umore. Interessante sono anche i risultati della ricerca condotta da Uppal, evidenziano che le persone disabili alla nascita dimostrano di essere più felici rispetto alle persone che sono diventate disabili nel corso degli anni. Fortunatamente nella società occidentale il diritto a star bene sembra essere giustamente divenuto qualcosa di più legittimo e facilmente attingibile.La pedagogia e in particolare la pedagogia speciale, come sostiene la Iavarone, fortunatamente ha a cuore il benessere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty cap 1 Ben-essere nella disabilità

    Messaggio  anna di maggio Sab Mag 12, 2012 5:36 pm

    La felicità è lo stato d'animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri. Il concetto di felicità compare in ogni cultura.
    L'etimologia fa derivare felicità da:felicitas, deriv.felix-icis, "felice".La nozione di felicità, intesa come condizione più o meno stabile di soddisfazione totale, occupa un posto di rilievo nelle dottrine morali dell'antichità classica, tanto è vero che si usa indicarle come dottrine etiche eudemonistiche(dal greco eudaimonìa) solitamente tradotto come "felicità".Tale concezione varia, naturalmente, col variare della visione-concezione del mondo e della vita su di esso. Il termine Eudaimonia originariamente derivava dalla tradizione culturale della Grecia Antica e significa “buon demone”, la felicità era avere un buon demone ,una buona sorte e la felicità era strettamente legata alla fortuna. Ma con Socrate ,Platone e Aristotele la parola eudaimonia assume diversi significati e così facendo si arriva alla tesi che l'uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice ,anche contro la sorte infatti per felicità s'intende portare a compimento l'intera vita , non con il piacere che si prova nell'attimo fuggente,ecco perchè Aristotele sostiene che la felicità è connessa a due principi:etica e virtù. Vi sono alcuni personaggi che affrontano questa tematica , come Nettle che divide la felicità in tre livelli:
    felicità di primo livello:è quando si afferma di aver raggiunto uno stato di felicità;
    felicità di secondo livello:esaminare la propria vita bilanciando la quantità di emozioni negative e positive avutasi nella propria vita
    felicità di terzo livello:verificare le proprie capacità e potenzialità che si hanno nella vita.
    Tutto ciò si differenzia dal ben-essere in quanto quest'ultimo sta a considerare la soddisfazione delle proprie esigenze e anche il conseguimento di funzionamenti che variano in base alla propria cultura di appartenenza. Ciò che si ritiene importante è la relazione tra ben-essere del singolo e sviluppo della collettività e infatti Canevaro ritiene che il ben-essere dell'individuo non è legato alla sua condizione individuale ma all'insieme di capacità che l'individuo stesso ha nell'organizzarsi e nell'adattarsi a ciò che gli circonda. La pedagogia del benessere si regge sul convincimento che “imparare a star bene” possa essere insegnato affinché i soggetti acquistino la capacità di costruire da se stessi il proprio personale benessere favorendo particolari processi di comunicazione tesi a sviluppare l’autonomia delle persone coinvolte. In conclusione la professoressa Iavarone sostiene che la pedagogia sociale ha il ruolo di occuparsi del soggetto puntando sulla sua educazione e salvaguardando il suo sviluppo a livello fisico ,psicologico e per quanto riguarda le relazioni sociali.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Melania castoro90 Sab Mag 12, 2012 6:10 pm

    Tra i due capitoli ho preferito scegliere ,anche per un interesse personale, il primo capitolo. Il primo capitolo intitolato “Ben-essere nella disabilità” propone come primo interrogativo “Cos’è la felicità? Cosa scaturisce l’essere felice? Quali condizioni fanno sì che i diversi individui sentino emozioni,sensazioni positive e negative?”.
    A tutte queste domande non si ha una risposta certa,ma solo ipotesi che vengono ritenete vere a seconda della situazione che il soggetto vive nell’arco della sua intera vita.
    Il concetto di felicità è intesa in diversi modi e in diversi tempi e culture anche da molti autori. La felicità agli inizi s pensava fosse legata esclusivamente alla fortuna, ma con Socrate,Platone e Aristotele è stata intesa come un prodotto dell’uomo nato dalle sue scelte andando anche contro la sorte.
    I molteplici usi del termine felicità hanno portato a classificarla in tre momenti differenti tra loro:
    -Il primo è il momento in cui il soggetto raggiunge una meta da lui desiderata;
    -Il secondo è il momento in cui si cerca di effettuare un bilancio tra le sensazioni positive e quelle negative,con il superamento di quelle positive;
    -Il terzo è più difficile analizzarla in quanto implica un analisi su che cosa sia vivere bene e in che modo lo si realizzi.
    La psicologa Ryff spiega che il ben-essere non implica solo lo stato di felicità,ma molti altri fattori. Infatti afferma che possiamo trovare individui con un ben-essere psicologico molto alto,ma con un basso livello di felicità e al contrario.
    Importante risulta, per Seligman, essere la teoria della felicità autentica relativamente alla vita piacevole,alla buona vita e alla vita significativa.
    Dove la prima massimizza le esperienze positive, la seconda si sviluppa qualora l’individuo riesce in qualche attività da cui trae soddisfazione personale e infine la terza si ha quando l’individuo con le proprie potenzialità riesce a sviluppare un qualcosa di positivo nel sociale.
    Un altro autore importante Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo non è legato soltanto al suo stato individuale, ma anche alle capacità che esso ha nel riuscire ad adattarsi e organizzarsi nei diversi contesti che lo circondano. E’ importante considerare il benessere, non come uno stato individuale, ma come un progetto da condividere con gli altri.
    Come dice la Iavarone “Questo perché non si parla di benessere fisico o economico, ma benessere come stato complesso proprio per il suo carattere globale quindi multicomponenziale, multidirezionale, multidimensionale.
    La Delle Fave afferma che ogni membro della comunità è agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità stessa, compresi i membri cosiddetti svantaggiati. A proposito di soggetti svantaggiati integriamo Il ben-essere come viene inteso per costoro.
    La preoccupazione maggiore di coloro che si occupano di disabilità è stata sempre quella di riuscire a promuovere il ben-essere delle persone disabili integrandoli al meglio nella società. Non molto tempo fa, i soggetti disabili venivano separati dalla società in quanto diversi dai soggetti normodotati e non considerati adatti per una società non ancora attrezzata e indulgente con determinate patologie. Fatto sta che a seguito di un aumento di individuo nelle istituzioni venne pensato che fosse arrivato il momento di inserire le persone disabili nella comunità.
    Si tende a pensare che i soggetti che passano dall’essere normodotati a disabili,se nella vita prima di divenire disabili erano felici, anche dopo, questa felicità continua,in quanto il soggetto compie una massimizzazione delle situazioni positive del passato per “eliminare”,in qualche modo,le possibili esperienze negative del presente o futuro.
    Potremmo nominare Palladino che anche dopo aver perso la vista riesce ad essere un uomo felice, trasmettendo felicità alle persone che incontra. Questa sua felicità è dovuta anche al grande affetto e vicinanza della sua numerosa famiglia nonché alla sua forza di andare avanti.
    A seguito vengono eseguite delle ricerca su bambini affetti da ritardo mentale dove questi oltre ad essere molto suscettibili ai cambiamenti d’umore,non hanno solamente un quoziente intellittivo basso,ma rispetto ai soggetti coetanei hanno una maggiore aspettativa di successo, bassa motivazione alle sfide, cosa che nei soggetti normali non vediamo, e infine si affidano agli altri per risolvere problemi.
    Il tentativo di questa ricerca è cercare di dare ai soggetti delle capacità tali da riuscire a gestire la propria vita autonomamente.
    Venne effettuata anche una ricerca sulle famiglie di bambini con ritardo mentale.
    Avere un bambino per ogni essere umano rappresenta felicità,aspettative per il futuro,ma anche ansia,preoccupazione,paura. Paura che il sogno di avere un figlio bello e sano possa frantumarsi, lasciando spazio, allo sconforto più totale,il futuro sembra svanire di fronte alla scoperta della disabilità del proprio figlio,lasciando,il genitore impreparato, al confronto con la nuova situazione. Nell’attuale ricerca risulta che le madri alla nascita e scoperta di un figlio con ritardo mentale entrano in uno status di stress totale con sentimenti di insoddisfazione personale per aver generato una creatura diversa dalle proprie aspettative. A provocare questo forte stress ,delle madri in particolar modo,sono anche i fattori esterni quindi la società,gli amci della famiglia e la famiglia stessa. Per questo bisogna dare il giusto appoggio alle famiglie con soggetti disabili per una migliore convivenza con la disabilità. Al contrario ci sono famiglie che vedono la nascita di un bambino disabile un qualcosa che possa arricchire la propria vita. Questo status positivo della famiglia da anche ottime possibilità di far crescere il bambino in un ambiente con stimoli positivi per una futura migliore qualità di vita.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty dottore..che sintomi ha la felicità?

    Messaggio  elisabetta.monto Dom Mag 13, 2012 9:18 am

    Dottore, che sintomi ha la felicità?.. così canta jovanotti in “mi fido di te”. Domanda ,che in tanti ci poniamo continuamente e come essa sia possibile raggiungerla. Oggi, in tutte le culture, si sta cercando un modo per essere felici e solo da pochi decenni alcuni studiosi delle scienze sociali si sono dedicati a questo argomento.
    Tutti la cercano, tutti la desiderano, tutti la sognano, ma quante persone possono dire di essere felici? E soprattutto cos’è la felicità? Come ho già affermato, in tutte le culture esiste il concetto di felicità, ma in ognuna c’è un modo di intenderla diversamente. In molte, culture, la felicità è un bisogno immediato da soddisfare, in altre è qualcosa di più duraturo come la compiacenza, il gradimento, l’appagamento.
    L’etimologia fa derivare felicità da felix-icis , "felice", la cui radice "fe-" significa abbondanza, ricchezza, prosperità,infatti, i latini chiamavano terra felix quando il raccolto era fertile. La nozione di felicità ,nelle dottrine morali dell’antichità classica, viene cambiato con il termine di eudaimonia e si inizia ad affermare, soprattutto con Socrate, Platone e Aristotele, che l’uomo grazie alle proprie e scelte e alla propria libertà può diventare un essere felice anche andando contro la sorte e la sfortuna.
    Fin dalla sua comparsa, l’uomo, ha ricercato questo stato di benessere. Un benessere determinato da un misto di emozioni, sensazioni che procurano al corpo e alla mente uno stato di gioia per un periodo più o meno lungo della nostra vita. Molti sono gli usi del termine felicità, proprio per questo, Nettle fa una classificazione. Parla di una “felicità di primo livello” riferita al raggiungimento , spesso, inaspettato di uno stato desiderato. La “felicità di secondo livello” riguarda i momenti positivi ,sottraendo quelli negativi ,infine , Nettle parla della “felicità di terzo livello”. Quest’ultima è l’edaimonia , ovvero l’ideale del vivere bene, in una vita prospera e propizia per realizzare le proprie capacità e facoltà.
    L’organizzazione mondiale della sanità, l’OMS, ha affermato che la condizione di salute è determinata da un benessere fisico ,psicologico e sociale.
    Per Schafer, il ben-essere è stato definito come “il vivere bene, da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia temporanea o cronica” . Per benessere fisico o biologico, si può intendere, l’appagamento dei bisogni primari come mangiare, bere, dormire ecc. Essi sono parte integrante della felicità ma a loro volta possono produrre infelicità nel momento in cui non vengono appagati.
    Per benessere psicologico, si può intendere, il raggiungimento di una meta o di un desiderio, anche, l’acquisto di un bene, o la soluzione ad un problema.
    Per benessere sociale, si può intendere, quell’aspetto che riguarda l’individuo e le sue relazioni con gli altri, come le altre persone reagiscono nei suoi riguardi e come egli interagisce con le istituzioni sociali. A tal proposito, Canevaro, afferma che il ben-essere di una persona non è legato soltanto allo stato individuale ma anche cercare di adattarsi nei diversi contesti che lo circondano.
    Un altro contributo importante proveniente dalla psicologia positiva fu quello di Csikszentmihalyi. Egli si chiese "Cosa rende la vita degna di essere vissuta?". Dopo aver notato che il denaro non ci rende felici, ha iniziato ad osservare che la felicità ottimale è raggiunta da coloro che trovano piacere e soddisfazione in un’ attività duratura, in un’esperienza, in un impegno. Tutto ciò viene chiamato teoria del flusso. Un’altra teoria importante, riguardante il ben-essere, è la teoria dell’equilibrio dinamico. Quest’ultima afferma che sebbene ci siano cambiamenti nelle circostanze di vita dell’individuo, i livelli di felicità sono persistenti nel tempo, ciò avviene quando l’uomo tende a ad adattarsi ai mutamenti dell’ambiente; questo processo può anche essere chiamato processo omeostatico. Nettle afferma le persone trascorrono troppo tempo della loro vita a pensare e riflettere sulla felicità e sul benessere. Credo, che in una società come la nostra, in molti credono in modo erroneo di essere felici, proprio perché l’errore che commettiamo è quello di rintracciare, inseguire, rincorrere la felicità e quando i nostri piaceri vengono soddisfatti in breve tempo diventano effimeri. La felicità c’è la creiamo noi, dipende esclusivamente da noi, e dal nostro atteggiamento con cui affrontiamo la vita di tutti i giorni , infatti , l’uomo deve vivere la sua vita in continua sfida ,prova per rinforzare se stesso e le proprie abilità. Secondo me la felicità non deve essere cercata nelle situazioni esterne come soldi, abiti, fama ecc ma deve essere il raggiungimento di uno stato interiore, naturale, vivendo le piccole cose quotidiane come eventi unici e mai ripetitivi.
    Durante i laboratori svolti in aula , uno in particolare mi ha reso felice, il primo laboratorio sull’Atzori. In quel giorno, la visione di quei video, di questa donna straordinaria, mi hanno reso felice, perché sostengo che davvero in pochi sanno trasformare i propri handicap in qualcosa di assolutamente “Normale” e davvero in pochi riescono a capire il vero senso della vita ,proprio come l’Atzori.
    Per quanto riguarda i disabili, promuovere il ben-essere, soprattutto inizialmente, non era un aspetto importante. Solo nel 1800, grazie a Edouard Seguin, si aprì la prima scuola per bambini disabili. Il modello formativo di questa scuola poneva in primo piano il ben-essere e l’educazione in modo che ogni bambino avesse avuto il proprio ruolo nella società. Questo modello di scuola si diffuse subito rapidamente.
    Oggi giorno, quest’aspetto del ben-essere disabili, è cambiato. Oggi vengono creati programmi di educazione speciale, supporto alle famiglie, tutti programmi finalizzati per condurre una “buona vita”. Quindi L’obiettivo non è solo quello di far si che queste persone siano capaci di mangiare, lavarsi ecc, ma che sviluppano soprattutto le proprie capacità, abilità per vivere la vita che vogliono vivere. Per questo, la professoressa Iavarone, ha affermato che il ben-essere non è nulla di fisico o economico, ma è uno stato complesso perché è multicomponenziale, multidirezionale e multidimensionale. Infatti, per un disabile una buona qualità di vita è il raggiungimento di un qualcosa di interno e non di esterno, come instaurare relazioni personali, inclusione sociale ed avere i propri diritti.
    Come ho detto prima alle famiglie si da supporto, perché alla nascita del proprio bambino ogni genitore ha delle grandi aspettative, ma quando nasce un bambino con disabilità l’evento si trasforma in un evento traumatico. Mullins, in un’analisi di 60 libri diversi scritti da genitori di disabili, ha affermato che lo stress e le preocuppazioni sono sempre maggiori. Vivere la propria vita in modo stressante non fa altro che influenzare il proprio bambino aggiungendosi allo stesso stress familiare.
    Infine, esistono famiglie, che hanno preso in modo positivo la disabilità dei propri figli anzi riescono a sviluppare in modo maggiore le potenzialità dei propri figli. Proprio in un laboratorio ci fu la testimonianza di genitori di bambini autistici, genitori che conducevano una vita tranquillissima senza nessuna forma di stress, anzi sicuramente avevano aggiunto elementi positivi alla propria vita.




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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  eleonora daniele Dom Mag 13, 2012 9:48 am

    1) La felicità e quello che significa vivere una buona vita ha rappresentato la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni. Nelle culture contemporanee le persone stanno cercando metodi sempre più utili per diventare felici. Cerchiamo allora di rispondere ad una domanda: Cos’è la felicità? Il concetto è sfuggente ma ciò non ne altera il valore, il concetto di felicità compare in ogni cultura. Molte lingue distinguono tra qualcosa di estremamente immediato, come la gioia o il piacere, e qualcosa di più durevole e significativo come la soddisfazione o l’appagamento. Eudaimonia originariamente derivava da “buon demone”, la felicità era avere un buon demone, una buona sorte. In quel contesto la felicità era strettamente legata alla fortuna. La radice della parola “felicità” deriva dal prefisso indoeuropeo “fe”, da cui deriva “fecundus”, “femina” (in quanto generante), “ferax”, tanto che i latini parlavano di terra “felix” quando la stagione era stata fertile. Con Socrate, poi con Platone e infine con Aristotele, la parola eudaimonia si carica di significati nuovi, e si inizia ad affermare che l’uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice, anche contro la sorte. Pertanto essere felici non sempre costituisce uno stato assoluto, ma include un’implicita comparazione con un’aspettativa o con ciò che altri possiedono. La felicità è infatti connessa al portare al compimento l’intera vira, non con il piacere che si prova nell’attimo fuggente. Per questo in Aristotele la felicità è strettamente connessa all’etica e alle virtù, intese non tanto in senso moralistico, ma di azione, di attività. Molti usi del termine felicità possono essere classificati in uno dei tre sensi che ne comprendono un numero crescente. Il senso più immediato e diretto di felicità implica un’emozione o una sensazione, qualcosa come gioia o piacere. La sensazione è provocata dal raggiungimento (forse inaspettato) di uno stato desiderato e non coinvolge molta cognizione, a parte il riconoscimento del fatto che la cosa desiderata è avvenuta. Nettle definisce questo senso di felicità “felicità di primo livello”. Quando le persone affermano di essere felici della loro vita, di solito non intendono dire che sono letteralmente piene di gioia, o che provano piacere per tutto il tempo. Esse intendono dire che, dopo aver riflettuto sul bilancio tra piaceri e dolori, tra emozioni positive ed emozioni negative, percepiscono che nel lungo termine hanno sperimentato più piaceri o emozioni positive che negative. Questa viene definita “felicità di secondo livello”. Tale forma di felicità tuttavia non viene calcolata semplicemente sommando tutti i momenti positivi e sottraendo quelli negativi. Essa comprende anche processi cognitivi più complessi quali il paragone con possibili risultati alternativi. Esiste poi un senso di felicità ancora più ampio. L’ideale aristotelico del vivere bene, infatti, l’eudaimonia, viene spesso tradotto con “felicità”. Tuttavia per eudaimonia si intende una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità. Questo significato di felicità rappresenta la “felicità di terzo livello”.
    Il ben-essere è stato definito da Schafer “vivere bene, da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica”. Seligman poi ha proposto diverse strade che conducono alla felicità, in modi differenti: una persona può avere emozioni positive circa il passato, come la soddisfazione e emozioni positive circa il futuro come la speranza e l’ottimismo. Una persona può provare felicità basata in modo predominante su emozioni positive che Seligman chiama “la vita piacevole”. Un’altra strada verso la felicità è di individuare talenti personali e forze. Di particolare importanza è la teoria di Seligman della felicità autentica relativamente alla vita piacevole, alla buona vita, e alla vita significativa che integra e costruisce sulle concezioni eudaimonica ed edonica della felicità. Le teorie contemporanee sulla felicità includono la teoria eudonica e la teoria eudaimonica. La felicità, da un punto di vista edonistico riguarda la massimizzazione dei piacere e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni sensoriali hanno maggior peso delle esperienze dolorose. Invece, la felicità da un punto di vista eudaimonico risulta dall’attualizzazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del proprio vero sé. L’obbiettivo prioritario nel campo dell’educazione è quello di favorire l’adozione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita per essere in grado di gestire le proprie scelte e di adottare comportamenti consapevoli nella direzione della propria felicità.
    Uno degli autori più importanti è Ghedin, che sostiene che l’individuo nasce con un corredo genetico e nel corso della vita costruisce il suo corredo culturale attraverso l’acquisizione di informazione dell’ambiente esterno. Da un punto di vista psicologico seleziona, acquisisce e integra le informazioni ambientali che incontra continuamente nel corso della sua vita. Canevaro poi afferma che il benessere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale autarchica, quanto a quello che qualcuno oggi chiama “capitale sociale”, cioè all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano, con i contesti. La Delle Fave invece afferma che è fondamentale, in una prospettiva eudaimonica, considerare che ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e di sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri della comunità e soprattutto per i cosiddetti “gruppi svantaggiati” come le persone con disabilità. Ognuno di noi nascendo ha la capacità di ben-essere. Ognuno ha un suo modo originale di vedere, ascoltare, toccare, gustare e pensare. E ognuno ha un suo proprio potenziale irripetibile di possibilità e di limiti. Può essere espressivo, pensante, consapevole, creativo, può essere produttivo: vale a dire costruirsi e vivere il ben-essere. Il ben-essere si sostanzia di diverse componenti fisiche e psichiche e sociali, emozionali, psicologiche. In quanto fenomeno complessivo, fa riferimento sia alla valutazione biologico-clinica delle condizioni fisiche dell’individuo sia all’autopercezione soggettivo-emozionale dello stato di salute da parte del soggetto. Il ben-essere segue più direzioni e la sua percezione, da parte del soggetto, cambia sia in senso verticale, nei diversi “tempi” della vita, sia in senso orizzontale, nei suoi diversi “luoghi”.
    La Prof. Iavarone sostiene che il ben-essere possiede più dimensioni in quanto il desiderio di ben-essere si trasforma sia sincronicamente, in concomitanza con un episodio particolare in un determinato momento dell’esistenza di un individuo, sia diacronicamente se il processo di tensione al ben-essere lo si riconduce a una fase o a un intervallo di tempo più lungo della vita di un soggetto. Il ben-essere quindi, scaturisce dalla risultante dell’integrazione tra i sistemi biologico, psichico, sociale; esso dipende non solo dal corretto funzionamento di organi e di apparati vitali, ma soprattutto dagli stili di vita e di lavoro, dal tempo libero, dalla condizione dell’ambiente e dalle qualità umane dei contesti. Non molto tempo fa molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. In parte queste istituzioni sono cresciute dagli sforzi di Seguin, che nella metà del 1800 guidò la prima scuola per i bambini disabili. Seguin promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società. Si cerca comunque di promuovere il benessere delle persone disabili, considerandolo una dimensione strettamente determinata dalla capacità di autonomia. Tuttavia c’è da dire che nella determinazione dello stato di ben-essere di una persona l’aspetto relazionale risulta strategico soprattutto in rapporto al modo con cui si guarda alla vita e ai rapporti che si costruiscono e si coltivano. Questo approccio, afferma l’importanza di considerare il ben-essere, non come uno stato individuale, ma come un progetto dinamico da condividere con gli altri. Più che una condizione stabile il ben-essere rappresenta una costruzione variabile fatta di tappe intermedie e di modificazioni in una costante tensione al cambiamento e al riadattamento esistenziale. Il disabile è prima di tutto persona, persona che ha bisogno, nella società in cui vive, di sentirsi libero e spensierato, autonomo e indipendente nello svolgere le proprie attività quotidiane. La società poi dovrebbe aiutare queste persone a coltivare il proprio benessere. L’obbiettivo non è solo e unicamente quello di far sì che queste persone siano in grado di mangiare, lavarsi, vestirsi, ma e soprattutto, possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere.
    La Prof. Iavarone infine afferma che il ben-essere non può essere assimilato a una generale condizione di ben-essere fisico o economico, ma va definito come uno stato variamente complesso perché multicomponenziale, multidirezionale, multidimensionale. Tuttavia nelle società occidentali il diritto a star bene sembra essere giustamente divenuto qualcosa di più legittimo e facilmente attingibile; diritto che può essere esercitato quanto più le persone vengono aiutate a ricorrere alle proprie risorse e a fare leva sulle proprie potenzialità ossia aiutandole a sviluppare la capacità di acquisire forza e potere nel determinare il proprio stato di ben-essere.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty CHE COS'E' LA FELICITA'?

    Messaggio  Diana Maddalena Dom Mag 13, 2012 10:56 am

    Ghedin ha affrontato temi fondamentali come la felicità,il benessere e in particolare quello in riferimento ad un disabile prendendo spunto da molti autori. La felicità e quello che significa "VIVERE UNA BUONA VITA", ha rappresentato la base del dibattito filosofico,religioso ed educativo per centinaia di anni. Tuttavia solo recentemente le scienze sociali hanno iniziato in modo sistematico a studiare il concetto di felicità. Nonostante le critiche ha guadagnato strada l'analisi scientifica della felicità e degli aspetti positivi dell'esperienza umana. In particolare, il movimento della psicologia positiva, ha tentato di risolvere questo presunto bias indirizzando l'indagine psicologica verso gli aspetti positivi dell'esperienza umana e delle situazioni che sono fonte di felicità per gli individui. Il concetto di felicità compare in ogni cultura. Essa è una buona sorte ed è strettamente legata alla fortuna. Questo significato originario, caratteristico della cultura mitica e del mondo pre-socratico. Molti usi del termine felicità possono essere classificati in uno dei tre sensi. Il senso più immediato e diretto di felicità implica un'emozione o una sensazione, qualcosa come gioia o piacere. Tali sensazioni sono transitorie e sono provocate dal raggiungimento di uno stato desiderato. Quando le persone affermano di essere felici intendono dire che hanno sperimentato più piaceri o emozioni positive che negative, questo è la felicità nel senso studiato di solito dagli psicologi. Ryff e Keyes identificano sei aspetti dell'attualizzazione umana che si considerano contribuire alla felicità: autonomia, crescita personale, autoaccettazione, obiettivi di vita, padronanza ambientale,e relazioni positive con gli altri. L'obiettivo prioritario nel campo dell'educazione è quello di favorire l'adozione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita per essere in grado di gestire le proprie scelte e di adottare comportamenti consapevoli nella direzione della propria felicità. Passando al tema del BENESSERE,la psicologa Carol Ryff ha sostenuto che il benessere umano coinvolge un insieme di elementi più ampio della semplice felicità. Questo insieme comprende crescita personale,finalità,padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi, così come i più familiari elementi di piacere e di assenza di dolore. Le componenti più ampie del concetto di benessere psicologico espresso dalla Ryff tendono a essere correlate con una felicità più ristretta, ma le correlazioni sono piuttosto deboli, il che significa che si possono trovare individui dotati di un alto livello di benessere psicologico ma con poca felicità, generalmente intendono uno stato che comporta sensazioni positive oppure giudizi positivi sulle sensazioni. A livello contestuale, il supporto sociale, il senso di appartenenza, armonia con il proprio ambiente di vita sono i principali fattori esterni che contribuiscono al benessere. Il BENESSERE è definito "VIVERE BENE" da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica. Il benessere considera la soddisfazione delle proprie esigenze e anche il conseguimento di funzionamenti che variano anche considerando la cultura di riferimento. Canevaro afferma che il benessere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale, quanto a quello che qualcuno oggi chiama CAPITALE SOCIALE, cioè all'insieme di capacità che l'individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano, con i contesti. La Delle Fave afferma che è fondamentale considerare che ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri della comunità e sopratutto per i cosiddetti gruppi svantaggiati: persone con disabilità, anziani, persone in condizioni di disagio, immigrati. Gli individui non sono di per sè svantaggiati lo diventano in un ambiente sociale o culturale in cui la loro condizione comporti conseguenze svantaggiate. Ognuno di noi nascendo ha la capacità di benessere. Inoltre ognuno di noi può costruirsi e vivere il benessere. Da una prospettiva educativa questo significa che tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo e ruolo dell'educazione è quello di permettere l'attivarsi di questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente "facilitante" in cui gli attori coinvolti possano essere in grado di co-evolvere insieme nella direzione di uno sviluppo positivo. Ciò che veramente ci permette di inoltrarci in sensazioni di benessere e di tensione alla vita è qualcosa che potremmo definire come un atteggiamento psicologico, mentale, positivo. Molte analisi della natura del benessere rappresentano che le persone sono felici quando ottengono quello che vogliono. Il benessere si sostanzia di diverse componenti: fisiche e psichiche e sociali, emozionali, psicologiche. Fa riferimento sia alla valutazione biologica-clinica delle condizioni fisiche dell'individuo sia all'autopercezione soggettivo-emozionale dello stato di salute da parte del soggetto. Il benessere segue più direzioni e la sua percezione, da parte del soggetto, cambia sia in senso verticale, nei diversi "tempi" della vita, sia in senso orizzontale,nei diversi "luoghi". Il benessere quindi non dipende solo dal corretto funzionamento di organi e di apparati vitali, ma sopratutto dagli stili di vita e di lavoro, dal tempo libero, dalla condizione dell'ambiente e dalle qualità umane dei contesti. Inoltre l'obiettivo è quello di individuare dei metodi che possano rendere in grado gli individui di aumentare il loro livello di benessere. E' fondamentale approfondire la conoscenza sul benessere che non ignora la sofferenza umana, ma tenta di prevenire e alleviare la sofferenza attraverso la promozione di una buona salute, resilienza, e crescita psicologica. L'aumento del benessere diventa significativo perchè esso e le emozioni positive hanno conseguenze positive su altri domini di vita. Il lavoro svolto dalla prof. M.L.Iavarone si occupa del benessere disabili facendo anch'essa riferimento ad autori. Non molto tempo fa, molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. In parte queste istituzioni sono cresciute dagli sforzi di Edouard Seguin, un medico francese che nella metà del 1800 guidò la prima scuola per bambini disabili. Seguin pensava che i bambini con disabilità potessero essere educati e assumere il loro ruolo giusto nella società. Il suo modello di formazione si diffuse rapidamente, ma col tempo queste scuole cambiarono drasticamente il loro obiettivo. Gli studenti non venivano più curati e le scuole divennero meno educative e affidatarie. Invece di favorire il ritorno delle persone nella società, le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane da una società meno accettante. Molte istituzioni erano geograficamente isolate e tale isolamento favorì il sovraffolamento e l'abbandono che caratterizzò molte di queste istituzioni negli anni 50 e 60. Ci furono così le chiusure delle istituzioni per l'autodeterminazione e la completa inclusione. Negli anni passati si sono sviluppati servizi di educazione speciale e supporto alle famiglie, e programmi basati sulla comunità che mirano a incontrare i bisogni materiali degli adulti. Ci furono curricula educativi e programmi di formazione per gli adulti che hanno enfatizzato le abilità di adattamento. Questi programmi si avvicinano anche al concetto di autodeterminazione, che mira a rendere in grado le persone con disabilità di compiere scelte personali per la loro vita. Si cerca di promuovere il benessere delle persone disabili, considerandolo una dimensione strettamente determinata dalla capacità di autonomia. Nella determinazione dello stato di benessere di una persona l'aspetto relazionale risulta strategico sopratutto in rapporto al modo con cui si guarda alla vita e ai rapporti che si costruiscono e si coltivano. Tale approccio sostenuto dalla psicologia positiva,afferma l'importanza di considerare il benessere come un progetto dinamico da condividere con gli altri. Si deve considerare di questi soggetti la forza che esprimono piuttosto che le loro debolezze. L'obiettivo è che queste persone possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta di vivere la vita che essi scelgono di vivere. Prendersi carico, risolvere problemi, aiutano il soggetto in difficoltà, mentre in realtà sulla lunga distanza, lo impoveriscono consegnandogli sempre più un'immagine di inadeguatezza e di debolezza. L'aiuto esterno dell'operatore dovrebbe consistere,invece, nel facilitare l'accesso all'impalcatura relazionale. La capacità di saper leggere l'ambiente, di interpretare correttamente i propri bisogni,dare forma e nome ai propri desideri e saperli perseguire rappresentano alcune delle condizioni per conseguire un progetto di benessere personale e sociale, realistico e contestualizzato. Secondo Iavarone il benessere va definito come uno stato complesso perchè multidimensionale. Inoltre l'ambito della disabilità si è focalizzato sull'esterno: condizioni fisiche di vita, comportamenti adattivi, sostegno politico. Infine si sono creati dei filoni di ricerca che hanno contribuito a indagare le dimensioni di felicità e benessere nella disabilità, specificando in particolare che queste ricerche si sono focalizzate su soggetti con ritardo mentale quasi a voler affermare che la dimensione cognitiva abbia significato per spiegare sentimenti come gioia, serenità, soddisfazione. In realtà oggi la ricerca si sta spostando anche sull'analisi del concetto di benessere e felicità per le persone con vari tipi di disabilità con l'obiettivo di promuovere capacità di condurre una "buona vita", vivere vite stimolanti e soddisfacenti e coltivare ciò che è meglio per se stessi. Per quanto riguarda il MOVIMENTO DELLA QUALITA' DELLA VITA comprende le esperienze di vita esterne e oggettive vissute dalle persone con disabilità in molteplici domini, come pure i loro livelli soggettivi di soddisfazione con quelle esperienze. Migliorare le condizioni oggettive di vita delle persone con disabilità è la giusta cosa da fare in una società equa. Migliorare gli indici oggettivi o esterni della qualità della vita può non necessariamente condurre ad uno stato durevole di felicità nelle persone con disabilità. La psicologia positiva ha estrapolato la felicità dalle condizioni di vita, e ha studiato il grado in cui queste due sono collegate, ritenendo che la felicità sia dovuta all'interazione di entrambi i fattori e che quindi la considerazione solo degli aspetti esterni oggettivi di vita non fossero reale sentimento di benessere della persona. La promozione di questi stati positivi, come pure l'attenuazione dei sintomi negativi, potrebbe aiutare le persone con disabilità ad affrontare con maggiore consapevolezza le situazioni di vita di ogni giorno. Tuttavia gli studi sulla motivazione dovrebbero includere anche questioni relative a benessere, ad un adattamento di vita, o alla felicità e non focalizzarsi esclusivamente sull'apprendimento scolastico finalizzato al raggiungimento del compito. L'obiettivo infatti è quello di favorire lo sviluppo di un sentimento globale di AUTOEFFICACIA fondato sulla possibilità di rendere potenti le persone nella gestione delle loro vite. Per quanto riguarda invece LA RICERCA SULLA FAMIGLIA,quando nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma come un evento angosciante. Le madri passano attraverso diversi stadi: shock, riorganizzazione, dopo che esse si adattano al trauma di avere un bambino con disabilità. Spesse volte per i genitori la disabilità del loro figli raggiunge qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato. I genitori di bambini con una disabilità passano attraverso periodi prolungati di stress rispetto agli altri genitori. La famiglia e anche i sistemi ambientali influenzano lo sviluppo di un bambino con disabilità. Proprio per questo motivo risulta importante approfondire i modi attraverso cui tali famiglie sono in grado di gestire lo stress e sviluppare percezioni positive che portano a una migliore qualità della vita. Nell'ambito della disabilità la ricerca sulla famiglia sta procedendo nella direzione della positività. Si deve andare quindi al da la dei livelli di stress e focalizzarsi di più sull'esplorazione dei modi in cui alcune famiglie sono coinvolte in diverse situazioni di successo. L'immagine pubblica generale delle persone con disabilità è che esse abbiano una bassa qualità della vita e che quindi la loro qualità della vita debba essere migliorata. La ricerca inoltre condotta evidenzia che le persone disabili alla nascita dimostrano di essere più felici rispetto alle persone che sono diventate disabili nel corso degli anni. Inoltre dobbiamo dire che la pedagogia, e in particolare quella speciale, ha a cuore il benessere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua situazione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e sopratutto psicosociale questa è una considerazione fatta dalla prof Iavarone. Parlando del benessere per le persone con disabilità mi viene subito in mente un forum svolto sulla DOMOTICA. A mio parere quest'ultima può tendere a migliorare la qualità di vita della persona con disabilità e in particolare assicurandogli un benessere fisico oltre che psicologico in quanto gli permette di avere un supporto e una condizione di vivere da solo facendogli risultare di essere FELICE. La felicità di un disabile è anche quella di non incontrare ostacoli nella quotidianità e superare i propri limiti, questo può avvenire anche da una casa ben strumentalizzata.
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    Daniela D'urso


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    Messaggio  Daniela D'urso Dom Mag 13, 2012 11:44 am

    “La vita è fatta di rarissimi momenti di grande intensità e di innumerevoli intervalli.
    La maggior parte degli uomini, però non conoscendo i momenti magici, finisce col vivere solo gli intervalli” - Friedrich Wilhelm Nietzsche.
    Mi piace iniziare con questa citazione il discorso che ora andrò affrontando,un discorso complesso che fonda le sue radici su parole come “FELICITà” e “BEN-ESSERE”, parole la cui linea di demarcazione è così sottile da farle spesso intendere come sinonimi.
    Credo però che i due termini siano differenti ma complementari , l’uno include l’altro e lo sottintende. Partiamo dal primo quello di felicità. Descrivere questo primo termine è già di per se difficile, poiché la felicità ed il suo raggiungimento sono stati da sempre al centro degli obbiettivi dell’uomo , e quindi , di conseguenza, sono tante le ipotesi e i concetti accostati a tale termine.
    Nella cultura mitica e nel mondo pro-socratico la felicità era assimilata alla fortuna. Parlare dell’una e dell’altra non mostrava particolari differenze , difatti la felicità significava aver una buona sorte, un buon demone precisamente dal termine “Eudaimonia”. Questo concetto è stato tramandato e difatti non è stato abbandonato in alcune culture ed esempio eclatante di ciò è che il termine “gluck” , termine tedesco, si riferisca sia alla felicità che alla fortuna. Il termine però non ebbe solo un seguito ma, anche una rivisitazione. Con Socrate , con Platone ed Aristotale il termine “eudaimonia” si accostò anche ad altri significati , caricandosi del concetto secondo cui l’uomo poteva andar contro la sorte attraverso la sua libertà e le sue scelte ed essere così felice. Con Aristotale poi il concetto di felicità fu accostato a quello di virtù in senso anche di attività e non solo moralistico fino a giungere ai nostri tempi in cui autori come Nettle o Csìkszentmihalyi, tra i tanti ne parlano e si preoccupano proprio di darne una giusta definizione.
    Nettle elabora 3 livelli di felicità, da un primo più immediato, una gioia o piacere provocata da un qualche raggiungimento, un secondo livello invece determinato da un bilancio generale delle sensazioni positive e negative, ed infine un terzo livello definibile come l’ideale aristotelico del vivere bene , in cui cioè per eudemonia si intende una vita in cui si realizzano le vere potenzialità.
    Parlando di potenzialità mi vengono in mente i due nomi che sono ormai, almeno per me , simbolo di questo percorso, Aztori e Pistorius. Loro hanno, a mio avviso, realizzato e messo in atto le loro potenzialità e tutto il loro potenziale riuscendo a “tirar fuori” tutto ciò che potevano, e se Aztori le sue potenzialità le ha create, Pistorius è riuscito comunque a correre, esplicando così la sua potenzialità , il suo talento , raggiungendo quindi secondo me ,questa felicità di terzo livello di cui parla Nettle. Un altro autore che mi ha colpito è stato Csìkszentmihalyi. Egli si occupa della felicità attraverso il concetto di “flusso”, ovvero momenti nei quali si mettono, attraverso varii compiti, alla prova le nostre abilità, avendo senso del controllo ed emozioni limitate. Difatti momenti di flusso variano da un individuo ad un altro , dallo scrivere alla lettura ad un completamento di un puzzle , si può essere nel flusso , flusso in cui , come detto, c’è una mancanza di emozioni positive , si perde la consapevolezza e ci si crogiola in sentimenti come orgoglio, rilassamento. Mi ha colpito questo pensiero perché appunto tratta una forma di felicità più complessa e particolare , forse perché si associano queste emozioni positive ad un qualcosa di solo momentaneo.
    Per quanto riguarda il ben-essere invece bisogna concentrarsi su un ben-essere che vede coinvolti il singolo e la collettività. Come afferma Semanero o anche Ghedin, l’uomo tende ad attribuire significati agli eventi , ai comportamenti in riferimento comunque a valori culturalmente costruiti. Altri autori come Canevaro, si soffermano su un ben-essere dell’individuo non più solo individuale, ma legato al cosiddetto “ capitale sociale” inteso come capacità dell’individuo di organizzarsi con le strutture che lo circondano. Sempre a proposito di individuo e società il pensiero di Delle Fave si sofferma proprio su questo aspetto : individuo come agente attivo di cambiamento della comunità! Discorso che ovviamente risulta valido per tutti i membri anche per i cosiddetti “ svantaggiati” come ad esempio disabili , anziani , immigrati e minoranze di vario genere. Come abbiamo imparato , però , non esistono individui svantaggiati ma è la società che crea lo svantaggio e questo pensiero mi riporta alla mente un po’ la filosofia che era nata intorno agli anno 80 con l’ ICIDH quando appunto definiva , in questo caso in particolar modo l’handicap, come uno svantaggio conseguente del disagio sociale e non quindi implicabile unicamente all’individuo; proprio come appunto nessun membro che sia come in questo caso disabile o anziano o immigrato svantaggiato di per sé! Ciascun individuo deve essere incoraggiato ad usare i propri punti di forza e soprattutto a perseguire l’autodeterminazione. Ed ecco che ritornano ancora Simona e Pistorius o ancora il prof Palladino o i membri dell’ Univoc tutti uomini che nonostante le difficoltà non rinunciano alla propria libertà e autonomia ! Riguardo al tema dell’autonomia cade a pennello la tecnologia della casa domotica , tecnologia che permette di vivere soli e di compiere qualsiasi gesto quotidiano in piena autonomia anche a coloro che difficilmente potrebbero averla e che invece grazie al progresso possono vivere una vita “normale”. Il Ben-essere quindi che riguarda tutti gi individui potrebbe essere analizzato come la risultante dell’integrazione tra sistema psichico, biologico e sociale , come afferma la Iavarone. L’autrice sostiene infatti che esso non dipenda solo dal funzionamento degli apparati vitali ma anche dagli stili di vita. Il ben-essere per lei infatti è un qualcosa che ha più direzioni e la sua percezione varia nei diversi tempi e luoghi. Difatti se interrogassimo noi stessi su cos’era il ben-essere per noi anni fa , cos’è ora e magari cosa crediamo sarà in futuro, possiamo notare che probabilmente le risposte ottenute sarebbero differenti tra loro. Un Ben-essere però su quale concentrare maggiormente la nostra attenzione è quello del ben-essere disabile , ben-essere che dopo varie ricerche e studi iniziati già nel 1800 che dopo varii cambiamenti di pensiero , anche radicali , hanno visto infine porre come obbiettivo quello di favorire lo sviluppo di un sentimento globale di autoefficacia rendendo così potenti persone nella gestione della loro vita. E’ importante infatti che bambini affetti da ritardo mentale abbiamo motivazioni alle loro spalle, motivazioni che comprendono anche questioni relative il ben-essere , un adattamento alla vita o alla felicità. Non trascurabile però il fattore famiglia, l’attenzione deve essere focalizzata anche su questo aspetto, considerando la famiglia come sistema interagente. Un atteggiamento negativo nei confronti della disabilità da parte di un membro della famiglia può non influire sul bambino stesso ma sul livello di stress familiare quando invece sarebbe opportuno la gestione di questo stress attraverso lo sviluppo di percezioni positive che portano a migliorare la qualità della vita e a realizzare il pieno potenziale dei loro figli. Importantissimo è quindi l’impegno della pedagogia ed essenziale che essa si occupi non solo dell’istruzione ma anche dell’educazione, tutelando salute e sviluppo non solo fisico ma psico-sociale , proprio come afferma la Iavarone. Felicità , ben-essere , riavvolgendo il nastro e tornando al discorso iniziale sono termini che come possiamo notare nascondono i loro precisi significati fatti di perfette demarcazioni e al contempo di infinite sfumature , ma principalmente sono elementi essenziali nella vita di ogni individuo..anche perché in fondo non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere del nostro animo. La felicità non è uno stato a cui arrivare ma un modo di viaggiare.
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    Messaggio  Fortuna Di Mauro Dom Mag 13, 2012 2:17 pm

    Che cos’è la felicità ??
    L'etimologia fa derivare felicità da: felicitas, "felice", la cui radice "fe-" significa abbondanza, ricchezza, prosperità.
    La felicità è uno stato d'animo, un’emozione positiva di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri ,intesa come condizione (più o meno stabile) di soddisfazione totale.
    Il concetto di felicità compare in ogni cultura con significato diverso. Molte lingue distinguono tra qualcosa di estremamente immediato come la gioia o il piacere, e qualcosa di più durevole e significativo come la soddisfazione o l’appagamento. Eudaimonia originariamente deriva da “buon demone”, la felicità era avere un buon demone, una buona sorte, quindi strettamente legata alla fortuna. Con Socrate , poi con Platone e infine con Aristotele , la parola eudamonia si carica di significati nuovi e si inizia ad affermare che l’uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice, per questo in Aristotele la felicità è legata all’etica e alla virtù(come azione e attività). In senso più immediato di felicità implica uno stato di piacere , stimolazioni positive e ben-essere.
    L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha indicato la salute come la condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale.
    Le teorie contemporanee sulla felicità invece, includono la teoria : eudonica ( felicità come massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni sensoriali hanno maggior peso delle esperienze dolorose) e la teoria eudamonica (felicità come attuazione del potenziale dell’individuo e perseguimento del proprio sé ).
    Molte teorie sono coerenti con quest’ultimo punto di vista.
    Oggi, diventa fondamentale analizzare ciò che è possibile, desiderabile e significativo per il singolo e la comunità, perché permette di prestare attenzione a punti di forza, processi di crescita e strategie che non scindano lo sviluppo individuale con l’empowerment sociale , il ben- essere del singolo e della cultura dev’essere visto in un’ottica complessa.
    Canevaro afferma che il benessere di un individuo è legato all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi con i contesti e le strutture che lo circondano. Il benessere è fondamentale soprattutto per le persone con disabilità, anziani o persone con disagio psicosociale, gli individui non sono di per se svantaggiati: lo diventano in un ambiente sociale o culturale a causa di qualche discrepanza rispetto alle aspettative sociali. Purtroppo è LA SOCIETA’ CHE RENDE DISABILI O DIVERSI queste persone, che non si vedono tutelate dallo stato al 100%. Attraverso varie testimonianze e vari video visti in classe mi sono resa conto che in realtà questi soggetti hanno un’enorme bisogno di uscire e sentirsi alla pari degli altri , ma il più delle volte restano in casa perché hanno paura del mondo che c’è fuori, un mondo che sorvola certe circostanze e con un po’ di egoismo non attua dei provvedimenti per rendere più agevole e spensierata la vita delle persone con disabilità. Il benessere e la loro felicità nasce soprattutto dalla considerazione che gli altri hanno di loro, dal loro posto nel mondo e dal sentirsi parte di esso.
    Il benessere segue più direzioni e la sua percezione, da parte del soggetto, cambia sia in senso verticale, nei diversi “tempi della vita, sia in senso orizzontale, nei diversi “luoghi”, scaturisce dall’integrazione tra i sistemi biologico, psichico, sociale; esso infatti dipende non solo dal corretto funzionamento di organi e di apparati vitali ma soprattutto dagli stili di vita, di lavoro e dall’ambiente.
    Lo studio del benessere ha portato alla scoperta che la felicità non sia strettamente associata alla ricchezza e ai beni materiali, ma soprattutto al contesto relazionale in cui le persone vivono, ai rapporti tra le persone alla partecipazione e all’attività nella società.
    Inizialmente la preoccupazione maggiore per coloro che si occupavano di disabilità non era certo promuovere in ben-essere delle persone disabili. Edouard Seguin promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società. Il modello formativo di scuola promosso da Seguin si diffuse rapidamente ma nel corso del tempo le scuole divennero molto meno educative e più affidatarie. Invece di favorire il ritorno delle persone nella società, le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane da una società meno accettante.
    In seguito il concetto di “normalizzazione”divenne ampiamente condiviso dalla famiglie e dai sostenitori, conducendo a politiche che integravano sempre più le persone con disabilità nella società.
    Ciò produsse comportamenti che facilitano l’indipendenza, i programmi si avvicinano al concetto di autodeterminazione, che mirano a rendere in grado le persone con disabilità di compiere scelte personali per la loro vita.
    L’obiettivo non è solo quello di far si che queste persone siano in grado di vestirsi, mangiare e lavarsi, ma e soprattutto , possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. Quest’argomento non può non esser collegato alla domotica.
    La domotica è una scienza che si occupa dello studio delle tecnologie atte a migliorare le qualità di vita nella casa, una casa domotica è utile soprattutto per le persone disabili che attraverso una pedana a percorso binario e dei ganci per il loro sollevamento riescono a spostarsi nei vari ambienti della casa, senza assistenza! È un’opportunità per rendere la vita di queste persone più sana, agevole e comoda. In relazione all’argomento abbiamo visto un video , quello di Andrea Ferrari un ragazzo che ad oggi sorride ed è fiero della sua vita perché finalmente riesce ad essere autonomo in una casa attrezzata per lui e riesce a compiere gesti che se prima gli risultavano impossibili (aprire la porta, chiudere le tapparelle, spegnere la luce, girare la tv in relazione a dov’è posizionato)oggi gli risultano più semplici che mai.
    E’ bello vedere realizzate e sorridenti persone con disagi, è bello togliere dalla loro coscienza il “peso” della dipendenza dagli altri.
    Prendersi carico, risolvere i problemi apparentemente aiutano il soggetto in difficoltà , in realtà, sulla lunga distanza ,lo impoveriscono consegnandogli sempre più un’immagine di debolezza.
    La capacità di saper leggere l’ambiente, di interpretare i propri bisogni rappresentano alcune delle condizioni per conseguire un progetto di benessere personale e sociale. Questo perché come sostiene la prof. M.L.Iavarone il ben- essere non può essere assimilato a una generale condizione di ben-essere fisico e economico, ma va definito come uno stato variamente complesso perché multicomponenziale, multi direzionale, multidimensionale.
    L’immagine pubblica generale delle persone con disabilità è che esse abbiano una bassa qualità della vita. Esiste consenso generale che la loro qualità della vita debba essere migliorata e molti paesi hanno adottato questa visione attraverso politiche ufficiali.
    Come ci ha spiegato anche la professoressa in classe(raccontandoci la sua esperienza in Olanda) è nel nostro paese che queste politiche, per migliorare la vita di queste persone, sono scarse. In Olanda c’è una frequenza consistente di persone disabili che abitano la strada questo perché hanno più servizi e agevolazioni e si sentono parte del mondo come ogni persona “sana”.
    Significative sono state anche le parole dei membri dell’associazione U.N.I.Vo.C. che tramite la loro testimonianza e il video che ci hanno mostrato mi hanno fatto risvegliare da un mondo troppo scontato.
    Un mondo scontato non perché menefreghista ma in quanto oggi, purtroppo, c’è una scarsa divulgazione da parte dei media di queste emergenze.
    Nel regno unito è stato emanato il disability discrimination act e in Italia la Legge 104/92 per offrire alle persone con disabilità gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone non disabili (anche se in Italia a mio parere questi servizi sono spesse volte mal funzionanti).
    I governi facilitano l’accesso per queste persone al mondo del lavoro, all’educazione, e ai trasporti per stimolare la partecipazione sociale. L’obiettivo politico è quello di “normalizzare” le vite delle persone con disabilità.
    L’assunzione implicita di questa politica è che più partecipazione migliora il loro standard di vita, ma anche il loro ben-essere soggettivo.
    Tuttavia nella società occidentale il diritto a star bene sembra esser giustamente divenuto qualcosa di più legittimo e facilmente attingibile; diritto che può esser esercitato quanto più le persone vengono aiutate a sviluppare la capacità di acquisire forza e potere nel determinare il proprio stato di ben-essere.
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    Messaggio  carmela accurso Dom Mag 13, 2012 3:22 pm

    1) Molti autori, sociologi, psicologi e medici hanno spostato l'attenzione sugli indicatori posititvi della condizione di una persona, soprattutto in riferimento al contesto della disabilità. Tutti si sono posti questa domanda: Che cos'è la felicità?? Il concetto di felicità esiste in ogni cultura, alcune distinguono tra qualcosa di estremamente immediato , come la gioia o il piacere, altre invece fanno riferimento a qualcosa di più duraturo come la soddisfazione. Originariamente la felicità eraavere un buon demone, che deriva dal termine eudamonia che significa appunto “buon demone”, in questo contesto, la fortuna è legata alla fortuna. Dal prefisso indoeuropeo”fe” deriva la radice della parola felicità, da cui deriva “fecundus”, “femina” ( in quanto generante). La parola eudaimonia acquisisce dei nuovi significati, soprattutto con Socrate, Platone e Aristotele, si inizia ad affermare che l'uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice, anche contro la sorte, ed è connessa al portare al compimento l'intera vita. Per Aristotele la felicità è connessa alla virtù e all'etica, intesa come azione, attività.. La felicità può essere classificata nel senso più immediato che implica un'emozione, come gioia o piacere. La sensazione è provocata dal raggiungimento di uno stato desiderato avvenuto. Nettle definisce questo senso di felicità come “felicità di primo livello”. Le persone quando affermano di essere felici della loro vita, intendono dire che dopo aver fatto un bilancio tra piaceri e dolori durante la loro vita. Per questo danno un giudizio delle sensazioni. Questa viene definita felicità di secondo livello. Essa comprende processi cognitivi molto complessi, come il paragone con possibili risultati alternativi.Esiste poi un senso di felicità ancora più ampio. L’ideale aristotelico del vivere bene, infatti, l’eudaimonia, viene spesso tradotto con “felicità”. Tuttavia per eudaimonia si intende una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità. Questo significato di felicità rappresenta la “felicità di terzo livello”. Il ben-essere è stato definito da Schafer come “vivere bene, da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica”. Lo psicologo Seligman ha presentato alcune strade che portano alla felicità. Infatto una persona può avere emozioni positive che riguardano il passato, come la soddisfazione, e quelle che riguardano il futuro come l'ottimismo.Inoltre una persona può provare felicità basata su emozioni positive che Seligman chiama “vita piacevole”.Altre strada per la felicità è individuare talenti personali.Le teorie contemporanee sulla felicità comprendono la teoria eudonica e la teoria eudaimonica. La felicità, da un punto di vista edonistico riguarda la massimizzazione dei piacere e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni sensoriali hanno maggiore rilevanza delle esperienze dolorose. Al contrario, la felicità da un punto di vista eudaimonico risulta dall’attualizzazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del proprio vero sé. L’obbiettivo primario nel campo dell’educazione è quello di favorire l’adozione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita per essere in grado di adottare comportamenti consapevoli nella direzione della propria felicità.  Ghedin, uno degli autori più rilevanti, afferma che in quanto esseri viventi,tendiamo alla complessità da un punto di vista psicologico, biologico e sociale. Infatti l'individuo nasce con un corredo genetico e nel corso della vita costruisce il suo corredo culturale attraverso l'acquisizione di informazioni dall'ambiente esterno. Diventa dunque fondamentale analizzare ciò che è desiderabile e significativo per il singolo e per la comunità.. Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo è legato al capitale sociale, cioè all'insieme di capacità che ogni persona ha di organizzarsi e di adattarsi ai contesti.Delle Fave invece afferma che è importante considerare che ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e di sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri della comunità e soprattutto per i cosiddetti “gruppi svantaggiati” come le persone con disabilità. Ognuno di noi ha la capacità di ben-essere.Ognuno ha un suo proprio potenziale irripetibile di possibilità e di limiti. Può essere espressivo, pensante, consapevole, creativo, può essere produttivo: vale a dire costruirsi e vivere il ben-essere. Il ben-essere si forma di diverse componenti fisiche e psichiche e sociali, emozionali, psicologiche. In quanto fenomeno complessivo, fa riferimento sia alla valutazione biologico-clinica delle condizioni fisiche dell’individuo sia all’autopercezione soggettivo-emozionale dello stato di salute da parte del soggetto. Il ben-essere segue più direzioni e la sua percezione, da parte del soggetto, cambia sia in senso verticale, nei diversi “tempi” della vita, sia in senso orizzontale, nei suoi diversi “luoghi”.  Il ben-essere, secondo la prof. Iavarone, possiede più dimensioni, in quanto il desiderio di ben-essere si trasforma sia in simultanea con un episodio particolare in un detrminato momento dell'esistenza di una persona, sia se il processo di tensione al ben-essere lo si riconduce a una fase di tempo più lungo della vita di un soggetto. Il ben-essere scaturisce dall'integrazione tra sistema biologico, psichico, sociale.Esso dipende non solo dal corretto funzionamento di organi e di apparati vitali, ma soprattutto dagli stili di vita, del tempo libero e dalle qualità dei contesti. L'obiettivo è quelloo di individuare dei metodi che possono rendere in grado gli individui di aumentare il loro livello di ben-essere. Per molto tempo tanti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. Però la crescita di queste istituzioni è dovuta dal particolare intervento di Seguin, medico che nell'800 ha guida la prima scuola per i disabili. Egli infatti aveva proposto l'idea che i bambini disabili potessero essere educati ed assumere il loro ruolo nella società. Ciò che risulta davvero significativoè l'aspetto relazionale, soprattutto nei rapporti che si costruiscono. Secondo la psicologia positiva bisogna considerare il ben-essere come progetto dinamico da condividere con gli altri. La persona con disabilità deve essere considerata prima di tutto un essere, un uomo che ha la sua importanza e rilevanza nella società, in grado di dare qualcosa. Bisogna considerarli come soggetti attivi, come persone che hanno bisogno di essere aiutati, eliminado le barriere architettoniche che non permettono il pieno sviluppo delle loro capacità. Ciò che abbiamo studiato e visto attraverso i video è la dimostrazione che queste persone non hnno qualcosa di anomalo o diverso da noi, anzi sviluppano delle capacità che noi non abbiamo, che li rendono più attivi di noi. Per questo ora come non mai bisogna parlare di ben-essere, in quanto bisogna considerare la disabilità da un punto di vista positivo e non per forza negativo. In questo modo aiutiamo molto le persone disabili a sviluppare la capacità di acquisire forza e potere nel determinare il proprio stato di ben-essere.
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    Messaggio  carmela aversano 88 Dom Mag 13, 2012 3:37 pm

    Partiamo da un assunto principale: “Che cosa è la Felicità?”. Secondo alcune culture è qualcosa di estremamente immediato come la gioia o il piacere, secondo altre è qualcosa di più durevole come la soddisfazione. In tempi addietro la felicità veniva chiamata Eudaimonia ciò vuol dire avere un buon demone, è una dottrina morale che identifica il bene con la felicità. Alcuni studiosi si sono cimentati nella studio della Felicità:” cosa vuol dire essere felici?”. Tra questi studiosi ricordiamo Nettle, secondo il quale esistono tre livelli di felicità: 1) “felicità di primo livello”, il senso più immediato di felicità,che implica un emozione; 2)”felicità di secondo livello”, le persone fanno un bilancio tra emozioni positive e negative; 3)”felicità di terzo livello”, l’ideale aristotelico del vivere bene. Oltre a Nittle un altro studioso importante in quest’ambito fu Seligman, il quale ha proposto diverse strade che conducono alla felicità:1) una persona può avere emozioni positive circa il passato, come può avere emozioni positive circa il futuro;2) individuare talenti personali e forze. Molto importante in Seligman è la teoria della felicità, autentica relativamente alla vita piacevole cioè quella che massimizza le esperienze piacevoli e positive; alla buona vita cioè quando gli individui sviluppano le loro forze; alla vita significativa cioè non quando gli individui applicano le forze in attività che contribuiscono a un bene più grande come sviluppare amicizie. Molto spesso si fa confusione tra i termini felicità e ben-essere. La differenza è che il ben-essere tende ad assumere un significato più scientifico ed è caratterizzato da una componente cognitiva, che valuta l’intera soddisfazione di vita, ed una componente affettiva, che a sua volta è suddivisa nella presenza di affetto positivo e nell’assenza di affetto negativo. Detto ciò potremmo affermare che ciascun individuò non è di per se svantaggiato ma lo diventa a causa di un ambiente sociale o culturale in cui la loro condizione comporti conseguenze svantaggiose. Ciascun individuo deve essere incoraggiato a seguire il proprio percorso. Dal punto di vista educativo ognuno di noi ha le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo. A questo punto emerge una domanda:” I disabili possono essere felici?”o meglio ancora “ Si può parlare per i disabili di uno stato di ben-essere?”. In questo contesto è importante ricordare il dott. Seguin, che guidò la prima scuola per bambini disabili con l’intento che i bambini con disabilità potessero essere educati e assumere il loro giusto ruolo nella società. Ma successivamente questi obiettivi mutarono, infatti le scuole divennero meno educative e invece di fornire il ritorno nella società, le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane dalla società. Ecco perché bisogna promuovere il ben-essere delle persone disabili, dando molto importanza all’aspetto relazionale. L’obiettivo non è quello di far in modo che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi, ma e soprattutto ,possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. Vediamo a questo punto quali sono stati i filoni di ricerca che hanno contribuito al ben-essere disabili. Si parla molto di “qualità della vita” e io sottolineo le parole “qualità” e “vita”: la prima fa pensare a valori come la relazione, il benessere e la salute; la seconda indica che si ha a che fare con gli aspetti prioritari dell’esistenza dell’uomo.La qualità della vita della persona con disabilità - come quella di qualsiasi persona - non dipende dalla sua condizione soggettiva, bensì dal livello di inclusione della società che la accoglie e dalle risorse che mette a sua disposizione (istruzione, ausili, servizi e così via), oltre naturalmente dai comportamenti, dai sostegni e dalle risorse della famiglia, dall’ambiente di vita. Questo livello va mantenuto e adattato per tutto il corso della vita. Un’ altro filone di ricerca riguarda la motivazione, e qui è importante ricordare Zigler che scoprì che i bambini con ritardo mentale rispetto ai loro coetanei normodotati,avevano migliori aspettative di successo, bassa motivazione alle sfide e si affidavano molto di più agli altri invece che a se stessi per la soluzione di problemi. L’ultimo filone di ricerca, anche uno dei più importanti, riguarda la ricerca della famiglia. Quando al posto di un bambino sano nasce un bambino con disabilità, il fatto si trasforma in un evento angosciante e luttuoso e le madri vanno incontro a stress, shok e disorganizzazione. Mentre in altre famiglia, la nascita di un bambino disabile porta a migliorare la qualità della vita familiare e ad avere l’obiettivo di realizzare in pieno il potenziale dei loro figli. Parlare di felicità nella società di oggi significa avventurarsi in un discorso molto complesso, e credo che tutte le persone abbiano la stessa tensione a realizzarla nella propria vita, indipendentemente dall’essere disabili o meno. In una famiglia dove sia presente una persona disabile le difficoltà sono oggettivamente maggiori. E questo lo si può ben capire. Come possiamo rendere queste persone e le loro famiglie felici? Io qui darei un contributo importante alla tecnologia che può potenziare le capacità di una persona disabile, per sopperire a delle mancanze, ad esempio una persona priva dell’uso delle mani può scrivere un testo parlando al computer… Un’altra scoperta importante in questo campo anche per le famiglie di una persona disabile è la casa domotica ossia casa intelligente, cioè un ambiente domestico, il quale mette a disposizione impianti che sono in grado di svolgere funzioni parzialmente autonome o programmate dall’utente, ciò potrebbe portare a migliorare la qualità di vita di queste persone. Quello che conta nella vita è il benessere dell’individuo, la sua dignità e la soddisfazione del quotidiano, attraverso la creazione di situazioni il più possibile assimilabili a quelle in cui vivono le “persone normodotate”.Concludo che la felicità passa assolutamente dalla valorizzazione esistenziale della persona e dal diritto ad essere ciò che si è.


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    Orsola Cimmino
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    Messaggio  Orsola Cimmino Dom Mag 13, 2012 6:59 pm

    Capitolo 6 Verso un'educazione inclusiva

    In molti paesi l’inclusione è ancora concepita come un approccio che consiste nell’integrare nella scuola i bambini con bisogni educativi speciali, ma, a livello internazionale, il concetto di inclusione si articola sempre con il concetto di equità che consiste nella capacità della scuola di farsi carico di tutti gli alunni con le loro molteplici diversità. L’educazione inclusiva non deve diventare una nuova moda, un’etichetta, uno slogan ma una nuova frontiera dell’educazione che si fonda su una precisa filosofia altrimenti più si parla di inclusione più il sistema educativo resta ineguale e asimmetrico. L’obiettivo dell’educazione inclusiva è quello di eliminare l’esclusione sociale; essa infatti è strettamente legata alla qualità di democrazia che vogliamo realizzare, alla partecipazione e alla coesione sociale che vogliamo ottenere; è la chiave della cittadinanza ed è un elemento essenziale della politica sociale. Fino ad oggi i sistemi educativi hanno spesso generato delle forme di esclusione perché tendevano ad escludere le diversità e a farle convergere verso un’unica matrice culturale riconosciuta come ufficiale: in questo caso non si può parlare di inclusione ma di assimilazione perché si educa l’altro ad adattarsi a modelli costituiti con una pedagogia che si può definire di compensazione in quanto privilegia l’uniforme al diverso, il semplice al complesso. Se prevale una politica educativa che implica un’ineguaglianza di diritti e di statuti e che cerca di cancellare le diversità è la democrazia che è in pericolo in quanto ogni modello democratico è per sua natura inclusivo e l’inclusione deve essere appresa insieme. Una scuola inclusiva è una scuola in movimento che aumenta la sua capacità di educare, di valorizzare tutti nelle loro diversità e di riconoscere il diritto di ciascuno a un’educazione capace di rispettare la loro cultura e la loro identità. L’inclusione nella società passa attraverso l’inclusione nell’educazione, e al tempo stesso l’inclusione in educazione è un aspetto dell’inclusione sociale. Per questo bisogna creare una cultura dell’inclusione attraverso la costruzione di una comunità accogliente, collaborativa e stimolante nella quale tutti siano valorizzati, e i valori siano condivisi da tutte le componenti della scuola. L’educazione inclusiva ha come presupposto fondamentale l’educazione per tutti. Quindi risulta essere un approccio che si propone di trasformare il sistema educativo in modo da farlo corrispondere alle diversità degli studenti: la diversità allora diviene una sfida e un arricchimento per l’ambiente educativo, non più un problema. Mentre nell’integrazione si fa riferimento alle situazioni deficitarie, nell’inclusione all’insieme delle abilità differenti, il che significa passare dall’adattamento dell’alunno all’adattamento richiesto all’istituzione ed agli insegnanti. Per realizzare l’inclusione a scuola due azioni sono necessarie: la prima consiste nel decostruire la classe per osservare le persone nella loro diversità e per favorire la loro piena partecipazione e la seconda consiste in un processo che parte dall’alunno per costruire la sua appartenenza alla classe. E ciò affinché non ci sia inclusione per alcuni ed esclusione per altri. Ogni classe è un luogo di diversità. Ogni alunno è portatore di una cultura, di una storia, di valori concreti, di un progetto di vita e l’educazione non può fare tabula rasa in nome dell’uguaglianza delle opportunità. L’uguaglianza delle opportunità non può avere lo stesso significato per tutti: essa significa il meglio e il più appropriato per ciascuno. Si raggiunge l’inclusione solo educando ad un pensiero libero capace di resistere alla discriminazione e all’oppressione, un pensiero che si configura soprattutto come cammino interiore, come necessità ontologica. Io non sono libero contro qualcuno ma sono libero con lui e questa colibertà è alla base dello sviluppo e della democrazia intesa come realizzazione dell’uguaglianza nell’esercizio della libertà. Quindi alla formula “la mia libertà finisce dove inizia la libertà dell’altro”, si sostituisce “la mia libertà comincia dove comincia la libertà dell’altro”. Al tempo stesso l’inclusione è un problema politico e deve aiutare la società a rifondare la convivialità riscrivendone le regole. Per questo l’educazione non deve solo pensare a una trasmissione di saperi ma soprattutto a una trasmissione di valori per formare coscienze critiche e convinte che ciascuno di noi vive con e grazie agli altri. La sfida dell’educazione inclusiva consiste perciò nel coniugare la necessità di ogni persona di costruirsi un sapere critico con la necessità di appartenere a una comunità e a una società. In questo senso l’educazione è il principio che collega il sapere e il volere, la conoscenza e la responsabilità.
    Le figure chiave a supporto dell’inclusione sono: gli insegnanti, l’ambiente di apprendimento, la famiglia e il capability approach in educazione.
    L’educazione inclusiva significa che le scuole forniscono una buona educazione a tutti i bambini indipendentemente dalle loro abilità diverse. Tutti i bambini saranno considerati con rispetto e assicurate loro uguali opportunità per apprendere insieme. L’educazione inclusiva è un processo crescente. Gli insegnanti dovrebbero lavorare attivamente per raggiungere i suoi obiettivi e dovrebbero avere ben chiari alcuni principi fondamentali per essere in grado di insegnare nell’educazione inclusiva. Essi sono: conoscere i principi dell’educazione inclusiva e implementarli, individuare gli studenti che hanno bisogno di educazione speciale, conoscere e essere in grado di applicare i metodi e gli approcci nel campo dell’educazione inclusiva. Includere gli studenti con disabilità e avere la consapevolezza di come interagire con loro, sono caratteristiche importanti di una scuola efficace. Il modo in cui gli insegnanti insegnano è di importanza cruciale in ogni riforma designata per migliorare l’inclusione. Gli insegnanti devono essere sicuri che ciascun bambino comprenda le istruzioni e le modalità attese di lavoro. Egli deve comprendere la reazione del bambino a quello che viene insegnato dal momento che l’insegnamento ha significato e rilevanza soltanto se il bambino acquisisce il suo contenuto.
    Importante è anche focalizzarsi sulla creazione di un ottimo ambiente di apprendimento così che tutti i bambini possano apprendere bene e raggiungere il loro potenziale. Questo comprende metodi di insegnamento centrati sul bambino e lo sviluppo di appropriati materiali di apprendimento. I docenti necessitano di materiali e metodi adeguati, ma anche di tempo per la ricerca e per acquisire la conoscenza e le competenze attraverso la formazione e l’esperienza.
    Altra figura chiave è la famiglia. Coinvolgere i genitori nella scuola non solo conduce allo sviluppo di relazioni positive tra casa e scuola ma anche rende più probabile che i genitori prendano un interesse attivo nell’educazione dei loro bambini. Questo può avere un effetto benefico per i bambini quando vedono i genitori e gli insegnanti cooperare. Non è mai troppo tardi coinvolgere le famiglie. Alcune scuole adottano la politica che i genitori devono essere coinvolti solo quando ci sono dei problemi e tale approccio non risulta essere vantaggioso al bambino. Oltre ad avere bisogni i genitori hanno anche forze e questo dovrebbe essere riconosciuto dalla scuola, dal momento che i genitori rimangono una risorsa affidabile. E’ sorprendente che molte persone che lavorano nel campo dell’educazione dimenticano che i genitori hanno considerevole conoscenza circa i loro bambini. La conoscenza dei genitori circa i loro bambini significa che essi dovrebbero essere visti come partner. Questo concetto sembra stia guadagnando credibilità, sebbene sia raramente definito.
    Infine abbiamo il capability approach; esso considera l’educazione come fortemente connessa con la libertà umana. I benefici e i risultati dell’educazione sono visti come multidimensionali, e sono misurati attraverso raggiungimenti sostanziali nella libertà. L’educazione deve fornire non solo competenze e abilità orientate al mercato del lavoro, ma anche abilità di vita e opzioni di vita in termini di essere in grado di conoscere, agire e vivere insieme in un ambiente sociale. Il modello della capability guarda all’aspetto relazionale e di come il bambino interagisca con il suo ambiente scolastico e come egli converta le risorse in funzionamenti mentre allo stesso tempo considera come l’ambiente è costruito. Questo approccio prende in considerazione non solo l’interazione ma anche la complessità di entrambe le dimensioni, individuale e circostanziale, e come questi elementi siano parte dello standard di misurazione proposto dall’approccio. L’approccio della capability è una struttura di pensiero e non una teoria educativa. E’ dovere dei governi e delle comunità rimuovere le barriere e gli ostacoli che impediscono l’inclusione sociale dando le risorse e i supporti adeguati affinché i bambini con disabilità crescano in ambienti inclusivi.
    In merito a ciò si può far riferimento all’INDEX per l’INCLUSIONE. Esso è lo strumento destinato alle istituzioni scolastiche che hanno come obiettivo la trasformazione della loro cultura e delle loro pratiche per arrivare ad essere delle scuole per tutti.
    Esso propone alle scuole un modo di fare autovalutazione sul tema dell’inclusione, e sulla base dei punti di forza e delle criticità emerse, di progettare strategie per migliorarsi. La definizione di inclusione che Index propone è una definizione che chiama in causa davvero tutti nella comunità scolastica: si tratta di garantire la piena partecipazione e il massimo sviluppo possibile di tutti i membri di quella comunità. Si tratta di garantire a tutti gli alunni, tenendo conto delle loro diverse caratteristiche sociali, biologiche o culturali, di sentirsi parte attiva del gruppo di appartenenza, ma anche di raggiungere il massimo livello possibile in fatto di apprendimento. Si tratta anche di garantire una valorizzazione di tutti gli insegnanti, ognuno con le sue competenze e caratteristiche personali e di creare forme di partecipazione attiva da parte delle famiglie e della comunità sociale che si muovono intorno alla scuola. Index propone questa definizione molto ambiziosa di inclusione che suona anche molto idealista. Questa è la meta, ed è una meta lontana, forse impossibile da raggiungere nella sua completezza, che però indica una chiara direzione di sviluppo. Accanto a questo, Index per Inclusione si propone anche come uno strumento pratico per mettersi in cammino verso questo ambizioso obiettivo. Propone questionari attraverso cui la scuola può chiedere ad insegnanti, alunni e famiglie di valutare diversi aspetti dell’inclusione, al fine di identificare aspetti che possono essere migliorati. Inoltre dà alcuni suggerimenti pratici su metodologie partecipative per progettare e pianificare strategie di cambiamento. Questo credo sia il grande valore di Index per l’Inclusione: da un lato propone un caldo ideale da condividere, dall’altro non manca di proporre strumenti e metodologie che aiutano a progettare a mente fredda il percorso verso quell’ ideale, quello di una scuola per tutti, una scuola inclusiva.

    “Tutti i bambini e i ragazzi del mondo,
    con i loro punti di forza e debolezza individuali,
    con le loro speranze e aspettative,
    hanno diritto all’educazione.
    Non spetta al sistema educativo decidere chi è adeguato e ne ha il diritto.
    Pertanto è il sistema scolastico che deve adeguarsi
    In modo da corrispondere alle necessità di tutti gli studenti”.


    “Le scuole inclusive possono cambiare
    gli atteggiamenti verso la diversità,
    educando insieme tutti i bambini,
    formando pertanto le basi per una
    società giusta e non discriminativa
    che incoraggi le persone a vivere
    insieme pacificamente”.








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    francesca de falco


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    Messaggio  francesca de falco Lun Mag 14, 2012 9:17 am

    La felicità e quello che significa vivere una buona vita ha rappresentato la base del dibattito filosofico , religioso ed educativo per centinaia di anni. Alcuni studiosi delle scienze sociali ritengono che studiare e approfondire la conoscenza delle emozioni positive sia un obiettivo superficiale rispetto alle necessità di comprendere la sofferenza umana e che esiste un ordine di importanza relativamente alle questioni che psicologi dovrebbero affrontare . La gerarchia dei bisogni di Maslow ha contribuito a questa scuola di pensiero dal momento che essa stabilisce che il più alto grado di bisogni come l’autostima e l’attualizzazione sono condizionati dalla soddisfazione dei bisogni di ordine più basso come la sopravvivenza , la sicurezza e l’appartenenza . Alcuni studiosi credono che la tradizionale prospettiva psicologica negativa rappresenti un’attenzione falsata che ignora gli aspetti positivi del funzionamento umano . Nonostante le critiche , ha recentemente guadagnato strada l’analisi scientifica della felicità e degli aspetti positivi dell’esperienze umana. In particolare , il movimento della psicologia positiva ha tentato di risolvere questo presunto bias indirizzando l’indagine psicologica verso gli aspetti positivi dell’esperienza umana e delle situazioni che sono fonte di felicità per gli individui . Il senso più immediato e diretto di felicità implica un’emozione o una sensazione , qualcosa come gioia o piacere. Tali sensazioni sono transitorie e presentano una fenomenologia chiara e particolare. La sensazione è provocata dal raggiungimento di uno stato desiderato e non coinvolge molta cognizione , a parte il riconoscimento del fatto che la cosa desiderata è avvenuta . Nettle definisce questo senso di felicità di primo livello , quando le persone affermano di essere felici della loro vita , di solito non intendono dire che sono letteralmente piene di gioia , o che provano piacere per tutto il tempo. Esse intendono dire che , dopo aver riflettuto sul bilancio tra piaceri e dolori , tra emozioni positive ed emozioni negative , percepiscono che nel lungo termine hanno sperimentato più piaceri o emozioni positive che negative. Le componenti più ampie del concetto di ben-essere psicologico espresso della Ryff tendono a essere correlate con una felicità più ristretta , ma le correlazioni sono piuttosto deboli , il che significa che si possono trovare individui dotati di un alto livello di ben-essere psicologico ma con poco felicità di secondo livello e viceversa . Nettle afferma che quando le persone parlano di felicità , generalmente intendono uno stato che comporta sensazioni positive oppure giudizi positivi sulle sensazioni . Spesso i termini felicità e ben-essere soggettivo sono stati usati in modo intercambiabile con il secondo che rappresenta il termine più scientifico dei due. Il benessere soggettivo include : 1)una componente cognitiva che valuta l’intera soddisfazione di vita, 2)una componente affettiva che è a sua volta suddivisa nella presenza di affetto positivo e nell’assenza di affetto negativo. A livello individuale , le caratteristiche positive personali come il ben-essere soggettivo , l’ottimismo , la felicità , la perseveranza sono fattori che contribuiscono al ben-essere . A livello contestuale , il supporto sociale , il senso di appartenenza , armonia con il proprio ambiente di vita sono i principali fattori esterni che contribuiscono al ben-essere . Il ben-essere è stato definito vivere bene da un punto di vista psicologico , spirituale e fisico anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica . Seligman ha proposto diverse strade che conducono alla felicità , primo una persona può avere emozioni positive circa il passato come la soddisfazione e emozioni positive circa il futuro come la speranza e l’ottimismo . Queste possono essere aumentate attraverso tecniche che sollecitano la gratitudine , la comprensione o che mettono in discussioni i pensieri negativi, inoltre lui afferma che la vita significativa aggiunge un’altra componente usare le proprie forze al servizio di qualcosa di più grande ossia trovare uno scopo nella vita. Invece Dykens afferma che la buona vita si ha quando gli individui sviluppano le loro forze e virtù in attività da cui l’individuo trae piaceri e di cui è appassionato , la vita significativa si ha quando gli individui applicano le forze e le virtù in attività che contribuiscono a un bene più grande come sviluppare amicizie o servire la comunità. Un altro significativo contributo derivante dalla psicologia positiva è di integrare la teoria del flusso “flow” di Csikszentmihalyi con i concetti del ben-essere . Il flusso è stato d’impegno , felicità ottimale e esperienza massima che si verifica quando un individuo è assorbito in una sfida impegnativa e intrinsecamente motivante, le caratteristiche dello stato del flusso includono un chiaro senso di quello che necessita di essere fatto , un intenso sentimento di concentrazione o assorbimento e una perdita del senso del tempo. L’obiettivo prioritario nel campo dell’educazione è quello di favorire l’adozione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita per essere in grado di gestire le proprie scelte e di adottare comportamenti consapevoli nella direzione della propria felicità.
    Inizialmente a preoccupazione per coloro che si occupavano di disabilità non era certo promuovere il ben-essere delle persone disabili, infatti molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli , con il tempo invece si cerca di promuovere il ben-essere della persona con disabilità . L’obiettivo non è solo unicamente quello di far si che queste persone siano in grado di mangiare , vestirsi , lavarsi , ma che possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere . “Fornire risposte, prendersi carico , risolvere i problemi “ aiutano il soggetto in difficoltà mentre lo impoveriscono consegnandoli sempre più un’immagine di inadeguatezza e di debolezza. I ricercatori nel campo della qualità della vita hanno quindi fatto un grande lavoro di misurazione quantitativa chiedendo appunto quanto soddisfatte le persone fossero come consumatori di lavoro , residenze e altri servizi. DIENER OISHI e LUCAS hanno concluso che sopra la soglia minima dei bisogni di base una maggiore disponibilità di denaro ha poco relazione con la felicità complessiva.
    Un esempio di felicità è L’ATZORI danzatrice e pittrice ma anche una grande donna che con la sua voglia di vivere ha sconfitto tutti i limiti che la vita gli ha dato , lei è una donna angelo che ci sorprende e ci aiuta a capire che i veri limiti sono quelli che noi esseri umani ci poniamo dinanzi alla normalità..
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    Eleonora Cardella


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    Messaggio  Eleonora Cardella Lun Mag 14, 2012 9:30 am

    Nel corso di studi fatto insieme, abbiamo visto come l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha indicato la salute l’obiettivo principale, vista come condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale. Allo stesso modo Ghedin in “Ben-essere disabili” nel primo capitolo del suo libro tratta il tema della felicità e di tutto ciò che è collegato a essa. Spesso quando parliamo di salute ci riferiamo a uno stato soggettivo che racchiude ottimismo,felicità,perseveranza e determinazione. Ma lo stesso riferimento deve essere riportato nel collettivo, poiché il rapporto sociale e lo stare bene nell’ambiente in cui si vive sono fattori che contribuiscono al ben-essere. Diversi studi hanno cercato di capire e studiare il concetto di felicità. Ma la domanda che risulta più frequente è: cos’è la felicità?
    Una domanda che in realtà non ha una risposta chiara e precisa. La felicità, nel senso più generico, corrisponde a un’emozione o sensazione piacevole che si ottiene dopo il raggiungimento di qualcosa tanto desiderato. Ma essa può essere addirittura racchiusa in diversi livelli ed è possibile attribuirle diversi significati che cambiano da persona a persona. Il concetto però risale già al mondo antico quando si parlava di felix e poi eudamonia cioè di buon demone. La felicità consisteva nell’avere un buon demone ovvero una buona sorte. In questo senso quindi era legata al concetto di fortuna. Ma la felicità può essere legata anche al concetto di libertà, in quanto già con Socrate e Platone si inizia ad affermare che l’uomo, attraverso gli atti che compie, può essere felice, andando anche contro la sorte. Si è dimostrato poi che la felicità riguarda la soddisfazione della propria vita. Nettle afferma che “Quando le persone parlano di felicità, generalmente intendono uno stato che comporta sensazioni positive oppure giudizi positivi sulle sensazioni. Quando la definizione viene ampliata fino ad includere altri valori e beni, il concetto diventa incoerente”. Ma tra le teorie proposte, quella di Seligman mi ha colpito di più perché è molto più vicino al mio pensiero, questa si basa sulle sensazioni e le emozioni positive. Egli afferma che un ideale di vita piacevole consiste nella buona vita e cioè nell’usare le proprie forze nei vari ambiti in modo da trovare uno scopo per cui è necessario saper vivere . Attraverso le teorie contemporanee sulla felicità si è capito come l’essere umano va alla continua ricerca di un senso in tutto ciò che fa. Canevaro sostiene che il ben-essere di un individuo è legato al suo capitale sociale cioè alle capacità che l’individuo ha di organizzarsi e adattarsi al contesto in cui vive. Da altre analisi sul ben-essere è stato possibile capire come molte persone sono felici quando ottengono ciò che vogliono. Il ben-essere può riguardare, secondo Iavarone, sia componenti fisiche che psicologiche ma anche sociali e emozionali. Il ben-essere ha più direzioni, in quanto l’idea di raggiungerlo si trasforma sia con episodi che in lunghi periodi di vita. Esso scaturisce dall’insieme di stile di vita, lavoro, tempo libero e dalla condizione ambientale. Studiare il ben-essere non significa però ignorare la sofferenza, anzi si cerca di prevenirla attraverso la promozione di una buona salute e resilienza. Il concetto di ben-essere però legato alle persone con disabilità assume una valenza maggiore; inizialmente può risultare banale, in quanto il disabile ha ben altre preoccupazioni. Ma pensare a come rendere la propria vita migliore, o come si può cercare di semplificare molte situazioni difficili, è in realtà qualcosa che può solo giovare al disabile.
    Qualche tempo fa molti bambini o adulti venivano assistiti in centri o istituzioni caritatevoli creati da Edouard Seguin, un medico francese che guidò la prima scuola per bambini disabili. In seguito poi a delle contestazioni riguardo la cura che veniva data a questi bambini si è deciso di far diventare le scuole più affidatarie e meno educative. In questo modo si allontanavano i soggetti dal contesto di appartenenza e non si permetteva loro un normale processo di integrazione. Solo a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, il concetto di normalizzazione fu condiviso da tutti e le persone con disabilità furono così reintegrate in società. Oggi queste istituzioni non esistono più, bensì sono state create comunità con programmi speciali e mirati, con personale attrezzato e capace che risponde a ogni esigenza del soggetto. Hanno come obiettivo principale l’autodeterminazione ovvero cercano di rendere la persona con disabilità autonoma e libera di compiere scelte personali. Il ben-essere qui coincide con la capacità di autonomia ma anche con quella di sapersi relazionare. La relazione educativa ha un gran valore, come abbiamo già visto attraverso i setting proposti in aula, poiché è grazie al dialogo e al legame che si instaura con il soggetto che è possibile renderlo libero e autonomo. Si costruisce qualcosa non dalla loro mancanza ma da quello che può essere considerato un punto di forza, in modo tale da non far sentire l’esclusione o la mancanza fisica o psicologica. È l’aspetto interno a dover essere valorizzato e non quello esterno come si è fatto invece per diverso tempo nell’ambito della disabilità. Bisogna promuovere la “buona vita” attraverso vite stimolanti e soddisfacenti questo è ciò che può essere una risposta al ben-essere delle persone con disabilità. Perché poi ci sia una società uguale e giusta c’è bisogno di migliorare le condizioni oggettive delle persone con disabilità, il supporto della tecnologia come potenziamento, ad esempio, può essere un elemento importante perché migliora il modo di vivere la vita sia sulle cose più semplici che su quelle più difficili. Oltre all’integrazione in società però è anche la famiglia a giocare un ruolo importante. È sempre molto difficile accettare la minorità di un soggetto soprattutto da parte di una madre la quale non accetta facilmente le difficoltà con cui nasce il proprio figlio ( essere autistico ad esempio). Queste passano anche attraverso stadi di shock e angoscia. Ma è proprio attraverso la famiglia che si pone l’attenzione perché vista come sistema interagente, vista come luogo dove il bambino si sviluppa. Non ha senso soffermarsi su ciò che hanno in meno i soggetti disabili, ma bisognerebbe garantire, così come hanno fatto nel Regno Unito, i diritti di accesso ai servizi pubblici così come lo si fa per i non disabili, far vivere la città senza barriere che ostacolano. Restare nel pregiudizio e nella convinzione che i disabili debbano essere solo accuditi e tutelati non ha senso, ne ha molto di più invece valorizzare le qualità rendendo così naturale e semplice la vita regalando ben-essere. Iavarone infine spiega come il ben-essere nella società occidentale è divenuto qualcosa di facilmente attingibile ma è anche qualcosa di multicomponenziale e sostiene che è importante creare personale qualificato per sostenere e curare chi ha bisogno, perché stare bene è un diritto non riservato a pochi. La pedagogia speciale ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto, tutelandolo e occupandosi di lui anche a livello sociale. Dal mondo classico al moderno, dunque, il termine “felicità” ha assunto vari significati. Ciò che accomuna però le varie dottrine sulla felicità e' il soggetto a cui si riferiscono: l'uomo. E' l'essere umano, infatti, a ricercare e procurarsi con i suoi mezzi la felicità e il ben-essere che ognuno di noi ha la capacità di ottenere dalla nascita.


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    Messaggio  mariarescigno91 Lun Mag 14, 2012 10:16 am

    Felicità:condizione di letizia,di gioia,di soddisfazione,di contentezza.Tale stato d'animo si prova nelle circostanze più svariate,come ad esempio un buon risultato ottenuto in un lavoro,il senso di rallegramento che si prova a livello affettivo,la buona stima che si possiede di sé,insomma tutte azioni pertinenti alla natura umana.
    Soddisfazione:condizione spirituale di chi ha conseguito un obiettivo con successo,conseguenza di un comportamento che genera appagamento.E' una sorta di risarcimento per il lavoro che si è svolto,è la continua ricerca di appagamento,è un esigenza che deve essere soddisfatta.La soddisfazione genera ovviamente un senso di piacere all'individuo,poiché nota che le sue fatiche hanno generato risultati positivi.e si sente in qualche modo una sorta di "creatore di azioni positive",ovvero comprende che i risultati che ha ottenuto sono di un livello abbastanza alto da essere considerati positivi.
    Benessere:stato di buona salute sia fisica che economica,senso di appagamento,di agiatezza.Chi vive in una condizione di benessere,si sente un gradino sopra il mondo che lo circonda,questo non certo perché si senta superiore agli altri,ma perché vive talmente bene con se stesso che è "in pace".Infatti il benessere offre la pace interiore all'individuo,la pace dei suoi sensi.Anche se in un discorso molto più ampio si associa alla parola benessere la prosperità di denaro,bisogna però sempre tenere presente che il benessere è anche e soprattutto una condizione intima dell'individuo,che deve sempre essere ricercata e coltivata per vivere bene.
    Questi tre termini da me ricercati sul dizionario,sono i termini chiave di ciò che il primo capitolo del libro Benessere Disabili ci parla.Si tratta però del fatto di riuscire a verificare se e quando le persone affette da un genere qualunque di disabilità,possano oppure riescano a provare queste tre componenti della vita,ovvero la felicità,la soddisfazione e il benessere.Bisogna partire anzitutto dal fatto che,le persone affette da disabilità vivono in una condizione di difficoltà corrente,dovuta principalmente dal mondo che li circonda.Un soggetto disabile infatti non si trova nella condizione di poter soddisfare tutti i propri bisogni,poiché è bloccato da quelle che sono le barriere architettoniche presenti nel sociale.In effetti a questa pluralità di persone non è sempre offerto il giusto funzionamento delle strutture,e ciò non permette loro di vivere una vita "alla pari" con gli altri soggetti.Si passa poi al fattore dell'emarginazione che rappresenta una sorta di piega nella nostra società.Molte persone infatti alla vista di un disabile,provano senso di compassione,cercano di modificare se stessi,di essere di aiuto ma lo lo fanno in modo del tutto erroneo.Cercare di aiutare qualcuno in difficoltà con senso di pietà,non solo non è di conforto,ma contribuisce ancora di più a far sentire il soggetto disabile,escluso della restante società.Bisognerebbe infatti stabilire con chi vive uno stato di difficoltà evidente,un rapporto orientato verso la più totale normalità,in modo da far emergere il fatto che,anche chi vive una condizione di disabilità può e deve far parte del contesto sociale nella maniera più stabile e normale possibile.Di questo ci parla anche Seguin che nel 1800 guidò una scuola per bambini disabili.Egli sosteneva che tali bambini potevano essere educati alla stessa maniera degli altri,in modo da poter raggiungere anch'essi il ruolo ruolo all'interno della società.Tale progetto proposto da Seguin si è sviluppato negli anni,giungendo poi ad attivare una procedura pedagogica,che avesse come obiettivo non solo insegnare ai disabili a saper mangiare,bere e vestirsi da soli,ma anche a fare in modo di far emergere non più le loro difficoltà ma bensi' i loro pregi,le loro capacità.Si tratta dunque di un lavoro che deve essere affrontato non solo dal soggetto disabile,ma anche da colui che è il suo educatore che con spirito di iniziativa e una forte sensibilizzazione,deve conoscere a fondo il soggetto per poi strutturare i suoi insegnamenti a favore di quest'ultimo.Per migliorare le condizioni di vita di un disabile stabilendo cosi il suo benessere,bisogna osservare cos'è che gli impedisce di vivere bene.Ciò che non consento ad un disabile di vivere a pieno la sua vita sono senz'altro come anche prima ho citato le condizioni ambientali;dunque secondo alcuni ricercatori per garantire il benessere ai disabili.bisogna migliorare le condizioni ambientali.Migliorare il fattore ambientale,consente di ottenere un netto miglioramento anche nelle condizioni di vita,garantendo il raggiungimento della felicità,che si sviluppa ricevendo un appagamento di due importanti condizioni:quella interna e quella esterna all'individuo.Si passa di seguito ad analizzare il fatto che in tutte le persone e quindi anche i disabili,si sviluppino atteggiamenti negativi,mal essere,che incido molto sul mal perseguimento della felicità e del benessere.In tal caso bisogna analizzare quali sono i pensieri e le azioni che generano questi "cattivi stati d'animo",per poi cercare di convertirli da negativi a positivi.Componente indispensabile per il raggiungimento di una vita orientata al benessere,è senza dubbio la motivazione.Essa rappresenta la spinta che ci permette di agire,di conseguire i nostri obiettivi e senza di questa,la vita sarebbe "piatta".Cercare continue motivazioni ad agire contribuisce inoltre allo sviluppo del senso di autoefficacia,sentimento che rende potenti le persone nella gestione delle loro vite.Grande forza viene inoltre offerta al disabile,da quella che è la sua famiglia,i suoi maggiori punti di riferimento.Anzitutto si parla di quella che è la figura materna,intesa non solo come prima vera educatrice ma anche come la figura che di più affianca il soggetto disabile nel suo cammino.Quindi le figure genitoriali sono di estrema importanza nella sfera emotiva del soggetto e in quella pedagogica.Si deve al tal proposito analizzare quello che è l'atteggiamento di tali figure genitoriali,poiché anch'essi come genitori di un soggetto disabile,possono avere un emotività frantumata dall'accaduto.Per questi si differenziano due categorie di genitori quelle che hanno superato la notizia della disabilità del proprio figlio,e quelli che non hanno ancora metabolizzato l'evento.L'attenzione ovviamente si concentra sulla seconda categoria,poiché è necessario comprendere in che modo questi genitori possano seguire il proprio figlio,come possano aiutarlo e come possano contribuire alla sua formazione come soggetto integrante nella società.Bisogna dunque non solo preoccuparsi del soggetto disabile ma anche del settore familiare che lo circonda per fare in modo di lavorare uniti per perseguire lo stesso obiettivo.I genitori dunque compiono un gran lavoro anche su se stessi,trasformando le loro percezioni negative in positive,contribuendo cosi a far emergere il pieno potenziale dei loro figli.L'ultima analisi è dedicata infine al soggetto più importante in questione,ovvero il disabile stesso.E' stato affermato che secondo l'immagine pubblica,le persone con disabilità presentino una bassa qualità di vita.Da ciò è scaturita l'attivazione anche del settore politico che ha proposto la normalizzazione dei disabili,ovvero fare in modo che il più possibile le condizioni di vita del disabile si avvicinino a quelle di un soggetto non disabile.Questo a dire il vero non garantisce nessuna sicurezza sul fatto che tale agire possa condurre risultati positivi;cioè il fatto di condurre lo stesso stile di vita di un normodotato,non ci garantisce la consapevolezza che in tal modo un disabile sia felice tanto quanto chi non lo è.oppure non si può affermare che a pari condizioni di vita i normodotati e i disabili siano felici per le stesse cose.Queste affermazioni infatti non possono essere poste sotto ulteriori indagini,poiché anche dopo millenni di analisi specifiche non ci sarebbe mai una risposta esaustiva.L'obiettivo però che in questo capitolo deve emergere è il fatto che non si vuole insegnare a vivere bene,ma la pedagogia nella fattispecie quella speciale,vuole offrire al disabile sostegno sia in campo pedagogico che in quello relazionale,occupandosi nel contempo della sua salute e del suo sviluppo psicosociale.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty capitolo 6:verso un educazione inclusiva

    Messaggio  maria84 Lun Mag 14, 2012 2:48 pm

    Nell'inclusione vi sono figure importanti come insegnanti,genitori e comunità che rappresentano importanti risorse di supporto.E'importante a tal riguardo la presenza di un ottimo ambiente di apprendimento nel quale appunto questi attori,ossia insegnanti,genitori altri strumenti e la comunità agevolano il procedimento di inclusione.L'obbiettivo di tutti gli educatori è quello di creare un discorso nel quale i bambini siano considerati per le loro caratteristiche uniche ed al tempo stesso possano agire in più modi per rispondere ai bisogni individuali e realizzare gli obbiettivi della persona.Nell'educazione inclusiva è importante il ruolo assunto dalle scuole che forniscono una buona educazione a tutti i bambini,i quali pur avendo abilità diverse,vengono comunque trattati con rispetto in modo da assicurare loro le stesse opportunità per apprendere insieme.Gli insegnanti devono agire rispettando una serie di principi tra i quali occorre individuare gli studenti che hanno bisogno di educazione e al tempo stesso conoscere ed essere in grado di applicare i metodi nel campo dell'educazione inclusiva.Gli insegnanti efficaci sono coloro che stimolano le abilità degli studenti,stabilendo i loro compiti nonchè le strategie di apprendimento in quanto la reazione di un ambiente di apprendimento è pur sempre un rinforzo positivo.
    Infatti gli atteggiamenti positivi degli insegnanti verso l'inclusione dipendono dalla loro esperienza con i bambini,gli insegnanti devono possedere le attitudini e le abilità che permettono di valutare le capacità degli studenti.
    Oltre la scuola un altra figura chiave è costituita dalle famiglie,infatti il sogno di ogni genitore è quello di far si che il proprio figlio diventi indipendente.Pertanto è importante coinvolgere i genitori per sviluppare le relazioni positive tra casa e scuola.Tutti i genitori,nell'interazione con la scuola dovrebbero essere informati dal progresso fatto dal loro bimbo e apprezzano nche l'importanza di dar vita ad un appropiato ambiente educativo per il loro figlio.La stessa unesco propone che i genitori siano visti come partecipanti attivi che parte integrante del processo decisionale dei figli.
    L'educazione legata alla libertà umana costituisce un approccio fondamentale della capability nella quale i benefici e i risultati possono essere visti sotto più aspetti in quanto l'educazione non deve fornire solo competenze che devono orientare al mercato del lavoro,ma anche abilità di vita,essere in grado di conoscere e accedere ad una educazione che mira alla crescita della persona.
    A tal riguardo si può considerare quanto sia delicato il processo educativo di fronte ai casi come quello dell'autismo dove l'educatore ha il compito di creare un ambiente che possa avvicinare l'individuo alla realtà.Compito dell'educatore è anche qllo di evitare la "ghetizzazione"del soggetto,allontanarlo da uno stato di emarginazione e consentirgli di avere voce nella realtà.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Ben-essere disabili: esercizio finale (chiude il 22 maggio) ho scelto il capitolo 6

    Messaggio  Giovanna Di Francesco Lun Mag 14, 2012 3:35 pm

    io ho scelto di parlare del capitolo 6, perchè l'ho trovato molto interessante,ma soprattutto molto vicino a concetti che abbiamo affrontato durante il corso;come il ruolo degli insegnanti, educatori, della scuola, le difficoltà che un disabile incontra(barriere architettoniche), o anche i problemi che ha nell'integrarsi , quindi questo bisogno di INCLUSIONE.
    L’inclusione, dal punto di vista internazionale, viene visto come una riforma, un modo, per introdurre “la diversità” nella quotidianità, nella società. Tale inclusione , può avvenire con l’educazione, che rappresenta un fattore importante per lo sviluppo personale e sociale.
    L’educazione inclusiva è un processo che porta alla trasformazione di scuole e centri di apprendimento, per andare incontro alle esigenze di tutti i bambini, studenti con minoranze etniche, linguistiche , o con disabilità. Mira ad eliminare l’esclusione, che è una conseguenza di atteggiamenti negativi. L’educazione si manifesta in vari contesti, sia formali che informali, quella inclusiva viene utilizzata, principalmente, per dare un equità sociale. Essa rafforza il sistema educativo e viene considerata una strategia per assicurare un educazione a tutti.
    L’inclusione, non è altro che un processo che risponde ai bisogni dei bambini, giovani, adulti con diversità, attraverso la “PARTECIPAZIONE” nell’apprendimento, nella comunità, aiutandoli, quindi, nel superamento delle barriere architettoniche; le quali sono molto evidenti, e difficili da superare; come abbiamo visto durante le simulazioni fatte in aula. Queste barriere possono essere ridotte attraverso la collaborazione tra: politici, personale scolastico, effettuando delle analisi locali, mobilizzando l’opinione pubblica.
    A supportare l’inclusione, vi sono alcune risorse come: gli insegnanti, i genitori(le famiglie), la comunità, gli istituti di formazione, ecc…
    L’apprendimento comincia prima che il bambino vada a scuola;ed è importante, quindi, porre l’attenzione sulla costruzione di “ scuole inclusive”, che hanno il compito di coinvolgere e assicurare, contemporaneamente,l’ appartenenza ad ogni bambino. La costruzione di tale scuola nasce dalla necessità di portare ad una visione condivisa, e di coinvolgere e rendere potenti gli insegnanti. La scuola dovrà offrire la possibilità e l’opportunità di utilizzare metodi di lavoro idonei , per assicurare che nessun bambino venga escluso dalla socializzazione e partecipazione. Una figura molto importante è quella dell’INSEGNANTE, e gli AMBIENTI DI APPRENDIMENTO. Gli insegnanti dovrebbero lavorare attivamente per il raggiungimento degli obiettivi, dovrebbero avere ben chiari i principi fondamentali per insegnare nell’educazione inclusiva, e dovrebbero individuare gli studenti che hanno bisogno di un educazione speciale. Inoltre, devono essere sicuri che ciascun bambino comprenda le istruzioni; devono essere incoraggiati a discutere l’apprendimento e l’insegnamento; insomma devono sviluppare atteggiamenti positivi che dipendono dalla loro esperienza con i bambini. Poiché gli atteggiamenti negativi rappresentano , le cosi dette, barriere dell’inclusione.
    Creare un ottimo ambiente di apprendimento è essenziale, perché aiuta i bambini ad apprendere e raggiungere il loro potenziale. Le scuole dovrebbero fornire ai bambini la giusta conoscenza e le potenzialità per non cadere nello sfruttamento.
    Importante, è il rapporto tra docente-classe; dove il docente ha la sensibilità e la capacità di instaurare relazioni significative tra gli alunni. Oltre agli insegnanti , ad avere un ruolo significativo nell’istruzione e nell’inclusione del bambino, c’è la FAMIGLIA. Il sogno di ogni genitore è quello di assicurare al proprio figlio un’indipendenza, di vedere il raggiungimento dei propri obiettivi. Ciò vale anche per i genitori con figli disabili, dove le esigenze sono simili, anzi, loro mirano all’ integrazione del proprio figlio nella vita sociale, nel mondo del lavoro. Coinvolgere i genitori nella scuola rappresenta un qualcosa di importante, perchè porta a creare relazioni positive tra casa-scuola. Tutti i genitori hanno il diritto di avere informazioni sul lavoro del proprio figlio, sui suoi progressi o difficoltà. La loro presenza a scuola può aiutare il bambino nell’apprendimento.
    Negli ultimi anni, aumenta sempre più, l’idea di inserire il “capability approach” nell’educazione.
    L’approccio della capabilità , considera l’educazione come un qualcosa unita, connessa alla libertà umana. Tale libertà può essere espressa in :
    “Capabilities umane” e/o “funzionamenti”. Un ruolo fondamentale nella capabilities lo ha l’educazione.
    Sotto il termine espansione possiamo distinguere due tipi di capabilities: uno riguarda la capacità o l’abilità del bambino , l’altra le opportunità che il bambino ha.
    Il modello della Capability riguarda il come il bambino interagisce con l’ambiente scolastico, è come esso sia costruito.
    A sostenere lo sviluppo inclusivo della scuola vi è l’index. L’index per l’inclusione, è un documento che aiuta ad individuare i vari passi da seguire per l’inclusine scolastica.
    Il termine “inclusione” è spesso associato ad alunni che presentano problemi fisici o mentali, o che abbiano Bisogni Educativi Speciali. Nell’index , invece,l’inclusione si riferisce ,prettamente,all’educazione di tutti i bambini e ragazzi con Bisogni Educativi Speciali e con apprendimento normale.
    Offre, quindi, un percorso che esamina dettagliatamente il modo di superare gli ostacoli dell’apprendimento e della partecipazione di ogni alunno. Esso è un modo per migliorare l’ambiente scolastico sulla base dei valori inclusivi.
    L’index si compone di 4 elementi:
    • Concetti chiave, che aiutano la riflessione sullo sviluppo inclusivo della scuola.
    • Cornici di analisi:per organizzare la valutazione e lo sviluppo della scuola
    • Materiali ed analisi,come domande ed indicatori
    • Processo inclusivo
    L’index può assumere vari concetti chiave, tra questi , quello che più mi ha colpito è stato “sostegno alla diversità”. Il sostegno dell’index riguarda ogni attività che accresce la capacità da parte della scuola , di rispondere alla diversità degli alunni. Viene fornito sostegno quando gli insegnanti progettano il lavoro di classe avendo in mente tutti gli alunni, con diversi punti di partenza, con diverse esperienze.
    Il sostegno è parte dell’insegnamento , e tutto il gruppo insegnante vi è coinvolto.
    L'Index, quindi, offre materiali utili per consentire ad alunni, insegnanti, genitori, dirigenti, di progettare per la propria realtà scolastica un ambiente inclusivo in cui le diversità siano fonti per il miglioramento e il progresso della scuola. Concretamente gli indicatori dell'Index consentono un esame dettagliato della scuola, per superare gli ostacoli all'apprendimento e alla partecipazione, per favorire la realizzazione di ogni studente, e per creare comunità solidali.

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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Roberta Ingargiola Lun Mag 14, 2012 3:48 pm

    “La felicità è fatta di attimi che hanno il sapore dell’infinito”,essa è sempre stata oggetto di ricerche fin dall’antichità soprattutto in campo psicologico dove alcuni studiosi si sono impegnati molto nella sua ricerca attraverso lo studio delle emozioni positive per comprendere poi la sofferenza umana(positive psychology). Il concetto di felicità è molto opinabile lo si confonde per lo più con la gioia o il piacere,essa però non è uno stato duraturo ma è legata soprattutto alla fortuna come ci ricordano gli antichi filosofi da Platone ad Aristotele.Pertanto essere felici non sempre costituisce uno stato assoluto,essa è connessa al compimento dell’intera vita e non con il piacere che si prova nell’attimo fuggente. La psicologa Carol Ryff sostiene che la felicità non è tutto e che la struttura sottostante al benessere è molto più complessa di quanto la letteratura esistente ce la faccia apparire. Il benessere si presenta come un processo multidimensionale e dinamico che comprende vari e molteplici aspetti; il modello della Ryff, recentemente introdotto al pubblico italiano, è stato utilizzato per creare un questionario auto valutativo (Psychological Well- Being, PWB) in grado di misurare le sei dimensioni del benessere proposte dall’autrice: auto accettazione, relazioni interpersonali positive, autonomia, controllo ambientale, crescita personale e scopo della vita. Un’altra strada verso la felicità è quella di individuare talenti personali e forze,come affermano Peterson e Seligman che hanno condotto una rassegna di religioni, culture e filosofie per proporre una serie di virtù e forze come il giudizio e la conoscenza,la speranza e la spiritualità. La buona vita consiste nell’usare le proprie forze in modo proficuo nel lavoro, nelle relazioni e nel tempo libero, la vita significativa aggiunge un’altra componente, usare le proprie forze al servizio di qualcosa di più grande,trovare significato e scopo nella vita. L’obiettivo prioritario nel campo dell’educazione è quello di favorire l’adozione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita per essere in grado di gestire le proprie scelte e di adottare comportamenti consapevoli nella direzione della propria felicità. Nella metà del 1800 un medico francese Edouard Seguin promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati per assumere il loro giusto ruolo nella società ma con la constatazione che gli studenti non venivano curati,le scuole divennero meno educative e più affidatarie,invece di favorire il ritorno in società,le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane da una società meno indulgente e accettante. Ecco allora che in questa direzione si cerca di promuovere il benessere delle persone disabili considerandolo una dimensione strettamente determinata dalla capacità di autonomia,l’aspetto relazionale risulta strategico soprattutto in rapporto al modo con cui si guarda alla vita e ai rapporti che si costruiscono e si coltivano. Più che una condizione stabile il benessere rappresenta una costruzione variabile fatta di modificazioni in una costante tensione al cambiamento e al riadattamento esistenziale. Oggi la ricerca si sta spostando anche sull’analisi del concetto di ben-essere e felicità per le persone con vari tipi di disabilità con l’obiettivo di promuovere capacità di condurre una “buona vita”, vivere vite stimolanti e soddisfacenti e coltivare ciò che è meglio per se stessi. La qualità della vita comprende le esperienze di vita esterne e oggettive vissute dalle persone con disabilità in molteplici domini, come pure i loro livelli soggettivi di soddisfazione con quelle esperienze,tra le varie dimensioni il ben-essere emozionale sembra quello più vicino alla felicità. Nel 1996 Edgerton ha seguito adulti con ritardo mentale per 30 anni e ha trovato che i fattori ambientali hanno poco a che vedere con la felicità complessiva,egli ha suggerito che migliorare i fattori interni e esterni della qualità della vita può non essere necessariamente condurre uno stato durevole di felicità nelle persone con disabilità ritenendo,inoltre,che la felicità è dovuta all’interazione di entrambi i fattori e che quindi la considerazione solo degli aspetti esterni,non porta al reale sentimento di ben-essere della persona. Per ovvie ragioni, i ricercatori si sono focalizzati sull’alleviare i problemi in persone con disabilità e non nel promuovere stati positivi,hanno studiato i modi di identificare e migliorare i comportamenti negativi e i sintomi;tuttavia queste analisi necessitano di essere condotte insieme all’indagine ben-essere delle persone con ritardo mentale e come essi possano provare sentimenti di speranza,gratitudine e felicità. Forse la promozione di questi stati positivi,come pure l’attenuazione dei sintomi negativi,potrebbe portare le persone con disabilità ad affrontare con maggiore consapevolezza situazioni della vita di ogni giorno. Anche la pedagogia si è interessata al ben-essere dei disabili e alla loro qualità della vita,la prof.ssa Iavarone,soprattutto, si è focalizzata sull’importanza del diritto all’istruzione e all’educazione dei soggetti disabili,tenendo conto non solo della salute ma anche dello sviluppo fisico e psicosociale. La convinzione che imparare a stare bene possa essere insegnato viene perseguita attraverso la formazione dei diversi professionisti che gestiscono il sostegno,la cura e l’aiuto necessario per tutti.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty che cos'è la felicità?

    Messaggio  giusy armida Lun Mag 14, 2012 4:14 pm


    L'etimologia fa derivare felicità da: felicitas, felix-icis, "felice", la cui radice "fe-" significa abbondanza, ricchezza, prosperità.
    il significato vero di tale parola è diverso a seconda del tempo e del luogo in cui essa è usata : con i filosofi come Socrate, Platone, Aristotele la felicità coincideva con l'etica, la virtù e con la libertà individuale.
    Successivamente inizia a delineare quel bagaglio di emozioni, sensazione come la gioia o il piacere; qualcosa di immediato e transitorio, qualcosa che Nettle chiamerà :felicità di primo livello!
    Esiste poi un altro tipo di felicità,quella di secondo livello, rappresentata da un giudizio dei propri istinti dal quale trarre insegnamento e trovare gratificazione, soddisfazione..
    In ultimo,Carol Ryff definisce un sistema che comprende elementi di crescita personale, finalità e padronanza,la felicità di terzo livello!
    Oltre alla felicità esiste LA SALUTE, definita dall'OMS come una condizione di benessere fisico, psicologico, sociale.
    Essa è specificata attraverso concetti di :funzionamento e capabilities, il primo è caratteristica fondamentale del benessere, il secondo l'insieme delle funzioni di cui la persona dispone potenzialmente dall'ambiente.
    Il ben-essere è un canale di accesso alla felicità, considera le soddisfazioni esigenze che variano a seconda della cultura di riferimento.
    La contingenza del mondo porta, spesso, alla non realizzazione delle nostre aspettative; sapersi adattare alla realtà, trovando un "equilibrio dinamico", porta ad un processo chiamato controllo omeostatico!
    ...ma, per i disabili cosa cambia? cos'è per loro la felicità?
    con il termine "diversamente abili" è partita una battaglia, che troverà sicuramente vittoria, la quale promuove una politica di cambiamento verso un'integrazione attiva dei soggetti rientranti in codesta categoria.Il termine "pietà" è sostituito con "benessere", la felicità è anche per loro frutto di un compromesso tra l'interiorità e la realtà circostante.
    E' importante, di conseguenza, garantire loro pieni diritti e totale partecipazione non solo ai rapporti sociali, ma anche al senso di cittadinanza che regna in ognuno di noi.
    Lo studio della felicità volge lo sguardo anche alle famiglie di persone disabili; è sperimentato che un atteggiamento negativo verso i propri figli influenzerà non direttamente, ma porterà ad un alto stress famigliare, il quale a sua volta causerà un malessere generale, soprattutto nell'animo del disabile..la soluzione è promuovere una visione di positività, dalla quale trarre validi insegnamenti su ciò che ogni genitore può apprendere guardando anche un piccolo gesto del proprio figliolo.
    Molti sono stati i laboratori che ci hanno fatto riflettere sul concetto di felicità!..azzardo dicendo che, forse, in tutti c'è nè un briciolo,non intesa come piacere immediato, ma come amore verso la vita.. A partire dalla Atzori, fino a Pistorius..esempi di resilienza che ci portano ad apprezzare le piccole cose e ricavare la felicità proprio da esse.
    A riconferma di tutto ciò è stata la magnifica signora Tina, l'ospite SPECIALE della terzultima lezione di questo corso.
    Il suo è stato un racconto vivido, crudo, dolce, spontaneo, coraggioso..la frase che più mi ha colpito è stata la seguente:AMATE LA VITA, OGNI PICCOLO SUO ATTIMO, NON ABBIATE FRETTA, PERDERETE IL FASCINO DI TANTE MERAVIGLIE DEL MONDO..COME GUARDARE UN APE CHE SUCCHIA IL SUO NETTARE DAI FIORI, CAPIRE COSA STANNO CERCANDO DI DIRVI GLI UCCELLINI, ASCOLTARE CIO' CHE IL VENTO VI SUSSURRA.
    Vorrei concludere proprio così, perchè alla fine credo che la felicità si fonda perfettamente con ognuna di queste parole..
    Diana Autiello
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Diana Autiello Lun Mag 14, 2012 4:21 pm

    1) La "Felicità" in quanto soddisfazione per la propria vita rappresenta l'aspetto soggettivo più importante e significativo della qualità della vita. È caratterizzata da una dimensione emotiva e da una cognitiva ed è connessa ai fattori oggettivi della qualità della vita, fra i quali importante appare il livello di salute. Malgrado una relativa stabilità, la felicità può essere modificata in particolari periodi della vita come nella fase dello sviluppo, in quella dell'invecchiamento e nel corso di malattie croniche e invalidanti. Una società che si preoccupa della qualità della vita dei suoi cittadini è attenta pure a tutelare i soggetti più deboli ed emarginati, come i disabili, rispettando e garantendo un adeguato livello di libertà, giustizia e democrazia. Inoltre le persone con handicap mentale possono essere felici e dare felicità agli altri. I disabili mentali sono felici quando sono circondati dall’amicizia, dalla stima, dalla solidarietà. L’handicap non è una condanna, né una condizione di per sé triste ed infelice. L’infelicità dei disabili dipende spesso dall’essere esclusi ed isolati, dall’essere rifiutati dalla società. Vivere accanto ai disabili mentali è un arricchimento all’umanità. I disabili mentali, infatti, possiedono una comprensione di quello che nella vita è essenziale, essi possono dare un contributo prezioso alla nostra società ed essere artefici di un cambiamento di mentalità e di cultura assai importante. Essi mostrano che si può essere felici in ogni condizione della vita se si è circondati dalla famiglia, dall’amicizia e dall’amore. Il ruolo più importante è quello della famiglia, ancor di più quello della madre. La figura materna in letteratura è stata assimilata ad una madre che rimpiange la perdita del bambino perfetto e idealizzato, con un dolore che si riaccende ad ogni fase dello sviluppo del bambino. Alla nascita di un figlio sono connesse profonde aspettative di gratificazione personale e sociale. Quando invece al posto del bambino "sano e bello" nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma in un evento angosciante e luttuoso. Le madri passano anche attraverso stadi: shock, disorganizzazione emotiva, e poi riorganizzazione dopo che si adattano al trauma di avere un bambino con disabilità (Dykeus,2006). Quindi per il raggiungimento della “felicità” fra i fattori soggettivi, quello centrale e più generale può essere individuato nella soddisfazione per la propria vita in senso globale e nelle singole aree vitali come famiglia, lavoro, sport, amicizia, amore, salute. L'individuo prova soddisfazione o meno in relazione all'autovalutazione della propria realizzazione nel contesto del suo sistema di valori, in relazione al soddisfacimento delle proprie aspirazioni e in definitiva alla stima globale che ha di se stesso. Secondo Sartorius (1993) tuttavia, non vi è sempre unanimità nel definire la qualità della vita: alcuni pensano che essa sia un sinonimo della capacità di esercitare ruoli personali e sociali analoghi a quelli degli altri, qualcuno la valuta in base a indicatori oggettivi come la disponibilità di cibo, di casa, di lavoro o di diritti umani, per altri è solo la percezione del proprio benessere o, come egli sostiene, la percezione della propria posizione nella vita in relazione ai propri obiettivi e al proprio sistema di valori. Parole come buona salute, benessere, soddisfazione e felicità, egli dice, suonano spesso come sinonimi di qualità della vita. In definitiva, dunque, la "Felicità" o "soddisfazione della vita" o "benessere soggettivo", è uno stato psichico soggettivo emotivo e cognitivo ad un tempo, relativamente stabile e che caratterizza la qualità della vita; pertanto essere felici non sempre costituisce uno stato assoluto, ma include l'implicita comparazione con un'aspettativa o con ciò che altri possiedono. La felicità è infatti connessa al portare a compimento l'intera vita, non con il piacere che si prova nell'attimo fuggente.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Capitolo 1. Ben-essere nella disabilità

    Messaggio  Ornella Cangiano Lun Mag 14, 2012 4:27 pm

    La felicità è stata per centinaia di anni la base di ogni dibattito filosofico,religioso,educativo,ma solo recentemente le scienze sociali hanno iniziato a parlarne in modo sistematico. Oggi si cerca sempre di più ciò che può renderci felici,che sia qualcosa di materiale o una felicità morale e dunque interiore. Ma cos’è la felicità? Il concetto è ambiguo e sfuggente ma tanto presente da trovarsi in ogni cultura. Etimologicamente,felicità,vuol dire ricchezza,abbondanza. E’ un’emozione,uno stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri. Non riguarda solo le sensazioni,e quindi attimi di gioia,piuttosto riguarda i giudizi sul bilancio delle sensazioni. Per Aristotele la felicità era la conseguenza di un atteggiamento razionale che fosse in grado di distinguere il giusto mezzo tra opposti comportamenti estremi: così ad esempio può dirsi di possedere la virtù del coraggio chi si tiene nel mezzo tra gli estremi della viltà e della temerarietà. Dato che il giusto mezzo si identifica con la virtù anche per Aristotele la vita virtuosa porta alla felicità. Se la felicità comprende un insieme di elementi “semplici” quali la gioia ed il piacere,il benessere comprende un insieme più ampio di cui fanno parte:crescita personale,finalità,padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi,proprio come ha sostenuto la psicologa C.Ryff. Spesso i termini felicità e benessere vengono confusi tra loro,però, il benessere non implica sempre e necessariamente la felicità. Il benessere psicologico è un costrutto che include diverse dimensioni, sia psichiche, sia fisiche che sociali. Non si tratta di scoprire quale sia più importante, ma come operano sinergicamente. Il benessere è uno stato che coinvolge tutti gli aspetti dell'essere umano. Tornando per un attimo alla felicità,Seligman,il fondatore della Psicologia Positiva,propone una “formula della felicità”:H=S+C+V dove “H”(Happiness)è il livello permanente di felicità, “S”(Set Range) la sua quota fissa, “C” le circostanze della vita e “V” i fattori che dipendono dal nostro controllo volontario. Dobbiamo imparare a potenziare i nostri punti di forza e metterli in campo,giorno dopo giorno,nei territori di azione della nostra vita:la famiglia,il lavoro e le relazioni. Questa,secondo Seligman,è l’univa,vera,ricetta per la felicità. Certo è che la felicità è qualcosa di strettamente soggettivo e personale ma credo che tutti abbiano il diritto ad essere felici;anche se per qualcuno oggi la felicità è legata solo ed esclusivamente a cose materiali. Parlando di questo qui mi rifaccio ad un argomento che ho trattato di recente circa le protesi estetiche. La gente pur di apparire bella e perfetta,prova a prendere tutte le strade possibili,anche quelle sbagliate. L’apparire belli dà un senso di sicurezza e questa è legata alla felicità,per cui il bello e il perfetto sono modelli a cui si rifà la nostra società fatta soprattutto di non-valori. Si dovrebbe arrivare a considerare il benessere non come uno stato individuale,ma come un progetto dinamico da condividere con gli altri,soprattutto con le persone più bisognose come i disabili. Sono tanti oggi i progetti messi in atto per queste persone:le case domotiche,gli ausili tecnologici,associazioni create apposta per loro... Ma non basta. Non basta solo prendersi cura di loro e risolvere i problemi:ciò rischierebbe di mettere il soggetto in ulteriore difficoltà consegnandogli sempre più un’immagine di inadeguatezza e debolezza. Si dovrebbe cercare di trattare i disabili come soggetti normali,perché lo sono. Si dovrebbe dare forma e nome ai loro desideri far in modo di perseguirli. Abbattere le barriere architettoniche che sono l’ennesimo ostacolo di una vita già troppo limitata. All’inizio ci siamo chiesti cos’è la felicità? Provate un istante a pensare”qual è l’ultima volta che siamo stati davvero felici?”E non intendo dire quando ci si diverte per una battuta con gli amici o per una risata, la felicità che intendo è quel guardare sereno la propria vita e sentire che non manca nulla. La nostra cultura ci fa scambiare la felicità con il divertimento e con le piccole gioie che derivano dal possesso o dall’essere apprezzati dagli altri.
    Quando diventiamo adulti abbandoniamo quelle che definiamo illusioni giovanili e diciamo: non si può esser sempre felici, nella vita ci sono anche sofferenze, delusioni e i sogni spesso che non si realizzano e ci sembra di dire una cosa sensata. Ma se invece provassimo a chiedere alle persone con disabilità che cos’è necessario per vivere una vita felice e soddisfacente?Le risposte sicuramente comprenderebbero:Il benessere emozionale,le relazioni interpersonali,il benessere materiale,il benessere fisico,l’inclusione sociale e i diritti. Esattamente ciò di cui si parlava prima ovvero rendere queste persone normali in tutto e per tutto,non farle sentire diverse. E qui,per concludere,mi riallaccio ad un altro tema trattato di recente circa il termine “diverso”: Spesso si dice lui/lei è diverso/a…..ma diverso da chi?Diverso da cosa?Ogni persona è unica,e questa unicità la rende speciale non diversa. Personalmente credo sia più difficile abituarsi alla diversità dei normali che alla diversità dei diversi. Si pensi ad un disabile:è LUI ad adattarsi a questo mondo NON omologato al il suo problema,è LUI che si adatta,che comprende,che riesce. E questo può considerarsi DIVERSO???? Bè secondo il mio modesto parere può solo definirsi una persona UNICA e SPECIALE.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  ASCIONE ANNARITA Lun Mag 14, 2012 6:02 pm

    Il tema della felicità appassiona da sempre l'umanità: scrittori, poeti, filosofi, persone comuni, ognuno prova a pensare, descrivere, cercare questo stato di grazia. Per tentare di definire questa condizione alcuni studiosi hanno posto l'accento sulla componente emozionale , come il sentirsi di buon umore, altri sottolineano l'aspetto cognitivo e riflessivo , come il considerarsi soddisfatti della propria vita. Secondo Argyle, il maggiore studioso di questa emozione, la felicità è rappresentata da un senso generale di appagamento complessivo che può essere scomposto in termini di appagamento in aree specifiche quali ad esempio il matrimonio, il lavoro, il tempo libero, i rapporti sociali, l'autorealizzazione e la salute. Per Epicuro solo la saggezza è quella virtù che ci insegna come vivere felici e all'insegna di una vita ragionevole, specchiata e giusta. Seneca invece pensava che è felice solo chi si accontenta della sua situazione e di quello che possiede. Mentre Sant'Agostino giunge alla conclusione che la felicità è essere nelle grazie di Dio ed essere un tutt'uno con Lui.
    La felicità – recita il vocabolario della lingua italiana - è lo stato di chi è felice, di chi ritiene soddisfatto ogni suo desiderio; gioia, soddisfazione completa: cercare, raggiungere la felicità, vivere dei momenti di felicità: viene descritta insomma come contentezza, tranquillità, piacere, divertimento. Quest’ultimo è il senso più immediato e diretto (I Livello). Risulta anche direttamente proporzionale al numero e all'intensità delle emozioni positive che la persona sperimenta sottraendo quelle negative e comprendendo anche processi cognitivi più complessi: questo è il senso in cui viene intensa come appagamento e soddisfazione e viene definita come “felicità di II Livello”. Infine vi è il III livello in cui la felicità assume l’aspetto più esteso e elevato in termini dell’ideale aristotelico del vivere bene: l’eudaimonia, ossia una vita in cui la persona realizza il massimo delle proprie potenzialità.
    Ma cos'è realmente la felicità? Nessuno ha mai trovato una risposta che possa andare bene per tutti, forse proprio perché la felicità è individuale, risiede nell'animo di ogni essere vivente in modo diverso: se lo chiedessi al mio cagnolino mi risponderebbe, scodinzolando la coda, una ciotola stracolma di croccantini; se lo chiedessi ad un carcerato mi risponderebbe la libertà; per un bimbo ricco è il gioco più tecnologico del momento, per un bimbo del Terzo Mondo è un piatto caldo per potersi sfamare.
    Le teorie contemporanee sulla felicità includono la teoria eudonica e la teoria eudamonica, teorie sviluppate dal movimento della psicologia positiva: la prima la ricava dalla massimizzazione dei piaceri e dalla minimizzazione del dolore mentre la seconda dall’attuazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del proprio vero sé.
    Per molti la felicità è soprattutto stare bene in salute: sono tanti che mettono al primo posto tra le priorità di una vita felice la necessità di un corpo sano, del ben-essere totale e soggettivo facendosi fautori dell’antico detto “la salute è la prima cosa!”.
    Spesso i termini felicità e ben-essere sono stati usati come sinonimi con il secondo che rappresenta il termine più scientifico dei due: il benessere è stato definito come vivere bene, dal punto di vista psicologico, spirituale e fisico. La perseveranza, autogestione, l’ottimismo contribuiscono al ben-essere a livello individuale mentre il senso di appartenenza, il supporto sociale, l’armonia contribuiscono a livello contestuale. Il benessere considera la soddisfazione delle proprie esigenze; gli esseri umani cercano continuamente di attribuire un significato agli eventi, agli stati interni, alle intenzioni sociali e tendono alla complessità. L’individuo nasce con un corredo genetico e quello culturale viene amplificato attraverso la conquista di informazioni all’ambiente esterno: il benessere di un individuo dipende dunque dalla capacità di quest’ultimo di adattarsi a tutto ciò che lo circonda. Basandosi su queste linee e proponendo un’analisi che si concentra sul costrutto di qualità della vita e benessere, la professoressa Ghedin afferma che ognuno di noi ha la capacità di benessere e quindi di felicità: ognuno ha un suo modo di vedere, ascoltare, agire, ognuno è diverso dall’altro, ognuno ha il potenziale, la possibilità di decidere di essere ciò che vuole, di costruirsi e vivere il benessere.
    Se non è possibile esprimere il concetto di felicità in maniera precisa, univoca, valida per ciascun individuo non oso immaginare la difficoltà nel poter definire una scala di valori che riguardano questo stato di benessere: chi sarà mai il più felice del mondo? Io sono davvero felice? Solo chi vive nel ben-essere è realmente felice? I ricchi sono gli unici felici? Di che cosa necessitano le persone per vivere una vita felice? Risultano queste delle questioni di notevole complessità che richiedono un’analisi profonda in diversi domini della vita da parte di colui che risponde rispetto alle questioni collegate all’affetto momentaneo.
    Spostando poi l’attenzione verso le persone che vivono una condizione di disabilità c’è da chiedersi se sono capaci di ben-essere? È possibile che provino per la loro vita sentimenti quali felicità, gioia e ottimismo? È possibile, e se sì, in che modo promuovere il ben-essere anche per chi si trova in difficoltà? È importante quindi focalizzare l’attenzione sull’eventuale intreccio possibile felicità-disabilità. Sempre più negli ultimi anni si assiste ad uno spostamento di direzione dall’attenzione sugli indicatori negativi (mal-essere) agli indicatori positivi (ben-essere) della condizione di una persona. È in questa cornice che l’incontro tra la promozione del ben-essere e i processi educativi assume esplicito riconoscimento: il ben-essere non è più un concetto secondario ma diviene un contenuto essenziale degli stessi processi educativi. Il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale autarchica, quanto all’insieme delle capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano.
    Ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri della comunità e soprattutto per i cosiddetti gruppi svantaggiati: persone con disabilità, anziani, persone in condizioni di disagio psicosociale, immigrati, minoranze. Più che una condizione stabile il ben-essere rappresenta una costruzione variabile fatta di tappe intermedie e di modificazioni in una costante tensione al cambiamento e al riadattamento esistenziale. In tale ottica, anche gli avvenimenti negativi e le circostanze perturbanti vanno accolte cercando di enucleare l'aspetto positivo che ciascun evento reca in se stesso, se non altro dal punto di vista dell'interpretazione e della modificazione. Ecco allora che in questa direzione si cerca di promuovere il ben-essere delle persone disabili, considerandolo una dimensione strettamente determinata dalla capacità di autonomia. Sotto questa direzione lavora la domotica, una scienza che studia particolari sistemi tecnologici, ausili computerizzati che si sono rivelati l'unica soluzione per quei disabili, che vivono in condizioni molto gravi, che vogliono riappropriarsi della loro autonomia, diventando un’arma indispensabile. Di passo ancora più veloce si muove l’ingegneria biomedica con lo sviluppo di protesi sempre più sofisticate che riescono a soddisfare in pieno le esigenze di chi deve utilizzarle a sostituire al meglio le funzione degli arti.
    La dimensione relazionale risulta strategica nella determinazione dello stato di ben-essere di una persona soprattutto in rapporto al modo con cui si guarda alla vita e ai rapporti che si costruiscono e si coltivano. L’obiettivo non è solo e unicamente quello di far sì che le persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi ma e soprattutto, possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. Alla luce di recenti ricerche e riflessione, la professoressa Ghedin, mette in risalto come il benessere, per tutti, non possa prescindere da sentimenti ed esperienze positive di coinvolgimento e implicazione sociale. L’inclusione e l’integrazione, e la loro attenta valutazione, sono quindi irrinunciabili per garantire il benessere delle persone disabili. L’educazione attraverso il movimento rende possibili proprio “lo sviluppo di potenzialità individuali, l’incremento di capacità e l’acquisizione di abilità, l’integrazione in contesti di via ricchi di relazioni significative”, orientandosi proprio nella direzione della promozione del benessere soggettivo e sociale della persona disabile.
    Purtroppo, l’immagine generale delle persone disabili è che esse abbiano una bassa qualità della vita, un basso stato di benessere e che sono poco felici. L’obiettivo politico dei governi è quello di normalizzare la vita di queste persone: un esempio particolare di tale politica è quello di rendergli massima la partecipazione nella società. Ma in questo modo saranno davvero felici queste persone? Tuttavia nella nostra società il diritto a star bene sta diventando qualcosa di più legittimo ed esso può essere esercitato quanto più le persone vengono aiutate a far leva sulle proprie potenzialità. Fautore di questo concetto è il prof. Iavarone, sostenendo che imparare a stare bene possa essere insegnato: la pedagogia infatti risulta essere un metodo essenziale per tale scopo, infatti ha a cuore il benessere e la qualità della vita dell’individuo dal momento che si occupa della sua educazione,tutela la sua salute e il suo sviluppo sia fisico che psicosociale.

    Annarita


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