Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    mariangela manna


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    Messaggio  mariangela manna Lun Mag 21, 2012 10:19 am

    La prima classificazione elaborata dall’ organizzazione mondiale della sanità (oms) è stata la classificazione internazionale delle malattie o ICD del 1970 che vuole cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche.Questa classificazione pone l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattina,le diagnosi sono tradotte in codici numerici che favoriscono la memorizzazione,la ricerca e l’analisi dei dati.Avvicina le disabilità alle patologie cliniche,facendo dell’elenco una sorta di enciclopedia medica.Nel 1980 L’OMS ha elaborato L’ICIDH nel tentativo di capire meglio cosa fare e come classificare la disabilità.Questa nuova classificazione si base su tre fattori:
    _Menomazione qualsiasi perdita o anormalità nella funzione psicologica,fisiologica o anatomica che possono essere transitorie o permanenti.La menomazione è infatti un danno organico di un settore specifico, è una disfunzione che comporta una mancanza o un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo. Essa può essere temporanea, accidentale(ossia può avvenire a seguito di un incidente), degenerativa(ossia può portare alla disabilità)

    _Disabilità è conseguente alla menomazione e consiste nell’incapacità di svolgere determinate funzioni nel modo ritenuto “normale” per un individuo.
    _Handicap è la difficoltà che la persona con disabiltà affronta nel confronto esistenziale con gli altri,il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o di capacità.Spesso nel linguaggio comune questi termini vengono confusi tra di loro,spesso deficit (difetto organico) ed handicap vengono assimilati l’uno all’altro,questo porta due gravi conseguenze:
    considerare l’handicap come un problema solo di chi ha qualche deficit
    pensare che coloro che sono afflitti da qualche deficit non siano uomini come tutti gli altri.
    Nel 2001 l’OMS ha proposto una terza classificazione ossia l’ICF (classificazione internazionale del funzionamento,della disabilità e della salute).
    Secondo l’ICF si vuole descrivere non la persona,ma le loro situazioni di vita quotidiana in rapporto al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona che ha malattie e disabilità,ma evidenziare l’unicita e la globalità.
    La classificazione ICF, tramite l’analisi delle varie componenti che la caratterizzano ,evidenzia l’importanza di avvicinarsi alla disabilità facendo riferimento ai molteplici aspetti che la denotano come esperienza umana universale,che tutti possono vivere nell’arco della loro esistenza.La disabilità nn è solo deficit,mancanza,ma è una condizione che và oltre la limitazione,che supera le barriere mentali ed architettoniche.Ciò lo abbiamo anche notato nel laboratorio sulle barriere architettoniche, dove è stato possibile far emergere gli ostacoli che un disabile incontra durante l’arco della propria giornata.
    E molto utile fare una riflessione sulle parole disabile e diverso,poiché spesso la disabilità viene confusa con la diversità
    La persona disabile è impossibilitata a svolgere le normali attività di vita quotidiana ,è affetta da disfunzioni motorie o cognitive e i disagi sociali che incontra finiscono spesso per influenzare anche la sua sfera psicologica soprattutto a causa delle etichette che gli vengono attribuite.Vygotskij rende tutto più semplice affermando che il disabile è una persona con una propria identità,una propria connotazione e proprie caratteristiche allo stesso modo di chiunque altro.
    La diversità o meglio diversabilità sottolinea che la persona disabile oltre ad avere una disabilità possiede delle abilità diverse dagli altri,da scoprire,far emergere e potenziare.Il diverso può essere una persona non necessariamente affetta da una menomazione fisica o psichica ma si distingue per altre caratteristiche,un esempio:lo straniero,l’handicappato il genio.Il diverso di solito non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società. Un esempio significativo è stata la visione del fim indovinia chi viene a cena,che racconta in parte il tema della discriminazione razziale.Bisogna accoglierere il “diverso” come un individuo che costituisce una risorsa per arricchirci reciprocamente di nuove conoscenze e non come un individuo che rappresenta un ostacolo.
    TUTTI SONO DIVERSI,NON TUTTI SONO DISABILI.
    RICORDA SEMPRE CHE SEI UNICO,ESATTAMENTE COME TUTTI GLI ALTRI.

    2. Anna Maria Murdaca nel testo complessità della persona e disabilità affronta importanti questioni come quello dell’integrazione,la complessità e umanità della persona,la cura e la relazione educativa, l’ambiente il disabile come cittadino a pieno titolo,etc…la scrittrice si sofferma principalmente su:
    Ricostruzione di una nuova cultura della disabilità,
    Rimodulazione del termine integrazione
    Ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità.
    Murdaca sostiene che bisogna dirigersi verso l’inclusione adottando l’ottica della globalità.Il contesto sociale influenza fortemente la condizione di disabilità e di handicap,sono le barriere fisiche sia mentali che culturali a favorire il processo di esclusione o di emarginazione .
    Murdaca mira alla valorizzazione della persona.l’integrazione e un processo continuo non un punto di arrivo.NONSI DOVREBBE DEFINIRE NESSUNO PER SOTTRAZZIONE piochè si tratta di persone e devono essere valutate per le loro capacità poichè il disabile è un uomo.l’idea e quella di una società con spazi di formazione per disabili avendo cosi loro,indipendenza ed emancipazione.
    E importante stabilire una relazione educativa intesa come qualsiasi relazione che si intraprende da due persone.La prima relazione che si crea e quella con la madre,un rapporto in cui si da e si riceve e non necessariamente l’educando deve essere il bambino .La seconda relazione avviene con il docente che insieme alla classe per certi versi rappresenta una grande famiglia.Ogni relazione costituisce una crescita,formazione,scambio di emozioni e sensazioni, accoglienza ,ascolto e accettazione in ogni ambito, nell’amicizia,nei rapporti coniugali perché tutti possono insegnare e allo stesso modo tutti possono imparare.
    3.remary,lipovetky e braiotti si sono occupati emtrambi della trasformazione del corpo soprattutto di quella femminile. Nella rappresentazione della femminilità la bellezza è associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla. Diverse indagini hanno dimostrato che ale persone con un aspetto giudicato attraente vengono attribuite anche presunte virtu interiori come onestà, bontà, intelligenza.
    Remary nel testo il gentil sesso debole dice che siamo diretti e orientati verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza, belezza, salute. A questa forma di bellezza oggi si può accedere anche attraverso le protesti estetiche (chirurgiche) che modellano il proprio corpo a immagine e somiglianza di chi piu piace. Lipovesky ne la terza donna, passa da una donna, svalutata, sfruttata,demoralizzata ad una seconda donna definita icona che rappresenta l’ideale della bellezza,la Beatrice; per poi arrivare a una perza donna che racchiude in se le precedenti diventando indefinita. Da non intendere come qualcosa di negativo in quanto costituisce il fondamento dell’autodeterminazione. Braiotti nel testo madri mostri e macchine ci parla del corpo-macchine. Spiega come la donna sia capace di deformarsi durante la maternità allontanandosi dagli ideali di bellezza.il suo corpo viene visto come qualcosa di orribile agli occhi degli uomini, mostro e madre allo stesso tempo. Per cio la Braiotti suggerisce alle donne di incarnare ,oltre alla maternità e mostruosità, anche la macchina intesa come corpo tecnologico.
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    Messaggio  de cicco luisa Lun Mag 21, 2012 10:25 am

    PROVA INTERCORSO: PUNTO PRIMO
    Nel secondo dopo guerra l’ Onu, neonata organizzazione delle nazioni unite creò una agenzia specializzata nella sanità. Nel corso degli anni quest’ organizzazione chiamata OMS (organizzazione mondiale della Sanità) ha disciplinato quelle che sono le direttive mondiali su patologie, medicinali e allerte. L’ OMS ha classificato anche quello che sono le terminologie e i settori dell’ ambito sanitario. Le due classificazioni su cui ci soffermeremo, essendo studenti del corso di Pedagogia della Disabilità, sono la ICD ovvero la classificazione Internazionale delle malattie e il successivo manuale ICF, ovvero la classificazione Internazionale del funzionamento, disabilità e salute. L’ ICD fu introdotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1970, tale classificazione ha subito via via delle modifiche dovute alle varie scoperte di patologie nuove. L’ICF è una ulteriore classificazione, dove l’OMS ha inserito solo tutte le componenti che caratterizzano i processi di funzionamento e disabilità. Quest’ultima classificazione è stata approvata dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità dopo non poche modifiche rispetto al “disegno” iniziale, infatti la prima bozza fu proposta durante l’anno 1992 mentre invece l’approvazione definitiva si è avuta soltanto durante la 54°assemblea Mondiale il 22 maggio 2001. L’ICF stravolge alcuni concetti fondamentali che erano inseriti nell’ICD come ad esempio il concetto di Disabilità, infatti, in questo nuovo manuale non viene intesa più come una condizione soggettiva o come una caratteristica propria della persona, ma come una misura delle attività e delle prestazioni che l’ambiente esterno consente di espletare. Modifiche radicali si possono evincere anche nelle terminologie usate, ad esempio, alcune parole ricorrenti nella vecchia classificazione come Menomazione, disabilità oppure handicap vengono sostituite da parole come funzioni, strutture corporee e attività e partecipazione. Tutto ciò proprio per far risaltare l’importanza del soggetto e delle sue capacità e possibilità di coinvolgimento nella vita sociale. L’ICF, attualmente, rappresenta un ottimo strumento per gli operatori del campo medico e non solo, in quanto sono schematizzate tutte le sindromi e le caratteristiche della disabilità, un linguaggio internazionale che permette di interagire in tutto il mondo. La variazione di alcuni termini come quello di disabile è una delle modifiche più importanti che possiamo ritrovare, la parola Disabile infatti può essere definita in varii modi come ad esempio una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, oppure un individuo affetto da disfunzioni motorie, cognitive e psicologiche o anche una persona caratterizata dalla mancanza di una o più abilità. Leggendo la nozione, l’immaginazione ci porta a pensare ad una persona che non riesce a compiere una vita considerata “normale”. Così non è poiché il disabile cerca, pur avendo una menomazione, cerca di superarla proprio confrontandosi con persone normodotate. Grazie alla tecnologia e alle nuove frontiere della scienza, molte disabilità come la menomazione degli arti non sono considerate più come un problema insormontabile. Un esempio lampante può essere Oscar Pistorius. Questo personaggio, di cui ne abbiamo ampiamente parlato anche durante le lezioni, ha entrambe le gambe amputate e, proprio grazie alla tecnologia, grazie a speciali protesi in fibra di carbonio denominate Flex Foot, può svolgere quella che è stata sempre la sua passione, ovvero la corsa. Il problema, come ho argomentato anche nel commento alla lezione in cui abbiamo parlato di lui, è proprio quello di omologare una persona normodotata con una persona disabile. Infatti, il Comitato olimpico internazionale (CEO) ha vietato a Pistorius la partecipazione alle Olimpiadi, sostenendo che le protesi in fibra di carbonio, riuscirebbero addirittura a sviluppare una spinta maggiore rispetto alle gambe naturali. Io penso che, a patto che esista davvero questo vantaggio in termini di spinta, non avrebbe rilevanza giacchè andrebbe sponsorizzato, anche come esempio per le persone disabili che vedrebbero in lui la possibilità di sconfiggere qualsiasi barriera. La disabilità spesso viene confusa con la diversità, ma sono due termini profondamente carichi di molteplici significati. Il termine Diversabilità mette in risalto una persona che ha, oltre che una disabilità, anche delle abilità diverse dagli altri, da scoprire accuratamente, potenziare e far emergere e non da affossare. Proprio da questo significato, si preferisce usare i termini come Diversamente abili o diversabili rispetto a disabili.
    Il termine diversabile è più propositivo e positivo poiché mette in evidenza proprio l’essere diversamente abili di molte persone con deficit, proviene da un’idea storicamente necessaria. Lo scopo dell’uso di questa parola è proprio quello di far osservare le persone con un qualche deficit in una prospettiva diversa e nuova.
    Il sentimento di diversità si accompagna solitamente alla sensazione spiacevole di essere “Altro”, di non appartenere in pieno alla proprio gruppo, e, il termine diversamente abile, seppur abbia dei “difetti” apre le porte ad una speranza.


    PROVA INTERCORSO: PUNTO SECONDO
    Anna Maria Murdaca attraverso il testo “Complessità della persona con disabilità”, ha come obiettivo quello di ristrutturare e creare una nuova cultura della disabilità, tutto questo iniziando dai punti fondamentali come ad esempio la rimodulazione del termine integrazione, e focalizzandosi su quella che deve essere la comprensione delle reali condizioni della vita e il ruolo che possono effettivamente assumere i soggetti disabili e i servizi che vengono messi a disposizione che possono aiutare il disabile a superare ogni difficoltà e esigenza. La creazione di una nuova cultura e approfondire la conoscenza della disabilità, non vista come una menomazione ma guardata sotto l’ottica del riconoscimento della persona in evoluzione e nella sua totalità e non notando sempre e unicamente quello che è l’handicap. Nel parlare di integrazione, infatti, non si fa riferimento più ad un'astratta normalità, ma, altresì, al valorizzare al meglio le caratteristiche proprie che, se sfruttate al meglio, possono abbattere le alte barriere culturali che, purtroppo, ancora oggi sono presenti.
    Lo scopo primario di questo cambiamento culturale, dovrebbe fondarsi nella visione che abbiamo delle persone disabili. Infatti non bisogna focalizzarsi su quello che una persona non riesce a fare, ma bensì per le caratteristiche intrinseche, le capacità e le potenzialità di quell’individuo. Questo sarebbe il primo passo per comprendere che disabilità esprime in primo luogo il concetto di persona.
    L'obiettivo è proprio la valorizzazione della persona umana, con il rispetto delle differenze e delle identità, cosa che molto spesso, nella nostra cultura che tende all’omologazione, viene sottovalutato.
    L’integrazione, invece, viene considerato come un processo che in continua evoluzione ,una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili, un processo che non vede mai un punto di arrivo ma ha sempre e costantemente dei nuovi sbocchi, che, non devono contenere solo demagogia ma devono essere messi in pratica e adottati nell’immediato.
    La “cura”, secondo Murdaca, è intesa come la progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti, che mira alla realizzazione dell'uomo per ciò che egli è e per ciò che può diventare. La cura non ha solo un significato materiale, ma è considerata anche come un atto di comprensione capace di ridare senso e significato alla personale esperienza della persona con handicap, un supporto a non sentirsi diverso ma a ricordarsi di sé e dell'unicità della sua storia e della sua vita, per accettarsi e convivere con la propria specialità.
    La vera novità che Anna Maria Murdaca introduce è che non bisogna mirare all'accudimento della persona disabile ma all'emancipazione del soggetto, creando una serie di attività per rendere significativa la presenza dei disabili attraverso quelle che lei “buone prassi” didattiche.
    La nuova cultura della disabilità deve essere attenta a cogliere tutte quelle che sono disfunzioni in ogni ambito per poi innalzare la qualità della vita dei soggetti.
    La costruzione dell'identità personale, deve avvenire in luoghi rassicuranti, capaci di sviluppare le potenzialità personali cercando i mezzi più idonei a valorizzare la differenza come risorsa. Un aspetto molto importante quindi lo assume la relazione educativa, poichè è uno spazio riparato e sicuro nel quale il disabile sperimenta con gli educatori, e con tutte le persone che istaurano con lui un rapporto collaborativo, una serie di situazioni, di emozioni e affettività che vengono elaborati, criticati e ricostruiti proprio grazie al supporto dell’ambiente che lo circonda.
    Bisogna creare, dunque, degli spazi, dei progetti e delle risorse per sollecitare il disabile a sviluppare l’indipendenza e l’emancipazione.
    In merito a questo argomento, durante il corso, grazie alla professoressa, riproducemmo setting che ci aiutò a comprendere l’importanza della relazione educativa.
    La relazione educativa non si instaura solo con un insegnante o con un educatore, ma si può istaurare anche con i genitori o con un amico, infatti tutti possono dare e ricevere esperienze ed emozioni.
    La relazione educativa, assume una notevole importanza visto che si basa sul concetto proprio di collaborazione, infatti non si può istaurare se tra i membri, non ci sia un reciproco rispetto e una propensione all’ascolto delle problematiche e una collaborazione che aiuti, insieme, parlando, stimolando e comprendendo, la persona con un disagio a superarlo. È lampante come quindi, come, oltre alle varie stimolazioni e attività, la parola e il dialogo hanno sempre un ruolo fondamentale nell’integrazione di questi soggetti. Molto spesso proprio perché non c’è dialogo, ragazzi o bambini con difficoltà familiari, si chiudono in se stessi o assumendo atteggiamenti aggressivi nei confronti dei loro coetanei, in realtà il problema di fondo è proprio la mancanza di un dialogo e di un affetto familiare, il bisogno di essere ascoltati, capiti e amati, infatti, è un elemento fondamentale e indispensabile.

    PROVA INTERCORSO: PUNTO TERZO
    La bellezza estetica, con il passare degli anni è diventato un elemento fondamentale, infatti, anche gli esempi che la nostra società ci impone fondano la loro forza proprio sulla bellezza esteriore, spesso, trascurando quello che ogni individuo possiede internamente.
    Remaury e Lipovetsky, nei loro testi, analizzano proprio questo concetto di bellezza estetica, sottolineando come, con il passare del tempo, essa sia diventata un obiettivo che ogni individuo, con quasi un po’ di presunzione, pretende di raggiungere poiché gli facilita l’accesso nella società.
    Ad esempio Remaury, nel suo libro “Gentil sesso debole”, sostiene che il miglioramento dell’aspetto fisico, fa parte di un bisogno neccessario, anche in virtù degli esempi imposti dalla società.
    Lipovetsky, inoltre, mette in evidenzia come l’eterna giovinezza, la salute totale e la perfezione estetica, siano diventate strade in un certo senso obbligate che i soggetti, in particolare il sesso femminile, devono percorrere, anche compiendo sacrifici, per raggiungere un corpo perfetto e la conseguente accettazione da parte della società, che sempre più mette in secondo piano quelle che sono le doti interne, le caratteristiche caratteriali ed emotive, a vantaggio della bellezza estetica.
    Rosi Braidotti, addirittura parla, riferendosi al legame tra la donna e la tecnologia, di corpo-macchina, riferendosi a come il corpo della donna, che incarna tutto la sua femminilità nel periodo della maternità, come si trasforma quasi in mostruosità diventando quasi una macchina. Nella società odierna si ricorre sempre più spesso alla chirurgia estetica proprio per raggiungere quella perfezione estetica. Infatti molto spesso una persona, grazie ad alcuni ritocchi come la rimozione delle rughe, l’aumento di una taglia il seno, l’eliminazione di qualche difetto del corpo, usano strumenti come la chirurgia, creme e prodotti vari riesce a sentirsi accettata dalla società e a diventare come quei modelli che la tv e i giornali sempre più ci propongono.
    L'apparenza, dunque, supera di gran lunga la sostanza.
    La chirurgia estetica, è giusto usarla, quando c’è un grave difetto e, grazie proprio a questo strumento, può essere rimosso e non per soddisfare un capriccio oppure per essere accettati dalla società, visto che, la società deve riuscire ad accettare una persone proprio per l’essere interiore e non per la maschera che riusciamo a indossare.
    Manuela Arienzo
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    Messaggio  Manuela Arienzo Lun Mag 21, 2012 10:30 am

    ESERCIZIO 1

    L’ OMS – organizzazione mondiale della sanità, nel 1970, ha elaborato la prima classificazione internazionale delle malattie o ICD con lo scopo di fornire, per ogni sindrome o disturbo, una descrizione delle principali caratteristiche cliniche, delle cause delle patologie e delle loro indicazioni diagnostiche. Tali diagnosi vengono tradotte in codici numerici per permettere la memorizzazione e per facilitare la ricerca e l’analisi dei dati. Questo sistema di classificazione è stato successivamente sostituito dall’ ICIDH (classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità ed handicap) con lo scopo di rimediare ad un problema di definizione infatti i termini menomazione, disabilità ed handicap vengono sostituiti dalle parole menomazione, abilità e partecipazione. Le informazioni date dalla diagnosi medica e da queste classificazioni sono importanti ma non sono sufficienti per avere il quadro generale della persona per questo nel 2001 l’ OMS ha pubblicato il manuale di classificazione ICF (classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute) che non classifica solo le malattie e le condizioni di salute, come avveniva in passato, ma analizza le conseguenze di queste condizioni di salute, prende in considerazione anche cosa quella persona è in grado di fare e in che cosa invece ha delle difficoltà e come questa persona convive con la sua condizione, inoltre analizza gli aspetti sociali e i contesti ambientali in cui vive la persona. Secondo l’ ICF, infatti, la disabilità è una condizione derivata da un contesto sfavorevole.
    La società quindi gioca un ruolo importante in questo ambito perché come sappiamo l’handicap non è il fattore soggettivo che la persona presenta, non è il deficit vero e proprio ma è un fattore che nasce nel momento in cui l’ambiente esterno pone il soggetto in una condizione di svantaggio, di conseguenza se da un lato la società può contribuire a migliorare le condizioni di vita di una persona disabile, riducendo o annullando del tutto il suo handicap, dall’altro può rendere queste condizioni ancora più sfavorevoli. Proprio in merito a questa riflessione abbiamo visionato alcuni filmati in aula che ci hanno fatto notare gli ostacoli e le barriere architettoniche che ogni giorno un disabile è costretto ad affrontare a causa di servizi che non funzionano o che sono inesistenti (pensiamo alle pedane per salire sui pullman o ai montascale per accedere ai binari dei treni) o a causa delle macchine che parcheggiano in posti sbagliati e che quindi rendono difficile o impossibile salire su un marciapiede. Questo laboratorio sulle barriere architettoniche ci ha aiutato a capire l’importanza del contesto sociale per queste persone e quanto la società potrebbe fare per essere d’aiuto e per evitare di rendere la vita di una persona diversamente abile ancora più difficoltosa.
    Non bisogna tener conto soltanto di questi aspetti pratici quando si ha a che fare con una persona diversamente abile ma anche dell’importanza delle parole, infatti come dice Canevaro “le parole sono importanti” e anche utilizzare termini inappropriati può in qualche modo aumentare l’handicap invece che ridurlo. E’ molto importante quindi conoscere l’esatto significato dei termini che si usano riflettendo in questo caso sulle parole disabile e diverso.
    Disabile è una persona impossibilitata a svolgere normali attività quotidiane, una persona affetta da disfunzioni motorie e/o cognitive, una persona a cui mancano o funzionano diversamente una o più abilità. Spesso nei confronti di queste persone ci dimostriamo impietositi e la loro condizione diventa un’etichetta.
    Il termine disabile è stato recentemente considerato, a mio parere giustamente, un termine dispregiativo perché mette in evidenza soltanto la mancanza di alcune competenze e non considera il fatto che queste persone possiedono anche delle abilità, pensiamo a Simona Atzori che come abbiamo visto non ha le braccia ma sa perfettamente usare le sue gambe e quindi è in grado di fare qualsiasi cosa oppure pensiamo a persona non vedente che come ci ha detto il prof. Palladino è in grado di sentire anche a grandi distanze.
    Per questo motivo è più appropriato usare il termine diversabilità che è un termine più propositivo che mette in risalto il fatto che si sta parlando di una persona che oltre ad avere una disabilità ha delle abilità diverse dagli altri.
    Il termine diverso va considerato rispetto alla domanda: Diverso da chi o da che cosa?
    Spesso si tende a concepire la diversità come “non normalità” ma il concetto di normalità è relativo e soggettivo quindi in che misura una persona si può definire normale?
    Non esiste una definizione comune e generale di questo concetto eppure siamo abituati a giudicare una persona “diversa” quando le sue caratteristiche non si adeguano alla norma.
    Il diverso non sceglie di esserlo ma è la società ad associargli questa etichetta sulla base di caratteristiche come la lingua, la religione o il colore della pelle.
    Come ho analizzato nel laboratorio della mappa degli stereotipi, molte persone tendono ad avere paura di chi è diverso, senza pensare che in realtà tutti siamo diversi e ognuno nella sua diversità è unico ed irripetibile ma spesso purtroppo da questo sentimento di paura conseguono meccanismi di esclusione, come abbiamo potuto vedere anche nella simulazione fatta in aula sull’emarginazione, il diverso tende ad essere isolato e allontanato anche senza una ragione anzi sempre senza una ragione perché non c’è nessun motivo valido per poter dire che una persona è diversa tanto da escluderla ed è proprio su questo che la simulazione mi ha fatto riflettere, infatti in aula abbiamo emarginato delle persone solo perché portavano gli occhiali, questo ci è servito per capire che purtroppo però accade molto spesso che una persona venga discriminata per un qualsiasi motivo inutile, a volte, purtroppo, con conseguenze tragiche (basta pensare all’olocausto). Un’altra cosa che mi aveva colpito molto, come ho anche detto nel mio commento è stata una frase detta da una ragazza, che in quella simulazione faceva parte del gruppo degli emarginati, questa ragazza disse che si era sentita impotente, questo succede perché le vittime dell’emarginazione il più delle volte interiorizzano questi sentimenti di inferiorità e di conseguenza tendono all’autosvalutazione e all’autoesclusione.

    ESERCIZIO 2

    Anche Anna Maria Murdaca, docente e autrice esperta in questioni relative alla persona con disabilità, sostiene che è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap e a favorire il processo di esclusione ed emarginazione e che quindi l’ambiente (dal contesto familiare, alla assistenza sociosanitaria, alla scuola) può essere una barriera o un facilitatore, infatti nel suo testo “Complessità della persona e disabilità”, analizza ed esamina temi quali integrazione, inserimento del disabile, ambiente, spazio ripartivo, cura e relazione educativa, mirando a ricostruire una nuova cultura della disabilità, a rimodulare il termine integrazione e a far comprendere le reali condizioni di vita dei soggetti disabili, quale ruolo possono assumere e quali servizi vengono erogati per le loro esigenze per fare in modo che i disabili siano cittadini a pieno titolo.
    Secondo Anna Maria Murdaca ricostruire una nuova cultura della disabilità vuol dire riconoscere il soggetto nella sua evoluzione, adottando quindi l’ottica della globalità con il fine di valorizzare la persona rispettando le differenze e l’identità di ognuno.
    E’ proprio adottando l’ottica della globalità che Murdaca intende rimodulare il termine integrazione perché bisogna considerare la persona nell’insieme senza scomporla in funzioni da curare separatamente con il rischio di perdere così la capacità di integrare. L’integrazione quindi deve essere un’azione di sviluppo, un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni e di strategie che non mirino soltanto all’accudimento ma soprattutto all’emancipazione del soggetto con disabilità.
    Questo deve avvenire in ambienti e contesti attendibili e sostenibili che consentino la crescita della persona e della sua indipendenza ed è qui che entra in gioco la relazione educativa, relazione educativa intesa come cura che si realizza in luoghi e strutture specializzate dove, come sostiene Murdaca, il disabile sperimenta con gli educatori e gli insegnanti una serie di situazioni e vissuti che vengono elaborati e che consentono agli operatori di progettare delle opportunità educative da offrire al disabile affinché egli stesso ripensi alle proprie capacità, eliminando blocchi e disagi e scoprendo le forze resilienti capaci di far superare le proprie difficoltà.
    Come scrissi anche in un mio intervento non sapevo cosa fosse la resilienza e sono stata felice di scoprirlo, questo laboratorio mi ha permesso di conoscere varie storie di soggetti con disabilità e mi ha colpito molto vedere che la resilienza è un elemento che tutti questi soggetti hanno in comune, la forza di affrontare le proprie disabilità e trasformarle in risorse, il coraggio di non arrendersi di fronte alle difficoltà quotidiane, tutte queste persone sono state per me un esempio e mi hanno fatto capire che da loro non si può fare altro che imparare.
    La relazione educativa può avvenire tra due o più persone. E’ un legame che si forma tra un docente e un discente, ma non solo, come ho scritto nel mio intervento ogni rapporto umano genera una relazione educativa, tutto quello che facciamo, ogni esperienza anche e soprattutto negativa può insegnare tanto a noi stessi e può essere di aiuto agli altri.
    La relazione educativa è contemporaneamente un prendere e un dare, insegnare ed apprendere e si estende in molti rapporti umani, che sia con un insegnante, con un familiare, con un amico, ogni rapporto è formativo.
    Ci sono diversi esempi di relazione educativa, probabilmente quello per noi più comune è tra l’insegnante e l’alunno, questo è un legame che produce apprendimento, è una relazione di incontro e scambio che non deve essere contrassegnata da una disparità di potere tra l’insegnante e l’alunno.
    Un‘altra relazione che ci interessa molto è quella tra educatore ed educando, in questo caso si tratta di un rapporto tra una persona “guida” ed una persona in difficoltà.
    In merito a questo tipo di relazione, in aula abbiamo potuto vedere, attraverso la simulazione di un setting, quanto a volte possa risultare complicato questo lavoro perché gli educatori si trovano spesso ad avere a che fare con persone in difficoltà come tossicodipendenti, alcolisti o carcerati, con persone che non riescono a fidarsi degli altri e quindi anche con persone che non riescono ad aprirsi, a parlare e a raccontare i propri problemi.
    Nella relazione con un educando, l’educatore deve cercare di capire chi ha di fronte, quali sono le sue difficoltà e le sue paure cercando di comprendere i suoi comportamenti e soprattutto bisogna che sia disponibile nell’ascolto perché a volte è proprio quello di cui queste persone hanno bisogno o ancora nella relazione educativa con un disabile ad esempio, l’educatore deve mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del soggetto, programmi mirati su un piano di pari opportunità con i normodotati, inoltre, cosa secondo me più importante di tutte quando si ha a che fare con un soggetto con disabilità, l’educatore deve riuscire a non mettere in luce le mancanze ma al contrario evidenziare e valorizzare le potenzialità e le capacità di queste persone.

    ESERCIZIO 3

    Durante questo corso abbiamo affrontato non solo il tema della disabilità ma anche della bellezza intesa come modello di perfezione da imitare ed emulare parlando in questo caso anche di protesi estetiche e di autori come Remaury, Lipovetsky e Braidotti.
    Vorrei iniziare con una citazione di Seneca “Nessuno che sia schiavo del corpo è libero”.
    Come ho analizzato nel mio intervento credo che sia difficile trovare un modello di bellezza universale che sia d’esempio e che si possa imitare anche perché purtroppo i modelli che oggi ci impone la società sono sempre più sbagliati come le modelle magrissime che costringono le ragazze a seguire diete ferree con il rischio di imbattersi in problemi molto seri come l’anoressia, il valore della donna semplice, sana e in carne di un tempo sembra essere scomparso.
    Tutti siamo diventati schiavi della perfezione, della bellezza e della giovinezza eterna, infatti come sostiene Remaury nel “Il gentil sesso debole” in nostro è un triplice obiettivo: giovinezza, bellezza e salute, soprattutto per la donna il miglioramento fisico ed estetico è l’adempimento dei suoi bisogni che a loro volta sono stati imposti dalla società.
    Lipovetsky in “la terza donna” sostiene che la donna nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti per cui è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo realizzato ossia la conquista di un corpo perfetto.
    “Tra i sogni che il denaro può comprare il miraggio di un corpo perfetto è ormai tra i più accessibili”. Come ho scritto in questo intervento, oggi è sempre più facile avere un corpo perfetto grazie ai passi in avanti della tecnologia anche in campo medico, questa è sicuramente una cosa importante nel campo della disabilità, ma la cosa preoccupante è il grande abuso che se ne fa anche quando non c’è né bisogno.
    L’autrice Braidotti invece in “ Madri mostri e macchine” parla del corpo femminile connesso però alla tecnologia. Analizza la figura della donna che è capace nella maternità di deformare il proprio corpo, corpo che viene visto nell’immaginario maschile come qualcosa di orribile, ecco che la donna diventa mostro e madre al contempo e propone alle donne quindi di incarnare oltre alla maternità e alla mostruosità anche la macchina.



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    Messaggio  Maria Aprea Lun Mag 21, 2012 10:32 am

    ESERCIZIO 1

    La prima classificazione elaborata nel 1970 dall’organizzazione mondiale della sanità (OMS) è stata l’ ICD ovvero “la classificazione internazionale delle malattie” che è anche considerata come una sorta di enciclopedia medica.
    Tale classificazione ha lo scopo d cogliere la causa delle patologie fornendo, per ognuna di queste, descrizioni delle caratteristiche fisiche e indicazioni diagnostiche che vengono tradotte in codici numerici per rendere più semplice la memorizzazione.
    In seguito, nel 1980, dall’ ICD si passò all’ ICIDH (classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità ed handicap), sorta con l’intento di risolvere alcuni problemi riguardanti le definizioni. Nel 2001 l’ OMS propone una definizione del concetto di disabilità più innovativa rispetto alle precedenti classificazioni, pubblicando il manuale di classificazione ICF che sta per classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute.
    Tale manuale rappresenta uno strumento molto importante per gli operatori del campo sanitario infatti viene utilizzato da medici, psicologi ed educatori e non interessa solo un determinato gruppo di persone ma chiunque viva una condizione di salute in un ambiente che la ostacola.
    Secondo l’ ICF la disabilità infatti è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Appunto per questo si occupa non più soltanto di questa condizione di salute ma di come la persona convive con essa e cerca di mostrare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto nel contesto sociale in cui vive. La persona disabile è un cittadino a tutti gli effetti ma tale tesi potrebbe essere sostenuta se la società procurasse minori difficoltà. Durante le lezioni svolte in aula abbiamo spesso riscontrato che il contesto sociale è in primis il più grosso ostacolo per una persona disabile infatti abbiamo notato grazie anche all’esercizio dell’orologio che già soltanto affrontare una giornata tipo si rivela una fatica immensa per queste persone a causa delle tante barriere architettoniche che ostruiscono il nostro paese.
    Spesso oltre a sottovalutare l’idea che la società risulta un vero e proprio ostacolo fisico per il disabile, si sottovaluta anche l’importanza delle parole utilizzandole in maniera sbagliata, rischiando di poter ferire una persona senza rendercene nemmeno conto e aumentare il suo handicap invece di ridurlo. Infatti come sosteneva anche Canevaro nelle parole è contenuto il modello operativo a cui si fa riferimento quindi è importante dare un giusto peso e una buona definizione ad ognuna di esse. Una prima riflessione va alle parole disabile e diverso.
    La disabilità spesso viene confusa con la diversità ma si tratta di due termini decisamente diversi che meritano una lunga riflessione. Il termine disabile indica un soggetto con disturbi fisici o psichici che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate.
    Il disabile ha una ridotta capacità d’interazione con l’ambiente sociale, è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità. La disabilità però deve essere analizzata come un fattore personale perché esistono anche persone con disabilità che non si sentono tali e riescono a compiere qualsiasi tipo di attività senza alcun problema. Il disabile è ritenuto un individuo a cui mancano una o più competenze senza considerare che egli possiede anche delle abilità.
    Spesso, addirittura nei confronti di una persona disabile si assumono atteggiamenti di pietismo sottovalutando che parlare di diversabilità significa appunto parlare di una persona che oltre ad avere una disabilità possiede anche delle abilità diverse dagli altri da scoprire,da rafforzare e da fare emergere. A dir la verità spesso anche io provavo tenerezza nei confronti di un disabile, sottovalutando le loro capacità, solamente perché privi di un arto o di uno dei senso, pensiero che invece può essere totalmente abolito se ci soffermiamo ad osservare ad esempio la vita del grande atleta Pistorius o della giovane ballerina Simona Atzori. E’ importante valorizzare la grinta e la fiducia di queste persone capaci di ispirare e dare esempio vedendoli affrontare a testa alta e col sorriso stampato sulle labbra le grandi difficoltà che la vita gli ha riservato.
    Può essere di grande dimostrazione per queste loro caratteristiche la citazione di Pistorius : “ Che io possa vincere, se non riuscissi, che io possa provarci con tutte le mie forze”.
    Provarci con tutte le forze! Questo è il segreto.
    Infatti come sostenevo anche in uno dei miei commenti, ognuno di noi spesso si pone dei limiti o meglio ci vengono imposti da parte di chi ci osserva ma ciò non deve impedirci di affrontare la vita e le sue difficoltà, al contrario bisogna considerare questo solamente come una spinta per credere in se stessi ed andare avanti.
    Per quanto riguarda invece il significato della parola diverso è un termine che mette in risalto una persona, non necessariamente affetta da una menomazione fisica o psichica, ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche, una persona diversa per lingua, cultura, razza, religione abitudini, per il colore della pelle...
    Il diverso è colui che viene etichettato come tale perché ha degli schemi fisici e comportamentali diversi dalla normalità. Spesso vengono etichettati come diversi: lo straniero, il genio, l’handicappato, coloro che non si adeguano alla norma, non considerando che siamo tutti diversi l’uno dall’altro ognuno con le proprie caratteristiche che ci distinguono come unici e irripetibili, siamo diversi nei modi di parlare, di pensare, di affrontare una situazione, ma ciò viene sottovalutato e si considera la persona diversa come un mostro, lontana da quella che siamo noi o ancora a volte ci sentiamo noi altro rispetto a loro, appunto per questo spesso si ha paura del diverso, egli viene isolato, messo da parte ed è qui che subentra anche un altro importante concetto: l’ emarginazione.
    Noi abbiamo evidenziato tale fenomeno attraverso una simulazione effettuata in aula creando una vera e propria città dove nel bel mezzo di una festa abbiamo isolato alcuni nostri colleghi solamente perché portavano gli occhiali. Mettere da parte delle persone per motivi così futili è stato veramente un gesto misero ma nel contempo sono riuscita a percepire e ad aprire gli occhi su un fenomeno che sfortunatamente continua ad espandersi sempre di più nella nostra realtà.


    ESERCIZIO 2

    Anna Maria Murdaca è una docente esperta in questioni riguardanti la persona con disabilità.
    Ella ritiene che sono molti i punti di questa tematica che meritano di essere esaminati tipo: l’ambiente, l’inserimento del disabile, la cura, la relazione educativa.
    Murdaca sosteneva prima di tutto che ciò che determina la condizione di un handicap sono il contesto sociale, gli ostacoli, le barriere fisiche e mentali ma non solo, anche l’ambiente, la famiglia, il contesto lavorativo sono elementi che possono influenzare la vita di un individuo portando alla riduzione delle proprie capacità nello svolgere delle attività e possono influenzare anche lo stato di salute della persona e porlo in situazioni di difficoltà.
    Per questo come sostiene anche nel suo testo “Complessità della persona e disabilità”, Murdaca mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione, alla comprensione delle reali condizioni di vita e quale ruolo possono assumere i soggetti disabili, analizzando non solo i temi del funzionamento, del comportamento del soggetto disabile ma anche il riconoscimento della persona in evoluzione.
    Bisogna soffermarsi sulla complessità della persona con disabilità iniziando prima di tutto a parlare della sua integrazione.
    L’integrazione è un processo continuo che ricerca soluzioni, strategie e diritti per i disabili.
    Parlare di integrazione però non significa parlare di uniformità ma al contrario valorizzare al meglio le doti di ogni individuo, perché come sappiamo tutti siamo uguali ma allo stesso tempo siamo anche tutti diversi per esperienze e carattere, quindi in fondo tutti abbiamo dei limiti a prescindere se si è disabili o meno e appunto per questo non bisogna considerare nessuno diverso o inferiore da sé, perché parlare di disabili è parlare di persone.
    Per Murdaca è importante valorizzare ogni individuo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare, proprio per questo c’è bisogno di dare importanza al concetto di cura intesa come emancipazione e come processo di maturazione dell’individuo, questo avviene grazie alla relazione educativa.
    Come sostenevo anche in un commento riguardante questa tematica, la relazione educativa è un processo che può avvenire tra due o più persone.
    Ogni incontro quotidiano, in metro, all’università, qualsiasi esperienza della vita sia positiva che negativa è educativa. Quindi non si può imparare qualcosa esclusivamente da un educatore o da una figura professionale ma ciò può accadere anche solamente ascoltando le esperienze altrui non vivendole in prima persona.
    La relazione educativa è un dare e avere, insegnare e imparare ed è un rapporto che può stabilirsi tra un docente e un discente, tra una madre e un figlio, si tratta di un legame che produce apprendimento attraverso la fusione delle varie conoscenze ed è fondamentale, in tali relazioni, il dialogo, il confronto ma soprattutto il saper ascoltare.
    La relazione educativa deve essere un incontro e uno scambio di idee senza procurare dislivelli, c’è bisogno di stabilire una situazione che possa mettere a proprio agio il soggetto che si ha di fronte, creare un rapporto alla pari senza alcuna differenza in modo tale che il soggetto possa sentirsi libero di esprimere le proprie idee e confrontarsi con gli altri senza problemi.
    Sono proprio queste le tante caratteristiche di una relazione educativa, le stesse che ho riscontrato in aula con le mie colleghe e che mi hanno permesso di comprendere a fondo il setting svolto da alcune di loro dove si percepiva perfettamente che nel campo educativo il compito di un buon educatore è quello di trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, arricchendole di conoscenze, creando un rapporto predisposto all’accoglienza e all’ascolto, lasciando spazio alla libertà dell’altro e cercando di costruire gradualmente, insieme un progetto di vita personale e originale.
    L’insegnante però non deve solo dare e ricevere, deve essere per gli alunni una guida, valorizzare le caratteristiche di ognuno e cercare di creare un clima sereno.
    Lo studente deve contare sul fatto che vi sia una persona di cui si possa fidare, pronta ad ascoltarlo, ad incoraggiarlo, a dargli dei consigli ma anche a rimproverarlo qualora ce ne fosse bisogno.
    Alcune volte però gli educatori e non solo, anche nel caso di un rapporto tra madre e figlio, possono trovarsi di fronte persone con dei problemi, paure, difficoltà, che spingono il soggetto a comportarsi in un dato modo, spesso tendono a chiudersi in se stessi, assumono atteggiamenti aggressivi a volte dovuti alla mancanza di affetto familiare e dal bisogno di essere ascoltati, capiti e amati.
    Da ciò quindi si può intuire che essere educatori non è così facile come si potrebbe pensare, è difficile esserlo soprattutto quando ci sono alcune relazioni che a causa di alcune problematiche diventano complicate da affrontare sia in un contesto lavorativo che in un contesto familiare.


    ESERCIZIO 3

    Come affermavo anche nel commento delle protesi estetiche, apparire perfetti, dare priorità all’aspetto fisico è sempre stato fin dai tempi passati ad oggi il desiderio di tutti ma soprattutto delle donne.
    Giovinezza, bellezza e salute sembrano essere le caratteristiche principali che una donna debba possedere per essere considerata perfetta, così come sosteneva anche Remaury nel “Il gentil sesso debole” le donne sono tutte orientate verso una corsa alla perfezione e verso questo triplice obiettivo. O ancora come Lipovetsky che in “la terza donna” afferma che ella nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati e tramite la scelta di questi modelli la donna è condotta verso un corpo realizzato, ovvero la conquista di un corpo perfetto.
    Un’altra autrice che si è interessata alla tematica della donna e delle sue trasformazioni per il bisogno di migliorarsi è Rosi Braidotti che in “Madri mostri e macchine” ci parla del corpo mostruoso e riesce a spiegare tale figura attraverso la trasformazione che subisce la donna durante la maternità, diventa un qualcosa di orribile agli occhi della figura maschile ed è per questo che la Braidotti propone alle donne di incarnare oltre alla maternità e alla mostruosità anche la macchina, appunto per questo crea un legame tra femminismo e tecnologia.
    Parlare del concetto di bellezza è stato molto interessante soprattutto perché si tratta di un argomento spesso molto discusso nella nostra realtà.
    Ormai i canoni di bellezza di un tempo, caratterizzati dalla semplicità, quasi non esistono più, la tecnologia continua a svilupparsi sempre di più e la gente ne approfitta e sembra essere ossessionata dall’idea di sembrare perfetta, sottoponendosi a costanti interventi senza neanche considerare i numerosi rischi e sottovalutando invece l’elevato numero di persone che farebbero a meno di finire sotto i ferri ma che purtroppo per bisogno, malformazioni o per una questione di salute sono costretti a farlo.
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    Messaggio  Fiorella Moio Lun Mag 21, 2012 10:44 am

    L’OMS è l’Organizzazione Mondiale della Sanità che elabora l’ICD (Classificazione Internazionale delle Malattie) nel 1970. L’ICD coglie le cause delle patologie e spiega le principali caratteristiche cliniche e diagnostiche.
    L’ICIDH (1980) fu elaborato dall’OMS dopo l’ICD.
    L’OMS fa una proposta basata su tre fattori:
    La menomazione, la disabilità, l’handicap,
    che verranno sostituiti da:
    Menomazione, abilità, partecipazione.
    La menomazione è la perdita o l’anormalità di una funzione psicologica, fisiologica e anatomica. Alcune caratteristiche sono le perdite materiali o anormalità che possono essere transitorie e permanenti. La menomazione è un danno organico o funzionale relativo ad un fattore specifico.
    La disabilità è l’incapacità di svolgere un’attività nei limiti di un essere umano “normale”infatti non è solo un deficit, ma è una condizione che va oltre la limitazione che supera le barriere mentali e architettoniche.
    L’handicap è la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che un certo soggetto limitato impedisce il compimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età o al sesso.
    La confusione tra il diverso significato di deficit e handicap porta due gravi conseguenze:
    1) considerare l’handicap come un problema solo di chi ha qualche deficit,
    2) considerare chi è affetto da deficit sia diverso dagli altri.
    Le caratteristiche dell’handicap sono:
    - Il significato assegnato dopo una situazione lontana dalla normalità,
    - Le discrepanze nate tra uno o più soggetti e al particolare appartenente al soggetto del gruppo di cui fa parte,
    - La socializzazione di una menomazione o di una disabilità che per l’individuo derivano dalla persona della menomazione e della disabilità.
    L’ICF è stato pubblicato dall’OMS, e significa “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”.
    Secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. I termini:
    -menomazione,
    -disabilità,
    -handicap, vengono sostituiti da:
    funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione, perché si voleva dare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto.
    L’ICF non classifica solo le condizioni di salute, malattie, disordini o traumi che sono l’interesse dell’ICD, ma anche le conseguenze associate alle condizioni di salute, e permette di evidenziare come convivono queste persone con la loro condizione, e trovare un modo per migliorarla.
    È importante distinguere i significati di disabile e diverso: disabile è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività quotidiane, è un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive che possono influenzare anche la sua sfera psicologica e provocare disagi sociali in base a ciò che gli altri pensano, è una persona che manca di una o più abilità. Molte persone tendono, ingiustamente, ad assumere con queste persone un comportamento di pietismo. Ci sono tante persone con disabilità che non si sentono disabili e riescono a compiere attività di ogni tipo.
    In sostituzione del termine disabile, è stato adottato il termine diversabile.
    Questa idea nasce dall’esigenza di non trascurare il valore di ogni persona.
    Il termine diversabile mette in risalto le abilità diverse dagli altri e ha lo scopo di osservare le persone con deficit in una nuova prospettiva.
    Spesso il disabile può spaventare perché lo si vede come “anormale”, ma in realtà non c’è una definizione precisa di “normale”.
    La “diversità” porta alla categorizzazione, cioè collocare in determinate categorie le persone, impedendo di riconoscere la persona nella sua interezza, ma identificarla in base all’etichetta. Diverso può essere una persona non affetta da menomazione fisica o psichica come lo straniero e il genio. Il diverso non sceglie di esserlo ma lo diviene con i pregiudizi della società. Ogni individuo ha caratteristiche che lo contraddistinguono rendendolo unico.
    Con i laboratori abbiamo parlato del diverso e del disabile, e come ho già detto nel forum, secondo me i disabili sono persone comuni e devono fare parte della società, devono esserne integrate ed essere trattati come dovrebbero: come “comuni mortali”. Continuerò sempre a dire che nel diverso non c’è nulla di male e che tutti gli uomini sono diversi per caratteristiche varie (religione, orientamento politico, colore della pelle etc.) ma uguali per diritti.
    Una persona che si è interessata alla disabilità è Anna Maria Murdaca.
    Il testo di Anna Maria Murdaca “Complessità della persona e disabilità” mira a tre punti fondamentali:
    1)Ricostruzione di una nuova cultura della disabilità,
    2)Rimodulazione del termine integrazione
    3)Comprensione delle reali condizioni di vita del disabile.
    Anna Maria Murdaca afferma che il contesto sociale determina la condizione di handicap, l’emarginazione e l’esclusione sono un seguito degli ostacoli e delle barriere fisiche. L’ambiente può essere una barriera e migliorando l’ambiente delle persone si possono diminuire le disabilità. È molto importante soffermarsi sulla complessità della persona con disabilità e sulla sua integrazione nella società.
    Secondo la Murdaca l’obiettivo da raggiungere per integrare la persona in tutti i contesti sociali è la valorizzazione del soggetto rispettando le differenze.
    L’integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni per preservare i diritti dei disabili, per valorizzare le qualità individuali. Anna Maria Murdaca parla anche dello spazio di cura, affermando che per cura si intende quella progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti. Con il passare del tempo e l’avanzare degli studi ci sono diverse novità tra cui quella in cui non si mira più all’accudimento del disabile, ma alla sua emancipazione, l’educatore dovrà consentire la crescita della persona in tutti gli aspetti.
    La relazione educativa è uno “spazio riparativo” nel quale il disabile interagisce e sperimenta con gli educatori emozioni che vengono poi elaborate.
    La nuova cultura della disabilità deve essere attenta a cogliere le disfunzioni comportamentali e cognitive e innalzare la qualità della vita dei soggetti.
    Rimodulare l’integrazione significa guardare alla globalità della persona. L’integrazione deve consistere in un’azione di “sviluppo, interazione, coordinazione di processi motori e psico motori”. La relazione educativa che si deve creare per l’integrazione è quella relazione che si sviluppa in famiglia tra madre e figlio, poi c’è la relazione tra docente e discente che si crea nella scuola, questa relazione non deve essere contrassegnata da diversità di potere tra l’insegnante e l’alunno; c’è la relazione monodirezionale in cui avviene uno scambio in cui si da e si riceve anche qualcosa; c’è la relazione tra educatore ed educando in cui il futuro educatore deve trasmette qualcosa di positivo nella relazione che costruisce con l’educando, è importante che ci sia il rispetto reciproco. Spesso capita che l’educando è una persona con difficoltà e in questo caso la relazione educativa si crea tra una guida e una persona in difficoltà.
    In questa relazione si deve capire chi si ha di fronte, quali sono i suoi problemi senza pregiudizi. Può capitare che persone con problemi familiari si chiudono in se stessi o assumono atteggiamenti aggressivi con gli altri, anche se alla base c’è la mancanza di affetto della famiglia. Una relazione educativa è anche uno scambio di emozioni tra persone, alla base di una relazione educativa c’è l’intenzione di costruire un rapporto basato sull’ascolto, rispetto e fiducia reciproca.
    In aula abbiamo anche fatto una simulazione (setting) sulla relazione educativa e come è stato detto in aula la relazione educativa si costruisce giorno per giorno mettendosi alla pari con l’individuo che chiede aiuto. L’educatore non deve risolvere i problemi, ma deve restituirli, cioè deve far capire alla persona qual è il suo problema in modo che sentendolo dire dall’educatore, prende coscienza di sé e inizia il suo percorso per eliminarlo.
    Riprendendo il discorso della diversità si può affermare che la bellezza non è uno standard fisso anche se viene usato e trasmesso uno stereotipo ben definito che porta spesso gli adolescenti, e non solo, a sentirsi diversi e troppo lontani da quella bellezza trasmessa e confermata dalla TV e dalle riviste di moda. Questo voler raggiungere la taglia 42 per le donne porta spesso ad entrare in un baratro con un’uscita ben lontana che porta troppo spesso all’anoressia. Il voler apparire belli per la società è un problema delle ragazze ma anche dei ragazzi che imitano personaggi della TV seguendo la loro moda, perdendo la loro personalità e diventando tutti fotocopie, tutti figli gemelli di quello stilista o vip che ha inventato quella moda senza poi più riuscire a distinguersi, ed è proprio di questo che parlano Remaury e Lipovetsky.
    Remaury afferma che oggi si è orientati alla perfezione per raggiungere tre obiettivi: -giovinezza;
    -bellezza;
    -salute.
    Spesso per essere troppo ostinati nel raggiungere l’eterna giovinezza e perfezione corporea che si tende a trasfigurare il proprio corpo arrivando poi alla mostruosità. Lipovetsky afferma che la cultura della bellezza è basata sull’apparente acquisizione di grazia, sviluppa la teoria della maturità positiva della donna nella quale viene fuori come una persona che riesce a gestire la propria immagine nella società, a questa maturità c’è un limite ed è la convinzione che la donna si identifichi nei modelli sociali.
    Parlando di bellezza non si può non parlare di mostruosità, argomento affrontato da Rosi Braidotti. La Braidotti afferma che tutto “ciò che accomuna le diversità è la distanza di quei corpi dalla normalità”.
    Condivido pienamente il pensiero di Remaury: oggi le persone sono disposte ad arrivare alla mostruosità (inconsapevole) per non sentirsi più come mostri.
    Come ho già detto nel forum, secondo me le protesi come miglioramento sono utili e necessarie per chi ha un problema di salute o fisico e le usa per guarire, ma sono al contempo contraria se si usano per modificare la propria bellezza fisica, perché magari è proprio quel difetto per noi antiestetico che ci rende unici e particolari. Quello che proprio non approvo è il fatto che per tradizione si debba modificare il corpo dei bambini sin dalla nascita.
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    Gisella Santonastaso


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    Messaggio  Gisella Santonastaso Lun Mag 21, 2012 11:11 am

    1)
    Qual è il passaggio dall’Icd all’Icf?
    Malattia o disturbo-Menomazione-Disabilità-Handicap come previsto dall’ICDH del 1980, modello a sua volta derivante dall’ originario ICD del 1948.
    Questo modello si basava su strumenti e classificazioni della prevenzione adottavano completamente il Modello Medico tradizionale, che trascurava gli aspetti relazionali, ambientali e contestuali che al contrario, come la scienza degli ultimi anni ha mostrato, sono fattori imprescindibili della salute o della malattia, che condizionano il percorso umano e sociale degli individui con la stessa forza della patologia stessa, trasformandosi o in fattori di rischio aggravanti il disturbo o in fattori di protezione che generano miglioramento della salute.
    Tali processi di revisione hanno portato a trasformare l'ICIDH (Classificazione delle Menomazioni, Disabilità ed Handicap) nell'attuale ICF (Classificazione del Funzionamento, della Salute e della Disabilità). Nell’ICF esso produce un cambiamento nel modo di concepire la malattia, la salute, la menomazione, la disabilità, l’handicap, non più come antinomie opposte, bensì come dinamiche mutevoli nel contesto del percorso di vita di ogni individuo in relazione all’ambiente esterno e al contesto particolare in cui si trova a vivere. Si potrebbe dire che, come la scienza psicologica ha dimostrato, il disturbo di per sé non è così rilevante e statico se inserito in un contesto di vita favorevole, tale da potere determinare la non manifestazione della sintomatologia specifica e i comportamenti espressi a tutti gli effetti adattivi; al contrario un contesto di vita sfavorevole può causare disturbi non previsti in individui predisposti, tale da compromettere le funzioni “normali” e portare l’individuo ad una condizione di handicap vero e proprio. Chiari sono, dunque, i costi sociali che questa prospettiva mette in gioco, ed è in questo contesto che si è mossa la ricerca di questi ultimi anni, che ha portato l’OMS a varare il sistema dell’ICF, più come aiuto nella determinazione del concetto di Salute che non di Malattia, in senso tradizionale. Se non misuriamo la salute non possiamo migliorare i sistemi sanitari. L’ICF è lo standard col quale possiamo misurare salute e disabilità. A questo punto possiamo dire che coll’ICF il cambiamento è nel pensare le condizioni di salute più che le condizioni di malattia, la disabilità come un evento dinamico e non statico, l’handicap come determinato da barriere esterne e non come condizione del singolo, i fattori di protezione come facilitatori e non come doti genetiche. Il benessere, dunque diviene termine generale che racchiude tutti gli aspetti della vita umana, inclusi gli aspetti fisici, mentali e sociali che costituiscono ciò che potremmo definire una “buona vita”. Una condizione di salute, nuovo termine per malattia (acuta o cronica), disturbo, lesione o trauma, è il livello del funzionamento che un individuo agisce all’interno di aree di vita che consideriamo parte del concetto di salute, così come DISABILITA’ è il termine che designa menomazioni, limitazioni dell’attività e restrizioni della e alla partecipazione degli individui. I livelli di funzionamento infine si riferiscono alle funzioni corporee, alle strutture, all’attività e partecipazione. Essi indicano gli aspetti positivi dell’interazione tra un individuo (in condizione di salute) e i fattori contestuali di quell’individuo (fattori ambientali e personali), cioè quei fattori che nell’insieme costituiscono l’intero contesto di vita di un individuo e il suo background: l’ambiente, gli aspetti del mondo esterno ha ora un impatto determinante sul funzionamento della persona, considerandolo anche come l’insieme delle altre persone in diverse relazioni e ruoli, atteggiamenti e valori, sistemi sociali e servizi, politiche, regole e leggi; i fattori personali, infine, come età, sesso, classe sociale esperienze di vita, che rappresentano una porzione non esigua dei fattori inclusi nelle condizioni di salute. In breve siamo di fronte al passaggio dal Modello Medico al Modello Biopsicosociale, che modifica in toto la visione complessiva dell’uomo e del concetto di salute/malattia. L’attenzione, d’ora in poi, viene posta su salute e funzionamento non sulla disabilità, che iniziava dove finiva la salute e il disabile apparteneva ad un gruppo separato. L’ICF si allontana da questo modello di pensiero: dalla disabilità delle persone ora si passa a focalizzare sulla salute delle persone. Ne scaturisce una considerazione globale dell’individuo nella sua componente biologica, psicologica e sociale. Da qui genera, come abbiamo già accennato, un nuovo modello della salute. Nella giornata del 22 marzo si è discusso del Significato Del Disabile.. Chi è per noi il disabile? Colui che non riesce a superare le cosiddette “barriere architettoniche” sentendosi inferiore agli altri,i cosiddetti “normali” o colui che ha la la propria disabilità ma attraverso la domotica,attravero l’impegno,la passione riesce a compiere qualsiasi tipo di lavoro? E inoltre nella giornata del 18aprile si è parlato dell’emarginato.. chi è l’ emarginato?? Esistono forme di emarginazioni gravi perche sono prodotte dal pregiudizio,dall’ignoranza,dall’azione attiva di gruppi e persone verso altri gruppi.Esse sono: il pregiudizio,sull’orgine delle persone o (il razzismo),il rifiuto verso gli aderenti a religioni o confesioni diverse dalla propria.Citando il mio commento sul forum riguardante questa giornata riscrivo il mio pensiero ossia: la discriminazione è figlia dell’ignoranza,poiché deriva dalla poca apertura mentale,dalla poca flessibilità,dall’essere chiusi in un proprio mondo,denigrando,non rispettanto,chi per qualche motivo è diverso.







    2)
    Anna Maria Murdaca scrive il testo “complessità della persona con disabilità”
    Un nuovo modo per una relazione educativa.
    Qual è l obiettivo di Anna Maria Murdaca?
    Il perno centrale è quello di sottolineare nel suo lavoro,la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità dove centra attenzione alla persona come individuo in continua crescita o evoluzione.
    Da un lato vedremo una cultura basata su livelli teorico-operativi e sul continuo mutamento del soggetto, dall’altro ci sarà un ripensamento dell’integrazione intesa come “spazio riparativo”,dove il disabile può elaborare con gli educatori vicende emotivo-affettivi che vengono elaborati,ricostruiti e integrati nella relazione educativa.
    L’integrazione diviene così costruzione di luoghi nei quali il disabile può trovare i mezzi per costruire la proprià identità per il raggiungimento dell’autonomia.
    Lo scopo finale è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere. Perché sia possibile è necessario un lavoro in grado di integrare l’aspetto educativo con quello didattico,quello terapeutico con quella riabilitativo e sociale.
    L’obiettivo del corso è fornire un quadro critico dei principali approcci interpretativi del lavoro di gruppo,posto che è ormai cultura pedagogica consolidata,che esso, se debitamente impostato, rappresenta un luogo di formazione e un potenziale non solo per lo sviluppo di processi di socializzazione ma anche per facilitare l’attivazione di processi apprenditivi consentendo l’esplicitarsi della Persona.
    Da qui diventa indispensabione,dunque,recuperare la dimensione etica e sociale,
    non a caso in un documento MIUR (Raccomandazioni
    Generali) troviamo che nel parlare di integrazione, non si fa riferimento più “ ad
    una astratta normalità che poi si traduce in propensione all’uniformità,bensì al
    valorizzare al meglio le dotazioni individuali, oltre al fatto che “ non bisogna
    DEFINIRE NESSUNA PERSONA PER SOTTRAZIONE: non ha, non sa fare, etc.
    perché non è la carenza di alcunché, infatti, che può contraddistinguere
    chiunque, ma la sua capacità di sentire, di fare, di agire e di pensare nell’unico
    suo modo specifico e personale.
    Ecco perché, l’obiettivo precipuo di un nuovo approccio alla disabilità ,non può
    che puntare su una intenzionalità pedagogica forte, capace di guidare chiunque
    si occupa di differenza a giungere ad una rappresentazione significativa di
    come stiano mutando e di come debbano cambiare il senso e le modalità di
    guardare la “cura” da offrire ai disabili, onde sviluppare sempre più nuovi
    indicatori di qualità per una nuova cultura della dignità della persona e garanti
    del benessere.
    Integrazione, differenziazione, personalizzazione, sembrano essere i capisaldi di
    una nuova politica socio-educativa,, inclusiva e globale, che a vario titolo la
    pedagogia speciale affronta onde progettare processi formativi di alta qualità e,
    alla didattica speciale, il compito di progettare un contesto, un mega-contesto con
    la scelta altamente mirata di metodi e strategie, di ausili,anche alternativi,capaci di sorreggere il processo di costruzione della conoscenza, e trattasi non della
    conoscenza dei costrutti culturali,ma di quella autentica che mira alla
    valorizzazione delle risorse umane: ogni disabile ha una sua storia; ed è tale
    storia che deve essere letta, codificata e decodificata se si vuole raggiungere al
    successo formativo.
    Un lavoro, dunque,che possa garantire a costoro quel diritto all’integrazione piena assicurando iniziative di promozione personale che sappiano rispondere correttamente ai bisogni ,che si
    manifestano in modo diverso nelle varie fasi della vita, cosa d’altra parte è stato
    assunto nel nuovo Forum europeo dei disabili.Nella relazione educativa dove abbiamo trattato il 18 aprile si è discusso che ci sono vari tipi di relazione tra educando-educatore, tra padre-figlio, tra insegnante-alunno e il perno centrale è la fiducia ed è necessario un dialogo autentico eliminando qualsiasi tipo di pregiudizio.









    3)
    Remaury, Lipovetsky e Braidotti
    La triade bellezza,salute e giovinezza
    Giovane,bella e sana: questa è l’immagine ideale che propongono i media e la pubblicità. Su questo canone estetico evidentemente irranggiungibile le donne dovrebbero costruire la propria identità,affrontando spese e sofferenze fisiche alimentate da un fiorente mercato. Ma come nasce questa immagine? A quale meccanismo profonde obbedisce?e quali conflitti scatena l’impossibilità di adeguarsi ad essa ?
    Quali sono quindi i modelli? Il corpo macchina è l’idea di associare al corpo umano, le stesse caratteristiche delle macchine,in rapporto al potenziale produttivo del corpo che emette calore e produce energia.
    Ad esempio remaury, nel Ilgentil sesso debole dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione dove abbiamo un triplice obietivo: giovinezza-bellezza-salute.
    Mentre secondo Lipovetsky nel libro “la terza donna” ha raggiunto una fase positiva della cultura e della bellezza basata sull’apparente acquisizione di grazia.
    Durante la giornata dedicato alle “protesi estetiche” si è discusso sull’immagine collettiva su come questi concetti fossero astratti e di come si sia costantemente alla ricerca della perfezione,modello diffuso anche attraverso ai mass-media.
    angela cuomo
    angela cuomo


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    Messaggio  angela cuomo Lun Mag 21, 2012 11:28 am

    L’OMS (organizzazione mondiale della sanità) ha elaborato una classificazione delle malattie servendosi di alcune sigle come: ICD (classificazione internazionale delle malattie) è nata intorno agli anni 70 e vuole riconoscere le cause delle infermità, attribuendo a ogni sindrome e disturbo sia peculiarità cliniche sia indicazioni diagnostiche. In quegli anni si lavorava sull’aspetto eziologico della malattia attribuendo a ogni diagnosi un codice. Negli anni 80 non si parla più di ICD bensì di ICDH che indica la classificazione mondiale della malattia. Questa nuova classificazione apporta però delle novità poiché non si parla più di menomazione disabili e handicap ma di menomazione,abilità e partecipazione. Questi tre termini vanno completamente ad innovare le posizioni nella quale per tanti anni si è trovata la persona con handicap poiché si pone attenzione sulle possibilità di coinvolgimento sociale che il soggetto ha nel determinare il suo cambiamento. Per menomazione si intende la perdita di un danno organico o funzionale ad una parte del corpo. Ad essa è strettamente correlata la limitata capacità di una persona di compiere una azione secondo modi e limiti considerati normali per un soggetto sano. Handicap è lo svantaggio che la persona con disabilità incontra nel contesto sociale in cui vive. La partecipazione invece indica l’integrazione del soggetto nella società senza sottovalutare le sue doti e facendo si che non venga visto dagli altri con occhi diversi e non dispregiativi. Oltre all’ICDH, l’OMS negli anni 90 provvedette alla realizzazione di una nuova classificazione cioè all’ICF(classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute). L’ ICF afferma che la disabilità è uno stato di salute che deriva da un contesto sfavorevole. Secondo questa classificazione l’ICF ritiene che la disabilità viene intesa come una condizione di salute di una persona derivante da un contesto sfavorevole. Questa definizione vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali mettendo in risalto che tutti gli uomini sono unici. Il disabile come vediamo ogni giorno deve combattere con la realtà circostante che spesso lo fa sentire come diverso e incapace di poter avere una vita sociale con tutti gli altri, questo perché le nostre società pullano di tantissime barriere architettoniche che gli impediscono di condurre una vita normale. Tutto ciò agisce molto anche sulla loro sfera psicologica facendoli percepire come diversi ed incapaci. Spesso la parola disabilità si confonde con quella di diversi, ciò non deve avvenire poiché il significato è molto diverso. Con il termine disabilità intendiamo una persona che non è in grado di svolgere normali attività quotidiane, la persona affetta da questa disabilità è affetto anche di disfunzioni motorie e cognitive. Possiamo dunque dire che la persona disabile ha un diverso funzionamento delle proprie abilità. Il disabile però non ha solo difficoltà nello svolgere alcune delle sue attività quotidiane poiché ha anche delle abilità che le persone che gli stanno accanto devono scoprire e potenziare infatti proprio perché ha quelle abilità che deve mettere a frutto, quindi si devono definire diversamente abili e non disabili che indica il contrario cioè il non possedere delle abilità e quindi per questo si parla di diversabile e non di diversità. Il tema della disabilità ha attratto sempre più l’attenzione di studiosi, legislatori e di più dell’intera società. Infatti a favore dei diversamente abili è stato approvata la legge 104/92che da alle persone diversabili riconoscere gli stessi diritti e possibilità di quelle normodotate. La disabilità negli ultimi anni ha suscitato l’interesse di diverse persone tanto che il 2003 è stato definito come anno europeo dei disabili frutto di una decisione del consiglio dell’unione europea del 2001. L’obiettivo è quello di suscitare la discussione sul tema aumentandone così la sensibilizzazione e sostenere così l’integrazione delle persone disabili nella scuola e nella società in genere. L’handicap dunque la condizione di svantaggio frutto di una menomazione o di una disabilità impedisce al soggetto l’adempimento “normale” della sua vita. Secondo alcuni studiosi l’handicap viene espresso mediante atteggiamenti individuali o collettivi di emarginazione che comportano il racchiudere i disabili in un cerchio chiuso come pericolosi. La disabilità dunque come detto all’inizio si distingue dalla diversità poiché quest’ ultima indica la collocazione di alcune persone in determinate categorie. Il diverso allora viene percepito dalla società come colui che ha schemi mentali fisici e comportamentali difformi dalla “normalità”. Possiamo sostenere pertanto che la diversità è solo e soltanto una menomazione fisica o psichica poiché questo termine viene utilizzato nei confronti dello straniero, handicappato, ad una persona diversa per lingua, costume, razza e religione. In merito a questo aggiungo di mio la seguente riflessione e dico che la gestione del problema induce tutta la società a farsene responsabile, in più ci tengo a dire anche che quando esprimiamo un giudizio sull’individuo disabile o definiamo la disabilità, è bene conoscere il suo mondo relazionale e la comunità d’appartenenza. Del disabile si tende a dire che ha una mancata competenza e raramente si pensa che possiede anche doti. Il disabile è una persona come tante, una persona che ha diritto a vivere liberamente e di tutto ciò ci sono state date testimonianza Simona Atzori che nonostante la sua disabilità fisica ha trovato la forza e il coraggio di vivere perseguendo i suoi sogni. Un altro eroe conosciuto è appunto Oscar Pistorius, anche lui come Simona ha dato una svolta alla sua vita dimostrando al mondo le sue abilità. Quindi possiamo dire che questi due personaggi ci sono da esempio perché sono loro che ci insegnano a sorridere alla vita.
    Anna Murdaca nel suo testo Complessità della persona e disabilità riprende alcuni concetti importanti come: l’integrazione, la complessità e umanità della persona, l’inserimento del disabile la cura e la relazione educativa, l’ambiente, lo spazio riportano le capacità funzionali. Secondo l’autrice Anna Murdaco le persone disabili devono entrare a pieno titolo all’interno della comunità, per fare ciò non ci si deve solo soffermare sul suo comportamento, su come assisterlo , ma bisogna soffermarsi sul riconoscimento della persona in evoluzione colta nella sua totalità. Per l’autrice l’ambiente sociale influenza molto al processo di esclusione o di emarginazione della società del disabile. Questo perché l’ambiente circostante incide molto al processo di esclusione o di emarginazione della società del disabile ma anche perché l’ambiente circostante persuade molto la vita delle persone influendo sulla sfera psichica e sociale riducendo di molto le sue disabilità. Grande importanza per la persona disabile è soprattutto il riscatto che devono avere dalla famiglia che è il primo nucleo che dovrebbe liberarsi dal pregiudizio che i loro figli disabili non possono avere una vita “normale” e siano destinati solo e soltanto all’emarginazione e al decadimento. Altra grande importanza nell’escludere l’emarginazione delle persone disabili è data dalla scuola poiché sono gli insegnanti che devono far integrare il disabile all’interno del contesto classe e poi della società tirando fuori le buone capacità e competenze dell’alunno. Possiamo dunque affermare che l’ambiente può essere sia un facilitatore che una barriera per il suo inserimento nella società. L’autrice si sofferma anche sull’inclusione della persona nella società ciò può avvenire valorizzando in toto la persona disabile e non sminuendo puntando alla valorizzazione di quelle che sono le sue abilità. La cura delle persone disabili deve mirare all’emancipazione per ciò che egli può diventare ,quindi è una cura volta a valorizzare la persona disabile aiutandola a convivere con la sua disabilità. L’emancipazione della persona disabile può avvenire solo e soltanto se ci sono ambienti che permettono ciò e se si viene a creare tra il disabile , l’educatore e gli insegnanti che devono aiutare queste persone a rielaborare quelli che sono i suoi vissuti intrapsichici rivolti a offrire al disabile un ripensamento del proprio stato e alle proprie capacità funzionali. In questo modo sviluppa la propria identità, e autostima. Si deve dunque da un lato analizzare la qualità di vita dei soggetti. Per realizzare la piena integrazione del disabile nella società si deve mirare ad una nuova cultura della disabilità cercando di ripensare ad una società nella quale ci siano spazi di formazione previsti da quelli che sono le politiche inclusive che mirano a lavorare su cosa si deve fare, e quanto si deve ancora fare. Anche la relazione educativa che si viene a istaurare con i genitori e gli insegnanti è importante perché si gioca l’inclusione del disabile nella società. La relazione educativa è data da uno scambio di esperienze nella quale entrambi i soggetti danno e ricevono qualcosa quindi non è una relazione unidirezionale bensì bidirezionale, in quanto relazione non è solo uno scambio di esperienze ma anche di affettività che ci permette di accogliere e ascoltare l’altro. I rapporti che si vengono a creare tra le persone in modo particolare con gli insegnanti non devono mirare solo a una trasmissione di valori poiché l’insegnante per l’alunno deve essere una guida che deve valutare le sue specificità. L’insegnante deve inoltre creare con l’alunno un clima di fiducia in modo da far nascere un atmosfera sereno nel quale far immedesimare o entusiasmare l’alunno . Si deve creare una situazione che mette a proprio agio il soggetto che si ha di fronte, causando un rapporto alla pari senza creare differenze, facendo sentire il soggetto libero di esprimere le proprie idee e confrontarsi con gli altri. Lo studente deve contare sul fatto che nell’ istituzione vi è una persona di cui potersi fidare e che è pronta ad ascoltarlo e dargli dei consigli per incoraggiarlo e sostenerlo cercando anche di renderlo partecipe nelle attività scolastiche ed extrascolastiche. Nella relazione educativa con il disabile deve prendere in considerazione le diverse situazioni e mettere in atto programmi specifici per fare emergere quelle che sono le doti del disabile. L ‘educatore nelle relazioni di aiuto deve essere disponibile alla relazione e all’accoglienza dell’educando. La relazione educativa non è altro che una educazione personalizzata in cui uno delle due parti si deve porre come stimolo e guida del processo educativo mentre l’altra parte deve acquisire dei criteri mediante i quali il soggetto sarà poi capace di capire e valutare la realtà. Nella relazione educativa importanti sono anche i silenzi i quali trasmettono sempre delle informazioni da non sottovalutare.
    Tutto ciò abbiamo avuto occasione di osservarlo in due setting avvenuti in aula tra madre ed educatrice e una ragazza e una educatrice. In queste scene gli aspetti messi in risalto furono tanti uno in particolare che mi colpì fu la difficoltà di aprirsi con l’educatore che inizialmente per l’educando è una persona estranea poi solo con il passare del tempo il confronto diventa più sciolto e quindi l’educatore sotto gli occhi dell’educando viene visto come un amico su cui poter contare. Ovviamente come ben immaginiamo fare l’educatore non è cosa da poco. L’intervento dell’educatore è complesso e articolato in quanto esercita quotidianamente un ruolo di mediazione tra i bisogni degli utenti e le risorse professionali e strumentali messe in campo dal territorio. Comporta la capacità di essere flessibile e in grado di interagire con diversi interlocutori senza mai dimenticare i confini e le peculiarità del proprio ruolo.
    L’ultimo punto da affrontare riguarda la donna e la sua voglia di cambiare per apparire diversa da come madre natura l’ha creata. Ciò viene fatto prendendo in considerazione tre studiosi: Remaury , Lipovetsky e Braidotti i quali prendono in considerazione tre termini: bellezza, salute e giovinezza strettamente collegati tra loro. Remaury attraverso la sua opera intitolata il “Gentil senso debole” mette in risalto l’immagine della donna affermando che i media influenzano maggiormente le donne perché promuovono attraverso la pubblicità la donna bella, sana e magra. Tutte le donne ispirate dalla pubblicità accettano di affrontare sofferenze fisiche pur di seguire quel determinato modello cui aspirano. L’opera di Remaury vuole rendere evidente che la bellezza ,giovinezza e perfezione non sono oggettive bensì soggettivi poiché ognuno di noi ha un idea di bellezza che è diversa dagli altri, quindi nessuno può raggiungere l’altro visto che siamo tutti diversi. Personalmente credo che nella vita ciò che è importante non sia la bellezza esteriore bensì interiore. Remaury nella suo studio giunge a distinguere tre tipi di corpi: corpo trasfigurato(legato all’immagine della perfezione corporea) il corpo esatto(compie progressi versi la perfezione) e corpo liberato ( della malattia,del peso e del tempo cioè corpo perfetto). Lipovetsky invece nel suo studio parla di tre modelli di donna cioè la donna di prima( svalutata,sfruttata ecc) la seconda donna cioè l’ideale di virtù,la beatrice e infine la terza donna che racchiude i due punti precedenti.
    Braidotti con madri mostri e macchine afferma che la donna è mostro e madre perché è capace di trasformare il suo corpo. Questo testo racchiude anche la questione del corpo macchina e del mostri. La mostruosità era presente fin dalla nascita a causa di malformazioni. Come ben sappiamo per l’essere umano il mostro è visto come il diverso e il deviante. Per quanto riguarda il corpo macchina è un legame che si forma tra l’individuo e la tecnologia mettendo a repentaglio la vita dell’uomo senza nessuna certezza che la sfida venga vinta.
    Quest' ultima risposta dell’elaborato l’abbiamo anche trattata in aula e sul forum. In merito deve dire che le protesi estetiche hanno la funzione di riparare o sostituire strutture danneggiate o perse, ma in altri casi di migliorare l’estetica. Infatti su quest’ ultimo aspetto non sono d’accordo perché personalmente non metterei mai a rischio la mia vita e la mia salute solo per apparire come io vorrei ma come ben vediamo negli ultimi tempi l’aspetto esteriore e la bellezza ha un importanza elevata visto che molte volte risulta difficile convivere con un corpo che non piace perché non è perfetto e quindi provoca un calo di autostima e sicurezza della persona stessa. Personalmente credo che la cosa migliore è non modificare nessuna parte del nostro corpo e quindi accettarci e amarci così come siamo, visto che non esiste un prototipo di bellezza.
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    Messaggio  anna abbate Lun Mag 21, 2012 1:39 pm

    L’organizzazione mondiale della salute (OMS)venne fondata nel 1948 con lo scopo di raggiungere un alto livello di salute. Nel 1970 l’Oms elaborò l’ICD (Classificazione Internazionale Delle Malattie) che nacque con l’intento di catalogare le malattie e di comprendere le cause. Per ogni sindrome garantisce una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. A sua volta quest’ultime vengono tradotte in codici numerici semplificandone la consultazione e l’analisi dei dati. Quest’analisi ha come priorità l’aspetto eziologico, ovvero capacità di individuare e analizzare le cause di una malattia. Infatti segue uno schema ben preciso: Eziologia, Patologia, Manifestazione Clinica. Può essere definita, in un certo senso, come una specie di enciclopedia medica, avente una certa importanza la quale avvicina la disabilità alle patologie cliniche. La disabilità non è ancora colta in tutti i suoi aspetti risultando esclusa nell’ambito sociale. L’Oms cerca di includerla nella seconda classificazione ideata nel 1980” ovvero l’ICIDH. Passaggio molto importante in quanto quest’ultima mostra un nuovo approccio nei confronti della disabilità. Segue uno schema ben preciso: Menomazione, Abilità, Partecipazione. C’e una particolare attenzione nell’integrazione del soggetto all’interno della società e verso le sue capacità. Parlando in questo modo no di disabilità ma bensì di abilità. Importante cambiamento includendo un elaborazione dell’ultima classificazione datata 2001 conosciuta con l’acronimo ICF (Classificazione Internazionale Del Funzionamento Della Disabilità E Della Salute) Qui cambia l’approccio nei confronti della disabilità, infatti si parla di un approccio multi prospettico coinvolgendo l’aspetto biologico personale e sociale, ponendo la sua attenzione alle conseguenze delle condizioni di salute del soggetto, e alle problematiche che quest’ultimo incontra a causa della sua menomazione. Molto spesso le parole Deficit e Handicap vengono comunemente utilizzati come se fossero dei sinonimi, ma in realtà sono due termini completamente diversi … Deficit = mancanza totale o parziale di una determinata funzione … Handicap = condizione di svantaggio derivante da una menomazione. Grazie a questa differenziazione si può comprendere che il deficit è qualcosa che non può essere mutato, essendo una condizione difficilmente risolvibile, mentre l’handicap è qualcosa di soggettivo, in quanto tale può essere ridotto o addirittura annullato. La salute,a sua volta non può più essere separata dal contesto in cui la persona si colloca ma interagisce con esso influenzandosi a vicenda. Nel laboratorio dedicato alle barriere architettoniche ci siamo resi conto di quanto l’aspetto “contesto” influisca sulla qualità di vita della persona e sulla sua percezione della disabilità. Infatti c’è stato chiesto di analizzare la nostra giornata tipo in due tempi,in un primo luogo di come effettivamente la viviamo,in un secondo luogo invece di come la potremmo vivere se avessimo una disabilità. Facendo ciò mi sono resa conto di come possa essere difficile muoversi con una sedia a rotelle, riflettendo di come la qualità della mia vita potrebbe risultare compromessa e scenderebbe a livelli molto bassi. L’ambiente in cui si vive contribuisce a creare la sensazione di inadeguatezza e svantaggio nella persona disabile, collocandola erroneamente su un gradino più basso rispetto alle persone normo-dotate dimenticandoci che siamo tutti cittadini aventi non solo gli stessi doveri ma soprattutto gli stessi diritti. La persona disabile viene molto spesso considerata diverso e in questo vi è un grande contributo della società che, inconsapevolmente, ci racchiude a banalizzare tutti dentro dei stereotipi da seguire. La diversità porta alla categorizzazione, alla collocazione delle persone in determinate categorie e così via in questo modo la disabilità diventa un fattore identificante di un intera persona. La docente e autrice Anna Maria Murdaca nel suo testo “Complessità della persona e disabilità” affronta varie tematiche tra cui : l’ambiente, l’integrazione, la cura , la relazione educativa ecc. Murdaca sostiene che bisogna guardare la persona disabile nella sua globalità, non soffermandosi solamente sulle apparenze. Infatti non è la disabilità che caratterizza una persona ma è la sua identità e personalità che devono essere valorizzate. Bisogna considerare queste persone come cittadini e provvedere affinché ognuno di essi raggiunga una perfetta integrazione all’interno del contesto sociale e dell’ambiente in cui esso si trova. Il termine integrazione significa “inserire una persona in un ambiente in modo che diventi parte organica della società” infatti per poter raggiungere questo scopo è necessario soffermarsi sull’identità della persona. Come afferma Murdaca gli ostacoli favoriscono il processo di esclusione ed emarginazione quest’ultimi, infatti, debbano essere abbattuti. Il superamento dei limiti è uno dei primi passi verso la costruzione di un nuovo progetto di vita per le persone con disabilità e verso una relazione educativa basata sull’integrazione. La cura diventa un luogo ripartivo collegandosi all’agire educativo, infatti, non si interessa solamente all’accudimento delle persone ma anche della loro progressiva realizzazione. La relazione educativa risente di tutte queste tematiche affrontate, ha un ruolo fondamentale nel processo di integrazione del soggetto con disabilità. Qualsiasi contatto tra due o più persone può essere considerato una “relazione educativa” dove avviene uno scambio di emozioni,conoscenze e l’arricchimento di colui che è coinvolto. Per rendere produttiva una relazione educativa è necessario che si instauri un legame di fiducia e rispetto reciproco. In occasione del laboratorio è emersa l’importanza del primo impatto con la persona che si rivolge all’educatore, infatti, quest’ultimo non deve porsi in una posizione di superiorità, deve far sentire a proprio agio l’educando, e deve aiutarlo a far emergere le proprie doti e le sue capacità senza mettere in luce le sue mancanze. La società odierna influenza sempre di più la vita di ciascuno di noi proponendo dei modelli di bellezza e perfezione sempre più difficili da raggiungere. Autori come Rosemary Lipovetsky e Braidotti affermano che queste problematiche coinvolgono soprattutto le donne che si trovano quotidianamente a confrontarsi con un ideale di bellezza e giovinezza da rincorrere affannosamente e con ogni mezzo. La società oggi ci vuole tutte atletiche e magre ed è questa una delle principali cause dell’aumento di disturbi alimentari nelle donne e soprattutto nelle più giovani.
    Le modelle anoressiche,che la tv e le passerelle dell’alta moda,ci propongono diventano dei modelli a cui ispirarsi e da imitare a tutti i costi nonostante quei corpi segnati dalla magrezza,senza curve e spigolosi siano totalmente l’opposto del corpo sano.
    La Braidotti parla anche di corpo-macchina;un corpo trasformato e talvolta mostruoso sul quale la donna lavora attraverso un rapporto sempre più stretto con la tecnologia.
    Quello che noi chiamiamo "ideale di bellezza" è qualcosa di molto astratto,per niente oggettivo e inseguendo qualcosa di tanto soggettivo si rischia di perdere se stessi e uniformarsi alla massa.
    A mio parere il rischio è,infatti, quello di diventare tutti uguali e assistere alla nascita di una generazione totalmente artefatta e che impiega tutte le sue energie nel plasmare il proprio corpo a scapito del proprio aspetto interiore. Bellezza esteriore non è sinonimo di bellezza interiore e le due cose non sono in alcun modo connesse;avere bei capelli,le costole sporgenti,gli occhi verdi è solo un diversivo per non occuparsi di ciò che realmente conta:la personalità,i valori,la morale.


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    Lorenza Baratta


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    Messaggio  Lorenza Baratta Lun Mag 21, 2012 2:15 pm

    ESERCIZIO 1

    La prima classificazione elaborata dall’OMS è la “ CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DELLE MALATTIE” o ICD del 1970, che fornisce per ogni sindrome una descrizione delle caratteristiche e anche le indicazioni diagnostiche sull’aspetto eziologico della malattia.
    Nel 1980 l’ OMS ha creato una classificazione internazionale, l’ICDH con lo scopo di differenziare i termini MENOMAZIONE, DISABILITA’ ed HANDICAP.
    Per Menomazione si intende qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica, che può essere transitoria o permanente; per disabilità si intende l’incapacità di svolgere determinate funzioni nel modo considerato normale per un individuo normodotato, che può essere conseguente anche ad una menomazione; infine per handicap si intende la difficoltà che la persona con disabilità incontra nel confronto con gli altri.
    “Una persona può essere menomata senza essere disabile e disabile senza essere handicappata”, molto riflessiva questa frase, in quanto la disabilità può portare all’handicap, inteso come svantaggio sociale, ma l’handicap a sua volta può avvenire in seguito a menomazione senza comportare uno stato di disabilità permanente.
    Numerose verifiche e critiche, hanno spinto l’OMS ad una revisione e una stesura di un nuovo documento, ossia l’ICF, si tratta di una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati uniti ad essa.
    Le informazioni ricavabili dall’ ICF sono utili non solo per studiare le malattie, ma anche le conseguenze associate alle condizioni di salute e quindi pone al centro la qualità della vita delle persone. I termini MENOMAZIONE, DISABILITA’ ed HANDICAP usati precedentemente, vengono sostituiti da FUNZIONI, STRUTTURE CORPOREE e ATTIVITA’ e PARTECIPAZIONE, cercando di porre più attenzione alle capacità del soggetto e al suo coinvolgimento sociale.
    L’ ICF non è una classificazione che riguarda un gruppo, ma riguarda tutti, poiché tutti possono avere una condizione di salute che in un contesto ambientale sfavorevole, causa disabilità, per questo motivo, viene usato in diversi ambiti, che sia sanitario, educativo o sociale.
    Come afferma Canevaro, la scelta delle parole è molto importante ed è bene quindi riflettere sulle parole DISABILE e DIVERSO, in quanto sono due termini carichi di significato che meritano la giusta importanza.
    Il disabile è una persona che non riesce a svolgere le normali attività quotidiane, un individuo affetto da disfunzioni motorie e cognitive, una persona caratterizzata dalla mancanza o dal diverso funzionamento di una o più abilità. Per queste persone è un continuo confrontarsi con una realtà sempre più dura da affrontare, per coloro che hanno notevoli difficoltà nel camminare, permane, in molti ambienti, l’ostacolo costituito dalle cosiddette “barriere architettoniche”, con le quali si indicano tutte le possibilità di spostamento o di trasporto, che restano precluse per quanti sono costretti a muoversi con l’ausilio delle stampelle o di una sedia a rotelle. Quasi ovunque, queste persone si trovano nell’impossibilità di superare un marciapiede troppo alto, di servirsi di un mezzo di trasporto pubblico, o, più semplicemente, di salire e scendere una rampa di scale per spostarsi dalla propria abitazione, la quale si trasforma in una prigione quando è collocata in un edificio privo di ascensore. Purtroppo sono diverse le difficoltà che possono incontrare, come evidenziato nell’esercizio sulle barriere architettoniche, riguardo una mia giornata tipo.
    Il disabile spesso scopre il suo disagio, confrontandosi con persone normodotate, vi sono però anche persone come loro che non si sentono tali e quindi cercano con tutte le loro forze di riuscire a compiere qualsiasi attività.
    A tal proposito, risulta importante per me parlare di persone come Oscar Pistorius, l’atleta di 25 anni, amputato alle gambe a meno di un anno di vita e che grazie a particolari protesi in fibra di carbonio, riesce a camminare; si parla di Simona Atzori, questa donna è nata senza braccia ma nonostante ciò ha trovato il suo modo di vivere.
    Entrambi i casi sono per me dimostrazione di resilienza, quest’ultima intesa come la capacità di resistere, di affrontare e far fronte alle difficoltà della vita, soprattutto per le persone diversamente abili. Vedere creature così straordinarie mi arricchisce la vita di speranza e di valori saldi, per me sono esempi di grande determinazione e voglia di vivere.
    Dopo aver riflettuto sulla parola DISABILE, è doveroso ora parlare del DIVERSO, inteso come una persona che oltre che una disabilità , ha delle abilità diverse dagli altri, da far emergere e potenziare.
    La diversità porta alla categorizzazione, cioè alla collocazione di certe persone in determinate categorie, facendo nascere sentimenti di inferiorità che possono portano all’autoesclusione.
    Il diverso non sceglie di esserlo, ma viene etichettato dalla società; ricollegandomi ad una simulazione fatta in aula con la docente, posso dire che in qualsiasi contesto sociale si parla di esclusione, vediamo spesso come i soggetti disabili finiscono per essere emarginati, persone che non riescono ad integrarsi nella nostra società, costretti a vivere in condizioni di frustrazione e a conoscere anche crisi di identità. Una società a mio avviso, priva di valori, che mette al primo piano il denaro, il consumismo e altre cose che per me non risultano essere importanti quanto la solidarietà, la libertà e l’amore per il prossimo. Credo che una società che sappia valorizzare tutti, costituisce un contesto più ricco, capace di offrire occasioni di gratificazione e diventare una società a misura d’uomo, perché alla fine è importante ricordare che la disabilità non è un mondo a parte, ma una parte del mondo.

    ESERCIZIO 2

    La pedagogia della disabilità si occupa di conciliare formazione e competenze relative alla disabilità, a tal proposito è utile prendere in considerazione il testo “ Complessità della persona e della disabilità” di Anna Maria Murdaca. Il testo mira alla costruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione e alla comprensione delle reali condizioni dei soggetti disabili, i materiali e gli ausili a disposizione.
    Secondo A.M. Murdaca bisogna dirigersi verso una nuova cultura della disabilità, centrata sia sull’assistenza del soggetto disabile, ma anche sul riconoscimento della persona, con il rispetto delle differenze.
    Si parla di integrazione, definita come un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni e di strategie per preservare i diritti dei disabili. Secondo il documento del MIUR, l’integrazione è intesa come propensione all’uniformità, cioè alla valorizzazione delle doti individuali.
    L’ambiente è molto importante in quanto influenza la vita degli individui; la famiglia, la scuola, possono aiutare a migliorare la vita di una persona disabile, valorizzandola in tutti i suoi aspetti.
    Il termine cura viene inteso in senso riparativo, in quanto bisogna far emergere la persona per ciò che egli è e che può divenire, importante quindi accogliere la persona disabile, avvicinandolo a noi, nel rispetto delle sue differenze. E’ importante collegare le esperienze quotidiane del soggetto disabile con la sua biografia emotiva ed affettiva, per far sviluppare in lui la propria identità e autostima.
    Per quanto riguarda i materiali e gli ausili a disposizione, in aula abbiamo affrontato il tema della domotica, definita come casa intelligente. Queste nuove tecnologie, che per tante persone possono rappresentare un qualcosa di non necessario, per altre risulta indispensabile per migliorare la propria qualità di vita.
    Oltre agli ausili e ai materiali, bisogna anche pensare ad una società con vari spazi di formazione per i soggetti disabili, nei quali si vengano a formare delle solide ed importanti relazioni educative.
    La relazione educativa è fondamentale e si instaura in vari ambiti, tutti gli incontri, che siano positivi o negativi sono educativi e formativi, importante è il rispetto reciproco nelle nostre relazioni e soprattutto il saper ascoltare per essere ascoltati.
    Esistono diversi tipi di relazione educativa: relazione tra madre e figlio, ritenuta per me una delle più importanti, forse perché ho la fortuna di avere un rapporto splendido con mia madre, a tratti anche conflittuale ma che comunque risulta essere educativo sia per me che per lei; importante anche la relazione che si instaura tra docente e discente, in quanto si tratta di un prendere e dare in sincronia.
    Merita maggiore riflessione la relazione educativa con il disabile, in cui l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile, evitando di evidenziare le mancanze.
    Per i disabili, la relazione educativa è uno spazio riparativo, in quanto il disabile sperimenta con gli educatori e gli insegnanti una serie di situazioni che vengono poi elaborati, criticati, ricostruiti e infine integrati.
    Tutte le relazioni hanno come fine educare alla relazione con gli altri e le prime relazioni devono costituire un modello per quelle future, ogni educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, è importante nel dialogo restituire sempre ciò che ci viene detto, in quanto, nel restituirlo, la persona prende consapevolezza di quello che sta dicendo.
    La relazione educativa si collega all’immagine di grande famiglia, un’insieme di rapporti che nascono e si rafforzano volte per volta, con uno scambio di opinioni e di emozioni affettive, proprio come è accaduto durante questo corso, perché anche le relazioni che ho avuto modo di far nascere in questi mesi sono state per me educative, in quanto mi hanno dato la possibilità di approfondire temi importanti.
    Al di sopra della competenza tecnica o della conoscenza scientifica ciò che maggiormente lascia un'impronta nell'alunno è l'entusiasmo, la vicinanza e la comprensione da parte dell’educatore.
    Nei rapporti interpersonali, che si instaurano tra docente e discente, è importante la comunicazione, che si realizza pienamente quando entrambi sono consapevoli del valore della persona e della sua dignità, quindi ogni relazione educativa dovrebbe tendere sempre alla valorizzazione delle caratteristiche personali di ogni persona.
    Concludendo, è importante alla base di qualsiasi relazione educativa, la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all’accoglienza, all’ascolto e costruendo pian piano, insieme, un progetto di vita personale e originale.

    ESERCIZIO 3

    Come già accennato prima la società odierna, influenza sempre più la vita di ciascuno di noi in tutti gli ambiti, proponendoci anche modelli di bellezza e perfezione sempre più difficili da raggiungere.
    Remaury, Lipovetsky e Braidotti hanno affrontato il tema del corpo trasformato e mostruoso.
    L’immagine della donna che viene fuori dai mezzi di comunicazione è nuova, modificata, complessa e deforme. Purtroppo le fonti di informazione, quali riviste, televisione, radio, sono sempre più fondate sul mondo dell’apparenza che non sui contenuti costruttivi per l’individuo.
    Le modelle che compaiono sui giornali, forniscono modelli estetici irrealizzabili e spesso la magrezza viene glorificata, mentre la corposità viene vista come esteticamente brutta.
    Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che oggi una donna deve avere, alcune arrivano a sentirsi umiliate se nn riescono a raggiungere degli standard precisi.
    Remaury nel “ Il gentil sesso debole” afferma che viviamo alla ricerca continua della perfezione, con un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza e salute. Il corpo trasfigurato è legato all’immagine della perfezione corporea, il corpo esatto compie progressi per raggiungere la perfezione, il corpo liberato viene celebrato anche da Lipovetsky nella “ Liberazione de la terza donna”. Per Lipovetsky c’era una volta la prima donna, svalutata e sfruttata, poi è subentrata la seconda donna, ritenuta l’icona, l’ideale di donna e infine la terza donna, la quale ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull’acquisizione di grazia. E infine abbiamo la Braidotti che nel suo testo “ Madri, mostri e macchine” , parla del campo femminile connesso alla tecnologia; l’autrice afferma che creare un legame tra femminismo e tecnologia, giocare con l’idea di un corpo-macchina, rappresenta un rischio e non da alle donne la certezza di uscirne vincitrici da questa sfida.
    In aula abbiamo spesso affrontato il tema delle protesi estetiche, come il caso di Oscar Pistorius, già precedentemente citato, o il tema della chirurgia estetica, ritenuta fondamentale dalla maggior parte delle donne. Credo che usate per necessità, o per migliorare la vita di una persona, sono giuste; ma spesso in modo sbagliato vengono usate solo per sentirsi accettati in questa società.
    Importante a tal proposito citare il caso Orlan, considerata un’artista, la quale si è sottoposta ad una serie di operazioni chirurgiche con lo scopo di trasformarsi in un nuovo essere. Quest’ultima utilizza la chirurgia criticandola, per dimostrare che la bellezza può assumere sembianze che non sono considerate canonicamente belle. “ Provate a fare ciò che vi piace del vostro corpo nel modo che più vi aggrada, cercando di liberarvi di tutti i diktat che vi vengono imposti dalla moda e dalla televisione” ; molto riflessiva questa frase, bisognerebbe iniziare a capire che spesso la bellezza la si ritrova nelle piccole cose, ed è proprio l’essere diversi gli uni dagli altri che rende una persona unica.
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    rosa romano


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    Messaggio  rosa romano Lun Mag 21, 2012 2:46 pm

    [justify]
    La pedagogia della disabilità deve partire dall’analisi e dall’importanza delle parole ad essa relative. Lo scopo è di fare una attenta riflessione sui termini utilizzati in questo campo e sulle caratteristiche della persona con disabilità. Spesso facciamo confusioni linguistiche proprio perché non conosciamo appieno il significato del termine che utilizziamo. Ci sono diverse classificazioni a riguardo, una delle quali è l’ICD (Classificazione Internazionale delle Malattie) elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS, fondata il 7 aprile 1948) nel 1970. L’ICD risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome o disturbo una descrizione delle principali caratteristiche, effettuando diagnosi. L’ICD focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione , la ricerca e l’analisi dei dati attraverso lo schema: eziologia – patologia –manifestazione clinica . L’OMS , nel 1980, ha anche definito una classificazione internazionale , ovvero l’ICDH,( International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps), modello derivante a sua volta dall’originario ICD. Questa nuova proposta si basa su 3 fattori : 1)menomazione ,ovvero qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o funzione psicologica, fisiologica o anatomica. Quindi rappresenta un danno organico o funzionale relativo ad uno specifico settore (es: arto)o qualsiasi altra parte del corpo , tali caratteristiche possono essere sia transitorie sia permanenti. La menomazione inoltre, può essere temporanea, accidentale( a seguito di un incidente) o degenerativa ( può portare alla disabilità); 2)disabilità, cioè l’incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti considerati “normali” per un individuo, quindi, rappresenta una limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività e può implicare ostacoli nei rapporti sociali; 3)handicap , che può avvenire in seguito a menomazione, è la difficoltà a maturare quelle capacità della persona necessarie alla realizzazione progressiva della personalità integrale, è una condizione di svantaggio.
    Questi 3 termini appena elencati verranno sostituiti dai termini menomazione, abilità e partecipazione. In questo modo vi è una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale, implicando cosi un notevole cambiamento. L’ICDH si è poi trasformato nell’attuale ICF(Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute), pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001 e propone una definizione del concetto di disabilità multidimensionale e dalla portata innovativa rispetto alle precedenti classificazioni. Il mutamento del termine non riguarda soltanto la linguistica ma produce un cambiamento nel modo di concepire la malattia, la salute, la menomazione, la disabilità, l’handicap come dinamiche mutevoli nel contesto del percorso di vita di ogni individuo in relazione all’ambiente esterno e al contesto particolare in cui si trova a vivere. Infatti secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. L’ICF è una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati, è stata introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona cioè cosa quella persona è in grado di fare o cosa non riesce a fare. La disabilità viene considerata come misura delle attività che l’ambiente esterno consente di espletare non più soltanto come condizione soggettiva. Vi è, quindi, l’intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale; in questa classificazione i fattori biomedici e patologici non sono gli unici ad essere presi in considerazione ma si considera anche l’interazione sociale: l’approccio, così, diventa multi prospettico (biologico, personale e sociale).Tale classificazione non classifica solo condizioni di salute, malattie o traumi che sono d’interesse dell’ICD, bensì le conseguenze associate alle condizioni di salute e pone al centro la qualità della vita delle persone affette da patologie. Possiamo, quindi, pensare che con l’ICF il cambiamento è nel pensare più le condizioni di salute che quelle di malattie, la disabilità come un evento dinamico e non statico, l’handicap come determinato da barriere esterne e non come condizione del singolo. Con l’ICF il termine benessere diviene centrale proprio perché considera fondamentale esaltare le risorse personali fisiche, sociali e ambientali delle persone al fine di garantire condizioni di vita ottimali.
    Dalla classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità, handicap si è passati alla classificazione internazionale delle funzioni ; il termine” menomazione” è stato sostituito da “funzioni”, il termine “disabilità” da “strutture corporee” e “handicap” da “attività e partecipazione”. Il termine attività è indicativo di un’attenzione differente all’individuo, che non viene più considerata in base ai suoi limiti funzionali ma soprattutto in relazione alle possibilità di superamento dei limiti stessi, mentre la partecipazione viene concepita come la possibilità di superare gli svantaggi sociali che un individuo può incontrare a causa di un deficit. Dunque, la modalità in cui una persona convive con il proprio deficit è determinata dall’interazione di fattori sociali che possono ora individuarsi in barriere o facilitatori che possono ostacolare o favorire un’esistenza normale. Sono le barriere architettoniche a rendere una persona disabile. Si pensi a tal proposito a luoghi in cui ci sono marciapiedi senza scivoli o di piccole dimensioni tali che persone su carrozzelle non riescono a muoversi in questi spazi oppure metropolitane prive di strutture adeguate per salite e discese. I facilitatori, invece, sono fattori che mediante la loro presenza o assenza migliorano il funzionamento e riducono la disabilità. Essi includono aspetti quali la disponibilità di ausili, e gli atteggiamenti positivi delle persone verso la disabilità. Adottando questo sistema si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte integrante della società stessa. Gli ambiti in cui può essere utilizzato l’ICF sono: sanitario, sociale, educativo. In questo modo possiamo renderci conto di quanto sia importante il “contesto” nel quale viviamo. A proposito di contesto, durante il corso abbiamo avuto l’occasione di vedere un video nel quale i protagonisti erano 2 giovani ragazzi che appartenevano a contesti differenti, essi erano diversi per religione, lingua, tradizioni, ma si erano innamorati e i genitori di entrambi non erano d’accordo proprio per una questione di diversità, ma anche di pregiudizio. Il diverso, infatti, è spesso considerato lo straniero, colui che incute timore perché crea delinquenza nella società ospitante e quindi viene emarginato dalla società. Egli viene isolato poiché è distante da quello che siamo noi. In altri casi il diverso viene anche associato al disabile, ma a mio parere non è una giusta associazione in quanto ognuno di noi è diverso dall’altro; in questo caso credo sia giusto parlare di diversabile in quanto il disabile è una persona con delle capacità, abile nel fare determinate cose. In questo corso abbiamo avuto modo di conoscere persone diversamente abili tra cui l’incontro con il sig. Palladino, un uomo che ha perso la vista da piccolo e ora convive con questo suo disagio. Egli è un esempio di quanto detto sopra in quanto riesce a fare cose che noi normodotati non sappiamo fare. Ho citato quest’uomo perché è stato uno degli incontri più piacevoli e più emozionanti, perché ho notato che pur convivendo con questa disabilità, è un uomo con un grande coraggio, con una immensa voglia di vivere e per di più con un forte senso di ironia. Un’altra persona che vorrei citare, ma che purtroppo non ho conosciuto, è Simona Atzori. In aula abbiamo visto un video che rappresentava brevemente come è la vita di Simona, e ancora una volta posso ribadire che le persone disabili sanno fare davvero tanto, ne è un esempio questa giovane donna la quale riesce a guidare con i piedi non avendo braccia, disegna con i piedi e per di più balla sostituendo i piedi alle braccia. Chi di noi riuscirebbe a farlo? Perciò è giusto pensare un po’ di più quando parliamo di disabilità e di persone disabili, considerando il loro essere speciali.
    2)Da qui vorrei riprendere una frase di Anna Maria Murdaca, docente e autrice che si occupa di questioni relative la persona con disabilità, la quale afferma: “Non si deve definire nessuno per sottrazione”. Ella scrive il testo: “ Complessità della persona e disabilità”; i temi che emergono sono l’integrazione, la cura e la relazione educativa, la globalità della persona, l’ambiente e lo spazio riparativo. Il testo mira ad una rimodulazione del termine “integrazione”, alla comprensione delle reali condizioni di vita, quale ruolo effettivamente possono assumere i soggetti disabili e quali servizi vengono erogati per le loro esigenze.
    Secondo l’autrice occorre dirigersi verso l’inclusione adottando l’ottica della globalità, una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del comportamento e dell’assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione. Da un lato una simile cultura impone un’ottica flessibile articolata sulla continua modificabilità del soggetto, da cogliere nella sua prospettiva biografica; dall’altro necessita di un ripensamento dell’integrazione, intesa come “spazio riparativo” dove il disabile può sperimentare con gli educatori una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, ricostruiti e integrati all’interno della relazione educativa. L’obiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità perché si tratta di persone e si caratterizzano per le capacità non per quello che non sanno fare. L’ integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di strategie, soluzioni idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili. Diviene, così, costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, i mezzi per costruire la propria identità. Lo scopo è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili in una comunità che li educa e li fa crescere. Perché ciò sia possibile è necessario un lavoro integrato in grado di coniugare l’aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, assicurando iniziative di vera promozione personale.
    L’integrazione avviene nel contesto sociale ed è proprio esso a determinare la condizione di handicap, sono gli ostacoli e le barriere, non solo architettoniche, ma anche fisiche(mentali e culturali) a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. Quindi l’ambiente ha una certa influenza sulla vita degli individui a partire dal contesto familiare , dalla scuola ,fino alle politiche sociali e al contesto lavorativo. In quest’ottica la scuola rappresenta un’importante istituzione, poiché insieme alla famiglia, può contribuire a sviluppare una buona integrazione e buone capacità e competenze nell’alunno disabile, quindi anche la figura dell’educatore e dell’insegnante è di fondamentale importanza in quanto questi devono possedere adeguate informazioni allo scopo di fornire al bambino con disabilità il giusto equilibrio sia fisico che mentale. L’integrazione deve consistere in un’azione di sviluppo, interazione, modulazione e risposte emotivo-affettive. Rimodulare l’integrazione vuol dire proprio guardare alla globalità della persona che non può venire scomposta in funzioni che possono essere curate separatamente .Il nuovo progetto sarà una politica socio - educativa che consiste in :Integrazione, Differenziazione, Personalizzazione attraverso i contesti di apprendimento, ausili e attraverso una buona costruzione della conoscenza. Tutto ciò è finalizzato a sollecitare nei soggetti disabili lo sviluppo di indipendenza e emancipazione.
    Per quanto riguarda il concetto di cura, essa è volta alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare, aiutando la persona con deficit a ridare senso e significato alla sua personale esperienza, a ricordarsi di sé e dell’unicità della sua storia per accettarsi e convivere con la propria specialità. Quindi diventa “cura di se ”,ovvero addentrarsi nella propria vita interiore e esplorare le profondità dell’esperienza, si impara cosi a vivere la propria interiorità senza temerla, a stare in dialogo con essa. L’aver cura di sé, dunque, permette uno sguardo più profondo che coglie, di fronte a ogni difficoltà, l’essenza delle cose senza fermarsi all’apparenza. La vera novità è che non si mira all’accudimento ma all’emancipazione del soggetto con disabilità, che fa parte del processo di maturazione psico-cognitiva, psico-affettiva e psico-sociale che richiede ambienti e contesti attendibili e sostenibili. Inoltre occorre costruire una serie di attività atte a rendere significativa la presenza dei disabili attraverso esercizi didattici.
    Molto importante è anche la relazione educativa; essa è uno spazio riparativo nel quale il disabile sperimenta con gli educatori vissuti intrapsichici che una volta elaborati, consentono agli operatori di progettare delle opportunità educative da offrire al disabile affinchè egli stesso ripensi alle proprie capacità funzionali ed elimini maschere, blocchi, disagi scoprendo in questo modo le forze resilienti capaci di far superare le difficoltà insite nel profondo della personalità. Collegare le esperienze che il soggetto quotidianamente affronta con il suo fare biografia emotivo-affettiva è utile per una diagnosi clinica funzionale. La relazione educativa è anche un complesso legame che si forma tra docente e discente, ovvero rappresenta l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l’educatore e coloro che egli educa. Questa relazione deve essere incontro, partecipazione, alleanza e non basata su una disparità di poteri tra insegnante e alunno, in quanto ogni relazione è educativa dal momento che è portatrice di valori, opinioni in cui ogni individuo riceve qualcosa. Assolutamente necessario è il rispetto reciproco, fondamentale per rendere positivo l’incontro. Alla base di una relazione educativa vi è la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all’ascolto, all’accoglienza e dando spazio alla libertà dell’altro. In questo modo si verifica uno scambio di emozioni e di conseguenza anche un legame affettivo che permette alla persona che è in difficoltà ad esempio di fidarsi ; l’educatore deve ,quindi, essere paziente, sensibile, accettare il pensiero altrui, deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, arricchendole di conoscenze e allo stesso tempo deve essere pronto a mettersi in discussione e migliorarsi; inoltre deve comprendere e attuare la relazione a seconda del tipo di alunno che si ha davanti, valorizzandone le caratteristiche soggettive, infine, deve creare un clima sereno e una serie di situazioni che possano mettere a proprio agio il soggetto che ha di fronte, coinvolgerlo e renderlo partecipe nelle attività scolastiche ed extrascolastiche. Bisogna creare un rapporto alla pari senza creare differenze, in modo tale che il soggetto si senta libero di esprimere le proprie idee e confrontarsi liberamente con altri soggetti , quindi una relazione educativa basata non solo sul rispetto ma anche sulla parità in cui entrambe le persone ricevono e danno qualcosa. In questo senso la relazione educativa può essere definita come un’occasione di formazione bilaterale, nel senso che l’educando apprende grazie all’educatore, e l’educatore grazie all’educando poiché attraverso la pratica può rendere migliore il suo lavoro e quindi le tecniche di educazione.
    Nel caso di un disabile il compito dell’educatore è di mettere in atto specifici programmi per fare emergere le doti del disabile, non mettendone in luce le “mancanze” ma evidenziare le capacità e le potenzialità di una persona. A tal proposito un’interessante proposta del testo “Complessità della persona con disabilità” di Murdaca è ripensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità, i quali, non sono soggetti passivi di pietismo ma altrettanto responsabili di questa relazione e quindi cittadini a pieno titolo e in quanto tali aventi diritto all’autonomia e all’indipendenza. Dunque, da quanto detto possiamo affermare che la relazione è un obiettivo educativo di primaria importanza che richiede tempo e impegno dei soggetti in questione, è un processo in quanto implica dinamiche e trasformazioni in ciascuno dei partner. La finalità della relazione educativa è educare alla relazione con gli altri e che le prime relazioni costituiscono un modello per quelle future.
    3)Il contesto, dunque, gioca un ruolo determinante non soltanto per quanto riguarda i disabili e il loro inserimento nella società, ma anche e soprattutto nel caso in cui si vuole raggiungere un ideale: il corpo perfetto. Questo, negli ultimi tempi è diventato un aspetto fondamentale per emergere nella vita; fonti di informazioni tra cui riviste, televisione, radio sono sempre più fondate sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità. Sono soprattutto le donne e giovani adolescenti che ricorrono alla chirurgia estetica per rendere il proprio corpo più bello. Il miglioramento fisico ed estetico è l’adempimento dei bisogni della donna cioè quello di essere bella. Remaury, ne “Il gentil sesso debole”, afferma che siamo orientati verso una corsa alla perfezione, si vuole raggiungere la triade giovinezza- bellezza- salute. Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che una donna oggi deve continuare ad avere se vuole, in un certo senso, essere accettata dalla società; coloro che non si adeguano a questi canoni di bellezza finiscono con il sentirsi umiliate. È, quindi, opportuno dare una spiegazione riguardante il corpo trasfigurato, il corpo esatto e il corpo liberato. Il corpo trasfigurato è legato all’immagine della perfezione corporea, il corpo deve raggiungere la perfezione grazie ai progressi della scienza; il corpo esatto è il modello dominante e compie progressi verso la perfezione; infine il corpo liberato di cui parla Lipovetsky ne “La terza donna” lo è dalla malattia, dal peso, dal tempo cioè sano, magro e giovane per questo si parla di salute totale, perfetta bellezza ed eterna giovinezza. Un corpo è considerato bello, energico e perfetto quando si svincola dalle minacce esterne (dal peso, dalla malattia, dal tempo). Il controllo della propria immagine conduce la donna verso il corpo realizzato. La donna diventa colei che gestisce e controlla la propria immagine all’interno della variegata offerta di modelli sociali, tra i quali sembra di poter scegliere quello che più le è congeniale. C’è la convinzione che la donna si identifichi necessariamente in quei determinati modelli. Braidotti, nel testo “ Metamorfosi” proponeva un nuovo modo di pensare la soggettività femminile, un modo di segnare la femminilità con la corporeità in continua metamorfosi, un femminile virtuale. Il nuovo femminismo è il cyberfemminismo nei computer. La differenza tra femminismo e cyberfemminismo è il mezzo, cioè il computer, prolungamento delle nostre menti. Le cybergirl sono soggette a numerose interpretazioni e si ritrovano, in qualche modo, dentro le tecnologie. Queste portano alla ribalta di un nuovo tipo di maschile e femminile, cioè il cyber tecnologico. Sempre Braidotti, nel libro “Madri, Mostri e Macchine, parla di mostruosità del corpo e sostiene che la donna com’è capace di deformare il proprio corpo durante il periodo di maternità, diventa qualcosa di orribile, mostro e madre allo stesso tempo. Da qui Braidotti propone di incarnare, oltre alla maternità e mostruosità anche il corpo macchina, ella sperimentava un atteggiamento creativo nei confronti delle tecnologie, strumento utile per arginare il conflitto di genere portando la differenza sessuale nei mondi elettronici, digitali, virtuale. Si parla, quindi, di tecnocorpo cioè un soggetto umano incarnato che è strutturalmente interconnesso a elementi tecnologici .Ad esempio si ha un tecnocorpo quando il computer diventa parte del corpo umano. Il computer viene inteso come protesi. A tal riguardo durante il corso abbiamo affrontato il tema delle protesi estetiche, cioè dispositivi che hanno lo scopo di sostituire una parte mancante del corpo; queste sono state create per migliorare un deficit, una malformazione, ma ora sono usate per lo più per scopi estetici . Io credo che bisogna accettarsi per come si è, senza ricorrere troppo all’utilizzo di chirurgie estetiche che spesso si trasformano anche in pericolosi interventi. L’unica vera bellezza è quella interiore, quindi non dovremmo assolutamente farci influenzare da questi canoni di bellezza.

    Federica Riccardo
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    Messaggio  Federica Riccardo Lun Mag 21, 2012 3:10 pm

    L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1970 ha dato vita alla prima classificazione Internazionale delle malattie,più comunemente chiamata ICD.Il compito di questa classificazione è di porre l'attenzione sull'aspetto eziologico della malattia.Per facilitare la comunicazione tra i medici,le disgnosi vengono tradotte in codici numerici,creando così una sorta di enciclopedia medica.Nel 1980 l'OMS costituisce una seconda classificazione internazionale l'ICIDH,la quale fa una distinzione tra:menomazione,disabilità ed handicap.MENOMAZIONE intesa come perdita o anormalità a carico di strutture fisiche o psicologiche,DISABILITA' intesa come impossibilità di svolgere le proprie mansioni a causa di menomazioni/minorazioni,HANDICAP intesa come lo svantaggio che le persone affette da disabilità subiscono.Questa classificazione negli anni ha mostrato una serie di limitazioni,poiche nell'ICIDH si considerano solo i fattori patologici, mentre un ruolo determinante nella limitazione o facilitazione dell'autonomia del soggetto è giocato da quelli ambientali.Nel 2001 l'OMS crea una nuova classificazione l'ICF ovvero Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute,che definisce piuttosto che le limitazioni,lo stato di salute della persona e gli stati ad essa annessi.In questa classificazione non si considerano solo i fattori biomedici e patologici,ma si prende in considerazione anche l'interazione sociale.L'ICF rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario,adottandolo si accetterà il diritto delle persone con disabiltà ad essere parte integrante della società.
    Come si è visto fin'ora ogni parola ha il proprio significato,come ho appena analizzato qui sopra gli acronimi ICD ICIDH e ICF.Le parole sono importanti,spesso capita di non saper dare il giusto valore e di abusarne in maniera eccessiva all'interno di discorsi.Le parole possono essere piene d'amore,ma anche taglienti e offensive,talvolta dettate dalla rabbia,talvolta dall'ignoranza.E' proprio questo il punto,sapere il corretto significato delle parole e utilizzarle nel modo giusto.Per tutti è semplice chiamare con il nome proprio una persona "normodotata",ma diventa difficile quando ci troviamo davanti una persona con disabilità.La guardiamo con pietismo definendola"disabile,handicappata",senza fermarci a peensare che dietro la disabilità c'è una persona con il proprio nome,la propria identità.Chi è il disabile?Il disabile è colui che è impossibilitato a svolgere le normali attività quotidiane a causa di disfunzioni motorie e/o cognitive,è colui che manca di una o più abilità oppure il diverso funzionamento di una o più abilità.Etichettiamo le persone affette da disabilità solo per una loro peculiarità senza andare oltre,come dice Gianni Scopelliti: " ...abbiate il coraggio della novità,abbiate occhi nuovi per scoprire che,prima di tutto,io "sono" .Chiamatemi per nome.".La condizione di disabilità è legata spesso a come gli altri o la società con le sue barriere architettoniche,fanno sentire il disabile.Le barriere architettoniche sono un vero e proprio ostacolo per la vita dei disabili,è assurdo che quest'ultimi non possano godere di una semplice passegiata in centro o poter svolgere i normali compiti quotidiani in piena libertà;a causa di marciapiedi troppo alti o strade piene di buche che perfino io persona "normale" ho rischiato di cadere più volte.Nonostante le grandi difficoltà che incontrano nel loro percorso i disabili sono persone dotate di grande ironia e sanno prendere la loro condizione con "leggerezza".La parola disabilità ha dato spazio ad una fusione tra divers-abile,creando così DIVERSABILE dando così l'opportunità di vedere i disabili sotto un'altra ottica,con una propria identità.
    La diversità invece è la collocazione di alcune persone in determinate categorie.Quando pensiamo alla parola diverso,pensiamo subito a qualcosa/qualcuno non conforme alla normalità.Il concetto di normalità è relativo e soggettivo,non esiste una definizione che sia oggettiva e universale. Il disabile è considerato diverso dalla massa e lontano da noi,per questo quando capita di incontrarne uno lo guardiamo con curiosità,come un alieno,perchè non siamo abituati al concetto di diversità che infondo tutti noi siamo.Il concetto di diversità ed emarginazione l'ho afferrato per bene durante la simulazione sindaco/emarginazione dove i cittadini con gli occhiali erano tagliati fuori da qualsiasi attività all'interno della società.Da qui ho capito realmente come ci si sente esclusi da tutto e da tutti,incapaci di dare sfogo alla propria voce e confinati ai margini della società.L'autrice Murdaca nel testo “Complessità della persona e disabilità”,affronta la ricostruzione del termine integrazione,ricostruzione di una nuova cultura della disabilità e il ruolo che possono effettivamente assumere i soggetti disabili,quali servizi vengono erogati per loro e le loro esigenze.Per la Murdaca è necessaria la parola globalità,che sia attenta ad osservare non solo il comportamento del disabile e alla sua assistenza ma soprattutto venga visto come persona in evoluzione.L'handicap è una condizione di svantaggio che proviene dalla incapacità di conformarsi agli altri per via di cause fisiche e o cognitive.Murdaca infatti suggerisce,che sia proprio il contesto sociale talvolta a far sentire una persona disabile con l'handicap a causa di barriere architettoniche e spesso anche mentali.Il contesto sociale quindi è fondamentale per un disabile che impara il confronto,la relazione educativa con l'altro.Gli ambienti dove si sviluppano maggiormente le relazioni educative sono la famiglia e la scuola,entrambi di grande aiuto per l'integrazione sociale.L'integrazione è favorita dalla relazione educativa ovvero lo scambio con l'altro,la condivisione di valori e quindi la crescita della persona.Le relazioni educative sono: madre-figlio,docente-alunno e educatore -educando.La figura dell'educatore non è semplice,ha l'incarico di entrare in relazione con l'altro senza forzature ma in punta di piedi.Il suo ruolo è quello di referente per la persona che gli chiede aiuto,e di fronte ad una persona con disabilità non deve cercare di risolvere il problema,ma di aiutare,fungendo da sostegno per colui che è in difficoltà.La simulazione svolta in aula in due setting è stata chiarificatrice,almeno per me.Mi ha aiutata a capire il ruolo estremamente importante dell'educatore e di quanta pazienza e dedizione ci voglia se si vuole intraprendere questo cammino. E' importante la prossemica,il modo in cui l'educatore si pone nei riguardi della persona che chiede aiuto.Una postura che infonda serenità e sicurezza all'educando è positivo in quanto sarà più facile per quest'ultimo aprirsi e raccontare i propri problemi.Il lavoro che svolge l'educatore non è semplice,deve essere bravo a saper entrare in punta di piedi nella vita dell'educando senza urtare la propria sensibilità,il suo obiettivo è quello di rieducare e condurre il soggetto a cambiamenti positivi.Spronare il soggetto a migliorarsi nei confronti di una determinata situazione che gli è di ostacolo,non proporgli la soluzione,ma "restituire" cioè capire il problema e accompagnare così il soggetto nel percorso educativo.
    Fin'ora abbia parlato della figura del disabile e delle difficoltà connesse alla propria condizione.Ora invece parliamo della disabilità che va incontro alla tecnologia.Con i grandi passi effettuati nel campo della tecnologia è stato possibile restituire una vita migliore a coloro che sono disabili attraverso le protesi.Un esempio calzante è Oscar Pistorius il quale ha perso entrambe le gambe quando era piccolo,grazie alle protesi flex-foot in fibra di carbonio è riuscito ad arrivare lontano correndo!
    A fare ricorso alle protesi non sono solo le persone affette da problemi gravi,ma anche i cosiddetti “normodotati” che sono sempre più numerosi per farsi “ritoccare” i propri difetti.L'aspirazione verso la perfezione è sempre più accentuata nel nostro tempo.Gli stereotipi che propongono i mass-media sono sempre più magri e perfetti, e se ne stanno lì in quella grande scatola con i loro sorrisi fittizi,quasi sembrano di plastica.C'è una continua ricerca spasmotica di raggiungere livelli di perfezione assoluta per sentirsi accettati dagli altri e da se stessi.Remaury ne “Il gentil sesso” afferma che siamo orientati verso una corsa alla perfezione,dove l'unico obiettivo da raggiungere è quello di rimanere eternamente: GIOVANI,BELLI e in SALUTE,tenendo lontani difetti e malattie.Lipovetsky ne “La terza donna” attribuisce tre fasi della donna: la donna svalutata e sfruttata,dove la donna era vista come la allevatrice dei propri figli e non come figura e modello di riferimento nella società;nella seconda fase la donna diventa assume un ruolo diverso,con i propri valori e diventa un'icona attiva all'interno della società.Infine nella terza fase la donna del XXI secolo,intrapendente ed indipendente,che fa del suo corpo ciò che vuole,una conquista di perfezione costantemente.Secondo la Braidotti invece con Madri Mostri e Macchine,parla dei grandi mutamenti che sono avvenuti nelle bio-tecnologie,cambiando il discorso sulla riproduzione e la relazione umana con la materia corporea.Il corpo infatti è visto come qualcosa da cambiare,per questo si parla di corpo di ricambio,e di corpo-macchina.Protesi,impianti,ritocchi...tutte misure che vengono prese oggi da chi è insoddisfatto del proprio corpo,da chi è alla ricerca di perfezionare la sua parte esteriore dimenticandosi che una ruga sul viso non è solo un segno fastidioso da vedere,ma racchiude tutte le esperienze positive e negative che questa vita così tormentata e infinitamente meravigliosa ci offre ogni giorno.


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    Messaggio  rossellastallone Lun Mag 21, 2012 3:18 pm

    1 ESECIZIO L’OMS è l’Organizzazione Mondiale della Sanità. La prima classificazione elaborata dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità è ICD del 1970, che risponde all’ esigenza di cogliere la causa delle patologie,fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Questo sistema di classificazione, però, con il passar del tempo venne sostituito con ICIDH che cerca di risolvere alcuni problemi riguardanti le definizioni. La nuova proposta dell’ OMS si basa su tre fattori tra loro interagenti e interdipendenti: la menomazione, la disabilità, e lo svantaggio o handicap. La menomazione è qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica. E’ un danno organico. La disabilità è l’ incapacità , conseguente alla menomazione, di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti e funzioni ritenute normali per l’ individuo. L’ handicap è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni. Poi nel 2001 l’ OMS propone ICF che sta per Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute secondo cui la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati. L ICF è stato introdotto perché le informazioni che vengono date dalle diagnosi mediche non erano giudicate sufficienti per avere il quadro funzionale della persona ed è stato ideato per essere usato con tutte le persone di qualunque età. Questa classificazione rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario. Durante il corso abbiamo anche trattato più volte l argomento della parola disabile. Il disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana,affetto da disfunzioni motorie, cognitive inoltre i disagi sociali che riscontra il soggetto possono influenzare anche la sua sfera psicologica. E’ una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità oppure dal diverso funzionamento. Molte persone però nonostante la loro condizione riescono a condurre una vita normale ad esempio l Atzori. Lei è un esempio da seguire per la sua tenacia, l amore che ha per la vita fanno sì che è riuscita ad affrontare le difficoltà. Il video visto in aula mi ha davvero coinvolto, il suo modo di danzare, leggera, trasmetteva emozioni indescrivibili. Truccarsi, bere il tè, portare l auto sono cose davvero da invidiare perché per fortuna non tutti si arrendono ma cercano nonostante la loro disabilità di guardare avanti. Il diverso invece è colui che la società concepisce e vede come un qualcosa o qualcuno difforme dalla “normalità”. Può essere una persona con una malformazione fisica o psichica ma può essere anche uno straniero,ecc. La presenza del cosiddetto "diverso" nella società come a scuola genera conflitti, mette in crisi il normale funzionamento del sistema e condiziona in modo forte la formazione e la crescita dei singoli, tanto più se si tratta di bambini. 2 ESERCIZIO Possiamo adesso prendere in considerazione il testo Complessità della persona e disabilità di Anna Maria Murdaca; i temi trattati sono integrazione, alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, ridefinizione di un progetto di vita per le persone disabili. L’ integrazione è fondamentale per la vita di una persona disabile. Secondo Murdaca è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap, sono gli ostacoli a favorire il processo di esclusione oppure di emarginazione. L’ integrazione è un processo continuo e non un punto di arrivo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie a preservare i diritti acquisiti dei disabili. Quindi una nuova cultura, attenta non solo al funzionamento, del comportamento e dell’ assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica, che può essere disorganizzata da errate interazioni. Oggi giorno mi accorgo che la nuova generazione guarda questi soggetti come qualcosa di diverso e da escludere perché non riescono a capire che sono persone come noi e che facendo così, escludendoli dalla classe, dal gruppo gli fanno solo del male? Dovrebbero aiutarli, starli vicino ad esempio nel contesto scolastico avrebbero bisogno solo di un po’ di conforto invece di essere esclusi. Come vorrei far capire a queste persone che non devono guardarli con occhi strani ma soltanto porgerli la mano. L’intento di Anna Maria Murdaca è quello di rendere, soprattutto sul piano psicologico, le persone disabili pari a coloro che non lo sono, favorendo la loro inclusione in ogni ambito dell’esistenza. Il soggetto può essere affiancato da qualcuno che lo aiuti, lo ascolti che abbiamo cura di lui. Costruire la relazione è un obiettivo che richiede tempo ma soprattutto grande impegno da parte dei soggetti. 3 ESERCIZIO REMAURY. La cultura della donna si confonde con quella della bellezza. Molte persone giudicano tutto ciò che è attraente esteticamente anche con virtù interiori. Si parla di un corpo trasfigurato legato dalla perfezione corporea. Quindi secondo Remaury siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obbiettivo: giovinezza, bellezza-salute.LIPOVETSKY. La liberazione della terza donna ,sottolinea come essa sia sottomessa ai modelli dominanti ed al controllo della propria immagine , un apparente posizione di grazia che le consente di raggiungere una fase positiva della cultura della bellezza. BRAIDOTTI. Madri mostri e macchine. Secondo l autrice la donna è capace di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa per i maschi qualcosa di orribile; quindi sostiene che dopo la trasformazione di prestarsi al gioco di predefinire sia le tecnologie attuali sia l immaginario che le sostiene. Bisogna accettarsi per quel che si è senza far intervento a protesi estetiche e quant’ altro. Pultroppo negli ultimi anni è diventata quasi una moda fare interventi chirurgici, e non parlo solo per noi giovani ma soprattutto per quelle donne che ormai, raggiunta la maggiore età non riescono ad accettarsi, e cercano sollievo attraverso operazioni. Sono daccordissimo che vengano usati per migliorare la vita come ad esempio il caso analizzato in aula di Pistorius ma non per quanto riguarda l essere perfetti perché ormai ciò che viene visto è solo la bellezza .
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    Messaggio  daniela oliva Lun Mag 21, 2012 4:12 pm

    Punto 1:

    L’OMS, agenzia dell’ONU per la salute, si propone come obiettivo il raggiungimento da parte di tutte le popolazioni del livello piu’ alto possibile di salute, definita come condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non solo come assenza di malattia.
    Nel 1970 la prima classificazione che l’OMS elabora è l’ICD (Classificazione Internazionale delle Malattie), che si focalizza sulla causa delle patologie, sulla descrizione delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle patologie. Al fine di rendere omogenei i dati nel mondo, l’ICD traduce le diagnosi in codici numerici che permettono la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. L’ICD, quindi, è una sorta di enciclopedia medica, nella quale la disabilità viene fatta coincidere con la malattia.
    Nel 1980 l’OMS ha poi realizzato una seconda classificazione internazionale, l’ICIDH (Classification of Impairment, Disabilities and Handicaps), poiché l’ICD aveva rivelato vari limiti di applicazione. L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute.
    Questa classificazione distingue tra:
    - menomazione, intesa come perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica;
    - disabilità, ovvero qualsiasi limitazione delle capacità di agire conseguentemente ad uno stato di menomazione;
    - Handicap, che dipende dal contesto e consiste nello svantaggio vissuto da una persona a seguito di disabilità o menomazione.
    Questi tre termini verranno poi sostituiti dai termini “menomazione, abilità, partecipazione”, al fine di porre maggior attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale.
    Per ovviare ai limiti dell’ICIDH, l’OMS nel 2001 ha pubblicato il manuale di classificazione ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), che propone una definizione del concetto di disabilità come una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. L’ICF sostituisce ai termini menomazione/disabilità/handicap, dalla connotazione negativa in quanto indicano qualcosa che manca per raggiungere la globalità organica, funzionale e sociale della persona, i termini “ Funzioni/ Strutture corporee/ Attività e Partecipazione”. Con l’ICF si inizia a parlare di globalità della persona e non vengono classificate solo le condizioni di salute, le malattie e i traumi, ma anche le conseguenze associate alle condizioni di salute.
    Il nuovo passaggio compiuto dall’ICF elimina il lato negativo ancora attribuito alle persone disabili, ed evidenzia il contesto sociale a discapito di quello medico, precedentemente di maggior rilievo.
    Dal susseguirsi di queste classificazioni ( ICD/ ICDH/ICF), le quali hanno proposto l’utilizzo di termini sempre piu’ adeguati e rispondenti all’esigenza di considerare il disabile come persona, emerge l’importanza delle parole utilizzate relativamente alla disabilità.
    Canevaro sostiene che le parole utilizzate nel campo della disabilità sono importanti, per cui bisogna sceglierle con ponderazione. E’ fondamentale non fare confusione tra deficit, disabilità e handicap, perché l’uso di termini impropri puo’ avere l’effetto di aumentare l’handicap, anziché ridurlo.
    L’esercizio svolto in aula ( la mappa degli stereotipi), mi ha fatto riflettere sulla generale confusione che esiste riguardo ad alcune parole. In particolare il mio gruppo ha discusso a lungo su cosa significhi “diverso” e, confrontandoci, siamo giunte a definire diverso colui che si distingue da un altro individuo per le proprie caratteristiche uniche e personali. 
    Personalmente credo che la maggior parte delle persone considera diverso colui che non rientra nei convenzionali canoni di normalità, e questo mio pensiero è stato in qualche modo confermato dalle scene del film “indovina chi viene a cena?” trasmesse durante la lezione.
    C’è stata una scena che mi ha colpito, nella quale l’attore diceva al padre: “ Tu ti consideri ancora un uomo di colore, mentre io mi considero un uomo”. Questa frase, cosi’ breve ma piena di significato, mi ha fatto rendere conto di quanto la società e la cultura limitino e condizionino la vita di ciascuno di noi.
    Tutto cio’ che è diverso, e quindi non si conosce, di solito puo’ intimorire e spaventare. Il disabile, ad esempio, ci fa paura perché è diverso da noi. La diversità porta alla categorizzazione, cioè alla collocazione di certe persone in determinate categorie.
    La condizione di disabilità diventa cosi’ il fattore identificante l’intera persona, che non viene piu’ riconosciuta nella sua interezza, ma in uno solo dei suoi aspetti essenziali.
    Diverso puo’ essere chiunque si distingue dagli altri per le sue caratteristiche e non solo una persona affetta da una menomazione fisica o psichica.
    La categorizzazione causata dalla diversità e la conseguente emarginazione della persona categorizzata ci è stata dimostrata praticamente dalla professoressa Briganti quando ci ha sottoposto alla simulazione del sindaco dittatore. In questa simulazione io sarei dovuta rientrare nel gruppo degli emarginati, ma ho tolto gli occhiali e sono rimasta dov’ero per 2 motivi: la sola idea di essere messa in disparte e di non avere voce in capitolo, a causa di un pregiudizio, mi infastidisce, e poi volevo trovarmi in una posizione neutrale per poter osservare meglio cosa accadeva in entrambi i gruppi.
    Il vedere che il gruppo dei cittadini era cosi’ attento a delle cose banali e che non si preoccupava minimamente del gruppo degli emarginati, mi ha fatto rendere conto di quanto, in generale, possa essere angosciante la situazione di una persona emarginata, che solitamente non viene considerata e ascoltata e verso la quale gli altri mostrano una totale indifferenza.
    Come sostiene Murdaca, quindi, è importante valutare quanto l’ambiente (società, famiglia, contesto lavorativo, etc.) influenzi la vita degli individui, lo stato di salute e quanto possa ridurre le nostre capacità di svolgere le mansioni che ci vengono richieste e porci in una situazione di difficoltà.

    Punto 2:

    Il testo di Murdaca “Complessità della persona e disabilità” mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione e alla comprensione delle reali condizioni di vita dei disabili, di quali sono i ruoli che essi possono effettivamente assumere e di quali servizi vengono erogati per le loro esigenze.
    Murdaca sostiene l’esigenza di abbandonare la logica dell’inserimento e dirigersi verso l’inclusione adottando l’ottica della globalità.
    Nuova cultura della disabilità significa riflettere sulle principali norme e disposizioni che regolano la tutela ed i servizi in favore dei soggetti in situazioni di disagio. In Italia, ad esempio, ci sono tante leggi sulla disabilità che, pero’ non vengono applicate.
    E’ necessario, infatti, riflettere sul problema delle barriere architettoniche e delle emergenze, sui materiali e ausili che la tecnologia mette a disposizione, sulle possibilità e le potenzialità di inserimento lavorativo.
    Secondo Murdaca è il contesto sociale determina la condizione di handicap, sono gli ostacoli e le barriere fisiche (mentali e culturali) a favorire il processo di esclusione o quello di emarginazione.
    Spesso mi sono ritrovata a riflettere sul problema delle barriere architettoniche, poichè mia nonna, a causa di un incidente, si è ritrovata sulla sedia a rotelle. I limiti provocati da queste barriere hanno impedito a mia nonna di uscire di casa, costringendola a trascorrere gli ultimi anni della sua vita chiusa entro le mura di casa. Per un disabile è tutto piu' complesso...Oltre ad affrontare le difficoltà connesse alla sua disabilità, deve anche combattere quotidianamente contro una società che gli pone innumerevoli ostacoli.
    I video visti in aula mi hanno portato a d una considerazione: Le barriere architettoniche rappresentano una violazione dei diritti umani.
    La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, infatti, sancisce che "tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti e ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona", ma le barriere architettoniche impongono notevoli limiti all'autonomia e alla libertà delle persone disabili, violando, in primis, il principio di eguaglianza.
    L’obiettivo di questa nuova cultura della disabilità è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità. Rimodulare l’integrazione in prospettiva umanistica significa, infatti, guardare alla globalità della persona.
    Non si puo’ considerare una persona per parti, non si deve definire nessuno per sottrazione, perché quando si parla di disabili si parla di persone.
    Bisogna dare importanza alle capacità residue e promuovere l’integrazione e l’autonomia, cioè bisogna aiutare la persona disabile ad usare gli strumenti che permettono l’integrazione nella società.
    Simona Atzori, ad esempio, non ha entrambe la braccia, eppure riesce a danzare, a dipingere e a svolgere le varie attività della vita quotidiana. Sembra impensabile, ma lei, modello esemplare di resilienza, utilizzando i piedi, fa tutto cio' e si è riuscita ad integrare perfettamente nella società.
    Nel nuovo scenario proposto da Murdaca non si mira all’accudimento, ma all’emancipazione del soggetto con disabilità. Bisogna costruire una serie di attività finalizzate a rendere significativa la presenza dei disabili attraverso “buone prassi” didattiche.
    Non basta cioè l’educazione classica, ma è necessario favorire la crescita della persona in tutte le varie dimensioni e il senso di appartenenza alla comunità educatrice.
    La relazione educativa è no spazio riparativo nel quale il disabile sperimenta con gli insegnanti e gli educatori una serie di esperienze e di vissuti emotivo-affettivi che gli consentono di ripensare al proprio stato e alle proprie capacità.
    La relazione educativa si trova in vari ambiti professionali e familiari. Si tratta di un incontro-alleanza-scambio alla pari, non asimmetrico tra educatore ed educando.
    In questa relazione, infatti, l’educatore deve mettersi sullo stesso piano dell’interlocutore .
    Durante la lezione abbiamo assistito a 2 simulazioni relative alla relazione educativa:
    Nel primo setting erano coinvolti educatore-mamma-bambino-insegnante di sostegno (che non si era presentata a lezione), mentre nel secondo setting erano coinvolti un educatore e una ragazza di 17 anni con difficoltà di socializzazione. 
    E’ stato molto interessante osservare l’organizzazione dello spazio fisico in cui doveva avvenire l’incontro e l’atteggiamento dell’educatore nel porsi come partner nella relazione.
    Murdaca, inoltre, sostiene che la disabilità non è sempre identificabile con la malattia, per cui bisogna abbandonare il termine di cura in senso di curabilità. Il concetto di cura deve essere inteso come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti.
    La cura, quindi, è un atto di umana comprensione che permette di aiutare la persona con deficit a ridare senso e significato alla sa personale esperienza, a ricordarsi della sua unicità, per accettarsi e convivere con la propria specialità.
    La nuova Politica Socio-Educativa consiste, quindi, in:
    - integrazione
    - Differenziazione
    - Personalizzazione
    Ci interessano i contesti di apprendimento, le strategie, gli ausili, la costruzione della conoscenza. La finalità di questa nuova politica socio-educativa è quella di sollecitare nei soggetti disabili lo sviluppo di indipendenza ed emancipazione.

    Punto 3:

    Tutti noi, relativamente al nostro corpo, viviamo un rapporto complesso con l’immaginario collettivo. La società, la cultura e in particolare i media, infatti, impongono determinati modelli estetici e promuovono la trasformazione fisica e il raggiungimento dell’altro corpo, quello che tutti definiscono bello e perfetto. Specialmente noi donne tendiamo a modificare continuamente il nostro corpo per rispondere ai dettami della società e della moda.
    Remaury dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza, bellezza e salute.
    Lipovetsky nel testo” La terza donna” sostiene che la donna si trova a dover scegliere tra vari modelli sociali quello che le è piu’ congeniale: eterna giovinezza, perfetta bellezza e salute totale. Attraverso la conquista di questi 3 obiettivi la donna giungerà alla sua ideale perfezione. Rosi Braidotti nel testo “Madri, mostri e macchine” si oppone all’inflazione discorsiva intorno alla materia corporea, perché va ripensato il rapporto corpo-mente. La Braidotti riflette anche sul cambiamento corporeo che avviene nella donna durante la maternità, periodo durante il quale il corpo della donna si deforma, per cui nell’immaginario maschile la donna rappresenta qualcosa di orribile:mostro e madre insieme. E’ a partire da questa visione che viene riproposto alla donna un nuovo corpo, che viene definito corpo-macchina.
    Postman, invece, dice che “oggi si pensa che il corpo sia obsoleto e percio’ si lavora duramente per sostituirlo con qualcosa di meglio”. Si parte quindi dall’idea che il corpo dell’uomo sia manchevole e debba essere aggiustato con pezzi di ricambio, cosi’ come le macchine.
    Il punto è che noi non siamo macchine, siamo persone! Questa eccessiva attenzione nei confronti dell’estetica e l’ossessione a raggiungere un corpo bello e perfetto, a volte pero’ diventa un vero problema per alcune di noi, in quanto si viene discriminati ed emarginati solo perché ci si discosta dal modello di bellezza promosso dalla società.
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    Messaggio  iolandadigennaro Lun Mag 21, 2012 4:37 pm

    L’organizzazione mondiale della sanità (OMS)è stata fondata nel 1948 con lo scopo di raggiungere un alto livello di salute.Nel 1970 l’OMS elabora l’ICD,acronimo che sta per “classificazione internazionale delle malattie”. L’icd risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie , fornendo per ogni sindrome e disturbo una classificazione e una descrizione di tutte le principali caratteristiche cliniche e diagnostiche dove tutte le cause venivano tradotte in codici numerici. Negli anni 80 invece si è parlato di ICIDH, dove si è dedotto che si poteva parlare o per meglio dire classificare la MENOMAZIONE, LA DISABILITA’ e L’HANDICAP. Questi termini furono in seguito sostituiti da: MENOMAZIONE, ABILITA’ e PARTERCIPAZIONE.negli anni 90 è nato l’ICF ossia una Classificazione in cui i fattori biologici e patologici non sono gli unici, ma viene presa in considerazione anche l’interazione sociale, infatti secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute che deriva da un contesto sfavorevole. questa non determina solo condizioni di salute, malattie o traumi, che fanno parte dell’ICD, ma riguarda anche le conseguenze associate alle condizioni di salute, in quanto pone al centro di tutte le indagini la qualità della vita delle persone che sono affette da qualche patologia per favorire la loro vita e le loro interazioni sociali. La disabilità” è una condizione di salute derivata dal contesto sfavorevole. Il contesto sfavorevole è causato da vari motivi,per disabilità indicheremo anche DEFICIT e HANDICAP. Il deficit è una privazione a livello organico e psichico ed è basato sulla mancanza totale o parziale di una determinata funzionalità fisica ed un esempio è dato dall‘ATZORI e da PISTORIUS i quali sono accomunati dalla mancanza dei propri arti. L’HANDICAP invece è quella difficoltà che affronta la persona disabile nei confronti degli altri a questo proposito ricordiamo la lezione riguardo le barriere architettoniche infatti la cosa che mi ha sempre colpita è l'assenza di soggetti in carrozzina sui mezzi pubblici; ciò mi fa maggiormente riflettere sulle difficoltà e sui maggiori handicap che le barriere architettoniche impongono ai soggetti disabili.
    Vorrei solo aggiungere che si dovrebbero attuare interventi immediati e diretti,progettare edifici,strutture adatte a rendere la loro vita meno frustrante. il DIVERSO invece è considerato tale solo da chi vuole veramente vederlo così infatti questo tema l abbiamo affrontato in uno dei laboratori dove la prof ci ha fatto vedere il film "indovina chi viene a cena" dove solo per il colore della pelle è considerato diverso quando poi ha gli stessi diritti di tutti. Per diverso consideriamo anche l emarginato colui che a causa di qualche problema di disabilità viene emarginato dalla società. Molto spesso le persone vengono categorizzate e quindi quelli che non fanno parte di un gruppo sociale vengono isolati ed emarginati. Ho avuto modo di partecipare ad un esperienza di emarginazione, ossia quello che riguardava i cittadini e gli emarginati. dove mi ha lasciata un attimo stranita il mio comportamento al cospetto di una persona emarginata, mi ha fatto sentire veramente male nel vedere alcune ragazze emarginate sulla pedana ed io ero cittadina anche nella mia vita scolastica o sempre vissuto esperienze del genere con ragazze considerate deboli venivano escluse ,io o sempre provato stima e rispetto nei loro confronti e spesso le invogliavo a reaggire ma la loro forza sta' nel loro silenzio e' veramente struggente l'egoismo di quelle persone .
    2) Anna Maria Murdaca, docente e autrice di “ complessità della persona e disabilità”,affronta in questo testo tematiche come: integrazione, complessità, inclusione e inserimento del disabile, tutte tematiche che conducono l’autrice in discorsi come:
    ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    rimodulazione del termine integrazione
    comprensioni delle reali condizioni di vita di una persona disabile
    Per ricostruire una nuova cultura della disabilità è necessario adottare l’ottica della globalità e dell’inserimento. L’ambiente,la persona e lo spazio di cura come luogo riparativo, permettono di ridisegnare in maniera corretta e nuova la relazione educativa, riducendo al minimo le possibilità di esclusione ed emarginazione. L’ambiente(società,famiglia,contesto lavorativo …) influenza fortemente la vita degli individui e può essere un ostacolo o una facilitazione . Per questo risulta importante valorizzare la persona ,rispettare le differenze. A questo punto è indispensabile capire che cosa si intende per relazione educativa. La relazione educativa è il rapporto tra una persona guida e una persona in difficoltà. I fine della relazione è capire i problemi,le difficoltà e le paure di chi ci sta di fronte.Essa si configura come un dare e un ricevere reciproco.Il rapporto educatore ed educando e' essenziale nel pieno rispetto di quello che si vuole creare insieme ,l'educatore deve essere una persona che nn giudica ma allo stesso tempo deve farsi rispettare senza confondere i ruoli ,propenso ad ascoltare .L'educando deve affidarsi all'educatore discutrendo, confrontandosi, confidandosi e rispettandolo insomma tra i due deve esserci una relazione educativa basata sulla volonta' di creare un rapporto.
    3) Remaury e Lipovetsky si occupano della nuova concezione del corpo. Un corpo che deve essere bello e perfetto. Remaury individua una vera e propria corsa alla perfezione che si pone come obiettivo la triade giovinezza- bellezza- salute nel suo libro "il gentil sesso debole". Pertanto emerge il concetto di corpo liberato da cui Lipovetsky prende spunto con il celebre libro La terza donna una liberazione del corpo dalla malattia cioè sano, dal peso cioè magro, dal tempo cioè giovane.Rosi Braidotti storiche e culturali in “Madri, mostri e macchine” arriva a spiegare il corpo femminile in cui vediamo la donna capace di deformare nella maternità il proprio corpo, una sua tendenza al corpo macchina per quanto riguarda l’idea di poter uscire dai vecchi canoni di bellezza, e la mostruosità in cui l’orribile è meraviglioso. Quindi in questo modo Rosi Braidotti nel suo celebre libro "madri mostri e macchine" da una sorta di spiegazione riguardo all’esigenza di un corpo trasformato e mostruoso. infatti ha anaalizzato i mutamenti della figura materna durante la gravidanza, nel quale la figura maschile vede qualcosa di orribile ma meraviglioso.A tal proposito ricordo il laboratorio riguardo le protesi estetiche che ci chiedeva appunto di dire se eravamo pro o contro le protesi estetiche io sono contro alle protesi estetiche il alcuni casi solo chi per un intervento o per altro vabene e invece se è perchè non ci si piace non la vedo una cosa giusta perchè dobbiamo essere noi stessi purtroppo ci si prende troppo esempio dalla televisione che io la considero una cattiva maestra.

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    Messaggio  Cozzolino Chiara1987 Lun Mag 21, 2012 5:10 pm

    Il concetto di disabilità,dagli anni '70,ha cominciato a subire delle trasformazioni e da allora sono cominciate le iniziative e i rinnovamenti a favore del disabile.
    L'OMS(Orgnizzazione Mondiale della Sanità) nel 1970 ha elaborato la prima classificazione Internazionale delle malattie(ICD) con lo scopo di capire le cause della patologie,includendo tra esse la disabilità.
    Successivamente nel 1980 OMS ha elaborato differenti strumenti di classificazione,ICIDH che si basava su tre fattori :la menomazione,la disabilità e lo svantaggio o handicap,che verranno poi sostituiti con i termini di menomazione,abilità,partecipazione.
    I limiti concettuali del ICIDH portò l'OMS ad elaborare nel 2001 un'ulteriore classificazione,ICF. ICF descrive lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali(sociale,familiare,lavorativo) e il suo scopo è quello di cogliere nell'ambiente le cause che provocano disabilità. Abbiamo avuto modo di riflettere proprio su questo aspetto quando ci siamo occupati delle barriere architettoniche e analizzando passo dopo passo le abitudini quotidiane.Di limitazioni nei confronti del disabile sono ancora tante;sono nelle case,nei palazzi,nelle strade. Qual'è la colpa? Essere su una sedia a rotelle per esempio? Essere non vedenti ? Io credo che la colpa è delle istituzioni che rivolgono il proprio interesse ai più,ai normodotati. Una vera società è quella che ti dà libertà di scelta e che ti riconosce i diritti.Le persone con disabilità non possono forse godere dei diritti e della libertà come tutti ? E in questo l'ICF è innovativo e multidisciplinare perché pone al centro del suo discorso non più la malattia del disabile ma la sua relazione con il contesto.I suoi scopi principali sono quelli di fornire una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute, delle condizioni e le conseguenze associate alle condizioni di salute; stabilire un linguaggio standard ed univoco per la descrizione della salute delle popolazioni con lo scopo di migliorare la comunicazione tra gli operatori sanitari, ricercatori, esponenti politici e la popolazione, incluse le persone con disabilità.
    Ma chi è il disabile? Il disabile è colui che ha difficoltà a svolgere le normali attività della vita quotidiana;é affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive ed è svantaggiato nel partecipare alla vita sociale,perché i pregiudizi gli giocano brutti scherzi. Ma è il caso di dire che << la disabilità è negli occhi di chi guarda>> e lo dimostrano molti casi di resilienza come la Atzori,Pistorius che dalle loro menomazioni hanno tratto la vittoria,affrontando la vita con il sorriso.Il disabile è una persona,con la sua storia,è un cittadino a pieno titolo.
    Ma queste persone vengono chiamate,erroneamente, diverse.Si evitano,si ha paura,si emarginano. Ma siamo tutti diversi l'uno dall'altro,tutti abbiamo bisogno di tutti e lo scambio tra persone è ricchezza.
    Recentemente,infatti,il termine è stato sostituito da diversamente abile o diversabile,perché si tratta di una persona che ha abilità diverse dagli altri ma le ha e anzi molto spesso riesce a potenziarle e a raggiungere traguardi straordinari.
    << Che cosa c'è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa,anche chiamata con un'altra parola avrebbe lo stesso odore soave>>.
    Ma purtroppo spesso,l'ignoranza provoca discriminazioni e l'integrazione da parte delle persone con disabilità diventa,a volte,molto difficile.
    Anna Maria Murdaca con il suo testo "Complessità della persona e disabilità",parla di una nuova conoscenza e cultura della disabilità che si concentri sulla valorizzazione della persona umana rispettando le differenze e le identità.Murdaca argomenta il problema dell'emarginazione soffermandosi sul concetto di contesto:sono le barriere fisiche e mentali a determinare il disagio e il processo di esclusione.L'ambiente è fondamentale per lo sviluppo psico-fisico e la famiglia,in primis,dovrebbe liberarsi dell'idea che nulla può cambiare la situazione del figlio disabile. Per quanto riguarda il bambino affetto da autismo,per esempio,abbiamo imparato che se l'intervento è immediato può dare dei risultati efficaci e ci sono casi di bambini che hanno superato in maniera brillante il loro limite. Alla famiglia la scuola deve dare il suo supporto,guardare oltre l'orbita scolastica e proporre attività extra didattiche,perché il problema del disabile è anche un problema sociale. Murdaca,infatti,parla di ambienti e contesti attendibili e sostenibili in cui la vera cura è l'emancipazione del soggetto con disabilità che riesce a costruirsi la sua identità e a valorizzare le potenzialità personali.
    Le relazioni affettive ricoprono un ruolo importante e nel caso del disabile,l’educatore deve essere predisposto al confronto e all’ascolto,deve essere competente nel procurare gli strumenti specifici e mettere in atto programmi che facciano emergere le sue qualità e non le mancanze. L ‘educazione ha superato,ormai, il suo vecchio e unico compito di informare e istruire;chi educa deve sentirsi responsabile,responsabile verso chi gli sta difronte.Gli attori protagonisti,in una relazione educativa, dovrebbero essere gli allievi con le loro qualità e le loro paure.Una buona relazione permette all’allievo di emergere e di sviluppare le proprie potenzialità,ma purtroppo non accade sempre;gli educatori dovrebbero scrollarsi dalla figura di Sofista e tenere sempre a mente il metodo della maieutica di Socrate che permette al discente di “tirar fuori” i sentimenti e le idee personali.
    L’educazione,secondo Bruner è un’invenzione umana che conduce colui che apprende al di là dl puro apprendimento poiché imparare non è immagazzinare qualcosa,ma ricostruire questo qualcosa in modo differente.È un qualcosa che si costruisce nel tempo e che ci fa diventare unici e irripetibili.
    L’unicità sta anche nell’aspetto fisico ma negli ultimi decenni quest’unicità si è persa tra la massa.Il concetto di corpo e bellezza hanno subito parecchie trasformazioni dal ‘900. Oggi il bisogno sfrenato di essere belli conduce su strade sbagliate;diete eccessive riducono il corpo a poche ossa rendendolo schiavo agli occhi della socirtà.Perché è proprio la società,soprattutto quella occidentale,che suggerisce i canoni della bellezza e della perfezione racchiusa nella taglia 42.Le donne affannano per riuscire ad entrare in quella taglia auspiacando così al successo e all’accettazione nel contesto in cui vive.
    Remaury parla di corsa alla perfezione volta all’obiettivo di giovinezza-bellezza-salute.La giovinezza e la bellezza sono le caratteristiche che la donna d’oggi non può lasciar scivolare via e per preservarle è disposta a manipolare il proprio corpo liberandosi dalla malattia,dal peso e dal tempo. La realizzazione di sé,come afferma Lipovetsky,avviene attraverso il corpo e alla sua immagine.
    Ecco perché il concetto di corpo è cambiato; la bellezza è diventato sinonimo di magrezza,di perfezione in netta contrapposizione con quella di un tempo che voleva la donna con forme generose.
    Le donne rappresentate da Botero,ad esempio,combattono l’ideale contemporaneo di bellezza e sprigionano un gran senso di vitalità,simpatia e sensualità.
    Il concetto di identità,insomma, si traduce nel raggiungimento di un corpo perfetto come detentore di una perfezione anche interiore fatta di valori e virtù.
    Rosi Braidotti parla delle tecnologie e di come trattano il tema della materia corporea.
    I corpi che si distaccano dalla normalità sono visti come mostruosi;il mostro è un essere malformato,un ibrido,un deviante,un anormale.
    Braidotti suggerisce una riflessione sulla maternità durante la quale la donna deforma naturalmente il proprio corpo diventando qualcosa di orribile agli occhi del genere maschile e propone alle donne di incarnare ,oltre alla maternità e alla mostruosità,anche la macchina.
    Il rapporto tra corpo e tecnologia sta diventando quasi indissolubile,sembra l’unico modo per legarsi alla società.La tecnologia a mio avviso,deve essere uno strumento di supporto per chi ne ha veramente bisogno,come le protesi di Pistorius,ad esempio,i pacemaker,o l’innovativa domotica. È uno strumento valido per abbattere le distanze,per una comunicazione informativa più veloce ma non dimentichiamoci che il bene più prezioso sono le persone!
    Nel film “Lo scafandro e la farfalla”,il protagonista capisce solo dopo l’incidente il senso della vita,l’importanza dei piccoli gesti,come quello di passare la mano tra i capelli dei figli.La felicità è l’amore delle persone,e la bellezza che ci regala la Natura.




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    Messaggio  mariaidaferraro Lun Mag 21, 2012 5:24 pm

    Durante il corso di disabilità abbiamo trattato diversi argomenti tra cui l’importanza delle parole per dire disabilità. L’OMS è l’organizzazione Mondiale della Sanità. La prima classificazione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’ICD è “la classificazione Internazionale delle Malattie” che risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Tale classificazione focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia , le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. Per cercare di ovviare a questo problema di definizione l’organizzazione Mondiale della Sanità ha messo a punto nel 1980 una classificazione internazionale detta brevemente ICIDH. La nuova proposta dell’OMS si basa su 3 fattori : la menomazione, la disabilità e lo sviluppo o handicap. I termini menomazione, disabilità ed handicap verranno sostituiti da menomazione, abilità e partecipazione. E’ menomazione qualsiasi perdita o anormalità a carico di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. La menomazione è infatti un danno organino o funzionale relativo ad un settore specifico che comporta una mancanza come non esistenza, o un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo. Per disabilità si intende qualsiasi limitazione o perdita conseguente a menomazione della capacità di compiere un attività nel modo e nell’ampiezza considerati normali per un essere umano. La disabilità è l’incapacità conseguente alla menomazione, di svolgere particolari compiti nel modo e nell’ ampiezza considerati “normali” per un individuo. L’ handicap si intende la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, il disagio sociale che deriva dalla perdita di funzioni e capacità. La sigla ICF sta per classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute, la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. I termini menomazione, disabilità, handicap vengono sostituiti da termini quali funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione con l’intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e delle sue possibilità di coinvolgimento sociale. L’ ICF è descritta dall’OMS come un “linguaggio standard” e unificato che serva da modello di riferimento per la descrizione della salute e degli stati a essa correlati. L’ICF non classifica solo condizioni di salute, malattie disordini o traumi bensi le conseguenze assolute alle condizioni di salute. Gli ambiti di cui può essere utilizzato l’ICF sono sanitario, sociale, educativo, ricerca, statistico e politica sociale e sanitaria. Disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, un individuo effetto da disfunzioni motorie e cognitive, inoltre i disagi sociali che riscontra il soggetto possono influenzare anche la sua sfera psicologica, una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità oppure dal diverso funzionamento di una o più abilità. Nei confronti della persona con disabilità si tende ad assumere un atteggiamento ed uno sguardo di pietismo. La disabilità può essere una condizione temporanea ossia transitoria, permanente, regressiva , progressiva. Durante questi argomenti abbiamo affrontato l’ argomento delle barriere architettoniche in classe abbiamo visto diversi video. Il primo video che abbiamo visto mi hanno indignata: la metropolitana di Milano, la città più ricca d’Italia, è una vera “trappola” per i disabili. Quello che mi ha colpito è che a tutti i disagi che essi devono quotidianamente affrontare si aggiunge anche l’aggressività dei dipendenti dell’ATM a seguito delle richieste di aiuto. E’ una situazione inaccettabile contro la quale si dovrebbe intervenire costruendo ascensori pubblici, prevedendo dimensioni standard per gli ingressi, installando scivoli. C’è bisogno di garantire i diritti fondamentali a tutti. Non può esserci uguaglianza se i disabili vengono ignorati o, peggio ancora, trattati come un fastidio per la nostra società.
    La mia giornata “tipo” sembra caratterizzata da semplici azioni: la colazione con le mie coinquiline, il percorso a piedi e con la funicolare per raggiungere l’università, i corsi, il pranzo, il viaggio in treno per rientrare a casa per il weekend. Eppure se cambio prospettiva di osservazione mi scoraggio alla sola idea di uscire di casa. Il mio palazzo è privo di scivoli ed ascensori, i bar e le pizzerie che frequento di solito sono piccoli e non lasciano spazio tra i vari tavolini, il treno ha dei corridoi stretti e non è munito di scivoli. E mentre ripercorro con la mente la mia giornata penso con disprezzo a tutti coloro che occupano ingiustamente i posti auto riservati ai disabili: al danno si aggiunge anche la beffa.
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    Prova intercorso (riapre a giugno) - Pagina 12 Empty Prova intercorso Testo di riferimento: F. Briganti, Nozioni introduttive alla pedagogia della disabilità

    Messaggio  antoniodisabato Lun Mag 21, 2012 5:31 pm

    Prova intercorso
    Testo di riferimento: F. Briganti, Nozioni introduttive alla pedagogia della disabilità

    L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è un agenzia specializzata dell’ONU per la salute fondata nel 1948 con sede a Ginevra. Il suo obiettivo , così come precisato nella relativa costituzione, è il raggiungimento da parte di tutte le popolazioni del livello più alto possibile di salute, definita nella medesima costituzione come condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto come assenza di malattia o di infermità. La prima classificazione mondiale delle malattie è stata stilata nel 1970 riportando per ogni sindrome e disturbo una relazione contenente le principali caratteristiche ed eventuali diagnosi insomma una sorta di enciclopedia medica. In questa classificazione molto importante è l’aspetto eziologico (l’eziologia consiste nello studio e nella ricerca delle cause di un determinato fenomeno, in, in particolare, l'eziologia indaga i fattori che possono intervenire nell'origine delle malattie, studiandone l'importanza ed i possibili rapporti di interdipendenza) attraverso il quale le varie disabilità vengono annesse alle patologie cliniche . Ne possiamo dedurre che così facendo le disabilità vengono assemblate sotto la voce malattia, per correggere questo problema l’Oms pubblicò un’altra classificazione internazionale(International Classification of Impairments , Disabilities and Handicaps detta anche ICIDH) che si basava sul cambiamento di tre fattori : la menomazione , la disabilità e l’handicap corretti in menomazione ,abilità e partecipazione. Con il termine menomazione viene indicata “qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica , fisiologica o anatomica” .
    La disabilità si differenzia dalla menomazione perché è una conseguenza stessa di essa perciò può essere definita come l’incapacità di svolgere determinate funzioni e particolari compiti ritenuti “normali” per una persona ; la disabilità non è soltanto una mancanza ma una condizione che va oltre la limitazione superando le barriere mentali ed architettoniche. Il termine handicap in italiano viene tradotto con svantaggio ,si differenzia dal deficit perché mentre il primo indica la difficoltà di determinate persone nello sviluppo delle capacità necessarie alla realizzazione graduale della personalità integrale, il secondo riguarda il difetto organico. In sostanza possiamo sintetizzare che la menomazione, la disabilità e l’handicap sono l’una la conseguenza dell’altra; la disabilità può comportare l’handicap ma non la disabilità ( una persona può essere menomata senza essere disabile e disabile senza essere handicappata).
    Nel 2001 è stato pubblicato, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il manuale di classificazione ICF (classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute) secondo il quale la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. In questa classificazione la disabilità viene descritta come una caratteristica propria della persona ; i termini menomazione, disabilità ed handicap subiscono un’ulteriore trasformazione infatti il primo verrà sostituito da funzione, il secondo da strutture corporee e la terza da attività e partecipazione tutto ciò per essere più precisi sulle capacità del soggetto e per facilitargli l’inserimento sociale. L’ICF oltre a classificare le condizioni di salute, di malattie, disordini o traumi ne studia le conseguenze che le stesse provocano nel soggetto.
    Anna Maria Murdaca , docente ed autrice competente in questioni relative la persona con disabilità pubblicò nel 2008 un testo intitolato “Complessità della persona e disabilità ,le nuove frontiere culturali dell’integrazione”. All’interno del manuale vengono trattati temi quali : ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, rimodulazione del termine integrazione e comprensione delle reali condizioni di vita. Questo testo cerca di promuovere una nuova cultura ed una conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione , tutto ciò dovrebbe portare il disabile a sperimentare con gli educatori ed gli insegnanti una serie di situazioni che verranno elaborate e studiate. Attraverso un lavoro che integra l’aspetto educativo a quello didattico , quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale si potrà perseguire l’obiettivo finale ovvero l’integrazione che consiste in un inserimento del soggetto nella comunità che lo educa e lo fa crescere grazie soprattutto agli elementi, i mezzi per costruire la propria identità, condizione fondamentale per il raggiungimento dell'autonomia. In questo ambito ciò che determina la condizione di handicap (a favorire il processo di emarginazione oppure quello di inclusione ) è il contesto sociale rappresentato dagli ostacoli fisici , mentali e culturali. “L’integrazione è un processo continuo non un punto d’arrivo, una continua ricerca di soluzioni che servono a preservare i diritti del disabile..” Per un educatore è importante porsi con un atteggiamento di disponibilità, abbandonare ogni tipo di pregiudizio, essere pronti a capire e scoprire chi si ha davanti, accettare e comprendere anche ciò che non ci si aspetta. L’educatore come l’educando dovrebbe rendersi disponibile ad un reciproco apprendere valutando l’importanza di “scoprire” la persona con la quale interagisce chiedendosi cosa fare per migliorare l’apprendimento di un allievo o per avere un cambiamento atteso. Il rapporto tra docente e discente non è equilibrato quando l’educatore all’alunno con atteggiamenti di dominanza, il rapporto è invece educativo quando l’insegnante considera l’alunno un interlocutore attivo dal quale avrà risposte che gli serviranno per il processo di autoformazione.
    L’educando da parte sua deve sentirsi protagonista del proprio percorso educativo, è fondamentale il personale coinvolgimento dell’educando al progetto pedagogico studiato per lui. Per far si che il “piano” educativo vada a buon fine dovrebbe esserci disponibilità da entrambi le parti, una relazione d’aiuto, perché è si vero che l’educando subisce cambiamenti continui ma l’educatore stesso è coinvolto da questi cambiamenti. La partecipazione dell’educando è necessaria al funzionamento dell’intervento educativo, essa deve essere attiva per comprendere ed indirizzare il percorso più indicato. A volte però è difficile, da parte degli educatori, porre le basi per ottenere la fiducia dei bambini che magari stanno vivendo già un periodo di disagio, quindi è di fondamentale importanza che il ragazzo veda l’educatore meritevole di stima e fiducia.

    Emarginare significa mettere ai margini, estromettere dalla vita sociale. Non importa come o in quale modo o il perché, la cosa importante è come anche ora, nel 21° secolo uno dei problemi veramente importanti sia l’emarginazione sociale.
    La simulazione della città fatta in aula mi ha fatto notare l’esatta opposizione di pensieri , sentimenti ed emozioni provata dai cittadini e dagli emarginati. I primi erano entusiasti e disinvolti nel poter stare in città ,ma soprattutto nelle richieste fatte al sindaco si notava un distacco quasi totale nei confronti degli emarginati. Da parte loro invece i cittadini con gli occhiali si sentivano abbandonati ed impotenti per la discriminazione esercitata dal “sindaco dittatore”, per l’estraneità del resto della popolazione dopo l’avvenuta discriminazione ma anche e soprattutto perché non potevano determinare nessuna scelta sulle attività future della città.
    Secondo Remaury noi tutti siamo orientati verso una corsa alla perfezione attraverso il raggiungimento di tre obiettivi : giovinezza, bellezza e salute. Lipovetsky nel suo “La terza donna” descrive come l’ideale di bellezza della donna venga fuori dal controllo e dalla gestione della propria immagine all’interno delle varie offerte di modelli sociali scegliendone quello che le è più consono. L’autrice Rosi Braidotti nel suo testo “Madri mostri e macchine” raccoglie tre saggi che cercano di elaborare un discorso critico e politico sul corpo femminile mettendo a fuoco la sequenza madri, mostri e macchine, sia dal punto di vista tematico che metodologico, in modo da ricavare le possibili connessioni tra questi termini ,interessante la riflessione sulla donna che "come segno di differenza, è mostruosa". A tale proposito riprendo il mio intervento fatto nel forum per quanto riguarda le Protesi estetiche e modelli di bellezza.
    Essere in forma e sempre affascinanti è oggi un imperativo categorico; tuttavia la ricerca della bellezza può anche non produrre felicità. Per bellezza s’intendono delle qualità esteriori o interiori che suscitano impressioni gradevoli. Tuttavia ciò che riveste maggiore considerazione e importanza all’interno dell’opinione pubblica è l’aspetto esteriore, quello superficiale e apparente che permette di sentirsi sicuri dei propri mezzi e di essere efficacemente valutati dalle persone.
    Il criterio di valutazione di bellezza tra noi giovani di oggi è la forma fisica , naturalmente data dalle abitudini alimentari di ogni individuo e talvolta da una corretta attività fisica. Nei nostri giorni i modelli televisivi raffigurano esempi perfetti, che però non sono certamente sintomo di salute e benessere fisico. Difatti non si propone una via di mezza tra eccessiva magrezza e obesità, ma si ha un’estremizzazione dell’una e dell’altra. Non si applicano pertanto mezze misure nella ricerca di questa forma fisica, e, in particolare per le ragazze, ciò suscita un problema fondamentale.
    La palestra, se praticata in modo sano, diviene un luogo fondamentale dove poter ritrovare benessere e salute fisica in grado di dare maggiore sicurezza nelle proprie capacità; l’esercizio fisico ha molte conseguenze positive, quali il miglioramento della postura, la tonificazione muscolare in grado di prevenire infortuni, la perdita di peso regolare e di conseguenza una progressiva crescita dell’autostima.
    Molto spesso però, soprattutto tra i giovani, la pratica della palestra deve avere come obbligata conseguenza il raggiungimento di muscoli poderosi da mostrare.
    Ecco dunque che si rischia di lasciarsi prendere da questa aspirazione, e si consumano sostanze miracolose che costruiscono i muscoli artificialmente. Sostanze dopanti che permettono il raggiungimento della forma fisica con conseguenze disastrose per l’organismo.
    Sempre più frequente ,anche tra i giovani, è la chirurgia estetica la quale spesso viene applicata con eccessi che non hanno più motivazioni fondate e che sono semplicemente capricci personali. La bellezza e il fascino possono essere dati anche dal ricorso alla medicina estetica, in grado di modificare aspetti non particolarmente apprezzati del proprio corpo e quindi di restituire certezze e fiducia all’individuo. Questa medicina era inizialmente nata per correggere quei difetti fisici che davano fastidio alla salute e non all’immagine.
    Col seguire degli anni è stata utilizzata anche per ritoccare e migliorare caratteri fisici che davano problemi a livello psicologico. Un utilizzo di tale tipo è a mio parere anche giusto, infatti se una persona prova malessere per un difetto fisico e ne ha la possibilità può correggerlo per vivere meglio con se stesso e con gli altri. Tuttavia è contestabile l’utilizzo eccessivo e spasmodico della chirurgia estetica che avviene spesso ed è testimoniato da moltissimi modelli televisivi che ammettono di farne costantemente uso. L’eccesso non diviene più una necessità, ma una smania personale di aspirare a divenire più belli, costantemente alla ricerca di questa felicità così fondata sulle apparenze.
    I canoni di bellezza hanno subito trasformazioni nel corso dei secoli ,infatti basta osservare alcune opere d’arte per capire che non sempre la donna “magra” è stata l’esempio da prendere in considerazione per piacere. Alcune opere di Botero, Modigliani, Picasso o ancora Botticelli vanno ad evidenziare proprio questo aspetto.
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    domenica moccia


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    Messaggio  domenica moccia Lun Mag 21, 2012 5:39 pm

    La prima classificazione elaborata dall’OMS “Organizzazione Mondiale della Sanità” è la classificazione Internazionale delle malattie detta ICD, che risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie,fornendo
    per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche,le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione,la ricerca e l’analisi dei dati. L’OMS propone l’ICIDH che si basa su tre fattori: menomazione, disabilità e handicap. La menomazione è qualsiasi perdita o anormalità di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica e può essere temporanea, accidentale (ovvero a seguito si un incidente) e degenerativa (ovvero può portare alla disabilità). La disabilità è l’incapacità di svolgere determinate funzioni o compiti ritenuti normali per un individuo. L’handicap è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto con gli altri, il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o capacità, la condizione di svantaggio che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale. In sintesi la disabilità può portare all’handicap ovvero allo svantaggio sociale che si manifesta a seguito dell’interazione con l’ambiente. L’ handicap a sua volta può avvenire in seguito a menomazione senza comportare uno stato di disabilità permanente.
    L’ICF sta per “Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute”. È una classificazione che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati, non classifica solo condizioni di salute,bensì le conseguenze associate alle condizioni di salute e pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia evidenziando come vivono con la loro situazione e come sia possibile migliorarla. Il passaggio dall’ICD a l’ICF avviene perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica non erano giudicate sufficienti per avere un quadro funzionale della persone, ovvero che cosa quella persona è in grado di fare e quali sono invece le attività nelle quali ha difficoltà.
    Gli ambiti in cui può essere utilizzato l’ICF sono in quello:sanitario,sociale,educativo,ricerca,statistico e politica sociale e sanitario. Sottolinea l’importanza di valutare l’influenza dell’ambente sulla vita degli individui, la famiglia dovrebbe liberarsi del senso e della percezione di impossibilità di miglioramento di un figlio,anche gli insegnanti dovrebbero imparare a guardare oltre la scuola,che può contribuire a sviluppare capacità e competenze nell’alunno disabile, trasferite anche al di fuori del contesto scolastico e quindi nella vita lavorativa.
    In questo ambito è molto importante capire bene la differenza tra disabile e diverso. Disabile è un individuo affetto da disfunzioni motorie o cognitive, una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana. Nei confronti della persona con disabilità si tende ad assumere un atteggiamento ed uno sguardo di pietismo, egli scopre spesso il suo disagio confrontandosi con persone normodotate come i componenti della sua famiglia o compagni di scuola. Con il termine diversabilità si mette in risalto una persona che oltre ad avere una disabilità ha anche delle abilità diverse dagli altri, da scoprire , far emergere e potenziare. Per questo si ritiene più corretto parlare di diversamente abili o diversabili. Si inizia a proporre l’uso dell’espressione diversabilità al posto di disabilità perché si ha l’esigenza di non trascurare il valore della persona, mentre quest’ultima espressione sottolinea il deficit non le potenzialità. Su tutto questo abbiamo l’esempio di Pistorius e di Aztori che sono una spinta per tanti altri ragazzi che a causa di incidenti o malattie sono costretti a rimanere su sedie a rotelle e vedono davanti ai loro occhi una vita infrangersi, sono dei grandi esempi di coraggio e vitalità,ma sono degli esempi anche per noi.
    Per quanto riguarda la diversità essa porta alla categorizzazione ovvero la persona viene collocata in una determinata categoria, quindi non viene riconosciuta nella sua interezza. Su questo punto durante il corso la professoressa ci fece fare una prova, ovvero divise la classe in due parti, da un lato le persone con occhiali e dall’altra quelle senza. Questi meccanismi di esclusione e svalutazione inducono le persone che ne sono vittima ad interiorizzare sentimenti di inferiorità e inadeguatezza che possono portare all’auto svalutazione e all’auto esclusione. Il diverso non sceglie di esserlo ma a suo malgrado viene etichettato dalla società. Il sentimento di diversità si accompagna solitamente alla sensazione di non appartenere al proprio gruppo di riferimento. Una volta chiariti i termini delle parole per dire disabilità, occorre soffermarsi sulla complessità della persona con disabilità: la sua integrazione in ambito educativo, linguistico e corporeo. L’obiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità, l’integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni e di strategie idonee a preservare i diritti dei disabili. Non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione ma si caratterizzano per capacità non per quello che non sanno fare.
    Anna Maria Murdaca è una docente esperta in questioni relative alla persona con disabilità, scisse “Complessità della persona e disabilità” il testo mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione e alla comprensione delle reali condizioni di vita. Secondo l’autrice occorre abbandonare la logica dell’inserimento e adottare l’ottica della globalità ovvero una nuova cultura della disabilità attenta sia ad analizzare i temi del funzionamento e del comportamento della persona disabile, sia riconoscere la persona in evoluzione. Per Murdaca è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap, sono gli ostacoli e le barriere fisiche a favorire il processo di esclusione o di emarginazione. Su questo argomento di ostacoli e barriere possiamo riallacciarci alla seconda lezione del corso riguardante le barriere architettoniche, dove ci veniva mostrato tramite dei video le difficoltà che hanno i disabili nella quotidianità, dall’uscita di casa fino ai mezzi di trasporto, tutto a causa delle poca organizzazione e cura delle istituzioni.
    Come ho già affermato prima l’integrazione è un processo continuo, è uno dei primi problemi che le persone disabili devono affrontare. A favorire l’integrazione e la relazione educativa dove il disabile sperimenta con gli educatori e gli insegnanti una serie di situazioni, di vissuti che vengono elaborati e integrati nella relazione educativa e gli operatori progettano delle opportunità da offrire al disabile affinché egli stesso ripensi al proprio stato e alle proprie capacità eliminando i disagi. La relazione educativa è anche un legame che si forma tra il docente e il ragazzo, un legame che produce l’apprendimento. Ogni relazione, ogni incontro umano è educativo in quanto è portatore di significati e valori ognuno riceve qualcosa. L’educatore deve trasmettere positività alle relazioni arricchendole di conoscenze, alla base deve esserci la volontà di costruire una rapporto predisponendosi all’ascolto e all’accoglienza costruendo pian piano un progetto di vita personale. È difficile trovare un metodo educativo valido, ecco perché la cosa fondamentale, come diceva Michelina, in uno dei laboratori che svolgemmo in classe, è avere pazienza e saper aspettare che la persona che si trova di fronte a noi piano piano inizi a fidarsi e soprattutto trovare il metodo adatto a quella situazione,non esistono metodi fissi ogni caso è a se,ogni ragazzo è diverso e quindi i rapporti sono diversi.
    L’insegnante deve essere una guida per i ragazzi, attuare un tipo di relazione a seconda di chi ha davanti quindi è come se fosse una famiglia ,lo studente deve contare sul fatto che vi sia una persona di cui possa fidarsi pronta ad ascoltarlo, a dargli dei consigli e ad incoraggiarlo, è un cammino con l’altro.
    Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile, l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi per far emergere le doti del disabile, si devono conoscere i tratti caratteriali e altri fattori che in qualche modo potrebbero essere d’intralcio affinchè la relazione educativa possa dare buoni esiti.
    La società da come abbiamo potuto capire ha una grande influenza, non tocca solo i disabili ma anche persone come noi normodotati e qui parleremo della visione della bellezza. Nelle rappresentazioni della femminilità la bellezza è associata all’idea che la donna abbia il compito di coltivarla e il miglioramento fisico è l’adempimento dei suoi bisogni ma ovviamente tutto questo è imposto dalla società e la giovinezza e la bellezza sono le caratteristiche che una donna deve avere. A Tal proposito Remaury dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione con un unico obiettivo: giovinezza-bellezza-salute, tutto questo causato anche dalla televisione e dalle riviste e tutti quei modelli che ci mostrano, donne sempre più magre e perfette che molto spesso non rispecchiano la realtà. La magrezza non è solo bellezza, le modelle anoressiche rappresentano un prototipo di bello che diventa mostruoso. La Braidotti intravede una possibilità ovvero che come la donna è capace di deformarsi per la maternità e che nell’immaginario maschile diventa orribile:mostro e madre, può incarnare oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina prestandosi al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l’immaginario che le sostiene. Quindi a seconda del contesto e della cultura possiamo tutti entrare in uno di questi insiemi: normalità, mostruosità e diversità, con la stessa abilità dobbiamo imparare a distinguere e comprendere l’essere umano nella sua complessità e nella sua diversità.
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    Silvia De Sisto


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    Messaggio  Silvia De Sisto Lun Mag 21, 2012 5:47 pm

    1)L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha elaborato nel 1970 l’ICD, la Classificazione internazionale delle malattie, che individua le cause delle patologie, fornendo per ogni disturbo e sindrome una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e indicazioni diagnostiche. Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, l’analisi, la ricerca dei dati. L’ICD rivela vari limiti di applicazione dovuti alla sua stessa natura di classificazione causale, per cui nel 1980 l’OMS elabora una nuova classificazione internazionale delle malattie, ovvero l’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH) che si basa su tre fattori:
    - Menomazione (perdita di una struttura o funzione a livello fisico);
    - Disabilità (incapacità di svolgere delle funzioni che un normodotato esegue facilmente);
    - Handicap (difficoltà che una persona affronta tutti i giorni).
    Questi fattori vengono sostituiti da:
    - Menomazione;
    - Abilità;
    - Partecipazione (capacità dell’individuo di partecipare alla realizzazione del proprio percorso di vita).
    Nel 2001 l’OMS ha stilato un nuovo strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale: la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, denominato ICF. L’ICF descrive lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità. Ai termini menomazione, disabilità e handicap vengono sostituiti da:
    - Funzioni;
    - Strutture corporee;
    - Attività e partecipazione
    Indicando una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e al suo coinvolgimento sociale.
    L’ICF rappresenta uno strumento importante per gli operatori sanitari e dei settori della sicurezza sociale, dell’istruzione, del lavoro. La classificazione dell’ICF riguarda chiunque viva in una condizione di salute in un ambiente che la ostacola.
    Nel laboratorio “barriere architettoniche” abbiamo evidenziato le difficoltà che i disabili devono affrontare ogni giorno. Per esempio salire e scendere dai pullman, camminare sui marciapiedi che sono per la maggior parte stretti, o non hanno scivoli, o gli scivoli sono bloccati dalle macchine. Spesso siamo troppo egoisti e presi dalla nostra vita e, quindi, non pensiamo agli altri.
    Un’altra riflessione che dobbiamo fare è riguardo alle parole diverso e disabile. Un disabile è una persona che trova difficoltà a svolgere le normali attività della vita quotidiana, affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive e caratterizzata dal diverso funzionamento di una o più abilità. Spesso scopre il suo disagio confrontandosi con le persone normodotate. Il diverso può essere anche una persona non affetta da menomazioni fisiche o psichiche ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche, per esempio uno straniero. Quando una persona è diversa o si sente diversa tende ad emarginarsi o ad essere emarginata. A lezione abbiamo simulato una città in cui la professoressa era il sindaco e le persone con gli occhiali venivano emarginate e non potevano partecipare alla festa. Vedendo gli emarginati che cercavano di comunicare con noi e non potendo aiutarli in nessun modo mi sono sentita impotente e ho capito che è importante non fermarsi alle apparenze ma cercare di andare incontro all’altro anche se diverso da noi.
    2)Il testo “Complessità della persona e disabilità” di Anna Maria Murdaca tende a una nuova cultura della disabilità che sia attenta non solo all’assistenza del soggetto disabile, ma che valorizzi la persona umana rispettandone l’identità e le differenze.
    È importante che il processo di integrazione della persona con disabilità cominci nella famiglia, che si deve liberare, quanto prima, dal senso di impossibilità di miglioramento della situazione psicofisico del proprio figlio, per poi giungere alla scuola,che deve contribuire a sviluppare le capacità dell’alunno disabile, ed oltre la scuola. La famiglia, come la scuola e gli altri operatori devono valorizzare la persona, portare il disabile verso lo sviluppo della propria identità, della propria autostima. Bisogna mirare all’emancipazione del soggetto con disabilità. Il disabile deve sperimentare con gli educatori una serie di situazioni, di vissuti emotivo-affettivi, che elaborati e criticati lo aiutino a ripensare al proprio stato e alle proprie capacità. È in questo che la relazione educativa diviene uno spazio riparativo.
    In definitiva possiamo dire che la nuova cultura della disabilità deve cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive ed innalzare la qualità della vita dei soggetti; sviluppare un azione di integrazione guardando alla globalità della persona ( corpo-mente-relazioni).
    Tutto ciò può diventare possibile solo dalla collaborazione fattiva tra tutti coloro che compongono la società (educatori, insegnanti,famiglia, operatori socio-assistenziali, ecc.)
    Durante le lezioni abbiamo affrontato il tema della relazione educativa.
    La relazione educativa avviene tra madre/figlio, docente/discente, educatore/educando. L’educatore nella relazione educativa deve essere un modello da seguire e deve mettere a proprio agio il soggetto che ha di fronte. La relazione educatore/educando si costruisce giorno per giorno, grazie all’ascolto, e si consolida con la condivisione di un vissuto. Lo studente deve potersi fidare dell’insegnante. La relazione educativa è un dare e un ricevere. Nel primo setting educatore/educando, l’educatore ha messo a proprio agio la madre del bambino che aveva bisogno dell’insegnante di sostegno che era assente. Nel secondo setting invece vi era una ragazza che esponeva i suoi problemi e l’educatore in questo caso rielaborava i problemi esposti insieme alla ragazza, affinché ella ne prendesse consapevolezza. L’educatore nella relazione educativa non deve essere teso, ma deve essere tranquillo.
    3)Reumary nel “Il gentil sesso debole” parla della perfezione della triade giovinezza-bellezza-salute. Distingue tra corpo trasfigurato (legato all’immagine della perfezione corporea) corpo esatto (compie progressi verso la perfezione) corpo liberato (dalla malattia,dal peso e dal tempo e quindi perfetto). Lipovetsky nel libro “La terza donna” nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti: dalla malattia, cioè sano, dal peso, cioè magro e dal tempo, cioè giovane. I valori sono salute totale, perfetta bellezza e eterna giovinezza. Rosi Braidotti nel libro “Madri, mostri e macchine” la donna è madre e mostro allo stesso tempo perché nella maternità è capace di deformare il proprio corpo. Nel libro vi è anche il tema del corpo macchina, che è soggetto a tante trasformazioni a tal punto da diventare mostro, e il tema dei mostri che sono nati malformati (con malformazioni congenite dell’organismo corporeo). Nel laboratorio protesi estetiche abbiamo visto come l’uomo tende sempre ad essere perfetto seguendo i canoni del proprio tempo. Oggi, la scienza e la tecnica ci offrono la possibilità di migliorare il nostro aspetto fisico grazie a delle protesi estetiche, come per esempio le protesi al seno, che sono nate per migliorare la qualità della vita di persone che hanno subito una mastectomia e che ora sono entrate nel nostro quotidiano dandoci la possibilità di ingrandire o ridurre il seno a nostro piacimento, o meglio ancora secondo il canone di bellezza del momento. Così ci sottoponiamo, con incoscienza e superficialità ad interventi chirurgici e quindi a sofferenze inutili solo per sentirci più belle ed ammirate, senza renderci conto che la bellezza non è solo nella perfezione del corpo ma che è soprattutto nell’accettazione di se stessi e nella serenità interiore.


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    Messaggio  ascione ass Lun Mag 21, 2012 6:45 pm

    Nel 1970 nasce l’ICD (Classificazione Internazionale delle malattie), elaborata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), come classificazione delle patologie spiegandone la causa e fornendo caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche; creando così un’enciclopedia medica.
    Ma è nel 1980 che l’OMS crea una nuova classificazione, l’ICIDH, basata su tre fattori: menomazione, disabilità e handicap (svantaggio), che verranno sostituiti da menomazione, abilità e partecipazione.
    Cambia l’atteggiamento nei confronti dei soggetti con un deficit, soffermandosi sulle capacità del soggetto.
    La menomazione è un danno organico o funzionale che comporta la mancanza di una parte del corpo o una qualsiasi perdita o anormalità di una struttura o di una funzione. Può essere di tre tipi: temporanea, accidentale o degenerativa (può portare alla disabilità).
    Per disabilità s’ intende l’incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti considerati “normali” per l’individuo. L’handicap nasce nel momento in cui la menomazione e la disabilità causano la disuguaglianza del soggetto in relazione al contesto sociale; impedendo o limitando la persona a svolgere attività “normali” per un essere umano della stessa età.
    La disabilità può portare all’handicap, a sua volta l’handicap può avvenire in seguito a menomazione , senza causare uno stato di disabilità permanente.
    Nel 2001, l’OMS, propone nell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) una nuova definizione di disabilità.
    La disabilità viene considerata come una condizione di salute derivata da una contesto sfavorevole, dando maggiore attenzione alla possibilità di coinvolgimento sociale per il soggetto. Si sostituiscono i termini menomazione, disabilità ed handicap con: funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione.

    Ma cosa è “normale” o “diverso”?
    Ritengo che ogni individuo è unico e porta con se un vissuto personale che non può essere uguale ad un altro; la diversità è nel modo di vedere e giudicare le cose e le persone attorno a noi. Il disagio infatti nasce proprio in rapporto alla società omologata, caratterizzata dalla superficialità e il voler apparire prima di essere; facendo della disabilità un fattore che identifichi l’intera persona.
    L’individuo diverso e/o emarginato non sceglie di esserlo, ma suo malgrado viene etichettato dalla società che lo ritiene lontano dalla massa.
    Questo causa anche una poca attenzione al significato delle parole; l’uso improprio può provocare disagi a chi le ascolta, aumentando l’handicap invece di ridurlo.
    La disabilità supera tutte le barriere e va oltre la limitazione. Tuttavia, pur essendoci soluzioni,ci sono persone che non riescono ad espletare autonomamente la propria quotidianità a causa delle tante barriere architettoniche.

    Anna Maria Murdaca ci parla della relazione tra cervello, mente e corpo. Una relazione che da senso e significato all’esperienza nella quale il corpo vive e dalla quale subisce continue modificazioni a livello percettivo e a livello emotivo-affettivo. Il corpo si modifica in relazione allo spazio e al tempo che a loro volta si modificano, sviluppando emozioni e sensazioni corporee che sono connesse tra loro e che costituiscono la soggettività dell’individuo.
    Nel suo libro “Complessità della persona con disabilità”, sottolinea l’importanza del riconoscimento della persona come individuo in continuo movimento ed evoluzione. Valutando la necessità di una nuova cultura basata sull’integrazione del disabile attraverso la costruzione di luoghi nei quali il disabile può trovare gli elementi e i mezzi per costruire la propria identità e dove può sviluppare competenze interiori ed individuali fondamentali per il raggiungimento dell'autonomia.
    Lo scopo finale è quello di promuovere l’integrazione dei disabili nella società che li educa e li fa crescere, attraverso la congiunzione dell'aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale.
    Fondamentale, per far ciò, è la capacità dell’individuo di adattarsi e reagire a situazioni di disagio facendosi forza sulle proprie abilità resistendo alle avversità (resilienza).
    L’individuo, così, trasforma il suo ruolo sociale diventando parte attiva della società con propri progetti e idee.
    Durante il corso abbiamo proprio parlato di esempi di questo tipo, come nel caso di Oscar Pistorius e Simona Atzori, fino ad arrivare a testimonianze più vicine a noi come quella del Prof. Palladino o della Signora Tina. Storie caratterizzate dalla forza di volontà, dalla voglia di vivere, dalla grinta, dalla determinazione e dalla convinzione di non sentirsi meno degli altri.

    Remaury e Lipovetsky ci parlano di bellezza, salute e giovinezza. La società impone la cultura dell’immagine come bisogno primario, soprattutto nella donna. La bellezza e la giovinezza sono le caratteristiche principali che essa deve possedere per continuare ad apparire.
    Nel “Il gentil sesso debole”, Remaury, parla del corpo trasfigurato legato all’immagine di perfezione corporea; del corpo esatto che si modifica tendendo alla perfezione grazie alla scienza; e del corpo liberato, dalla malattia, dal tempo e dal peso.
    In “La terza donna”, Lipovetsky, descrive la donna come colei che controlla e gestisce la propria immagine scegliendo quali tra i modelli sociali sia quello più congeniale per lei; con il limite che essa si identifichi solamente nei modelli proposti; salute, bellezza e giovinezza.

    Una visione diversa della donna è quella proposta da Rosy Braidotti in “Madri, mostri e macchine”, dove critica il “divenire donna” come “divenire altro” di Deleuze.
    Essa ritiene che ci sia una radicale differenza tra donne e uomini nell’atteggiamento e nel pensiero.
    La donna è capace di incarnare, nell’immaginario maschile, sia la maternità (il corpo che si deforma) che la mostruosità; intesa come l’incarnazione della differenza dell’umano-base.
    A mio avviso, la bellezza, non rientra in nessun canone prestabilito e imposto dalla società, ma è uno schema mentale dettato dall’interpretazione soggettiva che supera l’oggettività.
    La ricerca continua ed affannosa della perfezione porta solamente ad una triste conclusione: l’infelicità. Per questo motivo non accetto di buon grado l’intervento chirurgico come miglioramento estetico, a meno che si tratti di serie patologie.
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    Federica Marzano


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    Messaggio  Federica Marzano Lun Mag 21, 2012 7:42 pm

    Come sostiene Canevaro, bisogna mostrare molta attenzione nella classificazione delle parole, senza far confusione tra deficit, disabilità e handicap dato che, utilizzare uno di questi termini impropriamente, può essere un modo per aumentare l’handicap, anziché ridurlo. La prima classificazione internazionale delle malattie o ICD, elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità del 1970, nasce dall’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni disturbo una descrizione delle caratteristiche principali cliniche e diagnostiche. Queste diagnosi vengono tradotte in codici numerici, che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. L’OMS nel 1980 ha proposto una classificazione internazionale ICIDH, che si basa su tre fattori: la MENOMAZIONE, che è la perdita a carico di una funzione psicologica e fisiologica le cui caratteristiche sono:le anormalità, che possono essere permanenti, come la perdita di arti e l’esistenza di anomalie. La DISABILITA’, che è l’incapacità di svolgere una attività nei modi e nei limiti considerati normali per un individuo. L’HANDICAP invece è la difficoltà che, la persona disabile, trova nel confrontarsi con gli altri e il disagio sociale, che ne deriva è la conseguenza di una condizione di svantaggio, che nel soggetto limita le aspettative di efficienza. Secondo l’ICF la disabilità, è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole, essa non classifica le condizioni di salute, ma le conseguenze associate alle condizioni di salute e non riguarda solo un gruppo di persone, ma chiunque viva in situazione di svantaggio e interviene per il miglioramento della vita della persona. Un altro fattore importante su cui bisogna riflettere, è la differenza tra il DISABILE e il DIVERSO. Non è la prima volta che sento parlare di diversità, handicap, deficit ma non ho mai avuto occasione di riflettere sul significato di ciascuna parola. Oggi, grazie all'esperienza universitaria mi rendo conto che sono parole di significato profondo e che non vanno confuse. Durante un laboratorio svolto in aula, in cui è stato visionato il film "indovina chi viene a cena" ho colto una prima parola:diversità, che secondo me è riferita a quella che viviamo nel mondo reale, in quanto ogni individuo è diverso dall'altro per cultura,religione,per razza etnica e quindi non va confusa con la parola disabilità,che vuol dire persona non abile ad una funzione sociale e da questo deduco il termine deficit che vuol dire mancanza totale o parziale di una determinata funzionalità fisica. Questi termini spesso vengono racchiusi nella parola handicap, che è tutt'altra cosa, in quanto si riferisce alla mancata capacità di realizzazione progressiva della personalità integrale. Questo porta a considerare l'handicap come un problema solo di chi ha qualche deficit e quindi come persona isolata dagli altri, disprezzata e che si discosta dalla normalità. In un esercizio laboratoriale riguardante la simulazione sulla città, io interpretavo il ruolo di cittadino e quindi di non emarginato,la prof ha considerato tutte le ragazze con gli occhiali delle emarginate e quindi senza considerarle si è rivolta a noi "cittadini" per l'organizzazione di una festa. In quel momento anche se per un istante mi sono sentita male,immedesimandomi in quelle ragazze che non potevano partecipare . Penso che tutti abbiano comunque diritto a vivere al meglio la vita in salute e in benessere e di reagire in modo propositivo alle situazioni avverse. La società, la famiglia, il contesto lavorativo, dovrebbero guardare oltre quelle che sono le difficoltà della persona affetta da handicap. Nonostante oggi si parli tanto di diversità e di integrazione del disabile, resta a mio parere ancora un problema non risolto di emarginazione sociale. La grandezza degli insuccessi e della inadattabilità ad avviare un recupero sociale, mi porta a riflettere che sono indispensabili dei cambiamenti strutturali e di mentalità, che non permettono alla persona disabile di vivere le relazioni sociali in modo pieno. Nel nostro paese c'è bisogno di una trasformazione dell'ambiente e di modifiche delle strutture educative e sociali, per permettere lo stabilirsi di relazioni personalizzate. Riflettendo su i video visti in aula, mi è molto difficile immedesimarmi nella vita di un diversamente abile, perchè penso che bisogna trovarsi nella stessa situazione per poter capire come affrontare e organizzare la giornata, in una società come la nostra in cui spesso si incontrano enormi difficoltà.
    Anna Maria Murdaca, docente esperta in questioni relative la persona con disabilità, sostiene che : -Non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione- poiché si parla di persone non per quello che non sanno fare, ma per la capacità di sentire, di fare,di agire e di pensare. Secondo l’autrice occorre una nuova cultura e conoscenza della disabilità, centrata sul riconoscimento della persona e della sua integrazione in ambito educativo,linguistico,corporeo e sociale. Questa nuova cultura ha come obiettivo la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità, pertanto è una continua ricerca di strategie, soluzioni a preservare i diritti acquisiti dei disabili. Penso che prima di instaurare una relazione educativa bisogna creare un ambiente affettivo favorevole,importante è lo sviluppo della personalità dell'educando. In particolare il bambino svantaggiato subisce nelle relazioni educative condizionamenti a riguardo dell'organizzazione del pensiero e del sentimento per effetto soprattutto del linguaggio. Infatti,il bambino presenta una difficoltà di socializzazione per la sua povertà di linguaggio che rallenta il ritmo delle relazioni sociali allo stesso modo,trova difficoltà nel rapporto con il docente. La povertà di linguaggio,rivela in questi bambini,una scarsa curiosità e interesse e la tendenza ad assumere un atteggiamento di difesa e resistenza,quindi chiusura alla percezione del nuovo. Secondo me è importante per una buona relazione educativa,creare un ambiente in cui è possibile instaurare senso di fiducia e sicurezza del bambino che stimoli all'osservazione e alla riflessione. L'educatore deve operare per porre i bambini svantaggiati per quanto possibile, allo stesso livello dei bambini avvantaggiati,pertanto dovrà consentire a ciascun bambino di esprimersi in rapporto ai propri interessi e di essere gratificato attraverso l'impegno partecipativo e consapevole. L'educatore deve proporre attività didattiche,idonee a consentire,agevolare i progressi cognitivi del bambino. Egli dovrà porsi in atteggiamento di disponibilità e comprensione creare occasioni che favoriscano i processi di apprendimento e socializzazione. Soprattutto l'educatore dovrà preoccuparsi di aiutare i bambini a percepire ed interpretare i loro sentimenti,a capire se stessi,gli altri e la realtà ambientale di cui sono parte; a stimolare inoltre interesse per il mondo e incoraggiare a sentire la gioia dell'apprendere. Anche il rapporto che si stabilisce in ambito familiare è una relazione educativa,in quanto la famiglia ha un ruolo fondamentale nello sviluppo della personalità infantile. In una lezione, riguardante la relazione educativa, abbiamo assistito ad un primo setting con due protagonisti di cui,una persona adulta nel ruolo di educatore e l'altra, una ragazza nel ruolo di madre e quindi di educando,con una problematica riguardante il figlio e l'insegnante di sostegno. Durante questo approccio,da parte dell'educatore c'è stata molta disponibilità nell'ascoltare il problema e aiutare attraverso consigli l'educando,anche perchè alla base di una relazione educativa,vi è la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all'accoglienza,all'ascolto,lasciando spazio alla libertà dell'altro. Il secondo setting invece vedeva come protagonisti due ragazze nel ruolo di educatrice e di ragazza adolescente con difficoltà di integrazione,anche in questo caso come nel primo,ho notato un rapporto tra una persona guida e una persona in difficoltà,in queste relazioni si cerca sempre di capire nel profondo chi si ha di fronte,i suoi problemi,le sue difficoltà,le sue paure proprio per non far chiudere l'educando in se stesso. Anna Maria Murdaca scrive:-ci troviamo davanti ad un nuovo paradigma del benessere- come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica, come condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità, autonomia,identità,potenzialità personali, necessarie misure di sostegno pedagogico sociale sanitario legislativo per risvegliare le coscienze disponibili. Oggi la società richiede un modello di individuo sano e bello, infatti diverse indagini hanno dimostrato che persone attraenti posseggono anche presunte virtù interiori come onestà,gentilezza e intelligenza, per cui una società in continua trasformazione e nel suo continuo divenire introduce un nuovo modo di pensare: cosa vogliamo diventare, allontanandoci da chi siamo? Nell'immaginario collettivo l'individuo si muove e si impadronisce del mondo virtuale riscoprendo nuove forme di identità per ricrearsi. Pertanto la tecnologia viene utilizzata per migliorare il proprio corpo,come ad esempio un deficit fisico che causa difficoltà motorie,oppure per motivi estetici. Ne consegue il rincorrere di un modello di bellezza prodotto dai mass media che esige la bellezza del corpo a tutti i costi e per rispondere a questo tipo di società si attuano vere e proprie strategie di trasformazione corporea, quindi si pensa a:interventi chirurgici al naso,viso,occhi,bocca,collo,protesi al silicone per il seno,iniezioni di botulino. Secondo Remaury, “nel gentil sesso debole” siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza, bellezza, salute. Questo cambia l'immagine che l'uomo ha di sé e degli altri e quindi si ritrova a vivere un rapporto difficile con l'ambiente circostante in continuo mutamento. Lipovetsky nel suo libro, “La terza donna” ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, la fa venire fuori come colei che controlla e gestisce la propria immagine all’interno della diversa offerta di modelli sociali,tra i quali sceglie quello più congeniale. In conclusione l’obiettivo che ci si prefigge è la conquista dell’eterna giovinezza apparente. Le tecniche mirate al perfezionamento del sé corporeo e alla correzione delle tracce della mortalità sul sé incarnato: la chirurgia plastica, le diete, la fissazione per la fitness e altre tecniche per disciplinare il corpo contribuiscono anche a sostituire il suo stato “naturale”. La Braidotti nel suo testo “Madri mostri e macchine” intende interrogarsi sulle modalità “ d’iscrizione del corpo femminile nell’orizzonte fluido, a volte confuso, della discorsività postmoderna” e intravede la donna capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo,diventa mostro e madre. È a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina prestandosi al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l’immaginario che le sostiene . Quello cui assistiamo nella cultura popolare è quasi un rituale di trasgressione. La fascinazione per il mostruoso, il grottesco doppio corporeo, nell'attuale cultura post-industriale è direttamente proporzionale alla soppressione delle immagini di bruttezza e malattia. È come se ciò che stiamo buttando fuori dalla porta, lo spettacolo del corpo povero, grasso, trascurato, omosessuale, nero, morente, vecchio, cadente, incontinente, stesse in realtà intrufolandosi dalla finestra. Il mostruoso segna il “ritorno del represso” della tecno-cultura ed in quanto tale è ad essa intrinseco. A riguardo penso che,il corpo non è una macchina e non può essere modificato a nostro piacimento;io sono per l'accettazione e non per il disprezzo del corpo. Un corpo modificato è come una bella statua senza anima; ritengo che sia bello invecchiare negli anni e vedere il trasformarsi del proprio corpo. Chi si accetta penso che vivrà un rapporto con gli altri e con l'ambiente circostante in modo sereno.
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    maria formisano


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    Messaggio  maria formisano Lun Mag 21, 2012 8:27 pm

    1)La prima classificazione elaborata dall’Organizzazionione Mondiale della Sanita’ è stata l’ICD del 1970 ovvero “la classificazione internazionale delle malattie”,classificazione la cui attenzione incentrata a fornire per ogni patologia una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e a tradurre in codici numerici le diagnosi per la memorizzazione,la ricerca e l’analisi dei dati.
    Nel 1980 nasce l’ICIDH, International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps, nuova proposta di classificazione dell’OMS basata su tre fattori: menomazione, disabilita’ e handicap o svantaggio, tutti e tre interdipendenti tra loro. Vediamo che quindi si inizia a cercare di cambiare atteggiamento nei confronti dei diversamente abili prestando attenzione alle capacita’ del soggetto e alle sue possibilita’ di coinvolgimento sociale fino ad attribuire un ruolo fondamentale all’ambiente esterno e all’influenza che questo esercita sulla disabilita’ con l’ICF. l’ICF, “Classificazione Internazionale del Funzionamento,della Disabilità e della Salute”, pubblicato dall’OMS nel 2001 ,definisce la disabilita’ una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole, dove i termini funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione sostituiscono i termini menomazione, disabilità e handicap della precedente classificazione. l’ICF a differenza dell’ICD non classifica solo le condizioni di salute ma anche le conseguenze ad esse associate mettendo al centro dell’attenzione la qualità della vita di questi soggetti evidenziando come convivono con la loro patologia e cosa sia possibile fare per migliorarla. Inoltre l’ICF fornisce un quadro generale di cio’ che la persona è in grado di fare e delle attivita’ in cui, invece, riscontra delle difficoltà. È una classificazione che puo’ essere usata on tutte le persone di qualsiasi eta’.
    Abbiamo parlato di come sia fondamentale l’influenza esterna. Spesso ci troviamo di fronte ad atteggiamenti e sguardi di pietismo nei confronti di persone con disabilita’. Spesso diventa un etichetta e finiamo col vedere tali persone come diverse o paraplegiche e non come persone che si trovano in difficolta’. Disabile è colui che è impossibilitato a svolgere le normali attiività della vita quotidiana ,un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive, una persona caratterizzata dalla mancanza o diverso funzionamento di una o piu’ abilita’. Troppi a mio parere sono gli stereotipi e i pregiudizi nei confronti di coloro che per qualche aspetto differiscono dalla massa. Come abbiamo visto nel film “Indovina chi viene a cena?”il solo colore della pelle diverso diventa fonte di opposizione per l’unione di due giovani innamorati da parte delle corrispettive famiglie . Uno dei tanti esempi della tendenza della societa’ all’ettichettamento, alla svalutazione e all’esclusione di persone considerate diverse. Questa diversita’ in qualsiasi forma si presenti porta alla collocazione di certe persone in determinate categorie. La consueguenza è che il disabile non viene visto piu’come persona nella sua interezza in quanto la sua stessa disabilita’ e’ vista il fattore principale per identificarlo. Spesso si usano frasi come del diverso si ha paura,il diverso è lontano,il diverso non lo capiamo.. .. Questo perche’ solitamente tutto cio’ che non si conosce o che differisce dalla normalita’ ci intimorisce e ci spaventa. Spesso ci sentiamo ALTRO da chi porta una diversita’ su un corpo o su un volto. Spesso questa sensazione la trasmettiamo facendo sentire sensazioni spiacevoli per chi è considerato diverso da noi normodotati. La migliore cosa da fare di cui ne ho parlato anche nel laboratorio “emergenza educativa ed emarginazione” è quello di partire dalla trasmissione di valori importanti da parte di persone significative come l’educatore quali predisporsi all’ascolto dell’altro,ai suoi sentimenti, ai suoi bisogni,a mio parere la base migliore per evitare atteggiamenti discriminatori . Questo non vale solo per i soggetti in fase di crescita dato che l’educazione non ha termine.
    Come dice il proverbio cinese “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.”
    Dovremmo incominciare ad essere tutti piu’ solidali per capire che la diversita’ non è un mondo a parte ma è parte del nostro stesso mondo.

    2) tentativo di ricostruire una nuova cultura della disabilità, di rimodulazione del termine integrazione, di ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità è ciò che la docente ANNA MARIA MURDACA ha cercato di proporre nel suo testo COMPLESSITA DELLA PERSONA E DISABILITA affondando temi quali l’ integrazione, la complessità e umanità della persona, l’ inclusione e l’ inserimento del disabile ,la cura e la relazione educativa … secondo MURDACA importante è adottare l’ ottica della globalità nei confronti della disabilità cioè attenzione non solo al funzionamento del comportamento e dell’ assistenza ma soprattutto riconoscimento del disabile come persona in grado di evolversi positivamente con una giusta interazione tra sistema biologico, psico-intellettivo ,affettivo e relazionale. L’ handicap è condizione di svantaggio che porta il soggetto che ne è affetto a non poter portare al termine anche funzioni fondamentali per la sopravvivenza ,che come altre disabilità subisce il peso degli ostacoli e delle barriere fisiche come quelle culturali e quindi oggetto di processi di esclusione ed emarginazione. Quindi un ruolo rilevante nel determinare la qualità della vita dei soggetti è svolto dall’ ambiente come ribadisce anche l’ ICF. La famiglia, la scuola , l’assistenza socio-sanataria e tanti altri contesti sociali con cui il disabile si trova ad interagire possono fare sia da barriera sia da facilitatore .inoltre la paura di specchiarci in un immagine che non ci gratifica mette in moto un meccanismo naturale di difesa contro tale paura . ed ecco perche nascono gli stereotipi sociali. Altro obiettivo su cui punta MURDACA è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e identità, considerazione presente nella riforma scolastica della legge delega 28 marzo 2003. Cercare di integrare persone spesso definite diverse da noi normo-dotati è però difficile nella pratica. Esso è un processo continuo, è un continuo andare alla ricerca di soluzioni positive per garantire anche ai disabili di usufruire dei loro diritti . come sostiene MURDACA nessuno mai dovrebbe essere definito per sottrazione . tutti siamo persone ,tutti abbiamo una dignità , ognuno di noi è unico e quindi dovremmo guardare i disabili non per quello che non sanno fare ma per le loro capacità . anche essi come noi necessitano di cure educative volte alla realizzazione dell’ uomo per ciò che è e per ciò che può diventare .MURDACA sostiene appunto l’ esigenza di una nuova integrazione intesa come luogo del profondo sapere esistenziale in cui ogni soggetto definisce sé stesso avvicinando l’ altro, rispettandolo nella sua differenza e distanza. Con MURDACA non si parla più di accudimento ma di emancipazione del disabile con l’ aiuto didattico retto dalla buona prassi e dall’ idea della fantasia ermeneutica dell’ educatore , congiuntamente a quello terapeutico ,riabilitativo e sociale . fondamentale risulta quindi il tipo di relazione educativa tra docente e discente che per murdaca dovrebbe essere quello dell’incontro e dello scambio della partecipazione e dell’ alleanza, quello in cui l’ educatore riesce a farsi portatore di valori che riescono ad incidere sulla crescita educativa del discente . ma anche rapporto di reciproco rispetto , di reciproco arricchimento .deve essere un rapporto di un prendere e dare in sincronia non solo di conoscenze ma anche di emozioni supportato dalla volontà di predisporsi all’ ascolto, all’ accoglienza , e a lasciare spazio alla libertà dell’ altro per poi costruire gradualmente un progetto di vita personale .vediamo invece che nei casi in cui l’educando si trova in difficoltà (alcolisti e carcerati) in cui l’ educatore funge da guida
    3)nel tempo gli ideali di bellezza e quindi di conseguenza di mostruosità sono mutati come è mutata ogni altra cosa. Come abbiamo visto in uno dei laboratori svolti in aula in ogni epoca si riscontra un rito diverso per tentare di raggiungere la bellezza ideale: l’ uso del collare nelle civiltà antiche per il fascino del collo lungo, l’ uso di corpetti stretti per l’ attrazione che una vita sottile poteva suscitare negli uomini. Oggi invece l’ ideale di bellezza femminile proposto è quello di una donna eccessivamente magra che si propone ogni giorno attraverso i mass- media con le sfilate di alta moda con modelle anoressiche. BRAIDOTTI sostiene che la donna modificando il proprio corpo sta assumendo per l’uomo la figura di qualcosa di mostruoso ovvero essa rappresenta al contempo una duplice figura quella di madre e mostro. REMAURY sostiene che l’ obiettivo di noi tutti oggi è triplice cioè bellezza, giovinezza, salute mentre per LIPOVETSKY questo voler raggiungere il modello di corpo perfetto è come un imposizione dettata dal sociale e in cui il raggiungimento o il solo tentativo non è altro che un modo per mascherare la propria sottomissione a modelli dominanti proposti dalla società

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    Messaggio  anna marino Lun Mag 21, 2012 10:17 pm

    (1)Durante il corso di pedagogia della devianza e della marginalità si sono affrontati diversi temi tra cui quello del significato delle parole.Tuttavia molto spesso molto spesso siamo portati a fare confusione nell'uso delle parole e del loro significato,in quanto in quanto si tende a generalizzare un discorso molto più articolato utilizzando un unica parola per definire un argomento molto più vasto,va ricordato a tal proposito che proprio nell'uso delle parole nel campo della disabilità bisogna fare molta attenzione,poichè un uso sbagliato o inappropiato può in molti casi accentuare la situazione di handicap anzichè alleviarla. A tal proposito;questa grande confusione nell'uso dei termini da utilizzare,a portato alla nascita dell'organizzazione mondiale della sanità che porta la sigla di(OMS).Una prima classificazione di questa organizzazione fu l'ICD ossia organizzazione mondiale delle malattie,dove esse venivano descritte e catalogate in codice,fornendo per ogni sindrome o disturbo una accurata descrizione delle principali caratteristiche cliniche e diagnostiche.Successivamente all'Icd,negli anni 80,vi è stata creata un'altra classificazione ossia l'ICIDH,modificando quella precedente,per far si che si passasse dalla definizione di handicappato a quella più appropiata di "diversamente abile",ossia l'individuo che è abile diverso per esempio perchè ha sviluppato l'udito e l'olfatto in modo diverso.Infine negli anni 90 ci fu un importante e radicale cambiamento,un nuovo modello molto più completo che abbraccia anche la sfera sociale,ossia l'ICF,che sta per classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute,in cui si ha anche il coinvolgimento dell'intero ambiente,del contesto e delle relazioni,infatti secondo l'icf la disabilità è una condizione di salute che deriva da un contesto non appropiato,essa pone al centro dei suoi obbiettivi la sicurezza che queste persone svolgano una vita adeguata affinchè possano vivere e relazionarsi meglio con la società che li circonda. -DISABILITA' E DIVERSITA' E'molto importante,dopo quanto detto,analizzare e fare una distinzione tra il concetto di disabile e quello di diverso;pertanto il disabile è incapace,conseguente ad una menomazione,di svolgere determinate funzioni e di assalire particolari compiti nel modo che sono considerati"normali" per un individuo,e spesso nel gergo comune questo termine erroneamente sta ad indicare una persona priva di capacità,sottovalutando il fatto che possano essere altre e molteplici le sue abilità,per questi motivi spesso la disabilità viene confusa con la diversità,poichè si pensa che chi è disabile è automaticamente diverso,trascurando il fatto che noi tutti esseri umani siamo l'uno diverso dall'altro e non per questo siamo disabili;questo dovrebbe far capire che il termine più giusto da utilizzare non sia disabile ma diversamente abile,in quanto ha delle abilità diverse dagli altri che possono essere rielaborate e potenziate.Un grandissimo esempio di resilienza ci viene dato dal grande atleta Oscar Pistorius,che nonostante non abbia l'uso degli arti inferiori è un atleta affermato e,grazie all'ausilio di protesi in carbonio al posto delle gambe,ha fatto dei suoi limiti il suo punto di forza,in quanto egli,come detto in precedenza,non è diverso ma è esattamente unico come tutti gli altri. (2)ANNA MARIA MURDACA nel suo testo"COMPLESSITà DELLA PERSONA CON DISABILITA'"mira a: -alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità -alla rimodulazione del termine integrazione -alla comprensione delle reali condizioni di vita Secondo la Murdaca bisogna abbandonare la logica dell'inserimento e dirigersi verso una visione più globale. Come suggerisce la scrittrice è il CONTESTO SOCIALE a determionare la condizione di handicap,a favorire il processo di esclusione oppure di emarginazione,in quanto l'ambiente sociale tende ad allontanare il diversamente abile e a farlo swentire diverso dagli altri, ed è appunto questo il primo atteggiamento che deve cambiare secondo la docente,con l'obbiettivo di mirare a valorizzare le persone,nel rispetto delle differenze e dell'indentità di ciascuna di loro. Il punto centrale per la Murdaca e che non si deve mai definire nessuno per SOTTRAZIONE poichè si tratta appunto di persone e si caratterizzano x capacità e non per quello che sanno fare. E' pertanto essenziale prendersi cura e capire le reali condizioni di vita di una persona con disabilità poichè prendersi cura di una persona disabile non significa solo fornirgli assistenza fisica e materiale per i suoi bisogni di fame,sete etc.fine a se stessi,ma aiutare ad imparare nuovi modi di affrontare le situazioni della vita quotidiana ,legate ad essi,per una sempre maggiore autonomia personale,comportamentale e di movimento. Tali situazioni hanno un estrema importanza per lo sviluppo e la crescita psicologica dell'individuo,nonchè per la sua vita sociale e di relazione. L' assistenza alla persona,quindi può essere definita come un processo o una situazione per mezzo dei quali una persona aiuta un'altra a modificare il suo comportamento,ad adottare delle strategie x far fronte alle proprie esigenza e a migliorare la propria autonomia dell'ambiente in cui vive,Non è pertanto qualcosa cge l'uno fa all'altro,ma piuttosto un'attività che le due persone fanno insieme reciprocamente. REMOURY LIPOVETSKY E BRAIDOTTI
    Remoury e lipovetsky hanno utilizzato la concezione del corpo attraverso la triade:bellezza,salute giovinezza,Remoury sottolinea quanto la cultura dell'immagine nelle donne va a confondersi sempre più con quella di bellezza,quest aspetto risulta in una società di mass-media di primaria importanza in quanto il bisogno di essere bello ci viene imposto dalla società stassa,egli afferma inoltre che le donne sono alla ricerca della perfezione corporea che rende il corpo stesso libero e liberato da malattie e dal peso del tempo.Lipovetsky invece nel suo testo"La terza donna",sottolinea i valori a cui la donna deve far riferimento per il raggiungimento dell'eterna giovinezza,la perfetta bellezza e la salute totale e oltretutto capace di gestire e controllare la propria immagine all'interno dei modelli sociali. Una visione molto più futuristica ci viene invece fornita da Rosa Braidotti che nel suo testo"madri-mostri e macchine" parla appunto di un corpo mostruoso che definisce"corpo macchina" sul quale la donna lavora attraverso un rapporto senpre più stretto con la tecnologia. In fine per quanto riguarda l'ausilio di protesi estetiche credo che sia opportuno fare una distinzione,in quanto sono favorevole se utilizzate in casi seri dove c'è realmente la difficoltà nell'accettare una menomazione fisica,contrariamente se si fa un abuso ai fini puramente estetici non sono d'accordo,poichè a mio parere si dovrebbe pensare più all'essere e non all'apparire,in quanto la bellezza sfuma via con il passare degli anni,mentre è quello che siamo stati e quello che abbiamo dato che rimarrà vivo per sempre.

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    Messaggio  enzacoppola Mar Mag 22, 2012 1:05 am

    La prima classificazione elaborata dall' OMS ( Organizzazione Mondiale della Sanità ) , la Classificazione Internazionale delle Malattie , risponde all' esigenza di cogliere la causa delle patologie , fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e le indicazioni diagnostiche . L' ICD ,sorta nel 1970 , si delinea come una classificazione che focalizza l' attenzione sull' aspetto eziologico della malattia ( Menomazione , disabilità ed handicap ) . Nel 1980 , l' OMS , ha messo a punto una Classificazione Internazionale , l'International Classification of Impoirments Disabilites and Handicaps ( ICDDH ) , secondo una nuova proposta , basata su tre fattori , tra loro interagenti ed interdipendenti : i termini " menomazione , disabilità ed handicap , verranno ad essere sostituiti da : " menomazione , abilità e partecipazione " in quanto la menomazione è caratterizzata da peredita di funzioni corporee ( ad es. la perdita di una mano ) , la disabilità ( ad es. senza un arto si può comunque agire infatti proprio prestando attenzione al caso di Simona Atzori , si nota che nonostante ella non abbia le braccia , guida tranquillamente l' auto ) , l' handicap è una condizone di svantaggio che la società riserva con la presenza delle barriere architettoniche ( per questo si viene definiti handicappati ) . Nel 1992 , l' OMS , pone al centro la persona indipendentemente dall' handicap ; infatti per l' OMS , tutti i paesi dovevano obbligatoriamente adottare una Classificazione Internazionale che cambia così l'approccio al " problema " della disabilità . Il 22 gennaio 2001 , la Classificazione Internazionale del Funzionamento , della disabilità e della salute , l' ICF , da una nuova definizione al termine " disabilità " descrivendo le modifiche dello stato di salute di una persona ma anche le conseguenze di tali modifiche ; questo rappresenta uno strumento importante per gli operatori sociali poichè servendosi di tale strumento , si va a delineare il percorso della persona disabile , dando così modo di costruire il PEI , rispondendo ad alcune domande per la formazione del disabile , attraverso il PEI , si delineano con l' osservazione , le capacità del disabile .
    Soffermandomi sulle parole " disabilità e diversità " , noto che spesso entrambe le circostanze vengono confuse ; entrambe hanno un significato profondo e meritano un' attenta riflessione . La disabilità è una causa psico-biologica ossia l' incapacità, conseguente alla menomazione , di svolgere funzioni e di assolvere particolari compiti nel mondo e nell' ampiezza considerati " normali " per un individuo . Essa può essere una condizione transitoria , permanente , regressiva , progressiva . Spesso alle persone disabili si attribuisce un' etichetta assegnandogni il nomignolo " Disabile " con valore dispregiativo o si tende ad usare attegiamenti di pietismo o in molti casi lo si emargina , non lo si ascolta , non lo si considera come persona o si tende ad essere solidali ; essi si ritrovano in condizioni disagiate non a causa della loro disabilità ma per l' attegiamento che l' uomo usa nei loro confronti . Purtroppo ciò che li rende diversi e considerati tali , sono le barriere architettoniche ; attraverso il laboratorio " barriere architettoniche e l'esperimento dell' orologio " , ho percepito quanto è resa difficile la vita di una persona disabile in quanto ogni giorno è costretta a lottare per usufruire di un servizio che spetta a tutti ( in mancanza di scivoli ai marciapiedi , la persona disabile , è costretta a rischiare di cadere o addirittura di essere travolta da qualche auto ) . Come ho già accennato , la persona disabile è considerata diversa , concetto assolutissimamente sbagliato ; ognuno di noi è diverso , ogni esperienza di vita ci rende diversi , eppure del diverso si ha paura , lo si considera un mostro , non lo si capisce proprio perchè considerato diverso da quelli che sono i nostri canoni di visione . Chiamiamoci per nome !

    Anna Maria Murdaca scrive il testo " Complessità della persona con disabilità " ; esso mira alla ricostruzione di rimodulazione del termine integrazione , alla comprensione delle reali condizioni di vita , quale ruolo effettivamente possono assumere i soggetti disabili , quali servizi vengono erogati per le loro esigenze . Dall' inclusione all' inserimento . Secondo l' autrice occorre abbandonare la logica dell' inserimento ( legge 118 del 1971 ) e dirigersi verso l' inclusione . Sarebbe utile adottare l' ottica della globalità : una nuova cultura e conoscenza della disabilità attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento del comportamento ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica . L' obiettivo è quello di valorizzare la persona umana , con il rispetto della differenza e delle identità , considerazione innovativa nel campo della disabilità , presente nella riforma scolastica della legge delega 28 marzo 2003 n° 53 Art 1 a fronte dell' ICF . L' integrazione è un processo continuo non un punto di arrivo . L' integrazione quindi viene vista come accoglienza : luogo di quel profondo sapere esistenziale in cui il soggetto , ogni soggetto , definisce se stesso avvicinando l' altro . La vera novità è che si mira all' emancipazione del soggetto con disabilità che fa parte del processo di maturazione psicocognitiva , psicoaffettiva e psicosociale che richiede ambienti e soggetti attendibili e sostenibili . La relazione educativa è uno spazio riparativo nel quale una persona disabile sperimenta con gli educatori , gli insegnanti una serie di situazioni di vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati , criticati , proiettati , ricostruitie integrati nella relazione educativa ; in tale educazione si ha una formazione bilaterale : a formarsi sono sia l' alunno che il docente . Il docente-educatore , deve essere una garanzia per l' alunno-discente ovvero nel momento in cui il discente senta il bisogno di dover parlare , l' educatore deve ascoltarlo e fargli capire che può contare su di lui . Vediamo che il contesto sociale è un elemento determinante per la formazione degli ideali , delle convinzioni e aspettative degli adolescenti . Così come la famiglia deve essere consapevole che il proprio figlio o fratello/sorella ha gli stessi loro diritti e che merita lo stesso attenzione ed affetto , senza doversi vedere negare la vita sociale !

    Lipovetsky , Remaury e Braidotti hanno evidenziato lo stato della donna dei nostri tempi : una donna alla ricerca della perfezione una perfezione che , talvolta , rischia di trasformarsi in orrore ; insoddisfatta prima e dopo ! Per Lipovetsky la donna nel momento in cui avrà raggiunti tre obiettivi : eterna giovinezza , salute totale e perfetta bellezza , giungerà a percepire ed autoconvincersi di essere perfetta . Remaury , invece , sostiene che la donna nel momento in cui decide di apportare modifiche al proprio corpo , lo fa anche in relazione a ciò che viene trasmesso dai mass-media , un unico modello di bellezza : la donna magra ma allo stesso tempo prosperosa , perfetta , senza le cosiddette " maniglie dell' amore " . Braidotti , infine , afferma che la donna nel periodo della gravidanza , trasforma il suo corpo tanto da diventare un mostro agli occhi degli uomini infatti , ella , parla di mostri e madri . Per quanto riguarda la questione del corpo macchina , invece , afferma che l' essere umano mette in sfida il proprio corpo e lo fa con la tecnologia . Talvolta il corpo sembra essersi fuso con essa . Harway , a tal proposito , aveva visto dentro gli ambienti virtuali che le tecnologie potevano essere un mezzo di liberazione del dualismo uomo-donna . Così , con il Cyborg , si attua un superamento dell' eterna opposizione maschile/femminile ma non della differenza sessuale . Braidotti nel suo testo " Metamorfosi 2002 " , propone un nuovo modo di pensare la soggettività femminile e il rapporto uomo-donna ; è più importante decidere cosa diventare , non di sapere cosa siamo !
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    Messaggio  teresadamiano Mar Mag 22, 2012 9:02 am

    Lo scopo del nostro corso è stato quello di riflettere sulla “persona” con particolare attenzione sulla persona con disabilità. Purtroppo il termine disabilità viene spesso usato in maniera dispregiativa assumendo nei confronti della persona con disabilità atteggiamenti di pietismo,pensando che si tratti di una persona “diversa”da noi e diventando quasi un “etichetta” senza invece considerare le grandi lezioni di vita che giorno dopo giorno riescono ad offrirci persone con diversabilità (tale termine mette invece in risalto che si tratta di una persona che ha oltre che una dis-abilità anche altre abilità diverse dagli altri, da scoprire, far emergere e potenziare).Tutti sono diversi;non tutti sono disabili! Simona Atzori e Pistorius sono per noi esempi di Resilienza: La bellezza delle cose risiede nella mente di chi lo possiede”!Da qui il crescente bisogno di avere sull’identificazione delle diverse disabilità porta a far riferimento ai documenti legati all’organizzazione mondiale della sanità(OMS).La prima classificazione elaborata dall’ OMS è la classificazione Internazionale delle malattie (ICD 1970) che risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Tale classificazione però si sofferma sull’aspetto eziologico della malattia, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici , avvicina insomma la disabilità alle patologie cliniche facendo dell’elenco una sorta di enciclopedia medica. Nel 1980 l’OMS ha messo a punto una nuova proposta ICIDH che si basa su tre fattori: Menomazione che indica qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica, anatomica.– Disabilità intende qualsiasi restrizione o carenza della capacità di svolgere una attività nei modi e nei limiti ritenuti normali per un essere umano – Svantaggio o Handicap è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, il disagio sociale e la condizione di svantaggio che può essere alimentato dal contesto in cui vive. L'OMS nel 2001 pubblica il manuale di classificazione ICF e propone una definizione del concetto di disabilità e di salute multidimensionale. Secondo l'ICF, la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. L'ICF pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia,e permette di evidenziare come le persone convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla, per avere un'esistenza produttiva e serena. Tutelare la vita di persone affette da tale patologia è molto difficile prima di tutto perché nella vita quotidiana si trovano sempre a dover affrontare la condizione di emarginazione. Anna Maria Mudarca autrice del libro Complessità della persona e disabilità affronta infatti tematiche come integrazione, complessità, inclusione e inserimento del disabile tutte queste tematiche conducono l’autrice ad affrontare temi come:ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    rimodulazione del termine integrazione ,comprensioni delle reali condizioni di vita di una persona disabile. Il suo obiettivo è quello di valorizzare la persona rispettando le differenze e l’identità. Il contesto sociale , ha un ruolo molto importante, poiché è essa che determina una condizione di Handicap. Infatti a esaltare le discrepanze tra il soggetto disabile e la società in cui vive, sono gli ostacoli ,le barriere fisiche,che impediscono ad una persona con deficit di portare a termine una particolare attività considerata normale. Infatti un esercizio che mi ha fatto molto riflettere è stato quello di confrontare la mia giornata tipo con la giornata di una persona costretta a stare su una sedia a rotelle riflettendo a quante difficoltà ha tale persona ad affrontare anche i gesti più semplici. E’ il caso delle barriere architettoniche e del disagio sociale che non permette di svolgere senza difficoltà anche una semplice passeggiata in paese. Secondo Murdaca, bisogna prima di tutto adottare l’ottica della GLOBALITA’, cioè bisogna avere una nuova cultura e conoscenza della disabilità che sia attenta non solo al comportamento del soggetto, ma al suo riconoscimento come persona in evoluzione. Come già ho affermato l’integrazione è proprio uno dei problemi che la persona disabile deve affrontare. A favorire l’integrazione vi è: la relazione educativa.
    La relazione educativa, è lo spazio dove il disabile, insieme agli insegnanti, educatori, sperimenta una serie di situazioni, vissuti,che vengono elaborate,criticate ed integrate. La relazione educativa, può
    essere un momento di incontro, di scambio di idee,sia un dare e avere che può coinvolgere 2 persone, come il docente/alunno,madre/figlio ect. Ritornando al discorso del contesto sociale oltre ad essere importante per l’integrazione di persone disabili e anche importante per i falsi ideali che la società attuale sta dando agli adolescenti!Un ruolo importante per la formazione di questi stereotipi è svolto dalle tv dai giornali che non fanno altro che proporre modelli di donne perfette. Ormai la cultura nell’immagine delle donne si confonde con quella della bellezza. Autori come Remaury, Lipovetsky e Braidotti si sono interessati alla tematica della donna, in particolare al suo bisogno di migliorarsi, di trasformarsi, di raggiungere “l’eterna giovinezza apparente”.Remaury per esempio nel Il gentil sesso debole dice che siamo diretti e orientati verso una corsa alla perfezione, abbiamo secondo lui un triplice obiettivo: giovinezza – bellezza – salute. Oggi la società ci impone quasi modelli a cui attenerci, ed ecco che si ricorre facilmente a protesi estetiche! Durante il corso più volte ci è stata posta la domanda protesi estetiche tecnologia del miglioramento? Credo invece che le protesi se servono per migliorare la qualità della vita come nel caso di Pistorius sono tecnologia per miglioramento ma se servono per migliorare una parte del nostro corpo non sono altro che protesi che con il passare del tempo rovinerà la qualità della nostra società! Non esisteranno più adolescenti con ambizioni ma semplicemente adolescenti che penseranno che la cosa che migliorerà la loro qualità di vita sarà creare un corpo perfetto!

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