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La pedagogia della disabilità deve partire dall’analisi e dall’importanza delle parole ad essa relative. Lo scopo è di fare una attenta riflessione sui termini utilizzati in questo campo e sulle caratteristiche della persona con disabilità. Spesso facciamo confusioni linguistiche proprio perché non conosciamo appieno il significato del termine che utilizziamo. Ci sono diverse classificazioni a riguardo, una delle quali è l’ICD (Classificazione Internazionale delle Malattie) elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS, fondata il 7 aprile 1948) nel 1970. L’ICD risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome o disturbo una descrizione delle principali caratteristiche, effettuando diagnosi. L’ICD focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione , la ricerca e l’analisi dei dati attraverso lo schema: eziologia – patologia –manifestazione clinica . L’OMS , nel 1980, ha anche definito una classificazione internazionale , ovvero l’ICDH,( International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps), modello derivante a sua volta dall’originario ICD. Questa nuova proposta si basa su 3 fattori : 1)menomazione ,ovvero qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o funzione psicologica, fisiologica o anatomica. Quindi rappresenta un danno organico o funzionale relativo ad uno specifico settore (es: arto)o qualsiasi altra parte del corpo , tali caratteristiche possono essere sia transitorie sia permanenti. La menomazione inoltre, può essere temporanea, accidentale( a seguito di un incidente) o degenerativa ( può portare alla disabilità); 2)disabilità, cioè l’incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti considerati “normali” per un individuo, quindi, rappresenta una limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività e può implicare ostacoli nei rapporti sociali; 3)handicap , che può avvenire in seguito a menomazione, è la difficoltà a maturare quelle capacità della persona necessarie alla realizzazione progressiva della personalità integrale, è una condizione di svantaggio.
Questi 3 termini appena elencati verranno sostituiti dai termini menomazione, abilità e partecipazione. In questo modo vi è una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale, implicando cosi un notevole cambiamento. L’ICDH si è poi trasformato nell’attuale ICF(Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute), pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001 e propone una definizione del concetto di disabilità multidimensionale e dalla portata innovativa rispetto alle precedenti classificazioni. Il mutamento del termine non riguarda soltanto la linguistica ma produce un cambiamento nel modo di concepire la malattia, la salute, la menomazione, la disabilità, l’handicap come dinamiche mutevoli nel contesto del percorso di vita di ogni individuo in relazione all’ambiente esterno e al contesto particolare in cui si trova a vivere. Infatti secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. L’ICF è una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati, è stata introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona cioè cosa quella persona è in grado di fare o cosa non riesce a fare. La disabilità viene considerata come misura delle attività che l’ambiente esterno consente di espletare non più soltanto come condizione soggettiva. Vi è, quindi, l’intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale; in questa classificazione i fattori biomedici e patologici non sono gli unici ad essere presi in considerazione ma si considera anche l’interazione sociale: l’approccio, così, diventa multi prospettico (biologico, personale e sociale).Tale classificazione non classifica solo condizioni di salute, malattie o traumi che sono d’interesse dell’ICD, bensì le conseguenze associate alle condizioni di salute e pone al centro la qualità della vita delle persone affette da patologie. Possiamo, quindi, pensare che con l’ICF il cambiamento è nel pensare più le condizioni di salute che quelle di malattie, la disabilità come un evento dinamico e non statico, l’handicap come determinato da barriere esterne e non come condizione del singolo. Con l’ICF il termine benessere diviene centrale proprio perché considera fondamentale esaltare le risorse personali fisiche, sociali e ambientali delle persone al fine di garantire condizioni di vita ottimali.
Dalla classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità, handicap si è passati alla classificazione internazionale delle funzioni ; il termine” menomazione” è stato sostituito da “funzioni”, il termine “disabilità” da “strutture corporee” e “handicap” da “attività e partecipazione”. Il termine attività è indicativo di un’attenzione differente all’individuo, che non viene più considerata in base ai suoi limiti funzionali ma soprattutto in relazione alle possibilità di superamento dei limiti stessi, mentre la partecipazione viene concepita come la possibilità di superare gli svantaggi sociali che un individuo può incontrare a causa di un deficit. Dunque, la modalità in cui una persona convive con il proprio deficit è determinata dall’interazione di fattori sociali che possono ora individuarsi in barriere o facilitatori che possono ostacolare o favorire un’esistenza normale. Sono le barriere architettoniche a rendere una persona disabile. Si pensi a tal proposito a luoghi in cui ci sono marciapiedi senza scivoli o di piccole dimensioni tali che persone su carrozzelle non riescono a muoversi in questi spazi oppure metropolitane prive di strutture adeguate per salite e discese. I facilitatori, invece, sono fattori che mediante la loro presenza o assenza migliorano il funzionamento e riducono la disabilità. Essi includono aspetti quali la disponibilità di ausili, e gli atteggiamenti positivi delle persone verso la disabilità. Adottando questo sistema si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte integrante della società stessa. Gli ambiti in cui può essere utilizzato l’ICF sono: sanitario, sociale, educativo. In questo modo possiamo renderci conto di quanto sia importante il “contesto” nel quale viviamo. A proposito di contesto, durante il corso abbiamo avuto l’occasione di vedere un video nel quale i protagonisti erano 2 giovani ragazzi che appartenevano a contesti differenti, essi erano diversi per religione, lingua, tradizioni, ma si erano innamorati e i genitori di entrambi non erano d’accordo proprio per una questione di diversità, ma anche di pregiudizio. Il diverso, infatti, è spesso considerato lo straniero, colui che incute timore perché crea delinquenza nella società ospitante e quindi viene emarginato dalla società. Egli viene isolato poiché è distante da quello che siamo noi. In altri casi il diverso viene anche associato al disabile, ma a mio parere non è una giusta associazione in quanto ognuno di noi è diverso dall’altro; in questo caso credo sia giusto parlare di diversabile in quanto il disabile è una persona con delle capacità, abile nel fare determinate cose. In questo corso abbiamo avuto modo di conoscere persone diversamente abili tra cui l’incontro con il sig. Palladino, un uomo che ha perso la vista da piccolo e ora convive con questo suo disagio. Egli è un esempio di quanto detto sopra in quanto riesce a fare cose che noi normodotati non sappiamo fare. Ho citato quest’uomo perché è stato uno degli incontri più piacevoli e più emozionanti, perché ho notato che pur convivendo con questa disabilità, è un uomo con un grande coraggio, con una immensa voglia di vivere e per di più con un forte senso di ironia. Un’altra persona che vorrei citare, ma che purtroppo non ho conosciuto, è Simona Atzori. In aula abbiamo visto un video che rappresentava brevemente come è la vita di Simona, e ancora una volta posso ribadire che le persone disabili sanno fare davvero tanto, ne è un esempio questa giovane donna la quale riesce a guidare con i piedi non avendo braccia, disegna con i piedi e per di più balla sostituendo i piedi alle braccia. Chi di noi riuscirebbe a farlo? Perciò è giusto pensare un po’ di più quando parliamo di disabilità e di persone disabili, considerando il loro essere speciali.
2)Da qui vorrei riprendere una frase di Anna Maria Murdaca, docente e autrice che si occupa di questioni relative la persona con disabilità, la quale afferma: “Non si deve definire nessuno per sottrazione”. Ella scrive il testo: “ Complessità della persona e disabilità”; i temi che emergono sono l’integrazione, la cura e la relazione educativa, la globalità della persona, l’ambiente e lo spazio riparativo. Il testo mira ad una rimodulazione del termine “integrazione”, alla comprensione delle reali condizioni di vita, quale ruolo effettivamente possono assumere i soggetti disabili e quali servizi vengono erogati per le loro esigenze.
Secondo l’autrice occorre dirigersi verso l’inclusione adottando l’ottica della globalità, una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del comportamento e dell’assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione. Da un lato una simile cultura impone un’ottica flessibile articolata sulla continua modificabilità del soggetto, da cogliere nella sua prospettiva biografica; dall’altro necessita di un ripensamento dell’integrazione, intesa come “spazio riparativo” dove il disabile può sperimentare con gli educatori una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, ricostruiti e integrati all’interno della relazione educativa. L’obiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità perché si tratta di persone e si caratterizzano per le capacità non per quello che non sanno fare. L’ integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di strategie, soluzioni idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili. Diviene, così, costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, i mezzi per costruire la propria identità. Lo scopo è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili in una comunità che li educa e li fa crescere. Perché ciò sia possibile è necessario un lavoro integrato in grado di coniugare l’aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, assicurando iniziative di vera promozione personale.
L’integrazione avviene nel contesto sociale ed è proprio esso a determinare la condizione di handicap, sono gli ostacoli e le barriere, non solo architettoniche, ma anche fisiche(mentali e culturali) a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. Quindi l’ambiente ha una certa influenza sulla vita degli individui a partire dal contesto familiare , dalla scuola ,fino alle politiche sociali e al contesto lavorativo. In quest’ottica la scuola rappresenta un’importante istituzione, poiché insieme alla famiglia, può contribuire a sviluppare una buona integrazione e buone capacità e competenze nell’alunno disabile, quindi anche la figura dell’educatore e dell’insegnante è di fondamentale importanza in quanto questi devono possedere adeguate informazioni allo scopo di fornire al bambino con disabilità il giusto equilibrio sia fisico che mentale. L’integrazione deve consistere in un’azione di sviluppo, interazione, modulazione e risposte emotivo-affettive. Rimodulare l’integrazione vuol dire proprio guardare alla globalità della persona che non può venire scomposta in funzioni che possono essere curate separatamente .Il nuovo progetto sarà una politica socio - educativa che consiste in :Integrazione, Differenziazione, Personalizzazione attraverso i contesti di apprendimento, ausili e attraverso una buona costruzione della conoscenza. Tutto ciò è finalizzato a sollecitare nei soggetti disabili lo sviluppo di indipendenza e emancipazione.
Per quanto riguarda il concetto di cura, essa è volta alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare, aiutando la persona con deficit a ridare senso e significato alla sua personale esperienza, a ricordarsi di sé e dell’unicità della sua storia per accettarsi e convivere con la propria specialità. Quindi diventa “cura di se ”,ovvero addentrarsi nella propria vita interiore e esplorare le profondità dell’esperienza, si impara cosi a vivere la propria interiorità senza temerla, a stare in dialogo con essa. L’aver cura di sé, dunque, permette uno sguardo più profondo che coglie, di fronte a ogni difficoltà, l’essenza delle cose senza fermarsi all’apparenza. La vera novità è che non si mira all’accudimento ma all’emancipazione del soggetto con disabilità, che fa parte del processo di maturazione psico-cognitiva, psico-affettiva e psico-sociale che richiede ambienti e contesti attendibili e sostenibili. Inoltre occorre costruire una serie di attività atte a rendere significativa la presenza dei disabili attraverso esercizi didattici.
Molto importante è anche la relazione educativa; essa è uno spazio riparativo nel quale il disabile sperimenta con gli educatori vissuti intrapsichici che una volta elaborati, consentono agli operatori di progettare delle opportunità educative da offrire al disabile affinchè egli stesso ripensi alle proprie capacità funzionali ed elimini maschere, blocchi, disagi scoprendo in questo modo le forze resilienti capaci di far superare le difficoltà insite nel profondo della personalità. Collegare le esperienze che il soggetto quotidianamente affronta con il suo fare biografia emotivo-affettiva è utile per una diagnosi clinica funzionale. La relazione educativa è anche un complesso legame che si forma tra docente e discente, ovvero rappresenta l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l’educatore e coloro che egli educa. Questa relazione deve essere incontro, partecipazione, alleanza e non basata su una disparità di poteri tra insegnante e alunno, in quanto ogni relazione è educativa dal momento che è portatrice di valori, opinioni in cui ogni individuo riceve qualcosa. Assolutamente necessario è il rispetto reciproco, fondamentale per rendere positivo l’incontro. Alla base di una relazione educativa vi è la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all’ascolto, all’accoglienza e dando spazio alla libertà dell’altro. In questo modo si verifica uno scambio di emozioni e di conseguenza anche un legame affettivo che permette alla persona che è in difficoltà ad esempio di fidarsi ; l’educatore deve ,quindi, essere paziente, sensibile, accettare il pensiero altrui, deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, arricchendole di conoscenze e allo stesso tempo deve essere pronto a mettersi in discussione e migliorarsi; inoltre deve comprendere e attuare la relazione a seconda del tipo di alunno che si ha davanti, valorizzandone le caratteristiche soggettive, infine, deve creare un clima sereno e una serie di situazioni che possano mettere a proprio agio il soggetto che ha di fronte, coinvolgerlo e renderlo partecipe nelle attività scolastiche ed extrascolastiche. Bisogna creare un rapporto alla pari senza creare differenze, in modo tale che il soggetto si senta libero di esprimere le proprie idee e confrontarsi liberamente con altri soggetti , quindi una relazione educativa basata non solo sul rispetto ma anche sulla parità in cui entrambe le persone ricevono e danno qualcosa. In questo senso la relazione educativa può essere definita come un’occasione di formazione bilaterale, nel senso che l’educando apprende grazie all’educatore, e l’educatore grazie all’educando poiché attraverso la pratica può rendere migliore il suo lavoro e quindi le tecniche di educazione.
Nel caso di un disabile il compito dell’educatore è di mettere in atto specifici programmi per fare emergere le doti del disabile, non mettendone in luce le “mancanze” ma evidenziare le capacità e le potenzialità di una persona. A tal proposito un’interessante proposta del testo “Complessità della persona con disabilità” di Murdaca è ripensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità, i quali, non sono soggetti passivi di pietismo ma altrettanto responsabili di questa relazione e quindi cittadini a pieno titolo e in quanto tali aventi diritto all’autonomia e all’indipendenza. Dunque, da quanto detto possiamo affermare che la relazione è un obiettivo educativo di primaria importanza che richiede tempo e impegno dei soggetti in questione, è un processo in quanto implica dinamiche e trasformazioni in ciascuno dei partner. La finalità della relazione educativa è educare alla relazione con gli altri e che le prime relazioni costituiscono un modello per quelle future.
3)Il contesto, dunque, gioca un ruolo determinante non soltanto per quanto riguarda i disabili e il loro inserimento nella società, ma anche e soprattutto nel caso in cui si vuole raggiungere un ideale: il corpo perfetto. Questo, negli ultimi tempi è diventato un aspetto fondamentale per emergere nella vita; fonti di informazioni tra cui riviste, televisione, radio sono sempre più fondate sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità. Sono soprattutto le donne e giovani adolescenti che ricorrono alla chirurgia estetica per rendere il proprio corpo più bello. Il miglioramento fisico ed estetico è l’adempimento dei bisogni della donna cioè quello di essere bella. Remaury, ne “Il gentil sesso debole”, afferma che siamo orientati verso una corsa alla perfezione, si vuole raggiungere la triade giovinezza- bellezza- salute. Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che una donna oggi deve continuare ad avere se vuole, in un certo senso, essere accettata dalla società; coloro che non si adeguano a questi canoni di bellezza finiscono con il sentirsi umiliate. È, quindi, opportuno dare una spiegazione riguardante il corpo trasfigurato, il corpo esatto e il corpo liberato. Il corpo trasfigurato è legato all’immagine della perfezione corporea, il corpo deve raggiungere la perfezione grazie ai progressi della scienza; il corpo esatto è il modello dominante e compie progressi verso la perfezione; infine il corpo liberato di cui parla Lipovetsky ne “La terza donna” lo è dalla malattia, dal peso, dal tempo cioè sano, magro e giovane per questo si parla di salute totale, perfetta bellezza ed eterna giovinezza. Un corpo è considerato bello, energico e perfetto quando si svincola dalle minacce esterne (dal peso, dalla malattia, dal tempo). Il controllo della propria immagine conduce la donna verso il corpo realizzato. La donna diventa colei che gestisce e controlla la propria immagine all’interno della variegata offerta di modelli sociali, tra i quali sembra di poter scegliere quello che più le è congeniale. C’è la convinzione che la donna si identifichi necessariamente in quei determinati modelli. Braidotti, nel testo “ Metamorfosi” proponeva un nuovo modo di pensare la soggettività femminile, un modo di segnare la femminilità con la corporeità in continua metamorfosi, un femminile virtuale. Il nuovo femminismo è il cyberfemminismo nei computer. La differenza tra femminismo e cyberfemminismo è il mezzo, cioè il computer, prolungamento delle nostre menti. Le cybergirl sono soggette a numerose interpretazioni e si ritrovano, in qualche modo, dentro le tecnologie. Queste portano alla ribalta di un nuovo tipo di maschile e femminile, cioè il cyber tecnologico. Sempre Braidotti, nel libro “Madri, Mostri e Macchine, parla di mostruosità del corpo e sostiene che la donna com’è capace di deformare il proprio corpo durante il periodo di maternità, diventa qualcosa di orribile, mostro e madre allo stesso tempo. Da qui Braidotti propone di incarnare, oltre alla maternità e mostruosità anche il corpo macchina, ella sperimentava un atteggiamento creativo nei confronti delle tecnologie, strumento utile per arginare il conflitto di genere portando la differenza sessuale nei mondi elettronici, digitali, virtuale. Si parla, quindi, di tecnocorpo cioè un soggetto umano incarnato che è strutturalmente interconnesso a elementi tecnologici .Ad esempio si ha un tecnocorpo quando il computer diventa parte del corpo umano. Il computer viene inteso come protesi. A tal riguardo durante il corso abbiamo affrontato il tema delle protesi estetiche, cioè dispositivi che hanno lo scopo di sostituire una parte mancante del corpo; queste sono state create per migliorare un deficit, una malformazione, ma ora sono usate per lo più per scopi estetici . Io credo che bisogna accettarsi per come si è, senza ricorrere troppo all’utilizzo di chirurgie estetiche che spesso si trasformano anche in pericolosi interventi. L’unica vera bellezza è quella interiore, quindi non dovremmo assolutamente farci influenzare da questi canoni di bellezza.