Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

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    Marianna Carfora


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Marianna Carfora Lun Mag 21, 2012 2:30 pm

    Che cos’è la felicità? Non è possibile dare una risposta precisa a questa domanda, poiché la felicità non è uguale per tutti, non risiede per tutti nelle stesse cose e spesso non si sa neanche di possederla. C’è chi la cerca per una vita intera e alla fine si rende conto di averla vissuta in tanti attimi della propria vita senza essersene accorto. Spesso, infatti, si pensa che la felicità sia uno “status” da dover raggiungere e che, una volta raggiunto, lo si debba conservare per tutta la vita. Quella non è felicità, ma solo ciò che noi crediamo sia la felicità, confondendola, invece, con la gioia, la soddisfazione, l’appagamento. La felicità è un concetto così vario, ma così profondamente legato all’uomo, che ha rappresentato la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni. Essa può essere anche indicata con il termine “eudaimonia” che, nell’età antica, significava avere un buon demone dalla propria parte, avere buona sorte, infatti, allora, il concetto di felicità era strettamente legato a quello di fortuna. In seguito, con Socrate, Platone ed Aristotele, il concetto di eudaimonia cambia e si inizia a parlare di un uomo che è in grado di raggiungere la felicità e di diventare felice, anche contro la sorte.
    Nettle distingue tre tipi diversi di felicità:
    -felicità di primo livello: si ha quando le persone, nonostante sappiano di non provare gioia in ogni momento della loro giornata, si rendono conto che i momenti in cui hanno provato emozioni positive sono maggiori rispetto a quando hanno provato emozioni negative;
    -felicità di secondo livello: viene indicata anche con le parole “appagamento” e “soddisfazione”; non si presenta solo come un semplice bilancio tra emozioni positive e negative, come per quella di primo livello, ma coinvolge anche i processi cognitivi, poiché è in grado di fare paragoni con altri possibili risultati;
    -felicità di terzo livello: rappresenta un senso di felicità più ampio, che coincide con il vivere bene e con il realizzare e sviluppare tutte le proprie potenzialità.
    Quindi, se prendiamo in considerazione la felicità di terzo livello, vediamo come essa non sia qualcosa “per pochi”, solo per chi si mette alla sua ricerca, riesce a trovarla e possiede tutte le giuste caratteristiche per essere felice (es: salute, soldi, bellezza, ecc…), ma è qualcosa che è alla portati di tutti, poiché è data dalla capacità di ognuno di sviluppare a pieno tutte le proprie potenzialità. Per questo, dal punto di vista scientifico, si parla di benessere: esso coinvolge varie dimensioni dell’individuo, da quello fisico e psicologico a quello sociale, e può svilupparsi nonostante siano in corso malattie temporanee o croniche. Canevaro afferma che il benessere di un individuo non è legato solo alla sfera individuale, ma anche a quella sociale, poiché è dato anche dalla sua capacità di organizzarsi e adattarsi alle strutture e a i contesti che lo circondano. Per questo Delle Fave sottolinea che tutti i membri della società sono coinvolti in questo processo, anche coloro che vengono considerati svantaggiati, come le persone anziane, i disabili, gli immigrati, ecc.. In realtà essi non si presentano direttamente come individui svantaggiati, ma lo diventano poiché la loro condizione porta a delle conseguenze svantaggiose per gli altri, rispetto alle normali attese. Quindi, lo scopo principale, che oggigiorno dobbiamo prefissarci, è quello di permettere che il benessere si diffonda anche tra queste persone, soprattutto tra i disabili, poiché sono sempre stati considerati come una “categoria” che non può essere felice a prescindere, poiché il loro stato di “disabili” comporta tutta una serie di difficoltà, sofferenze e problemi che non hanno nulla a che fare con il benessere e la felicità. Permettere lo sviluppo del benessere tra le persone disabili, non è stata sempre la prima preoccupazione di chi si occupava di loro. Infatti, nei secoli precedenti, le persone disabili non erano proprio considerate parte della società e venivano affidati a delle istituzioni affinché se ne prendessero cura. Solo nel 1800, Edouard Seguin giudò la prima scuola per disabili che aveva come scopo quello di educare i bambini disabili e di sviluppare al meglio le loro capacità, proprio in vista di un loro completo inserimento sociale. Questo tipo di scuola durò poco, poiché, con il passare del tempo, la società non li vedeva “guariti” , e le istituzioni diventarono dei luoghi dove tenere rinchiusi questi individui, in modo che fossero sempre più lontani dalla società che ormai non era più in grado di accettare la loro presenza. Fortunatamente, negli ultimi decenni del secolo scorso, si sono diffuse ampiamente delle politiche che mirano alla “normalizzazione” delle persone disabili e iniziano a diffondersi, istituzioni, associazioni che offrono supporto alle famiglie e anche servizi di educazione speciale, al fine di dare la possibilità ai disabili di prendere decisioni riguardo la loro vita. Questa capacità è fondamentale, visto che il benessere è dato dalle decisioni che prendiamo, dai rapporti che instauriamo con le altre persone e in che modo facciamo nascere e portiamo avanti questi rapporti. È proprio lì, infatti, che risiede il benessere, nel rapporto attivo e positivo che abbiamo con gli altri e con noi stessi, che ci spinge ad impegnarci in dei progetti, a cercare di realizzare i nostri sogni, in modo che, anche per un disabile, i problemi e le difficoltà, vengano accantonati in un angolino, e magari anche smorzati e alleviati da delle attività che si basano sulle loro capacità, sulla loro potenzialità e sulla loro forza di reagire. Costruire a partire dai soggetti e dalla forza che essi esprimono, piuttosto che dalle loro debolezze, si conferma come una sostanziale inversione di marcia rispetto al passato, dove gli interventi di assistenza restituivano al soggetto una totale impotenza e inadeguatezza rispetto al problema; la persona, allora, non poteva far altro che accettare la propria condizione e rassegnarsi ad essa, impoverendo, così, e non stimolando le risorse psicologiche che le spingono a reagire, sulle quali, invece, si dovrebbe far leva. Un esempio di questa grande forza interiore potrebbero esserlo Simona Atzori o Oscar Pistorius, che non sono rimasti lì a crogiolarsi nel dolore e nella sofferenza, ma hanno puntato sulle cose che sapevano fare, sulle loro passioni, sulla loro voglia di farcela, mostrandosi così come persone resilienti, e che hanno portato Simona a diventare una ballerina, a saper dipingere, o Oscar a diventare un campione nella corsa. Da qui parte la riflessione della professoressa Iavarone, che propone una pedagogia del benessere, il cui obiettivo non è (nel caso dei disabili) solo quello di sviluppare le capacità di base, come mangiare, lavarsi e vestirsi, ma e soprattutto, quello di puntare sulle loro capacità e potenzialità, in modo che siano in grado di scegliere il proprio percorso di vita. Il ruolo dell’educatore, o di chi li assiste, dovrebbe essere proprio quello di facilitare il più possibile la messa in atto di questi progetti, grazie ai quali la personalità dell’individuo può svilupparsi al meglio e migliorare, in generale, la sua qualità della vita. Questo ruolo, però, non deve essere ricoperto solo dall’educatore, ma in primo luogo dalla famiglia, poiché è il primo “ambiente” con cui si confronta il bambino disabile. Ovviamente, per molte famiglie, la nascita di un figlio disabile è un trauma, perché viene meno l’immagine del bambino bello e sano che crescerà senza alcun problema. Dopo il trauma, però, c’è una sorta di risveglio e le famiglie capiscono che in fondo non è un’impresa impossibile crescere un bambino disabile; quindi si pongono in maniera positiva, cercando di realizzare il pieno potenziale dei propri figli e tutto ciò ha delle ripercussione positive sulla qualità della vita di tutta la famiglia, che è capace di cogliere gli aspetti positivi di ogni situazione. Tutto questo, insieme alle politiche che vengono adottate in questa direzione, contribuiscono, non solo a migliorare lo standard di vita delle persone disabili, ma anche al loro benessere soggettivo. Quindi non è poi così assurdo pensare che tutti, ma davvero tutti, possano trovare la felicità in ogni momento della propria vita, indipendentemente se essa abbia a che fare con la vecchiaia, una sedia a rotelle, una porsche, la pelle di colore, una scritta in braille, o semplicemente con la normalità…
    Cristina Cardillo Zallo
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    Messaggio  Cristina Cardillo Zallo Lun Mag 21, 2012 2:56 pm

    L’educazione inclusiva è un diritto universale che consiste nella capacità della scuola di farsi carico di tutti gli alunni con le loro molteplici diversità.
    Essa pone una particolare attenzione a quei gruppi di studenti che possono essere a rischio di marginalizzazione, esclusione o insuccesso scolastico assicurando loro, attraverso nuovi percorsi e nuove strategie, la presenza, la partecipazione e il successo nel sistema educativo, scolastico e sociale.
    L’inclusione è un processo per rapportarsi e corrispondere ai differenti bisogni di tutti gli studenti attraverso una crescita della partecipazione all’apprendimento; implica mutamenti e riorganizzazione nei contenuti, negli approcci, nelle strutture e nelle strategie, con una visione del diritto all’educazione di tutti i ragazzi. In altre parole è il sistema scolastico che deve adeguarsi in modo da corrispondere alle necessità degli studenti. Per sostenere il cambiamento dei contesti educativi e il progresso verso la realizzazione di un diritto all’istruzione per tutti, è necessario prendere in considerazione i seguenti punti: creare dei sistemi educativi flessibili, intendere la diversità come valore, eliminare tutte le barriere, dare sostegno agli insegnanti nelle scuole, promuovere il lavoro di gruppo, creare un ambiente positivo per i discenti,sviluppare la cooperazione tra genitori e specialisti. Il raggiungimento dell’obiettivo può avvenire solamente se c’è un ottima predisposizione e professionalità da parte degli insegnanti e dell’ambiente di apprendimento i quali assumono grande rilevanza in questo contesto. Gli insegnanti, se sono efficaci, riescono ad individuare gli studenti che hanno bisogno di un’educazione speciale, conoscere ed essere in grado di applicare metodi e strategie. E’ importante che riescano a comprendere la reazione di ogni singolo bambino di fronte a quello che viene loro spiegato, in quanto l’insegnamento ha rilevanza soltanto se il bambino acquisisce il suo contenuto. In caso contrario il discente potrebbe non riuscire a stare a passo con il gruppo classe e quindi sentirsi escluso.
    Esiste un’opinione comune tra gli insegnanti che l’inclusione dei bambini con disabilità tolga tempo all’insegnamento per gli studenti senza difficoltà. Nonostante queste opinioni è provato che studenti disabili inclusi nelle classi regolari, riescano ad avere benefici e miglioramenti notevoli rispetto agli iscritti nelle scuole speciali, e diventano loro stessi un beneficio per l’intera classe. E’ dunque importante creare un ottimo ambiente di apprendimento, in un clima positivo e di serenità, così che tutti i bambini possano apprendere e raggiungere il loro potenziale nel migliore dei modi. In questo ambiente è necessario che i docenti abbiano materiali adeguati, che utilizzino metodi efficaci e che collaborino con gli altri colleghi in modo da stendere un programma che sia il più possibile collegato alla classe.
    Altra figura chiave del processo di educazione è la famiglia. Il suo coinvolgimento potrebbe creare un insieme di relazioni positive tra casa e scuola e rendere i genitori attivi nell’educazione dei loro bambini anche perché possono diventare validi fornitori di contributi. Tutti i genitori necessitano di avere informazioni riguardanti i figli; è giusto che essi capiscano gli obiettivi della scuola, che vengano coinvolti nel processo di presa di decisioni e che ricevano informazioni del progresso, o di un eventuale regresso, del proprio bambino.
    Negli ultimi anni si sta assistendo ad un crescente interesse del “Capability Approach”. Non si tratta di una teoria educativa ma di una struttura di pensiero che apre la strada ad un modello innovativo e utile per riesaminare l’educazione inclusiva e l’educazione in generale. Essa è basata sul principio fondamentale secondo il quale l’educazione deve fornire non solo competenze orientate alla società e al lavoro, ma anche alle abilità di vita e all’acquisizione di valori. Il modello della capability guarda anche a come il bambino interagisce con il suo ambiente scolastico prendendo in considerazione la complessità di entrambe le dimensioni, individuale e circostanziale.
    In Gran Bretagna è nato un volume interamente dedicato all’educazione inclusiva che fornisce linee guida per individuare nella scuola i passi giusti da fare verso una vera inclusione. Questo testo è diventato nel corso degli anni un punto di riferimento in ambito internazionale per ciò che riguarda lo sviluppo della progettazione inclusiva nelle scuole e proprio per questo la pubblicazione del “L’index per l’inclusione” in Italia rappresenta un evento molto importante.
    Il contenuto riguarda tutto ciò che ho esposto finora in modo più dettagliato ed indicativo.
    Per quanto riguarda l’organizzazione scolastica viene messa in risalto l’importanza della flessibilità creativa che dovrebbero avere gli insegnanti attivando compresenze, contemporaneità, uso specifico degli straordinari, uso di classi aperte. Si parla di spazio scolastico nel quale troviamo le varie soluzioni logistiche degli spazi interni e delle posizioni occupate dai banchi, che possono favorire in modo decisivo le relazioni positive per l’apprendimento. Viene evidenziata l’importanza delle alleanze extrascolastiche formative, formali o informali, a cominciare dalla famiglia e dalle tante realtà presenti sul territorio. Una categoria importante presente nel testo è la formazione e l’aggiornamento degli insegnati, cosa importante e da non escludere soprattutto in una società in continua evoluzione come la nostra. Infine viene evidenziato l’utilizzo di ausili, tecnologie e materiali speciali per favorire l’apprendimento dei bambini, in particolar modo degli studenti con disabilità, quindi l’attuazione di interventi di assistenza, riabilitativi e terapeutici.
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    DI MASO CLAUDIA


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    Messaggio  DI MASO CLAUDIA Lun Mag 21, 2012 3:16 pm

    La felicità e quello che significa vivere una buona vita ha rappresentato la base del dibattito filosofico,religioso ed educativo per centinaia di anni. Nelle culture contemporanee le persone stanno cercando metodi sempre più utili per diventare felici. Tuttavia solo recentemente le scienze sociali hanno iniziato in modo sistematico a studiare il concetto di felicità. Alcuni studiosi delle scienze sociali ritengono che studiare e approfondire la conoscenza delle emozioni positive sia un obiettivo superficiale rispetto alla necessità di comprendere la sofferenza umana e che esiste un ordine di importanza relativamente alle questioni che gli psicologi dovrebbero affrontare. Cos’è la felicità??? Il concetto di felicità compare in ogni cultura, la felicità è connessa al portare a compimento l’ intera vita, non con il piacere che si prova nell’attimo fuggente. Nettle afferma che quando le persone parlano di felicità, generalmente intendono uno stato che comporta sensazioni positive oppure giudizi positivi sulle sensazioni. Spesso i termini felicità e ben-essere soggettivo sono stati usati in modo intercambiabile con il secondo che rappresenta il termine più scientifico dei due. La definizione che verrà proposta è la seguente:il ben-essere soggettivo include 1) una componente cognitiva che valuta l’intera soddisfazione di vita; 2) una componente affettiva che è a sua volta suddivisa nella presenza di affetto positivo e nell’ assenza di affetto negativo. Il bene-essere è stato definito vivere bene da un punto di vista psicologico. Seligman ha proposto diverse strade che conducono alla felicità(emozioni positive circa il passato, circa il futuro)esiste anche una forma di felicità che passa attraverso le esperienze in cui ci troviamo impegnati nel cossidetto "flusso".IL concetto di flusso sviluppato da CSIKSZENTMIHALY comprende quei momenti in cui siamo concentrati su compiti stimolanti che mettono alla prova le nostre abilità, il flusso è lo stato di impegno che si verifica quando un individuo è assorbito in una sfida impegnativa, questo stato impegnativo viene esaminato come un sentiero di felicità ed espande il concetto di felicità e ben-essere, questo passaggio ha un significato particolare anche per quando riguarda la relazione educativa. Un educatore crea delle condizioni che rendono le persone in grado di scegliere, apprendere e quindi le porta a raggiungere un' esperienza piacevole. Ci siamo mai chiesti cosa vuol dire per un disabile avere una buona qualità di vita????la qualità della vita comprende le esperienze di vita esterne e oggettive vissute dalle persone con disabilità in molteplici domini, essa comprende benessere- emozionale, relazioni interpersonali, benessere materiale, benessere fisico. Nel 1839 la prima scuola per l’educazione integrale dei disabili ,Seguin guidò la prima scuola per disabili,affermando che i bambini con disabilità potessero essere educati e assumere un ruolo nella società. Andando avanti negli anni,le scuole cambiarono il loro obiettivo,gli studenti non venivano curati ,e le scuole divennero poco educative. In seguito il concetto di normalizzazione divenne condiviso con le famiglie e i sostenitori,l’obiettivo era quello di far diventare autonomi un disabile,potenziando le capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. In Italia nasce la legge 104 per offrire alle persone con disabilità gli stessi diritti ai servizi pubblici delle persone non disabili,facilitando l’accesso al mercato del lavoro,normalizzando le vite delle persone con disabilità. La pedagogia ha cuore il ben-essere della vita di questi soggetti,occupandosi della loro istruzione e soprattutto della loro educazione. Io credo che a volte ci vuole il CORAGGIO di essere davvero FELICI, di raccogliere un momento ordinario e trasformarlo in epico. Ci vuol coraggio a ridere di gusto di fronte a questa vita, ci vuole forza per scartare il negativo e portar dentro solo il meglio, conservare solo l’essenza della gioia.E quel coraggio ce l’abbiamo dentro, è tutta una questione di SCELTA!






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    Messaggio  valeria scognamiglio Lun Mag 21, 2012 3:27 pm


    “La ricerca della felicità è una delle principali fonti di infelicità” (Eric Hoffer)
    Quante volte ci siamo chiesti cos’è la felicità? E ognuno ne ha realizzato una libera interpretazione. Sin dall’antichità la questione era aperta. Alcuni fanno risalire il significato dalla parola endaimonia (avere un buon demone),per cui la felicità è strettamente legata alla fortuna. Altri,da Socrate a Platone arricchiscono il termine di un nuovo significato. La felicità deriva dalla libertà nel compiere le proprie attività e le proprie scelte,anche contro la sorte. E non si ricava dal piacere nell’attimo fuggente ma dai traguardi di una vita intera. Nettle dispone la felicità su tre livelli: 1) La felicità di primo livello è il resoconto di tutta una vita,risultato ricco di esperienze ed emozioni positive piuttosto che negative; 2) La felicità di secondo livello è sinonimo di appagamento e soddisfazione e non si ricava semplicemente dalla somma di momenti positivi e negativi,ma comprende processi cognitivi più complessi; 3) La felicità di terzo livello è la risultante di una vita in cui la persona accresce le sue potenzialità e porta a termine i suoi obiettivi. Diener assimila il termine al benessere soggettivo che include: Una componente cognitiva che valuta la soddisfazione di una vita intera e una componente affettiva. Seligman invece ha proposto vie di accesso alla felicità. Secondo lo psicologo statunitense,una persona può provare emozioni positive dal passato,come la soddisfazione(basate sui piaceri sensoriali) e dal futuro,come la speranza e l’ottimismo. Seligman sviluppa una teoria sulla buona vita che consiste nell’autenticare le esperienze positive, usare le proprie forze in attività che procurano un senso di piacere e applicarle in attività che producono un bene più grande come le amicizie e l’amore. Nella metà del 1800,molti studiosi si interessano del benessere dei bambini con disabilità. In particolare Edouard Seguin istituisce la prima scuola per questi bambini. L’obiettivo del medico francese è quello di elaborare un trattamento terapeutico ed educativo che comprende: l’educazione sensoriale, la conoscenza intellettuale , per le quali elabora svariati esercizi di difficoltà crescente e l’esperienza morale. E’ convinto della possibilità di educare - e non solo di assistere - le persone con disabilità e ritiene necessaria per queste persone un’educazione uguale a quella degli individui ritenuti normali, da qui la necessità di lavorare anche sul piano intellettivo e morale. Seguin sostiene la necessità di una relazione attiva capace di condurre la persona all’esercizio della propria volontà e all’inserimento in un contesto lavorativo, anche se semplice. L’obiettivo quindi,è quello di favorire lo sviluppo di un sentimento globale di auto efficienza che possa aiutare le persone disabili a gestire la propria vita. Spesso però,questi bambini sono scoraggiati dall’atteggiamento delle famiglie,che si disperano per avere figli “non normali” come avrebbero voluto. Le madri passano anche attraverso vari stadi:dallo shock alla disorganizzazione emotiva. Ma questi bambini hanno diritto a stare bene. La pedagogia ha a cuore questo diritto e si occupa infatti dell’istruzione e dell’educazione di questi bambini,tutelando la salute e il loro sviluppo fisico e psicosociale. A tal proposito mi ritornano in mente le parole di Simona Atzori: “Spesso i limiti non sono reali,i limiti sono solo negli occhi di chi ci guarda”.
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    Diana Emma


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Diana Emma Lun Mag 21, 2012 3:29 pm

    Le emozioni sono componenti fondamentali della nostra vita, da esse, sovente, traiamo gli stimoli che muovono le nostre giornate. Seppure ogni singola emozione sia importante e permetta a chi la sperimenta di sentirsi vivo, l'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità . Quest'ultima è data da un senso di appagamento generale e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo sperimenta.Questo stato di benessere, soprattutto nella sua forma più intensa - la gioia - non solo viene esperito dall'individuo, ma si accompagna da un punto di vista fisiologico, ad una attivazione generalizzata dell'organismo.
    Molte ricerche mettono in luce come essere felici abbia notevoli ripercussioni positive sul comportamento, sui processi cognitivi, nonché sul benessere generale della persona. Ma chi sono le persone felici? Gli studi che hanno cercato di rispondere a questa domanda evidenziano come la felicità non dipenda tanto da variabili anagrafiche come l'età o il sesso, né in misura rilevante dalla bellezza, ricchezza, salute o cultura. Al contrario sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative alla personalità quali ad esempio estroversione, fiducia in se stessi, sensazione di controllo sulla propria persona e il proprio futuro.Il tema della felicità appassiona da sempre l'umanità: scrittori, poeti, filosofi, persone comuni, ognuno si trova a pensare, descrivere, cercare questo stato di grazia. Per tentare di definire questa condizione alcuni studiosi hanno posto l'accento sulla componente emozionale , come il sentirsi di buon umore, altri sottolineano l'aspetto cognitivo e riflessivo , come il considerarsi soddisfatti della propria vita. La felicità a volte viene descritta come contentezza, soddisfazione, tranquillità, appagamento a volte come gioia, piacere, divertimento.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Ilaria Saviano Lun Mag 21, 2012 3:29 pm

    Ben-essere disabili: cap 1 Felicità, Benessere, Soddisfazione. Cos’è la felicità??? Molti studiosi e filosofi se lo sono chiesti per tanti anni, senza riuscire mai darsi una risposta. Solo recentemente, le scienze sociali(come la psicologia), hanno iniziato a studiare la felicità. Per affrontare questo studio è importante da tenere presente la gerarchia dei bisogni di Maslow. Questa stabilisce che la soddisfazioni dei bisogni di ordine inferiore, come la sopravvivenza o la sicurezza, influenzi molto la soddisfazione dei bisogni d’ordine superiore come l’autostima e l’attualizzazione. Grazie alla Psicologia Positiva, la psicologia in generale, ha posto l’attenzione su cos’è la felicità per le persone. Il concetto di felicità è presente in tutte le culture. Molti distinguono tra momenti gioia temporanei e momenti di gioia duraturi. Anticamente si parlava di Eudaimonia, cioè la felicità veniva associata alla buona sorte, alla fortuna. Con Aristotele, Platone e Socrate, questo termine ha cambiato significato. Infatti, si è iniziato a parlare di un uomo capace di cerare la propria felicità, senza pensare al destino. Nettle, distingue tre livelli di felicità. I° livello: la felicità implica una sensazione di piacere, provocata dal raggiungimento di uno stato desiserato; II° livello: la felicità riguarda il bilancio delle sensazione(soddisfazione per la propria vita); III° livello: l’eudaimonia. Questa viene spesso tradotta con la felicità. La psicologa Carol Ryff, ha sostenuto che il ben-essere umano coinvolga un insieme ampio di elementi. Per l’OMS, l’obiettivo principale della medicina, deve essere il ben-essere fisico, psicologico e sociale di un individuo. Seguendo la definizione di qualità della vita di Sartorius, la quale dice che la qualità della vita riguarda la soddisfazione per i diversi aspetti della vita e il ben-essere generale, possiamo affermare che il ben-essere è l’essenza della qualità della vita. Il ben-essere soggettivo riguarda sia la sfera cognitiva che quella affettiva della vita. Per Seligman ci sono diverse strade che portano alla felicità. La prima è quella che vede una persona soddisfatta del passato e ottimista per il futuro (vita piacevole-felicità edonistica); La seconda strada è quella che comprende tutti i momenti in cui ci troviamo ad affrontare una situazione talmente piacevole che ci coinvolge del tutto, facendoci perdere la cognizione del tempo. Il “flusso”. Esiste poi la strada che porta alla massimizzazione delle proprie potenzialità, virtù e forze (la buona vita-felicità eudaimonica); Infine vi è l’applicazione delle proprie forze e virtù in qualcosa di importante (vita significativa- felicità della psicologia positiva). Per la Iavarone, il ben-essere, è fisico – psichico – sociale - emozionale e psicologico. Esso segue più direzioni e la sua percezione da parte del soggetto, cambia sia in senso verticale, nei diversi “tempi” della vita, sia in senso orizzontale, nei diversi luoghi. È importante tenere conto del contesto in cui il soggetto vive, per studiarne il ben-essere. Che cos’è il ben-essere per i disabili? Per rispondere a questa domanda, bisogna partire dalla nascita della prima scuola per disabili, che avvenne nel 1800, da parte di Edouarda Seguin, un medico francese. Egli diceva che i bambini con disabilità potevano e dovevano essere istruiti come gli altri. Questo tipo di scuola, col tempo cambiò e, invece di aiutare le persone disabili, si limitava a tenerle lontane dalla società, considerandole diverse. Alla fine degli anni Sessanta, dopo la chiusura definitiva dei manicomi, il concetto di NORMALIZZAZIONE divenne sempre più pressante. Nacquero istituzione e programmi atti ad aiutare le famiglie disagiate. Si diedero le cure necessarie ai disabili adulti, integrandoli, così, al meglio nella società. Il ben-essere è un progetto dinamico da condividere con tutti. Esso è una costruzione variabile, fatta di tappe intermedie e di modificazioni, in continuo cambiamento. Per la Iavarone, il ben-essere non può essere assimilato a una generale condizione di ben-essere fisico o economico, ma va definito come uno stato variamente complesso perché multicomponenziale, multidirezionale e multiodimensionale. Molti si sono chiesti se dalla qualità della vita dipendi il ben-essere e la felicità. Un team di esperti ha evidenziato alcune dimensioni chiave della qualità della vita. Esse sono: ben-essere emozionale, relazioni interpersonali, ben-essere materiale, ben-essere fisico, autodeterminazione, inclusione sociale, e diritti. Il ben-essere emozionale e quello che si avvicina di più alla felicità. Edgerton ha seguito adulti con ritardo mentale per 30 anni, e ha riscontrato che coloro, i quali, erano sempre stati felici e ottimisti, lo erano anche se l’ambiente intorno a loro cambiava. Lo stesso accadeva per chi era sempre malinconico e pessimista: non cambiavano anche se l’ambiente intorno a loro migliorava. Secondo la psicologia positiva la felicità deriva sia da fattori esterni(oggettivi)che da fattori interni(soggettivi). Per quanto riguarda i disabili, questi, sono più felici se nascono con una disabilità mentre lo sono di meno, se la acquisiscono col tempo. Per Ziglen, i bambini con ritardi mentali non solo hanno un QI più basso, ma hanno meno probabilità di successo nella vita, rispetto ai bambini “normali”. Per parlare di ben-essere e di felicità per i disabili, bisogna partire dalla famiglia. Le mamme, si aspettano un figlio perfetto e sano, e quando si trovano a stringere tra le braccia un bambino disabile, attraversano diversi stadi: shock, disorganizzazione emotiva, riorganizzazione e adattamento alla situazione. Il bambino con disabilità, si appoggia ai meccanismi di coping(capacità di risolvere problemi)della sua famiglia. Mullins ha condotto una ricerca su 60 libri scritti da genitori con figli disabili. Tutti dicevano di essere sotto stress, ma anche che questa esperienza li aveva arricchiti. La qualità della vita di queste famiglie è molto bassa, e per questo sono state emanate delle leggi, volte ai diritti dei disabili, i quali hanno il diritto alla felicità, come tutti.
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    Messaggio  anna flaminio Lun Mag 21, 2012 3:41 pm

    Cos'è la felicità? la felicità è condurre una buona vita, ma era ed è motivo d'interesse capire cosa serve realmente per essere felici, alcuni hanno creduto che la felicità avesse stretto legame con la gerarchia di bisogni di Maslow, altri invece, come la psicologia positiva ha cercato di risolvere e rispondere a questo quesito indirizzando la sua indagine verso gli aspetti positivi dell'esperienza umana e delle situazioni che sono fonte di felicità.
    La felicità può essere intesa in tanti modi, può essere vista come qualcosa d'immediato e quindi piacere o gioia , oppure come qualcosa di più durevole nel tempo come l'appagamento e la soddisfazione, in passato la felicità era un qualcosa che fosse inevitabilmente legata alla sorte, mentre già con Platone, Socrate e Aristotele si caricava di nuovi significati e si iniziò a capire che il raggiungimento della felicità lo si può avere anche contro lo sorte, tramite la volontà e libertà di scelta dell'uomo.
    Spesso il termine felicità viene interconnesso con ben-essere , il ben-essere è qualcosa di soggettivo come la felicità ma con la differenza che la felicità la si può provare dopo il raggiungimento di un qualcosa tanto atteso, mentre il ben-essere è definito "vivere bene" ma da tanti punti di vista: psicologico, spirituale e fisico, ma ci sono fattori sociali e ambientali che contribuiscono al ben-essere.
    La felicità dal punto di vista edonistico è la massimazione dei piaceri, mentre dal punto di vista eudaimonico risulta dall'attualizzazione del proprio potenziale, la cosa che accomuna entrambi i punti di vista è che la felicità risulta non dal persegiumento del piacere ma dallo sviluppo delle forze e delle virtù; mentre per quanto riguarda la buona vita, consiste nell'usare le proprie forze in modo proficuo nel lavoro, nelle relazioni e usarle a servizio qi qualcosa di veramente importante per sè e per gli altri, a proposito degli altri e quindi di un qualcosa che va oltre il soggetto, Canevaro afferma che il ben-essere di una persona non è legato semplicemente alla sua condizione individuale, ma anche a tutto quello che lo circonda e si è svantaggiati poichè lo sono l'ambiente sociale e culturale provocando così ripercussioni sul soggetto, quindi cioè che circonda l'uomo lo influenza ma sta sempre e solo a lui costruirsi il ben-essere, poichè è lui che ha le potenzialità per diventare ciò che vuole davvero essere ed è il solo a potersi creare la giusta e migliore vita.
    Sempre rispetto al ben-essere la Psicologia positiva afferma che l'indice di ben-essere non dovrebbe essere solo considerato in riferimento alla quantità di beni che si possiedono ma soprattutto in riferimento al ben-essere psicologico, al contesto relazionale e a che rapporti costruiscono tra loro.
    Le preoccupazioi maggiori però vanno alle persone disabili, le istituzioni fortunatamente con il tempo sono mutate in meglio tutta la crescita parte grazie al medico francese Seguin , il quale aprì una scuola per bambini disabili con la convinzione che anche quest'ultimi potessero essere educati e potessero avere un ruolo nella società, ma purtroppo con l'idea che le scuole li trascurassero, diventarono meno educative e più affidatarie, molte erano isolate e tale isolamento favorì la segregazione e l'abbandono, negli anni a seguire si svilupparono servizi educativi ,supporti per le famiglie e programmi mirati per una cura e per fornire loro un'autodeterminazione che mira a renderle in grado di poter scegliere; il ruolo dell'operatore è un ruolo importante, di guida, ma le relazioni con gli altri consentono loro di potersi confrontare e fare anche esperienze negative, ma con la capacità di poetr poi trarre anche da esse cose positive.
    La Prof. Iavarone sostiene che il ben-essere possiede più dimensioni in quanto il desiderio di ben-essere si trasforma sia sincronicamente, in concomitanza con un episodio particolare in un determinato momento dell’esistenza di un individuo, sia diacronicamente se il processo di tensione al ben-essere lo si riconduce a una fase o a un intervallo di tempo più lungo della vita di un soggetto. Il ben-essere quindi, scaturisce dalla risultante dell’integrazione tra i sistemi biologico, psichico, sociale; esso dipende non solo dal corretto funzionamento di organi e di apparati vitali, ma soprattutto dagli stili di vita e di lavoro, dal tempo libero e dalla condizione dell’ambiente.
    Più che una condizione stabile il ben-essere rappresenta una costruzione variabile fatta di tappe intermedie e di modificazioni in una costante tensione al cambiamento e al riadattamento esistenziale. Il disabile è prima di tutto persona, persona che ha bisogno, nella società in cui vive, di sentirsi libero e spensierato, autonomo e indipendente nello svolgere le proprie attività quotidiane. La società poi dovrebbe aiutare queste persone a coltivare il proprio benessere; oggi grazie al progresso tecnologico ci sono delle case dette "Domotiche" cioè ad alta tecnologia che permettono ai disabili di poter condurre una vita "normale" senza aver per forza una persona accanto che gli accenda la tv, o che lo metta seduto o che apra la porta di casa, tutto questo oggi è possibile, l'unico "ostacolo" sono i costi ancora molto alti e spero vivamente che con il tempo e più velocemente possibile possano essere accessibili a tutti.
    E voglio ricordare e sottolineare soprattutto che la felicità per queste persone sta nell'essere amati e considerati PERSONE , cosa che molto spesso dimentichiamo facendoci sovrastare dalla paura e dai pregiudizi.
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    Messaggio  Stefania Scafati Lun Mag 21, 2012 3:58 pm

    Tra i due capitoli proposti, ho deciso di trattare il primo capitolo: “Ben-essere nella disabilità”.
    Che cos’è la felicità? Questa è la domanda a cui filosofi e studiosi hanno tentato di dare risposta nel corso dei secoli, trovando certamente non poche difficoltà.
    Il concetto di felicità non è semplice da definire, ma compare in tutte le culture, molte delle quali la distinguono come qualcosa di immediato, come ad esempio la gioia o il piacere, oppure come qualcosa che dura nel tempo, come l’appagamento e la soddisfazione.
    Nell’antichità, la felicità consisteva nell’avere un buon demone, ossia una buona sorte; da ciò si evince che il concetto era strettamente legato alla fortuna. Infatti, la parola “felicità” deriva dal prefisso indoeuropeo “fe”, da cui deriva “fecundus”, “femina”, in quanto generante, tanto che i latini parlavano di terra “felix” quando la terra era fertile. Successivamente, con Socrate e Aristotele si iniziò a pensare alla felicità come qualcosa di scindibile dalla fortuna e dalla sorte: l’uomo aveva la possibilità di compiere delle scelte, che lo avrebbero portato al raggiungimento della felicità.
    Col tempo, inoltre, si è appreso che la felicità è uno stato d’animo positivo connesso al portare a compimento l’intera vita, non con il piacere provato nell’attimo fuggente.
    Nettle propone una classificazione che riguarda il senso della felicità: esiste, infatti una felicità di primo livello, che si verifica quando si raggiunge, spesso inaspettatamente, uno stato desiderato; vi è poi una felicità di secondo livello, che si manifesta quando le persone elaborano un bilancio tra piaceri e dolori, tra emozioni positive e negative e si accorgono che nel corso della propria esistenza hanno sperimentato più emozioni e piaceri positivi piuttosto che negativi, piaceri che sono identificabili con l’appagamento e la soddisfazione.
    Esiste infine, una felicità diversa, quella che Aristotele riconosce nell’ideale del vivere bene, nel termine eudaimonia, che consiste nel vivere un’esistenza in cui la persona realizza le proprie aspirazioni e potenzialità.
    La felicità di primo e secondo livello, sono misurabili in maniera oggettiva: infatti, se una persona afferma di provare gioia, dobbiamo ritenerlo vero; la felicità di terzo livello, invece, non è per niente misurabile: la psicologa Carol Ryff, sostiene che il ben-essere umano non implica solo lo stato di felicità ,ma coinvolge una serie di fattori: la crescita personale, la padronanza del proprio ambiente, e la chiarezza con se stessi. La Ryff, afferma che possiamo trovare individui con un ben-essere psicologico molto alto ma con un basso livello di felicità e viceversa.
    Spesso i termini FELICITA’ e BEN-ESSERE sono considerati sinonimi, ma il ben-essere assume un significato più scientifico. Questo infatti include due componenti: la prima, è la componente cognitiva, che considera le soddisfazioni raggiunte nella vita e la seconda, è la componente affettiva che si divide nella presenza di affetto positivo (come il ben-essere soggettivo, l’autodeterminazione, la felicità) e nell’assenza di affetto negativo.
    Shafer afferma che il ben-essere è il vivere bene, da un punto di vista psicologico, fisico e spirituale, anche quando si soffre di una malattia, che sia temporanea o cronica. Infatti, Canevaro, afferma che il ben-essere non dipende esclusivamente dallo stato individuale di una persona, bensì anche dal contesto e dalle strutture che permettono il suo adattamento all’ambiente circostante.
    Per me il ben-essere è un qualcosa che dipende sia dalla condizione fisica, ma anche mentale: è uno stato che coinvolge tutti gli aspetti della persona, è stare bene con se stessi innanzitutto, è raggiungere un equilibrio dapprima interiore per poi vivere bene anche con gli altri.
    Ma quindi, cosa induce una persona ad essere felice?
    Seligman ha proposto diverse strade che conducono alla felicità: una prima strada, in cui il soggetto può avere emozioni positive riguardo al passato, come la soddisfazione, ed emozioni altrettanto positive circa il futuro, come la speranza e l’ottimismo. La seconda strada, invece, consiste nell’intercettare i talenti personali e i punti di forza. E’ interessante, infatti, il concetto di “vita piacevole” che introduce lo stesso Seligman, che consiste nell’utilizzare le proprie forze nel lavoro, nel tempo libero, nelle relazioni, al fine di raggiungere uno scopo nella vita: gli individui, infatti, conducono una buona vita quando investono i propri punti di forza, le proprie virtù in qualcosa che amano fare, di cui sono appassionati. In tali circostanze è molto importante il ruolo dell’educatore, o dell’insegnante, i quali hanno il compito di rendere una qualsiasi attività piacevole ed interessante agli occhi del bambino, così che quest’ultimo sia entusiasmato ed incuriosito.
    Mi ha colpito molto la divisione che l’autrice, Elisabetta Ghedin, elabora tra ben-essere , inteso in senso generale, e ben-essere disabili, cercando di esplicare le condizioni di vita dei disabili all’interno del contesto sociale in cui vivono.
    Verso la metà del 1800, un medico francese, Edouard Seguin fondò la prima scuola per bambini disabili, che aveva come obiettivo la formazione di questi ultimi, affinché potessero coprire il giusto ruolo nella società. Successivamente però, il vero intento di tale scuola subì un radicale cambiamento: gli studenti, infatti, non venivano curati adeguatamente, così tali istituzioni divennero una sorta di orfanotrofi, nei quali si pensava più alla salute dei bambini piuttosto che alla propria educazione; divennero, quindi, luoghi per tenere lontani i bambini dalla società, che non si mostrava accondiscendente e aperta verso gli infanti.
    Recentemente, invece, si sono affermati servizi di educazione speciale, che offrono supporto alle famiglie, con programmi specifici che mirano non solo a destinare bisogni materiali, come il vestiario, il cibo, cure mediche, lavoro, bensì ,gli individui disagiati hanno la possibilità di scegliere, grazie alle proprie potenzialità, quale sia la vita più adatta a loro.
    Il sociologo Zigler, nel 1970 sostenne che i bambini con ritardo mentale avevano minori aspettative di successo, non erano abbastanza motivati verso le sfide e si affidavano agli altri compagni piuttosto che a loro stessi per risolvere i propri problemi. Per tali motivi, si è cercato di dare una motivazione a tali bambini, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di un sentimento globale di autoefficacia, in modo tale da rendere le persone con deficit più determinate nella gestione della loro vita.
    Col tempo è stata condotta una ricerca anche sulle famiglie dei bambini con ritardo mentale. Da tale ricerca, è emerso che prima della nascita, i genitori si impongono delle aspettative di gratificazione personale e sociale. Dopo la nascita, però, la madre rimpiange la perdita del bambino perfetto, e passa attraverso diversi stadi: shock e disorganizzazione emotiva; quando poi prende atto della situazione, adattandosi al trauma di avere un bambino con disabilità, procede verso una riorganizzazione della propria vita e quella del bambino.
    Mullins, invece ha condotto un’analisi riguardo lo stress che possono subire i genitori dei bambini disabili. E’ emerso che sicuramente essi sono più stressati e preoccupati rispetto ai genitori di bambini normodotati, ma per la maggior parte, tale condizione ha aggiunto qualcosa alle loro vite, rendendole più significative.
    Possiamo considerare a tal proposito, il laboratorio riguardante l’autismo, in cui genitori di bambini autistici hanno affermato di condurre una vita tranquilla, evitando qualunque forma di stress, dichiarando che i loro figli hanno donato positività alla loro vita.
    Concludo con ciò che afferma la prof. Iavarone, e cioè che nelle società occidentali, il diritto di star bene sembra diventato, giustamente, qualcosa che ci spetta, un diritto, che può essere esercitato quanto più le persone vengono aiutate a ricorrere ai propri punti di forza e potenzialità, affinché possano raggiungere il proprio stato di ben-essere. La Pedagogia, assume quindi un ruolo fondamentale e multicomponenziale nella ricerca del ben-essere, della felicità e della qualità della vita degli individui, in quanto si occupa della loro istruzione, ma anche dell’educazione, tutelando la salute non solo a livello fisico, ma anche e soprattutto a livello psicosociale.
    Ilaria Musella
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Ilaria Musella Lun Mag 21, 2012 4:05 pm

    La felicità e quello che significa vivere una buona vita ha rappresentato la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni. Ma che cos’è la felicità? Il concetto è sfuggente, ma non ne altera il valore. Il concetto di felicità compare in ogni cultura. L’uomo con le proprie scelte e con la sua libertà può diventare felice, anche contro la sorte. Così essere felici non sempre è uno stato assoluto. La felicità è connessa al portare al compimento l’intera vita, non con il piacere che si prova nell’attivo fuggente. Il senso più immediato e diretto di felicità implica un’emozione o sensazione, ma esse sono solo transitorie. La sensazione, quindi, è provocata nel raggiungimento di uno stato desiderato e non coinvolge molta cognizione, a parte il riconoscimento del fatto che al cosa desiderata è avvenuta. Nettle definisce questo senso di felicità: felicità di primo livello. Quando le persone affermano di essere felici della loro vita, di solito non intendono dire che sono letteralmente piene di gioia, ma che percepiscono che nel lungo termine hanno sperimentato più piaceri o emozioni positive che negative. I sinonimi sono appagamento e soddisfazione. La felicità di secondo livello non viene solo calcolata sommando tutti i momenti positivi e sottraendo quelli negativi, ma comprende tutti quei processi cognitivi più complessi quali il paragone con possibili altri risultati. Esiste poi un senso di felicità ancora più ampio. L’ideale aristotelico del vivere bene viene tradotto con felicità. Con essa, però si intende una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie potenzialità. Questo significato di felicità rappresenta la felicità di terzo livello. L’OMS ha indicato la promozione della salute come l’obiettivo principale della medicina e ha definito la salute come una condizione di ben essere fisico, psicologico e sociale. Spesso i termini felicità e benessere sono stati usati in modo interscambiabile. Le teorie contemporanee sulla felicità includono la teoria eudonica, la teoria eudamonica, la teoria sviluppate dal movimento della psicologia positiva. La felicità dal punto si vista edonistico riguarda la massificazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni hanno maggior peso delle esperienze dolorose. Al contrario, la felicità dal punto di vista eudaimonico risulta dall’attualizzazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del proprio vero se. L’obiettivo prioritario nel campo dell’educazione è quello di favorire l’adorazione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze vita, per essere in grado di gestire le proprie scelte e di adottare comportamenti consapevoli nella direzione della propria felicità. Il benessere considera la soddisfazione delle proprie esigenze e anche il conseguimento di funzioni che variano anche considerando al cultura di riferimento. Così viene portata in primo piano a relazione tra benessere del ingle e sviluppo della collettività. L’interdipendenza tra individuo e sistema culturale è dato dalla natura umana. Gli esseri umani tendono ad attribuire un significato ad eventi, comportamenti, stati d’animo e tale significato è funzionale ai valori di riferimento culturali. Canevaro afferma a questo proposito che il ben essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale , quanto a quello che oggi si chiama capitale sociale, cioè l’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e adattarsi grazie ad elementi di mediazione con le strutture che lo circondano. Inizialmente la preoccupazione maggiore per coloro che si occupavano di disabilità era promuovere la possibilità di vivere esperienze e situazioni cui l’individuo attribuisce valore positivo. Molti bambini e adulti disabili venivano assistiti nelle istituzioni a finalità caritatevoli, queste istituzioni però sono cresciute grazie alla sforzo di Edouard Seguin. Seguin pensava che i bambini con disabilità potessero essere educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società. Il modello formativo di questo tipo di scuole si diffuse rapidamente, ma nel corso del tempo cambiarono il loro obiettivo. Le scuole divennero meno educative e più affidatarie, invece di favorire il ritorno delle persone nella società, le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane dalla società. Negli anni passati poi quest’ambito è stato caratterizzato dalla deistituzionalizzazione e dell’inclusione nella comunità. Allo stesso temo si sono sviluppati servizi di educazione speciale e supporto alle famiglie, e programmi basati sulla comunità che mirano a incontrare i bisogni materiali degli adulti, come cibo, cure mediche, vestiario, lavoro. Questi programmi si avvicinano anche al concetto di autodeterminazione, che mira a rendere in grado le persone con disabilità di compiere scelte personali per la loro vita. L’obiettivo non è solo unicamente quello di fare in modo che quelle persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi, ma possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. l’immagine pubblica generale delle persone con disabilità è che esse abbiano una bassa qualità di vita. Secondo l’opinione generale che la loro qualità di vita debba essere migliorate e molti paesi hanno adottato questa visione attraverso politiche ufficiali. I governi facilitano l’accesso per le persone con disabilità al mercato del lavoro, all’educazione, e ai trasporti per stimolare la partecipazione sociale, l’obiettivo politico è quello di normalizzare le vite delle persone con disabilità. Secondo M.L. Iavarone, nella società occidentale il diritto a star bene sembra essere giustamente divenuto qualcosa di più legittimo e attingibile; diritto che può essere esercitato quanto più le persone vengono aiutate a ricorrere alle proprie risorse e a far leva sulle proprie potenzialità. La convinzione che imparare a star bene possa essere insegnato viene perseguita attraverso la formazione dei vari professionisti, che a diverso titolo gestiscono relazioni di cura, sostegno, aiuto. La pedagogia, infatti, ha a cuore il benessere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche psicosociale.
    " La prima cosa da fare appena incontrate un bambino cieco è dargli una carezza, ciò lo renderà veramente felice. " ( cit. Prof. Palladino )
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Nadia Frascadore Lun Mag 21, 2012 4:08 pm

    Parla del benessere, della felicità della soddisfazione rifacendoti agli autori e alle questioni proposte da Ghedin soffermandoti sul benessere per le persone con disabilità.
    Svolgi il tuo lavoro ricollegandoti ai lavori della prof. M.L. Iavarone
    e ad uno o più forum che hai svolto.


    Parlare di felicità nella società di oggi significa avventurarsi in un discorso molto complesso, e credo che tutte le persone abbiano la stessa tensione a realizzarla nella propria vita, indipendentemente dall’essere disabili o meno.
    La felicità ,intesa come una ‘soddisfazione’ rappresenta l'aspetto soggettivo più importante e significativo della qualità della vita. Malgrado una relativa stabilità, la felicità può essere modificata in particolari periodi della vita come nella fase dello sviluppo, in quella dell'invecchiamento e nel corso di malattie. Nettle classifica la felicità su tre livelli:il primo livello è quello legato alla gioia e al piacere,nel secondo livello è presente l’appagamento e la soddisfazione,una forma di felicità che comprende anche processi cognitivi più complessi,mentre la felicità di terzo livello si rifà all’ideale aristotelico del vivere bene,l’eudaimonia,intesa come una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità. Grande importanza ha la teoria di Seligman della felicità autentica che riguarda la vita piacevole,la buona vita,e la vita significativa che si costituisce sulle concezioni di eudaimonia ed edonia della felicità. Quando si parla di buona vita ci riferiamo all’uso delle proprie forze in modo proficuo nel lavoro,nelle relazioni,e nel tempo libero,al servizio di qualcosa di più grande,trovare un significato ed uno scopo nella vita. Secondo Waterman la felicità è massimizzata quando le attività di vita delle persone coincidono con i loro più profondi valori,anche Ryff e Keyes affermano che per contribuire alla felicità c’è bisogno di autonomia,crescita personale,auto accettazione,obiettivi di vita ,padronanza ambientale,e relazioni positive con gli altri. Ryan e Deci hanno sviluppato la teoria dell’autodeterminazione secondo la quale la felicità e la crescita psicologica sono collegate al perseguimento dell’autonomia,della competenza dei bisogni associati. Ciascun individuo deve essere incoraggiato a seguire il proprio percorso di complessità e condivisione; ogni essere umano infatti nasce con qualcosa di nuovo,qualcosa di mai esistito prima. Ognuno ha un suo modo originale di vedere, ascoltare,toccare,gustare e pensare. Come afferma la professoressa Iavarone, il benessere è uno stato complesso perché multicomponenziale , multidirezionale e multidimensionale quindi non è solo un benessere fisico o economico.
    Le persone che vivono una condizione di disabilità sono capaci di provare benessere?
    È possibile che le persone con disabilità anche gravi provino felicità,gioia,ottimismo per la loro vita?
    Una disabilità può impedire a una persona di “fare qualcosa” ma non di “fare tutto” e questo ci rende tutti uguali, se consideriamo che ognuno di noi non sarà mai in grado di “fare tutto”.
    Quello che conta nella vita è il benessere dell’individuo, la sua dignità e la soddisfazione del quotidiano, attraverso la creazione di situazioni il più possibile assimilabili a quelle in cui vivono le “persone normodotate’’.
    Grandi esempi da citare sono Simona Atzori,nata senza braccia, ma è riuscita a fronteggiare efficacemente le contrarietà,dando un nuovo slancio alla propria esistenza raggiungendo mete importanti nella danza; o Oscar Pistorius, che nasce con una grave malformazione agli arti inferiori e ciò costringe i medici ad amputargli entrambi i piedi ma non gli viene preclusa la possibilità di praticare sport: oggi Oscar corre grazie a particolari protesi in fibra di carbonio denominate "flex feet", che gli permettono di avere un ottimo equilibrio. Un grande esempio da seguire,questo grazie alla sua determinazione e forza di volontà. Secondo alcune ricerche è emerso che le persone che erano felici e piene di speranza 10,20 e 30 anni fa rimangono così, non importa quale tipo di sofferenza abbiano vissuto;e quelli che erano malinconici o negativi circa la loro vita non cambiavano anche se il loro ambiente migliorava significativamente. Di solito si ha una immagine pubblica generale delle persone con disabilità con una bassa qualità di vita;secondo un consenso generale c’è l’idea che la loro qualità di vita debba essere migliorata,e per questo molti paesi si sono attivati. Ad esempio in Italia la Legge 104/92 offre alla persone con disabilità gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone non disabili:l’obiettivo politico è quello di andare a normalizzare le vite delle persone con disabilità. A ciascuno appartengono potenzialità inespresse e limiti che, per carattere o per conformazione fisica, non ci fanno conquistare le mete prefisse, ma questo non impedisce a nessuno di poter essere comunque felice. Certo la felicità dipende anche da come gli altri ci aiutano a essere felici e questo vuol dire che la felicità degli altri è anche nelle mani di ognuno di noi: per questo credo che non dovremo mai abbassare la guardia nell’attenzione ai più deboli ,ad esempio bisogna cercare di eliminare le cosiddette barriere architettoniche che impediscono, o rendono difficoltoso l'utilizzo di un ambiente o che limitano gli spostamenti o la fruizione dei servizi da parte di persone con limitata capacità motoria e sensoriale, come persone diversamente abili o persone che per età o eventi occasionali sono limitati anche solo temporaneamente nella regolare fruizione degli ambienti.
    Ho sempre creduto che la felicità non sia una meta da raggiungere bensì un bel modo di viaggiare nella vita e credo che sia dovere di tutti far sì che, anche chi ci sta intorno e chi deve fare il suo percorso di vita in un modo diverso dal nostro, abbia la sua parte di felicità, perché avere compagni di viaggio felici rende più felici anche noi.
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    Messaggio  anna piscitelli Lun Mag 21, 2012 4:18 pm

    1)Il concetto di felicità non è sempre stato un tema di studio delle scienze sociali, tuttavia solo recentemente esse hanno iniziato in modo sistematico a studiare il concetto di felicità. Alcuni studiosi delle scienze sociali, infatti, non ritengono sia un obiettivo necessario quello di studiare le emozioni positive, rispetto, soprattutto, la necessità di comprendere la sofferenza umana; essi inoltre riferiscono che esiste un ordine di importanza relativamente alle questioni che gli psicologi devono affrontare. Maslow ha contribuito a tale pensiero con la sua “gerarchia dei bisogni”. Essa stabilisce che il più alto grado di bisogni sono condizionati dalla soddisfazione dei bisogni di ordine più basso: quindi i bisogni di ordine inferiore hanno la precedenza sui bisogni di ordine superiore.
    Il concetto di felicità compare in ogni cultura, inizialmente essere felici significava avere un buon demone, una buona sorte, infatti il termine con cui si indicava la felicità era “eudaimonia” (buon demone). Successivamente, con Socrate, Platone e Aristotele, la parola eudaimonia acquisisce nuovi significati: l’uomo con le sue scelte e con la sua libertà può Diventare Felice, anche contro la sorte.
    Nettle definisce tre livelli di felicità:
    •Di primo livello: è il senso più immediato di felicità, la sensazione è provocato dal raggiungimento di uno stato desiderato e non coinvolge molta cognizione, a parte il riconoscimento del fatto che la cosa desiderata è avvenuta;
    •Di secondo livello: la felicità non riguarda tanto le sensazioni quanto i giudizi sul bilancio delle sensazioni (soddisfazione per la propria vita);
    •Di terzo livello: un senso di felicità ancora più ampio, l’ideale del vivere bene aristotelico.
    Esiste poi un tipo di felicità che viene sviluppato da Csikszentmihalyi: il concetto di flusso. Esso comprende quei momenti in cui siamo concentrati su compiti stimolanti che mettono alla prova le nostre abiilità, riceviamo feedback, abbiamo senso del controllo, emozioni limitate e perdiamo traccia del tempo. Il flusso è caratterizzato da una mancanza di emozioni positive: le persone sono così assorbite nell’attività che perdono la consapevolezza.
    Seligman, invece, parla di: “vita piacevole”: quella che massimizza le esperienze piacevoli e positive; “buona vita”: essa si ha quando gli individui sviluppano le loro forze e le loro virtù in attività da cui l’individuo trae piacere e di cui è appassionato; “vita significativa”: si ha quando gli individui applicano forza e virtù in attività che contribuiscono ad un bene più grande.
    Il ben-essere di un individuo, secondo Canevaro, non è legato alla sua condizione individuale autarchica, quanto al “capitale sociale”, cioè all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e adattarsi con le strutture che lo circondano. Ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità, e questo vale per tutti i membri della comunità, anche per quelli che sono definiti “svantaggiati” (disabili, anziani, immigrati, ecc… Gli individui non sono di per sé svantaggiati infatti, ma lo diventano in un ambiente sociale o culturale in cui la loro condizione causa disagi. Tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere quello che vogliamo e ruolo dell’educazione è quello di permettere l’attivarsi di questo potenziale.
    Edouard Seguin promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società, anche in questo modo si cercò di promuovere il ben-essere delle persone disabili. L’obiettivo è soprattutto quello di far si che queste persone riescano ad attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. Moltissime sono infatti le persone che anche con tante difficoltà riescono a vivere proprio come lo desiderano, come il caso della Atzori, di cui moltissimo abbiamo parlato, o Pistorius, un uomo che tutto ha fatto e ha dato pur di godere della propria felicità. Esempi eccezionali questi che ci lasciano riflettere sulla nostra felicità, sulla nostra vita, che non sempre consideriamo serena.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Luisiana Spinelli Lun Mag 21, 2012 4:25 pm

    La FELICITA’è lo stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri,essa è intesa come condizione di soddisfazione totale.E’ un concetto che si ritrova in tutte le culture,quando parliamo di felicità possiamo fare riferimento al termine Eudaimonia che originariamente derivava da "buon demone" ovvero essere felici significava avere una buona buona sorte e quindi avere fortuna.Nettle per “eudaimonia” intende una vita in cui la persona realizza le proprie vere potenzialità cioè attraverso attività che coincidano con i suoi valori piu profondi.Quando parliamo di felicità dobbiamo parlare di un concetto connesso al portare a termine un obiettivo,cioè portare a compimento l'intera vita non legata al piacere dell'attimo fuggente.In passato,con Aristotele la felicità era collegata all'etica e alla virtù.Il raggiungimento della felicità è provocato dalla sensazione di uno stato desiderato,un'emozione,una sensazione come gioia o piacere.Il termine felicità è interscambiabile con il termine benessere soggettivo che fa parte delle caratteristiche positive personali come l'ottimismo,la perseveranza,la felicità, e l'autodeterminazione tutti fattori che contribuiscono al benessere.A livello contestuale gli elementi che intercorrono alla formazione del ben-essere sono il senso di appartenenza,e l'armonia con l'ambiente di vita. Il ben-essere considera la soddisfazione delle proprie esigenze portando in primo piano la relazione tra ben-essere del singolo e sviluppo della collettività(interdipendenza tra individuo e sistema culturale).Quando parliamo di ben-essere non facciamo riferimento al raggiungimento di desideri materiali,non a caso la nostra società offre tanti piaceri effimeri che svaniscono facilmente;infatti non appena quel desiderio viene appagato il piacere scompare. Numerosi ricercatori nel campo della Psicologia Positiva ritengono che il ben-essere non dovrebbe essere considerato solo in termini che fanno riferimento alla quantità dei beni o ricchezze,piuttosto al ben-essere psicologico e sociale dei suoi cittadini.”Il ben-essere di un individuo è legato all'insieme di capacità che l'uomo ha di organizzarsi e di adattarsi” (Canevaro). Dal punto di vista educativo tutti abbiamo delle potenzialità,tutti abbiamo il diritto di decidere ciò che vogliamo essere e tutto ciò è possibile grazie al ruolo dell'educazione che deve permettere all'individuo di attivare le sue potenzialità e di evolversi nella direzione di uno sviluppo positivo, tutti hanno il diritto di essere aiutati a ricorrere alle proprie risorse, a sviluppare capacità e ad acquisire lo stato di ben-essere che la Prof.Iavarone chiama pedagogia sociale ovvero una pedagogia che è centrata sulla qualità della vita del soggetto per quanto riguarda l'istruzione,l'educazione,la salute,lo sviluppo fisico e psicosociale.Per quanto riguarda il concetto di ben-essere in rapporto alla disabilità,bisogna capire che i disabili non possono essere aiutati soltanto attraverso il sostegno e l'assistenza con finalità caritatevoli,bisogna invece promuovere programmi mirati a rendere i disabili autonomi e capaci di prendere decisioni sulla loro vita. L'obiettivo è quello di permettergli di mettere in atto le proprie potenzialità,raggiungere le sue aspettative offrendogli una vita stimolante e soddisfacente.Tutto questo perchè come afferma La Prof.Iavarone il ben-essere non è solo una condizione fisica o economica ,ma è uno stato complesso,multicompenziale,multidirezionale e multidimensionale.Solo migliorando le condizioni oggettive della vita dei disabili sarà possibile creare una società equa.
    Ricerche condotte su famiglie di bambini con ritardo mentale,dimostrano che il livello di stress delle famiglie è dato dalla disabilità del bambino,La famiglia e i sistemi ambientali influenzano lo sviluppo di un bambino con disabilità i cui genitori passano attraverso periodi prolunganti di stress.L’ambiente spesso intrappola il soggetto in una condizione di svantaggio che non gli permette di crescere e di autonomizzarsi. E' quindi importante che la famiglia sappia gestire queste situazioni di stress, sviluppi percezioni positive che portino a una migliore qualità della vita per realizzare il pieno potenziale dei propri figli.Nel Regno Unito è stato emanato la Disability Discrimination Act per offrire alle persone con disabilità gli stessi diritti di accessi pubblici delle persone non disabili con il fine di "normalizzare" la loro vita. Abbiamo quindi parlato di ben-essere relativo all'interezza della persona,un ben-essere che sia centrato soprattutto sulla persona con disabilità con lo scopo di permettere l'interazione nella società,ma soprattutto con il fine di renderlo auotonomo,un soggetto indipendente che non debba sentirsi manchevole di nessuna abilità.
    Riporto a questo punto un argomento sul quale abbiamo discusso in aula sulla scienza della domotica che si occupa di migliorare la vita delle persone disabili facilitando la loro vita quotidiana,in effetti attraverso la casa domotica si consente al disabile di acquisire autonomia ed indipendenza nella vita di tutti i giorni.Ma sono anche tanti altri i commenti a cui potrei fare riferimento ad esempio quando abbiamo avuto modo di parlare delle "barriere architettoniche" cioè delle barriere ambientali che ostacolano la vita del disabile non permettendogli di vivere a pieno come un "normale" cittadino "...il disabile è un CITTADINO A PIENO TITOLO...ecco da questo punto di vista allora bisognerebbe mettere a disposizione TUTTI i servizi per TUTTI i cittadini..." Spesso è l'ambiente che ostacola il raggiungimento di ben-essere della persona,che non gli consente di essere felice,ma bisogna tenere conto soprattutto della reti educative come la scuola e soprattutto la FAMIGLIA che deve essere sempre presente nel processo di crescita e di sviluppo del bambino atto a sviluppare le capacità globali della persona .Come ho già affermato a proposito della relazione educativa e del laboratorio in cui abbiamo trattato il tema dell'autismo"Il compito fondamentale è quello dei genitori che,armati di forza e pazienza devono offrire un futuro migliore ai loro bambini amandoli e collaborando con figure professionali adeguate."
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    Maria Di Caterino92


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Maria Di Caterino92 Lun Mag 21, 2012 4:34 pm

    Tra i due capitoli proposti ho deciso di trattare il primo intitolato “Ben-essere nella disabilità “.
    Che cos’è la felicità. Non vi è una definizione univoca di felicità dato, che il concetto di felicità compare in ogni cultura. Molti usi del termine felicità possono essere classificati in uno dei tre sensi. Il senso più immediato di felicità implica un’emozione o una sensazione, qualcosa come gioia o piacere. La sensazione è provocata dal raggiungimento, forse inaspettato di uno stato desiderato. Questo senso di felicità è definito da Nettle “felicità di primo livello”. Quando le persone affermano di essere felici della loro vita,intendono dire che, dopo aver riflettuto sul bilancio tra emozioni positive e emozioni negative, percepiscono che nel lungo termine hanno sperimentato più piaceri o emozioni positive o negative questa viene definita felicità di secondo livello. Esiste poi un senso di felicità ancora più ampio, che sarebbe la felicità di terzo livello definita utilizzando il termine “eudoimonia” che si intende una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità. A mio avviso la felicità è un concetto non riconducibile ad un’unica definizione, è un concetto vasto, perché per me la felicità è un senso di piacere che può essere provato in varie situazioni. Tuttavia la felicità di primo livello può essere misurata in modo oggettivo, infatti ciò che le persone riferiscono soggettivamente sulla loro felicità è indiscutibile. Ad esempio se dicono che stanno provando gioia dobbiamo ritenerlo vero. La stessa cosa è vera con la felicità di secondo livello. La felicità di terzo livello non si può misurare altrettanto facilmente e valutarla implica un giudizio su che cosa sia vivere bene e in che misura lo si realizzi nella propria vita. Infatti la psicologa Carol Ryff ha sostenuto che il ben-essere umano coinvolge un insieme di elementi più ampio della semplice felicità di secondo livello. Questo insieme comprende crescita personale, finalità, padronanza del proprio ambiente ecc. Parlando di felicità mi ha fatto pensare molto ad Atzori ,la ballerina senza braccia perché nonostante la sua disabilità è una ragazza sempre felice, lei si accontenta di quello che ha e di quello che la vita le ha donato. Il benessere considera la soddisfazione delle proprie esigenze. Gli esseri umani cercano continuamente di attribuire senso e significato agli eventi, comportamenti, e tale significato è funzionale ai nostri valori di riferimento che sono culturalmente costruiti. Inoltre secondo Ghetting, in quanto esseri viventi tendiamo alla complessità da un punto di vista biologico, psicologico e sociale. L’individuo nasce infatti con un corredo genetico e nel corso della vita costruisce il suo corredo culturale attraverso l’acquisizione di informazione dall’ambiente esterno. Da un punto di vista psicologico seleziona, acquisisce le informazioni ambientali che incontra nel corso della sua vita. Canevaro afferma a questo proposito che il benessere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale, ma alla capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi ai contesti che lo circondano. Lo studio del benessere realizza l’obiettivo di individuare metodi che possono essere in grado gli individui di aumentare il loro livello di benessere. In realtà oggi la ricerca si sta spostando anche sull’analisi del concetto di benessere e felicità per le persone con vari tipi di disabilità. Con l’obiettivo di promuovere capacità di condurre una buona vita, vivere vite stimolanti e soddisfacenti e coltivare ciò che è meglio per se stessi. Zigler sostenne che i bambini con ritardo mentale non avevano solo un basso “QI” ma avevano anche una personalità distintiva e stili motivazionali che derivavano dall’elevato numero di esperienze fallite. Infatti rispetto ai loro compagni della stessa età i bambini con ritardo mentale avevano minore aspettative di successo e si affidavano molto di più agli altri invece che a se stessi per la soluzione di problemi. Infatti l’obiettivo di questo studio è proprio quello di favorire l’efficacia di queste persone nella gestione delle loro vite. Oggetto di questo studio è stato soprattutto la famiglia di bambini con ritardo. I genitori di bambini con una disabilità passano periodi prolungati di stress rispetto agli altri genitori. Ma come per ogni altro bambino la famiglia influenza lo sviluppo di un bambino con disabilità. Un atteggiamento negativo verso la disabilità da parte di membri di una famiglia non influisce direttamente sul bambino ma può aggiungersi all’elevato livello di stress già esistente nella famiglia. Proprio per questo motivo risulta importante approfondire i modi attraverso cui tale famiglie sono in grado di gestire lo stress e sviluppare percezione positive che portano a una migliore qualità della vita. L’obiettivo è quello di “normalizzare” le vite delle persone con disabilità.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty l'educazione inclusiva

    Messaggio  Gaetana Cozzolino Lun Mag 21, 2012 4:50 pm

    “Tutti i bambini e i ragazzi del mondo,
    con i loro punti di forza e debolezza individuali,
    con le loro speranze e aspettative,
    hanno diritto all’educazione.
    Non spetta al sistema educativo decidere chi è adeguato e ne ha il diritto.
    Pertanto è il sistema scolastico che deve adeguarsi
    in modo da corrispondere alle necessità di tutti gli studenti”

    L’educazione inclusiva ha come presupposto fondamentale l’educazione per tutti. Trova i suoi
    riferimenti principali:
    -nella CARTA delle NAZIONI UNITE
    -nella DICHIARAZIONE dei DIRITTI DELL’UOMO
    -nei DOCUMENTI redatti a seguito delle conferenze organizzate dall’UNESCO (1990,1994)
    -dal FORUM mondiale per l’educazione (Dakar, 2000)
    -dalla CONFERENZA INTERNAZIONALE di MADRID su "EDUCAZIONE INCLUSIVA"

    L’inclusione è un processo per rapportarsi e corrispondere alla diversità dei bisogni di tutti gli studenti attraverso una crescita della partecipazione all’apprendimento, alle culture ed alle comunità; implica mutamenti e riorganizzazione nei contenuti, negli approcci, nelle strutture e nelle strategie, con una visione condivisa del diritto all’educazione di tutti i ragazzi di pari età e la convinzione che è responsabilità del sistema scolastico ordinario educare tutti i bambini.
    L’educazione inclusiva perciò risulta essere un approccio che si propone di trasformare il sistema educativo in modo da farlo corrispondere alle diversità degli studenti:
    la diversità diviene una sfida e un arricchimento per l’ambiente educativo, non più un problema.
    Nell’integrazione si fa riferimento alle situazioni deficitarie, nell’inclusione all’insieme delle abilità differenti. Il che significa passare dall’adattamento dell’alunno all’adattamento richiesto all’istituzione ed agli insegnanti.
    L’inclusione è un diritto fondamentale ed è in relazione con il concetto di “appartenenza”. Le persone con o senza disabilità possono interagire alla pari.
    Un’educazione inclusiva permette alla scuola regolare di riempirsi di qualità: ciascuno é benvenuto, può imparare con i propri tempi e soprattutto può partecipare, e tutti riescono a comprendere che le diversità sono un arricchimento. La diversità é normale.
    E lo stesso per l’università, il lavoro, i trasporti, la vita sociale e culturale. Scopo dell’inclusione è quello di rendere possibile, per ogni individuo, l’accesso alla vita “normale” per poter crescere e “svilupparsi” totalmente. Essa richiede delle misure politiche in grado di garantire un’educazione di qualità per tutti i cittadini. Inoltre l’educazione inclusiva implica che tutte le risorse necessarie (ad esempio quelle finanziarie, umane, educative, tecniche e tecnologiche) siano fornite a tutti i centri educativi in modo da renderli capaci di rispondere e di assicurare il successo scolastico di tutti i discenti, indipendentemente dalla loro condizione personale, economica, sociale, culturale, geografica oppure dalla loro appartenenza ad un gruppo etnico. Un’attenzione particolare dovrebbe essere prestata al genere, prendendo in considerazione le discriminazioni subite dalle ragazze e dalle donne con disabilità.
    L’educazione inclusiva deve garantire qualità, equità ed eccellenza in conformità a principi quali le pari opportunità, la non-discriminazione e l’accesso universale. Tutti questi principi sono complementari e inseparabi.
    Per lo sviluppo dell’educazione inclusiva nell’istruzione è stato compiuto un progresso importante sia sul piano teorico sia su quello delle politiche e della messa in pratica. Nello specifico si può fare riferimento all’adozione della Convenzione dei Diritti delle Persone con Disabilità delle Nazioni Unite, in particolare all’Articolo 24 sull’istruzione:
    Gli Stati Parti riconoscono il diritto all'istruzione delle persone con disabilità, garantiscono un sistema di istruzione inclusivo a tutti i livelli e un apprendimento continuo lungo tutto l'arco della vita.
    Per promuovere dei profondi cambiamenti del sistema sono necessarie una volontà politica e una determinazione da parte di tutti i partner coinvolti. Per realizzare ciò è necessario avere visione, conoscenza, abilità e un quadro
    legislativo che utilizzi tali fattori in modo coordinato al fine di realizzare un’educazione inclusiva di qualità, equa ed eccellente nella scuola regolare di ogni ordine e grado. Tutta la società ha bisogno di essere coinvolta e di contribuire
    all’attuazione del cambiamento del sistema d’istruzione: insegnanti, genitori, comunità, autorità della scuola, istituti di formazione e mondo del lavoro sono tra gli attori che possono essere considerate come risorse a supporto dell'inclusione.
    Si possono individuare tre figure chiavi:
    -sistemi educativi inclusivi;
    -gli insegnanti e l'ambiente di apprendimento;
    -le famiglie;
    L'apprendimento comincia prima che il bambino vada a scuola e quindi la cura precoce e educazione nell'infanzia è importante come uno strumento per costruire società inclusive. Fondamentale è la stimolazione precoce dei bambini attraverso il gioco, la musica, l'attività fisica e il nutrimento alla stimolazione necessaria del cervello(Montessori), tutto questo implica un'attenzione alla cura e educazione precoce in infanzia.
    Un'altra fondamentale attenzione dovrebbe essere posta alla costruzione di scuole inclusive poichè le scuole rappresentano i mezzi più efficaci per combattere atteggiamenti discriminatori, costruire una società inclusiva e assicurare il diritto all'educazione per tutti. Una scuola inclusiva dovrebbe offrire possibilità e opportunità di una vasta gamma di metodi di lavoro e trattamento individuale per assicurare che nessun bambino sia escluso dalla socializzazione e dalla partecipazione nella scuola: scuole amiche dei bambini.
    L'educazione inclusiva implica che le scuole forniscono una buona educazione a tutti i bambini indipendentemente dalle loro abilità diverse. Gli insegnanti dovebbero avere chiari alcuni principi : conoscere i principi dell'educazione inclusiva e imprementarli, individuare gli studenti che hanno bisogno di educazione speciale, conoscere ed essere in grado di applicare i metodi e gli approcci nel campo dell' educazione. Le caratteristiche della scuola dovrebbero essere: una leadership qualificata, un ambiente di apprendimento adeguato, alte aspettative, cooperazione tra scuola e famiglia. Le caratteristiche dell'insegnante ,invece, dovrebbero essere: l'efficace uso del tempo, buone relazioni con gli studenti, essere sicuri che ciascun bambino comprenda le istruzioni e le modalità attese di lavoro, possedere le credenze, attitudini, abilità e disposizioni che li renderanno insegnanti sicuri ed efficaci.
    Molto importante è la creazione di un ottimo ambiente di apprendimento così che tutti i bambini possano apprendere bene e raggiungere il loro potenziale.
    Un'altra cartteristica dell'inclusione è il co-insegnamento: la collaborazione tra insegnanti consente di stendere un programma che sia collegato a quello della classe. Ciò presuppone la collaborazione tra insegnante specializzato e gli altri insegnanti della classe affinchè possano aiutarsi l'un l'altro fornendo diverse aree di esperienza che fuse possono aumentare l'istruzione per tutti i bambini.
    Ogni genitore vorrebbe che il prorio figlio fosse felice, indipendente, utile e che contribuisse al bene della comunità.
    Buone relazioni tra insegnanti della scuola e i genitori possono favorire i progressi educativi del bambino. Tutti i genitori dovrebbero comprendere gli obiettivi di base della scuola, essere tenuti informati del progresso, delle debolezze e delle forze del figlio in modo da intervenire ed aiutare la scuola nel processo di apprendimento del bambino. È approvato che i bambini imparano meglio nelle scuole in cui ci sono buone relazioni sociali ( studenti-insegnanti-genitori-comunità).
    Molti bambini possono sperimentare alcune forme di difficoltà nel corso del loro percorso scolastico, le scuole possono intervenire attraverso l'introduzione di strategie più efficaci per supportare il lavoro individuale dei docenti.
    "Tutti i bambini sono speciali" di conseguenza l'obiettivo dovrebbe essere quello di rispondere in maniera equa a tutti i bambini disabili e normodotati.
    Esistono tre carateristiche dell'insegnamento ce sembrano essere essenziale per il successo:
    -gli insegnanti devono conoscere i loro bambini molto bene in termini delle loro abilità e delle loro conoscenze, i loro interessi e la loro esperienza.
    -i bambini devono essere aiutati a stabilire un significato personale circa i compiti e le attività in cui essi sono impegnati.
    -la classe deve essere organizzata in modi che incoraggiano il coinvolgimento e lo sforzo.
    L'approccio della capability considera l'educazione come fortemente connessa con la libertà umana ossia evidenzia come istruzioni di qualità possono creare capacità individuali e provocando in tal modo la libertà individuale e lo sviluppo.Tale approccio guarda allo sviluppo come ad un processo di espansione delle capacità e delle opportunità
    reali delle persone affinché ciascuno possa scegliere di condurre una vita a cui attribuisce valore. Questo richiede agli enti pubblici e alle persone coinvolte a vario titolo un cambiamento culturale importante, in quanto le persone con
    disabilità, le loro famiglie, le associazioni non saranno più dei destinatari passivi di politiche e servizi ma soggetti attivi del cambiamento.
    L'Index per l'inclusione è stato messo dal Centre for Studies on Inclusive Education (CSIE), un ente indipendente che nel corso degli anni è diventato un punto di riferimento per la promozione dell'inclusione nel sistema scolastico. L'Index offre una serie di materiali per consentire ad alunni, insegnanti, genitori, dirigenti e amministratori (ma anche ai membri più estesi della comunità locale) di progettare per la propria realtà scolastica un ambiente inclusivo in cui le diversità siano motore per il miglioramento e il progresso della scuola. L'Index promuove uno sviluppo inclusivo per così dire dall'interno perché muove dalle conoscenze, dalle esperienze e dalle rappresentazioni dei suoi attori, e analizza la scuola nella dimensione delle politiche (il progetto complessivo che la guida e l'insieme delle decisioni che mirano al cambiamento), delle pratiche (le attività e i metodi di insegnamento e l'utilizzo proficuo delle risorse disponibili) e in quella fondamentale della cultura (i valori e le convinzioni che la ispirano). Concretamente gli indicatori dell'Index consentono un esame dettagliato della scuola per superare gli ostacoli all'apprendimento e alla partecipazione per favorire la realizzazione di ogni studente e per creare comunità solida.
    Spesso chi educa si trova in uno stato di superiorità funzionale ma non gerarchica, stato che genera un vincolo di responsabilità, in cui la dialogicità orienta la relazione.
    L’educando, deve sentire di essere protagonista a pieno titolo del percorso educativo. È indispensabile il personale coinvolgimento del ragazzo al progetto pedagogico strutturato appositamente per lui.
    La condizione che rende inattuabile l’intervento d’aiuto è la mancata disponibilità di una delle parti in causa.Occorre sottolineare il carattere peculiare della relazione d’aiuto, caratterizzato dalla completa specularità fra l’educatore e l’educando. L’educando è soggetto di cambiamento, ma l’educatore stesso è effettivamente coinvolto e suscettibile di cambiamento. La partecipazione dell’educando è necessariamente funzionale alla buona riuscita dell’intervento. È necessario disporre l’intervento educativo – scolastico, extrascolastico o famigliare – ponendolo in modo che il ragazzo sia coinvolto attivamente nella relazione senza subirla passivamente.
    Il punto di vista dell’educando deve emergere chiaramente nella comunicazione che dovrebbe essere il più possibile aperta e biunivoca. L’ottica del discente contribuisce a chiarire il percorso, fornendo un contributo funzionale, per esempio, a far capire i propri bisogni.
    L’incontro deve essere intenzionale per ambedue i soggetti coinvolti – educatore/educando - e l’interazione deve essere costruita insieme. Entrambi devono compiere passi uno verso l’altro per potersi incontrare davvero. Anche nel caso che l’educando non sia in grado di relazionarsi adeguatamente per incapacità, per resistenza o disinteresse è importante, anche maggiormente, che l’educatore sappia compiere passi verso di lui, allontanando pregiudizi e orgoglio.
    A volte è difficile, da parte degli operatori, porre le basi per ottenere la fiducia da ragazzi che magari stanno già vivendo un particolare momento di disagio. È essenziale che il ragazzo riesca a vedere l’adulto meritevole di fiducia, in un ottica positiva che possa innescare una relazione circolare, reciprocamente basata sulla stima e affidabilità, punto di partenza per ogni attività successiva.
    "l'educatore non è colui che risolve i problemi ma è colui che si pone accanto al ragazzo con l'intento di farlo
    crescere ".
    Mettere in pratica tutte queste nozioni può sembrare facile, in realtà è complicatissimo ed io che mi occupo di "minori a rischio"da ormai tre anni posso confermarlo.
    La prima difficoltà è capire che in ogni singolo essere vivente è racchiuso un piccolo mondo fatto di sentimenti, emozioni, ragione,intelligenza,carattere etc e quando si instaura un rapporto con il prossimo per comprenderlo al meglio bisogna entrare nel mondo che si pone dinnanzi,un mondo totalmente diverso ma altrettanto affascinante; nel rapporto educatore-educante i due mondi devono incontrarsi e spesso sono talmente diversi o simili che si scontrano, ma l'educatore deve superare i propri limiti e andare oltre non dimenticando il ruolo che rappresenta.
    Il nostr progetto si chiama "crescere insieme" e Maria Marino e una dei tre ragazzi che mi sono stati affidati. Il mio rapporto con lei è cambiato rispetto all'anno scorso. Quando è arrivata, un pò come tutti, era molto tranquilla ascoltava le mie indicazioni poi con il trascorrere del tempo è uscito fuori il suo vero carattere ossia ribelle ,sempre nervosa , testarda. Ho iniziato ad essere severa con lei anzi severissima ,se lei si innervosiva per una futile sciocchezza io mi innervosivo più di lei ;non tolleravo i suoi modi..
    ogni sera tornavo a casa con una tristezza nel cuore perchè non riuscivo a trovare un filo conduttore che mi legasse a lei; l'apice è stato quando Maria mi ha detto chiaramente che preferiva fare i compiti con un'altra volontaria. Il mondo mi è crollato addosso ma invece di abbattermi iniziai a chiederle il motivo ma non volle dirmelo così la convinsi a scrivere una lettera e ad esternare i suoi sentimenti. Nella lettera mi scrisse che mi trovava antipatica poichè ero troppo rigida nello svolgimento dei compiti e che nella vita bisognava cambiare. Io le spiegai "con dolcezza"che ormai il cambiamento non poteva avvenire poichè le disposizioni erano state prese non da noi ma dal nostro Parrocco e che dovevamo attenerci alle regole ma soprattutto cercai di farle capire che svolgere i compiti in maniera "sufficiente "era il minimo che io potessi fare per la sua preparazione didattica e che volente o nolente saremmo dovute andare daccordo. Da quel giorno riuscii a creare quel filo conduttore che cercavo ormai da tempo ed oggi sono diventata la sua confidente. Fondamentale è "l'approccio che si ha con l'educando".
    L'educatore deve essere resiliente perchè non deve arrendersi di fronte alle difficoltà; per questo motivo l'educatore non può e non potrà mai essere solo un mestiere bensì una passione perchè solo attraverso di essa si può trovare quel filo conduttore che separa mondi diversi..
    non è tanto importante scegliere di fare il bene ; il dato importante è "fare BENE il bene".
    Maria Grazia Zingone
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    Messaggio  Maria Grazia Zingone Lun Mag 21, 2012 4:59 pm

    Il capitolo che ho trattato parla della felicità, come argomento ha molti punti di domanda su cos’è veramente la felicità?Come la si riesce ad ottenere?La felicità negli anni è sempre stata motivo di studi dai maggiori filosofi e psicologi,la felicità è stata nel corso della vita umana sempre una ricerca intensa impuntata a trovare sempre l’appagamento fisico e psicologico.La felicità è lo stato d'animo positivo,di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri. La nozione di felicità, intesa come condizione di soddisfazione totale. Le sue caratteristiche sono variabili secondo l'entità che la prova come la serenità, appagamento, eccitazione. La felicità si sviluppa sia in senso intellettuale sia materiale, sia fisico sia psichico,sia affettivo sia emozionale.Per fare degli esempi pratici su come il valore della felicità cambi anche in virtù della cultura e del contesto ambientale, la felicità può essere un sorriso di un bambino o l'acquisto di una villa con piscina, può essere un matrimonio,la pace dei sensi o la vincita dei mondiali. Secondo Aristotele la felicità sta nella compiuta realizzazione da parte di ogni essere,della propria natura,poichè la natura specifica dell'uomo consiste nell'esercizio della ragione,sarà felice solo se vivrà secondo la ragione stessa ossia la virtù realizzando così armonicamente le sue facoltà.
    La virtù come attività propria dell'uomo è la felicità stessa.La felicità più alta consiste quindi nella virtù più alta e la virtù più alta non può essere infine altro che quella teorica cioè la sapienza,intelligenza,infatti l'intelligenza è la facoltà più alta che c'è in noi.
    Nell'800 Seguin guidò la prima scuola per bambini disabili per permettergli di assumere il giusto ruolo nella società. Purtroppo però nel corso del tempo queste scuole hanno modificato il loro obiettivo ,trasformandosi in luoghi che isolavano i disabili favorendo il sovraffollamento e l'abbandono.
    Dopo tanti anni queste istituzioni sono state chiuse.Bisogna poi anche tener conto delle barriere architettoniche che incontrano molto disabili nel corso della vita e della giornata,a causa dei servizi che non fuzionano nelle città.La prof.Iavarone ci parla della pedagogia, soprattutto quella sociale,che ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche psicosociale.La felicità è un benessere che possono accingerci tutti ma la vera felicità è soggettiva infatti per felicità intendiamo uno stato di appagamento.
    serenalestingi
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty PER UN’EDUCAZIONE INCLUSIVA

    Messaggio  serenalestingi Lun Mag 21, 2012 5:37 pm


    Che cos’è l’educazione inclusiva?
    E’ un processo che comprende la trasformazione di scuole e di altri centri di apprendimento per andare incontro alle esigenze di TUTTI i bambini per fornire opportunità di apprendimento per tutti i giovani e anche gli adulti. Solo negli ultimi 50 anni la comunità internazionale ha capito che l’educazione inclusiva e “la NECESSARIA UTOPIA”.In un’ importante rassegna l’educazione inclusiva viene definita come la risposta simultanea degli studenti che sono diversi tra di loro ma di far si che ognuno di loro partecipi a tutte le attività scolastiche. In questo modo l’educazione non è più un fine a se stessa, ma è un MEZZO per raggiungere un fine. Il movimento verso l’inclusione è graduale e per superare le barriere all’inclusione ci deve essere collaborazione attiva tra i politici,il personale scolastico e altri stakeholder. Se si parla di inclusione bisogna necessariamente parlare anche di esclusione, perché esse sono interconnesse tra di loro attraverso tre dimensioni che sono:la necessità di creare culture inclusive,di produrre politiche inclusive e di sviluppare pratiche inclusive. L’inclusione deve essere intesa come un processo;si occupa della presenza,della partecipazione e del successo di tutti gli studenti. Se l’educazione inclusiva si deve occupare di tutti i bambini allora si deve occupare anche di bambini con disabilità, infatti nel2006 con le NAZIONI UNITI è stato sancito che il suo scopo è quello di promuovere,proteggere e assicurare il pieno e giusto godimento dei diritti umani per le persone con disabilità. Il modello tradizionale di disabilità si focalizzava sulle menomazioni della persona disabile,in seguito le persone con disabilità hanno evidenziato come la disabilità e una difficoltà anche della società,perché non è colpa del disabile se non riesce a prendere un trasporto pubblico ma è colpa del trasporto pubblico che non costruito per essere sufficientemente accessibile. Con quest’esempio si nota come la società non è organizzata per soddisfare i bisogni delle persone con disabilità(tema trattato anche in aula con le BARRIERE ARCHITETTONICHE).L’inclusione per far si che si sviluppi ha bisogno di varie figure chiavi di supporto che sono:INSEGNANTI,GENITORI,ISTITUTI DI FORMAZIONE E MONDO DEL LAVORO. Un curriculum inclusivo corretto deve essere basato su quattro principi:apprendere a conoscere,fare,essere e vivere insieme. Esso è uno strumento adeguato per perseguire la tolleranza e promuovere i diritti umani a prescindere dalle differenze culturali. Il curriculum però deve essere flessibile per adattarsi a tutti i bambini perché ogni bambino e diverso dall’ altro. L’educazione inclusiva ribalta tutto il modello tradizionale scolastico. La scuola dovrebbe essere: una leadership qualificata,un rinforzo continuo e positivo,un monitoraggio dei progressi degli studenti e la cooperazione tra scuola e famiglia. Il ruolo dell’ insegnante è fondamentale per l’inclusione e per far si che lui abbi un atteggiamento positivo bisogna che alcune barriere siano eliminate come l’ostilità dei dirigenti, perché se loro non sono favorevoli cercheranno di assicurare che l’insegnante di sostegno si occupi di bambini con disabilità isolandolo dal resto della classe. Un altro compito importante del docente è quello di instaurare relazioni sociali significative tra gli alunni soprattutto per i disabili con i normodotati,Gli insegnati dovrebbero avere atteggiamenti equi, anche se a prescindere dall’educazione inclusiva molto spesso gli insegnanti fanno delle preferenze e si notano. Gli insegnanti dovrebbero collaborare tra di loro e insieme preparare un programma che sia più possibile collegato alle esigenze di quella classe. Anche i genitori hanno un ruolo fondamentale è la scuola dovrebbe coinvolgerci sempre, non solo quando ci sono dei problemi, in questo modo i genitori si sentiranno parte integrante di un percorso scolastico e aiuteranno sempre di più i loro figli. C’è la necessità di creare una rete di lavoro che permette al soggetto che si trova al suo interno di stare bene con ciascuno dei suoi nodi. Un altra risorsa di sostegno allo sviluppo inclusivo e l’INDEX. Esso è il prodotto di tre anni di lavoro di insegnanti,genitori,dirigenti e ricercatori. La prima versione è stata pubblicata nel 2000 ed è stata distribuita gratuitamente. Non esiste un modo corretto per usare l’INDEX ma con la collaborazione di più istituiti e con il sostegno del LEA(che sono degli enti locali che costituiscono il punto di riferimento per le politiche educative) è tutto più agevolato. L’index è stato utilizzato nelle varie scuole con finalità diverse,esso si compone di quattro elementi:favorisce la riflessione sullo sviluppo inclusivo,organizza l’approccio di valutazione della scuola,aiuta a identificare e a realizzare le priorità per il cambiamento e per assicurare i processi di analisi,progettazione e realizzazione dei progetti. L’ educazione può costituire una dimensione importante nella nostra vita,perche ci da tante opportunità,essa gioca un ruolo importante nell’espansione delle CAPABILITIES in cui possiamo notare due aspetti:l’espansione delle capacità che il bambino ha e l’espansione nelle opportunità che il bambino riceve. L’approccio della capability è una struttura di pensiero che aiuta a posizionare le persone con le loro capacità,di mettere al centro il ben-essere dell’individuo a prescindere dalla disabilità. Tutto ciò porta a un nuovo modello innovativo e utile sia per l’educazione inclusiva ma anche per tutta l’educazione. Caldin infatti sostiene che l’INCLUSIONE è una modalità ESISTENZIALE,un IMPERATIVO ETICO,un DIRITTO BASE che nessuno deve guadagnarsi ma è un DOVERE DEI GOVERNI e DELLE COMUNITA’ di RIMUOVERE E LE BARRIERE E GLI OSTACOLI CHE IMPEDISCONO L’INCLUSIONE.
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    Maria Starace91


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty Cap.1

    Messaggio  Maria Starace91 Lun Mag 21, 2012 5:46 pm

    La felicità vuol dire vivere una buona vita. Nelle culture contemporanee le persone cercano metodi per diventare più felici. Ma solo da poco le scienze sociali hanno cominciato a studiare il concetto di felicità. Il termine felicità è presente in ogni cultura.
    Eudaimonia deriva da ( buon demone), la felicità era aver un buon demone. Successivamente con Socrate, poi con Platone e infine con Aristotele la parola eudaimonia si carica di significati nuovi, e si inizia ad affermare l’uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice, anche contro la sorte. La felicità è connessa al portare a compimento l’intera vita, non con il piacere che si trova nell’attimo fuggente. Per questo in Aristotele la felicità è strettamente connessa all’etica e alle virtù, intese non tanto in senso moralistico, ma di azione , di attività.
    Molti usi del termine felicità possono essere classificati in uno dei tre sensi che ne corrispondono un numero crescente.
    Il senso più immediato e diretto di felicità implica un’azione o una sensazione, qualcosa come gioia o piacere. Tali sensazioni sono transitorie e presentano una fenomenologia chiara e particolare.
    La sensazione è provocata dal raggiungimento, forse inaspettato, di uno stato desiderato, a parte il riconoscimento del fatto che la cosa desiderata è avvenuta.
    Nettle definisce questo senso di felicità “ felicità di primo livello”.
    Quando le persone affermano di essere felici della loro vita, di solito non intendono dire che sono letteralmente piene di gioia, o che provano piacere per tutto il tempo.
    Esse intendono dire che tra emozioni positive ed emozioni negative, percepiscono che hanno sperimentato nel lungo termine più piaceri ed emozioni positive.
    La felicità di secondo livello è la felicità che non viene calcolata sommando tutti i momenti positivi e sottraendo quelli negativi. Vi è anche un terzo senso di felicità ancora più ampio, dove per eudaimonia si intende una vita in cui la persona prospera e realizza le proprie vere potenzialità.
    Questo significato di felicità rappresenta la “ felicità di terzo livello”.
    Spesso i termini felicità e ben-essere soggettivo sono stati usati in modo intercambiabile.
    Il ben-essere è stato definito “ vivere bene” anche in presenza di una malattia.
    Seligman ha proposto diverse strade che conducono alla felicità, una di queste è individuare talenti personali e forze. La buona vita consiste nell’usare le proprie forze in modo proficuo nel lavoro, nelle relazioni, o nel tempo libero.
    Le calabilities sono l’insieme dei funzionamenti di cui la persona potenzialmente dispone nell’ambiente. Esse riflettono il grado di libertà, autonomia e controllo di cui l’individuo gode nel proprio contesto di vita.
    Gli essere umani cercano continuamente di attribuire senso e significato agli eventi, ai comportamenti, agli stati interni e intenzioni sociali e tale significato è funzionale alle nostre categorie e valori di riferimento che sono culturalmente costruiti. Inoltre, in quanto esseri viventi, tendiamo alla complessità. L’individuo nasce infatti con un corredo genetico e nel corso della vita costruisce il suo corredo culturale attraverso l’acquisizione di informazione dell’ambiente esterno.
    Da un punto di vista psicologico selezione, acquisisce e integra le informazioni ambientali che incontra continuamente nel corso della sua vita. Ciascun individuo deve essere incoraggiato a seguire il proprio percorso di complessità e condivisione. Ogni essere umano infatti nasce con qualcosa di nuovo, qualcosa di mai esistito prima. Ognuno di noi nascendo ha la capacità di ben-essere. Ognuno ha un suo modo originale di vedere, toccare, gustare e pensare.
    La teoria dell’equilibrio dinamico afferma che nonostante i cambiamenti nelle circostanze di vita dell’individuo, i livelli di felicità rimangono costanti nel corso del tempo. L’equilibrio dinamico si verifica in riferimento alla tendenza umana di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente. Questo processo di adattamento è comunemente chiamato “ controllo omeostatico”.
    Il fatto che il ben-essere sia concepito come un concetto soggettivo, confuso e vago ha fatto si che la psicologia, in quanto scienza, trascurasse le sue analisi per molti decenni. Tuttavia Nettle affermava che se le persone passano la maggior parte del tempo a riflettere sulla notizia di ben-essere e di felicità, allora questo è un buon motivo per studiarle. Molte analisi della natura del ben-essere rappresentano una o l’altra variazione sul tema che le persone sono felici quando ottengono quello che vogliono.
    Il ben-essere si sostanzia di diverse componenti: fisiche e psichiche, sociali, emozionali. Lo studio del ben-essere ha importanti implicazioni per la vita stessa degli individui. L’obiettivo è quello di individuare dei metodi che possano rendere in grado gli individui di aumentare il loro livello di ben-essere. Anche se l’aumento del ben-essere è un obiettivo valutabile in se stesso, diventa ancora più significativo perché il ben-essere e le emozioni positive hanno conseguenze positive su altri importanti domini di vita.
    Nell’approccio top-down il ben-essere dipende dalle caratteristiche globali della personalità che influenzano il modo in cui una persona reagisce agli eventi.
    Nell’approccio bottom-up una persona dovrebbe sviluppare una condizione di felicità come conseguenza di esperienze positive accumulate in presenza di contesti esterni favorevoli. Inoltre lo studio del ben-essere ha benefici potenziali per le attuali e future generazioni.
    Lyubomirsky, Sheldon e Schkade hanno evidenziato che la varianza della felicità nella popolazione è dovuta per il 10% alle condizioni di vita esterne, il 50% è determinato da una condizione genetica e il 40% da attività intenzionali che aumentano e diminuiscono la felicità.
    Zigler sostenne che il bambini con ritardo mentale non avevano solo un basso QI, ma avevano anche una personalità distintiva e stili motivazionali che derivavano dai loro aumentati indici di esperienza di fallimento.
    Rispetto ai loro compagni della stessa età, i bambini con ritardo mentale avevano minori aspettative di successo, e si affidavano molto di più agli altri invece che a sé stessi per la soluzione di problemi, i bambini con ritardo mentale dimostravano anche di aver più alti livelli di impotenza appresa. L’obiettivo è quello di favorire lo sviluppo di un sentimento globale di autoefficacia fondato sulla possibilità di rendere potenti le persone nella gestione della loro vita.
    La ricerca sulla famiglia di bambini con ritardo mentale ha avuto un orientamento nella direzione della psicopatologia. La figura materna in letteratura è stata assimilata ad una madre che rimpiange la perdita del figlio perfetto e idealizzato, con un dolore che si riaccende ad ogni fase dello sviluppo del bambino.
    Quando invece di un bambino sano e bello nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma in un evento angosciante e luttuoso, le madri passano anche attraverso diversi stadi: shock, disorganizzazione emotiva, ecc…
    Un atteggiamento negativo verso la disabilità da parte dei membri della famiglia non influisce direttamente sul bambino ma può aggiungersi al già esistente livello di stress della famiglia.
    Proprio per questo motivo risulta importante approfondire i modi attraverso cui tali famiglie sono in grado di gestire lo stress e sviluppare percezioni positive che portano a una migliore qualità della vita.
    Sono stati introdotti alcuni studi, dove i risultati evidenziano che le persone disabili alla nascita dimostrano di essere più felici rispetto alle persone che sono diventate disabili nel corso degli anni.
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    Marianna Di Caterino91


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Marianna Di Caterino91 Lun Mag 21, 2012 6:05 pm

    La felicità è lo stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti i propri desideri. L’etimologia fa derivare felicità da: felicitas, la cui radice “fe” significa abbondanza, ricchezza, prosperità. L’uomo fin dalla sua comparsa ricerca questo stato di benessere. La felicità è quell’insieme di emozioni e sensazioni del corpo e dell’intelletto che procurano benessere e gioia in un momento della nostra vita. Se l’uomo è felice, subentrano la soddisfazione e l’appagamento. Una persona può provare felicità basata su emozioni positive che Seligman chiama “la vita piacevole”. Esiste poi una forma di felicità che passa attraverso esperienze in cui noi siamo impegnati e nel “flusso”. Il concetto di flusso comprende quei momenti in cui siamo concentrati su compiti stimolanti che esattamente mettono alla prova le nostre abilità. Le persone possono essere nel flusso quando leggono un libro, scrivono, guardano un tramonto ecc. La buona vita si ha quando gli individui sviluppano le loro forze e virtù in attività da cui l’individuo trae piacere e di cui è appassionato. Inoltre, secondo Ghedin come esseri viventi tendiamo alla complessità, cioè l’individuo nasce con un corredo genetico e nel corso della vita costruisce la sua cultura attraverso l’acquisizione di informazione dall’ambiente esterno, selezionando e integrando le informazioni ambientali che incontra continuamente nel corso della sua vita. Lo studio del benessere ha importanti implicazioni per la vita stessa degli individui. L’obiettivo è quello di individuare dei metodi che possano rendere in grado gli individui di aumentare il loro livello di benessere. Il benessere segue più direzioni e la sua percezione, da parte del soggetto, cambia sia in senso verticale, nei diversi “tempi” della vita, sia in senso orizzontale, nei suoi diversi “luoghi”. Il benessere si sostanzia di diverse componenti: fisiche e psichiche e sociali, emozionali, psicologiche. La nostra società ricca offre tanti piaceri che velocemente diventano effimeri. Infatti, non appena cala la stimolazione che ha portato al piacere, quest’ultimo sparisce del tutto. L’essere umano ha bisogno di sfide, ha bisogno di mettersi alla prova, di rinforzare le proprie potenzialità e capacità. Molte analisi della natura del benessere rappresentano una variazione sul tema che le persone sono felici quando ottengono quello che vogliono. Il benessere e la felicità è anche appannaggio dei disabili, infatti Edouard Seguin, un medico francese che nella metà del 1800 guidò la prima scuola per bambini disabili. Seguin promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e quindi assumere il giusto ruolo nella società. C’è da dire che nella determinazione dello stato di benessere di una persona l’aspetto relazionale risulta strategico soprattutto in rapporto al modo con cui si guarda alla vita e ai rapporti che si costruiscono e si coltivano. L’obiettivo non è solo quello di far sì che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi, ma e soprattutto, possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. Secondo Iavarone la capacità di saper leggere l’ambiente, di interpretare correttamente i propri bisogni, dare forma e nome ai propri desideri rappresentano alcune delle condizioni per conseguire un progetto di benessere personale e sociale realistico e contestualizzato. Quindi la pedagogia ha a cuore il benessere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche psicosociale. Oggi la ricerca si sta spostando anche sull’analisi del concetto di benessere e felicità per le persone con vari tipi di disabilità con l’obiettivo di promuovere capacità di condurre una “buona vita”. Parliamo di persone con ritardo mentale, esse sono vulnerabili agli stessi disordini dell’umore, malattie psichiatriche e difficoltà di adattamento incontrate dalla popolazione generale. Zigler sostenne che bambini con ritardo mentale, rispetto ai loro compagni della stessa età avevano minori aspettative di successo, e si affidavano molto di più agli altri invece che a se stessi per la soluzione di problemi. La ricerca sulle famiglie di bambini con ritardo mentale ha avuto un orientamento nella direzione della psicopatologia. Quando invece del “bambino sano e bello” nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma in un evento angosciante e luttuoso. I genitori passano attraverso periodi di stress rispetto agli altri genitori. Un atteggiamento negativo verso la disabilità da parte dei membri della famiglia non influisce direttamente sul bambino ma può aggiungersi al già esistente livello di stress della famiglia. Proprio per questo motivo risulta importante approfondire i modi attraverso cui tali famiglie sono in grado di gestire lo stress e sviluppare percezioni positive che portano a una migliore qualità della vita. Quindi l’obiettivo politico è quello di “normalizzare” le vite delle persone con disabilità.
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    Melfi Roberta


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 9 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Melfi Roberta Lun Mag 21, 2012 6:30 pm

    Ben-essere disabili
    Un approccio positivo all’inclusione
    Elisabetta Ghedin

    Cap. 1 Ben-essere nella disabilità

    Il ben-essere nella disabilità è attualmente oggetto di attenzione da parte di molti studiosi grazie alla innovativa concezione della persona con deficit: oggi il diversabile non è più visto come soggetto bisognoso di atti caritatevoli e di cure assistenziali, bensì come persona capace di integrarsi nei vari settori della società attraverso lo sviluppo autonomo di abilità altre. Condizione di vita resa possibile anche grazie ai programmi di educazione speciale che mirano all’autodeterminazione, cioè a rendere le persone con disabilità in grado di compiere scelte personali per la propria vita, e al loro ben-essere. Nella realizzazione dello stato di ben-essere l’aspetto relazionale risulta strategico soprattutto in rapporto al modo con cui si guarda alla vita e ai rapporti che si costruiscono e si coltivano. In tale ottica il ben-essere non è considerato come uno stato individuale, ma come un progetto dinamico da condividere con gli altri. L’interesse per il ben-essere delle persone disabili è strettamente correlato al tentativo delle scienze sociali di studiare in modo sistematico il concetto di felicità in senso generale. Infatti, la psicologia positiva si contrappone alla tradizionale prospettiva psicologica negativa per focalizzarsi sugli aspetti positivi del funzionamento umano e sulle esperienze che sono fonte di felicità per gli individui. Si distinguono due aspetti della felicità: una reazione immediata, come la gioia o il piacere, e uno stato duraturo, come la soddisfazione o l’appagamento. La prima forma di felicità è una sensazione transitoria che non coinvolge molta cognizione. Nettle definisce questo senso di felicità come “felicità di primo livello”. Invece lo stato di appagamento e di soddisfazione verbalizzato dalla persona viene definito “felicità di secondo livello”; infine, la felicità intesa come eudaimonia (originariamente deriva da “buon demone,la felicità consisteva nell’avere un buon demone, una buona sorte. Con Socrate poi con Platone in fine con Aristotele, la parola eudaimonia si carica di significati nuovi, e si inizia ad affermare che l’uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice anche contro al sorte), ovvero come una condizione di vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità, rappresenta la “felicità di terzo livello”.
    La felicità è una componente del ben-essere soggettivo insieme all’ottimismo, alla perseveranza e all’autodeterminazione. A livello sociale il benessere è determinato dal supporto relazionale, dal senso di appartenenza e di armonia con il proprio ambiente. Il ben-essere può essere definito come “vivere bene, da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica”(Schaffer, 1996, p. 37). L’Oganizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha indicato la promozione della salute come l’obbiettivo principale della medicina, e ha definito la salute come una condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale. A tal proposito l’obbiettivo prioritario delle scienze dell’educazione è quello di favorire nelle persone con e senza deficit un atteggiamento positivo nei confronti dell’esperienze di vita (considerando anche quella educativa) per essere in grado di gestire le proprie scelte e di adottare comportamenti consapevoli nella direzione della propria felicità. Iavarone (2008) sottolinea che il ben-essere non può essere ricondotto ad una generale condizione di ben-essere fisico o economico, ma è uno stato complesso che include la capacità di saper leggere l’ambiente, di riconoscere i propri bisogni, di dare forma e nome ai propri desideri e saperli perseguire con una sana progettualità.
    Molti filoni di ricerca hanno contribuito ad indagare il ben-essere nella disabilità.
    - Movimento della Qualità della vita: i ricercatori hanno identificato alcune dimensione chiave della qualità della vita, quali il ben-essere emozionale, relazioni interpersonali, il ben-essere materiale, ben-essere fisico, autodeterminazione, inclusione sociale e diritti. Tuttavia essi hanno studiato il ben-essere emozionale dei disabili in termini di consumo di quantità di bene, cioè analizzando la soddisfazione provata rispetto alle condizioni esterne di vita (il luogo dove si vive, il lavoro e gli amici). Come Elisabetta Ghedin ci fa notare, migliorare le condizioni oggettive di vita delle persone con disabilità è la giusta cosa da fare in una società equa, anche se i fattori esterni della qualità della vita possono non necessariamente condurre ad uno stato durevole di felicità nelle persone con disabilità. Infatti la psicologia positiva sostiene che il sentimento di ben-essere nasca dall’interazione di fattori tanto soggettivi quanto oggettivi.
    - Personalità – motivazione e felicità: molti studiosi hanno dimostrato che oltre alla personalità distintiva dei bambini con ritardo mentale anche il fattore motivazionale incide sul loro senso di autoefficacia, infatti Zigler afferma che i bambini con ritardo mentale non hanno solo un basso QI, ma anche una personalità distintiva e stili motivazionali che parzialmente derivano dalle frequenti esperienze di fallimento. Rispetto ai loro compagni della stessa età, i bambini con ritardo mentale hanno minori aspettative di successo, bassa motivazione alle sfide e si affidano molto di più agli altri invece che a se stessi per la soluzione dei problemi. Rispetto agli altri, i bambini con ritardo mentale, quindi, dimostrano di avere più alti livelli di impotenza appresa. Quest’ultima accresce con l’età, in seguito all’accumulo di esperienze di fallimento, e infine è legata a sintomi depressivi nei giovani con ritardo mentale.
    - La ricerca sulla famiglia: questo tipo di ricerca si focalizza sulla relazione che si istaura tra il bambino disabile e la sua famiglia, in primis la madre, fin dalla nascita. Infatti, la nascita di un figlio è accompagnata da profonde aspettative di gratificazione personale e sociale legate all’immagine del bambino perfetto. Quando invece del bambino sano e bello nasce un figlio con disabilità, il fatto si trasforma in un evento angosciante e luttuoso e i sentimenti dolorosi della madre possono condizionare e caratterizzare lo sviluppo del bambino. I genitori di bambini con una disabilità passano attraverso periodi prolungati di stress rispetto ad altri genitori e l’atteggiamento negativo della società può aumentare il livello di stress della famiglia. Tuttavia Mullins ha sì messo in evidenza la presenza di stress emotivo e preoccupazioni nei genitori di figli disabili, ma ha anche concluso che per gli stessi la disabilità dei propri figli aggiunge qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato. Quindi, possiamo dire che emergono due aspetti della relazione tra genitori e figlio con deficit, uno negativo e l’altro di arricchimento e di crescita. L’immagine pubblica generale delle persone con disabilità e dei loro familiari è che essi abbiano una bassa qualità della vita. Esiste un consenso generale che la loro qualità di vita debba essere migliorata, infatti, molti paesi hanno adottato politiche specifiche, come il Regno Unito che ha emanato il Disability Discrimination Act(Nel Regno Unito è un documento che promuove i diritti civili delle persone disabili e ha l’obiettivo di superare la discriminazione), e l’Italia che ha promulgato la Legge 104 per offrire alle persone con disabilità gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone non disabili. A tal proposito vengono formati diversi professionisti che a vario titolo gestiscono relazioni di cura, sostegno, aiuto (insegnati, educatori,operatori socioassistenziali, sanitari). Iavarone afferma che la pedagogia infatti, e in particolare la pedagogia speciale, ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale.
    Concludo dicendo che le persone con handicap possono essere felici e dare felicità agli altri. I disabili sono felici quando sono circondati dall’amicizia, dalla stima, dalla solidarietà. La disabilità può non essere un ostacolo, anzi può diventare un modo diverso, più sensibile e profondo di vedere il mondo. L’handicap non è una condanna, né una condizione di per sé triste ed infelice. L’infelicità dei disabili dipende spesso dall’essere esclusi ed isolati, dall’essere rifiutati dalla società.
    Vivere accanto ai disabili è un arricchimento in umanità e può far maturare una comprensione della vita più larga e profonda.
    I disabili, infatti, possiedono una comprensione di quello che nella vita è essenziale. Questa “sapienza” non ha sempre modi diretti per esprimersi, ma può trovare nel rapporto con gli altri la maniera di manifestarsi.
    Essi possono dare un contributo prezioso alla nostra società ed essere artefici di un cambiamento di mentalità e di cultura assai importante; possono rappresentare un ammirevole modello di resilienza, forza e coraggio come lo sono stati per me Atzori, Pistorus, il professore Palladino ed altri che ci sono stati presentati durate il laboratorio di Pedagogia della disabilità dalla professoressa Briganti. I diversabili mostrano che si può essere felici in ogni condizione della vita se si è circondati dall’amicizia, in un atteggiamento fiducioso ed aperto agli altri. Sono un richiamo ai valori della gratuità e della solidarietà, dell’amicizia e dell’accoglienza senza i quali è impossibile vivere pienamente.
    SerenaMele
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    Messaggio  SerenaMele Lun Mag 21, 2012 6:42 pm

    Ognuno di noi deve dare un significato e trovare uno scopo nella propria vita.
    Il raggiungimento del benessere si ha quando la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità. Bisogna utilizzare le proprie forze in modo proficuo nel lavoro, nelle relazioni e nel tempo libero.
    Il supporto sociale, il senso di appartenenza, l' armonia con il proprio ambiente di vita sono i principali fattori esterni che contribuiscono al benessere.
    La felicità e il benessere variano i propri parametri di soddisfazione anche a seconda della cultura.
    L'individuo nasce con delle caratteristiche biologiche, poi nel corso della sua vita si arricchisce con la cultura del luogo che lo circonda.
    Non esistono persone svantaggiate a priori ma lo diventano proprio a causa dell'ambiente sociale o culturale in cui la loro condizione comporti conseguenze svantaggiose. Tutti abbiamo le potenzialità per decidere ciò che vogliamo essere, per cui è necessaria la creazione di un ambiente "facilitante" in cui tutti posso sviluppare al meglio le proprie capacità.
    Tempo fa persone portatrici di disabilità venivano assistite con finalità caritatevoli finendo per allontanarle e isolarle ancora di più dalla società. Con il passare del tempo si è giunti al concetto dell'inclusione, grazie all'educazione si deve puntare a fare emergere nei disabili le loro qualità e potenziarle per poi poter assumere il loro giusto ruolo nella società.
    Bisogna considerare il benessere non come uno stato individuale ma come un proggetto da condividere con la comunità, per cui queste persone devono essere aiutate perfare in modo che siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi e fare la vita che decidono di avere.
    In aula abbiamo avuto vari incontri con persone con disabilità tra cui:

    - Il professor Palladino, non vedente, padre e marito esemplare. Ha assistito alla laurea dei figli, ha accompagnato le figlie all'altare quando si sono sposate. E' sempre stato molto autonomo anche nel prendersi i medicinali tanto che ora aiuta anche la moglie a prenderli visto che spesso se ne dimentica. Il professore ha parlato dell'importanza della scrittura braille che aiuta le persone non vedenti a leggere e scrivere.
    Il professor Palladino non è cieco dalla nascita ma lo è diventato a causa dell'esplosione di un ordigno. Questa cosa mi ha fatto molto riflettere, così come avvenne durante la simulazione che facemmo in aula, perchè lui ha potuto vedere il sole, il mare e tutte le altre bellezze del mondo quindi anche se ora non vede più può sempre immaginarle, chi è nato cieco dalla nascita non ha mai visto i colori e tutto il resto per cui cosa immaginerà??....
    Una cosa detta dal professor Palladino che mi ha veramente fatto provare un senso di tristezza è stato il non poter vedere il sorriso di un bambino o anche la fisionomia di un figlio o di un nipote. Ma, nonostante ciò, vive una vita felice circondato dalla sua famiglia che non lo abbandonerà mai. Con l'amore e il calore, specialmente della famiglia, si può affrontare tutto...

    -La signora Tina, una donna che a causa di un errore medico si è ritrovata con il lato dx del suo corpo paralizzato. Per un periodo di tempo è stata su una sedia a rotelle senza essere in grado di reagire. Grazie alla sua forza d'animo e all'amore per i figli è riuscita a superare tutto e ora è felice.
    RITA MASSA
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    Messaggio  RITA MASSA Lun Mag 21, 2012 6:48 pm

    Il concetto di felicità si distingue da cultura a cultura . In alcune lingue indica qualcosa di immediato come la gioia , in altre invece indica un sentimento più duraturo come la soddisfazione. La felicità in un primo momento venne associata alla buona sorte . La fortuna era qualcosa che l’uomo non controllare o modificare. Con il passare del tempo grazie a Socrate, Aristotele e Platone il concetto di felicità mutò notevolmente , infatti ora l’uomo non è più inerme , ma diventa libero di poter determinare la sua fortuna attraverso le proprie scelte di vita. In Aristotele la felicità è proprio la possibilità di poter esercitare liberamente la propria arte e le proprie virtù. Come sostiene Nettle ci sono vari livelli relativi al concetto di felicità. Viene definita felicità di primo livello quella felicità che è immediatamente percepibile , come la gioia. Questa sensazione è transitoria e tende a decadere dopo poco tempo . La felicità di secondo livello è molto più profonda perché si rifà ad una sorta di bilancio della propria vita attraverso il quale si stabilisce il grado di soddisfazione generale. Il terzo livello è il più elevato , in questo livello la persona realizza le proprie vere potenzialità . I termini ben-essere e felicità sono utilizzati in modo intercambiabile. Il ben-essere è influenzato da molteplici componenti di fondamentale importanza come ed esempio il senso di appartenenza e l’armonia con il proprio ambiente , infatti come sostiene Ghedin l’individuo nasce con un corredo genetico e poi durante tutto il corso della sua vita costruisce il suo corredo culturale attraverso l’acquisizione di informazioni provenienti dall’ambiente esterno. Le persone con disabilità spesso riscontrano delle difficoltà proprio nel trovare l’armonia con l’ambiente . Questi individui non riescono a sentirsi parte integrante della società perché tante volte anche per svolgere un compito di poca importanza , come andare a fare la spesa , riscontrano tanti ostacoli (si pensi ad esempio all’esercizio orologio ). Le barriere architettoniche portano l’individuo in una condizione di emarginazione e dunque il loro ben-essere tende a diminuire notevolmente. L’emarginazione dell’individuo non dipende però solo dalle barriere materiali , ma anche dalle barriere mentali degli individui. Per poter garantire alle persone diversamente abili il ben-essere devono essere sviluppati vari fattori come ad es: l’autonomia, la crescita personale, l’accettazione , gli obiettivi di vita , la padronanza ambientale e le relazioni positive con gli altri. Tutti questi obiettivi potranno essere conseguiti grazie all’aiuto degli insegnanti. Grazie alla scuola i soggetti possono imparare a stare bene con se stessi , infatti come sostiene la prof. M.L.Iavarone la pedagogia sociale ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita dei soggetti tutelando così il loro sviluppo fisico ma anche e soprattutto quello psicosociale. Come sappiamo la scuola è la maggiore istituzione che favorisce la socializzazione degli individui . La figura principale nel contesto scolastico è proprio quelle dell’insegnante. L’insegnante non deve limitarsi a trasferire delle conoscenze passivamente al discente , ma deve rendere la lezione attiva. Il processo formativo è infatti uno scambio paritario dove l’allievo impara dal maestro e viceversa. L’insegnante deve riuscire ad attirare l’attenzione dei discenti rendendo così la lezione piacevole ed attraente. Non molti anni fa , i bambini con diversità non venivano educati nelle scuole insieme ai normodotati , ma in scuole apposite per bambini disabili. La prima scuola per bambini disabili fu inventata nel 1800 dal medico francese Edouard Seguin. Seguin analizzando questi bambini giunse alla conclusione che questi ultimi potessero essere adeguatamente educati e quindi trovare il loro giusto ruolo nelle società .Il modello formativo di Seguin si diffuse rapidamente . Nel corso del tempo queste scuole cambiarono drasticamente il loro obiettivo, infatti in queste scuole i bambini non venivano più assistiti , e guidati verso il raggiungimento della piena autonomia ,ma venivano semplicemente depositati e quindi le scuole svolgevano solo compiti affidatari . Questo modello di scuola è totalmente sbagliato , infatti invece di favorire l’avvicinamento del soggetto alla società tende ad allontanarlo sempre progressivamente sempre di più . Questa forma di istituzione certamente non ha come scopo quello di rendere i soggetti diversamente abili felice, infatti negli anni ’50 e ’60 i bambini disabili furono integrati nelle scuole con i normodotati . Il progetto di inclusione era stato fatto proprio per cercare di rendere le persone con disabilità quanto più possibili integrati nella società .In quegli stessi anni si svilupparono servizi di educazione speciale. L’educazione speciale per questi è possibile grazie al supporto di figure specializzate quali gli educatori . Queste figure sono di fondamentale importanza , perché sviluppano programmi formativi specifici che permettono alla persona disabile di compiere scelte personali autonomamente . Questi programmi volgono alla piena realizzazione dei disabili , e forniscono alla persona la speranza di poter realizzare i propri desideri e quindi raggiungere il proprio ben-essere. Nel ben-essere di una persona è molto importante anche l’aspetto relazionale . Quindi il ben-essere non è uno stato individuale ma è un progetto dinamico da conseguire con gli altri. L’obiettivo principale per il raggiungimento del ben-essere non è solo rendere una persona autonoma , ma dargli la possibilità di scoprire le proprie potenzialità e capacità per vivere la vita che essi scelgono di vivere. Tutti gli individui devono infatti essere incoraggiati a seguire e coltivare i propri talenti . La prof. Iavarone sostiene inoltre che il benessere è uno stato molto complesso perché è multicomponenziale, multidimensionale e multi direzionale. Il benessere infatti fa riferimento sia alle condizioni fisiche dell’individuo e sia alla percezione soggettiva del proprio stato di salute . Il benessere possiede più direzioni perché si trasforma sia sincronicamente (cioè in riferimento ad un particolare episodio di un determinato periodo) sia dia cronicamente (se questo processo si riconduce ad un intervallo di tempo più lungo della vita del soggetto). Il ben-essere scaturisce dall’unione e dall’integrazione della totalità di questi fattori (psichico, fisico, sociale, stile di vita, di lavoro ecc…) . Di fondamentale importanza per lo sviluppo del ben-essere di un soggetto è anche il rapporto familiare . Il bambino con disabilità fa riferimento ai membri della famiglia per sviluppare efficienti strategie di coping . Il bambino si sentirà più sicuro e felice se supportato in modo efficiente dalla famiglia , dalle istituzioni e anche dalla società ; in effetti il benessere non è altro che un processo per rendere la qualità della vita dei soggetti diversamente abili migliore. Vorrei concludere con questa frase per me molto significativa ovvero : “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno . Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.”


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    Messaggio  valeria cefariello Lun Mag 21, 2012 7:08 pm

    Il raggiungimento della felicità individuale è probabilmente l'obiettivo principale dell'uomo all'interno della società occidentale. Saggi e filosofi si interrogano da secoli sui modi in cui la felicità possa essere raggiunta.
    Le emozioni sono componenti fondamentali della nostra vita da esse traiamo i stimoli che muovono le nostre giornate. Ogni singola emozione è importante in quanto permette a chi la sperimenta di sentirsi vivo. L'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato FELICITà.
    Quest'ultima è data da un senso di appagamento generale e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo sperimenta. Molte ricerche mettono in luce come essere felici abbia notevoli ripercussioni positive sul comportamento e sui processi cognitivi, nonchè sul benessere generale delle persone. Ma chi sono le persone felici? Gli studi hanno cercato di rispondere a questa domanda, evidenziando come la felicità non dipende da variabili anagrafiche, ma piuttosto sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative alla personalità, quali ad esempio: fiducia in se stessi, sensazione di controllo sulla propria persona e sul proprio futuro, estroversione. La felicità ha rappresentato la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni. Solo recentemente le scienze sociali hanno iniziato a studiare il concetto di felicità in modo più approfondito e sistematico, infatti alcuni studioso delle scienze sociale ritengono che studiare la conoscenza delle emozioni positive sia un obiettivo superficiale rispetto alla necessità di comprendere la sofferenza umana. Maslow stabilisce che il più alto grado di bisogni come l'autostima sono condizionati dalla soddisfazione dei bisogni. Il concetto di felicità compare in ogni cultura, molte lingue distinguono tra qualcosa di estremamente immediato come la gioia e il piacere a qualcosa di più durevole e significativa. Come può essere definito il termine felicità? La nozione felicità viene intesa come condizione di soddisfazione totale oppure come lo stato d'animo positivo di chi ritiene soddisfatti i propri desideri. Il senso più immediato e diretto di felicità implica un'emozione o una sensazione. Mettle distingue tre livelli di felicità: " Felicità di primo livello" ( quando le persone affermano di essere felici della propria vita, "Felicità di secondo livello" ( quando di ha una sorta di appagamento e soddisfazione) , "Felicità di terzo livello" ( quando la persona prospera o realizzare le proprie potenzialità).
    L'organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha indicato la promozione della salute come obiettivo della medicina definendo la salute come condizione di benessere fisico, psicologica e sociale. Seligman ha proposto diverse strade che conducono alla felicità, prima una persona può avere emozioni positive circa il passato circa il futuro. Una persona può provare felicità basata su delle emozioni positive che Seligman chiama "vita piacevole". Un altro contributo va alla teoria del flusso di " CSIHSZENTMIHALYI". Il flusso è lo stato di impegno e di felicità che si verifica quando un individuo è assorbito in una sfida impegnativa, questo stato impegnativo è un sentiero verso la felicità che porta al benessere. Il benessere ha importanti implicazioni per la vita stessa degli individui. L'obiettivo è quello di individuare dei metodi in modo da aumentare il loro livello di benessere. Un altro aspetto fondamentale pone l'attenzione sul benessere nell'ambito della disabilità. L'anno 1800 guidò la prima scuola per bambini disabili che fu promossa da Seguin , in modo tale che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati assumendo il loro giusto ruolo nella società.
    Successivamente presagendo le scoperte di Diener e di Lyubomirsky ci fu lo scopo di migliorare le condizioni di vita delle persone con disabilità. L'immagine pubblica generale delle persone con disabilità è che esse abbiano una bassa qualità di vita. Tuttavia nella società occidentale il diritto sembra essere divenuto qualcosa di legittimo e attendibile in modo tale che le persone vengano aiutate a ricorrere alle proprie risorse a fare leva sulle proprie potenzialità, ossia aiutandole a sviluppare la capacità di acquisire forza e potere nel determinare il proprio stato di benessere.
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    Messaggio  Maria Natale Lun Mag 21, 2012 7:24 pm

    1)L’OMS si è prefissato come obbiettivo primario la salute intesa non solo come salute fisica e biologica , ma anche come benessere psicologico e sociale. Il benessere cambia a seconda della qualità di vita di una persona, se si hanno molte soddisfazioni nei vari aspetti della vita , si avrà un benessere alto che corrisponde anche ad una maggiore felicità.
    Il concetto di felicità è molto relativo , cambia da autore a autore e da correntini letterarie , filosofiche e psicologiche :
    • Da un punto di vista edonistico la felicità riguarda la massimizzazione dei piaceri, di emozioni positive, gratificazioni sensoriali e la minimizzazione del dolore , e di esperienze dolorose,
    • Dal punto di vista eudemonico,risulta essere l’ attualizzazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del se,
    • Per Ryff e Keys si identifica attraverso 6 aspetti dell’attualizzazione umana, che sono, l’autonomia ,la crescita personale,l’autoaccettazione, obbiettivi di vita , padronanza ambientale, e relazioni positive con gli altri,
    • Rayan e Deci parlano della teoria del’ autodeterminazione la quale postula che la felicità e la crescita psicologica sono collegate al perseguimento dell’ autonomia , della competenza e dei beni associati,
    • Csikszentmihalyi ci parla della teoria del flusso,di esperienze che ci assorbe o ci impegna e comprende quei momenti in cui siamo concentrati su compiti stimolanti che mettono alla prova le nostre abilità, si entra nel flusso a seconda delle proprie forze magari leggendo un libro, scrivendo ecc..
    Avere una buona vita consiste nell’usare la proprie forze in modo proficuo nel lavoro, nelle relazioni e nel tempo libero quindi nel potenziare le proprie capacità.
    All’ inizio il benessere delle persone disabili non veniva visto come obbiettivo fondamentale dalle istituzioni che si occupavano di disabilità , ma esse si limitavano ad assistere i disabili solo per fini caritatevoli sottovalutandoli e sminuendoli.
    Seguin fu il primo a credere nei bambini con disabilità , a preoccuparsi di cercare il giusto ruolo da dargli nella società .
    Oggi si cerca di promuovere il benessere dei disabili considerandolo una dimensione strettamente determinata alla capacità di autonomia , e quindi a far sì (attraverso l’evoluzione tecnologica, l’aiuto delle istituzioni delle famiglie)che il disabile sia in grado di svolgere quelle normali azioni che si svolgono quotidianamente, di vivere in maniera normale senza dipendere da nessuno,ma l’obbiettivo non è soltanto quello dell’acquisizione della piena autonomia bensì quello di far sì che il disabile sviluppi al massimo le sue potenzialità e capacità per vivere la vita che egli sceglie di vivere prendendo decisioni autonome.
    Il disabile durante la sua corsa verso l’ autonomia deve essere seguito da un educatore che ha il compito di facilitargli l’ accesso alla relazione con gli al , aiutarlo a sviluppare la capacità di saper leggere l’ambiente , di intraprendere correttamente i propri bisogni, dare forma e nome ai propri desideri e saperli perseguire .
    Le famiglie con un membro disabile all’inizio reagiscono negativamente , soprattutto le madri che oltre ad avere un dolore che si riaccende ad ogni fase dello sviluppo del bambino, passano anche verso diversi stadi di shock, con il passare del tempo però molti autori confermano che la disabilità in un membro della famiglia rende la vita degli altri membri più ricca di significato.
    Un atteggiamento negativo verso la disabilità da parte della famiglia , parenti, amici, e anche della comunità non influisce direttamente sul disabile ma può aggiungersi al livello di stress della famiglia.
    Le famiglie sono in grado di gestire lo stress e sviluppare percezioni positive rispetto alla crescita del bambino con disabilità, che portano ad una migliore qualità della vita familiare e ad avere come obbiettivo di realizzare il pieno potenziale dei loro figli.
    Inoltre la qualità di vita del disabile risulta non essere molto differente da quella di un normodotato.

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    Messaggio  Barbara Pepe Lun Mag 21, 2012 7:25 pm

    Quante volte ci siamo domandati: “Che cos’è davvero la felicità? La felicità esiste o è solo il risultato di un attimo fuggente, appagante in cui ci siamo sentiti realizzati, contenti per qualcosa in quel preciso momento?”. Ho scelto questo capitolo perché mi preme molto riflettere su questo termine e capire se esistono davvero delle strade per il raggiungimento della felicità sebbene io creda che nulla a questo mondo sia duraturo, figuriamoci la felicità. Felicità può essere sinonimo di gioia ma bisogna fare attenzione perché sebbene possa esserci molta gioia in uno stato di felicità, non si è sempre gioiosi al fine di considerare lo stato duraturo uno stato felice. Alle origini essere felici significava avere un buon demone, una buona sorte quindi strettamente legata al concetto di fortuna: definizione che si è mantenuta ancora adesso nel linguaggio anglosassone o tedesco. La radice della parola in realtà viene dal latino “ferax” tanto che i latini col termine “felix” indicavano la stagione fertile. Successivamente con Platone, Socrate e Aristotele la parola eudaimonia comincia ad essere correlata allo stato di libertà dell’uomo, con le sue scelte e le sue idee, che può essere così felice anche con una sorte avversa. La felicità sicuramente sarebbe tale se fosse relativa al compimento sereno di un’intera vita e non di un solo attimo di piacere, fuggente; Per questo Aristotele affermava che la felicità è strettamente connessa con l’etica e la virtù intese nel senso di azione, movimento, di arte, motivo per cui saper fare cose d’eccellenza può portare alla stessa felicità. Quindi il raggiungimento di uno stato desiderato di cose o l’esito positivo di qualcosa di inaspettato provoca sensazioni piacevoli che possono raggiungere l’agognata felicità. Nettle ha definito questa felicità come “di primo livello”. Quando invece ci troviamo di fronte a una persona che (facendo un bilancio magari di emozioni negative e positive) si rende conto che sono superiori quelle positive rispetto alle altre, ci troviamo di fronte a un senso di felicità di “secondo livello”. Il senso di felicità più ampio però è quello di “terzo livello” che consiste nella realizzazione di una vita prospera in cui si mettono in atto le proprie potenzialità. L’OMS ha indicato come obiettivo della medicina quello della promozione della salute e ha definito la salute come benessere fisico, psicologico e sociale e restando in tema non possiamo non citare la frase di Sartorius a proposito del ben-essere:” …Il ben-essere soggettivo è l’essenza della qualità della vita”. Spesso i due termini (felicità e ben-essere) sono stati confusi in quanto il secondo termine rappresenta il più scientifico tra i due e include: una componente cognitiva che valuta la soddisfazione dell’intera vita e una componente affettiva composta da presenza di affetto positivo e assenza di affetto negativo. Il ben-essere non è il vivere bene in assenza di malattie, ma il vivere bene psicologicamente, spiritualmente e fisicamente anche in presenza di malattia che sia temporanea o cronica. Seligman afferma che “la vita piacevole” o buona vita consiste nell’usare le proprie forze in modo proficuo sia nel lavoro che nei rapporti o nel tempo libero e che massimizza le esperienze piacevoli e positive. In modo simile Ryff e Keyes identificano alcuni aspetti per contribuire al raggiungimento della felicità come ad esempio l’autonomia, la crescita personale, le relazioni positive con gli altri e anche Waterman parla di felicità massimizzata quando le attività delle persone coincidono con i loro più profondi valori. In tutti i modi, io credo che faccia molto la sua parte anche l’atteggiamento che una persona assume nei confronti delle esperienze e degli eventi: Partire scoraggiati è quasi fallimento immediato, bisognerebbe sempre assumere atteggiamenti positivi nei confronti della vita anche quando ciò risulta molto difficile (E anche un buon educatore favorisce l’adozione di questo atteggiamento per permettere al bambino di poter compiere le proprie scelte e scegliere la propria strada verso la sua felicità). La prof Iavarone afferma che il ben-essere possiede più direzioni e la sua percezione cambia sia nei diversi tempi della vita che nei luoghi: Possiede più dimensioni perché il ben-essere si trasforma sia a cavallo di un particolare episodio in un determinato momento, sia se il processo lo si riconduce a una fase più lunga nella vita del soggetto. Il ben-essere dunque è la risultante delle componenti fisiche, psichiche, sociali e biologiche infatti non dipende solo dallo stato di salute ma dipende anche dallo stile di vita della persona, dalle sue abitudini dalle condizioni dell’ambiente e così via. Per quanto riguarda le persone con disabilità nel corso degli anni si sono sviluppati servizi di educazione speciale e di supporto per le famiglie, come con obiettivo l’autodeterminazione, al fine di rendere in grado le persone con disabilità di poter compiere autonomamente scelte sulla proprio strada e sui percorsi personali della vita. Quindi il ben-essere per le persone con disabilità è in primis la realizzazione di una propria autonomia: Bisogna costruire a partire dalla forza che emanano i soggetti e non dalle loro debolezze, con l’aiuto di operatori sociali ed educatori. Questo perché il ben-essere come dicevamo prima non può essere assimilato solo a una condizione economica o di salute generale ma deve essere definito, come sostiene la Iavarone, in uno stato più complesso, multidirezionale, multidimensionale e multicomponenziale.
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    Messaggio  rosa d'onofrio Lun Mag 21, 2012 7:35 pm

    La mia attenzione si è focalizzata in particolar modo sul capitolo1. Esso si apre con il concetto di felicità che ha rappresentato la base del dibattito filosofico,religioso,ed educativo per centinaia di anni. Nella cultura mitica e nel mondo presocratico,eudaimonia originariamente derivava da “buon demone”,la felicità era avere un buon demone,una buona sorte e quindi strettamente legata alla fortuna. Questo significato ha influenzato anche le moderne culture anglosassoni:in tedesco “gluck” significa sia felicità che fortuna,”happines” deriva da to happen,accadere,capitare. La radice della parola felicità deriva invece dal prefisso indoeuropeo “fe” ,da cui deriva “fecundus”,”femina”,tanto che i latini parlavano di “felix”quando la stagione era stata fertile. Con Socrate,poi con Platone e infine Aristotele la parola eudaimonia assume significati nuovi,e si inizia ad affermare che l’uomo con le sue scelte e la sua libertà può diventare felice,anche contro la sorte. La felicità è infatti legata al portare a compimento la propria vita ,non con il piacere che si prova nell’attimo fuggente. Per questo in Aristotele la felicità è connessa alla virtù e all’etica intese in senso di azione,di attività. Per Nettle la felicità può essere classificata in tre livelli:
    Primo livello:legato al senso più immediato e diretto della felicità. Esso implica un’emozione o una sensazione,qualcosa come gioia o piacere. Tali sensazioni sono però transitorie e sono provocate dal raggiungimento,forse inaspettato,di uno stato desiderato e non coinvolge molta cognizione,a parte il riconoscimento che la cosa desiderata è avvenuta.
    Secondo livello:si ha quando le persone dopo aver riflettuto sul bilancio tra piaceri e dolori,tra emozioni positive e negative,percepiscono che nel lungo termine hanno sperimentato più piaceri o emozioni positive che negative. Riguarda non tanto le emozioni ma la soddisfazione per la propria vita. I suoi sinonimi sono termini come soddisfazione e appagamento.
    Terzo livello:è legato ad un senso di felicità ancora più ampio. L’ideale aristotelico del vivere bene, viene tradotto con la felicità. Tuttavia per eudaimonia si intende una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità .Riguardo a ciò la psicologa Ryff ha sostenuto che il benessere umano coinvolge un insieme di elementi più ampio della felicità di secondo livello. Comprende crescita personale,finalità,padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi. Secondo la psicologa si possono trovare individui dotati di un alto livello di benessere psicologico ma con poca felicità di secondo livello e viceversa. L’OMS ha indicato come obbiettivo principale della medicina la promozione della salute e ha definito la salute come una condizione di benessere fisico,psicologico e sociale. Schafer sostiene invece che il benessere è stato definito vivere bene,da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica. Molto importante è il pensiero di Ghedin il quale sostiene che l’individuo nasce con un corredo genetico e nel corso della vita costruisce il suo corredo culturale attraverso l’acquisizione di informazioni dall’ambiente esterno. Diventa quindi fondamentale analizzare ciò che è possibile,desiderabile e significativo per il singolo e per la comunità perché permette di prestare attenzione su punti di forza,risorse e processi di crescita. Canevaro afferma che il benessere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale,quanto all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano e con i contesti. La Delle Fave afferma che è fondamentale considerare che ciascun individuo deve essere visto come un’agente attivo di sviluppo e cambiamento della comunità e questo vale per tutti i membri della comunità e soprattutto per i cosiddetti gruppi svantaggiati:persone con disabilità,anziani,immigrati,minoranze..Gli individui infatti non sono svantaggiati ma lo diventano in un ambiente sociale e culturale in cui la loro condizione comporti conseguenze svantaggiose . Ciascun individuo deve usare i propri punti di forza e i propri talenti. Deve essere incoraggiato a perseguire l’autodeterminazione attraverso l’esercizio della libertà e della responsabilità. Ognuno di noi ha un suo modo di ragionare,di osservare le cose,di gustare,di toccare. Ognuno possiede quindi delle potenzialità e dei limiti. Tutto ciò sta a significare che ognuno si crea il benessere come crede,basta non arrendersi alla vita e chiudersi in sé. Farsi invece forza e affrontare la vita esaltando le proprie potenzialità e superando i propri limiti. A questo punto vorrei dire un grazie a delle persone che hanno fatto di tutto ciò un modello di vita,e rappresentano un esempio per me:la Atzori,Pistorius;il prof Palladino. Condivido in pieno il pensiero della prof Iavarone la quale sostiene che il benessere scaturisce dall’integrazione tra i sistemi biologico,psichico e sociale. Esso infatti dipende non solo dal corretto funzionamento di organi e di apparati vitali,ma soprattutto dagli stili di vita e di lavoro,dal tempo libero,dalla condizione dell’ambiente e dalle qualità umane dei contesti. Ecco che diventa sempre fondamentale il rapporto con l’ambiente ed riemerge il problema delle barriere architettoniche. Per favorire in pieno il benessere dei disabili occorre DISTRUGGERE tutte le barriere architettoniche sia materiali che culturali.

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