Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

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    roberta case


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Prova Finale

    Messaggio  roberta case Dom Mag 20, 2012 7:48 pm

    Alla domanda cos' è la felicità,non credo esista una risposta.Il concetto di felicità varia da individuo ad individuo,la felicità c è chi la intende come un attimo come qualcosa che non dura per sempre,e chi invece sostiene il contrario, la intende come qualcosa che dura nel tempo.
    La felicità la possiamo intendere con il termine Eudaimonia che significa buon demone.La ghedin ci spiega attravero gli studi di Platone Socrate e Aristotele l' evoluzione di questo termine.Questi autori attraverso il termine Eudaimonia,arrivarono ad affermare che l' uomo attraverso le sue scelte e la sua libertà può raggiungere la felicità.
    Il termine felicità può essere diviso in tre livelli:
    -Il primo livello di felicità è quello immediato,è una sensazione,è il piacere.
    -Il secondo livello di felicità è quando un soggetto dice di essere felice,dopo aver provato piaceri e dispiaceri,ma sperimenta più emozioni positive che negative.
    -La felicità di terzo livello è associata all' ideale di Aristotele del vivere bene,infatti per Eudaimonia si intende una vita in cui una persona realizza le proprie potenzialità,per questo la parola eudaimonia è tradotta con il termine felicità.
    Può succedere che a volte due termini come felicità e benessere vengono confusi:il benessere valuta l'intera soddisfazione di una vita.Non a caso voglio citare la frase di Canevaro"le parole sono importanti",ciò ci fa capire la giusta importanza che bisogna dare alle parole.Canevaro sostiene che la condizione di benessere è collegata alla capacità che ha un individuo di adattarsi e organizzarsi ai contesti che lo circondano.
    L' autrice divide la parola ben-essere,per dare un doppio significato a questo termine,da un lato intende benessere come qualcosa che ci fa stare bene,dall' altro bene essere disabili,come se volesse intendere essere dei buoni disabili.
    Seguin era un medico francese che guidò la prima scuola per bambini disabili,quel modello di scuola si diffuse in fretta.
    La professoressa Iavarone tiene a sottolineare che il benessere non può essere ridotto ad una generale condizione di ben-essere fisico o economico,ma va definito come uno stato complesso.In quanto multi direzionale,multicomponenziale,multidimensionale.
    Un' altra ricerca è stata effettuata sul ruolo materno,alla nascita di un bambino corrispondono diverse aspettative,infatti quando nasce un bambino con disabilità,l' evento si trasforma in qualcosa di angoscioso,ma non in tutte le madri la reazione è la stessa,alcune ad esempio dalla disabilità del proprio figlio hanno aggiunto qualcosa alla loro vita,questo modo positivo di affrontare la questione,da ottime basi per far si che il bambino cresca in ambiente sano e con stimoli positivi per una vita migliore.I bimbi disabili sono persone come tutti gli altri e per questo hanno bisogno di felicità e benessere.
    Brunella Casaretti
    Brunella Casaretti


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Felicità.

    Messaggio  Brunella Casaretti Dom Mag 20, 2012 7:58 pm

    Voglio partire dalla fine,da cosa è stata per me la FELICITA’.
    Voglio fare riferimento a un potenziale commento emozionale\esperenziale circa le nostre esperienze di volontariato.
    Durante l’estate che ha seguito il mio diploma,due anni fa,spinta da uno stato d’animo fortemente triste e contrassegnato da indecisione,ho voluto con tutto il mio cuore fare l’esperienza di andare in Africa,convinta che lì mi sarei ritrovata.
    Così è stato.Sono stata per 21 giorni in Benin per prestare volontariato presso un ospedale;
    quello che mi ripeto sempre,però,è che il volontariato lo hanno fatto con me.
    Sono stata lì il tempo sufficiente per capire che il mondo,nella sua disperazione,può essere magnificente e che,nella sua semplicità,può comunicarti tanto.
    Ho pianto per la tristezza,ma ho pianto anche per la FELICITA’
    In Africa,il mio io cosciente e la signora Felicità si sono conosciute,disseminando in quel continente parti felici di me.
    Ma soprattutto ho visto,come ho letto in questi passi,che la Felicità era tutt’altro che legata alle ricchezze,ai possessi.
    Una madre,seduta a terra sorridente,abbracciava,stringeva a sé la figlia con idrocefalo,la imboccava e lei capiva tuto,i suoi occhi erano vivi e accesi,ricambiavano l’affetto che stava ricevendo.
    Una bambina con una mano amputata pochi giorni prima per una lisca di pesce che aveva fatto infezione,rideva e giocava con gli altri bambini.
    Una mamma con un figlio sedicenne paralizzato dalla meningite giocava con gli altri suoi tre bellissimi figli,li faceva ridere e certo non perché trascurasse la gravità della situazione dell’altro figlio,ne sono certa.
    Tutto questo è per dire che è vero,la felicità ed il ben-essere hanno un “dove” ed un “quando”,come ha sostenuto la Professoressa Iavarone,non può essere qualcosa di asettico o di fluttuante che oggi c’è e domani non ne abbiamo più sue prove.
    E’ l’osmosi del sé e delle occasioni che questo ha.
    Essere disabili non pregiudica l’essere felici,ma è innegabile che talvolta possa rappresentare un freno al decollo delle proprie emozioni felici,ma credo che questi “ostacoli” possano non solo essere insiti nella persona,ma che possano scaturire dall’ambiente circostante che può essere,nella sua impreparazione al disabile, inibitore.
    Il ben-essere è dato dallo stare bene con sé e con gli altri,perché,come ho già detto in altri forum,noi non siamo nulla senza di loro,che sono testimoni e protagonisti delle nostre esperienze.
    Nel corso del tempo le concezioni di felicità e ben-essere sono cambiate,50 anni fa essere felici,ad esempio,poteva essere sposarsi per poter “evadere” dalle,talvolta,occludenti mura domestiche.
    Negli anni settanta magari era girare per un continente in Wolksvagen .
    Ma oggi,ed è inutile opporsi con troppa forza,viviamo la crisi dei valori,o forse semplicemente siamo in un epoca in cui “lo si fa”e lo si dice spudoratamente.
    Ben-essere è aderire al prototipo più “in voga” ,è avere la macchina splendida,poter avere sempre tanti soldi in tasca per non farsi mancare mai nulla e concedersi vacanze di lusso.
    Non ci si accontenta di trovare la serenità nelle piccole cose,come osservare un’ape che passa da un fiore ad un altro,o ascoltare cosa il vento dice (ringrazio la Signora Tina per questa riflessione) ma bisogna andare in isole Caraibiche ed essere serviti e riveriti da persone sottopagate.
    Nettle crea una classificazione della felicità,tripartendola.
    Un primo livello sarebbe rappresentato dal perseguire uno stato ambito,è quasi una parentesi emotiva che si apre per poi chiudersi con lo spegnersi delle sensazioni che accompagnano quell’avvenimento.
    Un secondo livello invece s’identifica con il computo di ciò che si ha ottenuto e ciò che si avrebbe potuto ottenere,e s’identifica in paragoni che mirano all’appagamento.
    Il terzo livello,che io ritengo più veritiero e bello,si configura con il realizzarsi della persona,la quale riesce ad esprimere in maniera gratificante e completa le loro potenzialità.
    Secondo Dykens ,che ragiona anch’essa circa il ben-essere,questo stato è dato dal riuscire ad investire le proprie forze e aspettative in passioni “altruiste” ,che riescono a fare del bene a sé e agli altri.
    Partendo da un’idea di Maslow,Ryan e Deci,hanno osservato la felicità da un punto di vista edonistico(che pone il piacere come primo obbiettivo nella propria vita)ovvero riuscire,con un sistema a mò di vasi comunicanti,a dare respiro alle esperienze positive,soffocando le negative;tale visione si oppone invece alla prospettiva eudemonica che punta alla ricerca del Vero Sé e alla propria,tutt’altro che effimera,realizzazione.
    A perorare quest’ultimo punto è Waterman,il quale esprime l’idea che la felicità la si raggiunga quando la proprie azioni aderiscono ai propri valori in un senso autentico(“Espressività personale”).
    Ghedin ri-analizza il concetto di “ben-essere” intendendolo come un vivere bene all’interno del proprio sistema culturale e sociale,ambizione innata nell’uomo che,come un seme,germoglia in mezzo ad un ambiente che contribuisce alla sua formazione.
    L’uomo,allo stesso tempo,fa da filtro a tutte le informazioni che provengono dall’esterno col fine di integrarle,entriamo quindi in un ottica più complessa.
    I riflettori si spostano poi sul significato di BEN-ESSERE DISABILI.
    E’ vero,queste parole possono rappresentare un ossimoro per qualcuno,ma perché?
    Solo dal 1800,venne data vita da Seguin la scuola per bambini disabili,ritenendo che anche essi fossero dotati di un potenziale e che questo andasse stimolato ed educato.
    Con il tempo,purtroppo,non sempre si progredisce,ed infatti le scuole non ebbero più il compito educativo ma quello di “parcheggi” per disabili,contribuendo a tutto meno che ad un’integrazione nella società.
    Verso gli anni Cinquanta,però,aumentando anche le materie di studio interessate allo stato di disabilità,si entrò nell’ottica delle necessità di mirare al ben-essere dei disabili,con il traguardo di “munirli” della possibilità di essere autosufficienti,non solo nel soddisfacimento dei bisogni primari,bensì anche di quelli che richiedono una capacità di “problem solving”
    Ma,come abbiamo anche visto con le varie fasi che hanno caratterizzato l’OMS e i vari ICD,ICIDH e ICF,è stato lento il processo che ha portato alla presa d’atto della necessità di interessarsi non solo alla “patologia”bensì all’ambiente(anche affettivo)in cui il disabile cresceva e l’incidenza di questo sul suo sviluppo.
    Molto interessante è stata “La ricerca sulla famiglia” dalla quale è stato evinto che i bambini nati con disabilità fanno grande affidamento ai meccanismi di coping dei componenti della famiglia.
    Il coping consiste nei meccanismi che sono messi in atto per affrontare una determinata situazione,in questo caso,se i componenti familiari o l’ambiente circostante assumono un atteggiamento,anche solo emotivo,che evidenzia quella disabilità,ci saranno delle conseguenze sullo sviluppo del bambino e sulla sua percezione del sé.
    Ma,indiscutibilmente,e anche come si è cercati,in altri termini,di indicare nella ricerca “Il movimento della doppia diagnosi” queste sono cose riscontrabili sia in ambito di disabilità,ma anche in ambito più generico.
    Voglio concludere con questa parte di una canzone degli U2,il mio gruppo preferito,”Where the streets have no name”

    “Voglio correre.
    Voglio nascondermi.
    Voglio abbattere i muri che mi tengono dentro
    Voglio protendermi e toccare la fiamma
    Dove le strade non hanno nome
    Voglio sentire la luce del sole sul mio viso
    Vedo una nuvola di polvere scomparire senza lasciare traccia
    Voglio ripararmi dalla pioggia avvelenata…Dove le strade non hanno nome”

    Per me la felicità è essere liberi di essere.
    Brunella Casaretti
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    Messaggio  simona micillo Dom Mag 20, 2012 8:06 pm

    Trattando il primo capitolo del libro ben-essere disabili inizio mi trovo ad affrontare un complesso discorso che si fonda su due importanti concetti:”felicità” e “Benessere”,due termini differenti ma complementari.Il concetto di felicità è stato affrontato da diversi autori e culture in maniere completamente differenti.Nella cultura mitica e ne l mondo pro-socratico la felicità era assimilataalla fortuna,infatti parlare dell’una o dell’altra non mostrava particolare differenze,in quanto la felicità significava avere una buona sorte,un buon demone precisamente dal temine “Eudaimonia”.Questo concetto è stato tramandato anche ad altre culture infatti il termine tedesco “gluck” si riferisce sia alla felicità che alla fortuna.Con Socrate,Platone ed Aristotele invece i termine ebbe una vera a propria rivisitazione infatti il termine Eudaimonia assumeva un'altra valenza significativa ovvero rappresentava il concetto secondo cui l’uomo poteva andare contro la sorte attraverso la sua libertà.Aristotele inoltre accostò il concetto di felicità a quello di “virtù”,fino ad arrivare ad importanti autori dei nostri tempi come Nettle e Csìkszentmihalyi.
    Nettele elabora tre livelli di felicità:Felicità di primo livello,che rappresenta il senso più immediato di felicità,implica l’emozione,felicità di secondo livello,rappresentato dal bilancio delle persone fra emozione negative e positive,felicità di terzo livello,rappresentato dall’ideale aristotelico del vivere bene.
    Csìkszentmihalyi affronta il termine felicità mediante il concetto di “flusso”,rappresentante i momenti della nostra vita nei quali si mettono alla prova le nostre abilità.Ovviamente questo momenti di flusso cariano da individuo ad individuo.Un’altro autore che ha affrontato tale concetto è Seligam,il quale propone diverse stradee per arrivare alla felicità,affondando la teoria della felicità autentica relativamente alla vita piacevole,buona e significativa.
    Come già affermato in precedenza essendo la felicità ed il benessere due concetti complementari spesso si fa confusione tra questi due concetti.Partiamo con l’affermare che il benessere tende ad assumere un significato più scientifico ed è caratterizzato da una componente cognitiva ed una affettiva.Come afferma Semanero e Ghedin,l’uomo tende l’uomo tende ad attribuire significati agli eventi ed ai comportamenti in riferimento a valori culturalmente costruiti.Autori come Canevaro si soffermano sul benessere dell’individuo no solo individuale,ma legato al cosidetto capitale sociale,inteso come capacità dell’ individuo di organizzarsi con le strutture che lo circondano.Gli studi che si tengono sulla condizione di benessere hanno come obiettivo di individuare quei metodi attraverso i quali possono rendere in grado i soggetti di aumentare il loro grado di benessere.
    A tale proposito fa riflettere la suddivisione che l’ autrice del testo fa della parola ben-essere;da un lato benessere inteso come qualcosa che ci fa star bene,e dall’ altro”bene essere disabili”come se volesse fare intendere buoni disabili affinchè raggiungano il giusto ruolo all’ interno della società.
    Come sostiene la professoressa Iavarone il benessere non può essere assimilato ad una generale condizione di ben-essere fisico o economico,ma come uno stato variamente complesso.
    Ancora un’ altra ricerca è stata effettuata sul ruolo dei genitori,in particolar modo sulla figura materna,la quale alla nascita del bambino si carica di profonde aspettative,infatti quando il bambino nasce con disabilità la nascita si trasforma in un evento angosciante e luttuoso.Come sostiene Mullins infatti non sempre però alla nascita di un bambino con disabilità l’ evento diventa traumatico,esistono madri che da quest’ esperienza aggiungono un significato positivo alle loro vite.Anche i figli disabili essendo cittadini a pieno titolo,necessitano di felicità e benessere come tutti,senza essere soggetti a discriminazioni.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Roberta Bortone Dom Mag 20, 2012 8:31 pm

    Il tema della FELICITA’ appassiona da sempre l'umanità. Ognuno si trova a pensare, descrivere questo stato d’umore ponendosi la domanda: Cos’è la felicità?
    È qualcosa di immediato(gioia,piacere) o qualcosa di più durevole e significativo(soddisfazione,appagamento),o invece è legata alla fortuna??
    C’è chi ha parlato di una felicità come piacere di un attimo e chi ,come Aristotele,di una felicità legata all’etica e alla virtù.
    La parola felicità deriva dal greco “edaumonia”,letteralmente si traduce con “divinità buona-benevola”,implica una interazione tra ben-essere personale e ben-essere collettivo.
    Ho introdotto un’altra parola chiave BEN-ESSERE. Che cos’è?
    È stato definito “vivere bene,da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico,anche in presenza di una malattia “.
    Per vivere bene ,Peterson e Seligman pensano che, bisogna usare le proprie forze in modo proficuo nel lavoro,nelle relazioni e nel tempo libero;usare le proprie forze per uno scopo,per un significato.
    Seligam nella sua teoria della felicità autentica afferma che la buona vita si ha quando gli individui sviluppano le loro forze e virtù in attività da cui l’individuo trae piacere e di cui è appassionato.
    Ognuno di noi ha capacità di ben-essere,ognuno ha il suo proprio potenziale irripetibile di possibilità e di limiti,e può costruirsi e vivere il ben-essere.
    Il ben-essere è formato da varie componenti: fisiche e psichiche e sociali,emozionali,psicologiche.
    Inoltre ha due direzioni: verticale ,tempi della vita;orizzontale,diversi luoghi.
    Per me essere felice è guardare sereno la vita e sentire che non manca nulla;è provare sensazioni ed emozioni che mi fanno sentire bene e mi appagano ; essere felice ha notevoli ripercussioni positive sul mio comportamento, sui processi cognitivi, nonché sul mio benessere generale.

    Per quanto riguarda il benessere delle persone con disabilità,si sono sviluppati servizi di educazione speciale e supporto famiglie.
    Bisogna partire dall’aspetto relazionale e costruire dalla forza e non dalle debolezze.
    L’obiettivo non è limitarsi a far si che il disabile sia in grado di mangiare,lavarsi,vestirsi ecc,ma soprattutto ,riuscire ad attingere alla sua potenzialità,capacità di scelta per vivere la vita. Il disabile deve fare esperienze di vita esterne e da esse trarre soddisfazione cosi da avere emozioni positive che sviluppano la creatività,la flessibilità nel processo di pensiero e di soluzione dei problemi.
    La famiglia del disabile è parte integrante del ben-essere del soggetto in quanto lo influenza.
    L’obiettivo politico è quello di normalizzare le vite delle persone con disabilità, ne è la prova la Legge 104/92 che offre al disabile gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone non disabili.
    Concludo con Iavarone, la quale è del parere che possa essere insegnato,attraverso la formazione,imparare a stare bene,infatti la pedagogia speciale si occupa delle qualità di vita del soggetto (istruzione,educazione,salute,sviluppo fisico e psicosociale).
    Carmela Attanasio
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Carmela Attanasio Lun Mag 21, 2012 12:05 am

    Come afferma Paulo Coelho: "A volte la felicità è una benedizione, ma generalmente è una conquista.".
    La felicità e quello che significa vivere una buona vita, ha rappresentato la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni. Nelle culture contemporanee, le persone stanno cercando metodi sempre più utili per diventare felici. Infatti, recentemente, le scienze sociali hanno iniziato a studiare il concetto di felicità. Ad esempio, la gerarchia dei bisogni si Maslow stabilisce che il più alto grado di bisogni, come l'autostima e l'attualizzazione, sono condizionati dalla soddisfazione dei bisogni di ordine più basso, come la sopravvivenza, la sicurezza e l'appartenenza. L'implicazione, quindi, è che nella gerarchia dovrebbero avere la precedenza i bisogni di ordine superiore.
    Ma, semplicemente, cos'è la felicità?
    Molte lingue distinguono tra qualcosa di estremamente immediato, come la gioia o il piacere, e qualcosa di più duraturo e significativo come la soddisfazione e l'appagamento. Ma, spesse volte, si fa confusione tra felicità e fortuna. Questo perché alle basi della nostra cultura la felicità era estremamente legata alla fortuna. Ancora oggi, nelle moderne lingue anglosassoni, si è mantenuto questo significato; come nel tedesco o nella lingua inglese, in cui entrambe le parole "felicità" riportano anche al significato di "fortuna".
    Ma la felicità è connessa al portare a compimento l'intera vita, non con il piacere che si prova nell'attimo fuggente. Per questo in Aristotele, la felicità è strettamente connessa all'etica ed alla virtù.
    Il senso più immediato e diretto di felicità implica, invece, un'emozione od una sensazione, qualcosa come gioia o piacere. Ma tali sensazioni sono transitorie. Nettle definisce questo senso di felicità “felicità di primo livello”. Mentre le sensazioni che ci fanno sperimentare più piaceri o emozioni positive che negative, vengono definite di “secondo livello”. Esiste poi un senso di felicità ancora più ampio: l’eudaimonia, con cui s’intende una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità. Quest’ultima rappresenta la “felicità di terzo livello”. L’OMS ha definito la salute come una condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale. Spesso i termini ben-essere soggettivo e felicità, come nel caso della fortuna, sono stati confusi anch’essi tra loro. Il ben-essere è stato definito il “vivere bene” anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica. Seligman, in questo caso, ha proposto diverse strade che conducono alla felicità, ma in modi differenti. Infatti, per egli, una persona può provare felicità basandosi su emozioni positive che Seligman chiama “la vita piacevole”. Esiste poi una forma di felicità che passa attraverso esperienze in cui noi siamo impegnati nel “flusso”, cioè in quei momenti in cui siamo concentrati su compiti stimolanti che mettono alla prova le nostre abilità. Un’altra strada poi, verso la felicità, è di individuare talenti personali e forze, cioè usare le proprie forze in modo proficuo nel lavoro, nelle relazioni e nel tempo libero. Mentre, secondo Waterman, la felicità è massimizzata quando le attività di vita delle persone coincidono con i loro più profondi valori, risultanti in un senso di autenticità e vivacità, chiamata “espressività personale”. E proprio qui vorrei nominare il signor Aniello Ronga che ha fondato l’associazione Sifo Ronga e di cui ho scritto, nel mio commento, che egli ha avuto la grandezza d’animo di aiutare chi ne aveva bisogno non per una perdita avuta di recente. Non per crearsi un nome che sia conosciuto. Non per secondi fini. Ma per aiutare seriamente il prossimo. Ha voluto essere un esempio per tutte quelle persone che cercano di essere utili socialmente ma che si arrendono, ahimè, troppo in fretta. Lui invece no, lui ha avuto la costanza e la forza di volontà di andare avanti. L'Associazione mette a disposizione una villetta, situata proprio sul territorio di un ospedale, che accoglie (senza raccomandazione) queste persone bisognose di aiuto e quindi di un alloggio. Questa casetta è dotata di camere da letto, cucina ed uno spazio per stare insieme ed alleviare un pò le preoccupazioni. Inoltre, la cosa che mi ha colpito particolarmente, è che non c'è una tariffa fissa da pagare; ma alla fine della permanenza, gli ospiti lasciano un "ringraziamento", cioè una somma di denaro a loro scelta, senza nessun obbligo. Questa per me è una delle cose più belle che il signor Ronga abbia fatto, insieme ovviamente, all'essere uscito fuori dai ranghi ed aver fatto un grande gesto per la nostra Napoli.
    Così, ritornando al discorso riguardante la felicità, ancora, con Ryan e Deci, si postula che la felicità e la crescita psicologica, sono collegate al perseguimento dell’autonomia, della competenza e dei bisogni associati. Infatti, un educatore che crea le condizioni che rendono le persone in grado di scegliere di apprendere e che rende questo apprendimento un’esperienza piacevole, fa sì che questa esperienza diventi intrinsecamente rilevante e pone le basi per leggere il mondo con curiosità ed interesse. Cioè, favorire un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita. Canevaro, invece, sostiene che il ben-esssere di un individuo è legato all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi, grazie ad elementi di mediazione con le strutture che lo circondano, con i contesti. Ma molte analisi riguardanti il ben-essere rappresentano ch le persone sono felici quando ottengono ciò che vogliono, cioè quando le loro conquiste incontrano le loro aspirazioni. Parlando però di disabilità, vediamo che il ben-essere delle persone disabili è considerato una dimensione strettamente determinata dalla capacità di autonomia. Così il ben-essere viene visto come un progetto dinamico ed in tale ottica, anche gli avvenimenti negativi e le circostanze perturbanti vanno accolte. L’obiettivo, quindi, non è solo ed unicamente quello di far sì che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi, ma e soprattutto, che possano potenziare le loro capacità di scelta per vivere la vita che essi desiderano. Infatti, Edgerton ha suggerito che migliorare le condizioni oggettive delle persone con disabilità, è l giusta cosa da fare in una società equa. Ma non si deve tener conto solo del disabile, senza curarsi del contesto in cui egli si trova, Sì, perché anche le famiglie di persone affette da problemi devono essere considerate ed aiutate. Per esempio, Mullins recentemente, ha condotto un’analisi di circa 60 libri scritti da genitori di figli disabili ed ha messo in evidenza la presenza di stress emotivo e preoccupazioni, ma ha anche concluso che, per la maggior parte degli autori, la disabilità dei loro figli ha aggiunto qualcosa alle loro vite, rendendole anche più ricche di significato. Ed è proprio per renderci consapevoli di quanto sia difficile trovarsi in una situazione del genere, che la professoressa Briganti ha invitato due genitori, padri di due bambini affetti da autismo. Uno di questi padri ci ha spiegato che all'inizio è presente la disperazione ed il rifiuto, in seguito sopraggiunge la rassegnazione ed il voler combattere per far soffrire il meno possibile il bambino. Nel mio commento, riguardo a quest’esperienza ho scritto che durante la lezione ho pensato tanto a cosa possa significare trovarsi in una situazione del genere. Essere genitori è sì difficile ma essere genitori di un bambino autistico vuol dire ritrovarsi in un mondo del tutto diverso da quello che noi conosciamo ed a dover avere una grande forza di volontà, coraggio e bontà d'animo. Nell’ambito della disabilità, quindi, la ricerca sulla famiglia sta procedendo nella direzione della positività, perché, in generale, le persone felici ed ottimiste sono più in salute, vivono più a lungo ed usano i loro stati positivi per facilitare ed espandere le loro abilità di problem-solving e di apprendimento. Una figura molto importante che si è occupata di questi argomenti è Maria Luisa Iavarone che si è occupata della, appunto, “pedagogia del benessere”, quale nuova frontiera di lavoro educativo per l’interpretazione del bisogno-desiderio come opportunità per la valorizzazione del potenziale conoscitivo e per la realizzazione della dimensione emotivo-esistenziale del soggetto, nella duplice dimensione individuale e collettiva. Ella afferma che la pedagogia ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione, ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute ed il suo sviluppo, non solo fisico, ma anche e soprattutto psicosociale. Insomma, lo studio del ben-essere ha benefici potenziali per le attuali e future generazioni. In particolare, la scoperta che la felicità non sia strettamente associata con la ricchezza od i bene materiali, potrebbe permettere di riconsiderare gli indici di valutazione del ben-essere personale prima di tutto, ma anche a livello nazionale.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Adele La Porto Lun Mag 21, 2012 12:13 am

    Ben-essere disabili

    Cos’è la felicità? La felicità è il momento in cui tutti attendiamo uno stato desiderato.La felicità è quando proviamo piacere,gioia, un’emozione forte o quando le esperienze piacevoli hanno maggior peso delle esperienze dolorose. Il concetto di felicità è cambiato nel corso del tempo. In passato la felicità era essere baciati dalla buona sorte,era avere un buon demone,una buona sorte.
    Da socrate in poi si inizia a capire che l’uomo può diventare felice con le sue scelte,con la sua libertà anche contro la sorte.

    Nettle mette a confronto tre livellidi felicità.Il modo più diretto di felicità è quando proviamo un’emozione come gioia o piacere.Egli definisce questo senso di felicità come primo livello,mentre definisce felicità di secondo livello non tanto le sensazion quanto i giudizi sul bilancio delle sensazioni(es: soddisfazione,appagamento).La felicità di terzo livello è quando una persona prospera o realizza le sue potenzialità.
    Per ben-essere si intende vivere bene da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico,anche in presenza di una malattia temporanea o cronica. Carol.Ruff ha sostenuto che il ben-essere umano coinvolge più elementi della semplice felicità come crescita personale o padronanza del proprio ambiente.Schalock afferma che una buona qualità di vita comprende:benessere emozionale,relazioni,benessere materiale,benessere fisico,inclusione sociali e diritti.L’organizzazione mondiale della sanità ha definito la salute come una condizione di salute di benessere fisico,psicologico e spirituale.
    leggendo il libro ho pensato alla lezione fatta in aula sui quadri in particolare quello di Ribera-un ragazzo zoppo disabile che sorrideva. In questo quadro possiamo capire che anche una persona con disabiltà è una persona come tutti gli altri.Anche loro possono essere felici e sorridere . Sicuramente il loro benessere e la loro felicità dipende dal contesto sociale. Riprendendo Anna Maria Murdaca ricordiamo che è il contesto sociale,le limitazioni strutturali,le barriere architettoniche e mentali ad impedire un esistenza soddisfacente ai disabili e tutto questo automaticamente incide sul loro benessere. Il disabile riuscirà a sentirsi soddisfatto solo qual’ ora riuscirà ad essere abile o a produrre.Questo dipende anche da”noi persone normali”.
    Importante è il sostegno emotivo per es: il sostegno dei familiari. I genitori si aspettano alla nascita un “bambino sano e bello”.Quando nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma in un evento traumatico.Le madri provano shock,disorganizzazione emotivs,e poi organizzazione dopo il trauma di avere un bambino con disabilità.

    Mullius ha condotto un’analisi di circa 60 libri scritti dai genitori di figli disabili e ha messo in evidenza la presenza di stress emotivo ma anche che la disabilità dei loro figli ha aggiunto qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato.
    La Prof.Iavarone sostriene che l’obiettiivo non è quello di far si che i disabili siano in grado di mangiare,vestirsi,lavarsi,ma soprrattutto possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi vogliono vivere.fornire risposte o risolvere i problemi aiutano il soggetto solo apparentemente mentre,in realtà lo indeboliscono. L’obbiettivo dell’educatore è quello di facilitare il rapporto relazionale
    Nel regnoUnito è stato emanato il Disability Discrimination ACT e in Italia la legge104/92 per offrire alle persone con disabilità gli stessi diritti di accesso e servizi pubblici.
    Concludendo io penso che si può essere felici in ogni caso quando si è circondati dall’amore,dalle amicizie.E’ l’attimo sfuggente,una carezza,un’abbraccio,insomma sono i piccoli attimi.Non è la ricchezza materiale che rende felici le persone, .Ci sono persone che pur avendo tutto ciò che desiderano non si sentono appagati


    Ultima modifica di Adele La Porto il Mar Mag 22, 2012 9:32 pm - modificato 1 volta.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Verso un'educazione inclusiva

    Messaggio  Alessandra Mavrokefalos Lun Mag 21, 2012 7:43 am

    L’educazione è sempre stata vista come uno strumento chiave per lo sviluppo degli individui, uno sviluppo non solo intellettuale ma personale e sociale; quindi, nel processo educativo, vengono trasmesse non solo delle competenze tecniche, scolastiche, ma regole di vita che permettono all’individuo di adattarsi all’ambiente circostante.
    Un particolare tipo di educazione è l’educazione all’inclusione, il cui scopo è eliminare l’esclusione sociale.
    Come viene spiegato nell’Index per l’inclusione, testo guida rivolto a dirigenti scolastici, insegnati, genitori e alla stessa comunità per una buona progettazione scolastica, fino agli anni Ottanta esisteva una differenziazione tra alunni “normali” e alunni “speciali”, ovvero disabili. Nel Regno Unito vediamo che vi era una distinzione di scuole: le cosiddette scuole ordinarie e scuole speciali; queste ultime erano destinate ad accogliere i bambini che presentavano delle difficoltà nell’apprendimento.
    Col passare degli anni si è cominciato a criticare questo tipo di atteggiamento giudicato moralmente ed eticamente ingiusto. Si è cosi cominciato a parlare di educazione inclusiva, la quale è più attenta ai bisogni dei bambini e tende ad integrare i cosiddetti bambini “speciali” nelle scuole normali, ciò si basa sull’idea che a questi ultimi devono essere date le stesse opportunità degli altri bambini; anzi si è notato che i bambini disabili beneficiano più degli ambienti normali che di quelli speciali.
    L’educazione inclusiva non è il fine dell’educazione ma è il mezzo, in quanto essa tende alla realizzazione di una società inclusiva, che quindi abolisca qualsiasi tipo di discriminazione, emancipazione o esclusione a vantaggio della parità, della libertà, della giustizia.
    È evidente che per mettere in atto questo tipo di formazione c’è bisogno che vengano effettuati dei cambiamenti i quali riguardano le strutture delle scuole, i programmi di apprendimento, la formazione degli insegnanti e via dicendo.
    Il cammino verso l’inclusione sociale è un cammino lento e complesso, ecco perché ha bisogno della collaborazione del personale scolastico, dei politici e della comunità stessa.
    Il punto di partenza per un’educazione efficace è quello di non basarsi solo sulle difficoltà e sulle limitazioni si un bambino ma, al contrario, bisogna porre l’attenzione sulle capacità e il potenziale di quest’ultimo; anche perché, come è stato analizzato, molte delle difficoltà di un disabile non dipendono solo dalla sua situazione, ma spesso è l’ambiente sociale che crea determinati impedimenti, non essendo preparata e organizzata per essere funzionale alle persone disabili. Lo stesso Murphy ribadisce proprio che la disabilità è sempre stata affrontata come un problema individuale; ma molte ricerche hanno analizzato il problema seguendo una prospettiva globale.
    Per realizzare questo processo di inclusione è importante che si instaurino delle relazioni di collaborazione tra genitori, personale scolastico e comunità; c’è inoltre bisogno di una riforma della scuola; questo perché, nella maggior parte dei casi, si vogliono ottenere da tutti i bambini le stesse cose, allo stesso modo e negli stessi tempi. Ciò è da criticare in quanto si sa che i bambini sono tutti diversi, ognuno ha i propri tempi, i propri ritmi e i propri metodi. Quindi c’è bisogno di metodi e strumenti che possano adattarsi a tutti i bambini.
    Come detto prima, una delle figure chiave nel favorire il processo di inclusione è l’insegnante. Per essere efficace c’è bisogno che quest’ultimo abbia delle competenze, sia scolastiche che personali. Nel primo caso c’è bisogno che sia preparato sui principi dell’educazione, soprattutto quella inclusiva, deve essere in grado di mettere in atto i metodi giusti, che sappia affidare ai suoi alunni compiti adeguati alle loro capacità; nel secondo caso c’è bisogno che l’insegnante sappia avvicinarsi ai propri alunni, che sappia comprendere le loro problematiche, che sia capace di farli sentire parte integrante della classe, stimolando le loro abilità.
    Spesso, invece, avviene che alcuni insegnanti deleghino ad altri operatori il compito di occuparsi dei bambini disabili, ritenendo di non avere le competenze giuste per occuparsi di loro; ma basterebbe un po’ più di preparazione e di coinvolgimento per ovviare a questo problema.
    Viene inoltre ritenuto importante anche il co-insegnamento, ovvero la collaborazione tra gli insegnanti, soprattutto tra quelli della classe e quelli specializzati. Ciò serve a far in modo che ogni insegnante possa aiutare il collega ed insieme possano svolgere un progetto scolastico efficiente.
    Un ulteriore figura chiave è la famiglia, perché è in essa, prima che a scuola, che al bambino vengono trasmesse conoscenze e valori. Inoltre, se c’è un’effettiva collaborazione tra ambiente scolastico e famiglia è più facile promuovere lo sviluppo del bambino, in quanto la famiglia può essere di aiuto alla scuola. Oltre a ciò, questo rapporto è importante per la famiglia nel momento in cui si parla di bambini disabili, perché si aiuta la stessa ad interessarsi della crescita del proprio bambino.
    In ultimo, ma non meno importante, c’è l’ambiente, inteso sia come ambiente scolastico sia come ambiente sociale, riferito alla comunità. Per fare in modo che ogni bambino sviluppi il proprio potenziale, le proprie abilità e capacità, è importante che il processo educativo venga effettuato in un ambente adeguato, sia nei programmi sia nell’architettura.
    Come viene ribadito nell’Index, lo spazio e l’architettura della scuola, o di un ambiente in generale, rispecchiano una risorsa fondamentale in quanto permettono a tutti gli alunni di accedervi.
    In questi ultimi anni si sta facendo strada un nuovo approccio, ovvero l’approccio delle capability, in quanto ha un valore significativo nell’ambito educativo. Il fine di questo nuovo approccio è la realizzazione della libertà umana, ovvero oltre all’importanza della trasmissione di competenze e abilità in ambito scolastico o lavorativo, bisogna trasmettere anche abilità legate al saper vivere insieme in un ambiente sociale; inoltre determinate capabilities possono favorire la formazione si altre capabilities.
    L’educazione è importante in quanto permette di comprendere il modo appropriato di utilizzare queste capacità.
    Quindi per cercare di riformare e quindi migliorare l’ambiente scolastico, il quale prepara all’ambiente sociale, si può far riferimento al testo Index per l’inclusione il quale offre delle risorse per ottenere un ambiente scolastico inclusivo, fondamentale per realizzare una società inclusiva , che non tolleri la discriminazione ma che, al contrario, faccia della diversità un valore.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  emiliana della gatta Lun Mag 21, 2012 8:54 am

    Le emozioni sono componenti fondamentali della nostra vita, da esse traiamo gli stimoli che muovono le nostre giornate. Seppure ogni singola emozione sia importante e permetta a chi la sperimenta di sentirsi vivo, l'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità . Quest'ultima è data da un senso di appagamento generale e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo sperimenta.
    Questo stato di benessere, soprattutto nella sua forma più intensa, la gioia , non solo viene messo alla prova dall'individuo, ma si accompagna da un punto di vista fisiologico, ad una attivazione generalizzata dell'organismo. Molte ricerche mettono in luce come essere felici abbia notevoli ripercussioni positive sul comportamento, sui processi cognitivi, nonché sul benessere generale della persona. Il ben-essere è stato definito come vivere bene. La psicologia positiva si chiede cosa permetta alle persone di fare del bene, essere felici e soddisfatti. Secondo Dykens la buona vita si ha quando gli individui sviluppano le loro forze e virtù in attività da cui l’individuo trae piacere e di cui è appassionato. La vita significativa è quella che trae il bene più grande dallo sviluppo di amicizie o dal servire la comunità. Secondo Seligar, invece, ci sono diverse strade per arrivare alla felicità. Una persona può avere emozioni positive circa il passato, come la soddisfazione ed emozioni positive circa il futuro come la speranza e l’ottimismo. Queste possono essere aumentate attraverso la gratitudine, la comprensione, o che mettono in discussione i pensieri negativi. Le emozioni positive nel presente sono basate su piaceri sensoriali o emozioni momentanee, come ad esempio mangiare un gelato o vedere un sorriso di un bambino.
    La prof. Iavarone afferma che il ben-essere segue più direzioni e la sua percezione, cambia a seconda dei soggetti, dei tempi e dei luoghi della vita. Il desiderio di ben-essere si trasforma sia sincronicamente, quindi in contemporaneo con un evento particolare verificatosi in un determinato momento dl’esistenza di un individuo, sia dia cronicamente, quando il processo di tensione al ben-essere lo si riconduce a una fase o un intervallo di tempo più lungo nella vita di un soggetto.
    Ognuno nasce con la capacità di ben-essere, infatti ognuno ha un proprio modo di interpretare, gustare, ascoltare, pensare e toccare la realtà. Quindi sotto un aspetto educativo ciò significa che tutti abbiamo le potenzialità di decidere di essere ciò che vogliamo e, il ruolo dell’educazione, è proprio quello di permettere l’attivarsi di questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente facilitante. E per i disabili può valere la stessa cosa? Per loro la felicità a cosa corrisponde? Una disabilità può impedire a una persona di fare qualcosa ma non di fare tutto e questo ci rende tutti uguali se consideriamo che ognuno di noi non sarà mai in grado di fare tutto. Bisogna costruire qualcosa a partire dai soggetti e dalla forza che essi esprimono, piuttosto che dalle loro debolezze. L’obiettivo non è solo e unicamente quello di far si che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi, ma soprattutto possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelte per vivere la vita che essi scelgono di vivere. La capacità di saper leggere l’ambiente, di interpretare correttamente i propri bisogni, dare forma ai propri desideri e saperli perseguire con una sua progettualità, quindi, alcune condizioni per conseguire un progetto di ben-essere personale e sociale. Elisabetta Ghedin propone un’analisi che si concentra sul costrutto di qualità della vita e ben-essere. Ella mette in risalto come il benessere, per tutti, non possa prescindere da emozioni ed esperienze positive di coinvolgimento sociale, perché ciò che garantisce il reale benessere per le persone disabili è l’inclusione e l’integrazione. L’educazione, attraverso il movimento rende possibili proprio lo sviluppo di potenzialità individuali, l’acquisizione di abilità, l’incremento di capacità e soprattutto l’integrazione in contesti di vita ricchi di relazioni significative orientandosi così verso la promozione del benessere soggettivo e sociale della persona disabile. Credo che quando Comte ha detto che vivere per gli altri è la legge della felicità pensasse a quanto ti può rendere felice vedere un sorriso sul volto di una persona che non è materialmente e fisicamente fortunata come te,a quanto felice sarai una volta che ti renderai conto che quel sorriso era per te e che forse sotto quell’attimo di felicità si nascondeva una frase del tipo “hai visto, anch’io ti posso insegnare qualcosa” oppure un semplice“grazie mille per avermi fatto compagnia”. A quanto felice sarai una volta che tutti avranno capito che essere disabile è sì una sfortuna, ma non vuol dire di per sé essere infelici. La felicità viene dal cuore, non dalle abilità fisiche. Questo me lo ha insegnato senza dubbio li prof. Palladino, un uomo davvero dal cuore grande, da cui non traspare la sua disabilità, infatti ciò che più mi ha colpito di quest’uomo è stato senza dubbio la sua ironia, la sua voglia di vivere la vita… Le persone con disabilità hanno tanto da insegnarci ad esempio un cieco ti può insegnare l’immaginazione, il sordo o il muto il linguaggio dei gesti, un uomo su una sedia a rotelle come si fa a divertirsi sempre seduti, e così via.

    "La felicità altro non è che un attimo di vento a nostro favore, inutile cercarlo, esso arriva quando meno te lo aspetti, non sai mai quanto dura e non puoi possederlo. Puoi essere anche un bravo venditore di parole, non riuscirai comunque a piegarlo al tuo volere. Ben diversa è la serenità, quello status che va creato giorno dopo giorno, che non segue la corrente degli eventi ed esula dal dominio altrui." Anna Biason
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  fabiola lucignano Lun Mag 21, 2012 8:54 am

    Ho scelto di trattare 1° capitolo del libro ben-essere disabili perchè lho trovato molto interessante e mi ha colpito molto.Le emozioni sono componenti fondamentali della nostra vita, da esse, sovente, traiamo gli stimoli che muovono le nostre giornate. Seppure ogni singola emozione sia importante e permetta a chi la sperimenta di sentirsi vivo, l'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità . Quest'ultima è data da un senso di appagamento generale e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo sperimenta.Questo stato di benessere, soprattutto nella sua forma più intensa - la gioia - non solo viene esperito dall'individuo, ma si accompagna da un punto di vista fisiologico, ad una attivazione generalizzata dell'organismo.
    Molte ricerche mettono in luce come essere felici abbia notevoli ripercussioni positive sul comportamento, sui processi cognitivi, nonché sul benessere generale della persona. Ma chi sono le persone felici? Gli studi che hanno cercato di rispondere a questa domanda evidenziano come la felicità non dipenda tanto da variabili anagrafiche come l'età o il sesso, né in misura rilevante dalla bellezza, ricchezza, salute o cultura. Al contrario sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative alla personalità quali ad esempio estroversione, fiducia in se stessi, sensazione di controllo sulla propria persona e il proprio futuro.Il tema della felicità appassiona da sempre l'umanità: scrittori, poeti, filosofi, persone comuni, ognuno si trova a pensare, descrivere, cercare questo stato di grazia. Per tentare di definire questa condizione alcuni studiosi hanno posto l'accento sulla componente emozionale , come il sentirsi di buon umore, altri sottolineano l'aspetto cognitivo e riflessivo , come il considerarsi soddisfatti della propria vita. La felicità a volte viene descritta come contentezza, soddisfazione, tranquillità, appagamento a volte come gioia, piacere, divertimento.La felicità può essere divisa in tre livelli:
    Il primo livello di felicità è quello più immediato, il quale implica un’emoziono o una sensazione, qualcosa come la gioia o il piacere. Questa sensazione è provocata dal raggiungimento di qualcosa che si è sempre desiderato ma non coinvolge molta cognizione a parte il raggiungimento stesso. Quando un soggetto afferma di essere felice della sua vita, dopo aver analizzato accuratamente piaceri e dispiaceri, e nonostante tutto sperimenta più emozioni positive che negative, siamo dinanzi ad una felicità di secondo livello. La felicità di terzo livello viene spesso associata all’ideale aristotelico del vivere bene, infatti, l’eudaimonia, viene spesso tradotto con il termine felicità. Per eudaimonia si intende una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità. Spesso si fa confusione con i termini felicità e ben-essere. Il ben-essere include una componente cognitiva che valuta l'intera soddisfazione di vita e una componente affettiva che è a sua volta suddivisa nella presenza di affetto positivo e nell'essenza di affetto negativo. Il ben-essere quindi non dipende solo dallo stare bene fisicamente,ma anche dagli stili di vita,dal tempo libero,dal lavoro e dall'ambiente. Un contributo fondamentale al ben-essere eudaimonico proviene dall'economista A.M. Sen il quale definisce il ben-essere attraverso i concetti di funzionamenti e capabilities. I funzionamenti consistono nei risultati e nei traguardi che una persona di fatto consegue,sotto forma di attività,ruoli e sviluppo dell'identità personale. Le capabilities invece sono l'insieme di funzionamenti di cui la persona dispone nell'ambiente. Esse riflettono il grado di libertà,autonomia e controllo di cui l'individuo gode nel proprio contesto di vita.Edouard Seguin,medico francese guidò la prima scuola per bambini disabili per far si che anche loro potessero essere educati e inserirsi nella società. Il modello formativo di scuola promosso da Seguin si diffuse molto rapidamente,ma nel corso del tempo queste scuole cambiarono drasticamente il loro obiettivo. Gli studenti non venivano educati,le scuole divennero molto meno educative. Dopo tanti anni queste istituzioni sono state chiuse e c'è stata una completa inclusione con servizi di educazione speciale e supporto alle famiglie. Il ben-essere delle persone disabili deve essere considerato come raggiungimento della piena autonomia,basti pensare alle case domotiche alle protesi estetiche.(In classe con la prof Iavarone abbiamo trattato dell'argomento riguardante la domotica). La domotica è la scienza che si occupa dello studio delle tecnologie atte a migliorare le qualità della vita in una casa...sn tecnologie valide x le persone disabili che hanno bisogno di tutti i comfort per poter vivere al meglio la propria quotidianeità....io spero che qst scienza non smetta mai di occuparsi di qst cosa xke davvero è utile x tt qst persone x sentirsi sempre al proprio agio e dare loro una vita migliore condurla senza troppe difficolta....vedere i video in classe mi ha dato la speranza che possa sempre di piu incentivarsi qst cosa.....
    La prof Iavarone afferma che il ben-essere non può essere assimilato a una generale condizione di ben-essere fisico o economico,ma va definito come uno stato variamente complesso perchè multicomponenziale,multidirezionale,multidimensionale.
    La pedagogia e la pedagogia speciale ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto,occupandosi della sua istituzione ma anche della sua educazione,tutelando la salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche psicosociale
    Elvira Romano
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty cap 1 Ben-essere nella disabilità

    Messaggio  Elvira Romano Lun Mag 21, 2012 9:38 am

    Il concetto di felicità compare in molte culture nonostante non si abbia una definizione adatta di cosa essa sia in realtà. Originariamente la felicità era strettamente legata alla fortuna, ma già con Socrate si inizia a pensare che essa si possa raggiungere anche contro la sorte , attraverso delle scelte che l’uomo fa. Inoltre ,per felicità , non si intende il piacere fuggente , ma portare a compimento la propria vita. Nel 2007 Nettle individua tre livelli di felicità: - la felicità di primo livello è il senso più immediato della felicità , ma anche il più transitorio , ed implica gioia o piacere. . -La felicità di secondo livello è quando le persone dopo aver riflettuto sui piaceri e sui dolori provati giungono alla conclusione che hanno provato più piaceri che dolori. Questo tipo di felicità è detta anche soddisfazione – Infine la felicità di terzo livello è identificata con il termine eudaimonia che si raggiunge quando le persone realizzano le proprie potenzialità. Spesso i termini felicità e ben-essere vengono usati in modo intercambiabili. Per ben- essere si intende vivere bene da un punto di vista psicologico ,fisico e spirituale anche in presenza di malattia. Secondo Ghedin per raggiungere il ben-essere vi deve essere un’interdipendenza tra il sistema culturale e l’individuo, perché l’uomo nasce con un corredo genetico e , nel corso della vita, ne costruisce uno culturale acquisendo le informazioni dal mondo esterno. Quindi il bene-essere di un individuo , soprattutto se diversamente abile, è legato alla sue capacità di adattarsi al contesto e alle strutture che lo circondano. Da ciò emerge che gli individui non sono svantaggiati ma lo diventano in un ambiente sociale che abbia delle componenti svantaggiose. Secondo La Delle Fave ciascun individuo porta dei cambiamenti e sviluppo alla comunità, in quanto ogni essere umano nasce con qualcosa di nuovo , con un proprio potenziale e con la capacità di ben-essere. Inizialmente coloro che si occupavano di disabili non si preoccupavano di promuovere il ben- essere come possibilità di vivere esperienze positive. Infatti le istituzioni invece di favorire il ritorno delle persone nella società divennero posti per tenere i diversamente abili lontani dalla società. Fortunatamente nel corso degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso iniziarono a nascere delle politiche che integravano le persone con disabilità nella società. Tali sforzi hanno portato ,negli anni passati, all’ inclusione nelle comunità, a servizi di educazione speciale, a supporto delle famiglie e a programmi che mirano a rendere i diversabili autonomi e a raggiungere il ben- essere. Il ben-essere deve essere considerato come qualcosa da condividere con gli altri e , per raggiungerlo, si deve cercare di estrapolare anche da episodi negativi degli aspetti positivi. Molto importante è la definizione che la Iavarone da del ben- essere , considerandolo uno stato multicomponenziale, multidirezionale e multidimensionale .Altrettanto importanti sono gli studi motivazionali che cercano di favorire lo sviluppo di un sentimento di autoefficacia che possa rendere queste persone padroni della loro vita. Questo perché negli anni settanta del secolo scorso Zigler sostenne che i bambini con ritardo mentale avevano una personalità e stili motivazionali derivanti dai loro vari insuccessi e avevano più alti livelli di impotenza appresa. La condizione di disabilità non ha conseguenze solo sulla persona che ne è affetta ma anche sui suoi familiari. Infatti spesso i genitori che scoprono di avere un figlio diversamente abile attraversano diversi stati di shock e passano periodi prolungati di stress rispetto agli altri genitori. Tuttavia Mullins ha scoperto che questa condizione di stress può anche non essere una condizione dell’avere un figlio disabile e che per molte persone la disabilità dei loro figli ha reso la loro vita più ricca di significato. L’atteggiamento che la famiglia , gli amici e la comunità ha verso la disabilità è fondamentale perché influenza lo sviluppo del bambino diversabile ad accresce lo stress della famiglia. Molte famiglie hanno aspettative positive verso il proprio bambino diversabile e cercano di sviluppare a pieno le sue potenzialità. Per tale motivo in Italia è nata la legge 104/92 che ha lo scopo di offrire ai diversamente abili gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone normodotate. Durante il corso ho potuto notare come persone affette da disabilità fossero effettivamente felici, come il professore Palladino il quale, nonostante la cecità, è una persona molto solare e spiritosa, oppure come Pistorius che , pur non avendo le gambe, tramite delle protesi esterne, ha potuto realizzare il suo sogno di partecipare e vincere le olimpiadi dei normodotati, conducendo una vita normale e serena. Ed infine non riesco a non pensare al quadro “il zoppo di Ribera “ il quale , con il suo bellissimo sorriso , trasmetteva un senso di serenità facendo capire come essere disabili non significa essere tristi e come tutti , a dispetto delle nostre condizioni fisiche, possiamo raggiungere la felicità e il benessere nella nostra vita.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  viviana.imparato Lun Mag 21, 2012 9:46 am

    Felicità,benessere e soddisfazione sono tre temi che sono stati affrontati da ogni cultura e sono ancora al centro del dibattito filosofico,religioso ed educativo. Il termine felicità deriva da felicitas e la radice "fe-" significa abbondanza, ricchezza, prosperità. Nell’antichità la felicità era collegata alla sorte ma con Socrate,Platone e Aristotele si afferma che l’uomo può aspirare alla felicità indipendentemente dalla fortuna.
    Ghedin scrive che secondo Nettle esiste una felicità di primo livello e che essa corrisponda alla sensazione provocata dal raggiungimento di uno stato desiderato.La felicità di secondo livello,invece,riguarda il giudizio sul bilancio delle sensazioni e può essere associata alla “soddisfazione”;infine,abbiamo la felicità di terzo livello che consiste nel raggiungimento dell’ideale aristotelico del “vivere bene”.Ghedin ci offre anche il punto di vista di Seligman per quanto riguarda le strade che conducono alla felicità.Seligman afferma che uno dei modi per raggiungere uno stato di felicità è quello di individuare i propri talenti e punti di forza e usarli in modo da creare una fitta e positiva rete di relazioni e situazioni positive nell’ambito lavorativo e del tempo libero.La “buona vita” si ha quando gli individui sviluppano capacità e forza in attività che li appagano e di cui sono appassionati.
    Questo passaggio mi ha fatto pensare immediatamente alla figura di Simona Atzori che abbiamo incontrato in occasione del primo laboratorio. La Atzori,infatti, è riuscita a usare il proprio talento e la propria forza d’animo per realizzarsi nella vita e svolgere egregiamente quelle attività che,come lei stessa sostiene,le permettono di avere una vita felice e soddisfacente nonostante le previsioni fossero tutte contro di lei.Simona Atzori dimostra che disabilità non significa condurre una vita senza stimoli e felicità e che,al contrario,si può aspirare sempre al raggiungimento di stabilità e benessere. La stessa Ghedin afferma che ogni individuo nasce con qualcosa di nuovo e diverso dagli altri,con un proprio modo di vivere e sentire.Tutti abbiamo le potenzialità per decidere cosa fare della nostra vita e diventare chi vogliamo essere e l’unico ostacolo è rappresentato dall’ambiente culturale e sociale nel momento in cui non corrisponde alle aspettative dei soggetti e alle loro personali esigenze,diventando così un limite al raggiungimento del benessere.
    Con il termine benessere ci si riferisce al giusto funzionamento e la giusta integrazione di diverse componenti:fisiche,psichiche e sociali.La stessa organizzazione mondiale della sanità ha definito la salute come una condizione di benessere fisico,psicologico e sociale.L’ambiente e il mondo esterno diventano,quindi,fattori che incidono pesantemente sulla qualità della vita dei soggetti e sulla loro conseguente felicità e benessere. Canevaro a tal proposito afferma che il benessere di un individuo non dipende esclusivamente dall’aspetto individuale ma anche da quello che oggi viene definito “capitale sociale” e che consiste nella capacità dell’individuo di adattarsi e organizzarsi grazie al contesto che lo circonda.
    Nell’ambito della disabilità i termini benessere,soddisfazione e felicità sono stati messi da parte a lungo in quanto non si ritenevano elementi prioritari ma con l l’ICF le cose cominciano a cambiare e come ho avuto già modo di scrivere con esso “cambia l’approccio nei confronti della disabilità,si parla,infatti,di approccio multi prospettico che coinvolge aspetto biologico,personale e sociale. Non vi è più la sola classificazione di malattie e disturbi ma si pone attenzione alle conseguenze delle condizioni di salute del soggetto,alla qualità della vita,alle problematiche che questo incontra a causa di una menomazione.L’ICF guarda,quindi, alla persona nella sua globalità.” Appare chiaro,quindi,che anche il benessere della persona con disabilità guadagna rilevanza. L’obiettivo non è più solo rendere il disabile autonomo nel mangiare,vestirsi o lavarsi ma anche far sì che esso scopra le proprie potenzialità,che sia in grado di individuare e perseguire i propri obiettivi di vita attraverso una sana progettualità.Come afferma Iavarone,quindi,il benessere si configura come uno stato multicomponenziale e multidimensionale e avvolge ogni aspetto dell’esistenza dell’essere umano e non bisogna soffermarsi esclusivamente sull’aspetto economico o fisico.
    Appare chiaro che la qualità della vita della persona disabile corrisponde al suo benessere e alla possibilità di condurre un’esistenza felice;perché questo avvenga è necessario che l’ambiente sia favorevole e non costituisca un ostacolo insormontabile. Il laboratorio dedicato alle barriere architettoniche ci ha mostrato quanto possa essere difficile, per una persona con disabilità,inserirsi totalmente all’interno di una città che dovrebbe offrire a tutti i suoi cittadini gli stessi diritti e le stesse possibilità e riprendo ciò che scrissi in quanto ritengo che sia il centro della questione “una semplice giornata diventa per il disabile una vera e propria lotta e la città che dovrebbe accogliere ogni cittadino diventa campo di battaglia”,In quell’occasione,infatti, abbiamo potuto constatare che per molti di noi andare in bagno è un’azione quotidiana mentre per altri rappresenta una montagna da scalare così come prendere un treno per dirigersi a lavoro o entrare autonomamente in un edificio. Ritengo che condurre una vita soddisfacente in un'ambiente così ostile sia molto difficile e che le persone che incontrano queste difficoltà non possano fare a meno di sentirsi svantaggiate e messe da parte.
    Ghedin,inoltre,pone l’accento sul fatto che l’opinione pubblica è portata a ritenere che le persone con disabilità abbiano una bassa qualità della vita ma che con la legge 104/92 i governi abbiano cercato di facilitare l’accesso per le persone con disabilità nel mondo del lavoro,dell’educazione,dei trasporti in modo da consentire una loro totale partecipazione sociale,ciò migliora la qualità della loro vita e anche il loro benessere soggettivo.
    La strada da fare,tuttavia è ancora molta.Nell’incontro con l’UNIVOC abbiamo appreso quanto il problema delle barriere architettoniche e dell’accesso ai trasporti possa essere presente e vivo e ritengo che questo allontani pesantemente le persone disabili dal raggiungimento di una vita felice e di un benessere multidimensionale.
    I disabili sono cittadini come tutti gli altri e hanno il diritto di vivere un’esistenza piena e soddisfacente e di avere la possibilità di sviluppare le proprie abilità in modo da realizzarsi nella vita e di avere la possibilità di prefiggersi degli obiettivi e raggiungerli proprio come tutti gli altri. L’errore da evitare è quello di credere che disabilità e infelicità siano sinonimi e che per queste persone non ci sia alcuna speranza.
    Simona Atzori,Oscar Pistorius,il prof. Palladino,la signora Rita ci hanno dimostrato che essere disabili significa dover far probabilmente più fatica ma che la vita può essere ugualmente piena d’amore e gioie.Il signor Palladino su tutti mi ha colpito in maniera indelebile per la simpatia,l’allegria e per il profondo amore che lo lega alla moglie e alla famiglia e che sono la dimostrazione lampante che essere disabili ed essere felici si può e si deve!!!
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Vittoria Camposano Lun Mag 21, 2012 9:48 am

    La felicità: vivere una buona vita. Essa è diventata uno degli aspetti positivi dell’esperienza umana. Ma che cos’ è la felicità? Per alcuni è qualcosa di estremamente immediato, come la gioia o il piacere, e qualcosa di più durevole e significativo come la soddisfazione o l’ appagamento. Bisogna prestare attenzione al fatto che non si deve essere sempre gioiosi, perché lo stato più duraturo si possa considerare uno stato felice. In altri casi la felicità era strettamente legata alla fortune, caratteristico della cultura mitica e del mondo pre-socratico. Poi man mano la parola si carica di significati nuovi, e si inizia ad affermare che l’ uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice, anche contro la sorte. Essere felici non sempre costituisce uno stato assoluto, ma include un’ implicita comparazione con un’ aspettativa o con ciò che altri possiedono. La felicità è infatti connessa al portare al compimento l’ intera vita, non con il piacere che si prova nell’ attimo fuggente. Per questo in Aristotele la felicità è strettamente connessa all’ etica e alla virtù. Gli usi del termine felicità possono essere classificati in tre sensi. Il senso più immediato e diretto di felicità implica un’ emozione o una sensazione, gioia o piacere. La sensazione è provocata dal raggiungimento di uno stato desiderato. Nettle definisce questo senso di felicità: “felicità di primo livello”. Invece la “felicità di secondo livello” viene definita appagamento e soddisfazione. Essa comprende processi cognitivi più complessi quali il paragone con possibili risultati alternativi. Esiste poi un sensi di felicità ancora più ampio. Una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità. Questo significato di felicità rappresenta la “felicità di terzo livello”(Nettle). La psicologa Ryff ha sostenuto che il ben-essere umano coinvolge un insieme di elementi più ampio della semplice felicità di secondo livello. Questo insieme comprende crescita personale, finalità, padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi. Le componenti più ampie del concetto di ben-essere psicologico espresso dalla Ryff tendono a essere correlate con una felicità più ristretta, ma le correlazioni sono piuttosto deboli. Secondo Sartorius la qualità della vita è la costellazione delle componenti oggettive e soggettive del ben-essere dell’ individuo. Si pone maggior enfasi sulla percezione e valutazione della vita, e la qualità della vita riguarda la soddisfazione per i diversi aspetti della vita e il ben-essere generale, possiamo affermare che il ben-essere soggettivo è l’ essenza della qualità della vita. Il ben-essere soggettivo include: 1) una componente cognitiva che valuta l’ intera soddisfazione di vita; 2) una componente affettiva che è a sua volta suddivisa nella presenza di affetto positivo e nell’ assenza di affetto negativo. Il ben-essere è stato definito “vivere bene, da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica”. La buona vita consiste nell’ usare le proprie forze in modo proficuo nel lavoro, nelle relazioni, e nel tempo libero. La vita significativa aggiunge un’ altra componente, usare le proprie forze al servizio di qualcosa di più grande, trovare significato e scopo nella vita. La felicità riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni sensoriali hanno maggior peso delle esperienze dolorose. Il ben-essere considera la soddisfazione delle proprie esigenze e anche il conseguimento di funzionamenti che variano anche considerando la cultura di riferimento. Viene portata in primo piano la relazione tra ben-essere del singolo e sviluppo della collettività. Cenevaro afferma che il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale autarchica, quanto al capitale sociale, cioè all’ insieme di capacità che l’ individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano, con i contesti. Sotto quali condizioni si viene a creare quel sentimento che noi chiamiamo ben-essere? Ciò che veramente ci permette di inoltrarci in quelle sensazioni di ben-essere e di tensione alla vita è l’ atteggiamento psicologico, mentale, positivo. La nostra società ricca offre tanti piaceri che velocemente diventano effimeri. Infatti, non appena cala la stimolazione che ha portato al piacere, quest’ ultimo sparisce del tutto. L’ essere umano ha bisogno di sfide, ha bisogno di mettersi alla prova, di rinforzare le proprie potenzialità e capacità. In altri casi la creazione della felicità è espressa in termini di un confronto tra la situazione attuale e il riferimento ad una situazione che è o migliore o peggiore dell’ attuale. Il ben-essere si sostanzia di diverse componenti: fisiche e psichiche e sociali, emozionali, psicologiche. In quanto fenomeno complessivo, fa riferimento sia alla valutazione biologico - clinica delle condizioni fisiche dell’ individuo sia all’ auto percezione soggettivo – emozionale dello stato di salute da parte del soggetto. Il ben-essere dipende non solo dal corretto funzionamento di organi e di apparati vitali, ma soprattutto dagli stili di vita e di lavoro, dal tempo libero, dalla condizione dell’ ambiente e dalle qualità umane dei contesti. Non molto tempo fa, molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. In parte queste istituzioni sono cresciute dagli sforzi di Seguin, che guidò la prima scuola per bambini disabili. Seguin promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società. Con la constatazione che gli studenti non venivano curati, le scuole divennero molto meno educative e più affidatarie. Invece di favorire il ritorno delle persone nella società, le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane da un società meno indulgente e accettante. Molte istituzioni erano geograficamente isolate e tale isolamento favorì la segregazione, il sovraffollamento e l’ abbandono. In seguito il concetto di “normalizzazione” divenne ampiamente condiviso dalle famiglie e dai sostenitori, conducendo a politiche che integravano le persone con disabilità nella società. Ecco allora che in questa direzione si cerca di promuovere il ben-essere delle persone disabili. L’ obiettivo non è solo e unicamente quello di far sì che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi, ma e soprattutto, possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. Fornire risposte, prendersi carico, risolvere i problemi, aiutano il soggetto in difficoltà. L’ aiuto esterno dell’ operatore dovrebbe consistere nel facilitare l’ accesso all’ impalcatura relazionale sulla quale l’ aiuto mutuale o l’ aiuto meno strutturato delle reti primarie può svilupparsi. Vorrei concludere riprendendo le parole della prof Iavarone: la pedagogia speciale ha a cuore il benessere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo fisico e psico – sociale. La felicità è di tutti e per tutti.
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    giuseppina tramo


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Verso un'educazione inclusiva

    Messaggio  giuseppina tramo Lun Mag 21, 2012 9:57 am

    L’educazione è un fattore cruciale nello sviluppo personale e sociale “una risorsa indispensabile nel tentativo di ottenere ideali di pace, libertà e giustizia” e uno dei principali mezzi disponibili per perseguire una più armoniosa forma di sviluppo umano e quindi di ridurre la povertà, l’esclusione, l’ignoranza, l’oppressione e la guerra”. L’educazione inclusiva è un processo che comprende la trasformazione di scuola ed altri centri di apprendimento per andare incontro alle esigenze di tutti bambini, studenti appartenenti a minoranze etniche e linguistiche, bambini con disabilità e difficoltà nell’apprendimento e a fornire opportunità di apprendimento per tutti i giovani e anche gli adulti. L’educazione inclusiva è essenziale per perseguire l’equità sociale ed è un elemento fondamentale dell’apprendimento per tutta la vita., è un processo che rafforza la capacità del sistema educativo di rivolgersi a tutti coloro che apprendono. Inteso come principio che dovrebbe guidare tutte le politiche e le pratiche educative, partendo dal fatto che l’educazione è un diritto umano di base e il fondamento per una società più giusta. Vi sono quattro elementi chiave che riguardano la concettualizzazione dell’inclusione: l’inclusione è un processo una ricerca senza fine per trovare i modi migliori per rispondere alla diversità. l’ inclusione ha a che vedere con l’identificazione e la rimozione delle barriere. L ‘inclusione riguarda la presenza, la partecipazione e il successo di tutti gli studenti. L’inclusione comprende una particolare attenzione a quei gruppi di studenti che possono essere a rischio di marginalizzazione, esclusione o insuccesso scolastico. L ‘approccio dell’educazione inclusiva ha formulato un nuovo modo di intendere la disabilità, proponendo un nuovo modello sociale di disabilità che sposta l’attenzione dalla tragedia personale dell’individuo verso l’ambiente sociale in cui le persone disabili vivono, comprendendo le difficoltà educative che creano barriere all’apprendimento di questi bambini. Una risposta adeguata è la rimozione di queste barriere e rispondere ai bisogni di questi bambini. Guardare all’inclusione con una lente inclusiva significa ed implica un cambiamento dal vedere il bambino come problema al vedere il sistema educativo come problema. Con quest’ottica inizia il processo d’inclusione ossia attivarsi per il miglioramento delle e nelle scuole con metodi e ruoli adeguati. L’attenzione si focalizza alla costruzione di scuole inclusive, scuole che “coinvolgano ognuno e assicurano ad ognuno l’ appartenenza”;le scuole con orientamento inclusivo: siano mezzi più efficaci per combattere atteggiamenti discriminatori, creare comunità accoglienti, costruire una società inclusiva e assicurare il diritto all’educazione per tutti. Per la realizzazione di una visione condivisa entro la scuola si necessità il coinvolgimento e rendere potenti gli insegnanti nel processo di cambiamento, e la necessità per la scuola di andare verso un processo di autoanalisi e valutazione. Gli insegnanti ,quindi si identificano come figure chiave per determinare la qualità dell’ambiente scolastico. E dovrebbero avere ben chiari i principi fondamentali per essere in grado di insegnare nell’educazione inclusiva: conoscere i principi dell’educazione inclusiva e implementarli, individuare gli studenti che hanno bisogno di educazione speciale, essere in grado di applicare i metodi e gli approcci nel campo dell’educazione inclusiva, valutare in un ambiente salutare. Ainscow sostiene che la scuola efficace ha una leadership e un corpo docente in grado di affrontare tutti gli studenti e i loro bisogni; è convinta che tutti gli studenti possano sviluppare le loro abilità verso un rendimento di successo. Gli insegnanti devono anche essere familiarizzati con i nuovi curricola e formati nell’indirizzare le performance degli studenti. Un curriculum centrato sul bambino è caratterizzato da una maggiore enfasi sull’apprendimento attivo e cooperativo attraverso l’attività e basato sull’esperienza. Il processo d’inclusione dipende molto dalle attitudini degli insegnante verso gli alunni con disabilità, dal come considerano le differenze presenti nel gruppo –classe e dalla loro volontà di affrontarle nel concreto. Esiste infatti l’opinione comune tra gli insegnanti curriculari che l’inclusione dei bambini con disabilità nelle loro classi sia una politica destinata a fallire. Sono convinti del fatto che gli studenti disabili tolgano tempo di insegnamento ai docenti per quei studenti che non hanno nessuna difficoltà. Nonostante questa visione l’evidenza suggerisce il contrario. Gli studi di Booth e Ainscow e Kalambouka et al. mostrano l’evidenza che gli studenti con disabilità inclusi nelle classi regolari beneficiano in modo consistente di tali ambienti rispetto ai bambini che si trovano nelle scuole speciali. Gli insegnanti devono possedere le credenze, le attitudini, le abilità, e le disposizioni che li renderanno in grado di essere insegnanti sicuri ed efficaci di studenti con abilità molto varie. Ford sostiene che queste caratteristiche includono: 1) avere una comprensione dei contesti politici, sociali e storici della disabilità; 2) conoscere abbastanza del sistema di educazione speciale e circa le caratteristiche della disabilità per essere in grado di insegnare in modo efficace e fare la routine per gli studenti con disabilità; 3)essere impegnati ad insegnare all’intera gamma di studenti con disabilità; 4) essere preparati ad insegnare in una struttura inclusiva e collaborativa. Secondo Anna Maria Murdaca, autrice del testo Complessità della persona e disabilità, occorre abbandonare la logica dell’inserimento legge 118 del 1971 e muoversi verso la logica dell’inclusione, adottando l’ottica della globalità. “una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento, del comportamento e/o dell’assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica, che può essere disorganizzata da errate interazioni tra sistema biologico, psico - intellettivo, affettivo, relazionale e sociale. L’obiettivo principale è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità, cogliere l’essenza umana della persona. Credo che questi fattori abbiano una valenza anche e soprattutto per la pratica educativa dell’insegnante. Un altro tema importante sul rapporto docente- classe è la sensibilità dell’insegnante e la capacità di istaurare relazioni sociali significative tra gli alunni. Soprattutto per gli alunni disabili (e i loro genitori),le interazioni significative con i normodotati sono ricche di importanza. Gli insegnanti dovrebbero avere un atteggiamento equo, ma anche un’ idea chiara su come sviluppare queste relazioni. Da qui l’importanza della relazione educativa che investe diversi campi della nostra vita. La relazione docente/discente è un legame che produce apprendimento, è un incontro, uno scambio, una partecipazione, un’alleanza fondata sull’ascolto, sul dialogo e sulla fiducia. L’insegnante non deve ridurre il suo ruolo ad un mero trasmettitore di nozioni, deve comprendere che lui è una guida, un punto di riferimento per i suoi alunni, che può dare tanto anche con un semplice scambio di opinioni; dall’altra parte ci sono gli alunni che possono fare altrettanto, creando cosi un clima di fiducia e stima reciproca, il loro rapporto diviene così un prendere e dare in sincronia. Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile, l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere e mettere in luce le doti, le potenzialità e capacità della persona con disabilità. L’inclusione può essere organizzata in modi e su livelli diversi ma alla fine è l’insegnante a dover affrontare un’ ampia diversità interna alla classe e a dover adattare o preparare il curriculum in modo tale che tutti gli alunni sia quelli disabili sia i più bravi trovino lo spazio sufficiente. un' altra figura chiave del processo d'inclusione è la famiglia. Coinvolgere i genitori su ampia base nella scuola non solo conduce allo sviluppo di relazioni positive tra casa e scuola ma rende più probabile che i genitori prendano interesse attivo nell’educazione dei loro bambini. I genitori dovrebbero essere coinvolti nel processo di presa di decisioni, per esempio riferite ad agenzie esterne, cambi di classe, essere informati del progresso fatto dal loro bimbo e, secondo la visione della scuola, delle forze e debolezze del figlio. Molti genitori apprezzano le informazioni date sul loro figlio in modo che essi possano prendere parte a decisioni future; possono inoltre anche volere aiuto specifico riguardo l’insegnamento ai loro bambini. Si nota una forte collaborazione tra genitori ed insegnanti. I genitori divengono i partner nell’educazione dei loro figli. L ‘Unesco a tale proposito afferma che è essenziale che: - i genitori siano visti come partecipanti attivi offrendo un contributo all’educazione dei loro figli; - i genitori diventino parte integrante del processo di presa di decisione; - i genitori vengono ascoltati quando parlano dei loro figli; le forze dei genitori sono capitalizzati su e usate per essere complementari alle abilità professionali; c’è una responsabilità condivisa tra genitori e professionisti. Si sente la necessità di individuare una rete ben organizzata e collegata che permette a chi si trova al suo interno di stare bene con ciascuno dei suoi nodi. Tutti i membri devono essere in grado di comunicare o meglio capirsi per poter scambiarsi risorse che hanno l’obiettivo di favorire il ben-essere soggettivo e sociale della persona in essa coinvolta. Un’ approccio di fondamentale importanza in ambito educativo è il Capability Approach che considera l’educazione come fortemente connessa alla libertà umana. Saito afferma che l’educazione può giocare un ruolo nell’espansione delle capabilities. Parlando di espansione emergono due aspetti delle capabilities. Uno riguarda l’espansione della capacità o abilità di un bambino . l’altro riguarda l’espansione nelle opportunità che il bambino ha.l’educazione rende un bambino autonomo in termini di creare un nuovo un nuovo set di capability a cui il bambino può attingere. Il modello della capability fa riferimento all’aspetto relazionale di come il bambino interagisce con il suo ambiente scolastico e come egli converta le risorse in funzionamenti mentre allo stesso tempo considera come l’ambiente è costruito. Con tale modello si ha una nuova struttura per ridefinire la menomazione e la disabilità. Una definizione della disabilità come strettamente relazionale e una riconsiderazione delle questioni riguardanti la definizione delle differenze tra bambini all’interno di una struttura fondamentale normativa che mira alla giustizia e all’eguaglianza. L’approccio della capability è una struttura di pensiero ed apre la strada ad un modello innovativo ed utile per riesaminare l’educazione inclusiva e l’educazione in generale. Riguardo al tema dell’inclusione è di fondamentale importanza citare l’Index per l’inclusione : un documento completo che fornisce linee guida per individuare nella propria scuola i passi giusti da fare verso una vera inclusione. L’Index è una risorsa di sostegno allo sviluppo inclusivo delle scuole. I materiali si basano sulla ricchezza di conoscenze ed esperienze che le persone hanno rispetto alle proprie attività, fornendo una lettura critica e insieme un sostegno allo sviluppo di ogni scuola, indipendentemente dal grado di «inclusività» che si ritiene sia stato raggiunto. Nell’Index l’inclusione si riferisce all’educazione di tutti i bambini e ragazzi, con Bisogni Educativi Speciali e con apprendimento normale. L’Index offre un percorso che sostiene l’autoanalisi e il miglioramento delle scuole, e si fonda sulle rappresentazioni del gruppo docente, del Consiglio di istituto, dei dirigenti, degli alunni e delle famiglie, nonché delle comunità presenti sul territorio. Il percorso implica un esame dettagliato di come possano essere superati gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione di ogni alunno. L’Index è un modo per migliorare l’ambiente scolastico sulla base dei valori inclusivi. L’Index può sostenere lo sviluppo inclusivo delle scuole in quanto porta l’attenzione ai valori e alle condizioni dell’insegnamento e dell’apprendimento. Incoraggia una visione dell’apprendimento in cui i bambini e i ragazzi siano attivamente coinvolti, integrando ciò che viene insegnato con la loro propria esperienza. È un documento pratico, che identifica ciò che l’inclusione viene a significare in tutti gli aspetti e gli spazi della scuola. L’inclusione nell’educazione implica: • valorizzare in modo equo tutti gli alunni e il gruppo docente; • accrescere la partecipazione degli alunni — e ridurre la loro esclusione — rispetto alle culture, ai curricoli e alle comunità sul territorio; • riformare le culture, le politiche educative e le pratiche nella scuola affinché corrispondano alle diversità degli alunni; • ridurre gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione di tutti gli alunni, non solo delle persone con disabilità o con Bisogni Educativi Speciali; • apprendere, attraverso tentativi, a superare gli ostacoli all’accesso e alla partecipazione di particolari alunni, attuando cambiamenti che portino beneficio a tutti gli alunni; • vedere le differenze tra gli alunni come risorse per il sostegno all’apprendimento, piuttosto che come problemi da superare; • riconoscere il diritto degli alunni ad essere educati nella propria comunità. • migliorare la scuola sia in funzione del gruppo docente che degli alunni; • enfatizzare il ruolo della scuola nel costruire comunità e promuovere valori, oltre che nel migliorare i risultati educativi; • promuovere il sostegno reciproco tra scuola e comunità; • riconoscere che l’inclusione nella scuola è un aspetto dell’inclusione nella società più in generale. In conclusione spero che il processo d’inclusione educativa, non rimanga solo una mera illusione ma che in futuro grazie al contributo di questi interventi possa realizzarsi ed avere dei riscontri nella pratica educativa.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Primo capitolo

    Messaggio  federica sbrescia Lun Mag 21, 2012 10:02 am

    Non è forse l’obiettivo di ognuno di noi quello di essere felici?
    Già nell’Antica Grecia compare il concetto di felicità attraverso l’utilizzo della parola eudamonia che sta a significare “buon demone”,buona sorte.
    In questo caso però il termine sembra più avvicinarsi alla fortuna,difatti soltanto con Socrate,poi con Platone,ed infine Aristotele,la parola eudaimonia assume nuovi significati ,affermando così che è l’uomo che attraverso la sua libertà e le sue capacità può diventare felice,pur avendo la sorte contro,consolidando così l’idea che ognuno è artefice del proprio destino.
    Pur essendo un concetto condiviso da tutte le culture,la felicità è diventata oggetto di studio solo di recentemente,in particolare da parte della psicologia positiva.
    Dare una giusta e assoluta definizione della felicità diventa spesso un ‘impresa assai ardua essendo quest’ultima un qualcosa di strettamente personale e strettamente correlata ai valori e agli obiettivi dell’individuo.
    Per qualcuno il raggiungimento della felicità lo si potrebbe ottenere attraverso il possedimento di ricchezze materiali,per altri invece lo si potrebbe ottenere attraverso la realizzazione della famiglia.
    Elisabetta Ghedin mette in evidenza quanto essere felici non sempre costituisca uno stato assoluto,ma che è il risultato della soddisfazione dinnanzi al compimento della vita intera,dunque non legata al singolo momento.
    Daniel Nettle,professore di scienze comportamentali, parla di felicità suddividendola in tre livelli,ed è proprio nel secondo che questa viene riportata come sinonimo di soddisfazione. L’individuo difatti facendo un bilancio del proprio vissuto individua maggiori aspetti positivi rispetto a quelli negativi rimanendo così entusiasta,soddisfatto appunto.
    Come già avevo accennato,dare una definizione della felicità è molto difficile ,ma Seligman ha proposto le strade che si possono percorrere per raggiungerla,attualizzando così la buona vita e successivamente la vita significativa.
    La buona vita consiste nell’utilizzare le proprie forze e abilità in maniera ottimale in tutti gli ambiti,e nel momento in cui queste vengono impegnate in un qualcosa di più grande ,per trovare uno scopo,si vive la vita significativa.
    Per affrontare il termine della felicità in termini più scientifici è giusto parlare di benessere,definito da Schafer come il vivere bene da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico,anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica.
    Tale definizione trova grandi similitudini con quella della salute, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) ,come “stato di benessere fisico psichico e sociale,e non semplice assenza di malattia”.
    Il benessere è dunque un diritto di tutti e ciò fu promosso come tale già nella metà del 1800 da Eduard Seguin,un medico francese,che guidò la prima scuola per disabili.Questa scuola aveva come obiettivo quello di far sì che i bambini con disabilità venissero opportunamente educati e assumere il giusto ruolo nella società.
    Con gli anni però,queste istituzioni non divennero altro che luoghi di isolamento dove i disabili venivano letteralmente dimenticati e trascurati.
    Fortunatamente con il concetto di mormalizzazione furono introdotte politiche adeguate per l’integrazione dei disabili,come la legge 104 in Italia.
    Frequentando il corso di “pedagogia della disabilità” ho ricevuto input che mi hanno sensibilizzato al riguardo, e purtroppo ho costato che tutt’ora l’Italia è ricca di barriere architettoniche che non permettono ai disabili lo svolgimento di una vita completamente autonoma.
    Sono rimasta particolarmente entusiasta dalla lettura del paragrafo”La ricerca sulla famiglia”,in cui è riportata un’analisi di Mullins che ha messo in evidenza che per la maggior parte dei genitori la disabilità dei loro figli ha reso le loro vite ancora più ricche di significato. Tali parole mi fanno ritornare alla mente l’incontro avvenuto il 2 aprile,giornata mondiale dell’autismo, con alcuni rappresentanti dell’ associazione AUTISM che a loro volta erano genitori di bambini autistici,che nonostante tutte le difficoltà incontrate nella vita si sono rimboccati le maniche per garantire un futuro migliore ai il loro figli ,e non solo,avendo sempre un sorriso stampato sul volto e tanta speranza nel cuore.
    Una delle scienza che mira al raggiungimento del benessere di ogni individuo è la pedagogia,in particolare la pedagogia speciale,come ci riporta Iavarone, che si occupa sia della sua istruzione che della sua educazione,tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma soprattutto psicosociale.
    Ogni individuo ha il diritto di vivere una vita dignitosa,che gli permetta di raggiungere il benessere interiore e la felicità.
    “A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità” e ci ho è riportato nella Dichiarazione di indipendenza americana. in Italia questo diritto non è presente nella Costituzione, e questo perché non deve essere responsabilità di uno Stato definire l’ideale di felicità, e fornire tutti i mezzi per raggiungerlo. La felicità dipende dalle scelte di ciascuno di noi.
    .
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  maria11 Lun Mag 21, 2012 10:32 am

    Che cos’è la felicità? Un interrogativo che ha rappresentato la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni; ma solo recentemente le scienze sociali hanno cominciato a studiare tale concetto.
    La parola felicità deriva dal prefisso indoeuropeo “Fe” da cui deriva “Fecundus” “femina” “ferax”, tabto che i latini parlavano, poi, di terra “Felix”. Originariamente, però, eudaimonia derivava da “buon demone”, per cui la felicità era avere un buon demone, una buona sorte.
    Con Socrate , Platone e poi Aristotele, questo termine, si carica di nuovi significati; tant’è che s’inizia ad affermare che l’uomo con le sue scelte diventa felice anche contro la sorte. Molti significati che vengono attribuiti a questa parola, possono essere inseriti in tre grandi categorie. La felicità, in primis, implica una sensazione o emozione. Tali sensazioni possono essere transitorie e posso essere provate dal raggiungimento di un obiettivo desiderato senza il coinvolgimento di molta cognizione. Nettle definisce questo senso di felicità “ FELICITA’ DI PRIMO LIVELLO”. Quando poi le persone affermano di essere felici nella loro vita, esse voglio intendere che, dopo aver provato sia sensazioni positive che negative, giungono alla conclusione che le sensazioni positive e quindi i piaceri sono più influenti rispetto alle sensazioni negative e quindi ai dolori. Questa è quella che Nettle definisce “ FELICITA’ DI SECONDO LIVELLO”. Però questa forma di felicità non viene calcolata solo sommando piaceri negativi e positivi, ma comprende anche i processi più complessi quali il paragone con possibili risultati alternativi. Esiste poi un senso più ampio di felicità; ed è quello che coincide all’ideale Aristotelico del vivere bene. Questo significato di felicità rappresenta il “FELICITA’ DI TERZO LIVELLO”. Quest’ultimo livello non è misurabile facilmente. La psicologa Carl Ryff, infatti ha asserito che esiste un insieme di elementi più ampio rispetto alla semplice felicità di secondo livello. Tale insieme comprende: crescita personale, finalità, padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi.
    L’Organizzazione Mondale della sanità ha espresso il suo obiettivo nella promozione della salute, definendola come una condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale. Di conseguenza il ben-essere soggettivo è l’assenza della qualità della vita. Il bene-essere soggettivo, include:
    • Una componente cognitiva che valuta l’intera soddisfazione della vita;
    • Una componente affettiva che è a sua volta suddivisa nella presenza di effetto positivo e nell’assenza di affetto negativo;
    le caratteristiche positive individuale sono: il bene-essere soggettivo; l’ottimismo; la felicità; la perseveranze ecc… e queste sono fattori interni che caratterizzano il ben-essere.
    Mentre le caratteristiche contestuali sono: il supporto sociale; il senso di appartenenza; armonia con il proprio ambiente di vita ecc… e queste, invece, sono fattori esterni che caratterizzano il ben- essere.
    Seligman ha proposto diverse strade per raggiungere la felicità:
    • Una persona può avere nei confronti del suo trascorso emozioni positive come la soddisfazione, l’ottimismo; e queste stesse emozioni positive è possibile provarle anche nei confronti del futuro. Queste emozioni, però, possono aumentare mettendo in atto alcune tecniche che aumentano il senso di gratitudine, comprensione ecc. quindi una persona, secondo Seligman, può provare felicità basandosi sulle emozioni positive. Questo è quello che lui chiama “vita piacevole”.
    • Esiste poi una forma di felicità che si basa sulle esperienze in cui noi stessi siamo assorbiti; per chiamarlo con i giusti termini diremo quindi che siamo inseriti nel “flusso”. Tale concetto è stato sviluppato da Csìkszentmihàlyi, comprende quei momenti i cui la nostra attenzione è concentrata su compiti per noi stimolanti e che mettono alla prova le nostre abilità, capacità. Secondo questa teoria, le persone possono essere nel flusso leggendo un libro, guardando il tramonto, scrivendo ecc…
    • Esiste poi un’altra strada per giungere alla felicità. È quella di individuare talenti personali e forza.
    La teoria di Seligman riguardante la felicità è molto importante perché integra la vita piacevole, significativa e buona con la concezione eudemonica ed edonica della felicità.
    La vita buona, infatti, si verifica quando la persona sviluppa e concentra le proprie forze in un’attività da cui tra stimoli e a cui è interessato.
    La vita piacevole, è quella che massimizza le esperienze positive e piacevoli.
    La vita significativa, infine, si ha quando gli individui concentrano le proprie forze per far nascere dei forti sentimenti e legami; quali ad esempio l’amicizia, servire la comunità ecc…
    La felicità, però, ha anche diversi punti di vista. Infatti, da un punto di vista edonistico, riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione dei dolori; mentre da un punto di vista eudaimonico risulta dall’attuazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del proprio vero sé.
    Il termine eudaimonia deriva dalla tradizione greca antica e significa letteralmente “divinità buona/ benevola”. Tale termine viene spesso usato come sinonimo di felicità, ma in realtà il suo significato è molto più ampio. Esso infatti indica un processo d’interazione tra ben-essere personale e ben-essere collettivo.
    Il ben-essere è composto da diversi aspetti: fisico, psichico, sociale, emozionale, psicologico.
    Secondo Iavarone, il ben-essere possiede più direzioni e percezioni. Esso infatti può essere visto dal soggetto sia in senso verticale cioè nei diversi tempi della vita, sia in senso orizzontale cioè nei diversi luoghi della vita. Questo perché, come citavo prima, il ben-essere possiede più dimensioni, in quanto, il desiderio di ben-essere si trasforma sia sincronicamente( relativamente ad un episodio particolare e in un preciso momento della vita di una persona), sia dicronicamente (se il processo di ben-essere si ricollega a una fase o un intervallo di tempo più lungo della vita di un soggetto). Il ben- essere risulta quindi essere la sommatoria tra sistema biologico, psichico, sociale; e quindi dipende non solo dal corretto funzionamento dei organi vitali, ma dipende soprattutto dagli stili di vila di ogni singolo individuo.
    Il ben-essere ha anche a che fare con la disabilità. Anticamente però, la maggiore preoccupazione per coloro che studiavano la disabilità, non era quella di promuovere il ben-essere delle persone disabili. Solo in tempi più recenti, bambini e adulti con disabilità, venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. Queste istituzioni sono cresciute grazie agli sforzi di un medico francese, Edouardo Seguin, che nel 1800 guidò la prima scuola per bambini disabili. Queste scuole partivano dal presupposto che i bambini con disabilità potessero sviluppare delle proprie capacità e potessero assumere un proprio ruolo nella società. L’obiettivo è quello di far si che queste persone siano indipendenti cioè sappiano lavarsi mangiare insomma curarsi, ma che abbiano anche la facoltà di scegliere loro come vivere la loro vita. In Italia, i disabili, hanno iniziato ad avere voce in capitolo, grazie all’affermazione della legge 104 che stabilisce i diritti delle persona con disabilità. Ma nonostante ciò, la persona con disabilità, non può godere del suo ben-essere e quindi non può essere totalmente indipendente dato che ad esempio per strada si vedono ancora macchina parcheggiate dinanzi alla discesa per disabili, là dove però la discesa c’è!!!!

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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Verso una educazione inclusiva-cap.6

    Messaggio  simonamanzoni Lun Mag 21, 2012 10:45 am

    Il paradigma a cui fa implicitamente riferimento l’idea di integrazione è quello «assimilazionista», fondato sull’adattamento dell’alunno disabile a un’organizzazione scolastica che è strutturata fondamentalmente in funzione degli alunni «normali», e in cui la progettazione per gli alunni «speciali» svolge ancora un ruolo marginale o residuale. All’interno di tale paradigma, l’integrazione diviene un processo basato principalmente su strategie per portare l’alunno disabile a essere quanto più possibile simile agli altri. . La qualità di vita scolastica del soggetto disabile viene dunque valutata in base alla sua capacità di colmare il varco che lo separa dagli alunni normali. L’idea dell’inclusione come terreno di confronto con la pluralità di differenze presenti oggi nella scuola ci conduce direttamente a una delle scelte che caratterizzano in senso forte l’impostazione epistemologica dell’Index rispetto alle proposte precedenti, ossia il graduale superamento della nozione di Bisogni Educativi Speciali. Secondo Booth e Ainscow parlare di alunni con Bisogni Educativi Speciali rappresenta il primo passo di un processo che conduce all’etichettatura di alcuni alunni, e conseguentemente a un’implicita riduzione delle attese educative nei loro confronti: se il punto di partenza sono i limiti, diviene difficile pensare per potenzialità, e tenere presente che queste sono potenzialmente illimitate.A differenza del paradigma biomedico, basato su una teoria che interpreta il deficit come caratteristica strettamente individuale, il modello sociale vede il disturbo o la disabilità come frutto di un’interazione tra il soggetto e il contesto in cui si trova a vivere. È la cultura (e l’insieme delle microculture che la compongono) a creare quell’insieme di norme più o meno visibili che definiscono la normalità, e così facendo facilitano o impediscono l’accesso a determinati gruppi di persone, trasformando la differenza in devianza. Se non pensiamo «per casi» ma «per differenze», come l’Index invita a fare, siamo in grado di osservare e comprendere pienamente la complessità degli alunni e dei loro bisogni. Non solo: riusciamo anche a vederli come portatori di risorse. Anche la nozione di sostegno viene in tal modo profondamente trasformata dall’approccio inclusivo. Tradizionalmente il sostegno si incarna in un docente di supporto. il lavoro dell’Index pone costantemente al centro dell’attenzione la questione della partecipazione da parte di tutti i soggetti della comunità scolastica. Ciò che l’Index propone è in primo luogo la realizzazione di un ampio lavoro di ricerca, e le sue domande costituiscono fondamentalmente il punto di partenza per avviare un’estesa raccolta di dati dentro e fuori la scuola. , ciò che l’Index invita a fare attraverso le sue domande è dotarsi di strumenti per «vedere di nuovo», riuscire a rompere l’insidioso diaframma della routine e far così emergere gli elementi inattesi della vita scolastica, nuovi non perché introdotti dall’esterno (come spesso è invece l’intento delle riforme) ma perché emergenti da un’attenzione più precisa alle persone e alle risorse nascoste. L’evoluzione da integrazione a inclusione si gioca invece rispetto ai soggetti dei processi di individualizzazione dell’offerta formativa: nel caso dell’integrazione sono soltanto gli alunni con disabilità, nel caso invece dell’inclusione i soggetti dell’individualizzazione sono tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali, che, come noto, sono ben di più delle percentuali di quelli con disabilità certificate. Dunque l’inclusione è un gran passo avanti, garantendo un’offerta formativa individualizzata a tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali. Nelle classi si trovano molti alunni con difficoltà nell’ambito dell’apprendimento e dello sviluppo di competenze. In questa grande categoria possiamo includere varie difficoltà: dai più tradizionali disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia), al disturbo da deficit attentivo con o senza iperattività, a disturbi nella comprensione del testo, alle difficoltà visuo-spaziali,alle difficoltà motorie, alla goffaggine, alla disprassia evolutiva, ecc. Troviamo anche gli alunni con ritardo mentale e ritardi nello sviluppo, originati dalle cause più diverse. I contenuti dell’Index si compongono di quattro elementi:1. Concetti chiave• Per favorire la riflessione sullo sviluppo inclusivo della scuola.2. Cornice di analisi/quadro di riferimento: dimensioni e sezioni• Per organizzare l’approccio alla valutazione e allo sviluppo della scuola.3. Materiali di analisi: indicatori e domande• Per permettere un’analisi dettagliata di tutti gli aspetti della scuola, e aiutare a identificare e realizzare le priorità per il cambiamento.4. Un processo inclusivo• Per assicurare che i processi di analisi, progettazione e realizzazione dei progetti siano a loro volta inclusivi. Sono tempi difficili per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, per l’inclusione degli alunni con Bisogni Educativi Speciali e più in generale per una Scuola davvero inclusiva per tutti gli alunni. La nostra Scuola è in difficoltà, su tanti fronti, dal bullismo alla scarsità degli esiti di apprendimento (vedi tra l’altro i risultati non certo lusinghieri dei rapporti internazionali). Le fatiche e le incertezze di una Scuola che vorrebbe essere inclusiva e fattore di promozione sociale sono ormai sotto gli occhi di tutti,ma su un altro punto essenziale dovremo focalizzare la nostra attenzione ed è che l’apprendimento comincia prima che il bambino vada a scuola e quindi,la precoce cura ed educazione nell’infanzia è particolarmente importante come uno strumento per costruire società inclusive.Tutti i genitori necessitano di informazioni di base circa i loro bambini,essi dovrebbero comprendere quelli che sono gli obbiettivi di base della scuola come pure avere informazioni circa la politica della scuola,un aspetto relazionale di come il bambino interagisce con il suo ambiente scolastico e come egli converte le risorse in funzionamenti mentre allo stesso tempo considera come l’ambiente è costruito e proprio di questo se ne occupa il modello della Capability.In questi ultimi anni si sta assistendo ad un crescente interesse nel considerare l’approccio della Capability e il suo significato in ambito educativo;questo approccio considera l’educazione come fortemente con la libertà umana!Sotto questa visione ,i benifi ed i risultati dell’educazione son visti come multidimensionali,e sono misurati attraverso raggiungimenti sostanziali nella libertà.Da questo punto di vista l’educazione deve fornire non solo compeenze e abilità orientate al mercato del lavoro,ma anche abilità di vita e opzioni di vita,in termini di essere in grado di conoscere,agire e vivere insieme in un ambiente sociale. Inclusione-integrazione non solo fra i banchi di scuola ma anche nella Vita cercando di non evidenziare i deficit della persona che ci sta accanto ma bensì evidenziando le potenzialità!Persona per me è fondamentale il significato di questa parola perché racchiude in essa la complessità e la semplicità di ogni singolo individuo..e..solo con un “corretto”uso di questo termine la vita potrà essere affrontata in maniera “Diversa”-raggiungendo una discreta qualità della vita.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  lucia lettera Lun Mag 21, 2012 10:45 am

    Dai tempi più remoti,si è sempre cercato di capire cosa fosse la felicità,quale fosse il mezzo per raggiungerla,ma soprattutto come si fa a stabilire se si è veramente felici. L'etimologia fa derivare FELICITA' da felicitas ( felix-icis )la cui radice " fe " significa "abbondanza,ricchezza,prosperità" inftti gliatichi,usano felix per indicare i campi in abbondanza di raccolto. Sono diverse le definizioni che possiamo dare alla felicità,in primo luogo,perchè non tutti esprimiamo le emozioni nello stesso modo,tenendo pur sempre conto che la felicità sia un emozione;in secondo luogo,perchè non tutti possiamo essere felici per le stesse ragioni;ciò che può rendere felice me,può essere la stessa ragione per cui un altra persona non lo è.Ghedin,l'autrice del testo BEN-ESSERE DISABILI, richiama le teorie contemporanee sulla felicità,che includono a loro volta la teoria eudonica;la felicità,da un punto di vista edonistico riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni sensoriali hanno maggior peso delle esperienze dolorose. va intesa quindi prima di tutto come uno stato di benessere e sappiamo che l'uomo fin dalla sua comparsa ricerca questo stato. In linea generale ,possiamo dire,che l'uomo avendo delle necessità primarie,secondarie e sovrastrutture,di solito l'appagamento di queste necessità e il raggiungimento dell'obiettivo dettato da un bisogno che procura gioia,da cui deriva anche la felicità.La felicità,è stata fatta oggetto di studiodi ogni scienza umanistica. Epicuro in na sua lettera a Meneceo,lo ravvisa sul fatto che non c'è età per conoscere la felicità:non si è mai nè giovani, nè vecchi per occuparsi del benessere dell'anima;quindi di essere felici. Dobbiamo concepire la felicità come se fosse un nostro diritto e gli altri come se fosse un loro dovere rispettarla. Purtroppo,al mondo non tutti sono felici,alcuni non hanno mai conosciuto la felicità. L' Organizzazione Mondiale della Sanità, ha definito la salute come una condizione di ben-essere fisico,psicologico o sociale.A ciascun individuo va garantita la possibilità di costruirsi la strada verso la felicità ed è giusto che tutte le persone abbiano la stessa tensione a realizzarla,indipendentemente da tutto, ache dall'essere disabili o meno. E' proprio questo che GHEDIN viene a chiedersi nel testo: I DISABILI,RIESCONO AD ESSERE FELICI? Una disabilitàpuò impedire di fare tante cose,ma sicuramente non da fare tutto,questo i rende tutti uguali,se consideriamo che ognuno di noi non sarà mai in grado di fare tutto. Quello che conta nella vita è il benessere dell'individuo,lasua dignità e la soddisfazione del quotidiano, attraverso la creazione di situazioni il più possibile assimilabili a quelle in cui vivono le "persone normodotate". A nessuno va preclusa la possibilità di crescere e realizzarsi ed è per questo che và affermata con forza L'EDUCABILITA', come possibilità costitutiva di ogni persona. EDUCARE è un termine che significa " tirar fuori" ,ognuno di noi ha infatti qualcosa da far emergere e che è nascosto da qualche parte dentro di noi. Un ruolo importante spetta prima di tutto ai genitori ,che devono fare per primi i percorsi di integrazione che chiedono agli altri di accettare la disabilità dei loro figli e di accettarla in primis loro. Lentamente si impara a non avere paura della loro "diversità" se così può essere definita,ad avvicinarsi a questi pe conoscere il loro mondo e penetrare lo spazio interiore dei sentimenti e dei pensieri. E' imparando ad ascoltare il loro silenzio che si possono capire i loro straordinari linguaggi. Crescerli nella fiducia e nella stima di sè,sorreggere ed aiutarli ,ma senza iperproteggerli,educare al rispetto e sottrarsi alla pietà e alla compassione,questa è la sfida quotidiana della famiglia che crea il diritto alla famiglia. A tutto questo è fondamentale il contributo della persona disabile,che deve creare il suo diritto alla felicità,dalla consapevolezza e dall'amore che ha per sè stesso. Si parla spesso di QUALITA' DELLA VITA, GHEDIN, affronta questo tema nel testo,riprendendo vari autori ed affermando che, questa comprende le esperienze di vita esterne e oggettive vissute dalla persona con disabilità in molteplici domini,come pure i loro livelli soggettivi di soddisfazione con quelle esperienze. BEN-ESSERE EMOZIONALE, RELAZIONI INTERPERSONALI,BEN-ESSERE MATERIALE,FISICO E SOCIALE,concorrono tutti a garantire un alta qualità di vita,anche se quello emozionale sembra più vicino alla felicità. La prof. Iavarone, afferma che la pedagogia e in particolare modo la pedagogia sociale,ha molto a cuore la qualità della vita ;si preoccupa della formazione ,sella sua istruzione ,quindi mira allo sviluppo psicosociale ,in quanto è doveroso tener conto che la felicià passa assolutamente dalla valorizzazione esistenziale della persona e dal diritto di essere ciò che si è
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  ilaria cardinale Lun Mag 21, 2012 11:09 am

    PRIMO CAPITOLO
    In questo capitolo ci si interroga su cosa sia la felicità ma difficile è darsi una risposta. La felicità e il significato di vivere una buona vita sono stati argomenti di un dibattito aperto da centinaia di anni. Tale concetto cambia a seconda della cultura. Molte fanno una distinzione tra una felicità immediata come la gioia o il piacere, ed un tipo di felicità più duratura come la soddisfazione o l’appagamento. La felicità la possiamo intendere anche con il termine Eudaimonia che sta a significare buona sorte. Ghedin ci fa vedere come con Socrate,Platone ed Aristotele questo termine subisce un cambiamento nel suo significato. Questi importanti filosofi affermano che l’uomo con le sue scelte e la sua libertà può diventare felice, anche contro la sorte. Il termine felicità può essere suddiviso in tre livelli. Il primo livello di felicità è quello più immediato, il quale implica un’emoziono o una sensazione, qualcosa come la gioia o il piacere che possono essere provocate dal raggiungimento di qualcosa che si è sempre desiderato ma non coinvolge molta cognizione a parte il raggiungimento stesso. Quando un soggetto afferma di essere felice della sua vita, dopo aver analizzato accuratamente piaceri e dispiaceri, sperimenta più emozioni positive che negative, siamo dinanzi ad una felicità di secondo livello. La felicità di terzo livello viene spesso associata all’ideale aristotelico del vivere bene, infatti, l’eudaimonia, viene spesso tradotto con il termine felicità. Per eudaimonia si intende una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità.
    Spesso si fa confusione tra il termine felicità e benessere. Il termine benessere ha una valenza scientifica,inoltre ha una componente cognitiva che valuta l’intera soddisfazione di vita e una componente affettiva che è suddivisa in due parti cioè presenza di affetto positivo ed assenza di affetto negativo. Per benessere intendiamo “vivere bene, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica. Gli studi che si tengono sulla condizione di benessere hanno come obiettivo quello di individuare metodi attraverso cui i soggetti possono incrementare il proprio stato di benessere. Ghedin ha voluto dare un doppio significato a questa parola: da un lato il benessere è inteso come qualcosa che ci fa star bene mentre,dall’altro,“bene essere disabili” vuol significare”buoni disabili”cioè fare in modo che questi ultimi siano in grado di costruirsi un ruolo centrale e non marginale all’interno della società.
    Il medico francese Edouard Seguin guidò la prima scuola per bambini disabili. Il suo modello di scuola si diffuse rapidamente, ma con il passare del tempo la scuola cambiò obiettivi poiché si costatò che gli studenti non venivano curati nel modo giusto diventando una scuola sempre meno educativa. Tant’è vero che recentemente si sono sviluppati servizi di educazione speciale,cercando cosi di far fronte alle problematiche emerse in tali scuole e di promuovere il benessere delle persone disabili. L’obiettivo non è solo quello di far sì che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi, ma soprattutto cercare di tirare fuori e valorizzare le loro potenzialità e capacità più consona ai loro bisogno in autonomia e benessere. La prof. Lavarone a tal proposito afferma che il ben-essere non può essere assimilato ad una generale condizione di ben-essere fisico o economico, ma va definito come uno stato variamente complesso perché multicomponenziale, multi direzionale, multidimensionale. Sono stati molti gli studiosi che hanno effettuato ricerche sullo stato di benessere. Negli anni settanta del secolo scorso Zigler scoprì che i bambini con ritardo mentale rispetto ai loro coetanei normodotati,avevano migliori aspettative di successo, bassa motivazione alle sfide e si affidavano molto di più agli altri invece che a se stessi per la soluzione di problemi. Un'altra ricerca è stata effettuata anche su ruolo dei genitori. La figura materna, è stata individuata come colei che rimpiange la perdita di un bambino perfetto. Alla nascita del bambino sono connesse profonde aspettative, infatti quando nasce, al posto di un bambino “sano e bello”, un bambino con disabilità la nascita si trasforma in un evento angosciante e luttuoso. Mullins ha però condotto una ricerca su quest’argomento affermando che esistono delle madri nelle quali si sviluppa questo senso di angoscia, ma allo stesso tempo esistono altre madri che dalla disabilità dei loro figli hanno aggiunto qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato. Tutto questo potrebbe far cadere il mito, dell’assenza di felicità di quelle madri che partoriscono figli disabili. Questi ultimi sono persone che necessitano di felicità e benessere come tutti, essendo cittadini a pieno titolo. A questo punto concluderei col dire che benessere e felicità devono appartenere ed esser garantite a tutti noi per cui bisogna tenere a cuore la salute e la cura di tutti ed in particolar modo delle persone disabili.
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    Messaggio  emma mariniello Lun Mag 21, 2012 11:38 am

    Che cos’è la felicità? Se cerchi sul dizionario la definizione è : “un stato di chi ha soddisfatto ogni suo desiderio”. Ma in ogni cultura stanno cercando metodi sempre più utili per diventare felici,distinguendola spesso in gioia o piacere confermando che lo stato più duraturo si possa considerare uno stato felice. La felicità era avere un buon demone = eudaimonia.E con Socrate,Platone e Aristotele la parola eudaimonia incomincia ad avere ricchi significati ,affermando che l’uomo con le sue scelte può diventare felice. Essere felici non sempre costituisce uno stato assoluto,essa è connessa a portare a compimento l’intera vita. Molti usi del termine felicità possono essere classificati in vari sensi,il senso più immediato e diretto implica un emozione o sensazione;la sensazione è provocata dal raggiungimento di uno stato desiderato.Nettle definisce che esistono tre livelli di felicità:
    -primo livello:si ha una bella sensazione quando dopo aver raggiunto un obiettivo desiderato;
    -secondo livello: un senso di appagamento e soddisfazione della propria vita;
    - terzo livello: si intende una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità;
    Ryff ha sostenuto che il ben-essere umano coinvolge un insieme di elementi più ampi della felicità,questo insieme comprende finalità,padronanza … Il ben-essere soggettivo è l’essenza della qualità della vita,esso è commutabile con la felicità. Ghedin afferma che gli esseri umani cercano di attribuire un significato agli eventi,e tendo alla complessità da un punto di vista biologico,psicologico e sociale,analizzando ciò che è significativo per il singolo perché permette di prestare attenzione a risorse e processi di crescita in una prospettiva più ampia.
    Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo è legato alla condizione sociale,all’insieme di capacità che l’individuo a di adattarsi all’ambiente che lo circonda.
    La Delle Fave afferma che è fondamentale considerare che ciascun individuo deve essere visto come un agente di cambiamento per la comunità,soprattutto i gruppi svantaggiati,quindi gli individui,diventano svantaggiati in un ambiente in cui le loro condizioni comporta degli svantaggi. E che si mettono in pratiche le numerose barriere architettoniche che incontra un disabile nel proprio quotidiano,tutto per un disastro di ambiente in cui si vive e la poca organizzazione che ne comporta,se ognuno di noi incominciasse a mettere da parte il proprio egoismo e a pensare di più altro,soprattutto quello con difficoltà fisiche,sarebbe un città vivibile. Nel 1800 Seguin guidò la prima scuola per disabili,affermando che i bambini con disabilità potessero essere educati e assumere un ruolo nella società. Andando avanti negli anni,le scuole cambiarono il loro obiettivo,gli studenti non venivano curati ,e le scuole divennero poco educative. In seguito il concetto di normalizzazione divenne condiviso con le famiglie e i sostenitori,l’obiettivo era quello di far diventare autonomi un disabile,potenziando le capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. In Italia nasce la legge 104 per offrire alle persone con disabilità gli stessi diritti ai servizi pubblici delle persone non disabili,facilitando l’accesso al mercato del lavoro,normalizzando le vite delle persone con disabilità. La pedagogia ha cuore il ben-essere della vita di questi soggetti,occupandosi della loro istruzione e soprattutto della loro educazione.
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    Sabrina Campaiola


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Sabrina Campaiola Lun Mag 21, 2012 11:59 am

    Il tema della felicità appassiona da sempre l’umanità e compare in ogni cultura. Ognuno di noi intende la felicità in modo diverso ,chi la identifica con il raggiungimento degli obiettivi ,chi con l’assenza delle malattie.Che cos’è la felicità? Spesso ci poniamo questo interrogativo ma non riusciamo a darci una risposta .Per tentare di definire questa condizione molti studiosi hanno posto l’accento sulla componente emozionale come il sentirsi di buon umore ,altri invece sottolineano l’aspetto cognitivo e riflessivo . La felicità in alcuni casi viene descritta come contentezza ,soddisfazione ,tranquillità ,appagamento in altri invece come gioia e piacere. Questo termine è stato oggetto di studio dell’analisi scientifica in particolar modo della psicologia positiva. Nettle definisce tre livelli di felicità :
    1 livello viene raggiunto dopo la realizzazione di un obiettivo prefissato.
    2 livello si ottiene quando si prova un senso di soddisfazione e appagamento della propria vita .
    3 livello si consegue quando una persona nell’arco della vita ,realizza le proprie potenzialità. Per poter raggiungere la felicità è importante agire ,non attenderla ma inseguirla .Fondamentale è saper usare le proprie forze nel lavoro che più piace ,che più ci stimola e ci coinvolge e inoltre nel coltivare le relazioni con gli altri ,in particolare con le persone che si amano . La felicità spesso si confonde con il termine benessere ; quest’ ultimo è considerato come una condizione di armonia tra uomo e ambiente ,risultato di un corretto adattamento dei fattori che incidono sullo stile di vita .Importante è analizzare ciò che è desiderabile e significativo per il singolo e la comunità .Canevaro afferma che il benessere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale ,quanto a quella che oggi viene definita capitale sociale .Molte teorie relative alla natura del benessere annunciano che le persone sono felici quando ottengono ciò che desiderano .Tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo .La condizione di benessere risulta essere più complessa per i disabili. Seguin ,medico francese nella metà dell’800 guidò la prima scuola per i bambini con disabilità in quanto riteneva che coloro potessero essere educati e assumere il giusto ruolo nelle società .Il benessere delle persone disabili dovrebbe essere sviluppato attraverso l’autodeterminazione ,cercando di accrescere la loro autonomia .La Prof.M.L Iavarone riflette sul benessere e la qualità della vita del soggetto occupandosi sia della sua istruzione ed educazione ,tutelando la salute e il suo sviluppo fisico e psicosociale ,ritenendo che bisogna formare diversi professionisti che sappiano gestire relazioni di cura ,sostegno e aiuto. .Che cosa significa per il disabile avere una buona qualità della vita?Molti sono i ricercatori che si sono impegnati ad alleviare i problemi dei diversabili .Nell’ambito della disabilità importante è la famiglia in quanto hanno percezioni positive che li portano ad avere migliore qualità di vita con l’obiettivo di realizzare il potenziale del proprio figlio. Sarebbe necessario normalizzare le vite delle persone con disabilità . Mi sembra opportuno citare SIMONA ATZORI E OSCAR PISTORIUS che nonostante abbiano gravi malformazioni si sono ripresi dalle esperienze difficili infatti sono un esempio di resilienza e hanno riorganizzato positivamente la loro vita senza mai arrendersi ma hanno avuto e hanno una tenacia ,forza ,coraggio che va aldilà di ogni limite perché la VITA è UNA è merita di essere vissuta assaporando tutte le sue sfumature.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty “Non importa come ti senti oggi, alzati, vestiti e mostrati.”

    Messaggio  Mario Cavallaccio Lun Mag 21, 2012 12:51 pm

    Senza le emozioni non potremmo vivere, fanno parte della nostra vita, riempiono le nostre giornate e sono lo stimolo giusto per tirare avanti. Ogni singola emozione che proviamo che sia amore, gioia, dolore è importante, perché permette a chi le sperimenta di sentirsi vivo. Ma fin dall’inizio dei tempi l’uomo è alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una sola parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato Felicità. Cominciamo a distinguere la felicità dalla gioia, la prima dipende da un nostro atteggiamento mentale, da una nostra condizione interiore, ed è presente in ognuno di noi. Mentre la gioia e l’allegria sono manifestazioni emotive che dipendono dall’esterno, esse possono essere conseguenze della felicità ma non causa. Infatti possiamo fingere d’essere allegri e gioiosi ma è molto più difficile fingere d’essere felici. Ma se la felicità è dentro ognuno di noi perché sembra così rara? Il nostro cervello è pronto a generare felicità in ogni istante ma spesso prevalgono in noi ricordi e pensieri negativi. Spesso siamo noi a porre condizioni alla felicità, a renderci dipendenti e infelici, sempre alla ricerca di qualcosa che arriverà domani o meglio solo quando qualcos’altro si sarà realizzato. Quindi per essere felici è necessario aiutare il cervello con un atteggiamento giusto, positivo, che agevoli la felicità. La felicità è quello che significa vivere una buona vita, ha rappresentato la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni. Nelle culture contemporanee le persone stanno cercando modi sempre più utili per diventare felici. Cerchiamo allora di rispondere ad una domanda: cos’è la felicità? Il concetto di felicità compare in ogni cultura. Molte lingue distinguono tra qualcosa di estremamente immediato, come la gioia o il piacere e qualcosa di più durevole e significativo come la soddisfazione o l’appagamento. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha indicato la promozione della salute come l’obiettivo principale della medicina, e ha definito la salute come una condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale. Possiamo quindi affermare che il ben-essere soggettivo è l’essenza della qualità della vita. Spesso i termini felicità e ben-essere soggettivo sono stati usati in modo intercambiabile con il secondo che rappresenta il termine più scientifico dei due. Personalmente penso che questo corso ci ha permesso di aprire gli occhi, ci ha insegnato tanto, ad ascoltare di più andando oltre le semplici parole e ci ha insegnato che la felicità è raggiungibile, che non importa quante avversità si incontrino nella vita se abbiamo coraggio, se ci crediamo, se lottiamo tutto è realizzabile. Abbiamo assistito a numerosi esempi di resilienza, persone che si sono viste togliere tutto dalla vita e nonostante ciò sono andate avanti con gioia, serenità e sono persone felici. Pensiamo all’Atzori, incredibile quello che una persona è in grado di realizzare solo se non si pone limiti, solo se crede in se stesso, solo se non si lascia abbattere dalle avversità. Simona Atzori non solo non si è posta limiti, ma non ha lasciato neanche che altri vedessero in lei tali limiti, ha affrontato le difficoltà senza lasciarsi buttare giù da nulla, come un ramo che si piega al vento ma non si rompe nonostante la tempesta. O pensiamo ad Oscar Pistorius, un'altro esempio unico di resilienza, lui che non si è lasciato abbattere, lui che è andato contro i pregiudizi e i preconcetti della gente, lui che non ha lasciato che qualcuno gli dicesse cosa era in grado o no di fare. Io considero quest'uomo un simbolo, un esempio, in un'epoca in cui spesso manca il coraggio di fare, dire, mettersi in gioco, lui trasmette forza e volontà di non arrendersi di fronte a nulla. È un modello, sia per chi come lui parte da un handicap, perché mostra al mondo come quella che a noi sembra una mancanza, si trasforma poi in punti di forza, ma è un esempio anche per uomini e donne che hanno avuto tutto dalla vita, dalla natura e bruciano la loro esistenza e sprecano metà del loro tempo nell’infelicità. Anche le esperienze vissute in aula ci hanno insegnato cosa vuol dire apprezzare ciò che abbiamo ed essere felici per questo, mi viene da ricordare alla simulazione svolta quando ci siamo bendati. Ogni giorno si perde la metà del tempo pensando che siamo infelici, ai difetti che abbiamo, mi piacerebbe essere più alto, più magro, vorrei essere così, mi sento brutto, e perdiamo di vista le cose essenziali, le cose realmente importanti. Ogni mattina apriamo gli occhi e possiamo ammirare il viso di nostra madre, la bellezza della natura, le persone che amiamo; possiamo alzarci dal letto con le nostre gambe, correre, fare passeggiate; possiamo parlare, ascoltare e tutto questo a noi appare quasi banale, scontato, ma non lo è per niente! L'esperienza di quel giorno mi ha fatto "aprire gli occhi" paradossalmente sono riuscito a vedere meglio oggi da bendato, eh si proprio così mi sono sentito, è stata un'esperienza molto forte, ogni parola che ascoltavo si imprimeva nella mia testa come non mai, ogni singola lettera aveva un significato profondo HO ASCOLTATO per davvero e mentre ascoltavo il mio cuore si riempiva di tristezza per non essermi reso conto prima di quanto siamo fortunati, di quanto in realtà possediamo tutto e a noi continua a sembrare niente, di quanto dovremmo essere grati e felici e invece ci piangiamo addosso e al contrario persone che pur vivendo una disabilità sono felici e ci insegnano i valori veri della vita.
    Inizialmente la preoccupazione maggiore per coloro che si occupavano di disabilità non era promuovere il ben-essere, termini concepiti invece da Amartya Sen come possibilità di vivere esperienze e situazioni cui l’individuo attribuisce valore positivo. Nella seconda metà del 1800 Edouard Seguin, un medico francese, guidò la prima scuola per bambini disabili, per far sì che anche loro potessero assumere il giusto ruolo nella società ed essere appropriatamente educati. Purtroppo nel corso del tempo queste scuole hanno modificato il loro obiettivo, trasformandosi in luoghi che isolavano i disabili dalla società favorendo il sovraffollamento e l’abbandono. A partire poi dagli anni cinquanta queste istituzioni sono state chiuse, e c’è stata la completa inclusione con servizi di educazione speciale e supporto alle famiglie. Questi programmi si avvicinano anche al concetto di autodeterminazione, che mira a rendere in grado le persone con disabilità di compiere scelte personali per la loro vita. Ecco allora che in questa direzione si cerca di promuovere il benessere delle persone disabili, l’obiettivo non è solo e unicamente quello di far si che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi ma è soprattutto che possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. “Fornire risposte”, “prendersi carico”, “risolvere i problemi” apparentemente aiutano il soggetto in difficoltà mentre, in realtà, sulla lunga distanza, lo impoveriscono consegnandogli sempre più un’immagine di inadeguatezza e di debolezza. Mi piacerebbe concludere quindi, riportando le parole della Prof. Iavarone la pedagogia, ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche psicosociale.
    “La felicità non la si trova negli oggetti che ci circondano,
    ma nel più profondo dell'anima”
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty capitolo 1

    Messaggio  Baldascino Concetta Lun Mag 21, 2012 1:20 pm

    Per me è difficile spiegare che cosa sia la felicità...Che cos’è la felicità? Questa è senza dubbio una domanda che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, si è posto.Come afferma Ghandi La felicità e la pace del cuore nascono dalla coscienza di fare ciò che riteniamo giusto e doveroso, non dal fare ciò che gli altri dicono e fanno.
    La felicità è quando ciò che pensi, ciò che dici, ciò che fai, sono in armonia. Io penso che la felicità sia li' davanti a noi, semplicemente siamo noi che spesso non la vediamo", è da qualche parte che cerca noi. Solo che se non ci fermiamo un momento non ci troverà mai. La vera felicità dell'uomo sta nell'accontentarsi. Chi sia insoddisfatto, per quanto possieda, diventa schiavo dei suoi desideri.
    Molta gente trascorre lintera vita alla ricerca della felicità, e non la trova mai, semplicemente perché la cerca nei luoghi sbagliati. Non puoi vedere un tramonto se guardi verso est e non puoi trovare la felicità se la cerchi tra le cose che ti circondano. Lunico elemento della tua vita che puoi cambiare x trovare la felicità è semplicemente te stesso.
    Se si vuole essere felici bisogna imparare ad apprezzare ci che si ha.. le decisioni di oggi sono le realtà di domani: ogni giorno è un nuovo inzio: ieri è solo un sogno e domani è solo una visione.
    Ma un oggi ben vissuto rende ogni ieri un sogno di felicità ed ogni domani una visione di speranza
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Ben-essere nella disabilità

    Messaggio  annalisa de flora Lun Mag 21, 2012 1:29 pm

    Non mi sono mai chiesta se ci fosse stata una definizione chiara della felicità, ma mi sono posta spesso questa domanda chè cos'è la felicità???
    Secondo alcune ricerche la felità può essere il raggiungimento di un desiderio, secondo alcune teorie contemporanee la felicità è provare ciò che esiste di bello nella vita,non si tratta di un emozione oggettiva, ma bensi una capacità di scoprire ad imparare.
    Il tema della felicità appassiona da sempre l'umanità: poeti, filosofi.scrittori e persone comuni , ognuino si trova a pensare, descrivere e cercare questo stato di grazia.
    Alcuni studiosi definiscono la felicità come una componente emoionale, altri la sottolineano come l' aspetto cognitivo e riflessivo " come il considerarsi soddisfatti della propria vita".
    La felicità a volte viene anche descritta come contentezza,soddisfazione, tranquillità, appagamento, piacere e anche divertimento.
    La felicità ha rappresentato uno dei dibattiti filosofici, religiosi, educativi per centinaia d'anni, solo recentemente le scienze sociali hanno iniziato a studiare in modo sistematico il concetto della felicità.
    Alcuni studiosi delle scienze sociali ritengono che approfondire e studiare la conoscenza delle emozioni positive sia un obiettivo superficiale rispetto alla necessità di comprendere la sofferenza umana.
    La gerarchia dei bisogni di maslow stabilisce che il più alto grado di bisogni siano condizionati dalla soddifazione dei bisogni, il concetto di felicità compare in ogni culutra, originariamente la felicità era avere un buon demone "una buona sorte" quindi la felicità era associata alla parola "fortuna".
    Con Socrate,Platone e Aristotele si iniia ad affermare che l' uomo con le sue scelte e le sue libertà può diventare felice,la felicità sta nel fatto di portare a compimento l' intera vita è per questo che in Aristotele la felicità è strettamente connessa all' etica e alle virtù, intese come azioni e attività.
    Il senso più immediato e diretto di una sensazione o emozione porta alla felicità.
    Nettle considera questo senso di felicità " felicità di primo livello" (quando le persone affermano di essere felici della loro vita)
    "La felicità di secondo livello" invece (comprende processi cognitivi più complessi)
    "la felicità di tero livello" ( riguarda una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie potenzionalità)
    Spesso i termini felicità e benessere sono stati usati in modo intercambiabile,la definizione include" il ben-essere soggettivo come l' intera soddisfazione di vita"
    oppure come "componente affettiva che a sua volta e suddivisa da affetti positivi e nagativi"
    Il bene-essere è stato definito vivere bene da un punto di vista psicologico.....
    Seligman ha proposto diverse strade che conducono alla felicità(emozioni positive circa il passato, circa il futuro)
    esiste anche una forma di felicità che passa attraverso le esperienze in cui ci troviamo impegnati nel cossidetto "flusso".
    IL concetto di flusso sviluppato da CSIKSZENTMIHALY comprende quei momenti in cui siamo concentrati su compiti stimolanti che mettono alla prova le nostre abilità, il flusso èlo stato di impegno che si verifica quando un individuo è assorbito in una sfida impegnativa, questo stato impegnativo viene esaminato come un sentiero di felicità ed espande il concetto di felicità e ben-essere, questo passaggio ha un significato particolare anche per quando riguarda la relazione educativa.
    Un educatore crea delle condizioni che rendono le persone in grado di scegliere, apprendere e quindi le porta a raggiungere un' esperienza piacevole.
    Un altro aspetto fondamentale coglie l' attenzione sul benessere nell' ambito della disabilità , molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli, queste istituzioni in parte sono cresciute grazie agli sforzi di EDOUARD SEGUIN che nel 1800 guidò la prima scuola per bambini disabili.
    Seguin promosse la visione progressiva che i bambini con disabilitò potessero essere appropriamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società.
    Il modello formativo proposto da SEGUIN si diffuse rapidamente, ma nel corso del tempo queste scuole divennero molto meno educative e più affidatarie.
    Nel corso degli anni "50 e 60" il concetto di " normalizzazione" divenne ampiamente condiviso conducendo a politiche che integravano le persone con disabilità nella società, l' obiettivo non è solo quello di far si che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi e lavarsi, ma soprattutto attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi decidono di vivere occorre dunque "fornire risposte" "prendersi carico" "risolvere problemi" in modo tale da aiutare il soggetto in difficoltà.
    Oggi la ricerca si sta spostando sull' analisi sel concetto ben-essere e felicità per persone con vari tipi di disabilità, con l' obiettivo di promuovere capacità in modo da condurre "una buona vita".
    Ci siamo mai chiesti cosa vuol dire per un disabile avere una buona qualità di vita????
    la qualità della vita comprende le esperienze di vita esterne e oggettive vissute dalle persone con disabilità in molteplici domini, essa comprende benessere- emozionale, relazioni interpersonali, benessere materiale, benessere fisico.
    Il benessere emozionale sembra quello più vicino alla felicità, secondo le scoperte di DIENER E LYUBOMIRSKY, MIGLIORARE LE CONDIZION OGGETTIVE DI VITA DELLE PERSONE CON DISABILITA' è LA GIUSTA COSA DA FARE.
    La psicologia positiva ha estrapolato la felicità dalle condizioni di vita e ha studiato il grado in cui queste due sono collegate, ritenendo che la felicità sia dovuta all' interazione di entrambi i fattori.
    Successivamente i ricercatori si sono focalizzati sull' alleviare i problemi in, persone con disabilità, persone con ritardo mentale e difficoltà di adattamento, la ricerca si è focalizzata sui modi di identificare e migliorare i comportamenti negativi e i sintomi.
    La promozione di stati positivi potrebbe aiutare le persone con disabilità ad affrontare con maggiore consapevolezza la quotidianetà.
    Spesso l' immagine pubblica che si ha delle persone con disabilitò e che esse abbiano una bassa qualità di vita, l' obiettivo politico sta nel "normalizzare" le vite delle persone con disabilità aumentando il livello della loro qualità di vita per portarle più vicine a quello delle persone non disabili.
    L'assunione di questa politica e che più partecipazione da parte dei soggetti con disabilità, non solo migliori il loro standard di vita, ma bensi il loro ben-essere soggettivo.
    Ed è proprio la pedagogia sociale che occupandosi dell' istruzione , educazione e tutelando la salute non solo fisica ma soprattutto psicosociale, non fa altro che curare il benessere e la qualità di vita del soggetto. drunken



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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty capitolo 1

    Messaggio  Baldascino Francesco Lun Mag 21, 2012 1:32 pm

    secondo me la felicità te la crei da sola se vuoi che sia autentica, non può dipendere da chi hai o non hai accanto! la felicita’ accade nel momento in cui tu stai bene con te stesso. fare un qualcosa che ti rende leggero e soddisfatto quella e’ felicita’, anche il semplice aiutare qualcuno ed essere ringraziato dona felicita’ il problema della massa e’ che ormai non vede piu’ cio’ che ha intorno.Tutti la cercano ma pochi la trovano... Tantissimi l'hanno già ma non si accorgono di averla.. Tanti si accorgono di averla avuta quando ormai non l'hanno più.. Moltissimi sono convinti dipenda dal denaro.. Molti la confondono con la serenità o l'euforia dei momenti migliori.. I materialisti credono sia il piacere.. I romantici pensano sia l'amore.. Gli ammalati dicono che è la salute.. Io dico che è la vita!!!secondo aristotele la felicità sta nella compiuta realizzazione,da parte di ogni essere,della propria natura..e poichè la natura specifica dell'uomo consiste nell'esercizio della ragione,sarà felice solo se vivrà secondo la ragione stessa ossia la virtù..realizzando così armonicamente le sue facoltà..
    la virtù come attività propria dell'uomo è la felicità stessa..la felicità più alta consiste quindi nella virtù più alta e la virtù più alta non può essere in fine altro che quella teorica cioè la sapienza,intelligenza..infatti l'intelligenza è la facoltà più alta che c'è in noi. Penso che LA FELICITA’ NON VUOLE ASSERE CATTURATA. VUOLE ESSERE ASSAPORATA E VISSUTA MA NON IMPRIGIONATA.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 8 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Valentina Caponigro Lun Mag 21, 2012 1:44 pm

    “Essere felici è un'arte che disimpariamo ogni giorno, quando mettiamo il piede in una pozzanghera e invece di ridere ci preoccupiamo delle scarpe, quando non guardiamo un arcobaleno perché dobbiamo guidare e non possiamo fermarci, quando una falena diventa un fastidio e non più qualcosa di cui meravigliarsi, quando lasciamo che il mondo diventi una preoccupazione e non qualcosa da guardare con curiosità e gioia. La felicità arriva così, ogni giorno e se non la si riconosce diventa rimpianto. Rimpianto per tutte quelle volte in cui avremmo potuto essere felici ma non lo abbiamo fatto. A essere felici ci vuole allenamento”.
    La parola felicità, intesa come condizione totale di soddisfazione, deriva da “felicitas”(felix-felicis) la cui radice “fe” significa abbondanza, ricchezza, prosperità. Occupa un posto di rilievo nelle dottrine morali dell'antichità classica, tanto è vero che si usa indicarle come dottrine etiche EUDEMONISTICHE(dal greco eudaimonìa).Ancor prima tale parola derivava da “buon demone”, quindi significava avere un buon demone, una buona sorte. Con Socrate, Platone ed Aristotele la parola felicità si carica di significati nuovi: in Socrate,attraverso il “Conosci Te Stesso”, capendo cos’è bene e cos’è male si arriva alla conoscenza degli altri e della vita nella polis; da qui l’idea di felicità, intesa come l’esser buoni e saggi e quindi virtuosi. In Platone si arriva alla concezione che la vita buona dell’uomo debba essere mista di piacere e pensiero; infine, con Aristotele, ogni arte, ogni ricerca, ogni azione, ogni scelta, mira infatti ad un fine, ovvero ad un bene, che viene definito come "ciò a cui tutto tende" e la felicità è proprio il fine ultimo, il bene supremo, che si basa nel praticare al meglio ciò che distingue gli uomini dagli altri esseri. Tutti gli uomini hanno un’idea della felicità perché tutti ne hanno avuto esperienza e ne hanno avvertito la mancanza. Tutti hanno memoria di uno stato soggettivo, associato ad una certa condizione oggettiva, che definirebbero felice. Come recita una famosa frase “tutti desiderano essere felici”. La felicità è un qualcosa di primario che fa parte dell’uomo e nasce con l’uomo, è un’esperienza che fa parte del vivere e dell’essere nel mondo. La felicità deve essere il trainante della nostra vita. Nettle parla di tre possibili definizioni di felicità: si può essere felici per un evento che si è verificato inaspettatamente o che si attendeva con ansia, con desiderio (felicità di primo livello); si può essere felici riflettendo e facendo un bilancio sulle proprie sensazioni, quindi l’appagamento o la soddisfazione (felicità di secondo livello); si può essere felici quando si prospera e si realizza la propria personalità (felicità di terzo livello).Esempi di felicità che potrei citare conosciuti a lezione sicuramente il signor Vincenzo Palladino, non vedente, ma carico di una forza d’animo e d’ironia straordinaria, o ancora la signora Tina, che dopo aver subito delle operazioni sbagliate, ha rischiato la vita. Sembra un paradosso poter pensare che la felicità risieda in loro, nonostante le difficoltà che quotidianamente si trovano ad affrontare, eppure è emerso questo, anche dalle loro parole: la felicità è essere ancora qui, poter fare una passeggiata, poter abbracciare i propri cari, poter ancora vivere cercando uno spiraglio, qualcosa a cui aggrapparsi, perché la vita è una e non va sprecata. Ancora il dottor Nello Ronga che, dopo la morte della moglie, si è dedicato agli altri costruendo la propria felicità attraverso la costruzione di una casetta per ospitare i parenti dei ricoverati: esempio da ammirare.
    L’organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che sia la salute la condizione di ben-essere psicologico, fisico e sociale. Ancora, Seligman ha proposto diverse strade per il raggiungimento della felicità: una persona può essere felice ripensando al passato e pensando al futuro con speranza ed ottimismo (“la vita piacevole) , o Csikszentmihalyi che ha sviluppato il concetto di “flusso”, comprendente quei momenti in cui si è concentrati su compiti stimolanti che mettono alla prova le abilità, riceviamo feedback, abbiamo senso del controllo, emozioni limitate e perdiamo traccia nel tempo. Le teorie contemporanee sulla felicità includono anche quelle sviluppate dalla psicologia positivista, ossia riuscire ad integrare la teoria del flusso appena accennata con concetti del ben-essere. Ciò porta a farci riflettere anche sul possibile ruolo che gli insegnanti dovrebbero avere nell’educazione dei bambini: un insegnate, un educatore, che rende l’apprendimento piacevole sta già a metà del suo percorso, pone le basi per attivare la curiosità e l’interesse. Partendo da un esame critico dell'economia del benessere, Sen ha sviluppato un approccio radicalmente nuovo alla teoria dell'eguaglianza e delle libertà. In particolare, Sen ha proposto le due nuove nozioni di capacità e funzionamenti come misure più adeguate della libertà e della qualità della vita degli individui. Sen elabora la teoria dei funzionamenti che si basa sulla realizzazione di certe dimensioni oggettive, definite come stati di fare o di essere, che sono dei risultati acquisiti dall'individuo su piani come quello della salute, della nutrizione, della longevità, dell'istruzione. Analizza la possibilità di vivere esperienze o situazioni cui l’individuo attribuisce valore positivo. Inizialmente, per coloro che si occupavano della disabilità non era questa, però, la maggiore preoccupazione. Non molto tempo fa molti bambini e adulti con disabilità sono stati assistiti in alcune istituzioni con finalità caritatevoli; tutto ciò promosso da Seguin, un medico francese. Egli infatti capisce che la disabilità non è una malattia e che è necessario approcciarsi ad essa con l’intenzione di ripristinare l’equilibrio tra le risorse residue, elaborando un trattamento terapeutico ed educativo che comprenda: l’educazione sensoriale, la conoscenza intellettuale - per le quali elabora svariati esercizi di difficoltà crescente - e l’esperienza morale. Sèguin fa un passo in più ritenendo necessaria per queste persone un’educazione uguale a quella degli individui ritenuti normali, da qui la necessità di lavorare anche sul piano intellettivo e morale. Sostiene la necessità di una relazione attiva capace di condurre la persona all’esercizio della propria volontà e all’inserimento in un contesto lavorativo, anche se semplice. Nel 1839 fonda la prima scuola per l’educazione integrale dei disabili. Séguin collega i bisogni elementari, quotidiani (cibo, vestiti, pulizia , ecc.)alla possibilità di fare ricerca: a partire proprio dalla storia degli oggetti c’é la possibilità di imparare di più e meglio. Séguin vuole collegare educazione e contesto: ritiene importante la ricerca di informazioni (per collegare l’educazione alla storia delle persone) e l’organizzazione dell’ambiente di vita, in modo che diventi uno stimolo per lo sviluppo cognitivo; inoltre distingue tra aiuto e interferenza, tra dare un appoggio per far crescere e sostituirsi all’altro. Si impegna a cercare l’originalità (quindi capacità, gusti, desideri) di ciascuno, anche delle persone che hanno un deficit. Riconosce l’importanza di conoscere la storia dei singoli, l’importanza degli scambi con le altre persone, l’importanza del riconoscimento reciproco per poter comunicare e imparare insieme. Séguin collega, quindi, la pedagogia speciale alla pedagogia generale e sostiene che i problemi posti dall’educazione dei bambini e bambine mettono alla prova i metodi e l’educazione per tutti. Anche M.L Iavarone sostiene che la pedagogia, in particolare quella speciale, ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ed educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo fisico e psico-sociale. Significativo quest’approccio, finalmente un rilancio dell’autonomia di queste persone, un permettergli di vivere alla “pari” dei normodotati, un volersi concentrare su di loro e sulle loro capacità. A lezione abbiamo incontrato i non vedenti dell’Univoc, persone straordinarie, che hanno creato un’associazione dedita a loro: anch’essi combattono ogni giorno per far valere i diritti dei non vedenti, per combattere contro l’indifferenza che ormai dilaga, denunciando ciò che li limita e volendo abbattere le famose Barriere Architettoniche. Ci deve essere un impegno da parte di tutti, e sperare che un giorno tutto questo non sia rimasto soltanto parola.

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