Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Rachele Di Tuccio
    Rachele Di Tuccio


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Rachele Di Tuccio Gio Mag 17, 2012 3:44 pm

    La pedagogia e in particolare la pedagogia speciale, ha a cuore il benessere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale. (Iavarone, 2008) Ho deciso di scegliere come argomento da trattare in questa prova, il primo capitolo del libro Ben-essere disabili, poiché dal primo momento mi ha affascinato il titolo, Ben-essere nella disabilità. Un libro che cerca di promuovere, così come fa intendere lo stesso titolo, il benessere delle persone disabili, un benessere considerato non solo come uno stato individuale ma come un progetto dinamico da condividere con gli altri e considerandolo anche come una dimensione strettamente determinata dalla capacità di autonomia.
    Questo concetto di benessere, si pone l’obiettivo di promuovere le capacità nel condurre una buona qualità della vita, comprendendo le esperienze esterne, coltivando ciò che è meglio per se stessi, analizzando le soddisfazioni interne e approfondendo lo studio della felicità per le persone con vari tipi di disabilità. Questo stato di benessere, soprattutto nella sua forma più intensa come la gioia ha rappresentato per molti anni la base dei dibattiti filosofici, religiosi ed educativi. Molte ricerche rendono evidente come l’essere felici abbia avuto e ancora oggi continua ad avere delle grandi ripercussioni positive sul comportamento, sulla psicologia cercando di alleviare delle malattie e dei malfunzionamenti (Myers), sulla conoscenza delle emozioni positive che rappresentano un obiettivo fondamentale (Seligman), sui processi cognitivi nonché sul benessere generale della persona. Ma cos’è realmente la felicità? E’ un concetto quello della felicità che non ha una precisa definizione, ma io direi che presenta delle caratteristiche che maggiormente sono relative alla propria personalità. Facendo riferimento alle origini della parola dobbiamo tener conto dell’Eudaimonia, poiché la felicità era strettamente legata alla fortuna, era avere un buon demone, mentre con Socrate, Platone e Aristotele si inizia ad affermare che l‘uomo con le sue scelte e con la sua libertà, anche contro la sorte, può diventare felice, quindi la parola eudaimonia, il vivere bene, acquisisce nuovi significati. Elementi fondamentali della nostra vita e che danno sicuramente valore alla nostra esistenza, sono le emozioni e le sensazioni che provocano qualcosa come gioia e piacere. Nel momento in cui questo determinato tipo di sensazione provoca il raggiungimento di uno stato molto desiderato, secondo Nettle è definito senso di felicità di primo livello. Quando invece a predominare non sono tanto le sensazioni quanto i giudizi sul bilancio tra i piaceri e i dolori, quindi tra le emozioni positive e le emozioni negative, questa viene definita come felicità di secondo livello. Ed infine quando la persona nella propria vita riesce a realizzare le proprie vere potenzialità, questo tipo di felicità rappresenta la felicità di terzo livello.
    Come afferma Seligman la buona vita consiste nell’usare le proprie forze in modo efficiente, positivo nel lavoro, nelle relazioni, nel tempo libero e in tutte le cose che ci caratterizzano. Condurre una vita piacevole relativa alla felicità autentica, usando le proprie forze al servizio di qualcosa di più grande, trovando significato e scopo nella vita. Come integra anche Dykens, la vita acquisisce significato nel momento in cui le persone applicano le proprie forze e virtù nelle varie attività, contribuendo nello sviluppo di un bene ancor più grande come: servire la comunità, coltivare le amicizie, gestire le proprie scelte e adottare comportamenti come l’ottimismo, la perseveranza e l’autodeterminazione, che conducono alla felicità. Riferendomi a questo tipo di felicità e ricordando i vari laboratori svolti mi ricollego a quelli che per me sono grandi esempi di forza, ne cito due, Simona Atzori e Oscar Pistorius, il coraggio, l’umanità, la temperanza, il valore e la spiritualità con cui hanno reso la loro vita non monotona, non priva di senso, ma contribuendo personalmente a renderla un vero e proprio capolavoro, mettendo alla prova le loro abilità, è veramente straordinario. Grandi esempi ma anche validi educatori, poiché l’obiettivo principale dell’educazione è quello di favorire l’adozione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita per essere in grado di gestire le propria quotidianità. Ghedin dice che l’individuo nel corso della sua vita, acquisisce e integra le informazioni dall’ambiente esterno, e questo permette di prestare attenzione a quelle che sono le risorse e i processi di crescita. Ogni persona ha un suo modo originale di vedere, toccare, ascoltare, pensare e quindi questo significa che tutte le persone hanno delle potenzialità per decidere di essere ciò che si vuole, e in questo caso l’educazione permette l’avviarsi di questo processo attraverso la creazione di un ambiente facilitante, in cui i protagonisti della relazione possono sentirsi coinvolti e diretti verso uno sviluppo positivo. Questi concetti di autodeterminazione, di adattamento, in particolar modo assumendo comportamenti che facilitano l’indipendenza mirando a rendere, secondo Wehmeyer, in grado le persone con disabilità a compiere scelte personali per la loro vita. Questo approccio della capacità di autonomia è strettamente collegato al benessere delle persone disabili, queste persone attingendo alle loro forze, alle loro potenzialità e attraverso anche l’aiuto esterno degli educatori, sono capaci di vivere a pieno la vita che essi scelgono di vivere. La capacità di saper interpretare i propri bisogni, di saper perseguire i propri desideri, i propri progetti sono solo alcune delle fondamentali condizioni per raggiungere un benessere personale e sociale. Un benessere che, ricollegandoci alle considerazioni iniziali della professoressa Iavarone, non è concentrato sul fattore economico o fisico, ma è uno stato che presenta molte componenti, molte direzioni e molte dimensioni. Nell’ambito della disabiltà una figura molto importante è la famiglia. I genitori rappresentano un punto forte, e pur tenendo conto delle varie difficoltà che possono presentarsi, devono comunque procedere in una direzione positiva, sviluppare l’interesse per l’adeguato funzionamento, i genitori di bambini con una disabilità passano attraverso periodi molto lunghi di stress rispetto ad altri genitori ma è importare gestirli e superarli per migliorare la qualità di vita della persona disabile. Contribuendo alla realizzazione di un suo diritto, quindi a quello che sarà il suo vero e proprio benessere.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Antonia Manguso Gio Mag 17, 2012 3:49 pm

    Cap. 1 “Ben-essere nella disabilità”

    La vita di molti oggi verte su un’affannosa ricerca della felicità, nella convinzione che essa consista nella realizzazione dei propri obiettivi, desideri e capacità. Per me felicità equivarrebbe a star bene con me stessa e di conseguenza con gli altri e con l’ambiente in cui vivo. Per definirmi FELICE mi “basterebbe” svegliarmi ogni mattina con la consapevolezza che sto vivendo la miglior vita possibile in relazione alla mia personalità, alla mia forza, alle mie attitudini.
    Il tema della felicità risulta essere ancora oggi un concetto sul quale si dibatte molto. Basti pensare che è presente in ogni cultura sin dai tempi del mito e del mondo pre-socratico. Certo è che, però, nel corso dei secoli il termine ha subito piccole e grosse sfumature di significato, a seconda dei luoghi e dei tempi in cui ad esso si è fatto ricorso. Ad esempio, vi sono lingue che fanno distinzione tra una felicità di tipo immediato, quale gioia e piacere, ed una felicità più duratura, quale è la soddisfazione o l’appagamento. O ancora, pensiamo all’accezione che la parola aveva prima di Socrate: felicità valeva come “buona sorte” ( “eudaimonia” : eu – buono; -daimon- demone : esser con un buon demone), significato, quest’ultimo, che si è mantenuto nella lingua tedesca ed in quella inglese. Con l’avvento poi di Socrate, Platone ed Aristotele, il senso della parola “eudaimonia” è andato oltre al concetto di sorte, implicando il fatto che l’uomo può essere felice anche grazie alle sue scelte e alla sua libertà.
    Nettle prova a definire la felicità classificandola su tre livelli: 1) “primo livello”: sensazione provocata dal raggiungimento, talvolta inaspettato, di uno stato desiderato. È una felicità immediata e diretta, definibile come gioia o piacere; 2) “secondo livello”: sensazione che porta all’appagamento e alla soddisfazione. Riguarda i giudizi sul bilancio delle sensazioni che si sono provate e si provano circa la propria vita; 3) “terzo livello”: realizzazione delle proprie vere potenzialità. Rispecchia l’ideale del vivere bene.
    Altri studi sulla felicità hanno portato allo sviluppo di diverse teorie. Ricordiamo il concetto di “flusso”, secondo il quale quando siamo concentrati ed assorbiti da compiti stimolanti che mettono alla prova le nostre abilità, noi abbiamo senso del controllo, emozioni limitate e perdiamo traccia del tempo. Ancora, ricordiamo gli studi di Peterson e Seligman, i quali ritengono che la felicità consista nell’individuare i talenti personali ed usare le forze a disposizione per metterli in pratica. Da citare sono anche le teorie di “felicità eudonica” e di “felicità eudamonica”, sviluppate dalla psicologia positiva. La prima consiste nel dar maggior rilievo alle esperienze piacevoli e alle gratificazioni rispetto alle esperienze dolorose. La seconda, invece, consiste nella realizzazione, da parte dell’individuo, del proprio potenziale e nell’affermazione di quello che è il vero sé.
    La felicità, però, non è l’unica componente che porta al ben-essere. Infatti la psicologa Ryff sostiene che è necessario un insieme di elementi per raggiungere questo stato tanto agognato. Gli elementi in questione sono: crescita personale, finalità, padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi. Ben-essere significa “vivere bene” sotto diversi punti di vista: psicologico, spirituale e fisico.
    È questo il concetto che la Iavarone vuole esprimere quando scrive che il ben-essere cambia nei diversi “tempi” della vita e nei suoi diversi “luoghi”. Esso, infatti, dipende sia dalle condizioni di vita e salute, sia dalla qualità e lo stile del tempo libero, del lavoro, dell’ambiente che si frequenta.
    Quesiti che ora sorgono spontanei sono: può (godere di) “ben-essere” anche una persona con disabilità? Può un disabile avere una buona qualità della vita? La risposta che darei io a queste domande è: DEVE essere così!
    Per far sì che la vita di un soggetto con difficoltà goda di alta qualità, è importante che egli sviluppi le proprie capacità e potenzialità. Per vivere la vita che egli desidera per sé, non deve concepirsi come soggetto impotente ed inadeguato. La Iavarone a tal proposito sottolinea quanto il ben-essere non debba essere inteso esclusivamente come buona condizione fisica ed economica, ma come stato complesso, nel quale interagiscano diverse componenti, diverse direzioni, diverse dimensioni.
    Certamente non risulta facile vivere bene quando si vive una situazione di disabilità. Lo dimostrano diversi studi condotti sulle famiglie di persone disabili, le quali si trovano a convivere con stati di stress più forti e frequenti della media. Ma è pur vero che la società di oggi fa il possibile per mettere a disposizione servizi ed ausili che migliorino la vita di chi ha difficoltà. Basti riflettere sui grossi aiuti che la tecnologia ha messo al servizio di tale fine; e vari, in questo senso, sono gli esempi che ci sono stati presentati nel corso delle lezioni svolte in aula. Mi vien da pensare a Pistorius e alle sue “magiche” protesi, penso alla domotica e a quanto essa sia di utilità per sviluppare il senso di indipendenza del disabile. Ma penso anche a chi, di contro, non ha scelto di sopperire alle proprie mancanze fisiche con corpi che giudicherebbe estranei a sé.
    In fin dei conti, io ritengo che, indipendentemente dalle scelte che ognuno fa, l’unico obiettivo comune da perseguire è quello di non privare nessuno della possibilità di essere felice ed autonomo. Tutti devono godere della libertà di esprimersi in base alle proprie potenzialità e attitudini.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty capitolo primo

    Messaggio  francypetraglia Gio Mag 17, 2012 4:38 pm


    CAPITOLO PRIMO "ben-essere nella disabilità"

    Nelle culture contemporanee le persone sono in continua ricerca di metodi sempre più utili per diventare felici. Ma che cos’è la FELICITA’ ?
    Il concetto di felicità compare in ogni cultura ma assume significati diversi a seconda di come la si considera, distinguendola da qualcosa di estremamente immediato come la gioia e il piacere e qualcosa di più durevole come la soddisfazione e l’appagamento.
    Etimologicamente la parola felicità deriva dal greco eudaimonia che significa “buon demone” ossia avere una buona sorte ritenendo di conseguenza che l’uomo con le sue scelte possa diventare felice anche contro la sorte.
    Molte ricerche hanno trovato una stretta correlazione tra la qualità della vita di un individuo e il benessere fisico, psicologico e sociale.
    Il benessere è stato definito come “ un vivere bene, da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica “.
    Ciò implica che più una persona è felice e più la qualità della sua vita tende ad essere migliore e questo è determinato anche dal contesto familiare e sociale nel quale essa vive.
    In base a quanto detto si è ipotizzato che vi possa essere una stretta correlazione tra felicità, benessere e ambiente circostante, nel senso che gli individui non sono di per se svantaggiati lo diventano se si ritrovano in un ambiente sociale o culturale non favorevole.
    Ogni essere umano infatti nasce con qualcosa di nuovo, ma soprattutto nascendo ha la “capacità di ben-essere” e questo significa che tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo.
    Un esempio di come si possa nascere con la capacità di benessere e come poi lo si possa utilizzare per migliorare la propria qualità della vita lo ritrovo in Simona Atzori nata senza braccia e nonostante ciò, attraverso la danza, è riuscita ha ritrovare il suo senso di benessere e felicità.
    L’ importanza del benessere psicologico e sociale la possiamo evidenziare nelle ricerche condotte sui bambini disabili.
    Proprio infatti nella prima metà del 1800 un medico francese Edouard Seguin promosse la sua idea progressista in base alla quale i bambini con disabilità potessero essere educati in modo appropriato ed inseriti in modo idoneo nella società.
    Ciò portò al progressivo passaggio da un concetto di disabilità da tenere ai margini della società perché considerata pericolosa alla sua normalizzazione.
    L’ obiettivo da perseguire non è solo quello di fare in modo che queste persone siano in grado di compiere in maniera autonoma le azioni di tutti i giorni, ma soprattutto che essi sappiano riconoscere e sfruttare al meglio le proprie potenzialità.
    …”Ma che cosa occorre ad una persona con disabilità per vivere una vita felice e soddisfacente?
    Diversi sono stati i filoni di ricerca che hanno cercato di dare una risposta a questa domanda, focalizzando l’attenzione in particolare su soggetti con ritardo mentale, analizzando di essi non solo la qualità della vita ma anche la loro personalità e il contesto familiare.
    I ricercatori ritengono che la qualità della vita di un soggetto disabile comprende non solo le esperienze di vita esterne vissute da quest’ultimo ma anche il feedback positivo che essa ha determinato.
    Per quanto riguarda il fattore personalità, si è osservato che i bambini con ritardo mentale,rispetto ai loro compagni della stessa età, avevano minori aspettative di successo, bassa motivazione alle sfide e si affidavano molto di più agli altri invece che a se stessi per la soluzione di problemi.
    Infine la ricerca sulle famiglie con un membro disabile ha dimostrato che la nascita di un bambino con disabilità viene vissuta come un evento angosciante e luttuoso ed in particolare le madri prima di adattarsi al trauma di avere un bambino disabile, attraversano diversi stadi: shock, disorganizzazione emotiva, stress…
    Recentemente però alcune indagini hanno dimostrato che lo stress può anche non esservi lì dove la famiglia accetta positivamente questo evento.
    Infatti un’ analisi condotta su circa 60 libri scritti da genitori di figli disabili ha portato alla luce che per la maggior parte di essi la disabilità dei loro figli aveva aggiunto qualcosa alle loro vite, rendendole ancor di più ricche di significato.
    Nell’ ambito della disabilità e non solo, la famiglia ha un ruolo fondamentale in quanto i legami familiari sono determinanti per una migliore qualità della vita.
    Ma ciò non basta, infatti per migliorare la loro qualità della vita nel Regno Unito è stato emanato il Disability Discrimination Act e in Italia la legge 104/92 per offrire alle persone con disabilità gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone non disabili.
    L’ obiettivo è quello di normalizzare le vite delle persone con disabilità e ottimizzare la qualità della loro vita.
    Questo sta a dimostrare che la partecipazione sociale delle persone disabili, non solo migliora la loro vita,ma anche il loro ben-essere soggettivo. Purtroppo però,pur esistendo questa legge,i disabili incontrano ancora molti problemi.
    Dall’ incontro con l’U.N.I.Vo.C ,ad esempio,mi sono resa conto di come in questo caso i non vedenti continuino ad avere numerose difficoltà che gli impediscono di vivere in maniera autonoma la propria vita e sono costretti quindi ad essere sempre accompagnati da qualcuno che gli possa fare da guida.
    Purtroppo ancora oggi continuano ad esserci enormi disagi, come le barriere architettoniche e la mancanza di senso civico da parte della cittadinanza che penalizzano i soggetti disabili, nonostante i loro numerosi sforzi per migliorare la loro qualità della vita.
    Il diritto a star bene è un diritto che può essere esercitato se le persone vengono aiutate a ricorrere alle proprie risorse ossia aiutandole ad acquisire delle “abilità” che possano determinare il proprio stato di ben-essere.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  erica caputo Gio Mag 17, 2012 5:09 pm

    L'uomo ha delle necessità primarie, secondarie e sovrastrutturate, di solito l'appagamento di queste necessità e il raggiungimento dell'obiettivo dettato da un bisogno procura gioia da cui deriva anche la felicità. La felicità studiata sotto il profilo dei bisogni (primari, secondari, ecc) porta a valutazioni e definizioni non solo psicologiche e filosofiche diverse, ma anche materiali, per questo motivo la felicità è stato ed è studio di ogni scienza umanistica. Rimane chiaro che la divisione è fatta per chiarire le varie componenti di quello che è lo stato della felicità della persona, ma essendo l'uomo una unità indissolubile di psiche-corpo-spirito è chiaro che si parla sempre di tutte le componenti che si influenzano tra di loro. Le emozioni sono componenti fondamentali della nostra vita, da esse, sovente, traiamo gli stimoli che muovono le nostre giornate. Seppure ogni singola emozione sia importante e permetta a chi la sperimenta di sentirsi vivo, l'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità . Quest'ultima è data da un senso di appagamento generale e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo sperimenta. Questo stato di benessere, soprattutto nella sua forma più intensa - la gioia - non solo viene esperito dall'individuo, ma si accompagna da un punto di vista fisiologico, ad una attivazione generalizzata dell'organismo. Molte ricerche mettono in luce come essere felici abbia notevoli ripercussioni positive sul comportamento, sui processi cognitivi, nonché sul benessere generale della persona. Ma chi sono le persone felici? Gli studi che hanno cercato di rispondere a questa domanda evidenziano come la felicità non dipenda tanto da variabili anagrafiche come l'età o il sesso, né in misura rilevante dalla bellezza, ricchezza, salute o cultura. Al contrario sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative alla personalità quali ad esempio estroversione, fiducia in se stessi, sensazione di controllo sulla propria persona e il proprio futuro. Il tema della felicità appassiona da sempre l'umanità: scrittori, poeti, filosofi, persone comuni, ognuno si trova a pensare, descrivere, cercare questo stato di grazia. Per tentare di definire questa condizione alcuni studiosi hanno posto l'accento sulla componente emozionale , come il sentirsi di buon umore, altri sottolineano l'aspetto cognitivo e riflessivo , come il considerarsi soddisfatti della propria vita. La felicità a volte viene descritta come contentezza, soddisfazione, tranquillità, appagamento a volte come gioia, piacere, divertimento. La felicità e quello che significa vivere una buona vita ha rappresentato la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni. Nelle culture contemporanee le persone stanno cercando metodi sempre più utili per diventare felici. Tuttavia solo recentemente le scienze sociali hanno iniziato in modo sistematico a studiare il concetto di felicità. Per esempio la psicologia. Alcuni studiosi delle scienze sociali ritengono che studiare e approfondire la conoscenza delle emozioni positive sia un obiettivo superficiale rispetto alla necessità di comprendere la sofferenza umana. La gerarchia dei bisogni di Maslow ha contribuito a questa scuola di pensiero dal momento che essa stabilisce che il più alto grado di bisogni come l’ autostima e l’ attualizzazione sono condizionati dalla soddisfazione dei bisogni di ordine più basso come la sopravvivenza, la sicurezza, l’ appartenenza. L’ implicazione quindi è che i bisogni di ordine inferiore nella gerarchia dovrebbero avere la precedenza sui bisogni di ordine superiore. Il concetto di felicità compare in ogni cultura. La parola felicità deriva da : felicitas, deriv. felix-icis, "felice", la cui radice "fe-" significa abbondanza, ricchezza, prosperità. Con Socrate, poi Platone e infine Aristotele la parola si carica di nuovi significati, e si inizia ad affermare che l’ uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice anche contro la sorte. La felicità è infatti connessa al portare al compimento l’ intera vita, non con il piacere che si prova nell’ attimo fuggente. Per questo in Aristotele la felicità è strettamente connessa all’ etica e alle virtù . i suoi sinonimi sono termini come appagamento e soddisfazioni. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha indicato la promozione della salute come obiettivo principale della medicina, e ha definito la salute come luna condizione de ben-essere fisico, psicologico e sociale. Spesso i termini felicità e ben-essere soggettivo sono stati usati in modo intercambiabile con il secondo che rappresenta il temine più scientifico tra i due. Il ben-essere soggettivo include sia una componente cognitiva che valuta l’ intera soddisfazione di vita e sia una componente affettiva che è a sua volta suddivisa nella presenza di affetto positivo e nell’ assenza di di affetto negativo. A livello individuale, le caratteristiche positive personali come il ben-essere soggettivo, l’ottimismo , la felicità, la perseveranza, e l’autodeterminazione sono fattori che contribuiscono al ben-essere. Questo considera la soddisfazione delle proprie esigenze e anche il conseguimento di funzionamenti che variano anche considerando la cultura di riferimento. Di conseguenza diversi gruppi o categorie di persone anche con il ruolo di cittadini hanno la possibilità di accedere in modo diverso al sistema culturale, e implica anche una qualità diversa di accesso al ben-essere da parte di questi gruppi di cittadini attraverso un allargamento o una restrizione delle opportunità di identificare e di conseguire i funzionamenti in ambito educativo, professionale, sociale e personale. In questo piano viene portata in primo piano la relazione tra ben-essere del singolo e sviluppo della collettività. Infatti l’ indipendenza tra individuo e sistema culturale è un dato inequivocabile e strutturale alla natura umana. Inoltre, in quanto esseri viventi, tendiamo alla complessità ( Ghedin 2004) da un punto di vista biologico, psicologico e sociale. L’ individuo nasce infatti con un corredo genetico e nel corso della vita costruisce il suo corredo culturale attraverso l’ acquisizione di informazione dall’ ambiente esterno. Dal punto di vista psicologico seleziona, acquisisce e integra le informazioni ambientali che incontra continuamente nel corso della sua vita. Il ben-essere è concepito come un concetto soggettivo, confuso e vago ha fatto si che la psicologia, in quanto scienza, trascurasse le sue analisi per molti decenni. Nattle dice che è sicuramente una categoria rozza, popolare, buona per spettegolare al bar , ma che trova spazio negli eruditi articoli di ricerca. Tuttavia afferma che se le persone passano molto tempo a riflettere sulla nozione de benessere e di felicità allora questo è un buon motivo per studiarle. Ma quale condizione si viene a creare nel sentimento che noi chiamiamo benessere? La nostra società ricca offre tanti piaceri che velocemente diventano effimeri. Infatti, non appena cala la stimolazione che ha portato al piacere, quest’ultimo finisce del tutto . molte analisi della natura del ben-essere rappresentano una o l’ altra variazione sul tema che le persone sono felici quando ottengono quello che vogliono. L’ obiettivo è quello di approfondire la conoscenza sul ben-essere non ignora la sofferenza umana ma tenta di pervenire e alleviare la sofferenza attraverso la promozione di una buona salute, resilienza e crescita psicologica. Per questi motivi lo studio del be-essere e della felicità può essere considerato un obiettivo scientifico credibile e valutabile. Inizialmente la maggiore preoccupazione di coloro che si occupavano di disabilità non era certo promuovere il ben-essere delle persone disabili come possibilità di vivere esperienze e situazioni cui l’ individuo attribuisce valore positivo. Molto tempo fa, infatti, molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti con finalità caritatevoli. Seguin, un medico francese guidò la prima scuola per bambini disabili, promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società. Il modello formativo di scuola si diffuse rapidamente, ma nel corso del tempo queste scuole cambiarono drasticamente il loro obiettivo. Con la costatazione che gli studenti non venivano curati, le scuole divennero molto meno educative e più affidatarie. Allo stesso tempo si sono sviluppati servizi di educazione speciale e supporto famiglie, e programmi basati sulla comunità che mirano a incontrare i bisogni materiali degli adulti. Questi programmi si avvicinano anche al concetto di autodeterminazione, che mira a rendere in grado le persone con disabilità di compiere scelte personali per la loro vita. ecco allora che in questa direzione si cerca di promuovere il benessere delle persone disabili, considerando una dimensione strettamente determinata alla capacità di autonomia. Tuttavia c’ è da dire che nella determinazione dello stato di be-essere di una persona l’ aspetto relazionale risulta strategico soprattutto in rapporto al modo con cui si guarda alla vita e ai rapporti che si costruiscono e si coltivano. Tale approccio, sostenuto in ampia misura dalla psicologia positiva, afferma l’ importanza di considerare il be-essere, non come uno stato individuale, ma come un progetto dinamico da condividere con gli altri. Costruire a partire dai soggetti e dalla forza che essi esprimono, piuttosto che dalle loro debolezze, si conferma come una sostanziale inversione di tendenza rispetto al modo di concepire l’ intervento in termini tradizionali, che consegnava al soggetto un senso di impotenza e inadeguatezza rispetto al problema. L’ obiettivo non è solo e unicamente quello di far sì che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi, ma e soprattutto, possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgano di vivere. L’ aiuto esterno dell’ operatore dovrebbe consistere nell’ impalcatura relazionale. Inoltre recentemente l’ attenzione si è spostata anche sui fattori che differenziano le famiglie che superano la nascita di un figlio con disabilità. Si ritiene importante infatti, lo studio dell’ impatto di una disabilità sull’ efficacia delle strategie di coping dell’ unità familiare e estendere il concetto delle percezioni positive come meccanismo di coping a livello della famiglia. I genitori dei bambini con disabilità passano attraverso periodi prolungato di stress rispetto agli altri genitori. Ma come per ogni altro bambino, la famiglia e anche i sistemi ambientali influenzano lo sviluppo di un bambino con disabilità. Nell’ ambito della disabilità la ricerca sulla famiglia sta quindi procedendo nella direzione della positività. Diverse famiglie hanno sviluppato percezioni positive relativamente alla crescita di un bambino con disabilità e hanno percezioni positive che li portano ad avere una migliore qualità della vita familiare e ad avere l’obiettivo di realizzare il pieno potenziale dei loro figli. La pedagogia ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Felicita come meta da raggiungere?

    Messaggio  Maria Improta Gio Mag 17, 2012 6:57 pm

    Tutti la cercano, tutti la desiderano, tutti la sognano, ma quante persone possono dire di essere felici? E soprattutto cos’è la felicità? Molti, troppi, erroneamente credono che essere felici, sia un obiettivo da raggiungere, attraverso le cose belle e di valore economico possedute, con lo svolgere un buon lavoro, ma in realtà non è solo questo, perché queste purtroppo sono cose passeggere, momenti di vita che possono passare , o addirittura non bastare per un periodo duraturo di felicità. La felicità dipende da noi e solo da noi, dal nostro atteggiamento mentale con cui affrontiamo ogni situazione quotidiana.
    Sin dai tempi più antichi le persone cercavano metodi utili per raggiungere la felicità, ma solo recentemente gli studi scientifici si sono soffermati sul concetto di felicità, infatti va ricordato il lavoro degli psicologi, focalizzato sull’alleviare le malattie mentali, per far stare il paziente meglio sia con se stesso che con gli altri. La prima tappa per il raggiungimento della felicità è la soddisfazione dei propri bisogni, che porta così ad una condizione di appagamento , sicurezza e appartenenza. In antichità si parlava di parlava di Eudaimonia, che deriva da “buon demone”, la felicità era avere un buon demone, una buona sorte, infatti prima la felicità era legata al concetto ci fortuna. Con Platone Aristotele e Socrate , il termine eudaimonia, assume nuovi significati, si afferma così che l’uomo con le sue scelte e la sua libertà può diventare felice, anche contro la propria sorte.
    La felicità è un concetto che compare in ogni cultura, ma viene interpretato in modo diverso, infatti alcuni pensano la felicità come qualcosa di immediato, come la felicità o il piacere, altri invece pensano che sia qualcosa di più duraturo e significativo come la soddisfazione e l’appagamento. In realtà non vi è una vera e propria definizione di felicità, infatti la si è cercata per molto tempo, ma il vero significato non è mai stato trovato, anche perché la felicità può essere vista come una cosa molto soggettiva che può cambiare da soggetto a soggetto. Il raggiungimento della felicità è un cammino molto complesso e talvolta tortuoso, non a caso si dice che per raggiungere un vero e proprio PERIODO felice si debba prima costruirlo attraversando purtroppo periodi più duri.
    Si deve fare attenzione a distinguere un periodo di gioia con un periodo di felicità, perché mentre la gioia è un qualcosa di immediato e destinato a finire presto, il cosiddetto attimo fuggente, la felicità è un periodo più lungo, ma sempre limitato, per essere completamente e per eterno felici, infatti, non dovrebbero esistere problemi, ma tuttavia senza alcuna fatica e alcun tipo di problema non si riuscirebbe ami a godersi e apprezzare un buon periodo di felicità.
    Secondo Nettle vi sono tre livelli di felicità, il primo livello di felicità consiste nell’appagamento del desiderio, la sensazione che si prova quando si raggiunge un traguardo importante, desiderato, è immediato e quindi si rivela come gioia; Il secondo periodo di felicità consiste nel fare un bilancio nella propria vita e capire quanti periodi sono stati felici e quanti tristi, una persona può ritenersi felice non perché prova costantemente gioia o piacere, ma può ritenersi tale poiché dopo il bilancio suddetto si accorge che ha trascorso più periodi felici rispetto ai periodi tristi, avendo così sensazioni di appagamento e soddisfazione;Il terzo livello di felicità lo riscontriamo nell’ideale aristotelico del vivere bene, viene spesso tradotto con il termine “felicità”. Per eudaimonia (ideale del vivere bene), si intende l’uomo che prospera e realizza le proprie potenzialità.
    Un ulteriore tassello che serve per il raggiungimento della felicità è anche la condizione di Ben-Essere Psicofisica, come afferma L’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS).La condizione dei felicità si può raggiungere stando bene fisicamente e psicologicamente, la felicità e l’ottimismo sono condizioni che favoriscono il ben-essere, che è stato definito “vivere bene, da un punto di vista psicologico spirituale e fisico. Le sensazioni positive possono essere vissute nel quotidiano, infatti nel presente le sensazioni positive possono rispecchiare con piaceri sensoriali, come mangiare un gelato. Infatti Seligman sosteneva che la felicità autentica si ottiene in relazione alla vita piacevole, mentre Seligman sosteneva, invece, che la vita piacevole è quella vissuta con esperienze piacevoli e positive. Da questo si evince che la felicità riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni sensoriali hanno maggior peso delle esperienze dolorose. Canevaro afferma che la condizione di ben- essere dell’individuo è legata alla capacità di organizzarsi e adattarsi nella società.
    Per gruppi svantaggiati la società intende: persone con disabilità, anziani, persone in condizioni di disagio, immigrati e minoranze. Rifacendomi al discorso di felicità ritengo opportuno spiegare che la felicità non la possono raggiungere solo persone normodotate bensì ci sono anche persone disabili, che con un’pò di impegno riescono ad essere felici, posso fare il caso dell’Atzori, la quale anche essendo nata senza braccia è capace di vivere una vita normale e felice cin la sua famiglia, o ancora ricordiamo Pistorius, che anche non avendo le gambe non ha abbandonato il suo sogno di correre e partecipare alle gare olimpiche. Il ben essere per i disabili deve essere visto come qualcosa che va oltre le comuni cose materiali, come afferma anche la Prof. Iavarone il ben-essere, soprattutto quello dei disabili, riguarda il relazionarsi con gli altri, con il mondo esterno. I disabili non hanno affatto bisogno di essere chiusi in centri nei quali non sono a contatto con persone normodotate, perche non farebbe assolutamente bene al loro animo, infatti credo che persone purtroppo affette da disabilità, devono stare in mezzo alla gente, devono imparare a relazionarsi con la società. Gli individui non sono di per sé svantaggiati, lo diventano in un ambiente sociale e culturale, in cui la loro condizione comporta situazioni di disagio e svantaggio. Ciascun individuo deve essere spronato a seguire il proprio percorso , ad usare nel modo giusto i propri talenti e i propri punti di forza. Ogni essere umano nasce con qualcosa di nuovo, con qualcosa di diverso dagli altri, ogni essere umano è SPECIALE, (Il disabile è unico come ogni comune essere umano), quando nasce ha la capacita si ben-essere, ha un modo tutto suo di vedere ascoltare toccare e pensare. Ogni individuo deve essere educato a “decidere di essere”, infatti il ruolo dell’educazione è proprio quello di aiutare l’uomo in questa attività. La nostra società ricca offre tanti spinti per provare piacere, ma questa cosa è talmente effimera che allo scomparire dello spunto momentaneo, scompare del tutto anche il senso di piacere. L’essere umano ha bisogno di continue sfide ha bisogno di essere spronato, di mettersi alla prova per rinforzare le proprie capacità e potenzialità. Da molte analisi si evince che le persone sono felici quando ottengono ciò che vogliono.

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    Messaggio  Maria Grande Gio Mag 17, 2012 7:08 pm

    Che cos’è la felicità?? Forse questa è una domanda talmente grande che non riusciamo a spiegare con delle semplici parole. Il raggiungimento della felicità individuale è probabilmente l’obiettivo principale dell’uomo all’interno di qualsiasi società. L’uomo è sempre stato alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in poche parole alla ricerca di quello stato emotivo di benessere che molti chiamano felicità. Saggi e filosofi si interrogano da secoli sui modi in cui la felicità possa essere raggiunta e nelle culture contemporanee le persone cercano metodi sempre più utili per diventare felici. Il denaro, il sesso, il potere, il successo vengono considerati oggigiorno dalla maggioranza delle persone obiettivi desiderabili che portano al tanto ambito traguardo della felicità. E poi c’è quella piccola minoranza di persone che cerca in qualche modo di distogliersi da questo tipo di piaceri dedicandosi a quelle “piccole soddisfazioni” che la vita ci regala, quelle gioie che oggi vengono negligentemente trascurate ma che riempiono l’animo di serenità e di soddisfazione. La felicità è un concetto molto ampio che compare in ogni cultura anche se con significati diversi infatti si distingue spesso tra un oscillare di piaceri effimeri ed immediati e qualcosa di più significativo come la soddisfazione e l’appagamento. La felicità infatti è data da un senso di appagamento generale e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo vive. In tempi più antichi si faceva coincidere la felicità con l’eudaimonia che deriva da “buon demone” e identifica la felicità con la buona sorte infatti a quell’epoca (e forse ancora oggi) era consuetudine far discendere la felicità dalla fortuna. Con Socrate, Platone e Aristotele l’eudaimonia assume un significato più profondo e si iniziano a considerare le scelte dell’uomo e la libertà come via d’accesso per il conseguimento della felicità accantonando così le credenze sulla buona e sulla cattiva sorte. Scorrendo velocemente fino ai giorni nostri arriviamo ai tre livelli di felicità di Nettle che pone al primo livello un senso di gioia conseguente alla realizzazione di un desiderio che però non è un qualcosa di duraturo ma abbastanza transitorio che con il passare del tempo tende a svanire; segue poi un secondo livello, più profondo del primo poiché in questa fase le persone fanno un bilancio tra gli avvenimenti della propria vita rendendosi conto di vivere più emozioni positive che negative e sentendosi così soddisfatti e appagati; infine il terzo livello richiama l’ideale aristotelico del vivere bene e si intende una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità e aspirazioni. Di particolare importanza è la teoria di Seligman della felicità autentica relativamente alla vita piacevole che si costruisce sulle concezioni eudaimonica ed edonica della felicità che pongono l’accento sulla massimizzazione del piacere e la minimizzazione del dolore. La vita piacevole pone rilevanza sulle esperienze piacevoli e positive e si ha quando gli individui si orientano verso attività da cui trarre piacere. Secondo Dykens invece si può parlare di vita significativa soltanto nel caso in cui gli individui uniscano le proprie forze e virtù per instaurare rapporti con gli altri e servire la comunità. Un aspetto importante che però non va tralasciato è il fatto che per essere felici bisogna godere di un ben-essere fisico, psicologico e sociale così come afferma l’organizzazione mondiale della sanità. Canevaro afferma a sua volta che il ben-essere di un individuo è legato alla sua capacità di adattarsi e organizzarsi nei vari contesti sociali. La Delle Fave considera tutti gli individui come portatori di cambiamento e sviluppo per la società compresi quelli svantaggiati ovvero persone con disabilità, anziani, immigrati ecc ecc… Nessun individuo è svantaggiato rispetto agli altri ma è la società che con le sue etichette e i suoi stereotipi alimenta falsi svantaggi. Tutti gli individui dovrebbero essere incoraggiati a mettere in mostra le proprie abilità e a sentirsi unici e speciali per quello che riescono a fare. Esistono anche persone con disabilità che non si sentono tali infatti riescono a compiere qualsiasi attività, e a questo punto mi sembra doveroso citare il caso di Simona Atzori, ballerina nata senza braccia che però è riuscita ad acquistare una propria autonomia superando i propri limiti imparando a danzare, dipingere, guidare e svolgere qualsiasi altra attività desideri, oppure il caso di Oscar Pistorius, che pur non avendo le gambe non ha mai smesso di coltivare la sua passione per la corsa riuscendo così a partecipare alle gare olimpiche, oppure il prof Palladino che nonostante dopo un incidente abbia perso la vista non si è lasciato abbattere e ha continuato a vivere una vita quanto più normale possibile. Questi sono solo pochi esempi ma potremmo stare qui a parlare per ore intere di quanto siano speciali tutti gli esseri umani. Ogni essere umano nasce infatti con qualcosa di nuovo e irripetibile e nessuno può sopprimere le vittorie che ognuno di noi può raggiungere. La nostra società offre tanti piaceri che velocemente diventano effimeri ed è proprio per questo che tutti dobbiamo porci degli obiettivi, delle sfide, dobbiamo imparare a metterci alla prova e a rinforzare le nostre potenzialità e capacità in modo da raggiungere il più altro gradino della soddisfazione e dell’appagamento, solo dopo aver superato i nostri limiti e le barriere che spesso la società ci impone potremmo dire di aver raggiunto una piccola porzione di felicità. Ovviamente il ben-essere personale non è solo raggiungere degli obiettivi e superare le sfide della vita ma come dice anche la prof. Iavarone è uno stato abbastanza complesso poiché è multicomponenziale, multidirezionale e multidimensionale ed è proprio per questo che la pedagogia ha a cuore il benessere del soggetto, occupandosi della sua istruzione ed educazione tutelando la sua salute e il suo sviluppo fisico e psicosociale.
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    Messaggio  ilenia medici Gio Mag 17, 2012 9:04 pm

    La felicità è da sempre al centro dell’attenzione del dibattito filosofico- religioso e culturale. È del tutto evidente che al concetto di felicità non potrà mai essere legata una singola valutazione universale in quanto essa si compone di elementi variegati soggettivi ed oggettivi correlati al contesto in cui si vive e ad una lunga serie di condizioni esterne all’individuo tutte potenzialmente diverse tra loro. La domanda vera da porsi è: “ cos’è la felicità”? non esiste cultura o religione che non ha tentato di darne una risposta. Molti, troppi, erroneamente credono che essere felici, sia un obiettivo da raggiungere, attraverso le cose belle e di valore economico possedute, con lo svolgere un buon lavoro, con il rivestire posizioni di potere economico o politico, con l’essere visibili e partecipare a trasmissioni televisive, con essere “riconosciuti” dagli altri, con l’avere un rapporto sereno con gli amici e avere la classica famiglia della pubblicità del “Mulino Bianco”. Peccato che nasce sempre qualche intoppo, qualche imprevisto, fatalità o disguido, per lo più dipeso da altri o da fattori esterni che non ci permettono di raggiungere le mete prefisse, e quindi non avendo soddisfatto le nostre aspettative, siamo tristi ed infelici. La realtà è questa, ed è proprio questo l’errore che commettiamo: cercare, rincorrere, lottare per ottenere la felicità, attraverso un modello di aspettative fasulle o irrealizzabili, per il normale e misterioso corso della vita. La felicità dipende da noi e solo da noi, dal nostro atteggiamento mentale con cui affrontiamo ogni situazione quotidiana. Gli eventi che accadono ad ogni persona sono quasi uguali per tutti, gioie, delusioni per un amore non corrisposto, per un abbandono, per un concorso vinto o perso, per una disattenzione o ottusità o menefreghismo di chi abbiamo di fronte, per incomprensioni con il partner, con i familiari, con gli amici, per i lutti, per la ricerca faticosa di un lavoro, della casa, ecc… quello che cambia è la nostra reazione ed accettazione nei confronti di questi avvenimenti inevitabili; e ciò fa la differenza tra l’essere ed il non essere felici. La felicità non deriva da situazioni esterne ma è uno stato d’animo interiore,siamo noi a crearcela; la felicità è uno stato naturale, interiore e personale ed accade nel presente; ogni attimo è l’attimo giusto per essere felici, se lo rimandiamo o lo leghiamo ad eventi positivi allontaniamo consapevolmente la felicità da noi.
    Occorre ,poi,distinguere tra uno stato di felicità immediato come la gioia e il piacere, ed uno più stabile e duraturo come la soddisfazione e l’appagamento in un ottica più articolata e complessa. Infatti il concetto di felicità ha varie classificazioni, uno più immediato,diretto, che misura attraverso emozioni e sensazioni la gioia ed il piacere; l’altro più legato al concetto di essere felici della propria vita non intendendo, per questo, affermare che sono pieni di gioia o che provano costantemente piacere.
    In questo quadro si può distinguere una felicità di primo livello che si fonda su criteri oggettivi sulla base di considerazioni oggettive valutando lo stato di piacere o di gioia. Quella di secondo livello, invece, è legata più ad un bilancio tra piaceri e dolori, tra emozioni positive e negative sul lungo termine che valuta il grado di soddisfazione e appagamento della propria vita. La felicità di terzo livello è la più difficile da misurare in quanto implica una valutazione sul vivere bene e sulla realizzazione della propria vita. In questo caso fattori come la crescita personale, la padronanza del proprio ambiente,l’assenza di dolori, sono decisivi per costruire una condizione di ben-essere psicologico correlata allo stato di felicità.
    La psicologia positiva,invece, indica diverse strade per raggiungere la felicità ed introduce elementi di valutazioni quali emozioni positive circa il passato. Si supera il concetto di felicità legato a fattori sensoriali ed elementari e si lascia spazio al concetto di “vita piacevole” che si basa sulle proprie forze,sulla capacità individuale di trovare uno scopo importante e gratificante nella propria vita. Vi è invece un’altra forma di felicità che non implica un impegno ma un assorbimento totale di massima concentrazione, il cosiddetto”flusso”. Il flusso prescinde dall’impegno e si determina per effetto di compiti stimolanti che necessitano della nostra abilità dove si perde anche la cognizione del tempo per effetto del totale assorbimento, come quando si legge un libro interessante. Mi piace rimarcare che tra le teorie contemporanee sulla felicità vi è quella che ritengo la più interessante ovvero quella eudamonica. Essa evidenzia che la vita piacevole dipende dalla passione con cui gli individui sviluppano amicizie o servono la comunità coniugando crescita personale, padronanza ambientale e relazione positiva con gli altri.
    Altra teoria interessante è legata all’integrazione del flusso con i concetti di benessere. Infatti essa espande il concetto di felicità e ben-essere aldilà dello stato di piacere, e dà un’importantissima prospettiva educativa anche sul ruolo degli insegnanti. Basti immaginare l’applicazione e introduzione del flusso da parte degli educatori laddove siano capaci di rendere piacevole agli allievi l’apprendimento in direzione di uno sviluppo delle curiosità e dell’interesse(come citato in un mio laboratorio un primo passo da fare da parte dell’insegnante è mettersi alla pari, sullo stesso piano dell’interlocutore in modo da permettergli di aprirsi all’apprendimento ed esporre le proprie problematiche). La Prof. Iavarone afferma che la pedagogia,in particolare quella sociale,ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto,occupandosi della sua istruzione ed educazione,tutelando la salute e il suo sviluppo fisico e psicosociale,quindi bisogna formare diversi professionisti che sappiano gestire relazioni di cura,sostegno e aiuto perché tutti abbiamo il diritto di star bene ed essere felici.
    Mettere in relazione il benessere del singolo e lo sviluppo della collettività è fondamentale per agevolare un’interazione tra l’individuo e il sistema culturale. In questo contesto emerge con chiarezza che il ben-essere ha una diretta interdipendenza tra le capacità dell’individuo ed il contesto sociale in cui vive.
    Considerato che ogni individuo è unico e nel contempo anche fattore di sviluppo e di cambiamenti, condivido pienamente la teoria secondo la quale gli individui non sono di per sé “svantaggiati” ma lo diventano quando le regole sociali stridono con la loro condizione :disabilità, anziani, disagio psicosociale,immigrati,ecc.. (in merito a quanto detto mi piacerebbe riprendere una frase di Simona Atzori: “ i limiti sono negli occhi di chi ci guarda”). Sono convinta che ogni individuo ,svantaggiato o non, deve essere messo nelle condizioni di poter esprimere i propri talenti e punti di forza , di poter fare esperienze ottimali che ne valorizzino l’autodeterminazione. Si può affermare che il ben-essere e la sua valutazione, non è altro che la risultanza tra sistema biologico,psichico e sociale e non dipende solo da apparati e organi vitali ma dipende fortemente dallo stile di vita, dal lavoro, dal tempo libero, dall’ambiente e dalla qualità umana dei contesti. Su queste basi il ben-essere delle persone disabili in principio era inteso come possibilità di far vivere loro esperienze e situazioni cui l’individuo attribuisce valore positivo. Fino a pochi anni fa infatti molti bambini e adulti con disabilità erano assistiti in istituti, quasi come mero atto caritatevole. Con gli anni, invece, si è passati al concetto dell’inclusione attraverso strutture di supporto alle famiglie. Nella concezione attuale, invece, l’obiettivo non è solo quello di assistere e cullare la persona disabile ma creare le condizioni che possano permettere di esprimere le loro potenzialità e capacità in modo da poter scegliere la vita che desiderano: grande esempio ne è Oscar Pistorius che riesce a ricostruire la propria vita nonostante le mille avversità.
    Per troppo tempo il benessere del disabile è stato visto come condizione fisica facilitandone l’adattamento esterno commettendo l’errore di non guardare alla sua dimensione interna, al suo ben-essere interiore. È quindi fondamentale che la pedagogia persegua il ben-essere e la qualità della vita del disabile non solo istruendolo, educandolo e curandolo ma soprattutto sviluppando il suo ben-essere psico-so
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Maria Rosaria Coppola Gio Mag 17, 2012 9:26 pm

    CAPITOLO 1
    Da sempre l’uomo è alla ricerca della felicità,vivere una buona vita,stare bene con se stessi e con gli altri,vivere una vita libera da ogni dispiacere e infelicità:sono questi i fattori,i sogni,le speranze che l’accompagnano fin dall’inizio dei tempi. La felicità ha rappresentato la base di dibattiti filosofici,religiosi ed educativi per centinaia di anni,da sempre si ricercano metodi utili per diventare felici,ma che cos’è veramente la felicità?. Un concetto sfuggente che non permette di dare una definizione precisa,un qualcosa di immediato,come la gioia e il piacere,per alcune culture,o qualcosa di più durevole e significativo,come soddisfazione e appagamento,per altre. Il termine felicità viene associato al termine “eudaimonia” che in origine derivava da “buon demone”,essere felice equivaleva,dunque,ad avere una un buon demone,una buona sorte,quindi per alcuni la felicità è strettamente collegata alla fortuna. Questa connessione è rafforzata ancora oggi dalle moderne lingue anglosassoni:in tedesco,infatti,fortuna,”gluck”, si traduce anche come fortuna,in inglese ”happines” deriva da “to happen”,accadere,capitare. Inoltre il termine felicità si è arricchito di significati nuovi con Aristotele,Socrate e Platone secondo cui la felicità non è nella buona o nella cattiva sorte,ma è “l’uomo ad essere fabbro del proprio destino”,è l’uomo che con le sue scelte e con la sua libertà può essere felice. Una felicità che varia,che presenta diversi livelli,tre secondo Nettle: una felicità di primo livello che rappresenta il raggiungimento,molto probabilmente inaspettato,di un qualcosa che si desiderava. Una felicità questa che può essere misurata oggettivamente dal momento che se una persona dice di essere felice bisogna ritenerlo vero. La felicità di secondo livello,invece, indica un bilancio tra le sensazioni positive e quelle negative,con la prevalenza delle prime,che porta ad appagamento e soddisfazione. Anche questo secondo livello di felicità può essere misurato in modo oggettivo perché i resoconti di felicità rappresentano ancora il fattore principale per un eventuale studio scientifico. La felicità di terzo livello,infine, è dovuta al vivere bene di ogni individuo,al vivere realizzando le proprie potenzialità. Questa felicità non può essere valutata in modo oggettivo come le prime due,perché valutarla implica esprimere un giudizio su cosa sia veramente vivere bene e in che modo si realizzi nella propria vita,e questo non è attendibile al 100% perché generalmente “quando le persone parlano di felicità intendono uno stato che comporta sensazioni o giudizi positivi sulle sensazioni”,quindi si può correre il rischio di includere altri valori come gioia,buone condizioni di salute,e il concetto diventerebbe incoerente. Spesso infatti vengono confusi i termini felicità e benessere,ma non indicano esattamente la stessa cosa dal momento che il secondo ha maggiore valenza scientifica. Esso include una componente cognitiva,che valuta l’intera soddisfazione di vita,ed una componente affettiva che è suddivisa in presenza di un effetto positivo e assenza di un effetto negativo,integra sia quelli che sono i fattori a livello personale come l’ottimismo,felicità,perseveranza,sia i fattori esterni,come senso di appartenenza,armonia con l’ambiente esterno,supporto sociale. Il benessere è un concetto soggettivo dal momento che si basa sia sulle soddisfazioni delle proprie esigenze sia sulle possibilità che l’ambiente esterno offre per realizzarle. Proprio per questo motivo Canevaro afferma che il benessere del singolo non riguarda solo la condizione individuale ma anche la sua capacità di organizzarsi con i diversi contesti che lo circondono. Il benessere considera diverse componenti: quelle fisiche,psichiche,sociali,emozionali e psicologiche,considera la persona nella sua globalità,dalla valutazione biologica-clinica,all’ auto percezione da parte del soggetto del suo stato di salute. Secondo la prof. Iavarone,il benessere segue diverse direzioni e il soggetto le percepisce in due sensi: quello verticale, riferito ai tempi della vita e quello orizzontale,riferito ai diversi luoghi. Per questo il desiderio di benessere varia in relazione sia ad un determinato momento della vita, sia ad una fase più lunga o ad un intervallo di tempo maggiore nella vita di un individuo. Il benessere,dunque,non è solo “vivere bene da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico,anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica”,ma dipende soprattutto dal corretto funzionamento degli stili di vita,di lavoro,del tempo libero,delle qualità umane,dai contesti. Non solo un fattore psicologico del singolo,quindi,ma dell’intero paese di appartenenza. Ogni individuo all’interno di una società è un agente attivo che mira al cambiamento di se stesso e cerca di raggiungerlo ad ogni costo,che si mette alla prova e cerca di rinforzare le proprie capacità. Ogni individuo punta verso la felicità anche e soprattutto quelli più svantaggiati. Anche il soggetto disabile è,può e deve essere felice. Inizialmente la preoccupazione maggiore di quelli che si occupavano di disabilità non era quella di promuovere il benessere come possibilità di vivere esperienze e situazioni positive ma avevano semplicemente un fine caritatevole. Tutto cominciò all’incirca nel 1800 quando il medico francese,Edouard Seguin guidò la prima scuola per disabili ritenendo che potessero essere educati come ogni altro individuo,al fine di occupare il loro giusto ruolo nella società. Ma nel corso del tempo,questo obiettivo venne dimenticato e tali scuole,che nacquero con l’intento di integrare tali persone nelle società,divennero posti per tenere tali persone lontane dalla società. Fortunatamente intorno agli anni 50 e 60 del secolo scorso,in seguito al concetto di “normalizzazione”,tali istituzioni furono chiuse e nacquero servizi di educazione speciale,supporto delle famiglie,programmi basati sulla società che miravano a promuovere il benessere nelle persone disabili. L’obiettivo non è quello di far si che queste persone siano capaci di mangiare,vestirsi o lavarsi da sole,ma che sviluppino a pieno le loro potenzialità con lo scopo di vivere la vita che essi scelgono di vivere. Non serve fornire loro delle risposte,risolvere i problemi al loro post,non serve che la psicologia positiva si sia concentrata maggiormente ad alleviare i problemi delle persone con disabilità,ma è necessario promuovere in loro atteggiamenti e stati positivi. Negli anni settanta del secolo scorso Zigler scoprì che i bambini con ritardo mentale non solo avevano un basso QI (quoziente intellettivo) ma avevano,rispetto ai bambini “normali”,minore aspettative di successo,bassa motivazione alle sfide ed una maggior tendenza ad affidarsi all’altro. Tutto ciò era dovuto ad un continuo accumulo di esperienze di fallimento,legato a sintomi depressivi del soggetto e ad una mancata motivazione intrinseca che vede il mancato piacere nell’usare le proprie risorse e sentirsi competenti nel proprio ambiente. Numerose ricerche hanno dimostrato che la relazione educativa,non solo quella tra docente e discente,educatore ed educando ma anche e soprattutto quella genitore figlio è molto importante. La famiglia occupa un ruolo importante per quanto riguarda la ricerca del benessere,in particolar modo la famiglia interagente che promuove creatività e risoluzione di problemi. I genitori di bambini con disabilità passano attraverso momenti bui,di stress,perdono d’un tratto le aspettative nell’avere un figlio bello,sano e perfetto,ed un momento meraviglioso si trasforma in un momento angosciante e luttuoso. Proprio per questo motivo è necessario educare le famiglie a ricercare atteggiamenti positivi che portano a migliorare la qualità della vita sia del soggetto con disabilità sia della famiglia stessa,basta ricordare i numerosi casi di resilienza che hanno avuto una famiglie alle spalle che hanno creduto in loro, l’Atzori,Pistorius,Andrea Ferrari. L’immaginario collettivo è omologato all’idea che le persone con disabilità abbiano una bassa qualità di vita e che siano sempre infelici,ma recenti ricerche hanno dimostrato che non è così. Come in ogni relazione educativa,si da e si riceve qualcosa e persone con disabilità possono dare molto più di quello che possiamo immaginare e ricevere ugualmente,sono capaci di rendere le vite dei “normodotati” più ricche di significato. Tutti possono e devono essere felici perché ognuno di noi nasce con la capacità di ben-essere,con un modo originale di vedere e vivere la vita,ognuno di noi ha la potenzialità di “decidere di essere” ciò che più desidera,la felicità è una continua ricerca e tutti abbiamo il diritto di cercarla,e con ogni mezzo raggiungerla.
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    carmela migliaccio


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    Messaggio  carmela migliaccio Ven Mag 18, 2012 8:58 am

    Perchè a volte ci vuole il CORAGGIO di essere davvero FELICI, di raccogliere un momento ordinario e trasformarlo in epico. Ci vuol coraggio a ridere di gusto di fronte a questa vita, ci vuole forza per scartare il negativo e portar dentro solo il meglio, conservare solo l’essenza della gioia. [...]
    E quel coraggio ce l’abbiamo dentro, è tutta una questione di SCELTA!
    Nelle culture contemporanee le persone stanno cercando metodi sempre più utili per diventare felici.Molte lingue distinguono tra qualcosa di estremamente immediato,come la gioia o il piacere, e qualcosa di più durevole e significativo come la soddisfazione o l'appagamento.Nettle afferma che le persone parlano di felicità dopo aver riflettuto sul bilancio tra piaceri e dolori, tra emozioni positive ed emozioni negative,e percepiscono che nel lungo termine hanno sperimentato più piaceri o emozioni positive che negative.Csìkszentmihalyy sviluppa il concetto di flusso che comprende quei momenti in cui siamo concetrati su compiti stimolanti che esattamente mettono alla prova le nostre abilità.A seconda delle proprie forze, le persone possono essere nel flusso quando leggono un libro, scrivono, corrono o cantano.Ryaan e Deci fanno una distinzione tra la felicità da un punto di vista edonistico cioè la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni sensoriali hanno maggior peso delle esperienze dolorose. Al contrario, la felicità da un punto di vista eudaimonico risulta dall'attualizzazione del potenziale dell'individuo e dal perseguimento del proprio sè.Ghedin afferma che gli esseri umani cercano continuamente di attribuire senso e significato agli eventi,ai comportamenti, agli stati interni e alle intezioni sociali che sono culturalmente costruiti.Canevaro infatti, a questo proposito,dice che il benessere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale autarchica,quanto a quello che qualcuno oggi chiama capitale sociale,cioè all'insieme di capacità che l'individuo ha di organizzarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano,con i contesti.La buona vita consiste nell'usare le proprie forze in modo proficuo nel lavoro,nelle relazioni, e nel tempo libero,trovare significato e scopo nella vita, la felicità quindi non risulta dal perseguimento del piacere, ma dallo sviluppo delle forze e virtù individuali.A tal proposito mi sembra opportuno ricordare la grande resilienza dell'ATZORI o PISTORIUS o il prof. PALLADINO che nonostante le numerose difficoltà incontrate nella vita si sono dati da fare per cercare, le loro virtù e i loro pregi e quindi andare alla ricerca della felicità che è uno degli obiettivi più importanti anzi forse il primo della vita.Sono persone da stimare e prendere come esempio perchè ci vuole veramente tanto coraggio per superare le difficoltà, non abbattersi mai e sorridere nonostante tutto.Inizialmente infatti la preoccupazione maggiore per coloro che si occupavano di disabilità non era quella di promuovere il benessere delle persone disabili.Nel 1800 nacque la prima scuola per bambini disabili, che invece di favorire il ritorno delle persone nella società,queste istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane da una società meno indulgente e accettante.L'obiettivo infatti non deve essere solo e unicamente quello di far sì che queste persone siano in grado di mangiare,vestirsi,lavarsi, ma e soprattutto, possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere.Il benessere quindi non può essere assimilato a una generale condizione di benessere fisico o economico,ma va definito come uno stato variamente complesso perchè multicomponenziale,multidirezionale e multidimensionale come afferma la Iavarone.Bisogna quindi favorire lo sviluppo di un sentimento globale di autoefficacia fondato sulla possibilità di rendere potenti le persone nella gestione delle loro vite.E in questo percorso la famiglia ha un ruolo fondamentale perchè influenza lo sviluppo di un bambino con disabilità, un atteggiamento negativo verso la disabilità da parte dei membri della famiglia,parenti, amici non influisce infatti direttamente sul bambino ma può aggiungersi al già esistente livello di stress della famiglia.La Iavarone afferma infine che la pedagogia e in particolare la pedagogia speciale ha a cuore il benessere e la qualità della vita del soggetto,occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale.Pronunciare questa frase:'la vita è bella', nel tuo periodo più buio, non è cosa da niente. Dirlo forse è più semplice che crederci.. ma se ci credi, forse riuscirai a comprendere il vero significato di questa vita.. perché la vita è bella ...non perchè tu hai, ma perchè tu dai, nonostante tutto.. La felicità la trovi nei piccoli gesti quotidiani.. nei silenzi ascoltati.. nei vuoti riempiti.. nei sorrisi regalati e nell’amore vissuto.. La vita è bella se cerchiamo di vivere la felicità e non d’inseguirla. [Roberto Benigni]
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  RaffaellaPagano1990 Ven Mag 18, 2012 10:53 am

    Mi piacerebbe iniziare citando una frase di Foucauld De La Roche : Si è felici perché si ha ciò che ci piace e non perché si ha ciò che gli altri trovano piacevole.
    La felicità è vivere una buona vita .Il concetto di felicità viene approfondito da alcuni studiosi; bisogna comprendere la sofferenza umana e il fatto che c’è un ordine di importanza per quanto riguarda le questioni che dovrebbero affrontare gli psicologi.
    Il concetto di felicità compare in ogni cultura; Felicità deriva dalla parola Eudaimonia che significa “Buon demone” ed è strettamente legata alla fortuna.
    Quando le persone dicono che sono felici della propria vita non intendono dire che sono pieni di gioia ma che hanno fatto un bilancio di alcune cose della loro vita e che ci sono state più esperienze positive di quelle negative.
    Per Socrate,Platone e Aristotele,invece, la felicità ha un significato più ampio che appartiene al vivere bene ed è una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità.
    La felicità può essere classificata in tre livelli:
    -Quella che è detta felicità di primo livello implica qualcosa di immediato,come la gioia,avvengono delle sensazioni transitorie provocate dal fatto che la cosa desiderata è avvenuta.
    -Quella che è detta felicità di secondo livello accade quando le persone ammettono di essere felici perché facendo un bilancio delle esperienze positive e negative della loro vita hanno realizzato che le prime superano di gran lunga le seconde.
    -Quella che è detta felicità di terzo livello è l’ideale Aristotelico del vivere bene, Eudaimonia che sta a significare felicità. Questa felicità non si può misurare facilmente e valutarla significa esprimere un giudizio su cosa sia vivere bene.
    Il benessere soggettivo ha una componente cognitiva che valuta la soddisfazione di vita; e una componente affettiva,affetto positivo e affetto negativo.
    SELIGMAN propone soluzioni che portano alla felicità. Una persona può avere emozioni positive per quanto riguarda il suo passato, come l’essere soddisfatto, ma anche emozioni positive immaginando il futuro, come la speranza. Lui chiama emozioni positive “La vita piacevole”.
    SELIGMAN ha anche condotto una rassegna per individuare talenti personali; ha proposto sei virtù e ventiquattro forze,tra cui giudizio,conoscenza umanità,giustizia,temperanza e trascendenza.
    Vivere una buona vita consiste nell’usare le proprie forze in modo proficuo nelle cose importanti come il lavoro,le relazioni e quant’altro.
    La felicità da un punto di vista edonistico riguarda il massimo del piacere e il minimo del dolore; quella, invece,vista eudaimonicamente risulta dall’attualizzazione del potenziale dell’individuo.
    L’obbiettivo principale nel campo dell’educazione è quello di adottare un atteggiamento positivo verso le esperienze di vita.
    Il benessere considera la soddisfazione delle cose di cui abbiamo bisogno. E’ importante la relazione tra benessere del singolo e sviluppo della collettività. Ogni individuo nasce con un corredo genetico e poi durante la vita ne sviluppa uno suo colmo di esperienze attraverso i suoi ambienti.
    Come tiene a precisare la Professoressa IAVARONE il benessere non può essere considerato uguale se è fisico oppure economico ma è come uno stato complesso perché è multicomponenziale, multidimensionale, multidirezionale. Inoltre lei parla della pedagogia e soprattutto di quella speciale ricordando che ha a cuore il benessere e la qualità della vita del soggetto, si occupa della sua istruzione ed educazione prendendosi anche cura della sua salute e dello sviluppo psico-sociale oltre che di quello fisico.
    CANEVARO parla del benessere di un individuo dicendo che non è collegato alla sua condizione individuale autarchica ma alle capacità che l’individuo ha di adattarsi con le strutture che lo circondano.
    HEADEY parla della teoria dell’equilibrio dinamico,affermando che i livelli di felicità di un individuo rimangono costanti nel tempo nonostante i cambiamenti della sua vita; questo processo viene chiamato “controllo omeostatico”.
    L’essere umano ha bisogno di sfide,ha bisogno di mettersi in gioco;molte analisi rappresentano che le persone sono felici quando ottengono quello che vogliono.
    Prima i bambini e gli adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni caritatevoli.
    Successivamente,grazie a EDOUARD SEGUIN, nella metà del 1800,guidò la prima scuola per bambini disabili; Questo diverso modello formativo di scuola si diffuse rapidamente e col tempo gli studenti non venivano curati,le scuole divennero più affidatarie e meno curative.
    Si sono sviluppati servizi di educazione speciale,programmi per le comunità che mirano a risolvere i bisogni degli adulti. Uno degli obbiettivi è quello di fornire risposte,risolvere problemi ed aiutare il soggetto in difficoltà. Per un diversamente abile avere una bella vita consiste nell’avere le soddisfazioni interne.
    EDGERTON ha seguito adulti con ritardo mentale per trent’anni e ha scoperto che i fattori ambientali non influenzano molto sulla felicità.
    In confronto alla popolazione generale,le persone con ritardo mentale hanno un rischio più alto di doppia diagnosi, sono molto più deboli e vulnerabili.
    ZIGLER sostenne che i bambini con ritardo si affidavano agli altri invece che a se stessi per risolvere i problemi. Si fanno,inoltre,delle ricerche sulle famiglie dei bambini con ritardo mentale;da queste ricerche si è ricavato che la madre,in genere rimpiange il figlio perfetto.
    Queste madri passano attraverso vari stadi di shock,disorganizzazione emotiva e organizzazione dopo l’accettazione.
    L’obbiettivo politico,inoltre,è quello di “normalizzare” le vite delle persone con disabilità; ad esempio aumentare il livello della loro qualità di vita per portarle più vicine a quello delle persone “normali”.
    Credo che tutti abbiano il diritto alla felicità; quindi a maggior ragione le persone meno fortunate,cioè i disabili,devono continuare a sperare in un sorriso in più.

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    Ilenia Caiazza


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Primo capitolo -- Ben-essere nella disabilità

    Messaggio  Ilenia Caiazza Ven Mag 18, 2012 10:59 am

    Ben-essere (che in gergo significa stare bene o esistere bene) è uno stato che coinvolge tutti gli aspetti dell’essere umano che cerca continuamente di attribuire senso e significato agli eventi,ai comportamenti, agli stati interni e alle intenzioni sociali e tale significato è funzionale alle nostre categorie e valori di riferimento che sono culturalmente costruiti.
    Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo è legato all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano,con i contesti.
    Delle Fave,invece,afferma che è fondamentale considerare che ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamenti e sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri della comunità e soprattutto per le persone con disabilità,anziani, persone in condizioni di disagio psicosociale,immigrati, minoranze.
    Ognuno di noi nascendo la capacità di ben-essere. Ognuno ha un suo modo originale di vedere,ascoltare, toccare, gustare e pensare. E quindi ognuno ha un suo proprio potenziale di possibilità e di limiti, può costruirsi e vivere il ben-essere.
    L’obiettivo dello studio del ben-essere è quello di individuare dei metodi che possano rendere in grado gli individui di aumentare il loro livello di benessere, non ignorando la sofferenza umana ma tentando di prevenire e alleviare la sofferenza attraverso la promozione di una buona salute, resilienza e crescita psicologica. Inoltre lo studio del benessere ha dei benefici anche sulle nuove generazioni che associano la felicità alla ricchezza o ai beni materiali. Infatti Amartya Sen propone di studiare la povertà, la qualità della vita e l’eguaglianza non solo attraverso i beni materiali, ma soprattutto analizzando la possibilità di vivere esperienze o situazioni cui l’individuo attribuisce un valore positivo. Ma i termini concepiti A.Sen non sono adatti per una persona disabile e nella metà del 1800 Edouard Seguin, medico francese, guidò la prima scuola per i bambini disabili e il suo modello formativo si diffuse rapidamente. Ma nel corso del tempo queste scuole cambiarono drasticamente il loro obiettivo, diventando molto meno educative e più affidatarie, le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane da una società meno indulgente e accettante. Oggi,invece, si sono sviluppati programmi di educazione speciale e supporto alle famiglie, l’obiettivo non è solo quello di far si che queste persone siano capaci di mangiare, lavarsi ecc, ma che sviluppano soprattutto le proprie capacità,e vivere una vita normalissima. Per questo, la professoressa Iavarone, ha affermato che il ben-essere non è nulla di fisico o economico, ma è uno stato complesso perché è multicomponenziale, multidirezionale e multidimensionale. Infatti, per un disabile una buona qualità di vita è il raggiungimento di un qualcosa di interno e non di esterno, come instaurare relazioni personali, inclusione sociale ed avere i propri diritti.
    Alle famiglie si da supporto perché alla nascita del proprio bambino ogni genitore ha delle grandi aspettative, ma quando nasce un bambino con disabilità l’evento si trasforma in un evento traumatico. Mullins, in un’analisi di 60 libri diversi scritti da genitori di disabili, ha affermato che lo stress e le preoccupazioni sono sempre maggiori. Vivere la propria vita in modo stressante non fa altro che influenzare il proprio bambino aggiungendosi allo stesso stress familiare.
    Infine, esistono famiglie, che hanno preso in modo positivo la disabilità dei propri figli anzi riescono a sviluppare in modo maggiore le potenzialità dei propri figli. Proprio in un laboratorio ci fu la testimonianza di genitori di bambini autistici, genitori che conducevano una vita tranquillissima senza nessuna forma di stress, anzi sicuramente avevano aggiunto elementi positivi alla propria vita.
    Termino dicendo che tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo, realizzarsi e vivere una vita di benessere (basta volerlo).
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    Votto Michelina


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Verso un'educazione inclusiva

    Messaggio  Votto Michelina Ven Mag 18, 2012 11:37 am

    La mia riflessione sull’inclusione, mi porta con la mente al testo “Lettera a una professoressa” , il quale anche se scritto nel 1967 dagli alunni della scuola di Barbiana, a mio parere, risulta attuale.
    Il libro mette a nudo l’estrema ingiustizia di una scuola incapace di farsi strumento di mobilità sociale. Quel libro fu evento che aprì gli occhi ad un’intera generazione dando fiato alle ragioni dell’eguaglianza reale e contribuendo ad avviare una stagione di pratiche didattiche innovative e di riforme che puntavano a tradurre in pratica l’urgenza di una scuola vicina alle esigenze di tutti i suoi alunni, specie quelli più deboli.
    Nel 1994 la Conferenza di Salamanca ha considerato i cambiamenti politici richiesti per promuovere l’approccio dell’educazione inclusiva con l’obiettivo di rendere le scuole in grado di essere al servizio di tutti i bambini in particolare quelli con disabilità, in quanto dovere della scuola è sviluppare al massimo le potenzialità degli studenti.
    Nel 1997 la legge 517 riconosceva la necessità di includere nella scuola tutti gli studenti, anche i disabili e, l’individualizzazione dei processi formativi, allora come oggi era lo sprone a sperimentare gli strumenti più adatti, affinché ognuno potesse raggiungere gli obiettivi di conoscenze e competenze necessarie all’esercizio dei diritti e dei doveri di cittadinanza, inoltre la legge 59 del 1997 introduceva l’autonomia delle istituzioni scolastiche con lo scopo di rendere la scuola più rispondente ai diversi bisogni dello studente e del contesto territoriale.
    In fondo non era altro che l’applicazione di un’altra delle frasi più citate e note della nostra lettera quel “Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far le parti uguali tra disuguali” che è stata la parola d’ordine per le politiche e le pratiche equitative anche nel campo didattico, bisogna, quindi, ricordare il 1967 proprio per non dimenticare lo scopo e la funzione della scuola.
    L’educazione inclusiva significa che tutti i bambini saranno considerati con rispetto e saranno assicurate a loro uguali opportunità per apprendere insieme, in quanto l’educazione inclusiva è un processo dinamico e multifattoriale teso a creare reti di legami significativi che favoriscono la partecipazione attiva di tutti i soggetti prevenendo esclusione e gli insegnanti dovrebbero impegnarsi attivamente per raggiungere tali obiettivi (Unesco, 2007).
    “Lettera a una professoressa” pone l’accento su una figura chiave di supporto all’inclusione: l’insegnante, la quale determina con la sua presenza la qualità dell’ambiente scolastico.
    Gli insegnanti dovrebbero possedere sensibilità, attitudini, abilità e disposizioni che li renderanno in grado di essere insegnanti sicuri ed efficaci di studenti con abilità molto varie e livelli di apprendimento altrettanto diversi, inclusi anche gli studenti con disabilità. Gli insegnanti che posseggono un atteggiamento positivo, hanno fiducia nelle loro abilità personali e usano strategie efficaci di insegnamenti e credono che esse siano efficaci.
    L’ambiente di apprendimento dell’inclusione avviene attraverso la creazione di ambienti accoglienti e facilitanti le diversità in cui, attraverso buone strategie educativo-didattiche si possa contribuire allo sviluppo e alla crescita cognitiva e psicosociale dei ragazzi. Il contesto scuola con i suoi diversi protagonisti (organizzazione scolastica, studenti, insegnanti, famiglie, territorio) assume le caratteristiche di un ambiente che risponde ai bisogni di tutti gli studenti.
    Occorre coinvolgere le famiglie nel processo di formazione dei loro figli anche al di fuori dei momenti istituzionali previsti dalla scuola, attraverso rapporti mediati dalle nuove tecnologie, attraverso la condivisione del progetto educativo, la partecipazione e la collaborazione.
    Negli ultimi anni la Capability Approach ha suscitato un certo interesse nel campo educativo, le teorie derivanti da questa posizione incontrano grandi difficoltà nel trattare argomenti come la giustizia e la libertà sostanziale in situazioni che presentano grandi asimmetrie tra le parti sociali.
    La disabilità è stato mostrato, risulta limitazione delle capacità ed è relazionale alle menomazioni e al disegno delle organizzazioni sociali. Risulta puntuale l’esempio della dislessia in quanto il bambino dislessico troverà difficoltà in riferimento alla diversa organizzazione dei sistemi educativi: risulterà svantaggiato rispetto ad un curriculum basato sull’alfabetizzazione, non svantaggiato rispetto ad un curriculum di arti visive, diventa perciò questione di giustizia, considerata in termini non di assistenza, ma di eguaglianza di risorse a disposizione. A tale riguardo Sen ci offre l’esempio della sedia a rotelle, la ragione per cui la persona ha meno capacità di muoversi nello spazio pubblico è totalmente a carico della società, che non ha fornito gli spazi pubblici di accesso per la sedia a rotelle.
    Alla luce di questi aspetti, Terzi sostiene che l’approccio alla capability fornisce una nuova e importante struttura per riconcettualizzare la menomazione e la disabilità, comportando una concettualizzazione della disabilità come strettamente relazionale ed apre la strada ad un modello innovativo e utile per riesaminare l’educazione.
    Il testo “Index scolastico per l’inclusione. Promuovere l’apprendimento e la partecipazione nella scuola” di Tony Booth e Mel Ainscow è divenuto un faro per l’inclusione nel sistema scolastico, esso analizza le scuole e progetta una realtà scolastica dove la diversità possa divenire miglioramento e progresso della scuola stessa. Il libro offre spunti per attività, metodi d’insegnamento e buon utilizzo delle risorse disponibili, inoltre predispone materiali per progettare la realtà scolastica e l’insieme delle decisioni che mirano al cambiamento.
    Spero vivamente che tutto ciò sia un divenire nelle nostre scuole e che ognuno di noi si adoperi facendo la propria parte per contribuirvi.

    Noemi de Martino
    Noemi de Martino


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Noemi de Martino Ven Mag 18, 2012 11:55 am

    PIMO CAPITOLO
    BEN-ESSERE NELLA DISABILITA’

    Che cos’è la felicità e come essa possa essere raggiunta è una questione intrapresa in tutte le discipline quali: filosofia, religione, arte, scienza, letteratura e via dicendo. Il concetto di felicità è sfuggente ed ogni disciplina attribuisce un proprio significato a questo termine, ma ciò non ne altera il valore. Il concetto di felicità è presente in ogni cultura. L'etimologia fa derivare felicità da: felicitas, deriv. felix-icis, "felice", la cui radice "fe-" significa abbondanza, ricchezza, prosperità, tanto che i latini parlavano di terra "felix" quando la stagione era stata fertile. La nozione di felicità, intesa come condizione (più o meno stabile) di soddisfazione totale, occupa un posto di rilievo nelle dottrine morali dell'antichità classica, tanto è vero che si usa indicarle come dottrine etiche eudemonistiche (dal greco eudaimonìa) solitamente tradotto come "felicità". Eudaimonia originariamente derivava da “buon demone”, la felicità era avere un buon demone, una buona sorte. In quel contesto la felicità era strettamente collegata alla fortuna. Con Socrate, Platone e infine Aristotele la parola eudaimonia si carica di significati nuovi, affermando che l’uomo può diventare felice anche contro la sorte, e che la felicità è connessa al portare a compimento l’intera vita, e non con il piacere che si prova nell’attimo fuggente. Molti sostengono che la felicità sia qualcosa di immediato come la gioia o il piacere o qualcosa di più durevole e significativo come la soddisfazione o l’appagamento. In linea generale il senso più attribuito al concetto di felicità è che, la felicità è uno stato d'animo (emozione) positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri. Se l'uomo è felice, subentrano anche la soddisfazione e l'appagamento. Le sue caratteristiche sono variabili secondo l'entità che la prova (per esempio: serenità, appagamento, eccitazione, ottimismo, distanza da qualsiasi bisogno, ecc.). Quando è presente associa la percezione di essere eterna al timore che essa finisca. L'uomo fin dalla sua comparsa ricerca questo stato di benessere. La felicità è quell'insieme di emozioni e sensazioni del corpo e dell'intelletto che procurano ben-essere e gioia in un momento più o meno lungo della nostra vita. Spesso i termini felicità e benessere sono stati usati in modo intercambiabile con il secondo che rappresenta più significatività. Il ben- essere è stato definito “vivere bene, da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica” (Schafer). La felicità studiata sotto il profilo dei bisogni (primari, secondari, ecc) porta a valutazioni e definizioni non solo psicologiche e filosofiche diverse, ma anche materiali, per questo motivo la felicità è stato ed è studio di ogni scienza umanistica. Rimane chiaro che la divisione è fatta per chiarire le varie componenti di quello che è lo stato della felicità della persona, ma essendo l'uomo una unità indissolubile di psiche-corpo-spirito è chiaro che si parla sempre di tutte le componenti che si influenzano tra di loro. Se mi fa male un piede è molto più facile che io sia triste piuttosto che allegro e felice.
    Possiamo notare che il concetto di felicità viene, analizzato sotto vari profili (biologico, filosofico, spirituale, psicologico e scientifico/comportamentale) e analizzato da vari studiosi. Tra i quali, Csìkszentmihàlyi sostiene che una forma di felicità passa attraverso l’esperienza in cui noi siamo impegnati o assorbiti e nel “flusso”. Il concetto di flusso comprende quei momenti in cui noi siamo concentrati su compiti stimolanti, le persone sono così assorbite perdono la consapevolezza. Questa teoria viene integrata anche con i concetti del ben-essere. Il flusso è lo stato di impegno, felicità ottimale e esperienza massima che si verifica quando un individuo è assorbito in una sfida impegnativa e motivante. Questo stato di impegno è stato recentemente esaminato come possibile sentiero verso la felicità ed espande il concetto di felicità e benessere al di la dello stato di piacere (questo passaggio è molto significativo in riferimento alla prospettiva educativa, sul possibile ruolo dell’educatore).
    Invece Selingam, ha prodotto significativi contributi alla concettualizzazione della felicità. Di particolare importanza è la teoria della felicità autentica relativamente alla vita piacevole, alla buona vita, e alla vita significativa. La vita piacevole è quella che massimizza le esperienze piacevoli e positive. La buona vita si ha quando gli individui sviluppano le proprie forze e virtù in attività da cui l’individuo trae piacere ed è appassionato. La vita significativa si ha quando si applicano forze e virtù in attività che contribuiscono ad un bene più grande, ovvero servire la comunità.
    In questo caso allora viene portato in primo piano la relazione tra ben-essere del singolo e sviluppo della collettività. Come ci suggerisce Ghedin, l’interdipendenza tra individuo e sistema culturale è un dato inequivocabile e strutturale della natura umana. Noi esseri umana cerchiamo continuamente di attribuire significati agli eventi, ai comportamenti, agli stati interni ed esterni e tale significato è in funzione alle nostre categorie e valori di riferimento. Inoltre, in quanto esseri viventi tendiamo alla complessità da un punto di vista biologico, psicologico e sociale. Proprio per questo motivo diventa fondamentale analizzare ciò che è possibile, desiderabile e significativo per il singolo e per la comunità.
    Amartya Sen ci dice che per ben-essere, si intende una valutazione nei termini di insieme di capacità della persona intesa come una gamma di opportunità concrete per essere o per fare una serie di cose. E’ giunto il momento di pensare alla promozione del ben-essere soggettivo e sociale anche delle persone con disabilità, per cercare di sbrogliare quel paradosso della disabilità che vede le persone disabili come infelici e che non stanno bene. Come ci insegna Iavarone, il ben-essere va definito come uno stato variamente complesso perché multicomponenziale, multi- direzionale, e multidimensionale. Perché il ben-essere non può essere assimilato a una generale condizione fisica o economica, ma va definito in uno stato più complesso, ovvero scaturisce da un integrazione dei sistemi biologici, psichici e sociali, infatti il ben-essere non dipende solo dal corretto funzionamento degli organi, ma soprattutto dagli stili di vita e di lavoro, dal tempo libero, dalla condizione dell’ambiente e dalle qualità umane dei contesti.
    Inizialmente la preoccupazione maggiore per coloro che si occupavano di disabilità non era certo promuovere il ben-essere delle persone disabili, bensì, le istituzioni sorte durante l’800 divennero posti per tenere le persone disabili lontane da una società meno indulgente e accettante. Invece di favorire il ritorno nella società, favorivano l’esclusione. In seguito il concetto di “normalizzazione” venne ampiamente condiviso da famiglie e sostenitori, così da promuovere l’inclusione sociale per le persone con disabilità. Successivamente si sono sviluppati servizi di educazione speciale e supporto per le famiglie, e programmi basati sulla comunità. Ecco che in questa direzione si cerca di promuovere il ben-essere delle persone disabili, considerando una dimensione strettamente determinata dalla capacità di autonomia (portavoce di tale iniziativa Maria Montessori e successivamente Anna Maria Murdaca). Tale approccio, afferma l’importanza di considerare il ben-essere, non come uno stato individuale, ma come un progetto dinamico da condividere con il sistema culturale (come ci suggerisce Ghedin). Inoltre, gli avvenimenti negativi e le circostanze perturbanti vanno accolte cercando di enunciare l’aspetto positivo. L’obbiettivo non è solo quello di far si che queste persone con disabilità siano in grado di essere autosufficienti, ma e soprattutto, possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere, compiere scelte personali per la loro vita. In altre parole attivare la sfera resiliente che è presente in ognuno di noi. Come dice Ghedin costruire qualcosa che parte dagli individui stessi e dalla forza che essi esprimono, piuttosto che dalle loro debolezze, si conferma come una sostanziale differenza rispetto al modo di concepire l’intervento in maniera passiva, che consegnava al soggetto un senso di impotenza e inadeguatezza rispetto al deficit. L’educazione al ben-essere può essere considerata una strada che permette di acquisire il “pensiero positivo” che dovrebbe supportare la costruzione della vita che vogliamo. Tutto questo si estende in una sensibilizzazione di tutti al ben-essere, basata sull’idea che tutti possiamo imparare a stare meglio e che il ben- essere non è una questione di quantità di risorse, ma soprattutto un problema di qualità e di soddisfazione dei propri desideri ed esigenze, nella direzione di un superamento degli ostacoli alla realizzazione della nostra identità. Come ho già scritto nel forum della Atzori, nonostante tutte le avversità che la vita ci propone ogni singolo giorno e le croci che siamo costretti a portare durante l'arco della nostra esistenza dobbiamo superare e affrontare ogni avversità, essere pronti a qualsiasi difficoltà come Dio ci ha insegnato e l'Atzori è un esempio.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Francesca Izzo Ven Mag 18, 2012 1:08 pm

    Ho deciso di leggere il primo capitolo,questo perché le argomentazioni mi hanno appassionata. Questo capitolo inizia col parlarci della felicità.
    Sin dall’antichità a oggi,gli uomini hanno sempre parlato di felicità ponendosi molte domande,ma soprattutto chiedersi :’Cos’è la felicità?’ Molti filosofi e studiosi hanno cercato nel corso del tempo di dare una risposta a questo domanda. La felicità è legata alla realizzazione della propria vita. Nettle suddivide la felicità in tre livelli, il primo livello di felicità è quando la felicità stimola un’emozione di gioia o piacere,mentre il secondo livello di felicità subentra quando le persone ritengono di essere felici semplicemente bilanciando le proprie esperienza e arrivare alla conclusione che i momenti positivi,sono maggiori rispetto a quelli negativi , invece il terzo livello di felicità comprende l’ideale aristotelico del vivere,quando la persona realizza le proprie potenzialità L’OMS ha definito la salute come ben-essere fisico,psicologico e sociale. Differentemente dalla psicologia positiva che si domanda che cosa permetta alla persone di stare bene ,essere felici,Seligma afferma che si può essere felici attraverso ‘la vita piacevole’ cioè attraverso emozioni positive. Esiste una forma di felicità nel ‘flusso’ cioè le persone sono così assorbite nell’attività che perdono la consapevolezza,rilassandosi del tutto. Secondo queste teorie endaimoniche “ divinità benevoli “ si arriva alla felicità,attraverso la crescita delle forze individuali. Nel campo dell’educazione invece,si raggiunge la felicità avendo atteggiamenti positivi nei confronti dell’esperienza di vita. Tutti dobbiamo tirar fuori la potenzialità di decidere ciò che vogliamo essere. Nettle invece ci dice che l’essere umano ha bisogno di sfide per rinforzare le proprie potenzialità. Leguin ampliò la visione che i bambini con disabilità potessero essere educati e di conseguenza avere il proprio ruolo nella società. Egli promosse un modello di scuole che si estese velocemente ma purtroppo nel corso del tempo le scuole divennero sempre meno educative. Successivamente il significato di “ normalizzazione “ venne condiviso da tutti, cercando di promuovere il ben-essere delle persone disabili,conducendoli all’autonomia ma per raggiungerla,c’è bisogno di coltivarla. Il ben-essere è uno stato complesso perché ha molti aspetti ; deve esserci motivazione perché essa aumenti l’apprendimento,arrivando ad uno sviluppo di sentimenti globali di autoefficacia. La ricerca sulle famiglie inizialmente,ha dato come risposta che le madri in attesa di figli con deficit,attraversano diversi stati “ shock,disorganizzazione emotiva ed in conclusione accettarlo”. Mullins invece sostiene che ci sono moltissime famiglie dove l’arrivo di un bambino disabile ha arricchito la propria vita. Infine la Prof.Iavarone afferma che le persone disabili alla loro nascita dimostrano di essere più felici rispetto alle persone che sono diventare disabili successivamente,concludendo dicendo che dobbiamo occuparci anche allo sviluppo psicosociale . Abbiamo parlato di raggiungimento della felicità,dando svariate risposte,ma io credo bastasse guardare Atzori per vedere la felicità tramessa dai suoi occhi.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty BENESSERE NELLA DISABILITA'

    Messaggio  Marianna Gallo Ven Mag 18, 2012 1:18 pm

    L'uomo è alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano stare bene e lo appaghino;egli è alla ricerca di quello stato emotivo chiamato felicità.
    Molte ricerche mettono in luce come essere felici abbia notevoli ripercussioni sul comportamento ,sui processi cognitivi,nonchè sul benessere generale della persona. Il concetto di felicità è presente in ogni cultura.
    Il benessere è uno stato che coinvolge diversi aspetti dell'uomo : aspetto cognitivo e l'aspetto affettivo,questi elementi riguardano sia il livello individuale che contestuale. La psicologia positiva spesso si chiede cosa le persone possono fare per essere felici;di grande importanza risulta essere la teoria della felicità autentica di Seligman relativa alla vita piacevole,alla buona vita e alla vita significativa.Altre sono le teorie che emergono da questa psicologia: quella Eudonica la quale considera la felicità come massimizzazione dei piaceri e minimizzazione dei dolori, e la teoria del flusso di Csikszentmihalyi che considera il flusso come uno stato di impegno,felicità ottimale ed esperienza massima che si verifica quando un soggetto viene integrato in alcuni compiti impegnativi. Elisabetta Ghedin ci mostra l'evoluzione del termine eudaimonia attraverso gli studi di socrate,platone e aristotele; il termine eudaimonia deriva dalla tradizione culturale della Grecia si traduce con divinità buona/benevola,implica un interazione tra benessere personale e benessere collettivo. Il benessere sostanzia di componenti :fisiche,psichiche,sociali,emozionali,psicologiche.molti sono gli studi su di esso che hanno come obiettivo quello di delineare i metodi per aumentare il benessere in ogni individuo e reprimere la sofferenza. Differente e complessa risulta essere invece l'immagine del benessere per i disabili;in passato questo aspetto non veniva considerato infatti molti soggetti venivano rinchiusi in istituti caritevoli. La situazione trovò una svolta con Seguin che fondò la prima scuola per disabili,ciò nonostante molte scuole si presentarono come"luogo di affidamento" che favorivano lo sviluppo di isolamento e abbandono. In seguito questi edifici furono demoliti e furono istituiti servizi di educazione speciale per i disabili ,questi svilupparono programmi di autodeterminazione. L obiettivo è quello di porre questi soggetti sullo stesso piano dei normadotati provvedendo ad esempio alla cosatruzione di casa domotiche che aiuterebbero i disabili a sviluppare una vera e propria indipendenza.
    Emblematico risulta essere a tale proposito il discorso effettuata dalla prof.ssa Iavarone la quale afferma:
    "LA PEDAGOGIA IN PARTICOLARE QUELLA SPECIALE HA A CUORE IL BENESSERE E LE QUALITA' DELLA VITA DEL SOGGETTO OCCUPANDOSI DELLA SUA EDUCAZIONE E ISTRUZIONE ,TUTELANDO LA SUA SALUTE E IL SUO SVILUPPO PSICOSOCIALE".
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Carmela Perillo Ven Mag 18, 2012 1:30 pm

    Primo capitolo: Ben-essere nella disabilità

    Una domanda che compare in tutte le culture è : Che cos’è la FELICITA’?
    Non c’è una sola risposta perché molte lingue distinguono la felicità tra qualcosa di immediato e tra qualcosa di più durevole e significativo. Essa si può intendere con il termine Eudaimonia che deriva da “buon demone”, la felicità era avere un buon demone, una buona sorte. Quindi in quel contesto la felicità era strettamente legata alla fortuna. Questa parola però con Socrate, Platone e Aristotele si carica di nuovi significati e si inizia ad affermare che l’uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice , anche contro la sorte. Infatti la felicità è connessa al portare a compimento l’intera vita e non con il piacere che si prova nell’attimo fuggente. Molti usi del termine felicità possono essere classificati in tre livelli:
    1) La felicità è intesa come un senso immediato e diretto.
    2) La felicità è intesa come un senso di appagamento e soddisfazione.
    3) La felicità è intesa come un senso di realizzazione della persona attraverso le sue potenzialità.
    Un livello più ampio della semplice felicità è il ben-essere umano che comprende crescita personale, finalità,padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi come ha sostenuto la psicologa Carol Ryff. Mentre Nettle afferma che quando le persone parlano di felicità, generalmente intendono uno stato che comporta sensazioni positive oppure giudizi positivi sulle sensazioni. Da queste affermazioni mi è venuto in mente un nostro laboratorio -> Pistorius -> un uomo che da piccolo per problemi alle gambe le hanno dovuto amputarle ma lui dinanzi a questo problema non si è fermato anzi proprio grazie alla tecnologia integrativa si è messo le Flex Foot cioè della gambe di fibra di carbonio a forma di c .. diventando così autonomo. Inoltre Pistorius grazie a queste gambe vive una vita felice perché ha potuto realizzare il suo sogno di diventare un vero atleta .
    L’Organizzazione Mondiale della Sanità OMS ha indicato la promozione della salute come obiettivo principale della medicina, e ha definito la salute come una condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale. Il ben-essere è stato definito “vivere bene” anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica. Esso segue più direzioni e la sua percezione cambia sia nei diversi tempi della vita sia nei suoi diversi luoghi come ha affermato Iavarone. La buona vita consiste nell’usare le proprie forza in modo proficuo nel lavoro, nelle relazioni e nel tempo libero, quindi la buona vita si ha quando gli individui sviluppano le loro forze e virtù in attività da cui l’individuo trae piacere e di cui è appassionato. Il benessere allora considera la soddisfazione delle proprie esigenze e anche il conseguimento di funzionamenti che variano anche considerando la cultura di riferimento. In questo caso viene portata in primo piano la relazione tra ben-essere del singolo e sviluppo della collettività. Ghedin afferma che in quanto esseri viventi tendiamo alla complessità infatti l’individuo nasce con un corredo genetico e nel corso della vita costruisce il suo corredo culturale attraverso l’acquisizione di informazione dall’ambiente esterno. A questo proposito Canevaro afferma che il ben-essere di un soggetto è legato all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie agli elementi di mediazione che lo circondano con i contesti. Il ben-essere delle persone disabili è una dimensione strettamente determinata dalla capacità di autonomia. L’obiettivo non è solo e unicamente quello di far sì che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi, lavarsi, ma soprattutto, possono attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere. La capacità di saper leggere l’ambiente, di interpretare correttamente i propri bisogni, dare forma e norme ai propri desideri e saperli perseguire con una sana progettualità rappresentano alcune condizioni per conseguire un progetto di ben-essere personale e sociale realistico e contestualizzato. Un rappresentante di ben-essere per me in questo caso è il laboratorio del professore Palladino -> uomo cieco dall’età di 13 anni .. e da quegli anni che lui ha raggiunto il suo ben-essere in questa “nuova” vita da disabile.
    Lo studio del ben-essere ha importanti implicazioni per la vita stessa degli individui. L’obiettivo di questo studio è quello di individuare dei metodi che possono rendere in grado gli individui di aumentare il loro livello di ben-essere. L’idea di studiare il ben-essere è basata sull’assunzione che in questo processo l’analisi della sofferenza umana verrebbe abbandonata.
    Concludo dicendo che la vita di ogni persona ha bisogno della felicità e del ben-essere.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  serena murolo Ven Mag 18, 2012 1:54 pm

    La felicità ha rappresentato per centinaia di anni un tema di dibattito filosofico,religioso e educativo , quindi il concetto di felicità compare in ogni cultura. Alcuni la distinguono tra qualcosa di estremamente immediato,come gioia e piacere, e qualcosa di più durevole e significativo come la soddisfazione. Nei tempi più lontani la felicità era avere un buon demone (Eudaimonia), però con Socrate, Platone e con Aristotele la parola eudemonia ottiene significati nuovi ,affermando che l’uomo può diventa felice quando è libero di scegliere. Inoltre in Aristotele la felicità è connessa all’etica e alle virtù.
    Il senso più immediato e diretto di felicità implica emozioni come gioia e piacere che sono sensazioni transitorie che si hanno con il raggiungimento di una stato desiderato e Nettle definisce questo senso di felicità “ felicità di primo livello”. La “felicità di secondo livello” è la felicità che si prova in seguito a un bilancio tra emozioni positive e negative stabilendo che le emozioni positive sono maggiori di quelle negative. Esiste un senso di felicità più ampio ,felicità di terzo livello, che fa riferimento all’ideale aristotelico del vivere bene ,infatti con eudaimonia si intende una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità. Mentre la felicità di primo e secondo livello può essere misurata in modo oggettivo ,la felicità del terzo livello no. Quest’ultima viene valutata esprimendo un giudizio su che cosa è vivere bene. La psicologa Ryff ha sostenuto che il ben-essere umano coinvolge un insieme di elementi più ampio della semplice felicità quali : la crescita personale,finalità,padronanza del proprio ambiente, piacere e assenza di dolore. Infatti possono trovarsi individui dotati di un alto livello di ben-essere psicologico ma con poca felicità di secondo livello e viceversa.
    La medicina per l’ OMS deve promuovere la salute come una condizione di ben-essere fisico,psicologico e sociale. L’autodeterminazione, la perseveranza sono fattori che contribuiscono al bene-essere a livello individuale invece il supporto sociale e il senso di appartenenza contribuiscono al bene-essere a livello contestuale.
    Csìkszentmihàlyi ha introdotto il concetto di flusso che comprende quei momenti in cui siamo concentrati su compiti stimolanti che esattamente mettono alla prova le nostre abilità, riceviamo freedback, abbiamo senso del controllo,emozioni limitate e perdiamo traccia del tempo. Le persone posso essere nel flusso quando leggono un libro,scrivono, corrono e il flusso e contrassegnato da una mancanza di emozioni positive.
    Ogni individuo ,in quanto essere vivente , come dice Ghedin tende alla complessità da un punto di vista biologico, psicologico e sociale. E’ fondamentale analizzare ciò che è desiderabile e significativo per il singolo e per la comunità perché permette di prestare attenzione a risorse,processi di crescita, punti di forza in una prospettiva più ampia. Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale ma al Capitale Sociale cioè all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano.
    La Delle Fave afferma che è fondamentale considerare che ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità, infatti secondo la Delle Fave gli individui diventano svantaggiati a causa del ambiente.
    L’ambiente rappresenta anche la causa di malessere per i disabili nel 1800 Seguin guidò la prima scuola per bambini disabili in quanto sosteneva che i bambini con disabilità potevano essere educati e assumere un giusto ruolo nella società . Nel corso del tempo queste scuole cambiarono il loro obiettivo, diventarano molto meno educative e più affidatarie infatti furono geograficamente isolate e favorivano l’abbandono. Fortunatamente con il concetto di normalizzazione ci fu una partecipazione da parte delle famiglie e dalla società. Il vero obiettivo da far raggiungere ai disabili oltre a far si che siano in grado di mangiare, di vestirsi lavarsi è quello di renderli autonomi ,di avere capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere.
    In Italia la Legge 104/92 nasce per offrire alle perone con disabilità gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone nono disabili. I governi cercano aiutare le persone con disabilità ad accedere al mercato del lavoro ,all’educazione e ai trasporti per stimolare la partecipazione sociale.
    Ma come abbiamo visto in aula nonostante la legge 104 l’Italia presenta ancora problemi come le barriere architettoniche che non permettono a un disabile di essere autonomo nella propria città o altrove, ciò che viene scritto e detto deve essere anche applicato per il rispetto dei diritti che i disabili hanno.
    L’autonomia che manca ai disabili qui in Italia nelle città,fortunatamente la si trova nelle case. La domotica è qualcosa di eccezionale per le persone con difficoltà solo motorie perché penso che dia quel poco di ben-essere in più per vivere. Come detto in precedenza l’obiettivo per un educatore è quello di rendere un disabile autonomo e , come afferma M.L. Iavarone , la pedagogia punta al ben-essere e alla qualità della vita del soggetto ,occupandosi non solo dell’istruzione ma anche della sua educazione ,tutelando la sua salute e il suo sviluppo psicosociale.
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    Messaggio  Fabrizia Nosso Ven Mag 18, 2012 1:56 pm

    “La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha”. [O. Wilde]
    Cos’è la felicità?
    Il termine compare da sempre in ogni cultura anche se inteso in modo diverso. Ci sono infatti alcune culture che ritengono la felicità come qualcosa di immediato e quindi di momentaneo, altre invece ritengono sia qualcosa che duri nel tempo.
    Molti i filosofi che hanno approfondito questo tema come Socrate, Platone e Aristotele. Ma nel primo capitolo del testo “Ben-essere disabili” mi ha colpito la classificazione fatta dal docente e psicologo D. Nettle, il quale ritiene che tutti gli uomini desiderano essere felici, tutti hanno provato ad esserlo almeno una volta e tutti ne hanno avvertito la mancanza almeno una volta nella propria vita. Egli distingue tre livelli di felicità: un primo livello, in cui la felicità indica un’emozione o una sensazione improvvisa e quindi transitoria di gioia o di piacere; un secondo livello, in cui la felicità è associata alla consapevolezza di vivere in uno stato di benessere e di soddisfazione; e infine un terzo livello, in cui la felicità esprime una condizione di vita caratterizzata dalla realizzazione delle potenzialità dell’individuo.

    “Se si vuole valutare la situazione dell'uomo per quanto riguarda la felicità, non si dovrà cercare ciò che gli dà piacere, ma ciò che lo conturba: quanto più irrilevante è infatti quest'ultimo elemento, preso in sé stesso, tanto più felice è l'uomo. Uno stato di benessere è ciò che rende sensibili alle piccolezze, che per contro non sono affatto da noi sentite nell'infelicità.” [A. Schopenhauer]
    Questa frase ritengo che ci permetta di comprendere ancor meglio il legame che c’è tra felicità e benessere.
    Ma allora cos’è il ben-essere?
    Il ben-essere come sottolinea nel testo Canevaro, non è legato alla sua condizione individuale bensì alla capacità che l’individuo ha di organizzarsi e adattarsi a tutto ciò che lo circonda.
    Il ben-essere diventa quindi una condizione necessaria per ogni individuo affetto da disabilità, in quanto nella maggior parte dei casi queste persone sono costrette a vivere o meglio sopravvivere in società che li costringono all’emarginazione. Non si fa altro che puntare il dito verso qualcuno che consideriamo “diverso” soltanto perché ha caratteristiche fisiche diverse dalle nostre…..ma chi può dirlo che siamo noi i normali e gli altri sono i diversi? Ognuno è diverso da un altro per tantissimi motivi ma tutti abbiamo in comune una cosa quella di possedere dei diritti inalienabili che devono essere rispettati e garantiti a tutti.
    Questa frase credo che rispecchi questo mio pensiero:
    “La misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente (...) Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente, è una società crudele e disumana”. [Benedetto XVI]

    Interessante il lavoro svolto da E. Seguin, un medico francese che nel 1800 ideò la prima scuola per bambini disabili, sostenendo che essi potessero essere educati e poi inseriti all’interno della società. Questo tipo di scuole, si diffusero rapidamente anche se con il tempo cambiarono i modi di educarli, ovvero si ritenne che i bambini venivano soltanto educati e non curati e quindi si puntò maggiormente sulla loro cura. Ma il cambiamento più drastico fu quello di utilizzare queste scuole non per integrare i bambini all’interno della società ma al contrario per tenerli lontani.
    Fortunatamente nel corso dei secoli ci sono stati numerosi cambiamenti che hanno portato lo sviluppo di servizi di educazione oltre che di supporto alle famiglie attraverso programmi che mirano a rendere tutte le persone disabili più autonome. Gli obiettivi sono diversi, non soltanto fare in modo che riescano da soli a gestirsi, quindi a mangiare, lavarsi, vestirsi ma soprattutto che siano in grado di scegliere come vivere la loro vita.

    A tal proposito la Prof.ssa M.L. Iavarone ha sostenuto che il ben-essere è legato alla possibilità di insegnare ai soggetti ad acquisire la capacità di costruire da soli il proprio personale benessere, sviluppando in questo modo una forte autonomia. Quindi secondo la docente è importante far in modo che i soggetti riescano ad imparare a stare bene e che riescano a farlo ricordando sempre che il ben-essere è una condizione che si raggiunge attraverso scelte individuali e sociali.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Capitolo 1.

    Messaggio  Serena Conte Ven Mag 18, 2012 2:51 pm

    La società moderna è basata sull'affannosa ricerca di una felicità futile, effimera e legata in larga misura ai beni materiali. La felicità in realtà è qualcosa di molto più duraturo e significativo che supera il semplice momento di gioia e si orienta sull'appagamento che dura un lasso di tempo esteso. Alcuni studiosi ritengono possibile dividere la felicità in livelli: la “felicità di primo livello” è legata al raggiungimento di uno stato desiderato e non coinvolge molta cognizione, la “felicità di secondo livello” è una riflessione sul bilancio tra dolore e piacere dove quest'ultimo ha la meglio e comprende processi cognitivi più complessi, infine vi è la “felicità di terzo livello” che si manifesta assieme alla completa realizzazione delle proprie potenzialità e implica l'esprimere il difficile giudizio su cosa vuole dire vivere bene e in che misura lo si è realizzati nel corso della propria vita. I livelli di felicità, secondo la teoria dell'equilibrio dinamico, nonostante i cambiamenti nelle circostanze di vita tendono a rimanere costanti nel tempo. Si può intendere una buona vita come il saper usare le proprie forze in modo proficuo nei tre aspetti fondamentale per l'essere umano: nel lavoro, nelle relazioni e nel tempo libero ed è inoltre fondamentale riuscire a trovare significato e scopo alla propria vita. Invece, come ho già affermato, al giorno d'oggi si tende a vivere una vita che sia piacevole ed incentrata sulle esperienze positive ma effimere più che una buona vita incentrata sullo sviluppo di forza e virtù investendo in attività cui trarre piacere e che contribuiscono ad un bene più grande. Canavaro afferma che il benessere di un soggetto non è legato alla sua condizione individuale autarchica quando al “capitalismo sociale” ovvero all'insieme di capacità di organizzazione e adattamento grazie all'interazione con le strutture che lo circondano. Il ben-essere scaturisce, insomma, dall'integrazione tra il sistema sociale,quello psichico e quello psicologico ed è quindi estremamente influenzato dalle condizioni di vita e da quelle dell'ambiente. Di primaria importanza è la relazione tra il ben-essere del singolo e lo sviluppo della collettività; Ghedin afferma che nel corso della sua vita ogni individuo acquisisce un “corredo culturale” attraverso l'acquisizione e l'integrazione delle informazioni ambientali che incontra nel corso dell'esistenza, tale corredo culturale viene poi a sommarsi al corredo biologico. Per questo motivo diviene essenziale conoscere e analizzare ciò che è significativo tanto per il singolo quanto per la comunità. Il ben-essere dipende, secondo molteplici studi, da alcune caratteristiche della personalità quali, ad esempio, la resilienza e la crescita psicologica che influenzano le reazioni a determinati eventi. Nel campo della psicologia positiva e anche nel campo dell'economia è largamente diffusa l'idea che l'indice di benessere non dovrebbe essere misurato in base ai beni materiali posseduti dalla popolazione ma in riferimento al ben-essere psicologico e sociale dei singoli. Il benessere quindi non come stato individuale ma come progetto dinamico e condiviso basato sull'interazione con l'altro, la partecipazione e l'attività. Nel campo dell'economia importante è la visione di Sen che propone di studiare la povertà, la qualità di vita e l'eguaglianza attraverso l'analisi delle possibilità di vivere esperienze o situazioni a cui si attribuisce valore positivo. Anche le tesi di Iavarone sono su questa lunghezza d'onda, infatti afferma che il ben-essere non può dipendere esclusivamente dal benessere fisico o economico ma è uno stato complesso multi direzionale e multidimensionale. Quindi, continuando a seguire il pensiero di Iavarone,il compito della pedagogia è quello di occuparsi dell'istruzione del soggetto ma anche della sua educazione tutelando il suo sviluppo psicosociale. Il compito della pedagogia diviene più complesso quando essa ha di fronte una persona con disabilità. Fino a non molto tempo fa l'assistenza ai disabili era di tipo caritatevole e tendeva all'esclusione della“persona diversa” dal contesto sociale, oggi , invece, si crede ad un'educazione del disabile che miri all'inclusione dello stesso all'interno della comunità e allo sviluppo di servizi di educazione speciale e di supporto alle famiglie. Diversi studi si sono occupati infatti delle famiglie delle persone disabili arrivando alla conclusione che una famiglia che ha superato il trauma della nascita di un bambino disabile sviluppi spesso un atteggiamento positivo relativamente alla crescita di un bambino con disabilità e di conseguenza sviluppi anche percezioni positive che portano ad una migliore qualità di vita familiare e quindi ad un miglior benessere. Le percezioni positive giocano un ruolo fondamentale nel processo di coping (si intende per coping l'insieme di strategie mentali e comportamentali messe in atto per fronteggiare una data situazione) che permette di fronteggiare meglio gli eventi traumatici. Il compito di migliorare la qualità di vita delle persone disabili è immancabile in una società equa, tale compito non deve essere assolto però pensando ad un assistenza meramente materiale perché, come ho già spiegato, il ben-essere lunge da essere solamente economico. Si deve dunque fare in modo che la persona con disabilità smetta di sentirsi impotente ed inadeguato e che trovi il suo posto nella società grazie al pieno sviluppo di ogni sua capacità. In questa ottica penso possa dare una mano anche la domotica che, come ho già affermato nel laboratorio, da la possibilità alle persone con handicap di vivere autonomamente cosa che, ovviamente, concorre al benessere psicologico. Imparare a stare bene come insegnamento che necessita di figure professionali che gestiscono le relazioni di cura, sostegno e aiuto. Insegnare a stare bene con se stessi e i propri limiti, a dare il meglio di se in tutto, a superare ogni ostacolo senza mai scoraggiarsi e ad avvalersi dell'aiuto di una fitta rete sociale, sono questi i passi verso il bene-essere quello vero, sia esso di una persona disabile o normodotata.
    Chiara Di Mare
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Chiara Di Mare Ven Mag 18, 2012 3:16 pm

    Cercare di capire cosa sia la felicità,è uno dei tanti quesiti che da sempre cerchiamo di comprendere,così come fanno alcuni studiosi e chi si occupa della cosiddetta “Psicologia Positiva”.
    Per alcuni la felicità può essere intesa come un qualcosa che possiamo solo inseguire e che forse non riusciremo mai a raggiungere,qualsiasi cosa facciamo, insomma un’utopia nella quale credi e speri ma sai che non potrà mai esistere davvero. Per altri significa vivere una buona vita,stare in buona salute,avere tanti amici e restare accanto alle persone che si amano.
    Alcuni studiosi delle scienze sociali ritengono che studiare la conoscenza delle emozioni positive(quindi tutto ciò che riguarda gioia,felicità),sia un obiettivo superficiale rispetto alla necessità di comprendere la sofferenza umana. Nonostante le varie critiche, l’analisi scientifica della felicità e gli aspetti positivi dell’esperienza umana hanno preso sopravvento cercando di capire cosa è fonte di felicità per gli individui.
    Partiamo col presupposto che il concetto di felicità è presente in ogni cultura e varia a seconda delle diverse culture d’appartenenza. Per la cultura mitica e pre socratica la felicità era avere un buon demone,una buona sorte (Eudaimonia). In quel contesto la felicità quindi era strettamente legata alla fortuna,concetto mantenuto poi anche dalle moderne lingue anglosassoni.
    La felicità,però, è connessa col portare a compimento l’intera vita,non apprezzando semplicemente il piacere che si trova nell’attimo fuggente,per questo in Aristotele la felicità è strettamente connessa all’etica e alle virtù intese non tanto in senso moralistico ma di azione,di attività.
    Secondo Seligman ci sono diverse strade che conducono alla felicità. Una persona può avere emozioni positive circa il passato, come la soddisfazione e circa il futuro come la speranza e l’ottimismo. Esiste poi una forma di felicità che passa attraverso esperienze in cui noi siamo impegnati o “assorbiti nel flusso” come spesso accade ad esempio quando leggiamo un libro.
    La felicità da un punto di vista edonistico riguarda la massimizzazione dei piacere e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli hanno maggior peso delle esperienze dolorose.
    Il senso più immediato e diretto di felicità implica un’emozione o una sensazione,ma queste sensazioni sono transitorie in quanto è provocata dal dal raggiungimento di uno stato desiderato e non coinvolge molta cognizione. Nettle definisce questo senso di felicità di 1° livello.
    Quando le persone affermano di essere felici della loro vita non intendono dire che provano piacere per tutto il tempo,semplicemente dopo aver riflettuto sul bilancio tra piaceri e dolori,emozioni positive ed emozioni negative,percepiscono che nel lungo termine hanno sperimentato più piaceri o emozioni positive che negative. Questa è detta felicità di 2° livello che riguarda non tanto le sensazioni quanto i giudizi sul bilancio delle sensazioni. C’è poi una felicità di 3° livello,ancora più ampia infatti l’ideale aristotelico del vivere bene (eudaimonia) viene spesso tradotto con felicità. Tuttavia per eudaimonia si intende una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità.
    Ryff sostiene che il ben-essere umano coinvolge un insieme di elementi più ampio della semplice felicità di 2° livello. Questo insieme comprende crescita personale,finalità ecc. A livello individuale sono le caratteristiche positive personali come il ben-essere soggettivo,l’ottimismo,la felicità, che contribuiscono al ben-essere. A livello contestuale, il supporto sociale e il senso di appartenenza sono i principali fattori esterni che contribuiscono al ben-essere.
    Il ben-essere è stato definito “vivere bene” da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico che promuove la crescita personale e migliora la convivenza civile tra le persone.
    Canevaro sostiene che il benessere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale ma alla capacità che l’individuo ha di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano.
    Nell’ambito della disabilità,chi si occupava di questa problematica,non era interessato a promuovere quello che è il ben-essere dei disabili,infatti molti bambini con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. Grazie ad Edouard Seguin (medico francese) si assiste ad una visione progressista interessata a fare in modo che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società. Questo modello formativo di scuola si diffuse rapidamente ma con la constatazione che queste persone non venivano curate, le scuole diventarono meno educative e più affidatarie, le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane da una società meno accettante che risultava e purtroppo risulta ancora oggi,essere indifferente persino alla questione della mancanza di attrezzature per queste persone,quasi come se questo dilemma non li riguardasse,quindi invece di abbattere quelle che sono le barriere architettoniche per far si che ci siano dispositivi tecnici in grado di aiutare il disabile a muoversi autonomamente ci si rendeva e ci si rende conto di quanto la noncuranza, il disinteresse e soprattutto l’insensibilità regnino sovrani ( ma se per un istante provassimo a metterci nei panni di queste persone menomate ci renderemo conto che questa questione appare di fondamentale importanza ed è da considerarsi non con distacco e imprudenza).
    A mio avviso bisognerebbe sfruttare la tecnologia che se da un lato altera l’equilibrio ambientale, condiziona gli stili di vita,ci rende persone passive e quant’altro, dall’altro lato può creare dei sistemi innovativi che riescono a dare un’autonomia alle persone disabili, un ben-essere psicologico che va al di la di qualsiasi ostacolo in quanto spesso queste persone si trovano a dipendere da qualcun altro come familiari,amici,sconosciuti annullando praticamente quella che è la propria autostima e il proprio successo nella vita di tutti i giorni.
    Si dice che il sorriso sia la cura per moltissimi mali,allora perché non regalare un minimo di felicità a queste persone cercando di tutelarle e sfruttando l’avanguardia a loro favore?
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  FLAVIA AGOSTINO Ven Mag 18, 2012 4:43 pm

    La felicità è lo stato d'animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri. L'etimologia fa derivare felicità da: felicitas, felix-icis, "felice", la cui radice "fe-" ( prefisso indoeuropeo) significa abbondanza, ricchezza, tanto che i latini parlavano di “terra felix” quando la stagione era stata fertile.. La nozione di felicità, intesa come condizione (più o meno stabile) di soddisfazione totale, occupa un posto di rilievo nelle dottrine morali dell'antichità classica, tanto è vero che si usa indicarle come dottrine etiche eudemonistiche (dal greco eudaimonìa= buon demone, una buona sorte) solitamente tradotto come "felicità". Essa quando è presente associa la percezione di essere eterna al timore che essa finisca. La felicità è quell'insieme di emozioni e sensazioni del corpo e dell'intelletto che procurano benessere e gioia in un momento più o meno lungo della nostra vita. Se l'uomo è felice, subentrano anche la soddisfazione e l'appagamento. Il raggiungimento di un obiettivo è dettato da un bisogno che procura gioia e quindi felicità. In questo conteso la felicità era strettamente legata alla fortuna e questo originario significato è ancora presente nelle lingue anglosassoni come il tedesco. In particolare nell’accezione utilizzata da Aristotele nell’ Etica Nicomachea, indica un processo di interazione e mutua influenza tra ben-essere personale e ben-essere collettivo, tale per cui la felicità individuale si realizza nello spazio sociale ; in seguito, questa parola prima con Socrate, poi con Platone e infine con Aristotele è legata alle libere scelte dell’uomo che può diventare felice.
    La “FELICITà” e quello che significa vivere una buona vita rappresenta da una centinaia di anni la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo, tanto che, nelle culture contemporanee le persone stanno cercando degli espedienti sempre più utili per essere felici. Solo recentemente le scienze sociali hanno iniziato in modo sistematico a studiare il concetto di felicità. Maslow, attraverso la gerarchia dei bisogni, stabilisce che il più alto grado di bisogni, come l’autostima e l’attualizzazione sono condizionati dalla soddisfazione dei bisogni di ordine più basso come la sopravvivenza, la sicurezza e l’appartenenza. In modo particolare, il movimento della psicologia positiva ha indirizzato l’indagine psicologica verso gli aspetti positivi dell’esperienza umana. La felicità studiata sotto il profilo dei bisogni (primari, secondari, ecc) porta a valutazioni e definizioni non solo psicologiche e filosofiche diverse, ma anche materiali, per questo motivo la felicità è stato ed è studio di ogni scienza umanistica. Nettle opera una distinzione tra “felicità di primo livello”,( quando una persona afferma di essere felice nella propria vita non significa che prova piacere per tutto il tempo ma semplicemente che , dopo aver fatto un bilancio tra piaceri e dolori, tra emozioni positive e negative, percepisce che nel lungo termine ha sperimentato più sensazioni positive piuttosto che negative), “felicità di secondo livello”,( la felicità ha come sinonimi appagamento e soddisfazione e comprende processi cognitivi più complessi quali il paragone con possibili risultati alternativi), e “felicità di terzo livello” ,dove misurare la felicità non è semplice e valutarla implica esprimere un giudizio su che cosa sia vivere bene e in che misura lo si realizzi nella propria vita. La psicologa Carol Ryff ha sostenuto che il ben-essere umano coinvolge un insieme di elementi più ampio della semplice felicità di secondo livello; come crescita personale, finalità, padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi , cosi come gli elementi di piacere e di assenza di dolore. Rimane chiaro che la divisione è fatta per chiarire le varie componenti di quello che è lo stato della felicità della persona, ma essendo l'uomo una unità indissolubile di psiche-corpo-spirito è chiaro che si parla sempre di tutte le componenti che si influenzano tra di loro. Se mi fa male un piede è molto più facile che io sia triste piuttosto che allegro e felice. Seligman, invece, afferma che una persona può avere emozioni positive verso il passato, come la soddisfazione, e emozioni positive circa il futuro come la speranza e l’ottimismo e le chiama “vita piacevole”. Sostiene che esiste una forma di felicità che passa attraverso esperienze in cui noi siamo impegnati o nel “flusso”. Il concetto di flusso comprende quei momenti in cui siamo concentrati su compiti stimolanti che esattamente mettono alla prova le nostre abilità, riceviamo feedback, abbiamo senso del controllo, emozioni limitate e perdiamo traccia del tempo.
    Watterman afferma che la felicità è massimizzata quando le attività di vita delle persone coincidono con i loro più profondi valori, che risultano in un senso di autenticità e vivacità definita “espressività personale”. Gli esseri viventi cercano di attribuire senso, significato agli eventi, comportamenti, agli stati interni e intenzioni sociali il cui significato è funzionale alle nostre categorie e ai valori di riferimento, poiché l’individuo nasce con un corredo genetico, culturale specifici in relazione alla realtà sociale di appartenenza.
    Canevaro a questo proposito afferma che il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale autarchica ma a ciò che si definisce “capitale sociale”, cioè all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie all’influenza dei fattori ambientali che lo circondano, poiché dal punto di vista educativo tutti abbiamo la potenzialità di decidere di essere ciò che vogliamo. Ciascun individuo deve essere incoraggiato a seguire il proprio percorso di complessità e condivisione, ad usare efficacemente i propri talenti e punti di forza.
    Il benessere in quanto fenomeno soggettivo,è l’essenza della qualità della vita ed è caratterizzato da diverse componenti: cognitiva, affettiva, individuale, contestuale, fisiche, psichiche, sociali, emozionali, psicologiche. Il benessere, quindi, è uno stato complesso perché multicomponenziale, multidirezionale, multidimensionale. (Iavarone) Oggi si sente sempre più spesso parlare di qualità della vita, in riferimento al diritto di ogni persona di vivere in modo soddisfacente, senza ansie e problemi di vario genere. Certamente lo sviluppo industriale e tecnologico ha reso la vita di ciascuno più comoda e confortevole di quanto lo fosse stata per le passate generazioni, soprattutto all’interno della propria casa dove, ad esempio, con un computer collegato ad Internet e standosene tranquillamente seduti su una sedia, si possono svolgere delle attività professionali, studiare, compiere delle ricerche, ottenere delle informazioni, prenotare dei viaggi o degli spettacoli o, ancora, acquistare dei prodotti. La nostra società ricca offre tanti piaceri che velocemente diventano effimeri. Infatti, non appena cala la stimolazione che ha portato al piacere, quest’ultimo sparisce del tutto. Ma molti altri elementi rientrano nel concetto di qualità della vita, a cominciare dallo svolgere un lavoro soddisfacente e gratificante come, purtroppo, non sempre avviene oggi nel nostro Paese, in quanto in tanti trovano difficoltà ad impegnarsi o devono accontentarsi di un lavoro temporaneo, talvolta precario o senza garanzie contrattuali. La buona vita consiste nell’usare le proprie forze in modo proficuo nel lavoro, nelle relazioni e nel tempo libero. Quindi la buona vita si ha quando gli individui sviluppano le loro forze e virtù.
    Iavarone sostiene che il ben-essere segue più direzioni e la sua percezione, da parte del soggetto, cambia sia in senso verticale, nei diversi “tempi” della vita, che in senso orizzontale, nei diversi “luoghi”. Il ben-essere possiede più dimensioni dato che il suo desiderio si trasforma sia sincronicamente che diacronicamente; di conseguenza il ben-essere è caratterizzato dall’integrazione tra i sistemi biologico, psichico e sociale e dipende dagli stili di vita e di lavoro, dal tempo libero, dalla condizione dell’ambiente e dalle qualità umane dei contesti.
    Approfondire la conoscenza sul benessere tenta di prevenire e alleviare la sofferenza attraverso la promozione di una buona salute, resilienza e crescita psicologica. In questa prospettiva gli individui posso usare le loro forze per superare le sfide della vita, come abbiamo visto con Simona Azoti, Pistorius e la signora Tina. I cittadini, quindi, hanno il diritto di fruire dei servizi sociali efficienti, come la scuola,la sanità, i trasporti pubblici ecc.. Vivere in un luogo dove tutto funzioni alla perfezione migliora certamente la qualità della vita. Quest’ ultima però, non è qualcosa soltanto che ci spetta di diritto, ma bisogna pure sapersela conquistare: i comportamenti individuali ispirati all’altruismo, alla operazione, alla tolleranza, al rispetto per l’ambiente, all’impegno quotidiano nel lavoro favoriscono il raggiungimento di un livello di vita qualitativamente alto. La questione ambientale coincide non poco sulla qualità di vita. Si sa che la salute viene prima di ogni cosa, ma essa viene messa a rischio respirando aria sempre meno salubre a causa dell’ inquinamento atmosferico. Pertanto lo Stato in ambito politico-istituzionale, ma anche la gente comune, deve salvaguardare gli equilibri della natura dai quali dipende la vita del Pianeta. Anche l’ambiente familiare coincide sulla qualità della vita, influenzando lo sviluppo di un bambino, soprattutto, con disabilità. Un atteggiamento negativo verso la disabilità da parte dei membri della famiglia può influire sul bambino ma anche aggiungersi all’esistente livello di stress della famiglia. Quando in una famiglia nasce un bambino con disabilità il fatto si trasforma in un evento traumatico , angoscioso e luttuoso. Le madri passano attraverso stadi di shock,disorganizzazione emotiva e riorganizzazione , dopo essersi adattate al trauma. Essi ,rispetto agli altri genitori,passano attraverso periodi prolungati di stress ed è importante che vivano in un ambiente familiare ,sociale che accetti e rispetti quella specifica disabilità. Ciò che si dovrebbe fare è andare oltre questi fattori stressanti e pensare ad un modo per aiutare queste famiglie ad essere coinvolte in diverse situazioni di successo. Inoltre, non molto tempo fa, purtroppo, molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. A tal proposito Seguin, un medico francese che nella metà del 1800 guidò la prima scuola per bambini disabili, affermo che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società, con la constatazione che queste strutture non favorivano il ritorno del soggetto nella società. Negli anni Cinquanta e Sessanta divenne ampiamente condiviso dalle famiglie il concetto di “normalizzazione” e in seguito ci si è mostrati interessati anche nell’offrire un supporto tecnico e psicologico alle famiglie con un figlio disabile. Infine, qualità della vita significa dedicare qualche ora del proprio tempo libero a se stessi, alle proprie passioni e divertimenti, evitando almeno per un po’ lo stress quotidiano. Distendere la mente aprendola ai pensieri positivi ed allo svago, fa bene alla salute psicofisica di ognuno e può aiutare a vivere meglio. La pedagogia perciò ha a cuore il benessere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione e della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo fisico e psicosociale. L’uomo, per dirla con Aristotele, è un “animale sociale”, per cui ha bisogno di vivere in una comunità, organizzando la sua vita insieme ai suoi simili. La vita di ognuno di noi è infatti determinata, per una parte, dalla comunità in cui si è inseriti, per il resto dall’iniziativa personale.
    Nella società il diritto a star bene è divenuto qualcosa di legittimo e facilmente attendibile. Diritto che può essere esercitato quanto più le persone vengono aiutate a sviluppare la capacità di acquisire forza e potere nel determinare il proprio stato di benessere.
    “Fornire risposte”, “ prendersi carico”, “risolvere i problemi” apparentemente aiutano il soggetto in difficoltà mentre, in realtà, lo impoveriscono.
    È l’educazione che deve aiutare ognuno di noi a trovare il suo modo originale e personale di valorizzare la propria iniziativa nella piena integrazione con gli altri. Infatti lo scopo di educazione autentica non dovrebbe essere di rendere uguali tutti gli uomini, ma di abituarli a sapere scegliere quello che ritengono più opportuno a valorizzare se stessi nell’ambito del rapporto con gli altri. La spinta del vivere sociale è data anche da fattori psicologici, in quanto un individuo non può non riconoscersi in una comunità di cui condivide ideali , costumi e valori. L’alternativa sarebbe la solitudine spirituale ed intellettuale, oltre che l’immobilismo fisico. Sempre secondo quanto sostiene Iavarone il ben-essere non è uno stato individuale ma un progetto dinamico da condividere con gli altri ed è costituta da tappe intermedie e di modificazioni in una costante tensione al cambiamento e al riadattamento esistenziale; dunque, nel caso di disabili è necessario costruire partendo dai soggetti e dalla forza che esprimono, dalle loro potenzialità piuttosto che dalle loro debolezze siccome non basta insegnargli a mangiare, a bere, a vestirsi risolvendo i loro problemi ma aiutarli ad intraprendere relazioni personali, a promuovere di condurre una “buona vita”, vivere vite stimolanti e soddisfacenti, coltivando ciò che è meglio per se stessi, perchè l’essere umano ha bisogno di sfide, ha bisogno di mettersi alla prova, di rinforzare le proprie potenzialità e capacità. Ogni uomo, condividendo un sistema di valori comuni, dà significato e orientamento alla propria vita, evitando quindi di cadere in un insignificanza che lo condannerebbe ad una mortificazione esistenziale. Sostanzialmente non c è separazione netta e radicale tra individuo e società, perché la società non è altro che un complesso di individui che interagiscono positivamente tra di loro. Ora analizziamo le ricerche che si sono sviluppate sui soggetti con ritardo mentale. Dopo numerose ricerche si è giunti ad affermare che il ben-essere emozionale è quello più vicino alla felicità e i ricercatori nel campo della qualità della vita hanno paradossalmente fatto un grande lavoro di misurazione quantitativa ,chiedendo quanto soddisfatte le persone fossero come consumatori di lavoro ,residenze e altri servizi.
    Diener, Oishi e Lucas hanno concluso che una maggiore disponibilità di denaro o di altre circostanze di vita sono ben poca cosa in relazione con la felicità complessiva. La psicologia positiva ritiene che la felicità e il ben-essere siano molto di più che la semplice assenza di preoccupazione o psicopatologia e che le persone con ritardo mentale pur essendo a più alto rischio di psicopatologia o doppia diagnosi, sono vulnerabili agli stessi disordini dell’umore, malattie psichiatriche e difficoltà di adattamento incontrate dalla popolazione.
    Negli anni Settanta del secolo scorso Zigler sostenne che i bambini con ritardo mentale non avevano solo un “basso QI”, ma avevano anche una personalità distintiva e stili motivazionali che parzialmente derivavano dai loro aumentati indici di esperienze fallimentari e avevano minori aspettativa di successo,bassa motivazione alle sfide e per risolvere i problemi si affidavano molto più agli altri che a se stessi .


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    Messaggio  Rita Desiato Ven Mag 18, 2012 5:20 pm

    Ho scelto di trattare il primo capitolo del libro “ Ben-essere disabili “ scritto da Elisabetta Ghedin intitolato : “ Ben-essere nella disabilità. Ho deciso questo argomento perché leggendo questo capitolo e sentire parlare di ben-essere mi ha particolarmente colpito e interessato .
    Spesso gli individui (sia adulti che bambini) utilizzano i termini “ sono felice “ , “ che Gioia “ , “ che felicità e chiunque essere umano si è posta la domanda in primis io :
    Cos’è la FELICITA’?
    E’ una bella domanda , io ho sempre pensato che la felicità è un breve piccolo atto effimero ed è astratta e cambia di persona in persona .
    Il capitolo pone diversi chiarimenti riguardo il termine felicità .
    La felicità significa “ vivere una vita Buona “ e le persone cercano metodi per raggiungere e diventare sempre più felici .
    Recentemente le scienze sociali come la psicologia ; si sono incominciate ad interessarsi di questo concetto.
    Possiamo distinguere due fasce di studiosi :
    • Alcuni studiosi ritengono che approfondire questo concetto sia un obiettivo superficiale rispetto alla comprensione di sofferenza umana e che esista un ordine ben preciso su quali la psicologia deve occuparsi
    • Altri studiosi credono che la prospettiva psicologica negativa rappresenta un’attenzione falsata che ignora gli aspetti positivi .
    Nonostante le critiche l’analisi della felicità , essa ha guadagnato sempre di più strada…
    Insomma Cos’è la Felicità ?E’ un concetto sfuggente che compare in ogni cultura .
    Possiamo distinguere due modi :
    1. Qualcosa di immediato ( gioia e piacere )
    2. Qualcosa di durevole e significativo ( soddisfazione e appagamento )
    La felicità è connessa al portare a compimento dell’intera vita .
    Possiamo distinguere dei livelli di felicità :
    1. livello più immediato (gioia , piacere)
    2. quando le persone affermano di essere felici ma realmente e letteralmente non lo sono
    3. una vita in cui la persona prospera e realizzi le proprie vere potenzialità
    Lo studioso SELIGMAN ha proposto diverse strade per condurre alla felicità :
    • una persona può avere emozioni riguardanti il passato ( come soddisfazione ) e emozioni per il futuro ( come ottimismo e speranza )
    • individuare talenti personali ( forze )
    Una buona vita consiste nell’usare le proprie forze in modo proficuo.
    I termini FELICITA’ E BEN-ESSERE sono molto fondamentali .
    Andiamo a spiegare altro termine importante il Ben-essere .
    Il termine ben-essere è la soddisfazione delle proprie esigenze e anche il conseguimento
    di funzionamenti che variano .
    Abbiamo importanti fattori che influenzano il ben-essere :
    • interno ( ottimismo , felicità , perseveranza , autodeterminazione )
    • esterno ( supporto sociale , senso di appartenenza … )
    Importante è la relazione tra il ben-essere del singolo e lo sviluppo della collettività , come affermò Canevaro il ben-essere di un individuo è legata alla sua condizione individuale in quanto a quello che si chiama oggi CAPITALE SOCIALE ovvero alla capacità di adattarsi con le strutture che lo circondano come i contesti e l’ambiente .
    Gli individui non sono di per se svantaggiati, è l’ambiente che li fa comportare di conseguenza . CIASCUNO DEVE ESSERE CORAGGIOSO ma soprattutto INCORAGGIATO a seguire il proprio percorso con autodeterminazione .Quindi come afferma la professoressa Iavarone il
    ben-essere è assimilato ad una condizione di benessere fisico ma va definito come uno stato veramente complesso perché è multi direzionale , multidimensionale .
    Ogni essere umano nasce con qualcosa di nuovo , qualcosa di mai esistito prima . Parlando dei bambini “ svantaggiati “ ,alla nascita a posto di un bambino “ sano e bello “ un bambino con disabilità si trasforma in un evento angosciante e luttuoso.
    Mullins approfondendo ciò,afferma che ci sono madri nelle quali si sviluppa il sentimento dell’angoscia e altri che della disabilità dei loro figli hanno aggiunto qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato e inoltre essi venivano assistiti in istituzioni con finalità caritatevoli , isolati dal mondo .
    Lo studioso SEGUIN promosse la visione che i bambini con dis-abilità ( diversa abilità) potessero essere educati e assumere il posto , il ruolo giusto nella società .
    Successivamente queste istituzioni o anche scuole si modificarono i modelli formativi e divennero scuole meno educative e più affidatarie e infatti favorirono la segregazione e l’abbandono .
    In seguito il concetto “ normalizzazione “ venne preso in considerazione . Ci fu la chiusura delle istituzioni e finalmente si ebbe la completa INCLUSIONE .
    Si ebbe cosi un netto cambiamento positivo per quanto riguarda i programmi specifici adottati ognuno per far rendere in grado le persone con dis-abilità di cogliere e compiere scelte personali della vita e soprattutto far emergere , potenziare le loro capacità.
    La pedagogia soprattutto quella speciale ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto , come ha affermato la prof Iavarone .
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    Messaggio  anna gemma buono1 Ven Mag 18, 2012 5:21 pm

    Cos’è la felicità? Quando si può affermare di essere “felici”?Cosa ci rende felici?
    Queste le domande che ognuno di noi si pone al di là della propria cultura di appartenenza. Ovunque infatti si distingue qualcosa di estremamente immediato come la gioia e qualcosa di più durevole e significativo.
    Nettle afferma che la felicità potrebbe essere suddivisa in tre stati : uno stato immediato che implica un emozione come la gioia o il piacere ,che è transitorio definito “felicità di primo livello”
    - un altro stato che riguarda il giudizio su queste sensazioni “felicità di secondo livello”
    - uno stato ancora più ampio in cui la persona prospera o realizza le proprie potenzialità.
    La felicità quindi non è il piacere che si trova nell’attimo fuggente ma è dare un senso alla propria esistenza ,e per questo non si è felici una volta per tutte ma tramite le nostre scelte possiamo “diventare felici”.
    Spesso felicità e il benessere vengono confusi. Il benessere è “vivere bene ,da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico ,anche in presenza di una malattia temporanea o cronica”
    Implica quindi una componente cognitiva che valuta la propria vita e una affettiva suddivisa nella presenza di affetto positivo e nell’assenza di quello negativo. Tutto infatti dipende dal nostro modo di vedere le cose ,perché la nostra vita è data dall’interpretazione che ne diamo.
    Nel benessere fondamentale è il ruolo della cultura che con i propri valori influenza la vita di ogni individuo.
    Canevaro a questo proposito afferma che il benessere di un individuo è legato al “capitale sociale” ossia a quell’insieme di capacità che ha di organizzarsi ed adattarsi ai contesti.
    Ognuno di noi ha la capacità di benessere e dunque un suo potenziale per decidere di essere ciò che si vuole,ma è naturalmente l’ambiente a favorirne o sfavorirne lo sviluppo come nel caso delle barriere architettoniche .
    Ciascun individuo dovrebbe essere visto come un agente di miglioramento e di sviluppo della comunità anche i disabili.
    Se infatti prima si tendeva ad allontanare i disabili dalla società adesso si sente il bisogno di una politica che li integri. Questo grazie agli sforzi di Edouard Seguin che nella prima metà dell’800 giudò la prima scuola per bambini disabili, promuovendo una visione progressista che questi bambini se correttamente educati potevano assumere il loro giusto ruolo nella società. .A tal proposito mi sembra affine il tema del film “si può fare” ,che abbiamo avuto modo di vedere grazie al univoc, dove persone ritenute ai margini perché considerate inutili per la società e talvolta pericolosi si sono rilevate invece utili e ricchi di potenzialità.
    Tutti possono contribuire al miglioramento della società ,anche i disabili ,ma è fondamentale lo sviluppo delle loro capacità e dell’autonomia. Come ha infatti sostenuto la Prof.ssa M.L. Iavarone il ben-essere è legato alla possibilità di insegnare ai soggetti ad acquisire la capacità di costruire da soli il proprio personale benessere, sviluppando in questo modo una forte autonomia. Quindi secondo la docente è importante far in modo che i soggetti riescano ad imparare a stare bene e che riescano a farlo ricordando sempre che il ben-essere è una condizione che si raggiunge attraverso scelte individuali e sociali. Infondo tutti gli incontri che abbiamo fatto(univoc ,dott.palladino,la signora Tina) e le storie che abbiamo analizzato (pistorius,atzori) hanno sottolineato infatti la forza d’animo e soprattutto la volontà di imparare a stare bene con se stessi e di aiutare gli altri a fare altrettanto.
    Per fare ciò si dovrebbe partire dal contesto familiare dove spesso gli stessi familiari credono che alla persona disabile basti allontanarsi dal dolore per essere felici mentre come abbiamo visto la felicità è sentirsi realizzati. Inoltre i parenti spesso provano nei confronti della disabilità delle emozioni negative che la alimenta .
    La famiglia infatti non riesce ad accettare la malattia e le situazioni di stress che ne derivano e questa sensazione viene trasmessa al disabile.
    Se il benessere è collegato all’interpretazione che uno fa della propria vita, vedere i propri cari considerarla in maniera positiva è il primo passo per la felicità.
    È soltanto infatti con un atteggiamento positivo che si comprende che ognuno di noi ha qualcosa di particolare, che tutti possono fare qualcosa di “grande” ed essere felici . Perché la felicità non ha pregiudizi ,non sceglie i normodotati e scarta i disabili ,ma è di coloro che sapranno fare della loro vita un dono.
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    Messaggio  Gallo Luisa Ven Mag 18, 2012 5:21 pm

    Fin dall’antichità si sono posti il quesito di cos’è la felicità?
    La felicità e quello che significa vivere una buona vita ha rappresentato la base del dibattito filosofico tra vari studiosi.
    Alcuni studiosi ritengono che studiare e approfondire la conoscenza delle amozioni positive sia un obiettivo superficiale rispetto alla necessità di comprendere la sofferenza umana.
    Altri studiosi credono che la tradizionale psicologica negativa rappresenti un’attenzione falsata che ignora gli aspetti positivi del funzionamento umano.
    Il concetto di felicità è sfuggente ma ciò non ne altera il valore,il concetto si felicitò compare in ogni cultura.
    Aristotele,Platone e Socrate davano alla felicità un significato di eudonomia che deriva originariamente da “buon demone” che poi hanno attribuito significato nuovi,e si inizia a pensare che l’uomo con le sue scelte e con la sua libertà può essere felice,anche contro la sorte.
    La felicità può essere classificata in tre livelli:
    La felicità di primo livello può essere misurata in modo oggettivo,ciò che le persone riferiscono soggettivamente sulla loro felicità è indiscutibile.
    La felicità di secondo livello è vera ma in misura inferiore,in questo caso i differenti livelli di paragone che persone diverse utilizzano nei loro giudizi potrebbero diventare un fattore di confusione.
    La felicità di terzo livello non si può misurare facilmente e valutarla implica esprimere un giudizio su che cosa sia vivere bene e in che misura lo si realizzi nella propria vita.
    Spesso il termine felicità e benessere vengono usati come sinonimi con il secondo che rappresenta il termine più scientifico dei due.
    La definizione di benessere è che il benessere è soggettivo e valuta l’intera soddisfazione di vita,il benessere è stato definito”vivere bene” da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica.
    Inoltre secondo Iavarone il benessere non può essere assimilato a una grande condizione di benessere fisico o economico ,ma va definito come uno stato variamente complesso perché multicomponeziale,multi direzionale,multidimensionale.
    Un ultima ricerca è stata fatta sulle famiglie di bambini con ritardo mentale,alla nascita di un figlio sono connesse profonde aspettative di gratificazione personale e sociale.
    Quando invece del “bambino sano e bello”nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma in un fatto in un evento angosciante e luttuoso.
    Mullins ha condotto un’analisi di circa 60 libri scritti da genitori di figli disabili,e ha messo in evidenza la presenza di stress emotivo e preoccupazioni ma ha anche concluso che ,per la maggior parte la disabilità dei loro figli ha aggiunto qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato.
    Questo ci deve far riflettere che tutti abbiamo diritto alla felicità e al benessere.
    Angela Di Marzo
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 4 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Angela Di Marzo Ven Mag 18, 2012 5:35 pm

    Queste sono alcune risposte alla domanda:cos’è la Felicità?
    <<La felicità è quando ciò che pensi ,ciò che dici e ciò che fai sono in armonia>> <<La felicità è amare ed essere amati! >> <<La felicità è nel sorriso delle persone che amiamo.>> <<Salute,amore e serenità sono gli unici ingredienti per una vita veramente felice!.>> <<La felicità è dopo una giornata pesante, sentirsi fieri di sè e di quello che si è fatto>> <<Felicità è vedere tutto speciale in un giorno normale.>> <<Felicità sta nel conoscere i propri limiti ed amarli. >>

    Cos’è invece la Felicità per un disabile?
    Ivan ,un ragazzo disabile affetto di adrenomieloneuropatia, si trova a Bangkok per provare la cura con le cellule staminali… ha 34 anni e vive a Treviso con la sua ragazza…riesce a camminare solo con le stampelle e alla domanda risponde:<<Per molti la Felicità è vincere al superenalotto,per me è riuscire ad alzarmi al mattino senza l’aiuto di nessuno,farmi una doccia tranquillo e fare due passi tenendo per mano la mia ragazza.Che bello!>>

    Nelle culture contemporanee le persone stanno cercando metodi sempre più utili per diventare felici. Essere felici non sempre costituisce uno stato assoluto,ma include un’implicita comparazione con un’aspettativa o con ciò che altri possiedono.
    Il senso più immediato di felicità che implica un’emozione o una sensazione provocata dal raggiungimento di uno stato desiderato è definito da Nettle di primo livello. La felicità che riguarda i giudizi sul bilancio delle sensazioni,come le soddisfazioni,è definita di secondo livello. Una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità è definita felicità di terzo livello.
    Secondo Ghedin noi,in quanto esseri viventi,tendiamo alla complessità da un punto di vista biologico,psicologico e sociale. Gli esseri umani cercano di attribuire senso e significato agli eventi,ai comportamenti,agli stati interni e alle intenzioni sociali e tale significato è funzionale alle nostre categorie e valori di riferimento che sono culturalmente costruiti.
    Ciascun individuo deve essere incoraggiato ad usare efficacemente i propri talenti e punti di forza,ognuno ha un suo proprio potenziale irripetibile di possibilità e di limiti.
    La psicologa Carol Ryff ha sostenuto che il benessere umano comprende crescita personale,finalità,padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi,elementi di piacere e assenza di dolore..

    Non molto tempo fa,molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. In parte queste istituzioni sono cresciute dagli sforzi di Edouard Seguin che nel 1800 giudò la prima scuola per i disabili. Promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società.
    Negli anni 70 del secolo scorso Zigler sostenne che i bambini con ritardo mentale rispetto ai loro compagni con la stessa età avevano minori aspettative di successo,bassa motivazione alle sfide e si affidavano molto di più agli altri invece che a se stessi per la soluzione dei problemi. Essi dimostravano anche di avere più alti livelli di impotenza appresa. Sempre negli anni 70 ci sono stati degli studi sulla motivazione generale e intrinseca dei bambini con deficit intellettivo,tali studi erano importanti per aumentare il comportamento e l’apprendimento centrati sul compito. Questi studi sulla motivazione dovrebbero anche includere questioni relative al BEN-ESSERE ,ad un adattamento di vita,o alla felicità e non basarsi soltanto sull’apprendimento scolastico finalizzato al raggiungimento del compito. Come sostiene anche la Prof Iavarone l’obiettivo è quello di favorire lo sviluppo di un sentimento globale di autoefficacia fondato sulla possibilità di rendere potenti le persone nella gestione delle loro vite.
    Credo che sia stato proprio questo corso,attraverso anche l’incontro con persone uniche,a farmi capire cos’è per me la felicità…
    Per me la felicità sta in tutte le piccole cose quotidiane,il profumo del caffè che mi sveglia,il sorriso di mia madre nel darmi il buon giorno,le chiacchierate con le mie amiche,le passeggiate con il mio fidanzato,il sapere di contare per qualcuno e rendere felice qualcuno…o anche come disse il Signor Palladino:<<la Felicità sta nel sorriso di un bambino>>!


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