Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    Maria Di Caterino92


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    Messaggio  Maria Di Caterino92 Sab Mag 19, 2012 3:54 pm

    Esercizio 1)
    L’OMS è l’Organizzazione Mondiale della Sanità. La prima classificazione elaborata dall’OMS è la classificazione internazionale delle malattie o ICD del 1970, rispondeva all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. Nel 1980 l’OMS pone una classificazione internazionale l’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps, detta ICIDH basata su tre fattori tra loro interdipendenti e interagenti: la menomazione, la disabilità e l’handicap, questi tre fattori però verranno sostituiti da: menomazione, abilità e partecipazione. L’ICF indica “la Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute”. Secondo gli studi dell’ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Un esempio di contesto sfavorevole l’ho abbiamo riscontrato nel laboratorio svolto riguardanti le barriere architettoniche nel quale attraverso l’approfondimento dell’orologio( la nostra giornata) abbiamo capito che per un disabile la quotidianità risulta molto difficile perché ha bisogno di un aiuto costante. L’ICF non classifica soltanto condizioni di salute, malattie, disordini o traumi, ma le conseguenze associate alle condizioni di salute, permette quindi di evidenziare la convivenza con le loro condizioni affinchè si possa migliorare mediante un esistenza produttiva serena. Gli ambiti di in cui può essere utilizzato l’ICF sono: sanitario,sociale,educativo,ricerca,statistico, politica sociale e sanitaria. Il passaggio dall’ICD all’ICF si è avuto quando una semplice diagnosi medica non appariva sufficientemente adatta a definire ciò che la persona era capace di fare e di non fare. Di fondamentale importanza in questo ambito sono i termini: disabile e diverso. Potremmo dire che il disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, con disfunzioni motorie e cognitive e che ha la mancanza di una o più abilità oppure dal diverso funzionamento di una o più abilità. Il più delle volte nei confronti delle persone disabili si assume un atteggiamento e uno sguardo di pietismo. Molte persone però nonostante la disabilità non si sentono tali, riuscendo a compiere qualsiasi tipo di attività recuperando una certa autonomia e un esempio è quello di Oscar Pistorius che da piccolo gli furono imputate entrambi le gambe a causa di una grave malattia agli arti inferiori e grazie alla tecnologia è potuto diventare un grande atleta usufruendo delle protesi (flex foot). A questo si affianca la ballerina Atzori che ci ha voluto dimostrare che nonostante le avversità è riuscita ad andare avanti e non ad arrendersi alle difficoltà della vita. Mentre il diverso oltre ad una disabilità ha anche delle abilità diverse dagli altri da scoprire, fare emergere e potenziare. Oggi è più corretto parlare di diversabilità che diversità. Il termine diversabile è un termine positivo perché mette in evidenza l’essere diversamente abili di molte persone con deficit, proviene da una necessità. Per esempio nel caso di un non vedente la cecità è il suo deficit. Infine possiamo dire che la diversità porta alla categorizzazione cioè alla collocazione di certe persone in determinate categorie.
    Esercizio 2)
    Anna Maria Murdaca è docente e autrice competente in questioni relative la persona con disabilità. Nel suo testo Complessività della Persona e Disabilità mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione, alla comprensione delle condizioni reali di vita, quale ruolo possono assumere i soggetti disabili, quali servizi vengono erogati per le loro esigenze. L’autrice afferma che bisogna abbandonare la logica dell’inserimento e dirigersi verso l’inclusione, bisogna adattare l’ottica della globalità: una nuova cultura e conoscenza della disabilità attenta non solo ad analizzare i temi del funzionamento, del comportamento e dell’assistenza del soggetto disabile ma anche puntata sul riconoscimento della persona in evoluzione che può essere disorganizzata da interazioni errate tra sistemi biologico, psico-intellettivo, affettivo, relazionale e sociale. Alla base degli studi di Anna Maria Murdaca vi è la relazione educativa un rapporto che intercorre tra due o più persone come ad esempio educatore/bambino in cui affrontano una serie di situazioni emotive e affettive che vengono ricostruiti nel rapporto educativo. La relazione educativa può nascere da u rapporto di ambito familiare tra madre e figlio, può stabilirsi anche tra docente e discente quando si produce un legame di apprendimento attraverso una profonda interconnessione che porta alla conoscenza. Questa relazione educativa deve essere incontro e scambio e non deve essere caratterizzata da una disparità di potere tra insegnamento e alunno. Tra due o più persone deve avvenire uno scambio dove si da ma si riceve anche qualcosa a prescindere che si tratti di un’esperienza positiva o negativa. Nelle relazioni educatore/educando il futuro educatore deve trasmettere qualcosa di positivo arricchendole di conoscenze in base al rispetto reciproco. A tale riguardo potremmo prendere in considerazione il laboratorio svolto durante il corso la relazione educativa e il rapporto educatore/ educando, il quale l’educatore insegna e indirizza, l’educando sperimenta e impara. L’immagine di educatore corrisponde a colui che si occupa di emarginazione, handicap, devianza ecc. alcune volte gli educandi sono adulti con difficoltà come nei casi di tossicodipendente, alcolisti e carcerati. In questa relazione è importante capire chi si ha di fronte, i suoi problemi e le sue paure che spingono un soggetto a comportarsi in un determinato modo non approvato dalla società. La relazione educativa si caratterizza per lo scambio di emozioni tra due o più persone. Il legame affettivo permette alla persona in difficoltà di fidarsi per poi esprimere le proprie emozioni. La relazione educativa a riguardo si rifà all’immagine di una grande famiglia dove rapporti sociali si basano sul rapporto quasi familiare e dove l’educatore ha una posizione centrale. L’insegnante deve trasmettere le proprie competenze didattiche e culturali e non deve limitarsi alla lezione fatta di nozioni date ed eventi. Deve creare un clima sereno, far immedesimare o entusiasmare l’alunno facendolo intervenire e confrontarsi con gli altri, con il rispetto e la stima per le sue opinioni.
    Esercizio 3)
    Remaury,Lipovetsky e Braidotti hanno analizzato entrambi la trasformazione del corpo prendendo in riferimento quello femminile. Secondo Remaury nel suo testo “Il Gentil sesso debole” afferma che la cultura dell’ immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza, quindi la bellezza e’ associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla. Lipoveski nella sua opera”La terza donna” nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti, imposti e strutturati, per cui questa è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto. Infine Braidotti nella sua opera”Madri,Mostri e Macchine parla del corpo femminile strettamente collegato alla tecnologia che il piu’ delle volte puo’ sfociare in una mostruosita’.Come ho affermato nel laboratorio riguardanti le protesi estetiche ci sono persone che non accettano il proprio corpo e quindi cercano di migliorarlo con dei pezzi di ricambio, pero’ io sostengo che bisogna usare queste protesi solo nel caso in cui ce ne sia davvero bisogno ad esempio per chi ha subito incidenti oppure aiutare a migliorare chi ha delle malformazioni.
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    Messaggio  Francesca Sommella Sab Mag 19, 2012 4:31 pm

    Partendo dalla celebre frase di CANEVARO “ capire il significato dei termini per non far aumentare l’handicap” è proprio ciò di cui ha bisogno la società tutta . Grazie al testo nozioni introduttive di pedagogia della disabilità ho avuto modo di riflettere sull’importanza delle parole per esprimere il concetto di disabilità. Nella vita è importante dare un giusto significato e un peso alle parole ma è ancora più importante dare un giusto senso alle parole soprattutto a quelle pronunciate nel campo della disabilità e per questo motivo in campo sanitario sono sorte nel tempo una serie di classificazioni dei termini da attribuire alle varie malattie. In un primo momento l’oms, l’organizzazione mondiale della sanità nel 1970 ha elaborato l’icd, la prima classificazione internazionale delle malattie, la quale ha il compito di cogliere la causa delle patologie, dando per ogni sindrome o disturbo una descrizione delle caratteristiche della patologia, la diagnosi viene tradotta in codici numerici che rendono possibile la ricerca e la memorizzazione dei dati facendo così un elenco, un’enciclopedia medica. Inoltre per cercare di abolire il problema delle definizioni si fa riferimento al 1980 all’OMS che pubblicò un primo documento dal titolo International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH). In tale pubblicazione veniva fatta l’importante distinzione fra menomazione,disabilità ed handicap. La menomazione è definita come perdita o anormalità di una struttura o di una funzione psicologica o anatomica,essa come danno organico è una disfunzione che comporta una mancanza o una non esistenza,o un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo,invece la disabilità è definita come qualsiasi limitazione o perdita,conseguente a menomazione,della capacità di compiere un’attività nel modo considerato “normale” per un individuo,la disabilità non è solo deficit,mancanza,privazione a livello organico o psichico,ma è una condizione che va oltre la limitazione,che supera le barriere mentali e architettoniche,infine per handicap si intende la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale all’interno della società,è l’ostacolo che impedisce ad una persona con deficit di portare a termine una determinata attività. In un sdecondo momento ovvero nel 2001 facciamo riferimento ad un nuovo documento quale ICF, quest’ultimo ha per titolo International Classification of Functioning, Disability and Health. Già questo titolo è indicativo di un cambiamento sostanziale nel modo di porsi di fronte al problema di fornire un quadro di riferimento e un linguaggio unificato per descrivere lo stato di una persona. Non ci si riferisce più a un disturbo strutturale o funzionale, senza prima rapportarlo a uno stato considerato di "salute". L’ ICF non classifica solo le condizioni di salute, malattie, traumi ma alle conseguenze associate alle condizioni di salute e gli stati di salute ad essa correlati. L'ICIDH era coerente con una prospettiva organicistica, e il punto di partenza è sempre lo stato morboso in seguito al quale si origina una menomazione, intesa come perdita (o anomalia) funzionale, fisica o psichica, a carico dell'organismo. Tale menomazione può sfociare in disabilità, intesa come limitazione della persona nello svolgimento delle "normali" attività, mentre questa può portare all'handicap, ovvero allo svantaggio sociale che si manifesta nell'interazione con l'ambiente. Quella dell'ICF è una prospettiva multidimensionale, che non si limita solo ai fattori organici, definiti come "funzioni" e "strutture corporee". L’icidh prende in considerazione per la prima volta l’influenza che il contesto esercita sullo stato di salute dell’individuo, una salute intesa come benessere fisico, mentale e relazionale che riguarda l’individuo,la sua globalità e l’interazione con l’ambiente. Tale classificazione negli anni ha dimostrato delle imperfezioni nel non considerare la disabilità come un concetto dinamico,in quanto può anche essere solo temporaneo,inoltre non considera che una persona può essere menomata senza essere disabile,nell’icidh si considerano solo i fattori patologici,mentre un ruolo determinante nella limitazione o facilitazione dell’autonomia del soggetto è giocato da quelli ambientali. Tenendo conto di questi elementi l’oms ha commissionato a un gruppo di esperti di riformulare la classificazione e nel 2001 come ho già accennato ha proposto, la classificazione internazionale del funzionamento,della salute e della disabilità,in cui lo stato di salute di un individuo è affrontato in maniera multidisciplinare. Essa coglie lo stato di salute delle persone in relazione ai loro contesti esistenziali,sociali,familiari e lavorativi,mettendo in evidenza i fattori che nell’ambiente socio-culturale di riferimento possono causare disabilità, secondo l’icf la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole che non aiuta il disabile ma aumenta le sue difficoltà in particolare nell’ambiente sociale. L’icf valuta le abilità residue dell’individuo sostituendo il concetto di “grado di disabilità” con quello di “soglie funzionali”,pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia ed evidenzia come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinchè possano contare su un’esistenza serena. Inoltre è un importante strumento per gli operatori del campo sanitario,dell’istruzione e del lavoro,adottandola si accerterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa. A livello normativo e amministrativo si sono interessati attraverso l’ICF per descivere e misurare la salute e la disabilità della popolazione la legge 13/89 che stabilisce i termini e le modalità in cui deve essere garantita l’accessibilità ai vari ambienti, con particolare attenzione ai luoghi pubblici, oppure il D.M. 236/89 stabilisce per gli edifici e gli spazi privati, i parametri tecnici e dimensionali correlati al raggiungimento dei tre livelli:

    • Accessibilità: possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruire di spazi ed attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.
    • Visitabilità: possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare.
    • Adattabilità: possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito a costi limitati, allo scopo di renderlo completamente ed agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. Se solo si rispettassero tali leggi riusciremo a risolvere la gran parte dei problemi correlati alla disabilità. Soprattutto è importante conoscere la differenza sui termini disabile e diverso,l'individuo con disabilità, è colui che ha delle limitazioni nel compiere determinate attività nel modo considerato “normale” per un essere umano però spesso noi tendiamo ad assumere un atteggiamento sbagliato di pietismo nei suoi confronti,lo etichettiamo,lo consideriamo solo per quello che non è o non sa fare,senza pensare che magari questo individuo sarà capace di svolgere delle azioni che anche una persona “normale” non sa fare o non vuole fare ,quindi il termine disabile ha un valore dispregiativo. Spesso la disabilità viene confusa con la diversità che ha un significato ben diverso. Il diverso spesso non chiede di esserlo ma viene etichettato dalla società, una persona che non si conforma alla massa ma che è raro nella sua unicità! Sono proprio gli atteggiamenti sbagliati dell’intera società nei confronti di queste persone dette diverse ad essere sbagliati infatti spesso queste persone vengono categorizzate e automaticamente vengono emarginati ed esclusi dalla società. Quindi possiamo affermare che non necessariamente il diverso é affetto da menomazione che sia fisica o psichica ma semplicemente che si distingue per le sue caratteristiche.
    Questa grande confusione nell’interpretare questi termini così delicati è stata avvertita anche dalla docente esperta nelle questioni relative alla disabilità.
    Essa infatti cerca di adottare una nuova cultura e conoscenza della disabilità. Nel testo "complessità della persona con disabilità", Anna Maria Murdaca affronta il discorso riguardo:la rimodulazione del termine integrazione;la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità;la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità.
    Secondo l’autrice bisogna adottare una nuova cultura della disabilità che deve riflettere sull’assistenza del soggetto disabile ma soprattutto una cultura che riconosca l’individuo in modo totale,nella sua complessità,sia per quanto riguarda le sue menomazioni o handicap ma anche come persona con delle potenzialità.
    L’obiettivo è la valorizzazione della persona con il rispetto delle differenze,deve esserci integrazione,una continua ricerca di soluzioni che preservino i diritti acquisiti dei disabili attraverso la valorizzazione delle doti individuali.
    Tutto questo è possibile anche grazie alla cura che deve essere preservata al soggetto,si deve cercare di aiutare la persona con deficit a dare un senso alla sua vita,ad apprezzarsi per quello che è,in quanto individuo unico al mondo,per accettarsi e convivere con le sue caratteristiche,riducendo gli ostacoli e valorizzando le sue doti.
    Per fare ciò deve esserci una riformulazione del termine integrazione e cioè integrazione come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica e come condivisione di valori etici che tengano conto del rapporto dignità-autonomia si mira all’emancipazione del soggetto con disabilità e richiede delle attività da parte di ogni campo sociale,sanitario,legislativo ed educativo per sperimentare una serie di eventi affinchè egli stesso ripensi a se stesso dandosi un giusto valore e scoprendo le forze resilienti, capaci di far superare le difficoltà interiori e anche quelle esterne,sviluppando una propria autostima.
    Quindi rimodulare l’integrazione in prospettiva umanistica vuol dire considerare l’uomo nella sua globalità,considerarlo nell’insieme,considerare il disabile come cittadino a pieno titolo del mondo,la comunità sociale non deve trascurarlo ma proporre delle azioni positive per il suo sviluppo.
    L’integrazione è proprio uno dei problemi che la persona disabile deve affrontare. Esso non è altro che un processo continuo, che ricerca soluzioni,strategie, diritti dei disabili. L’integrazione viene
    quindi vista come accoglienza verso diverse identità, e come condivisione di valori etici. A favorire l’integrazione vi è la relazione educativa. Ogni relazione è educativa in quanto trasmette significati che danno peso nella vita di colui che li riceve, si riceve e si dà qualcosa.
    Nelle persone facilmente influenzabili e deboli caratterialmente qualsiasi cosa gli venga detto o insegnato può invadere positivamente o negativamente nella sua vita quindi soprattutto per l’educatore è un compito molto difficile e delicato rapportarsi con le persone, perché penso che ci si sente autori di azioni positive o negative compiute dall’educante.
    L’educatore non deve assumere un ruolo ne una postura che trasmette disagio o imbarazzo ma deve calarsi e conformarsi al livello della persona bisognosa in modo tale da metterla a proprio agio ed essere una sorta di figura familiare, confidenziale, una persona di cui potersi fidare cecamente.
    Il ruolo dell’educatore viene spiegato esaustivamente da un film che ho conosciuto grazie alle lezioni di pedagogia generale “la classe” dove racconta proprio del rapporto di un insegnante con i suoi alunni di una scuola media ovvero che ogni giorno i professori devono istaurare una relazione significativa con i propri allievi, per poter negoziare nuovi significati, perché i saperi non vengono imposti, ma continuamente negoziati, in un rapporto che diviene di scambio reciproco, diremo bidirezionale.
    Quindi, non è solo l’allievo ad arricchirsi, ma anche e soprattutto il docente, che dovrà continuamente aggiornare il proprio registro comunicativo.
    Negoziare, è la parola d’ordine, per poter educare giovani che cercano la loro identità, quindi un sapere che si costruisce insieme agli allievi.
    Negoziare non è un modo per vincere o perdere, ma affinché il negozio abbia successo si richiede la conoscenza di come la pensano gli altri e quindi sono richiesti il rispetto e la comprensione dei loro punti di vista. Molto più impegno richiede la relazione educativa al disabile,dove l’educatore deve agire in relazione alla situazione specifica ed attuare programmi particolari evidenziando non i limiti ma le potenzialità di una persona,aiutandola a valorizzarle proponendo delle situazioni adatte per far in modo che si possa verificare una crescita.
    Bisognerebbe educare anche l’intero contesto sociale in quanto è un elemento determinante per la formazione degli ideali, delle convinzioni e delle aspettative degli adolescenti e spesso I mass media, sono sempre più fondati sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità. È come se si stesse tutt’oggi perdendo di vista l’originalità, l’essere diversi nella propria unicità imbattendosi nell’altro corpo. Si tende a non accettarsi pensando che tutto ciò che è perfetto sia quel prototipo di donna o uomo di “moda” in quel frangente. I mass media, dunque, forniscono modelli estetici spesso irrealizzabili per la maggior parte della popolazione, diffondendo l’idea che un corpo femminile è bello solo se è magro e quello maschile è bello solo se è scolpito. Gli autori Remaury e Lipovetsky e Braidotti si sono interessati a queste tematica, in particolare alla loro esigenza di cambiare e di raggiungere l’ideale di bellezza. Per Remaury nella società la bellezza è associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla e dunque la responsabilità e la cura del corpo e della salute è sempre stata affidata alla donna. Inoltre per egli le donne sono orientate e dirette verso una corsa della perfezione, avendo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Remaury ci parla inoltre del corpo trasfigurato e liberato. Il corpo trasfigurato è legato all’immagine della perfezione corporea mentre il corpo liberato indica una liberazione non solo dalle malattie ma anche dal tempo e dal peso.
    La liberazione della ‘’ terza donna’’ di Lipovetsky invece, nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati, per cui è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto. Essa può e deve scegliere tra valori come l’eterna giovinezza, perfetta bellezza e salute totale. Il controllo della propria immagine, tramite la scelta tra i modelli sociali, conduce la donna verso il corpo realizzato, ovvero la conquista del corpo perfetto. Anche la Braidotti in MADRI, MOSTRI E MACCHINE, si oppone alla stereotipizzazione della materia corporea, proponendo invece di ripensare al rapporto corpo-mente. Nell’immaginario occidentale collettivo, i mostri erano rappresentati come figure cibernetiche avverse. Il corpo gradivo della donna e quello mostruoso si amalgamavano nell’immaginazione maschile in una prospettiva dell’orribile e del meraviglioso. In Braidotti ritroviamo il tema del corpo macchina che di certo non dà alle donne la certezza di uscirne vincitrici.
    Diversamente abbiamo esempi di persone che grazie alla chirurgia estetica da persone normali diventano mostri. Secondo il mio parere è proprio la fragilità dell’uomo che lo induce in queste grandi imprese di trasformazione estetiche cercando di perfezionarsi cambiando spesso quasi identità rendendosi a volte anche ridicoli. Un esempio lampante è l’uomo gatto DENNYS che ha deciso di subire 15-16 operazioni di chirurgia estetica per somigliare il più possibile ad un gatto solo per una semplice passione! Mentre sono pienamente d’accordo nella chirurgia estetica e all’aggiunta di protesi nei casi di bisogno per risolvere un problema fisico (esempio pistorius) e in alcuni casi anche psicologico!
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    Messaggio  ilaria cardinale Sab Mag 19, 2012 4:39 pm

    ESERCIZIO 1
    PASSAGGIO DALL’ICD ALL’ICF

    L’ICD nasce negli anni ’70 dall’esigenza da parte dell’OMS(organizzazione mondiale della sanità)di classificare le malattie. Essa si interessava soprattutto dell’aspetto eziologico delle malattie e forniva per ogni sindrome e disturbo i vari sintomi,diagnosi e cure. In questo tipo di classificazione si traduceva la malattia e la conseguente diagnosi in un numero e così facendo si rendeva possibile la memorizzazione,la ricerca e l’analisi dei dati. Negli anni ’80 l’OMS propone una nuova classificazione internazionale detta ICIDH;essa si basa su tre fattori quali MENOMAZIONE,DISABILITà,SVANTAGGIO O HANDICAP i cui termini verranno poi sostituiti da MENOMAZIONE,ABILITà,PARTECIPAZIONE. Questo tipo di classificazione presenta un importante cambiamento che consiste in una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e ad un suo possibile coinvolgimento sociale che implica anche un cambiamento nell’atteggiamento che bisogna assumere nei confronti dei soggetti affetti da deficit. In seguito l’OMS ha modificato ulteriormente la classificazione internazionale riportando ancora delle novità importanti;nasce così nel 2001 l’ICF. Questa nuova classificazione prevede che i fattori biomedici e patogeni non siano gli unici presi in considerazione ma anche l’interazione con il disabile,inoltre la disabilità viene considerata una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. I termini con i quali viene definita la disabilità,secondo questa nuova classificazione sono FUNZIONI,STRUTTURE CORPOREE,ATTIVITà E PARTECIPAZIONE . Ciò dovrebbe permettere al disabile di avere maggiore considerazione delle proprie capacità fisiche e psichiche ed avere la possibilità di partecipare attivamente alla vita sociale. L’ICF inoltre è innovativa in quanto non classifica soltanto la malattia,i traumi o le condizioni di salute del soggetto ma si occupa delle conseguenze associate alle condizioni di salute ponendo in rilievo la qualità della vita delle persone affette da disabilità permettendo loro di evidenziare la convivenza con la propria condizione e come sia possibile,eventualmente migliorarla.
    MENOMAZIONE: è un danno organico o funzionale relativo ad un settore specifico ;la menomazione comporta una mancanza(o non esistenza)o un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo. A questo proposito mi viene automatico citare due esempi di persone con menomazione che sono riusciti a vincere i propri limiti e che non si sono arresi ad essi ossia Simona Atzori e Oscar Pistorius,due esempi di resilienza,persone con una tale forza da riuscire meglio di un qualunque normodotato.
    ABILITà: è la capacità o idoneità a compiere qualcosa per cui il disabile quando viene definito diversamente abile o diversabile si suole indicare una persona con abilità diverse da quelle di un normodotato ma non per questo inferiore o meno abile di esso in quanto il diversamente abile ha comunque delle potenzialità da scoprire e da far emergere.
    PARTECIPAZIONE:è un’innovazione nel campo della disabilità in quanto essa si riferisce alla partecipazione attiva del disabile alla vita sociale.
    DISABILITà E DIVERSITà:è importante fare una distinzione tra questi due termini e riflettere sul loro significato. Partendo dalla parola disabile,lo si può definire una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana,inoltre può essere affetta da problemi a livello motorio o cognitivo;può essere anche una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità. La condizione di disabile si accentua quando la persona si sente etichettata come tale poiché spesso si tende ad avere nei loro confronti un atteggiamento di pietismo che rende ancora più difficile la loro integrazione a livello sociale. Molto spesso le persone affette da disabilità non si ritengono tali in quanto riescono a svolgere una vita del tutto normale per questo motivo utilizzare questo termine vuol dire disprezzare in quanto indica che il soggetto in questione è in difficoltà,non è abile in qualcosa. Parlando invece di diverso,questo termine sta ad indicare tutto ciò che non si conosce e che quindi può spaventare. Spesso si ha paura del disabile in quanto ci appare diverso da noi per cui si cade nell’equivoco di associare la diversità alla non normalità. La diversità porta alla categorizzazione per cui si tende a collocare determinate persone in alcune categorie;questo è ciò che accade ai disabili e cioè la loro condizione diventa il fattore che identifica l’intera persona la quale non viene riconosciuta nella sua interezza. Dobbiamo pensare che “la disabilità non è un mondo a parte ma una parte del mondo”!
    EMARGINATO:l’ emarginazione attualmente è uno dei problemi più sentiti all’interno della nostra società; essa consiste nell’alienazione e allontanamento di determinate persone da gruppi sociali poiché considerate diverse o pericolose. Sono svariati i motivi per cui un individuo viene escluso dal gruppo e tra questi ci sono anche i disabili i quali vengono etichettati come persone non conformi alle caratteristiche fisiche e psichiche dei membri del gruppo;ciò accade ad esempio negli istituti scolastici dove il bambino affetto da handicap viene,il più delle volte escluso dal gruppo classe. L’unico modo possibile per far fronte a tale problema potrebbe essere la presenza di educatori all’interno di classi in cui si trovano ragazzi disabili che riescano a creare punti di incontro e a far integrare il disabile con il gruppo. Un’altra categoria che vive ai margini della società è quella degli stranieri,dei nomadi i quali tendono ad escludersi ma il più delle volte è la stessa società che li allontana poiché non corrispondono a quanto rientra nella norma, ciò comporta incomprensione,disadattamento,isolamento e ghettizzazione,rappresentando di conseguenza un vero pericolo per l’intera società la quale dovrebbe accogliere tali individui cercando di accettare il fatto che hanno culture,religioni,usi e costumi diversi dai nostri.
    ESERCIZIO 2
    È importante considerare il testo Complessità della persona e disabilità di Anna Maria Murdaca la quale si occupa di temi importanti quali integrazione parlando di una nuova cultura della disabilità ed eventuali progetti per la facilitazione della vita delle persone affette da deficit fisici e mentali. Secondo Murdaca è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap,infatti sono gli ostacoli e le barriere mentali e culturali a favorire sempre di più il processo di esclusione dei disabili. La famiglia si dovrebbe liberare quanto prima dal senso di impossibilità di miglioramento della situazione psico-fisica di un figlio o una figlia disabile;anche a scuola e nel caso specifico gli insegnanti dovrebbero contribuire a favorire l’integrazione e le buone capacità dell’alunno disabile. Un elemento importante è l’ambiente poiché potrebbe rappresentare tanto un facilitatore quanto una barriera per la persona affetta da handicap. L’obbiettivo da raggiungere è quello di valorizzare la persone con il dovuto rispetto delle differenze e delle identità. L’integrazione è un processo continuo cioè la ricerca di soluzioni,di strategie atte a preservare i diritti dei disabili molti dei quali sono ancora solo scritti e non messi in pratica. Spesso si cade nell’errore di definire il disabile per sottrazione senza tener conto delle loro potenzialità ma ponendo in evidenza solo la loro menomazione. Per quanto il concetto di cura,essa consiste nella progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti volta a realizzare l’uomo per ciò che è e per ciò che può diventare.
    ESERCIZIO 3

    Remary, Lipovetsky e Braidotti si sono occupati della trasformazione del corpo soprattutto di quello femminile.
    Remary nel suo testo “ Il gentil sesso debole ” si parla della cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza. Il miglioramento fisico ed estetico della donna consiste adempimento dei suoi bisogni, come quello di essere bella a tutti i costi. Remary dice anche che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo quindi un triplice obiettivo: giovinezza- salute- bellezza.
    Lipovetsky invece nel suo libro “ La terza donna ” egli parla dell’immagine di una terza donna che nasconde la sua sottomissione a modelli dominanti, e cerca di raggiungere il corpo perfetto.
    Mentre Braidotti nel suo testo “ Madri, mostri e macchine ” parla del corpo femminile connesso con la tecnologia, toccando l’argomento corpo-macchina, corpo su cui la donna lavora con la tecnologia, e che spesso diventa mostruoso. Secondo il mio parere la bellezza è qualcosa da ricercare dentro di sé e non bisogna pensare di essere accettati dagli altri solo se si è belli fuori oltre tutto credo che ciò che caratterizza realmente la nostra persona come unica ed inimitabile sono i nostri difetti.
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    Messaggio  palmina formato Sab Mag 19, 2012 5:02 pm

    La nuova Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute
    (ICF) è una delle classificazioni internazionali, sviluppate dall’ Organizzazione Mondiale
    della Salute (OMS) che permettono di codificare un'ampia gamma d’informazioni .Esempio importante è
    quello di Emily Dickinson, che nella poesia “La Bellezza non ha causa” presentataci dall'“Antologia” afferma
    che la bellezza ha un valore enorme, ma essa non è quella esteriore e superficiale, bensì qualcosa di
    connesso alla natura, qualcosa da apprezzare da lontano. Come la felicità, afferma , che non deve essere
    ricercata ma semplicemente vissuta per come sopraggiunge nelle nostre vite.
    riguardanti la salute. Esse utilizzando un linguaggio comune standardizzato favoriscono la comunicazione,
    in materia di salute e assistenza sanitaria, tra gli operatori in tutto il mondo e tra varie scienze e
    discipline. Oltre alla classificazione Internazionale delle Malattie, vi sono altri sistemi
    classificatori che si concentrano su gruppi di patologie. La Classificazione Internazionale delle Malattie e la
    Classificazione Internazionale sul Funzionamento, sulla Disabilità e sulla Salute vanno considerate come
    complementari. L’ICD si basa sulla sequenza Eziologia -> Patologia -> Manifestazione Clinica e fornisce
    una “diagnosi” delle malattie, mentre, l’ICF classifica il funzionamento e la disabilità
    associati alle condizioni di salute.
    Dall'ICIDH all'ICF : I Concetti base sono :
    -Menomazione: qualsiasi perdita o anormalità a carico di strutture o funzioni
    psicologiche, fisiologiche o anatomiche; essa rappresenta l’esteriorizzazione di uno stato
    patologico e in linea di principio essa riflette i disturbi a livello d’organo.
    -Disabilità: qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a una menomazione) della
    capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere
    umano. La disabilità rappresenta l’oggettivazione della menomazione e come tale riflette
    disturbi a livello della persona. La disabilità si riferisce a capacità funzionali manifestate
    attraverso atti e comportamenti che per generale consenso costituiscono aspetti essenziali
    della vita di ogni giorno.
    -Handicap: condizione di svantaggio vissuta da una determinata persona in
    conseguenza di una menomazione o di una disabilità che limita o impedisce la possibilità di
    ricoprire il ruolo normalmente proprio a quella persona (in base all’età, al sesso e ai fattori socio-culturali). Esso rappresenta la socializzazione di una menomazione o di una disabilità
    e come tale riflette le conseguenze – culturali, sociali, economiche e ambientali – che per
    l’individuo derivano dalla presenza della menomazione e della disabilità. Lo svantaggio
    deriva dalla diminuzione o dalla perdita delle capacità di conformarsi alle aspettative o alle
    norme proprie dell’universo che circonda l’individuo.
    A seguito di un evento morboso, sia esso una malattia (congenita o meno) o un incidente,
    una persona può subire una menomazione, ovvero la perdita o anomalia strutturale o
    funzionale, fisica o psichica. La menomazione può poi portare alla disabilità, ovvero alla
    limitazione della persona nello svolgimento di una o più attività considerate “normali” per
    un essere umano della stessa età. Infine, la disabilità può portare all’handicap, ovvero allo
    svantaggio sociale che si manifesta a seguito dell’interazione con l’ambiente.
    La sequenza descritta non è comunque sempre così semplice: l’handicap può infatti essere
    conseguenza di una menomazione, senza la mediazione di uno stato di disabilità. Una
    menomazione può ad esempio dare origine ad ostacoli nei normali tentativi di instaurare
    dei rapporti sociali; essa determina l’handicap ma non la disabilità.


    Concetti base e struttura dell'ICF :
    A Differenza della precedente Classificazione ICIDH, l’ICF non è una classificazione delle
    "conseguenze delle malattie" ma delle "componenti della salute". Nel primo tipo di
    classificazione l’attenzione viene posta sulle "conseguenze" cioè sull’impatto delle malattie
    o di altre condizioni di salute che ne possono derivare mentre nel secondo tipo si
    identificano gli elementi costitutivi della salute. In tal senso l’ICF non riguarda solo le
    persone con disabilità ma tutte le persone proprio perché fornisce informazioni che
    descrivono il funzionamento umano e le sue restrizioni. Inoltre, essa utilizza una
    terminologia più neutrale in cui Funzioni e Strutture Corporee, Attività e Partecipazione
    vanno a sostituire i termini di menomazione, disabilità e handicap.
    La sequenza Menomazione -> Disabilità -> Handicap, alla base dell’ICIDH, nella nuova
    Classificazione viene superata da un approccio multi prospettico alla classificazione del
    funzionamento e la disabilità secondo un processo interattivo ed evolutivo.
    La classificazione integra in un approccio di tipo “biopsicosociale” (in cui la salute viene
    valutata complessivamente secondo tre dimensioni: biologica, individuale e sociale) la
    concezione medica e sociale della disabilità. È in sostanza il passaggio da un approccio
    individuale ad uno socio-relazionale nello studio della disabilità. L’ICF correlando la condizione di salute con
    l’ambiente promuove un metodo di misurazione della salute, delle capacità e delle difficoltà nella
    realizzazione di attività che permette di individuare gli ostacoli da rimuovere o gli interventi da effettuare
    perché l’individuo possa raggiungere il massimo della propria auto-realizzazione:
    -Funzioni corporee: sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei, incluse le funzioni
    psicologiche.
    -Strutture corporee,
    -Menomazione
    -Attività
    -Limitazione delle attività
    -Partecipazione
    -Restrizioni della partecipazione
    -Fattori personali
    -Fattori ambientali
    -Funzionamento
    -Disabilità.
    DISABILE/DIVERSO : Alcuni tendono a pensare al disabile come un diverso ma non ad un diverso come ad un disabile.... perchè se il primo e vittima di pregiudizi il secondo e vittima del disinteresse e dell'opinione collettiva?
    Un disabile ha un handicap fisico o mentale il diverso ha un alterazione psichica o spirituale dimentichiamo però che spirito ,corpo e mente ( con gli aspetti psichici correlati) appartengono ad un solo concetto " Salute " non si vive una condizione di benessere se una di queste dimensioni e alterata.
    Io credo che il concetto di " diversità " sia figlio di un limite ,disinteresse e comodità di pensiero , della società......un diverso e pertanto , a mio avviso , un malato sociale ben lontano da una disabilita (di maggiore o minore percentuale che sia) non credo che sia necessario soffermarsi sulla distinzione disabile o diverso ..SIAMO TUTTI UGUALI!!!!!

    2)ANNA MARIA MURDACA
    Integrazione, differenziazione, personalizzazione, sembrano essere i capisaldi di
    una nuova politica socio-educativa,, inclusiva e globale, che a vario titolo la
    pedagogia speciale affronta onde progettare processi formativi di alta qualità e,
    alla didattica speciale, il compito di progettare un contesto, un mega-contesto con
    la scelta altamente mirata di metodi e strategie, di ausili, anche alternativi ,capaci di sorreggere il processo di costruzione della conoscenza, e trattasi non della
    conoscenza dei costrutti culturali, ma di quella autentica che mira alla
    valorizzazione delle risorse umane: ogni disabile ha una sua storia; ed è tale
    storia che deve essere letta, codificata e decodificata se si vuole raggiungere il
    successo formativo.
    Diventa dunque ,indispensabile un lavoro di politica educativa progettuale, capace
    di sviluppare e promuovere i diritti sociali ed umani ed una saggia riflessione
    sull’interdipendenza tra il diritto alla diversità e il diritto sociale di cittadinanza:
    in pratica dobbiamo organizzare ed offrire al disabile, un ambito, un contesto che
    lo re-immetta in quella dimensione sociale che ha perso o di cui non ha mai
    goduto, ma che è indispensabile per favorire la sua crescita e l’integrazione oltre
    che l’armonizzazione psico-affettiva.
    La scommessa è propria quella di promuovere la nascita dello spirito di
    appartenenza dei diversi alla comunità che li educa e li fa crescere. A tal fine è invocabile un rafforzamento dell’interazione tra le famiglie, la scuola, le associazioni, gli enti :Si tratterebbe della pensabilità di una partnership educativa, come vero punto di forza per promuovere una cultura delle grandi opportunità di sviluppo ,presente in tutti i luoghi dove vivono tali soggetti
    nell’ottica della promozione della persona nelle sue varie dimensioni.Tutti questi motivi
    impongono una nuova cultura della disabilità ,che deve essere attenta a cogliere le varie disfunzioni comportamentali, cognitive,ecc. quanto ad innalzare, ribadiamolo pure ,.la qualità della vita di tali soggetti che
    devono essere supportati e guidati i ad utilizzare al meglio il diritto ad essere
    integrati come sono.
    Discutere dei problemi della formazione, dell’istruzione, dell’integrazione dei
    disabili in una prospettiva europeistica, oggi, è diventata un’esigenza
    imprescindibile ,a patto che ci si allontani da un’ottica riduzionistica e disgiuntiva
    per affrontare la questione nell’ottica della globalità. Ciò impone una nuova
    cultura e conoscenza della disabilità attenta non soltanto ad analizzare i temi del
    funzionamento, del comportamento e/o dell’’assistenza del soggetto disabile ma
    di riconoscere e tornare alla persona in evoluzione, guardandola nella sua
    dimensione olistica, che può essere disorganizzata da errate interazioni tra
    sistema biologico, psico / intellettivo, affettivo, relazionale e sociale.
    È dunque la scoperta di questa nuova soggettività ,di questo nuovo umanesimo ad
    accompagnare il passaggio da un modello statico ,che vede la disabilità come un
    deficit che non può avere un’evoluzione ad un modello dinamico, con lo scopo di
    elaborare proposte e strategie di azione comune, interessate a rilevare le
    potenzialità, capacità, (laddove ce ne siano) che salvaguardino il diritto dei
    disabili, della loro cittadinanza attiva in un mondo, che si dichiara
    democratico, ma che molto spesso dimentica il diritto di appartenenza di costoro,
    venendo a negare quelle che sono le coordinate dell’uguaglianza e delle pari
    opportunità.

    3) Essere in forma e sempre affascinanti è oggi un imperativo categorico; tuttavia la ricerca della bellezza può anche non produrre felicità. La bellezza è un grande elemento di stima nei rapporti umani; è il primo mezzo di conciliarsi gli uni con gli altri, ma non è tutto!.
    I mass-media tempestano giovani e non, di icone di perfezione e di modelli di bellezza irraggiungibili, lasciando credere che solo il raggiungimento di tale scopo possa comportare una realizzazione, minimizzando e talvolta tralasciando aspetti importanti , reale fonte di gratificazione e piacere come amore, amicizie e traguardi di vita concretizzati .Al giorno d’oggi la nostra società ci ha offerto uno strumento per arrivare alla “perfezione” la chirurgia, in questo caso estetica; si occupa di correggere e migliorare difetti ed imperfezioni fisiche ed estetiche, ristabilendo armonia ed equilibrio, sia nelle proporzioni del corpo sia a livello psicologico, aumentando la propria autostima e la sicurezza sia con se stessi che verso gli altri. Remaury , Lipovetsky e Braidotti si sono interessati alla tematica della donna, in particolare al suo bisogno di trasformarsi e migliorarsi
    Come appunto riteneva REUMARY concentrato sui canoni di bellezza femminile ritenendo Che le donne tendono alla perfezione grazie anche alla società e allo sviluppo della scienza che ne consente ciò.
    LIPOVETSKY: ritiene che la donne si trova d’avanti a un dilemma :scegliere tra la bellezza eterna, o perfetta bellezza, salute totale ,e attraverso la conquista di questi 3 obbiettivi può raggiungere la perfezione, scappando però dai mali del mondo esterno il peso, il tempo e malattia.
    ROSI BRAIDOTTI: nella sua opera madri mostri e macchine ha parlato della figura materna che va incontro a una metamorfosi essa è in attesa di un bambino e questo corpo appare agli uomini MOSTRO-MADRE. Alla donna viene proposto un altro corpo (corpo-macchina) che determina una nascita di un altro corpo (la perfezione).

    Ritornando al commento protesi estetiche ci tengo citare nuovamente la fase molto significativa di Emily Dickinson, nella poesia “La Bellezza non ha causa” presentataci dall'“Antologia” afferma che la bellezza ha .Esempio importante è quello di Emily Dickinson, che nella poesia “La Bellezza non ha causa” presentataci dall'“Antologia” afferma che la bellezza ha un valore enorme, ma essa non è quella esteriore e superficiale, bensì qualcosa di connesso alla natura, qualcosa da apprezzare da lontano. Come la felicità, afferma , che non deve essere ricercata ma semplicemente vissuta per come sopraggiunge nelle nostre vite.un valore enorme, ma essa non è quella esteriore e superficiale, bensì qualcosa di connesso alla natura, qualcosa da apprezzare da lontano. Come la felicità, afferma , che non deve essere ricercata ma semplicemente vissuta per come sopraggiunge nelle nostre vite.

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    Messaggio  simonamanzoni Sab Mag 19, 2012 5:04 pm

    Al fine di migliorare la qualità della diagnosi di varie tipologie di patologie,come quelle inerenti all’osservazione ed all’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), a partire dalla seconda metà del secolo scorso ha elaborato differenti strumenti di classificazione. La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD, 1970) risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. L’ICD si delinea quindi come una classificazione causale, focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze: “la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980). L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Con l’ICIDH non si parte più dal concetto di malattia inteso come menomazione, ma dal concetto di salute, inteso come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo, la sua globalità e l’interazione con l’ambiente.
    L’OMS dichiara l’importanza di utilizzare l’ICD (in Italia si fa riferimento alla versione 10 del 1992) e l’ICIDH in modo complementare, favorendo l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una prospettiva più ampia, in quanto i dati eziologici vengono integrati dall’analisi dell’impatto che quella patologia può avere sull’individuo e sul contesto ambientale in cui è inserito. L’ICIDH è caratterizzato da tre componenti fondamentali, attraverso le quali vengono analizzate a valutate le conseguenze delle malattie:
    - la menomazione, come danno organico e/o funzionale;
    - la disabilità, come perdita di capacità operative subentrate nella persona a causa della menomazione;
    - svantaggio (handicap), come difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione. Il 22 maggio 2001 L’Organizzazione Mondiale della Sanità perviene alla stesura di uno strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale: “La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”, denominato ICF.
    All’elaborazione di tale classificazione hanno partecipato 192 governi che compongono l’Assemblea Mondiale della Sanità, tra cui l’Italia, che ha offerto un significativo contributo tramite una rete collaborativa informale denominata Disability Italian Network (DIN), costituita da 25 centri dislocati sul territorio nazionale e coordinata dall’Agenzia regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia. L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità.Tramite l’ICF si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.
    Lo strumento descrive tali situazioni adottando un linguaggio standard ed unificato, cercando di evitare fraintendimenti semantici e facilitando la comunicazione fra i vari utilizzatori in tutto il mondo. L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
    L’analisi delle varie dimensioni esistenziali dell’individuo porta a evidenziare non solo come le persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per migliorare la qualità della loro vita.Il concetto di disabilità introduce ulteriori elementi che evidenziano la valenza innovativa della classificazione:
    - universalismo;
    - approccio integrato;
    - modello multidimensionale del funzionamento e della disabilità
    L’OMS, attraverso l’ICF, propone un modello di disabilità universale, applicabile a qualsiasi persona, normodotata o diversamente abile. Il concetto di disabilità preso in considerazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità vuole evidenziare non i deficit e gli handicap che rendono precarie le condizioni di vita delle persone, ma vuole essere un concetto inserito in un continuum multidimensionale. Ognuno di noi può trovarsi in un contesto ambientale precario e ciò può causare disabilità. E’ in tale ambito che l’ICF si pone come classificatore della salute, prendendo in considerazione gli aspetti sociali della disabilità: se, ad esempio, una persona ha difficoltà in ambito lavorativo, ha poca importanza se la causa del suo disagio è di natura fisica, psichica o sensoriale. Ciò che importa è intervenire sul contesto sociale costruendo reti di servizi significativi che riducano la disabilità.L’ICF propone quindi un’analisi dettagliata delle possibili conseguenze sociali della disabilità avvicinandosi con umanità e rispetto alla condizione disabile..Disabile-Diverso per capire cosa è diverso dobbiamo porci le stesse domande di quando ci interroghiamo sul concetto soggettivo di bellezza .Secondo quale cultura?Secondo quale società?Per quali criteri?Solo decostruendo e poi ricostruendo il grado zero della nostra visione possiamo capire cosa significano le parole per noi e quale legame hanno con i significati socialmente attribuiti.Il grado zero di normalità mostruosità e diversità ci aiuta a comprendere che,a seconda del contesto e della cultura,possiamo tutti entrare in uno di questi insiemi.con la stessa abilità differente dobbiamo imparare a distinguere e comprendere l’essere umano nella sua complessità e nella sua dissonanza.La disabilità è la condizione personale di chi, in seguito ad una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale. La disabilità spesso viene confusa con la diversità, questi sono due termini profondamente carichi di molteplici significati, che molto spesso meritano una riflessione.Tutti sono diversi;Non tutti sono disabili. Del diverso si ha paura, il diverso viene isolato, si ha timore,viene giudicato e vengono prese le distanze da lui. Le differenze tra le persone, le diversità, di ognuno sono la ricchezza stessa di ogni situazione sociale È questo l’atteggiamento da correggere e su questo punto che bisogna riflettere. Ognuno di noi è portatore sano di amore, di gioia, di valori e di bontà è solo l’involucro che può essere diverso. Parliamo di disabilità, di diversità..nei vari laboratori che abbiamo svolto in aula abbiamo visto come ad.es la resilenza della ballerina Atzori e la Forza di Pistorius hanno fatto sì che la loro vita andasse avanti nonostante le miriadi barriere architettoniche e mentali che incontrano nella loro vita..abbiamo incontrato una persona splendida come il prof.Palladino che nonostante la sua cecità vive una vita “normale” grazie all’utilizzo del metodo Brail ed una famiglia accanto che condivide con Lui gioie e dolori..Ciò che più mi ha fatto riflettere in questo corso e come spesso i nostri atteggiamenti..le nostre parole anche di “pietismo”verso una persona non Normodotata possano ferire molto di più e possono suscitare molto più dolore nelle persone che si osservano..e si “imparano”a conoscere.ho inserito la parola imparano fra virgolette perché penso che dobbiamo veramente imparare a vivere le persone con disabilità e solo così noteremo che sono Persone semplici con i loro dubbi le loro ansie i Loro punti interrogativi..proprio come Noi..solo che svolgono la loro vita non seguendo i canoni delle persone normodotate ma bensì seguendo le loro esigenze.La disabilità non è un mondo a parte ma una parte del mondo..infatti Anna Maria Murdaca scrive che ci troviamo davanti ad un “nuovo paradigma del benessere”,non si mira più solo all’accudimento ma all’emancipazione del soggetto con disabilità,che fa parte del processo di maturazione psicocognitiva,psicoaffettiva e psicosociale che richiede ambienti e contesti attendibili e sostenibili;la nuova cultura della disabilità deve essere attenta a cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive,quanto a innalzare la qualità della vita dei soggetti.La ricerca è azione empawered vuole portare il disabile verso lo sviluppo della propria identità.Creare una rete di servizi di persone di operatori di famiglia che insieme realizzano un processo di empawerment per la cittadinanza attiva;Guardare alla globalità della persona significa appunto rimodulare l’integrazione in prospettiva umanistica dove la nuova politica Socio-Educativa consiste in Integrazione-Differenziazione-Personalizzazione ed i punti sui quali bisognerà prestare più attenzione sono i contesti di apprendimento-le strategie-gli ausili,anche alternativi e la costruzione della conoscenza..insomma Ogni disabile ha la sua Storia!Ed a questo punto e opportuno riflettere su che cosa sia la relazione educativa e come si vive e si gestisce,la prima relazione educativa che il bambino ha è quella con i genitori,la famiglia di origine dopo c’è la scuola quindi si ha il rapporto tra docente e discente ed è proprio qui che percepiamo che nella relazione educativa e un prendere e dare in sincronia,ma non solo le relazioni educative che avvengono tra discente e docente ma tutte le esperienze di Vita.In una relazione educativa con una persona disabile, l’educatore, dovrà prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile,quindi,non mettere in luce le mancanze ma evidenziare le potenzialità.Murdaca si riferisce a vissuti intrapsichici e/o che elaborati,proiettati,negoziati che consentono agli operatori di proggettare delle opportunità,appunto educative,da offrire al disabile affinchè egli stesso ripensi al proprio stato e alle proprie capacità funzionali,moduli l’immagine soggettiva in una sfera più ampia dell’abituale,eliminando maschere,blocchi disagi,scoprendo le forze resilienti capaci di far superare le difficoltà insite nel profondo della personalità.Quindi una sana ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità è soprattutto “vederle”come Persone cercare di integrarle a pieno nel quotidiano senza mai farli sentire esclusi ed in difficoltà per un loro deficit ricordare che ogni nostra trasformazione interiore è un rimando costante ad una nuova e consapevole azione sul mondo,Possiamo perfezionare il mondo solo perfezionando Noi stessi. In aula in questi mesi di corso abbiamo svolto varie simulazioni e condiviso varie emozioni tra cui ci siamo soffermati sul disabile in chat..quindi abbiamo riflettuto su come un disabile si può sentire libero..non giudicato per via di un confronto solo “sentimentale”di” mente e cuore “..l’altra persona al di la dello schermo non conosce l’involucro non può giudicarlo per il suo aspetto fisico o per le sue particolari condizioni..lo sente vicino perché è semplicemente se stesso..In sintesi perché ho fatto questo esempio..per dire che Anna Maria Murdaca secondo il mio pensar e riflettere guarda “Avanti”..con una rimodulazione del termine integrazione.una ricostruzione di una nova cultura della disabilità,quindi considerarli Persone,e non “un peso”per la società e ridefinire un progetto di vita per le persone disabili quindi,ripeto,sottolineando a pieno le Loro potenzialità..si guarda alla Globalità della Persona..non solo alla perfezione..una affaticata corsa contro il tempo verso la Perfezione,così spiega Remaury nel Il gentil sesso debole, Tutti cercano di somigliare a qualcuno di bello..famoso..la cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza,nella rappresentazione della femminilità il suo miglioramento fisico ed estetico è l’adempimento dei suoi bisogni(il bisogno di essere bella).Abbiamo un triplice obbiettivo :giovinezza-bellezza-salute;Il corpo trasfigurato è legato all’immagine della perfezione corporea quindi si raggiunge la scala della perfezione grazie ai progressi della scienza.Il corpo esatto è il modello dominante grazie a tante discipline e alla scienza ed infine si ha il corpo liberato lo è dalla malattia dal peso del tempo obbligatoriamente perfetto.Il controllo della propria immagine,tramite la scelta tra i modelli sociali conduce la donna verso il corpo realizzato,ossia la conquista di un corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su stessa,così descrive l’immagine della donna Lipovetsky nel suo libro La terza donna,la Teoria della maturità positiva della donna fa venire fuori come colei che controlla e gestisce la propria immaggine all’interno della variegata offerta dei modelli sociali,tra i quali sembra poter scegliere quello che le è più congeniale.Il limite di questa maturità positiva è la convinzione che la donna si identifichi necessariamente in quei determinati modelli.Una visione del corpo,così come è stata formulata dal femminismo,che se da un lato libera i corpi da quella che Rosi Braidotti definisce la logica lineare aristotelica,dall’altro non rinuncia ad un certo rigore,il rigore che enfatizza la necessaria interconnessione tra teorico e politico,che insiste nel mettere l’esperienza della vita reale prima e innanzitutto come criterio per la convalida della verità.Nella teratologia di Braidotti una possibilità di riflessione:la donna capace come è di deformare il proprio corpo nella maternità,diventa nell’immaginario maschile qualcosa di orribile-mostro e madre al contempo;e a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare,oltre la mostruosità e la maternità,anche la macchina prestandosi al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l’immaginario che la sostiene.Concludo il mio lavoro citando una frase che mi è piaciuta molto letta dal libro Nozioni della pof.Briganti,di K,Gibran,Sabbia e schiuma-La realtà dell’altro non è in ciò che ti rivela,ma in quel che non può rilevarti.Perciò se vuoi capirlo,non ascoltare le parole che dice,ma quelle che non dice.
    Grazie
    SimonaManzoni
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    Messaggio  Mario Cavallaccio Sab Mag 19, 2012 5:36 pm

    1. Siamo ormai giunti alla fine di un percorso che ci ha regalato tante emozioni e ci ha permesso di affacciarci ad una realtà nuova e complessa. Durante questo laboratorio ci siamo soffermati molto sull’importanza delle parole, sul loro utilizzo e sul loro peso, lo scopo era quello di arrivare ad una riflessione sui termini utilizzati, soprattutto nel campo della disabilità. La scelta delle parole va fatta in maniera attenta e accurata, innanzitutto non bisogna far confusione tra deficit, disabilità ed handicap, perché utilizzare termini sbagliati può essere un modo per aumentare l’handicap, anziché ridurlo. Prima di parlare della persona con disabilità, dobbiamo procedere per gradi, ripercorrendo alcune definizioni molto importanti.
    • L’OMS è l’Organizzazione Mondiale della Sanità. La prima classificazione elaborata dall’OMS è “la classificazione internazionale delle malattie” ossia L’ICD. Nasce dal bisogno di capire la causa delle patologie, fornendo per ogni disturbo la descrizione delle principali caratteristiche cliniche e le indicazioni diagnostiche. Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione e si crea così una sorta di enciclopedia medica. Questo sistema di classificazione però, man mano viene sostituito, inizialmente “dall’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps” detta brevemente ICIDH. La nuova classificazione si basa su tre fattori tra loro interagenti e interdipendenti: La menomazione, disabilità ed handicap o svantaggio. Fino ad arrivare poi al manuale di classificazione ICF pubblicato nel 2001 e che diede una nuova definizione al concetto di disabilità, molto più innovativo rispetto alle precedenti classificazioni. Secondo l’ICF “ Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute” la disabilità non è altro che una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. La disabilità viene considerata non più soltanto una condizione soggettiva o come una caratteristica propria della persona ma come misura delle attività che l’ambiente esterno consente di espletare. I termini menomazione, disabilità, handicap utilizzati nelle classificazioni precedenti, vengono sostituiti da termini quali funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione. L’intento era quello di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. Se si è passato dall’ICD all’ICF è perché le informazioni che vengono date dalle diagnosi mediche, seppure importanti, non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona, ossia che cosa quella persona è in grado di fare e quali sono invece le attività nelle quali ha difficoltà.
    • Ciò a cui mi viene da pensare in questo momento è una frase molto significativa ossia: “l’handicap sarà più grave in una società non attrezzata per superarlo”. Questo l’abbiamo potuto sperimentare durante il laboratorio “Barriere architettoniche” la visione dei tre video che tanto ci ha sconvolto, non ha fatto altro che mostrare la realtà in cui viviamo, ossia una società in cui una persona che per un motivo o per un altro, si trova a vivere una disabilità, ogni giorno si trova a far fronte ad innumerevoli difficoltà, non solo legate alla sua disabilità ma dovute anche alle molteplici barriere architettoniche. Se si pensa poi che una persona diversamente abile, ogni giorno si trova a combattere non solo con la sua disabilità, non solo con una società non attrezzata alle sue esigenze, ma si ritrova anche a osteggiare il pregiudizio delle persone ignoranti, allora avremo il quadro completo e potremmo iniziare solo vagamente a immaginare, cosa voglia dire per una persona disabile affrontare la vita di tutti i giorni. Bisogna riflettere attentamente sulle parole che si pronunciano quando ci si rivolge a queste persone. DISABILE, DIVERSO, perché questi termini utilizzati in modo sbagliato possono profondamente ferire, non bisogna mai e poi mai etichettare o assumere nei loro confronti un atteggiamento ed uno sguardo di pietismo. Ancora peggio sarebbe emarginarli e farli sentire diversi a causa della loro disabilità. Anche quest’altra esperienza ossia quella del sentirsi emarginati, l’abbiamo potuta sperimentare durante il corso, precisamente durante il laboratorio “Relazione educativa e emarginazione”. L’emarginazione purtroppo è una compagna inseparabile dell’uomo, nasce con l’esigenza di ognuno di noi di socializzare, creare rapporti interpersonali, ma non sempre si riesce ad instaurare rapporti con l’altro, perché talvolta l’essere “diverso” comporta l’essere esclusi, per l’appunto essere emarginati.
    2. Anna Maria Murdaca, docente esperta e autrice competente in questioni relative la persona con disabilità si è occupata della complessità della persona con disabilità.
    • Il testo di Murdaca mira: alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione, alla comprensione delle reali condizioni di vita, quale ruolo effettivamente possono assumere i soggetti disabili, quali servizi vengono erogati per le loro esigenze . secondo l’autrice occorre abbandonare la logica dell’inserimento e dirigersi verso l’inclusione, occorre adottare l’ottica della globalità, una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del comportamento e dell’assistenza del soggetto disabile, ma incentrata anche sul riconoscimento della persona in evoluzione. Il suo obbiettivo principale quindi è quello di dare importanza alla persona. Il contesto sociale è di notevole importanza, perché è proprio quest’ultimo a determinare la condizione di handicap, sono gli ostacoli e le barriere fisiche a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. L’ambiente a partire dal contesto familiare, all’assistenza sociosanitaria può quindi essere una barriera o un facilitatore. Essendoci soffermati sulla complessità della persona con disabilità, la sua integrazione, in ambito educativo, linguistico e corporeo sono fondamentali perché è anche uno dei primi problemi cui si trova a far fronte. Vi è un nuovo modo di parlare di integrazione cioè come condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità – autonomia, identità, potenzialità personali. La vera novità è che non si mira all’accudimento ma all’emancipazione del soggetto con disabilità il tutto è finalizzato a sollecitare lo sviluppo di un’indipendenza ed emancipazione. È di estrema importanza che vi siano spazi di formazione, per i soggetti con disabilità, all’interno dei quali l’insegnante/educatore deve contribuire alla sua integrazione. A questo punto è opportuno riflettere su che cosa sia la relazione educativa della quale tanto si parla. La relazione educativa è un complesso legame che si forma fra docente e discente, un legame che produce l’apprendimento. È l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l’educatore e coloro che egli educa. Tale relazione deve essere incontro e scambio, partecipazione e alleanza non deve essere contrassegnata da una disparità di potere tra insegnante e alunno.
    • La complessità della relazione educativa abbiamo potuta sperimentarla in prima persona durante un setting svolto in aula, in cui si simulava appunto questo rapporto. l’educazione è essenzialmente relazione, quando si parla di questo legame bisogna tener conto dei molti canali della comunicazione ossia: il corpo, la postura, il linguaggio verbale e non, cercando di costruire e mantenere un setting adeguato. Di fronte all’altro bisogna porsi con cautela e delicatezza, attenendosi ai tempi di chi abbiamo accanto e non cercare di buttare giù, prima del tempo, le sue difese. Quello che ho potuto osservare durante il setting con i due protagonisti è che bisogna stare molto attenti alle esigenze di chi ci troviamo di fronte, cercare di buttar giù quel muro di imbarazzo iniziale, per far si che quella persona riesca ad aprirsi con noi. Nell’esperienza educativa quindi vengono ad incontrarsi due tempi, che sono quello dell’educatore e quello dell’educando. Il secondo deve essere rispettato, perché ognuno di noi ha una propria scansione del tempo ed ogni formazione o relazione devono modellarsi su tale scansione. Inoltre nella relazione è fondamentale il tema della Vicinanza/Distanza, l’approccio auspicabile per l’educatore è quello di una “distanza/non distanza” cioè stare abbastanza distanti in modo che l’educando possa fare le proprie esperienza, ma allo stesso tempo stare vicini, per un contenimento nel caso occorresse.
    3. “Tra i sogni che il denaro può comprare il miraggio di un corpo perfetto è ormai tra i più accessibili” con questa citazione voglio iniziare a parlare di come il sistema della comunicazione di massa si è da tempo impadronita dei temi riguardanti immagine corporea e bellezza, contribuendo a creare e diffondere gli stereotipi ben noti su corpo e immagine. Braidotti, Remaury, Lipovetsky hanno messo in luce lo status della donna attuale. Sempre insoddisfatta, sempre alla ricerca della perfezione. Ad esempio Remaury, nel “gentil sesso debole” dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obbiettivo: giovinezza, bellezza, salute. Anche in aula abbiamo toccato questo argomento, in merito alle protesi estetiche, la tecnologia che talvolta viene utilizzata semplicemente per migliorare il proprio corpo, anche non collegato ad esigenze fisiche concrete. In un mondo in cui l'aspetto esteriore è tutto, o quasi, essere straordinariamente diversi porta ad una sola conseguenza, l'emarginazione. Spesso il voler essere belli a tutti i costi, il voler apparire come una persona comune, il voler essere "NORMALI" spinge le persone a far ricorso ad ogni mezzo per poter essere considerati come tutti gli altri. A mio parere le protesi estetiche possono essere tanto un vantaggio, quanto uno svantaggio. Può risultare una cosa positiva quando queste vengono usate nel modo giusto, cioè quando una persona effettivamente ha un qualche problema fisico che gli impedisce di star bene con se stessa e di conseguenza con gli altri, in quel caso far ricorso alle protesi può portare un giovamento fisico e psicologico per una persona che non vive nel modo giusto la sua diversità. Ma possono diventare un qualche cosa di negativo nel momento in cui ad utilizzarle sono individui che non hanno alcun tipo di malformazione fisica, ma semplicemente vogliono apparire agli occhi degli altri più belli. Ahimè purtroppo viviamo in una società dove l’apparire conta più dell’essere!
    “Analizzando la società dei consumi, l’unico cambiamento è prospettico: prima il corpo doveva servire, ora è l’individuo ad essere al servizio del proprio corpo.”

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    Messaggio  Teresa Buonanno Sab Mag 19, 2012 8:22 pm

    Esponi il passaggio dall’Icd all’Icf, soffermandoti poi sul contesto e sulle parole disabile e diverso, personalizzando il tuo discorso attraverso una ripresa degli interventi ai laboratori che hai proposto ‘orologio’ /‘barriere architettoniche’, ‘la mappa degli stereotipi’, Sindaco/esperienza di ‘emarginazione’.

    L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato nel 2001 uno strumento di classificazione che analizza e descrive la disabilità come esperienza umana che tutti possono sperimentare. Tale strumento, denominato ICF, propone un approccio all’individuo normodotato e diversamente abile dalla portata innovativa e multidisciplinare.
    Vorrei delineare le principali caratteristiche relative alle classificazioni che hanno preceduto l’ICF, analizzandone gli aspetti innovativi . Tale strumento, poco conosciuto e utilizzato in ambito educativo, rappresenta una fonte importante di analisi relativa al mondo della disabilità.
    L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e l’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie.
    La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD, 1970) risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. L’ICD si delinea quindi come una classificazione causale, focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.
    L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze: “la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980). L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Con l’ICIDH non si parte più dal concetto di malattia inteso come menomazione, ma dal concetto di salute, inteso come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo, la sua globalità e l’interazione con l’ambiente.
    L’OMS dichiara l’importanza di utilizzare l’ICD e l’ICIDH in modo complementare, favorendo l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una prospettiva più ampia.
    L’ICIDH è caratterizzato da tre componenti fondamentali, attraverso le quali vengono analizzate a valutate le conseguenze delle malattie:
    - la menomazione, come danno organico e/o funzionale;
    - la disabilità, come perdita di capacità operative subentrate nella persona a causa della menomazione;
    - svantaggio (handicap), come difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione.
    La presenza di limiti concettuali insiti nella classificazione ICIDH ha portato l’OMS ad elaborare un’ulteriore strumento, “La Classificazione Internazionale del funzionamento e delle disabilità" (ICIDH-2, 1999), che rappresenta il modello concettuale che sarà sviluppato nell’ultima classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “La Classificazione Internazionale del funzionamento,disabilità e salute (ICF)
    Il 22 maggio 2001 L’Organizzazione Mondiale della Sanità arriva alla stesura di uno strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale: “La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”, denominato ICF.
    L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità.
    Tramite l’ICF si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.
    Il primo aspetto innovativo della classificazione emerge chiaramente nel titolo della stessa. A differenza delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH), dove veniva dato ampio spazio alla descrizione delle malattie dell’individuo, ricorrendo a termini quali malattia, menomazione ed handicap (usati prevalentemente in accezione negativa, con riferimento a situazioni di deficit) nell’ultima classificazione l’OMS fa riferimento a termini che analizzano la salute dell’individuo in chiave positiva (funzionamento e salute).
    L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
    L’analisi delle varie dimensioni esistenziali dell’individuo porta a evidenziare non solo come le persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per migliorare la qualità della loro vita.
    Ciò che emerge dall’ICF è che la disabilità non viene considerata un problema di un gruppo minoritario all’interno di una comunità, ma un’esperienza che tutti, nell’arco della vita, possono sperimentare. L’OMS, attraverso l’ICF, propone un modello di disabilità universale, applicabile a qualsiasi persona, normodotata o diversamente abile.
    Il concetto di disabilità preso in considerazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità vuole evidenziare non i deficit e gli handicap che rendono precarie le condizioni di vita delle persone. Ognuno di noi può trovarsi in un contesto ambientale precario e ciò può causare disabilità. E’ in tale ambito che l’ICF si pone come classificatore della salute, prendendo in considerazione gli aspetti sociali della disabilità: se, ad esempio, una persona ha difficoltà in ambito lavorativo, ha poca importanza se la causa del suo disagio è di natura fisica, psichica o sensoriale. Ciò che importa è intervenire sul contesto sociale costruendo reti di servizi significativi che riducano la disabilità. Molto spesso questo non avviene ed
    anche una semplice giornata, che per noi tutti potrebbe sembrare normale e priva di difficoltà , per una persona disabile può diventare complicata a causa delle tante barriere architettoniche che si presentano nel loro quotidiano e che solo loro, talvolta, riescono a percepire.... La barriera architettonica può essere una scala, un gradino, una rampa troppo ripida. Qualunque elemento architettonico può trasformarsi in barriera architettonica e ridurre l’ attività di una qualsiasi persona con disabilità .Ma non bastano le barriere fisiche, ma le persone con disabilità si trovano quotidianamente ad affrontare barriere culturale e ideologiche. A volte si cerca di annullare la "diversità" che ci rende tutti così meravigliosamente unici, si tende a lavorare più sul collettivo che sull'individuo, a creare universi omologati, comunità di simili dove il singolo si deve identificare con il gruppo e la pluralità dei soggetti non sempre viene rispettata. Così l'"alterità" e la "diversità" vengono attribuite non a ciascun individuo in quanto essere differente da un altro, ma solo ad alcuni che presentano "particolari caratteristiche" che li rendono dissimili rispetto all'omologazione dei gruppo. Ed è proprio per questo che la presenza dei cosiddetto "diverso" nella società come a scuola genera conflitti, mette in crisi il normale funzionamento dei sistema e condiziona in modo forte la formazione e la crescita dei singoli, tanto più se si tratta di bambini e adolescenti. La "diversità" è cioè spesso vista in chiave negativa, come "minaccia" della propria identità e per questo la presenza dei "diverso" frequentemente genera sentimenti di paura, ansia, sospetto. Basti pensare a quanto la presenza di portatori di handicap o dei cosiddetti alunni difficili abbia creato in passato ( e talvolta crei ancora) notevoli timori negli educatori e difficoltà relazionali all'interno dei gruppo. Se si riuscisse invece a percepire la "differenza" non come un limite alla comunicazione, ma come un "valore", una "risorsa", un "diritto", l'incontro con l'altro potrebbe essere in certi casi anche scontro, ma non sarebbe mai discriminazione. E l'educazione diventerebbe scoperta e affermazione della propria identità e, contemporaneamente, valorizzazione delle differenze. Invece è il pregiudizio, l’ elemento che a volte muove le nostre azioni e i comportamenti di tutti noi, condiziona le nostre relazioni sociali, ostacolando a volte appunto le opportunità di contatto, incontro, esplorazione, scoperta che sono i fondamenti dei rapporto con l'altro da sé. Quindi se crediamo sia giusto cercare di limitare il più possibile l'insorgere di pregiudizi, è fondamentale intervenire a livello scolastico, educativo, familiare per fare della diversità una vera ricchezza, un nuovo paradigma educativo e per stimolare i bambini e i ragazzi a pensare criticamente piuttosto che dir loro quello che devono pensare. Di conseguenza uno dei compiti della scuola dovrebbe essere quello di educare alla differenza, all'altro, al diverso. La disabilità spesso viene confusa con la diversità ,ma sono due termini profondamente diversi e carichi di molteplici significati che meritano una riflessione. Disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normale attività della vita quotidiana ,caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità oppure dal diverso funzionamento di una o più abilità. La disabilità è anche ciò che gli altri pensano di te , e deve essere quindi analizzata come fattore sia personale sia sociale . Esistono anche persone con disabilità che non si sentono tali, infatti riescono a svolgere tutte le attività. Basti pensare a Pistorius , atleta paraolimpico che nasce con una grave malformazione che lo costrinse all’età di undici mesi all’amputazione di entrambe le gambe. Sembrava destinato a non camminare, figuriamoci a correre. E invece Pistorius corre e non solo; corre e vince! E ancora Simona Atzori, basterebbe guardare il suo sorriso per capire e comprendere la sua felicità. Una ragazza nata senza le braccia che nonostante le sue difficoltà e i suoi deficit motori, riesce a vivere, attraverso la buona volontà, la determinazione e il coraggio, una vita senza limiti. Questa donna si accetta per quello che è, apprezza ciò che la circonda e si sente felice . Esempi di resilienza che ci fanno capire che ognuno di noi è unico,proprio come tutti gli altri.



    Anna Maria Murdaca scrive il testo Complessità della persona con disabilità, rifletti su quali logiche guidano il suo discorso, riguardo:
    - la rimodulazione del termine integrazione
    - la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    - la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    riportando come, attraverso le tematiche proposte (il contesto sociale, la persona, lo spazio di cura come luogo riparativo), possiamo pensare in modo nuovo ad una relazione educativa.

    Dare una definizione univoca, esauriente e completa di handicap è difficile. La storia della terminologia del concetto di handicap è anche la storia della ricerca scientifica, dell’attività sociale, dell’attività degli insegnanti, storia di diverse epoche e di diversi luoghi. È interessante ripercorrere le varie fasi che il soggetto con handicap ha dovuto affrontare prima di essere preservato ed integrato all’interno della società. Le persone handicappate erano percepite tutte uguali e venivano
    raggruppate in un’unica categoria, : quella degli “anormali” e contrapposta a quella dei “normali”; in essa venivano idealmente inserite persone con caratteristiche che, in qualche modo, le accomunavano.
    Queste persone, bambini o adulti che fossero, erano viste attraverso immagini rigide, che si fondavano sulla loro “negatività” … “non possono, non capiscono, non sanno … “; nasce così la cultura dello scarto, la logica della separazione.
    L’esistenza degli handicappati era interpretata all’insegna di una diversità che si trasformò, presto, in segno di inferiorità e che per essere tenuta a bada, doveva essere isolata, trattata in luoghi opportuni.
    Ecco allora i due modelli di comportamento sociale dell’ uomo nei confronti degli handicappati: commiserazione ed esclusione. La commiserazione spingeva ad assistere il bisognoso, l’esclusione spingeva ad emarginare l’handicappato ai confini della società affidandolo ad istituzioni speciali, senza considerare che l’esclusione, la condanna al silenzio, la non visibilità sono la pena peggiore che può essere inflitta ad un essere umano che, per riconoscersi, ha bisogno sempre del riconoscimento proveniente dall’ esterno. Nel passato, quindi, il disabile era emarginato, “invisibile” o peggio ancora, eliminato. Ad esempio,in classe abbiamo svolto una simulazione all’interno della quale la professoressa, che deteneva il ruolo di sindaco della città, emarginava una parte di essa: coloro che avevano gli occhiali. Io “fortunatamente” non facevo parte di loro e guardavo con stupore tutti coloro che, messi in un angolo della “città”, volevano esprimere il proprio pensiero, ma non venivano ascoltati.
    La prima immagine attribuita all’handicap nella storia è quella di monster naturae, presente nell’antichità e nel Medioevo. Il “mostro” era il bambino che nasceva con un deficit, che era visto come un qualcosa di spaventoso, la cui madre veniva addirittura punita con la morte per averlo messo al mondo.
    Nell’Ottocento, l’handicappato diviene un selvaggio da educare e la causa della sua malattia è attribuita all’ambiente in cui egli è cresciuto.
    Nel vangelo troviamo indicazioni circa le credenze popolari del tempo secondo le quali l’handicap è considerato il frutto di un peccato. Il bambino con handicap era quindi un peccatore da salvare.
    Passo importante si ha quando il soggetto con handicap diviene il malato da curare e finalmente, ai giorni nostri, con la fondazione di comunità e cooperative, il disabile è considerato persona da integrare. Tra le definizioni più accreditate si ha quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del 1980, in cui si distinguevano il livello della menomazione, il livello della disabilità e il livello dell’handicap: ““condizione di svantaggio, conseguente ad una menomazione o ad una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento di un ruolo sociale considerato normale in relazione all’età, al sesso, al contesto socio-culturale della persona .L’ integrazione del disabile all’ interno della società è uno dei temi trattati all’ interno del testo Complessità della persona e disabilità” di Anna Maria Murdaca .Secondo l’ autrice occorre adottare una nuova cultura e conoscenza della disabilità incentrata sul riconoscimento della persona in evoluzione .E’ il contesto sociale a determinare ,secondo Murdaca, la condizione di handicap ,sono gli ostacoli e le barriere fisiche a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. La famiglia , la società, il contesto lavorativo sono elementi che possono influenzare lo stato di salute ,ridurre le nostre capacità di svolgere compiti che ci vengono richiesti e porci in una situazione di difficoltà. Essere genitore di un figlio con handicap non è un ruolo che si sceglie e quindi non sempre si è preparati ad affrontare una responsabilità così faticosa e impegnativa; la nascita di un figlio disabile comporta una situazione di perdita, , è un evento che destabilizza e distrugge con violenza gli equilibri preesistenti. Si attiva fin da subito, soprattutto nella madre che riveste un ruolo fondamentale nella presa in carico del bambino, un meccanismo di colpevolizzazione in due direzioni: verso di sé, per aver messo al mondo un essere imperfetto e verso i medici, per le cure fornite al momento del parto e per la tempestività e correttezza della diagnosi.
    Per questo è importante fornire dei supporti sia sociali, sia psicologici, sia medici alla famiglia.
    Quando non si riesce a superare il dolore iniziale, si può evidenziare un atteggiamento di rifiuto, che talvolta si esprime nel correre da uno specialista all’altro per trovare una soluzione definitiva al problema; un atteggiamento iperprotettivo, tale da impedire al figlio con handicap di crescere e socializzare. Anche l’integrazione scolastica degli alunni disabili è comunemente considerata fondamentale per una loro effettiva integrazione sociale.
    Essa, infatti, , è intesa come un processo di cambiamento, rappresenta,dunque, una occasione irripetibile per un completo e sereno sviluppo della personalità dell’alunno disabile, e quindi, per una sua reale partecipazione alla vita sociale.
    Il presupposto di base dell’integrazione scolastica è che tutti gli studenti, compresi quelli disabili, siano membri a pieno diritto della comunità e della classe.
    Questo concetto implica che l’aula della scuola comune sia modificata per adeguarsi a tutti gli studenti, e che offra servizi particolari a tutti gli alunni al suo interno .
    Le moderne tecnologie disponibili, se correttamente usate sono in grado di limitare gli effetti negativi e di compensare i deficit personali che la disabilità comporta .
    L’ integrazione è un processo continuo non un punto di arrivo ,una continua ricerca di soluzioni per preservare i diritti acquisiti dei disabili.
    Esistono molte disabilità e tutte diverse una dall’altra, con sintomi diversi, con esigenze diverse e con soluzioni diverse, ma tutte unite da un concetto basilare: i disabili non sono merce, sono persone e come tali devono essere trattati, anche nella loro cura.
    Ritengo che la cura, là dove necessaria, vada collocata nella sfera della sanità e non solo .Cura vista come un atto di umana comprensione capace di aiutare le persone con deficit. Murdaca scrive che ci troviamo davanti ad un “nuovo paradigma del benessere .La vera novità è che non si mira alla’ accadimento della persona disabile ma alla sua emancipazione ,alla sua crescita in tutte le varie dimensioni .Si parla inoltre di relazione educativa. La relazione educativa è un complesso legame che si forma tra due o più persone , è un rapporto che si istaura tra una persona guida e una persona in difficoltà . In tale tipo di relazione avviene uno scambio dove si da e si riceve. Alla base della relazione vi è la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all’accoglienza , all ‘ascolto, lasciando spazio alla libertà dell’altro costruendo un progetto di vita personale. Ogni incontro umano è educativo, in quanto è portatore di significato, valori o anche semplicemente di opinioni. L’educatore deve trasmettere qualcosa di positivo all’educando,visto che svolge una funzione importantissima. Egli si pone come guida nei confronti di coloro a cui intende donarsi, perché educare è proprio questo. In una buona relazione educativa si devono creare una serie di situazioni che mettono a proprio agio il soggetto che si ha di fronte. Bisogna creare un rapporto alla pari senza creare differenze, in modo tale che il soggetto si senta libero di esprimere le proprie idee. Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile, bisogna prendere in considerazione le diverse situazioni e far emergere le doti del disabile non mettere in luce le sue “mancanze”. Per sperimentare ancor meglio la relazione educativa e capire nel concreto come si svolge abbiamo svolto in classe alcuni esempi attraverso due setting proposti dalla professoressa e svolti attraverso l’aiuto di alcune colleghe. Il primo vedeva coinvolti un bambino con la rispettiva madre e un’educatrice. Ho notato subito la prossemica dell’educatrice nel rivolgersi prima al bambino poi nei confronti della madre,verso la quale si è mostrata disponibile ed accogliente. Il senso di rabbia che provava questa madre verso la maestra di sostegno che non si era presentata per giorni alla lezione era rivolto tutto verso l’educatrice, come un urlo di aiuto e l’educatrice non solo lo ha accolto ma ha dato la speranza che tutto potesse sistemarsi.
    Il secondo setting è stato diverso perché ha visto come protagonisti un adolescente di 17 anni e un educatrice adulto. La ragazza che lamentava la sua esclusione in classe,la solitudine, il non avere amici ed era abbastanza timorosa nei confronti dell’educando che pero si è disposta all’ ascolto cercando di tranquillizzarla. Si può notare, quindi, quanta importanza ha instaurare una buona relazione educativa tra due persone.



    Remaury, Lipovetsky e Braidotti: proponi, arricchendole di riferimenti, le tue riflessioni su questi autori sul corpo trasformato e mostruoso (anche in riferimento al laboratorio le protesi estetiche).

    Essere in forma e sempre affascinanti è oggi un imperativo categorico; tuttavia la ricerca della bellezza può anche non produrre felicità. Per bellezza s’intendono delle qualità esteriori o interiori che suscitano impressioni gradevoli. Tuttavia ciò che riveste maggiore considerazione e importanza all’interno dell’opinione pubblica è l’aspetto esteriore, quello superficiale e apparente che permette di sentirsi sicuri dei propri mezzi e di essere efficacemente valutati dalle persone.
    Questa ricerca di stima da parte della gente diviene pertanto desiderio di felicità, un’aspirazione che non sempre trova una concretizzazione.
    I mass-media tempestano giovani e non, di icone di perfezione e di modelli di bellezza irraggiungibili, lasciando credere che solo il raggiungimento di tale scopo possa comportare una realizzazione, minimizzando e talvolta tralasciando aspetti importanti , reale fonte di gratificazione e piacere come amore, amicizie e traguardi di vita concretizzati.
    Difatti non si propone una via di mezza tra eccessiva magrezza e obesità, ma si ha un’estremizzazione dell’una e dell’altra. Il tema della bellezza e della trasformazione del corpo è trattato in maniera esauriente da tre scrittori e filosofi contemporanei:) Remaury, Lipovetsky e Rosi Braidotti. Il primo di cui parlerò è Remaury. Egli nel suo libro “Il gentile sesso debole, Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute”, dichiara che nella cultura dell’immagine, la donna, molto spesso, è confusa o associata, alla bellezza. Ci si aspetta che la donna coltivi a tutti i costi la sua bellezza, il suo corpo, e che il miglioramento fisico ed estetico, sia l’adempimento ai suoi bisogni primari, e cioè quelli di essere bella, attraente e perfetta. Questi bisogni impellenti di essere sempre belli, perfetti e di apparire sempre giovani, sono stati indotti dalla società, la quale ci bombarda ogni attimo con immagini di corpi perfetti, giovani e sani. Da sempre la cura del corpo è stata associata ala donna, in modo particolare alla donna bianca, magra, famosa e giovane. Molti pensano che essere belli fuori significhi esserlo anche dentro e quindi, per raggiungere questo livello di perfezione (taglia 42) si fa di tutto. Si trasforma il proprio corpo in ogni modo, come fanno le donne orientali. Queste ragazze sono disposte a sottomettersi ad ogni intervento chirurgico, anche quello più doloroso ed estremo, come il prolungamento degli arti inferiori, pur di somigliare alle donne occidentali. Quest’ultime, dal canto loro, sono sempre più spesso vittime delle malattie “del cibo”, come anoressia e bulimia, per arrivare allo stereotipo della donna perfetta. Per Remaury, l’obiettivo di tutti è: giovinezza- bellezza- salute. Il corpo perfetto è quello liberato da tutti i “mali”. Lipovetsky parla, ne “La terza donna”, di un corpo liberato dalle malattie e quindi sano, libero dal tempo e quindi giovane e libero dal peso quindi magro. La donna, nel controllare la propria immagine, si avvia sempre più verso il corpo realizzato, ossia verso la conquista di un corpo perfetto, ottenuto attraverso la bellezza e la salute. La terza donna di Lipovetsky, raggiunge una maturazione positiva nella quale, la donna, gestisce la propria immagine, con la capacità di scegliere, tra i tanti modelli proposti dalla società, quello perfetto per lei. È bene ricordare che magrezza non è uguale a bellezza. Un esempio sono le modelle anoressiche, che rappresentano il bello che diventa mostruoso. La modella anoressica è diventato il modello per eccellenza da seguire, a cui tutte le ragazze aspirano. È il femminile mancante, deformante (senza carne, curve o sviluppo), dalle forme disumane. Il mostruoso, con la malattia, diventa un modello estetico, e di desiderio maschile.
    Rosi Braidotti tramite varie riflessioni filosofiche storiche e culturali in “Madri, mostri e macchine” arriva a spiegare il corpo femminile in cui vediamo la donna capace di deformare nella maternità il proprio corpo, una sua tendenza al corpo macchina per quanto riguarda l’idea di poter uscire dai vecchi canoni di bellezza, e la mostruosità in cui l’orribile è meraviglioso. Quindi in questo modo Rosi Braidotti da una sorta di spiegazione riguardo all’esigenza di un corpo trasformato e mostruoso. Spesso per raggiungere questa meta si fa uso della scienza, e in particolare le protesi estetiche, utili per divenire ciò che si vuole: spesso fotocopie del canone imposto dalla società, ma anche al contrario, un modo per distinguersi divenendo diversi dai “normali”. A tal proposito ricordo il laboratorio riguardo le protesi estetiche che ci chiedeva appunto di dire se eravamo pro o contro le protesi estetiche. Io credo che vi debbano essere dei margini di utilizzo di questi utilissimi progressi scientifici, in quanto se usati per migliorare realmente e praticamente le condizioni di vita di una persona sono più che a favore altrimenti sono contro. Mi sento una ragazza fortunata in quanto accetto il mio aspetto fisico e cerco di dare molto più valore a quello che riesco a trasmettere alle persone attraverso il mio pensiero.
    Remaury e Lipovetsky , nei loro testi ,analizzano il concetto di bellezza, sottolineando come essa sia diventata un obiettivo che ogni individuo pretende di raggiungere perché gli facilita l’accesso nella società. Ad esempio Remaury, nel “Gentil sesso debole”, afferma che il miglioramento dell’aspetto fisico fa parte dei bisogni da adempire,bisogni,che sono,a loro volta,imposti dalla società stessa. Lipovetsky ,inoltre,evidenzia come l’eterna giovinezza,la perfetta bellezza e la salute totale ,siano diventate strade obbligatorie che i soggetti ,in particolare le donne,devono percorrere per raggiungere un corpo perfetto e la conseguente accettazione da parte della società. Rosi Braidotti parla addirittura di corpo-macchina,riferendosi al legame tra femminismo e tecnologia, cioè del corpo femminile che incarna ,oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina. Nella società odierna si ricorre sempre più spesso alla chirurgia estetica per togliere rughe,per aumentare di una taglia il seno,per eliminare qualche difetto del corpo,si usano creme e svariati prodotti per essere belli e sempre più uguali ai modelli proposti dalla tv e dai giornali. L'apparenza supera di gran lunga la sostanza. Ricorrere all'utilizzo di protesi,bisturi,al botulino e quant'altro è giusto nel momento in cui si ha un difetto grave che crea disagio nella persona. Non lo è quando si vuole soddisfare un capriccio,quando si vuole essere accettati dalla società annientando il proprio io interiore. Cerchiamo di essere e non di apparire,miglioriamo l'anima e non il corpo, perché dopo la vita non conterà quanto siamo stati belli fuori,ma quanto lo siamo stati dentro.
    Remaury e Lipovetsky si occupano della nuova concezione del corpo. Un corpo che deve essere necessariamente bello. Ma non il bello soggettivo, bensì il bello oggettivo, quello imposto dalla società e alla quale si aspira. In particolare Remaury individua una vera e propria corsa alla perfezione che si pone come obiettivo la triade giovinezza- bellezza- salute. Pertanto emerge il concetto di corpo liberato da cui Lipovetsky prende spunto per la sua riflessione; la liberazione de La terza donna celebrata da Lipovetsky è una liberazione del corpo dalla malattia cioè sano, dal peso cioè magro, dal tempo cioè giovane. Ecco dinuovo realizzata la triade. … prima il corpo doveva servire, ora è l’individuo ad essere al servizio del proprio corpo(Baudrillad). Ma il più delle volte questa triade è associata alle donne, al corpo feminile.
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    Martina Marotta


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    Messaggio  Martina Marotta Sab Mag 19, 2012 8:54 pm

    ESERCIZIO 1
    PASSAGIO DALL ICD ALL ICF

    Un tema delicato come quello della disabilità prevede di dare molta importanza alle parole che si utilizziamo .Entrare in rapporto con argomenti cosi delicati non penso sia facile. Senza renderci conto spesso rischiamo di confondere termini che per noi sono simili ma che in realtà hanno significati diversi e che quindi producono atteggiamenti differenti.
    Parole inappropriate in questo contesto non possono fare altro che aumentare l handicap anziché ridurlo.
    L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stilato la sua prima classificazione nel 197° con l ICD, ossia la classificazione internazionale delle malattie focalizzata sulla causa, sulla descrizione delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle patologie.
    Successivamente nel 1980 l’OMS mise appunto un’altra classificazione “ICIDH”, in cui veniva fatta l’importante distinzione fra MENOMAZIONE, DISABILITà ed HANDICAP.
    Queste 3 parole chiave hanno rispettivamente un proprio significato: la prima viene definita come perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica; la seconda viene definita come qualsiasi limitazione o perdita conseguente a menomazione della capacità di compiere un’attività nel modo considerato normale per un essere umano; infine c’è l’handicap intesa come una condizione di svantaggio conseguente a una menomazione o a una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, al sesso o ai fattori socioculturali.
    Nel 2001 l’OMS ha pubblicato la “Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e della disabilità” o ICF riconosciuta come un nuovo strumento per descrivere e misurare la salute e la disabilità delle popolazioni. Questa classificazione ha segnato un cambiamento sostanziale nel fornire un quadro di riferimento e un linguaggio unificato per descrivere lo stato di salute delle persone.
    In questo nuovo documento la disabilità non viene considerata soltanto come una condizione soggettiva propria della persona, ma anche come una misura delle attività che l’ambiente esterno consente di espletare. Inoltre,i termini “menomazione”, “disabilità”ed “handicap” vengono sostituiti con altre definizioni le quali risultano essere: funzioni, strutture corporee e attività e partecipazioni. Questa nuova classificazione appare innovativa per suo concentrarsi su ciò che la persona sa fare anziché su ciò che non può fare.
    Una delle cose a cui si assiste quotidianamente è la confusione che le persone fanno con la parola DISABILE.
    La disabilità non è una diversità, ma una condizione di vita. Le prime discriminazioni verso i disabili cominciarono proprio dalle PAROLE con cui li designa o con cui ci si rivolge a loro. Le parole usate portano con sé mondi diversi e il linguaggio può essere un punto di partenza per riflettere sulle nostra concezioni, è giusto quindi specificare che il disabile è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, caratterizzata dalla mancanza di una o più attività.
    Spesso però accade che il disabile viene considerato un “ DIVERSO”. Per il diverso si prova compassione, solidarietà, desiderio di compiacere. Da alcuni anni si sta diffondendo l’utilizzazione dell’espressione”diversamente abile” per specificare che attraverso modalità diverse si raggiungono gli stessi obiettivi. Barriere architettoniche e disabilità sono purtroppo un binomio inossidabile Le buone parole e i buoni propositi spesso spesso si polverizzano di fronte ad un vivere avvolte incivile; la nostra società è un chiaro esempio di come la mancanza di rispetto per l'altro non trova limiti, soprattutto con chi è diversamente abile. Sono le persone che occupano i parcheggi riservati, che ostruiscono gli scivoli con le auto a far sentire queste persone DIVERSE, imprigionate, non libere.
    Quindi una delle prime difficoltà che queste persone incontrano è quella di non riuscire ad essere AUTONOMI .
    Trasporti inaccessibili , strutture inadeguate, inciviltà della gente sono questi gli elementi che rendono diverso il disabile.

    ESERCIZIO 2
    Anna Maria Murdaca, con il testo “Complessità della persona e disabilità”, si pose come obiettivo primario quello di sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come un individuo in continua evoluzione. Ciò che impedisce ad una persona con deficit di portare a termine un’attività sono proprio gli ostacoli che egli incontra. Quindi, come ci suggerisce l’autrice, è il CONTESTO SOCIALE a determinare la condizione di handicap, sono cioè gli ostacoli e le barriere sia fisiche che mentali a favorire il processo di esclusione. Nella vita di ognuno di noi ciò da cui ci sentiamo maggiormente influenzati è L’AMBIENTE, in modo particolare la società, la famiglia, la scuola , non sono altro che fattori determinanti soprattutto nel definire la disabilità.
    Spetta alla ricerca produrre quelle soluzioni tecnologiche, che migliorando l’ambiente delle persone ne diminuiscono la disabilità, come ad esempio le case domotiche che costituiscono una reale soluzione pensate per le persone con gravi difficoltà con lo scopo di migliorarne la qualità della vita. L obiettivo primario è quello di valorizzare la persona con il rispetto delle differenze e delle identità adottando l’ottica della GLOBALITà , cioè una nuova cultura centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione . Non si deve far altro che considerare l integrazione come un processo in evoluzione, una continua ricerca di soluzioni atte a preservare i diritti dei disabili e a valorizzarne al meglio le loro doti individuali.
    La vera novità che la Murdaca propone è che non si mira all’ accudimento bensi all’emancipazione del soggetto con disabilità, volta alla realizzazione dell uomo per ciò che egli è e per quello che egli può diventare.
    Si ha bisogno di una relazione educativa in cui il disabile sperimenta con gli educatori, con gli stessi insegnanti una serie di situazioni e vissuti che vengono elaborati, ricostruiti ed integrati.

    ESERCIZIO 3
    Nella società odierna la cultura dell’immagine e della bellezza è di primaria importanza nella scala dei valori. Ciò che oggi conta di più è l apparire anziché l’essere. Il bisogno di essere belle spinge le donne a ricorrere alla chirurgia estetica. Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che ogni donna vuole possedere a tutti i costi .
    Le protesi estetiche vengono cosi considerate una soluzione per raggiungere un corpo sano e perfetto.
    Tra gli autori che hanno affrontato questo tema ricordiamo Reumaury, il quale nel suo testo “Il gentil sesso debole” afferma che ognuno di noi è diretto verso una corsa alla perfezione con lo scopo di raggiungere 3 obiettivi: giovinezza- bellezza e salute. Queste costituiscono le caratteristiche che il corpo femminile deve avere secondo i giornale, la televisione e la modo. Coloro che non si adeguano o che non rientrano in questi standard finiscono con il sentirsi umiliate.
    Lypovetsky , nel suo libro descrive” la terza donna” come colei che ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, capace di controllare e gestire la propria immagine all interno dei vari modelli sociali.
    Infine Rosa Braidotti in “Madri, mostri , macchine” analizza i cambiamenti indotti dalle biotecnologie che stanno modificando il rapporto che l uomo ha con il proprio corpo. La donna, proprio perché capace di deformare nella maternità il proprio corpo, appare nell immaginario maschile come qualcosa di orribile: MOSTRO, ma allo stesso tempo madre.
    Marcello De Martino
    Marcello De Martino


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    Messaggio  Marcello De Martino Dom Mag 20, 2012 12:46 am

    Chi è diverso? Siamo tutti Diversi ma anche tutti uguali. Diverso è chi ha i capelli, gli occhi ,la pelle di un colore non come il tuo. Diverso è chi non la pensa come te. Diverso è un cieco o una persona senza arti. Diversi lo siamo tutti. Ma tutti siamo umani, tutti proviamo le stesse emozioni anche se non per le stesse cose. E la nostra umanità che ci rende uguali. La diversità è bella e necessaria. E’ molto importante tener conto delle parole perché esse possono ferire e a volte anche uccidere. Infatti molti anni fa ,ancora oggi ma in minoranza, si abusava soprattutto del termine handicap. Usato spesso e volentieri per indicare menomazioni psichiche o fisiche di una persona(handicappato). Ma ridurre questo termine a ciò vuol dire minimizzare e tralasciare l’essenziale del termine. Handicap è l’ostacolo posto di fronte alla persona. Esempi già ne abbiamo visti nella lezione affrontata in aula riguardo le barriere architettoniche e l’esercizio “Orologio”. Come espresso sopra, diversi lo siamo tutti ma è la nostra umanità a renderci uguali. Dico ciò perché voglio soffermarmi sul termine disabile. Esistono persone “normali” e “Disabili”( La disabilità è la condizione personale di chi, in seguito ad una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma).Una persona disabile ,a mio parere, che dice” Io non mi sento disabile” esercita una forma di occultazione del proprio stato di essere a mio parere sbagliata. Questo non vuol dire essere inferiori o, addirittura, non essere persone. Vuol dire accettare le proprie debolezze. Anche io,persona “normale”, ho delle debolezze dei limiti ma sicuramente ho altre qualità o pregi e mi concentro su quelli.“ Quindi ripeto bisogna davvero tener conto delle parole e del loro significato e fortunatamente questa cosa sta migliorando sia prima con il passaggio dall’ICD all’ICF ma ancor oggi.

    l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e l’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie.La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione Internazionale delle malattie” risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. L’ICD si delinea quindi come una classificazione causale, focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione. Ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze: “la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH). L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Utilizzando l’ICD e l’ICIDH viene favorita l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una prospettiva più ampia, in quanto i dati eziologici vengono integrati dall’analisi dell’impatto che quella patologia può avere sull’individuo e sul contesto ambientale in cui è inserito. L’ICIDH è caratterizzato da tre componenti fondamentali, attraverso le quali vengono analizzate a valutate le conseguenze delle malattie:
    - la menomazione, come danno organico e/o funzionale;
    - la disabilità, come perdita di capacità operative subentrate nella persona a causa della menomazione;
    - svantaggio (handicap), come difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione.

    Nonostante ciò anche L’ICIDH presenta dei limiti concettuali che hanno portato l’OMS ad elaborare un’ulteriore strumento, ovvero, l’ultima classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “La Classificazione Internazionale del funzionamento, disabilità e salute (ICF, 2001). In tutto ciò abbiamo parlato di limiti dell’ICD e ICIDH che hanno portato alla nascita dell’ICF. Ma quali?
    A differenza delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH), dove veniva dato ampio spazio alla descrizione delle malattie dell’individuo, ricorrendo a termini quali malattia, menomazione ed handicap (usati prevalentemente in accezione negativa, con riferimento a situazioni di deficit) nell’ultima classificazione l’OMS fa riferimento a termini che analizzano la salute dell’individuo in chiave positiva (funzionamento e salute). L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. L’analisi delle varie dimensioni esistenziali dell’individuo porta a evidenziare non solo come le persone convivono con la loro patologia, ma anche cosa è possibile fare per migliorare la qualità della loro vita.

    Complessità della persona e disabilità. Murdaca scrive questo libro. L'obiettivo primario che si pone il presente lavoro è sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione. ICF rappresenta una vera e propria rivoluzione nella concettualizzazione della disabilità. L’ambiente, il contesto sociale sono fattori importantissimi per l’integrazione del disabile. E’ soprattutto la famiglia, la scuola ma anche la società stessa che devono mettere nelle condizioni giuste la persona di interagire e integrarsi al meglio. Ciò può avvenire solo eliminando l’aggettivo oggetto che spesso si tende a macchiare al soggetto disabile. Bisogna uscire dall’oggettivazione. Capita che a volte è stesso la famiglia che tende a all’inclusione della persona disabile. A volte per vergogna o per il semplice motivo di essere giudicati. La relazione educativa è un punto fondamentale in tutto ciò. Aprirsi ad una persona è difficile. E difficile con persone che conosciamo benissimo non immagino quanto lo sia con qualcuno all'inizio estraneo. Far sentire a proprio agio l'educando non credo che basti ma sicuramente è un inizio .L'educando deve capire che l'educatore non è davanti a lui ma affianco, gli pone una mano non per rialzarlo ma per dar forza ad entrambi. Insomma per raggiungere questi scopi c’è bisogno di un miglioramento, quindi, globale. Passi avanti sicuramente ci sono stati ma purtroppo oggi la società è sicuramente una società giovane, forse anche troppo. Oggi viviamo in un mondo dove l’unico obiettivo è quello di raggiungere la perfezione. Non ci si accontenta di essere belli o forti. Bisogna raggiungere il primato. Scalare la classifica. Un esempio è quello dato dalle protesi. Persone disposte a tutto pur di migliorare un aspetto fisico. Le protesi estetiche ne sono un esempio. Infatti Remaury parla di una assoluta soggezione della donna, preda di una pratica manipolatoria. In questo discorso il linguaggio della persuasione estetica appare alienante nella sua pretesa prescrittiva di apparente e semplicistico benessere, il cui soggetto è chiamato, come in molti slogan pubblicitari, a ridurre l’essere al solo corpo. Giovane, bella e sana: questa è l'immagine ideale della donna che propongono i media e la pubblicità. LIPOVETSKY esprime questo concetto anche in modo molto forte. Ad esempio lo scrittore dice: per le donne sembrare giovani è anche più importante anche della rispettabilità sociale. La moda di oggi è la bellezza, la giovinezza. Figlie che prima volevano diventare madri mentre ora è il contrario. La società di ciò approfitta,spinge. Parliamo di una società definisce Lipovetsky “dell’Iperconsumo” quella della “moda giovanile”. Le protesi estetiche, la chirurgia plastica ogni anno fanno passi avanti. Le tecnologie si sviluppano ogni anno in ogni settore. Credo che il progresso sia giusto e necessario in tutti i campi. Le protesi sono una cosa “santa” se utilizzate nel modo migliore. Solo da questo punto di vista allora io sono d’accordo. La bellezza va curata non cercata. Il progresso è necessario per migliorare la vita di persone che non sono “normali”.
    Giuseppina Chianese
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    Messaggio  Giuseppina Chianese Dom Mag 20, 2012 9:40 am

    1)

    L'organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato nel 1970 una classificazione internazionale delle malattie chiamate ICD.Grazie all ICD si può cogliere la causa delle patologie,fornendo per ogni sindrome e disturbo le principali indicazioni diagnostiche e le principali caratteristiche cliniche.
    Successivamente si è elaborato L'ICF ovvero un manuale di classificazionie pubblicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità NEL 2001 spiegando il concetto di disabilità multidimensionale.Secondo ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole.L'icf sostiene che la disabilità non è solo una condizione soggettiva ma ad influire sulle caratteristiche della persona è l'ambiente stesso.Come ho sostenuto nel forum "le barriere archittetoniche e l'esercizio dell "orologio "l'ambiente spesso aumenta le difficoltà del soggetto con disabilità rendendole la vita poco serena e tranquilla.Le difficoltà che la società adierna pone ai soggetti con disabilità sono molteplici e nonostante tutto coloro che spesso hanno il dovere di risolvere alcune situazioni sgradevoli per la sopravvivenza delle persone disabili rimangono li a guardare senza porre aiuto. Nell'esercizio dell'orologio mi sono immedesimata ma mi sono resa conto che la mia vita da disabile sarebbe molto diversa dalla mia vita attuale infatti dovrei cambiare tutto a partire dalla casa in cui vivo.
    L'icf si occupa della classifica delle condizioni di salute,malattie o traumi mentre L'icf si occupa delle conseguenze associate alle condizioni di salute,quindi permette di evidenziare come convivono le persone con patologie e come quest'ultime devono migliorare il modo di vivere per essere sereni.L'ICD E L'icf sono considerati strumenti importanti per gli operatori del campo sanitario.In questo ambito spesso si parla di disabilità e diversità;ma tutti conosciamo tali termini o li usiamo in modo errato? beh il disabile non è il "poveretto" o colui che viene visto con occhi pieni di compassione e di pietà.Il disabile è una che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana,un individuo con disfunzioni motorie e/o cognitive,con disagi sociali,che spesso influenzano la persona psicologicamente facendogli sentire il peso di questa mancanza di abilità.Ci sono persone con disabilità che invece non si sentono tali infatti riescono a compiere qualsiasi attività grazie al superamento delle barriere architettoniche,un esempio può essere quello di Simona Atzori che nonostante la sua disabilità compie una vita serena e normale appagando tutte le sue passioni e doveri.
    Spesso la disabilità viene confusa però con la diversità e pure come è stato già sottolineato "tutti siamo diversi ma non tutti siamo disabili",infatti ogn'uno di noi è unico,unico nei modi,negli atteggiamenti,nelle reazioni,nei sorrisi.Quindi per non usare il termine diverso come un termine dispregiativo si è pensato di utilizzare i termini come diversamente abili e diversabili,termini postivi in quanto mette in evidenza l'essere appunto le disabilità di molte persone senza farle sentire il peso della diversità.Il diverso quindi non è un mostro che ci trasmette paura,il diverso non va allontanato o compreso,non va guardato con occhi di timore,non va aiutato solo per sentirci bene con la coscienza,non va isolato ma l'unica cosa che bisogna capire è che il diversità è idea immaginaria che naviga nella nostra mente.
    2 E 3
    Anna Maria Murdaca docente esperta di disabilità scrive il testo "Complessità della persona con disabilità". L'autrice sostiene che bisogna adottare la logica della globalità abbandonando l'idea di inserimento affermata dalla legge 118 del 1971.Secondo Anna Maria Murdaca bisogna formulare una nuova cultura e conoscenza della disabiltà attenta a valorizzare l'esigenze del soggetto disabile e l'integrazione in un contesto che offre poca disponibilità nell accoglienza.A fornire un contributo importante per questi cambiamenti deve essere soprattutto la scuola,luogo in cui si può valorizzare l'integrazione e lo sviluppo delle competenze del soggetto. Quindi la scuola,la famiglia,il contesto sociale,gli ostacoli,le barriere che favoriscono l’esclusione e l’emarginazione. La scuola,la famiglia,dovrebbero cercare in un tutti i modi di migliorare l’ambiente per ridurre queste condizioni di svantaggio. Secondo la Murdaca,si dovrebbe mirare alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità basata sul rispetto delle differenze e l’integrazione.In questa nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione troviamo da un lato una cultura che impone necessariamente un'ottica progettuale e flessibile,dall'altro necessita di un ripensamento dell'integrazione, intesa come "spazio riparativo" dove il disabile può sperimentare con gli educatori e gli insegnanti una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nella relazione educativa. Murdaca sostiene che l'integrazione deve essere un processo continuo,è una continua ricerca di soluzioni. Quindi l'integrazione viene vista come un modo per valorizzare al meglio le doti individuali del soggetto.Come ho già sostenuto in un forum un ruolo importante nel processo di integrazione lo occupano i genitori ma soprattutto gli inseganti,gli educatori che spesso sostituiscono il genitore.l'educatore deve valorizzare e tirare fuori le potenzialità del soggetto,non facendo sentire la differenza tra insegnante-alunno,non trattandolo come un vaso da riempire ma come un soggetto che con aiuto può superare molte difficoltà.Attraverso l'integrazione il soggetto non solo si sente un tutt uno con l ambiente ma impara a conoscere la sua stessa identità.Per rendere ciò possibile è necessario un serio lavoro di integrazione in cui si intreccia l'aspetto educativo con quello didattico,quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale.
    Diciamo che questi valori,questi progetti importanti attualmente nella nostra società sono poco considerati forse perche oggi per il mondo sono altre le cose importanti infatti la nostra società rivolge la sua attenzione solo su cose di poco conto che sono oggetto di tutti i mezzi di comunicazioni attuali.Ad esempio,i mas-media si sono impadroniti di temi che riguardano il corpo e la bellezza, creando stereotipi e canoni di bellezza, una bellezza associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla.
    Per quanto riguarda l'argomento sulla bellezza possiamo far riferimento a Remaury che dice che siamo diretti verso una corsa alla perfezione. Giovane, bella e sana: questa è l'immagine ideale della donna che propongono i media e la pubblicità.
    Queste le caratteristiche che il corpo femminile deve avere secondo i giornali, la televisione, la moda. Su questo canone estetico le donne dovrebbero costruire la propria identità, spesso soffrendo perchè non riescono a raggiungere tali perfezioni.
    Lipovetsky ci fa tre esempi diverse di donne che sono cambiate a seconda dei secoli,la prima è: svalutata, sfruttata, demonizzata. Poi è venuta la seconda: l'icona, l'ideale della virtù la Beatrice,infine ci illustra la donna del ventesimo secolo una donna indefinita, un termine da non intendere in senso negativo, ma come il fondamento dell'autodeterminazione. Infine,la tesi della Braidotti in “Madri,mostri e macchine”,afferma che gli straordinari mutamenti indotti dalle bio-tecnologie stanno radicalmente modificando il discorso e le pratiche della riproduzione e la relazione degli umani con la materia corporea. In un orizzonte che si nutre di un immaginario di catastrofe imminente, si moltiplicano gli interrogativi sull'origine della vita e i poteri della scienza. Occorre dunque ripensare alla relazione antica, complessa e multiforme che c'è tra le madri, i mostri e le macchine, relazione che passa per il corpo ma anche per la sua rappresentazione simbolica.Io credo che oggi nonostante tutto si sta un po esagerando a dare unicamente importanza alla bellezza,che sta diventando per molte ragazze soprattutto le adolescenti motivo di depressione e crisi o malattie come il bulimia e l'anoressia.Sicuramente curarsi cambia l'immagine sono importantissimi i progressi che la chirugia sta avendo un questo ultimo secolo ma secondo il mio parere spesso è meglio evitare la chirurgia estetica e di adottarla solo in casi vera e propria esigenza.
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    Prova intercorso (riapre a giugno) - Pagina 10 Empty Un' educazione nuova

    Messaggio  MARIO RIEMMA Dom Mag 20, 2012 9:46 am

    Conoscere bene il significato dei termini che utilizziamo è di fondamentale importanza, e lo è ancora di più quando ci ritroviamo a parlare di disabilità o di integrazione. Come afferma anche Canevaro, la scelta delle parole è un momento importante, perché uno scorretto uso di queste potrebbe creare disordini e/o emarginazione. Usare la giusta terminologia è quindi un presupposto necessario che sta alla base di ogni dialogo e confronto scientifico e tale puntualizzazione non deve essere presa come una leziosità fine a se stessa, ma nasce dalla necessità di fare riferimento ad una terminologia chiara e condivisa, dal bisogno di coerenza tra modo di pensare e di parlare. E adoperare un termine appropriato rappresenta già di per sé un momento di integrazione. Ed è stata proprio questa necessità che ha spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a dotarsi di una serie di strumenti di classificazione che potessero consentire una migliore osservazione oltre che una migliore analisi delle patologie.
    La prima classificazione elaborata dall’ OMS risale al 1970 e prende il nome di ICD, (International Classification of Diseases). Questa Classificazione Internazionale poteva essere inquadrata un pò come un’enciclopedia delle malattie. Questo strumento infatti tendeva a individuare le cause delle patologie fornendo per ognuna di esse una descrizione delle caratteristiche cliniche e limitandosi a tradurre i dati raccolti dall’analisi in codici numerici.
    L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione dovuti alla sua stessa natura di classificazione causale,
    che focalizza cioè l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia al punto da spingere l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, più attento alle diverse componenti ambientali del soggetto che vive una specifica patologia.
    Nasce così nel 1980 l’ ICDIH (International Classification of Impairement Disabilities and Handicaps).
    Appare chiaro gia dal nome che questo nuovo strumento di classificazione si focalizza non più sul concetto di malattia (diseases) bensì su quelli di menomazione (impairment), disabilità (disabilities) e handicap, termini che poi verranno sostituiti con menomazione, abilità e partecipazione.
    Si ritiene cioè che non sia tanto importante partire dall’analisi della causa della patologia, ma analizzare al contrario l’interazione che sussiste tra i tre fattori sopraindicati e quindi anche sull’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni.
    Riflettere sullo stato di salute a questo punto vuol dire riflettere sia sul benessere fisico, ma anche mentale, relazionale e sociale.
    A questo punto è opportuno riportare il giusto significato dei termini su cui si basa l’ICDIH
    Si intende per menomazione qualsiasi perdita o anomalia a carico di una struttura o di funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche”. Essa comprende quindi sia le alterazioni transitorie o permanenti e le perdite di organi, sia i deficit di apparati funzionali ,compresa la funzione mentale.
    Si intende per disabilità qualsiasi restrizione o carenza (conseguente ad una menomazione) della capacità di svolgere un’attività nel modo o nei limiti ritenuti “normali” per un essere umano. La disabilità, che può essere transitoria o permanente, si traduce quindi nella difficoltà di realizzare i compiti normalmente attendibili da parte del soggetto considerato.
    Si intende per handicap una condizione di svantaggio vissuta da una determinata persona in conseguenza di una menomazione o disabilità che limita o impedisce la possibilità di ricoprire il ruolo normalmente proprio a quella persona (in base all’età, al sesso, ai fattori culturali e sociali), che nasce dalla discrepanza tra l’efficienza reale o lo stato del soggetto e le aspettative di efficienza che egli stesso o il gruppo al quale appartiene hanno nei suoi confronti. L’handicap rappresenta quindi la socializzazione di una menomazione o di una disabilità e riflette le conseguenze culturali, sociali, economiche e ambientali della disabilità nell’esistenza dell’individuo considerato.
    Quest’ultimo termine sta quindi ad indicare il disagio che una persona con disabilità incontra nel confronto con gli altri, nell’ambiente in cui si ritrova (legato a modelli culturali ed agli stereotipi ad essi connessi), e nel momento storico in cui si ritrova. Uno svantaggio quindi, che per esistere deve essere vissuto in una determinata situazione, anzi è proprio quella determinata situazione che lo genera.
    Appare chiaro quindi che quando si parla di disabilità o comunque di diversità, si parla inconsapevolmente anche della concezione di quello che viene considerato normale. Ma cos’è normale? Che significa normale?
    La normalità e' qualcosa di arbitrario, che descrive solo ciò che, in un determinato momento, per una determinata cultura, rappresenta il comportamento più comune. Un comportamento che tra l’altro cambia continuamente.
    Il concetto di normalità, come pure quello della diversità, sono quindi concetti del tutto arbitrari, anche perché senza la diversità non potrebbe esistere la normalità, ma la distinzione fra normalità e diversità dipende unicamente dal fatto della risonanza della cosa.
    Per spiegarmi meglio, è intesa normale una cosa semplicemente perché ha più potere di effetto della diversità, anche se la diversità contiene in se il concetto di unicità.

    In seguito ad alcune revisioni operate dall’OMS sull’ICIDH, nasce negli anni ’90 l’ICF (International Classification of Functioning, Disabilities and Health,).
    A differenza delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH) nelle quali veniva dato ampio spazio alla descrizione delle malattie, nell’ultima classificazione l’OMS fa riferimento all’analisi della salute dell’individuo in una chiave diversa. Attraverso la classificazione si vuole fornire la più completa ed approfondita analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute ed ambiente, arrivando alla definizione di disabilità intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. Questa nuova classificazione mette tutte le malattie e le patologie sullo stesso piano, senza distinguerle in rapporto a ciò che le ha causate,analizzando il contesto sociale, familiare, abitativo o lavorativo del soggetto e tutti gli elementi che possono influire sulla qualità della vita della persona in questione, al fine di sottolineare le capacità del soggetto (invece delle incapacità) e le sue possibilità di coinvolgimento sociale.
    Lo scopo della classificazione ICF è quello di fornire un linguaggio standard e unificato che possa servire da modello di riferimento per la descrizione della salute e degli stati ad essa correlati.
    La cosa che emerge con chiarezza nell’evoluzione delle classificazioni OMS, è l’abbandono man mano definitivo del termine handicap e dei suoi derivati, che hanno connotazioni fortemente negative in favore di termini più aggiornati, più descrittivi dei contesti di vita e che focalizzano l’attenzione sulle risorse e sulle abilità emergenti di un soggetto, invece che sui suoi insuccessi. Solo una valutazione in positivo
    rappresenta il punto di partenza di qualsiasi percorso educativo pensato per garantire il diritto alla non-omologazione e quindi all'originalità, alla diversità, alla irripetibile unicità di una persona.

    Con l'introduzione quindi del nuovo standard ICF appare chiaro che il concetto di disabilità ne esce profondamente mutato. Infatti, secondo la nuova classificazione (approvata da quasi tutte le nazioni aderenti all'ONU), “disabilità” diventa un termine che identifica le difficoltà di funzionamento della persona sia a livello personale che nella partecipazione sociale.
    In tale classificazione, dunque, i fattori biomedici e patologici non sono gli unici ad essere presi in considerazione, ma si deve considerare anche l'interazione sociale. In questo contesto quindi, quello che conta davvero è proprio la complessità della persona. Questo è ciò che ha cercato di sottolineare Anna Maria Murdaca nel suo testo Complessità della persona e disabilità, ponendo la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione. La Murdaca cerca così di mettere in piedi una nuova cultura della disabilità, rimodulando il concetto di integrazione, che diviene così costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, i mezzi per costruire la propria identità, prerequisito fondamentale per il raggiungimento dell'autonomia con lo scopo finale di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere, e che avvicina le persone, ogni persona, al rispetto della differenza, della distanza e dell’unicità. La Murdaca affronta questo percorso partendo da una rilettura della parola handicap assegnando al contesto sociale la maggiore responsabilità a determinarne la condizione, in quanto afferma che sono proprio gli ostacoli e le barriere (fisiche, mentali o culturali) a favorire il processo di esclusione ed emarginazione. E’ importante capire quanto l’ambiente che c’è intorno influenza la vita degli individui, e quanto può essere importante trasferire le giuste competenze all’interno del nucleo familiare, della scuola, del contesto lavorativo o di quello culturale (prendendo coscienza degli stereotipi che non ci fanno andare oltre) e fare in modo che queste agenzie educative possano trasformarsi così da barriera a fonte di liberazione. Ma per fare in modo che questo accada è necessario che l’approccio con questa diversità cambi.
    Innanzitutto occorre soffermarsi sulla complessità di ogni persona con disabilità e abbandonare la logica delle “persone a statuto speciale”, come avviene con l’inserimento della legge 118 del 1971, che fa una netta classificazione e discriminazione nei confronti della diversità, (si considerano mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. Sono esclusi gli invalidi per cause di guerra, di lavoro, di servizio, nonché i ciechi e i sordomuti per i quali provvedono altre leggi) e orientarsi invece verso l’inclusione sociale, adottando la logica della globalità, valorizzando ogni persona nel rispetto delle differenze e delle identità, focalizzando l’attenzione sulle capacità e sulle dotazioni individuali piuttosto che sulle incapacità. Questa nuova concezione dell’integrazione però non può essere un traguardo da raggiungere, ma deve diventare un processo continuo in perfetta sintonia con un adeguato percorso educativo-formativo, facendo in modo che questo percorso diventi una vera e propria cura, una cura che mira alla progressiva emancipazione del soggetto coinvolto,(come afferma P.Gaspari in Pedagogia dell’integrazione e cura educativa) aiutandolo a dare senso e significato alla sua esperienza di vita, a ricordarsi di se, della sua unicità e della sua storia, per accettarsi e convivere con la propria specialità. Un concetto di educazione che appare quindi profondamente mutato, che non mira piu all’accudimento del disabile, ma all’emancipazione di una persona dotata di una propria unicità, che elimina gli ostacoli e che sollecita le forze resilienti capaci di far superare le difficoltà insite nel profondo della personalità, che lo porti verso lo sviluppo della propria identità fino al raggiungimento della propria autostima.
    Diventa quindi necessario riflettere sulla relazione educativa e su quello che è proprio il ruolo e il compito dell’ educatore.( E’ stata davvero bella e interessante l’esperienza fatta in classe sul tema indicato, anche se mi sarebbe piaciuto approfondire l’argomento). Vorrei ora soffermarmi su due punti: chiarire la differenza tra relazione in generale e relazione educativa; e perché il termine relazione è quello che meglio qualifica la comunicazione tra educando ed educatore. La relazione, in generale, può essere definita molto semplicemente come il legame che unisce due o più persone. I motivi per i quali le persone si relazionano tra loro sono molteplici e, probabilmente, il principale è insito nella natura stessa dell’individuo, in quella tensione biologica alla consociazione che accompagna ciascuno di noi nella lunga storia evolutiva dell’uomo La significatività della relazione è costruita interamente dalle persone coinvolte in essa, che possono renderla più o meno superficiale, più o meno matura, dal modo dunque in cui ciascuno si pone e con quanta trasparenza è pronta ad agire nel circolo comunicativo e relazionale. Quando però, la relazione tra due persone ha lo scopo unico di promuovere lo sviluppo e la crescita, oltre che la prevenzione e la cura di particolari stati di disagio, si definisce educativa. Una delle caratteristiche principali della relazione educativa è, infatti, l’intenzionalità che fa dell’atto educativo un evento mirato ad obiettivi precisi e non improvvisato. L’intenzionalità fa agire l’educatore con la consapevolezza e la certezza di sapere sempre i motivi per i quali si fa o non si fa una cosa.
    Il termine relazione poi, è quello che meglio esprime quelle condizioni necessarie perché un rapporto tra due persone sia definito educativo. La relazione tra due soggetti, infatti, prevede uno scambio continuo di emozioni nuove da sperimentare e emozioni da rivivere attraverso l’altro. L’oggetto può essere un problema pratico, un problema personale, oppure può riguardare opinioni, idee, emozioni o sentimenti che si vogliono condividere. Oltre che parlare insieme e riferirsi allo stesso contenuto, l’educatore e il soggetto agiscono in vista di un cambiamento, di una trasformazione, di correzioni oppure di cambiamenti strategici. La relazione educativa, dunque, costituisce la base di appoggio di qualsiasi intervento, la strategia più efficace per costruire un rapporto significativo e di fiducia senza il quale il lavoro educativo risulterebbe molto più faticoso e problematico, dal momento che ogni maturazione o cambiamento è impossibile in assenza di un coinvolgimento attivo dei soggetti.

    E in una società come quella attuale, che ci riguarda da vicino, una società controllata e manipolata dai Mass-Media, dalle banche e dalle multinazionali, regolata sulle leggi del mercato e del consumismo, dettata dal modello occidentale e dall’ostinazione assoluta a volere un mondo globale a tutti i costi, intraprendere una relazione educativa diventa ancora più difficile. Le persone di oggi danno sempre più per scontato quelle cose che solo 20 anni fa erano in grado di rendere felici. Portati lontano dalle questioni importanti e distratti da mille futili attrazioni, i giovani d’oggi risultano sempre più uguali, indottrinati, appiattiti e omologati da stereotipi che la società attuale propone attraverso le strategie di manipolazione che mirano a null’altro che al profitto, a discapito dei valori etici oltre che culturali. In modo particolare è cambiata la concezione e la personalità del pubblico femminile. Le influenze della società attuale che rincorrono solo stereotipi di bellezza effimera e di facciata, tendono a far credere che, solo occupandosi dell’aspetto esteriore si possano raggiungere successi, conferme e consensi dal mondo che le circonda. Ma, entrare nel circolo vizioso del consenso altrui e della sete di conferme esterne, fa diventare le donne sempre più dipendenti, insicure, vulnerabili. A questo punto può bastare una critica, un commento o un atteggiamento negativo per minare o distruggere quel poco di amore che si ha di sé. Questi temi, trattati con particolare attenzione da autori come Bruno Remaury, Gilles Lipovetsky e da Rosi Braidotti, confermano quanto la società sta cambiando le persone e il loro aspetto esteriore parallelamente all’incessante ritmo del progresso tecnologico e quanto è necessaria una educazione mirata e diversa da quella che invece viene trasmessa dalla maggior parte delle agenzie educative attuali. Proprio sul tema della donna e del nuovo modello di donna che i media ci “offrono”, durante il corso, nella parte del forum dedicata alle protesi estetiche, ho voluto pubblicare il documentario “Il corpo delle donne” proposto dall’autrice Lorella Zanardo che, volendosi ribellare alla dittatura dei media, usa per il suo documentario di denuncia le stesse immagini televisive che quotidianamente offendono la dignità femminile e si chiede il perché le donne italiane continuano a sopportare una televisione che le umilia profondamente? In questo panorama nasce un'emergenza educativa palpabile che richiede di infittire la trama del tessuto relazionale tra giovani ed adulti, sempre più sgranata a causa di specchi deformanti la vita reale che finiscono per riflettere la fatica del riconoscimento della propria identità. Un’ identità che diviene ancora più incerta e complessa se includiamo nella relazione Io-mondo, non solo la corporeità ma, anche le tecnologie. Il rapporto con la realtà, infatti, non è più solo mediato dalla corporeità ma anche dalla pervasiva relazione che intercorre tra corpo-macchina-mondo. In un'epoca come la nostra, infatti, la conoscenza della realtà viene profondamente influenzata dal computer, da Internet nella profonda consapevolezza che non sono più "Io da solo a conoscere il mondo attraverso il mio corpo", toccando, vedendo, sentendo, percependo, ma la conoscenza è frutto di molteplici interazioni e rappresentazioni, anche di matrice tecnologica, che rendono il reale virtuale e soprattutto, pericolosamente, trasformano il virtuale in reale. Da molto tempo, ormai, il rapporto uomo-macchina costituisce un versante di riflessione e di ricerca interessante che cerca di evidenziare e analizzare il valore delle macchine e delle tecnologie nella nostra vita. Alla luce di tali considerazioni, si evidenzia la necessità di uno spazio di lavoro educativo che sia sempre più attento a fornire ai giovani un “filtro culturale”, una sorta di dispositivo metacognitivo che li aiuti a selezionare, controllare, valutare tali fenomeni non solo come esperienze perturbanti ma come delle occasioni di riflessione culturale e di identità criticamente guidate.
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    Messaggio  Francesca Starita Dom Mag 20, 2012 10:23 am

    L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS: nata nel 1948 con sede a Ginevra) ha elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e le analisi delle patologie organiche ,psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie e al raggiungimento da parte di tutta la popolazione del livello più alto possibile di salute. La prima classificazione elaborata dall’OMS è “La classificazione internazionale delle malattie”(ICD) istituita nel 1970,che risponde all’ esigenza di cogliere la causa delle patologie fornendo per ogni sindrome o disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Ciò induce l’ OMS a elaborare un nuovo manuale di classificazione, l’ICIDH, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa della patologia ma anche sulle loro conseguenze, cogliendo l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute della popolazione. L’ICIDH è caratterizzato da tre componenti fondamentali attraverso le quali vengono valutate le conseguenze della malattia:
    -La MENOMAZIONE: danno organico o funzionale; può essere temporanea,accidentale ,degenerativa.
    -La DISABILITA’: perdita di capacità operative subentrate nella persona a causa di una menomazione.
    -Lo SVANTAGGIO o HANDICAP: difficoltà che l’ individuo incontra nell’ ambiente circostante a causa della menomazione.
    Nel 2001 l’OMS previene nella stesura di una classificazione innovativa, multidisciplinare e universale :”La classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute” denominata ICF. La differenza rispetto alle precedenti definizioni citate è che l’ICF non riguarda solo le persone con disabilità ma tutti, assumendo uso e valore globale. Infatti è intenta a descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambienti esistenziali, con il fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale possono causare un handicap. Questo strumento inoltre sostituisce ai termini menomazione, disabilità e handicap, altre definizioni positive tra cui:
    -FUNZIONI CORPOREE
    -STRUTTURE CORPOREE
    -ATTIVITA’ E PARTECIPAZIONE ;con l’ intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale.
    Disabili, diversamente abili, handicappati, diversi….e ancora anziani, vecchi, persone non autosufficienti……Sono tutte parole usate per mascherare l’ imbarazzo di non sapere in che modo indicare delle persone a cui la società impone un etichetta e quindi avendo molte volte un uso improprio e di conseguenza gratuito. Essere corretti nel linguaggio è un comportamento importante poiché aiuta ad avere rispetto per determinate persone.
    La parola DISABILE indica una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana per disfunzioni motorie e cognitive. I disabili quindi sono coloro che non sono abili in qualcosa, ed è giusto quindi che vengano chiamati diversamente abili o diversabili.
    Il DIVERSO è colui che la società etichetta come tale, perché ha degli schemi mentali o fisici o comportamentali difformi dalla normalità. Ma diversi da chi? Da cosa?...Nel mondo siamo tutti uguali e diversi allo stesso tempo, perché ognuno è unico e irripetibile e per questo non dobbiamo essere vittime di pregiudizi e stereotipi. Questo argomento è trattato nel film visto in aula , dove si evidenzia in particolare l’argomento della discriminazione razziale. Vengono usate molte frasi toccanti ma ciò che mi ha fatto soffermare a riflettere è stato proprio il titolo del film: ”Indovina chi viene a cena?” ,forse perché trovo che sia stata fatta dell’ironia per sdrammatizzare un argomento abbastanza comodo per quelle persone chiuse di mente che fanno delle discriminazioni il loro pane quotidiano, emarginando una persona a tutti gli effetti normale .
    Laddove esiste una diversità, potenzialmente nasce un caso di EMARGINAZIONE. L’ esercizio messo in pratica in aula (CITTADINO O EMARGINATO?) mi ha aiutato a capire che non è possibile che una o più persone vengano escluse o si escludano spontaneamente, quindi sarebbe bene che aggiungessimo alla nostra vita un po’ di solidarietà ed autostima e soprattutto si dovrebbe evitare che tali tristi episodi non avvengano più.
    Ma non sono solo i termini usati male per definire una persona ad emarginarla, a ferire la sua dignità; infatti a far sentire queste persone ancora più “diverse”, sono le BARRIERE ARCHITETTONICHE, che, nonostante il livello tecnologico raggiunto fino ad oggi, rappresentano ancora un tema annoso. Queste ultime sono ostacoli, limitazioni, che causano gravi forme di discriminazione sociale, umiliando e scoraggiando le persone aventi già problemi. Oltre a procedere all’abbattimento delle barriere architettoniche, bisogna modificare le nostre fobie mentali eliminando ogni comportamento errato nei confronti dei nostri concittadini “svantaggiati”. Parlando di tali argomenti ci rifacciamo ad ANNA MARIA MURDACA ,che suggerisce che non si deve definire nessuno per sottrazione, affermando che è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap e sono gli ostacoli, le barriere fisiche e mentali, a favorire il processo di esclusione, emarginazione.
    Nel testo “complessità della persona e disabilità” la Murdaca mira “alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità”, -”alla rimodulazione del termine integrazione” e –“alla complessità delle reali condizioni di vita”. Il suo scopo è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere, tendendo a valorizzare al meglio le dotazioni individuali.
    L’INTEGRAZIONE è un processo continuo, non un punto di arrivo, è una continua ricerca di soluzioni e strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili. Pensare a NUOVI SPAZI EDUCATIVI è fondamentale per gettare le basi di una buona integrazione.
    La RELAZIONE EDUCATIVA è uno spazio riparativo nel quale il disabile sperimenta con gli educatori, o insegnanti, una serie di situazioni vissute che vengono elaborate, criticate, ricostruite. La relazione educativa non si crea solo in ambito scolastico, ma in ogni contesto sociale, ovvero ogni volta che si stabilisce una comunicazione tra due persone, con lo scopo di fornire apprendimento e crescita psicologica. E’ importante che il rapporto educatore/educando sia un rapporto reciproco basato sullo scambio di esperienze, occorre che entrambi sappiano ascoltare ed ascoltarsi, mettere in comune sentimenti e vissuti personali, anche perché il più grande insegnamento è l’esempio ed in ogni relazione educativa ognuno impara dall’ altro. L’educatore non deve essere più considerato come colui che fornisce le istruzioni per l’uso della vita, ma come colui che accompagna l’educando alla costruzione del proprio modo di vivere autonomamente, immedesimandosi in esso e quindi agendo con gli altri e non sugli altri.
    Giovane, bella e sana…questa è l’immagine della donna che propongono i media e la pubblicità ed è questo il prototipo che si sta diffondendo sempre più con l’avanzare della tecnologia. I modelli di riferimento femminili però sono decisamente più numerosi di quelli maschili.
    Da questa mia affermazione riprendiamo il pensiero di REMAURY che nel suo testo “Il gentil sesso debole”, sostiene che siamo nati e diretti verso una corsa alla perfezione, ed abbiamo pertanto un triplice obbiettivo: GIOVINEZZA, BELLEZZA, SALUTE.
    LIPOVETSKY nel suo libro “La terza donna” invece passa da una PRIMA DONNA: svalutata, sfruttata, demoralizzata, ad una SECONDA DONNA: definita icona, che rappresenta l’ideale della bellezza, la Beatrice; per poi arrivare ad una TERZA DONNA: essa racchiude in sè le due donne precedenti, ma le supera in una nuova accezione: quella di donna indefinita, volta a sottolineare la parità dei sessi e la loro diversità intrinseca.
    BRAIDOTTI invece parte dal corpo che chiama FEMMINILE VIRTUALE, ovvero un femminile che non è un contenuto dato ma è una continua apertura al divenire. Creare il legame tra femminismo e tecnologia, giocare con l’idea di un corpo macchina è certamente un rischio e non dà alla donna la certezza di uscirne vincitrice da questa sfida.
    In seguito a quanto detto la donna di oggi si rivolge sempre più frequentemente ad interventi chirurgici pur di apparire perfetta o quasi. La chirurgia estetica è quella branca della chirurgia plastica, finalizzata a correggere e migliorare l’aspetto fisico, restituendo così certezze e fiducia nell’individuo. Spesso però sofferenze inutili ed evitabili alle quali certe persone si sottopongono, sono dovute all’ignoranza collettiva che ci circonda soprattutto in questi ultimi anni. Ma la causa di ciò è dovuta ai mass media che tempestano i giovani di icone di perfezione e di modelli di bellezza irraggiungibili. Ecco perché l’essere umano è sempre più insoddisfatto di se stesso, proprio per gli stereotipi che gli vengono proposti ogni giorno.
    Io sono pienamente d’accordo al ricorrere alla chirurgia estetica quando vi siano situazioni di persone, che a causa della loro insoddisfazione dovuta ad un aspetto fisico nel quale non si riconoscono, abbiano problemi a livello psichico, poiché provano malessere e infelicità; mentre sono contraria all’eccesso di questo tipo di chirurgia in quanto poi diventa non più la necessità di raggiungere una felicità interiore, ma diviene una smania personale che porta a diventare sempre più “belli”, solo ed esclusivamente per apparire.
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    Messaggio  Gabriella Barecchia Dom Mag 20, 2012 10:29 am

    In passato, la disabilità è sempre stata vista come una forma di malattia che il soggetto era destinato ad avere fin dalla nascita, visto come un caso patologico incurabile. Tale conferma la si trova nell’ ICD , istituito nel 1970 e modificato poi nel 1980 con il nome ICDH, che riguarda le classificazioni di menomazione, disabilità ed handicap. La disabilità, secondo questo nuovo modello di classificazione, è vista come una conseguenza della menomazione. Quest’ultima infatti, è intesa come la perdita o un difetto di parti del corpo che, conseguentemente rendono il soggetto disabile incapace o inabile di svolgere determinate funzioni. L’handicap invece, è una conseguenza della menomazione o disabilità, inteso quindi come disagio sociale che l’individuo deve affrontare nel momento in cui va a relazionarsi o confrontarsi con altri. Questa classificazione, si basa solo su metodi tradizionali, trascurando invece i contesti in cui il soggetto quotidianamente trascorre la sua vita, quindi trascura aspetti relazionali, ambientali e contestuali. Negli ultimi anni, soffermandosi su questi fattori, si è potuto testare e verificare che sono proprio questi le cause tal volta aggravanti o migliorative dello stato di disturbo del soggetto. Per questo motivo è nata l’ ICF, o meglio la Classificazione del funzionamento, della salute e della disabilità, che supera la difficoltà di vedere la disabilità come malattia, vedendola invece come dinamica che può variare a seconda del contesto in cui si trova il soggetto e quindi andando a confermare la serietà dei fattori relazionali, ambientali e contestuali. Si è verificato inoltre, che un soggetto affetto da disabilità portato in un contesto a lui favorevole, non mostra tale difficoltà. Esempi pratici, possono ritrovarsi nella vita quotidiana. Basta infatti pensare, che il nostro paese è per la maggior parte una barriera architettonica; nella vita pratica di tutti i giorni, quindi, una persona con disabilità difficilmente potrebbe raggiungere l’università, fare una passeggiata o fare la spesa. Si evince dunque, che anche nella cosa più banale, si vede un ostacolo. Molte volte, inconsciamente, pensiamo che sia tutto dato per scontato senza sfiorare neanche minimamente il pensiero, che purtroppo ci sono persone con difficoltà che, in determinate circostanze possano sentirsi esclusi da un determinato contesto sociale oppure diversi. In molti esercizi di laboratorio, ho ribadito il concetto di fratellanza e uguaglianza, in quanto a mio parere tutti siamo uguali, non ci sono difetti ma solo pregi, non esiste la bruttezza ma solo la bellezza, non esiste discriminazione ma solo accoglienza. Una persona diversamente abile, non è diversa da nessun’ altra persona al mondo. È venuta al mondo come noi tutti, vive come noi tutti, ma purtroppo non è ben accetta dal contesto sociale. In questo caso quindi, non gli vengono riconosciuti quelli che sono i suoi diritti, ma lo si lascia solo al proprio destino. Secondo A. M. Murdaca, bisogna ricostruire una nuova cultura della disabilità, rimodulare il termine integrazione, comprendere quali realmente siano le condizioni di vita dei disabili e quali possano essere le loro esigenze. Questi tre punti vengono racchiusi in una sola idea di globalità. L’integrazione è mirata a valorizzare le doti di un soggetto, prendendo cioè in considerazione ciò che la persona è in grado di fare, dando così luogo ad un’accoglienza di diverse identità. Fattori fondamentali per far sì che l’integrazione possa avere luogo sono la scuola, i familiari, gli operatori, con lo scopo di sollecitare nella persona disabile un concetto di emancipazione e indipendenza, che porta poi al raggiungimento dell’autostima. Si lavora quindi non sulle patologie dell’individuo, ma sul soggetto stesso affinchè possa sentirsi cittadino effettivo della società, con propri diritti e doveri. Bisogna quindi, ricostruire una nuova cultura della disabilità che deve potenziare la qualità di vita di questi individui. Punto iniziale è quello di vedere le persone affette da disabilità come soggetti d’azione. Quindi è opportuno che, dai genitori prima e dalla società poi, vengano messi alla prova per poter auto-riconoscere i propri limiti. È inoltre importante che il soggetto sia coinvolto in altre attività che interessano diverse caratteristiche della vita, non bisogna infatti abbattere solo le barriere architettoniche, ma bisogna continuare quel percorso che renda possibile alla persona disabile di raggiungere il suo progetto di vita. Il contesto sociale purtroppo, non condiziona solo persone affette da disabilità, rendendole diverse ed escluse dalla società, ma la maggior parte delle persone anche normodotate, che prendono come stile di vita modelli imposti dai mass media, ecc. Partendo dalla moda, questa ha influenzato la vita di giovani ragazze, inculcando nelle loro teste il prototipo di donna che la società moderna ha stabilito essere migliore per tutti. Non più taglie comode, non più chili di troppo, ma solo scheletri e fisici molto ordinati che rendono senza dubbio tutto molto più bello da guardare. Si è sentito molte volte parlare di decessi giovanili, a causa di diete azzardate per somigliare a quel prototipo di donna visto molto spesso nella moda. Ma non c’è solo questo. Capita nella vita di voler somigliare ad un personaggio a nostra scelta, e quindi di immedesimarci completamente nella parte e cambiare anche qualcosa del nostro corpo, se necessario. Lo show dei records ne è testimonianza. Amanti di animali che si sono sottoposti a interventi chirurgici per somigliare ad un gatto, per esempio; oppure una ragazza che dopo tanti interventi è riuscita finalmente a somigliare ad una barbie. Tutto questo perché, nasce nel nostro Io, una condizione sfavorevole che ci porta ad odiare ciò che siamo e ad amare ciò che ci viene imposto. Questo riscontro lo si può trovare anche con Braidotti, Lipovetsky e Remaury i quali considerano la donna come schiava della società e disposta a tutto pur di somigliare a ciò che la società ha indirettamente imposto.
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    Messaggio  elenacapobianco Dom Mag 20, 2012 11:33 am

    L’ OMS (organizzazione mondiale della sanità)nel 1970 ha elaborato una prima classificazione:l’ICD che sta per (classificazione internazionale delle malattie).Tale sistema di classificazione però venne sostituito prima con ICIDH (International Classification of Impairments,Disabilities and Handicaps) nel1980. Poi in seguito con l’ICF nel 2001 che sta per(classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute).L’ICD coglie la causa delle patologie fornendo successivamente delle indicazioni diagnostiche;cerca di avvicinare la disabilità alle patologie cliniche. L’ICF invece propone una definizione del concetto di disabilità multidimensionale. Secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole; quindi l’ICF e l’ICD sono completamente diversi perché l’ICF tratta le conseguenze della salute mentre l’ICD tratta le condizioni di salute. Il passaggio dall’ICD all’ICF avviene perché le diagnosi che venivano date non risultavano sufficienti per elaborare la terapia,e riuscire a capire ciò che l’ammalato poteva fare e non;invece con la nascita dell’ICF diventa tutto più semplice perché rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario,perché adottandolo ci si accerta del diritto delle persone con disabilità e le loro condizioni di salute(es. lo stress). L’ICF viene utilizzato in ambito sanitario,sociale,educativo,politico sociale e sanitario;quindi guarda la persona nella sua globalità. Per l’ICF la disabilità è una condizione sfavorevole di salute derivata dalla malattia. Durante il corso abbiamo parlato molto delle parole disabile e diverso. Il disabile è colui che è impossibilitato a svolgere le attività quotidiane ,è una persona che non riesce a socializzare facilmente come le persone normali,anche perché le persone gli creano “un’etichetta”. Di solito nei confronti delle persone disabili si assumono atteggiamenti sbagliati e atti di pietismo,infatti nella maggior parte dei casi appena si vede un disabile su una sedia a rotelle si pensa subito a dire:”poverino non è una persona normale”,io credo che prima di parlare bisognerebbe un attimo contare fino a 10 e pensare soprattutto un po’ a noi stessi e a quanto siamo fortunati,e ad apprezzare un poco in più la vita. Credo che oggi si pensa un po’ troppo all’apparire e soprattutto credo che non bisogna essere solo belli fuori ,ma anche dentro perché la bellezza non è tutto. Forse molte persone non si sono mai soffermate a pensare quante difficoltà incontra nell’arco di una giornata una persona disabile;ostacoli causati dalla mancanza di manutenzione delle strade(es.strade rotte,marciapiedi inaccessibili);una persona sulla sedia a rotelle ha difficoltà anche a salire e scendere dai pullman,che per noi può essere una cosa “stupida “. Questi atteggiamenti rendono la vita di un disabile ancora più difficile di quanto essa sia. Spesso la disabilità viene confusa con la diversità,però credo che non è proprio cosi perché al mondo siamo tutti diversi,ma non siamo tutti disabili. Il diverso invece può essere anche una persona che non è affetta da menomazione fisica o psichica,ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche. Il diverso è lo straniero,il genio,una persona diversa per la lingua,per le abitudini,per la religione,ma dobbiamo ricordare che il mondo è bello perché è vario. 2)Anna Maria Mudarca nel suo testo Complessità della persona e disabilità presenta tre punti: -la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità. -la rimodulazione del termine integrazione. -la comprensione delle condizioni di vita e il ruolo che possono assumere i soggetti disabili. Per ricostruire una nuova cultura sulla disabilità c’è bisogno di adattare l’ottica della globalità e dell’inserimento. La società,la famiglia,il contesto lavorativo possono influenzare di più lo stato di salute di una persona disabile,ed è proprio per questo motivo che dovremmo valorizzare la persona per le sue qualità e non per le sue differenze,senza farle sentire emarginate come spesso facciamo. L’ambiente (es.la scuola) può essere una barriera,perché sa che in quel contesto come tanti altri non riuscirà a relazionare come persone normali,perché sicuramente tenteranno sempre di escluderlo solo perché ha delle diversità. Soprattutto nel contesto scolastico le persone disabili dovrebbero essere considerati persone normali perché alla fine anche loro hanno dei sentimenti,hanno un cuore,e secondo me sanno essere amici più di chiunque altro. Soprattutto gli insegnanti dovrebbero imparare a guardare oltre la scuola,che sicuramente è utile,ma che le capacità che usano a scuola dovrebbero imparare ad usarle in un contesto lavorativo. A questo punto è indispensabile capire che cosa si intende per relazione educativa. Essa è un dare e avere reciproco,perché tra i due soggetti avviene uno scambio attraverso il quale si realizza un tipo di formazione bilaterale. Educatore ed educando sono su due gradini differenti,ma in realtà camminano sempre insieme per ottenere una maturazione reciproca. Non esiste un metodo standard che un educatore deve utilizzare con i pazienti,ma deve cercare sempre di capire e di trovare strategie per arrivare al soggetto e poterlo aiutare. Anche in aula abbiamo improvvisato dei setting riguardante la relazione educativa. Questi esperimenti sono stati fatti da alcune mie colleghe;il primo riguardava il problema della mancanza dell’insegnante di sostegno in aula;e l’altro invece riguardava la difficoltà di integrarsi nel gruppo classe. In entrambi gli esperimenti le mie colleghe hanno dimostrato sensibilità e disponibilità facendo si che l’educando si sentisse a proprio agio. 3)Remaury,Lipovetsky e Braidotti rappresentano coloro che hanno affrontato il problema della bellezza nella sua complessità. Tutti e tre hanno scritto dei libri a riguardo: Reumary ha scritto Il gentil sesso debole;questo testo tratta il tema della donna sulla bellezza. Nel Gentil sesso debole,Reumary dice che siamo diretti verso una corsa alla perfezione e che abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Quindi la bellezza è il principale obiettivo nella vita di una donna. Secondo Lipovetsky nel suo libro La terza donna dice che la donna nasconde la sua sottomissione ai modelli imposti dalla società. Il controllo della propria immagine conduce la donna alla conquista di un corpo perfetto,tramite un certo lavoro,per poi raggiungere la bellezza nella sua complessità. Secondo me essere magri non significa essere belli,infatti modelle anoressiche rappresentano un prototipo che diventa mostruoso. Ricordiamo la modella anoressica Kate Moss negli anni Ottanta con il suo corpo eccessivamente magro rappresentava un prototipo di bellezza;infatti è dall’ora che l’anoressia è diventata una tendenza diffusa nella moda. L’ultima autrice è Rosi Braidotti nel testo Madri,mostri e macchine. Braidotti critica il “divenire donna”perché dice che è semplicemente divenire altro e inoltre dice che questo non fa parte delle donne. In aula abbiamo trattato l’argomento riguardante le protesi. Io sono favorevole alla chirurgia quando viene fatta per risolvere un problema,ma non per apparire. Inoltre credo che la bellezza non è solo quella esteriore,ma soprattutto quella interiore. Non condivido il fatto che si debba per forza seguire la società e modificare il nostro corpo a tal punto di essere irriconoscibili. Inoltre non condivido il fatto che sui cartelloni pubblicitari e in televisione si debbano vedere solo donne belle,perfette,magre,perché per me la bellezza non è solo quella.
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    Messaggio  mariana scamardella Dom Mag 20, 2012 11:44 am

    La prima classificazione eseguita dall’ OMS ( organizzazione mondiale della sanità) è l’ ICD ( classificazione internazionale della malattia ) del 1970 che si presenta come lo strumento standard diagnostico per gestire la salute. Tale classificazione è utilizzata per monitorare la prevalenza di malattie e altri problemi di salute cogliendo la loro causa. Le diagnosi sono tradotte in codici numerici per rendere più facile la memorizzazione seguendo poi uno schema : eziologia- patologia-manifestazione clinica, ciò permetteva di avvicinare la disabilità alle patologie cliniche. In seguito la classificazione ha attuato dei cambiamenti nel linguaggio comune, atto a designare delle compromissioni fisico-psichiche che investono la persona nel suo contesto di vita tutto al fine di giungere a una diagnosi più specifica e idonea alla risoluzione del caso. Nel 1980 nasce un’ulteriore classificazione ICIDH , modello a sua volta derivante dall’originario ICD, quest’ultimo modello trascurava gli aspetti ambientali, relazionali e contestuali che al contrario si sono mostrati come fattori che vanno tenuti in considerazione nel campo della salute. L’ ICIDH mostra un nuovo approccio alla disabilità prestando attenzione alle capacità del soggetto ponendo l’accento sulle loro abilità piuttosto che alle disabilità. Tali processi hanno portato alla trasformazione del ICIDH nell’attuale ICF la sigla sta per ‘’ CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DEL FUNZIONAMENTO, DELLA DISABILITA’ E DELLA SALUTE ‘’. Esso si occupa del nuovo modo di concepire la disabilità come una condizione di salute derivante da un contesto avverso, si potrebbe dire che il disturbo di per sé non è così rilevante se inserito in un contesto di vita favorevole; al contrario un contesto di vita sfavorevole può causare disturbi e portare l’individuo a una condizione di handicap ; dunque questa prospettiva si sofferma sulla dimensione sociale mettendo in luce come determinati aspetti dell’ambiente esterno possono produrre un impatto sul funzionamento della persona. L’ ICF ha come obiettivo centrale la qualità della vita e tende al miglioramento di alcune conseguenze salutari dovute per esempio a menomazione ovvero la perdita o l’anomalia di funzioni psicologiche o fisiologiche che a sua volta può portare alla disabilità che consiste nell’avere capacità ridotte di interazione con l’ambiente rispetto a ciò che è considerato nella norma, si presenta più come svantaggio personale a differenza dell’handicap ovvero l’ostacolo che causa un disagio sociale. Si nota che ogni termine ha una rispettiva definizione anche se, non sono utilizzati in modo appropriato dalla società. Devo ammettere che prima della lezione riguardante l’importanza delle parole anch’io non usavo in modo corretto alcuni termini sia per distrazione , per disattenzione oppure per mancate conoscenze, nel corso di questa lezione ho capito come determinati vocaboli sono difficili da maneggiare e utilizzati erroneamente possono risultare offensivi nei confronti altrui. Spesso confondiamo costantemente le parole DISABILE E DIVERSO. Il disabile è chi non può svolgere determinate azioni dovute alle mancanze di una o più abilità o al loro diverso funzionamento. Noi esseri umani tendiamo comunemente a etichettarli in modo dispregiativo coniando termini come DIVERSO, diverso è anche chi ha un colore della pelle non uguale alla nostra, tale tema è stato affrontato anche nel film intitolato: “indovina chi viene a cena”,i due coniugi sono ‘’ sconvolti’’ poiché la figlia vuole sposare un medico nero. Il mondo è vero progredisce con la tecnologia ma la mente umana? Essa sembra statica abbandonata solo nell’apparenza . Diversi sono chiamati anche i soggetti con abilità differenti dalle nostre dunque più precisamente si deve parlare di diversabilità poiché dietro a delle disabilità si nascondono delle abilità. Basti pensare a Simona Atzori e Oscar Pistorius, grandi esempi di resilienza che hanno lottato contro i loro limiti mostrando il superamento degli stessi, condivido a pieno una delle sue frasi più belle: “i limiti non sono reali, i limiti sono solo negli occhi di chi ci guarda”. Come detto in precedenze a limitare una persona disabile sono le barriere sia architettoniche e mentali le quali non permettono autonomia e libertà privandoli dei loro diritti. Abbandonati dalla vita frenetica, non diamo il giusto peso a tali situazioni e non riflettiamo quanto la loro vita può risultare ancora più problematica in condizioni di isolamento , stigmatizzati da pregiudizi e stereotipi , la società di conseguenza tende ad emarginarli. L’emarginazione è stata uno dei temi affrontati nelle nostre lezioni, nella quale la professoressa ha attuato una simulazione che consisteva nel l’escludere da una città tutti coloro che portavano gli occhiali,io li indossavo e mi toccava mettermi da parte. Inizialmente mi è apparsa come un’idea bizzarra poi dopo un po’ di tempo mi sono immedesimata davvero nel ruolo che mi aspettava per comprendere un pizzico di quelle sensazioni che provavano gli emarginati, in quel piccolo intervallo mi sono sentita a disagio perché la mia presenza era nulla e invano era la mia voce poiché nessuno mi prestava attenzione, penso che è una delle cose peggiori che una persona possa provare. In alcuni casi dovrebbero essere le leggi dello Stato a prevenire e a risolvere certe situazioni, ma purtroppo in molti casi il rispetto non esiste, la solidarietà nemmeno e le leggi con questi presupposti non possono che fallire il loro scopo.
    2) Una competente sulle questioni relative la disabilità è Anna Maria Murdaca , autrice del testo: “ Complessità della persona con disabilità”. Impone necessariamente un’ottica articolata su 3 punti. In primis pone l’attenzione sulla necessità di una nuova cultura della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione. Poi si incentra sulla rimodulazione del termine integrazione inteso come condivisone di valori etici e spazio ripartivo in cui il disabile può sperimentare con gli educatori varie situazioni, solo così riesce a promuovere una relazione educativa che a sua volta lo porta a crescere. L’integrazione deve essere un processo continuo volto a perseverare alcuni diritti come quello dell’uguaglianza e quello della messa alla pari poiché solo tramite l’approccio con un normodotato il disabile può esprimersi liberamente. L’obiettivo è di valorizzare la persona prendendo in considerazione le differenze individuali, giacché ogni disabile ha un proprio bagaglio di esperienze personali attuando programmi differenti per far emergere le doti specifiche. Si evidenzia dunque un nuovo progetto di vita per i disabili basta trovare spazi di formazione per quest’ultimi rendendoli attivi poiché sono responsabili di questa relazione e non sono soggetti passivi di pietismo. Si mette in luce il vero scopo dell’agire educativo cioè non quello dell’accudimento ma dell’emancipazione del soggetto realizzando una buona didattica che mira allo sviluppo dell’autostima. E’ fondamentale produrre un adattamento e tale aspetto può esserci solo se piuttosto che guardare all’assenza delle funzioni, ci si rivolge lo sguardo alla presenza del soggetto, questo è possibile creando ambienti in cui l’educatore/ insegnante siano preparati a una ricostruzione del diverso. A questo punto è opportuno riflettere su cosa intendiamo per Relazione Educativa, quest’ultima è un confronto che avviene tra due persone basato sul rispetto reciproco, sull’accoglienza, sull’ascolto , lasciando spazio alla libertà di parole. Ci sono vari tipi di relazioni come madre/ figlio – docente/discente – educatore/ educando. In ogni caso ogni relazione trasmette qualcosa con il fine di un arricchimento scambievole, infine ogni relazione predispone anche uno scambio di emozioni. Su tale argomento in aula abbiamo svolto un Setting , qui è emerso l’importanze del comportamento dell’ educatore che deve mettere tra parentesi i pregiudizi, aprirsi essenzialmente all’ascolto in un clima sereno senza trasmettere timore. Al mio parere in entrambi i casi, le educatrici del setting hanno centrato il loro compito dimostrando di saper affrontare alcune situazioni di disagio. Tutti gli esseri umani possono trovarsi in varie situazioni di disagio nell’arco della loro vita. E’ certamente vero che i mass media sono ormai il principale mezzo di comunicazione e di informazione e siamo dunque tempestati di notizie di ogni genere, influenzano il nostro modo di vestire, di mangiare e di vivere, al punto che non scegliamo più secondo i nostri gusti ma a secondo di ciò che è considerato bello e buono dalla massa condizionata dal constante martellamento pubblicitario. Come afferma Popper :” cattiva maestra la televisione” mette in risalto l’esigenza di una patente per fare televisione e di una mediazione adulto/ adolescente-bambino durante la visione poiché trasmettono modelli e stili di vita che possono influenzarli negativamente. Ciò che emerge particolarmente è l’ideale di bellezza. Dall’età greco-romana dove la bellezza femminile era valorizzata attraverso le curve dei fianchi, si è passato col tempo a dei modelli estetici spesso irrealizzabili con una magrezze eccessiva. Mentre da un lato si diffondono tali canoni dall’altro lato la corposità viene sempre di più svalutata ed etichettata come “ esteticamente brutta”; una continua lotta al grasso. Remaury nel suo testo :” il gentil sesso debole” afferma che la bellezza appare come un dovere che la donna deve coltivare. Questo perché alla donna magra sono attribuiti virtù positive quali ambizione, potere, autoaffermazione sociale , onestà , bontà , intelligenza ecc Riviste, tv, radio sono sempre di più fondate sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità incidendo su noi nel raggiungimento di tre obiettivi :l’eterna giovinezza, perfetta bellezza e salute totale. Lipovetsky nel suo testo: “ la terza donna” percorre il cammino della donna, una volta svalutata e sfruttata mentre quella di oggi è una donna nuova che controlla e gestisce la propria immagine all’interno della variegata offerta di modelli sociali, è una sorte di liberazione che nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti. La frase di Boudrillard è ricca di significato perché scrive :” analizzando la società dei consumi, l’unico cambiamento è prospettico :prima il corpo doveva servire, ora è l’individuo ad essere al servizio del corpo. Lipovetski afferma che un corpo è considerato libero solo quando si svincola dalle minacce esterne ad esempio la liberazione di una malattia, del peso e dal tempo. Si ricorre spesso alla perfezione del corpo facendo uso della chirurgia estetica come ho già annunciato in precedenza chi rimodella il corpo solo per capriccio è solo sintomo di un disagio psicologico poiché chi non sa accettarsi per quello che è non si accetterà mai perché ci sarà sempre un “ neo” che non gli permetterà di vedersi bene. In pratica il corpo può innalzarsi grazie ai progressi della scienza. Nel campo clinico si tende alla bellezza con digiuni restrittivi, diete e pratiche di svuotamento del corpo, la magrezza diventa deforme e mostruosa si parla di femminile mancante dalle forme disumane. Del corpo mostruoso si interessa anche Rosa Braidotti e nel suo testo : “ Madri,mostri e macchine “ dichiara che il corpo gravido e quello mostruoso diventano qualcosa di orribile nell’ immaginario maschile così propone alla donna di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità anche la macchina, poiché la sua è una donna trasgressiva, in movimento aperta alle nuove tecnologie, alle macchine in genere.

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    Messaggio  Maresca Socc. Addolorata Dom Mag 20, 2012 11:53 am

    Mi piacerebbe dare avvio al mio discorso ricordando che prima di parlare di soggetti con diversa abilità o disabili, questi venivano denominati minorati, soggetti speciali, intendendo con questi termini rispettivamente soggetti con menomazioni e soggetti al di fuori dell’ordinario, che, in quanto tali, dovevano essere trattati in maniera differente dai soggetti normali.
    Negli anni ’70 fu introdotto il termine handicap; la prima legge che si occupa di questi soggetti è la legge n° 517 del 1977, grazie alla quale l’handicappato non è più ghettizzato ma inserito nel contesto classe; si parla infatti di coabitazione. Inoltre questa legge sancisce la specializzazione degli insegnanti in materia con corsi d’aggiornamento di tipo assistenziale-sanitario. Tutto ciò ha trovato ulteriore e definitiva conferma nelle disposizioni della legge-quadro n° 104 del 1992, la quale stabilisce che in tutte le scuole di ogni ordine e grado, al soggetto con disabilità, sono garantite attività mediante l’introduzione del docente specializzato.
    Con la legge 104\92 il disabile viene, finalmente, considerato come motivo di arricchimento per la classe.
    La storia della cura e dell’intervento a favore dei soggetti portatori di handicap ha visto il susseguirsi di periodi storici diversi, ognuno dei quali caratterizzato da un modo particolare e diverso di concettualizzare l’handicap e di intervenire su di esso.
    Risale al 1970 l’elaborazione, a cura dell’OMS, la prima classificazione internazionale delle malattie o ICD. Questa coglie la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome o disturbo una descrizione accurata; dunque focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia.
    Nel 1980 l’OMS revisiona questa prima classificazione, mettendo a punto l’ICIDH (International Classification of Impairment, Disability and Handicap). Essa si basa su tre fattori interagenti:
    • Menomazione: qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. È un danno organico o funzionale relativo ad un settore specifico: mancanza o non esistenza o cattivo funzionamento di un arto oppure perdita anormalità a carico di una struttura o di una funzione. Essa è
    o Temporanea;
    o Accidentale (a seguito di incidenti);
    o Degenerativa (può portare alla disabilità).
    • Disabilità: qualsiasi limitazione o perdita conseguente ad una menomazione della capacità di compiere un’attività nel modo considerato normale per l’essere umano.
    • Handicap: nel momento in cui menomazione e disabilità causano difformità tra l’efficienza e l’aspettativa di efficienza del soggetto, parliamo di handicap. È quindi un disagio sociale derivato da una condizione di svantaggio che non permette la realizzazione della persona nel sociale.
    All’ICDH viene associato il modello medico che ha definito la disabilità come un impedimento biologico permanente e considera gli individui con disabilità come meno abili rispetto a quelli che sono guariti da una malattia o che sono non disabili. Le persone disabili sono considerate come “anormali”, di conseguenza la disabilità è come una deviazione dalla normalità e dalla norma.
    Al fine di superare tutte le distorsioni prodotte dal modello medico della disabilità, ancora prevalente nel senso comune, nella società, nelle professioni, nella politica, al modello ICDH subentra nel 2001, a cura dell’OMS, una nuova classificazione, un nuovo strumento per descrivere e misurare la salute e la disabilità delle popolazioni nella loro totalità: l’ICF (Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e disabilità). Alla base dell’ICF vi è un approccio che si fonda sul modello bio-psico-sociale, il quale assume un’ottica di interazione tra le componenti biologiche, psicologiche e sociali in una visione sistemica per coglierne la complessità. La persona non è più vista in rapporto al suo deficit, ma è relazionata ad un concetto di salute dove la patologia è solo una delle variabili e si considerano i diversi fattori che concorrono a determinare la situazione di difficoltà. Inoltre il modello bio-psico-sociale si propone sotto l’aspetto dinamico in quanto sostiene l’importanza delle interazioni individuo/ambiente, contrapponendosi alla rigidità e staticità di un approccio causa-effetto. Si evince quindi che il funzionamento è visto in opposizione alla disabilità, l’attività in opposizione alla limitazione e si pone invece l’accento sull’idea di partecipazione in risposta alla visione tradizionale che si soffermava soprattutto sull’handicap.
    Pertanto i tre fattori della classificazione precedente, menomazione, disabilità ed handicap vengono sostituiti da: menomazione, abilità e partecipazione, concentrando l’attenzione sulle capacità del soggetto e alle sue POSSIBILITA’ di coinvolgimento sociale.
    Alla luce di quanto esposto la disabilità viene, dunque, considerata come una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. In effetti mediante l’esercitazione dell’orologio proposta durante il corso , ha richiesto di evidenziare come nella nostra quotidianità esistano numerose barriere architettoniche che limitano il diversamente abile; ad esempio marciapiedi senza discese libere per le carrozzine, bagni pubblici non accessibili, mezzi di trasporto pubblico che impediscono la salita o la discesa di soggetti diversamente abili.
    Riprendendo la mia introduzione e un argomento del corso è necessario prestare attenzione ai termini che utilizziamo perché ,anche involontariamente, rischiamo di attribuire delle etichette. Pertanto bisogna distinguere il termine “disabile” da quello di “diverso”. Con il primo termine ci si riferisce a colui che ha una limitazione nella capacità di compiere un’attività e spesso non ci si accorge che anche se mancano una o più competenze questa mancanza viene sopperita da una serie di abilità. Esso ha quindi un valore dispregiativo con l’attribuzione di quelle etichette di cui dicevo sopra.
    Il termine diverso, invece, porta alla categorizzazione, ovvero alla collocazione di certe persone in date categorie.
    Oggi il termine che viene considerato più “giusto” è DIVERSABILITA’ perché mette in risalto che tali soggetti hanno altre abilità da far emergere e potenziare, riuscendole a guardare in una nuova prospettiva.

    Secondo Anna Maria Murdaca – esperta in questioni relative alla disabilità- bisogna abbandonare il concetto di inserimento (L.118/1971) per dirigersi verso l’inclusione adottando l’ottica della globalità. Più precisamente è il contesto sociale a determinare gli ostacoli e le barriere fisiche e a favorire il processo di esclusione/emarginazione. L’integrazione è un processo continuo non un punto di arrivo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili. Non si dovrebbe definire nessun disabile per sottrazione e non bisogna perdere mai l’umanità perché si tratta di persone, di esseri umani. Viene affrontato anche il concetto di cura volto alla valorizzazione dell’uomo per ciò che egli è, e non per ciò che può diventare.
    Un’altra interessante proposta svolta dall’autrice è quella di ripensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità. A questo punto occorre riflettere su cosa intendiamo per RELAZIONE EDUCATIVA. Essa è un momento di dialogo, confronto, scambio di idee tra due o più persone come quella tra docente/discente, madre/figlio, educatore/educando.
    La relazione educativa è fondamentale per costruire la figura dell’educatore che deve fungere da mediatore per i soggetti in difficoltà.
    Essa è di aiuto al disabile perché gli permette di sviluppare,anche con l’aiuto dell’insegnante di sostegno, una serie di vissuti ,esperienze,programmi, etc. rendendoli integrati nel contesto classe.
    L’educatore nei confronti del disabile deve essere in grado, attraverso se stesso, di riuscire a portare colui che si sente DIVERSO, alla pari di un individuo normodotato, per poi mettere in luce le sue doti.
    Il miglioramento fisico ed estetico è l’adempimento dei suoi bisogni, quale , quello di essere bella. Ma quest’ultima, a sua volta, è stata persuasa e imposta dalla stessa società. Diverse indagini hanno dimostrato che alle persone con un aspetto giudicato attraente vengono attribuite anche presunte virtù interiori come onestà, bontà, gentilezza ed intelligenza magari inesistenti.
    Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che una donna oggi deve continuare ad avere per stare bene nella società. Le recenti manipolazioni della materia corporea, non solo di tipo genetico, ma anche medico,chirurgico,dietetico,neurologico,hanno cambiato radicalmente l’idea di corpo. Si pensi al modello dalle passerelle della magrezza.
    Ad esempio Remaury ,nel “Il gentil sesso debole” dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute.
    Il corpo trasfigurato è legato all’immagine della perfezione corporea. In pratica il corpo deve ascendere faticosamente ma inevitabilmente la scala della perfezione grazie ai progressi della scienza.
    Il corpo esatto compie progressi verso la perfezione grazie alla scienza e ad altre discipline, ed è il modello dominante.
    Il corpo liberato lo è dalla malattia,dal peso e dal tempo,obbligatoriamente perfetto.
    Il controllo della propria immagine,conduce la donna verso il corpo realizzato, ossia la conquista di un corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su se stessa,assicurato attraverso il conseguimento di bellezza e salute.
    Secondo quanto descrive Lipovetsky nel suo libro La terza donna ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull’apparente acquisizione di grazia.
    Un corpo è considerato libero e perfetto , quando si svincola dalle minacce esterne ad esempio, la liberazione dalla malattia- corpo sano- dal peso-corpo magro –dal tempo-corpo giovane. L’obiettivo che simbolicamente ci si prefigge è la conquista dell’ eterna giovinezza apparente.
    La Braidotti parla inoltre anche di corpi deformi, e di come durante la maternità il corpo di una donna possa modificarsi, e così diventa per l’uomo il mostro-madre. E da ciò viene riproposto alla donna un nuovo corpo, che viene definito corpo-macchina. Oggi la tecnologia è intesa come una scoperta evolutiva, un indagine scientifica, ma il fine non sempre è pratico, ma molto spesso viene utilizzata per migliorare il proprio corpo e quindi ci si riferisce alle protesi estetiche.
    Concludo con estrema convinzione che la chirurgia estetica, secondo il mio punto di vista, è utile solo nel momento in cui è necessaria. Ritoccarsi il naso perché si ha il setto nasale deviato, porta beneficio alla salute e a quel punto arrivare all'intervento chirurgico ha senso, ma "rischiare la vita" solo per sentirsi belle, perfette o magari per seguire la moda, omologandosi alla massa, lo trovo veramente umiliante per l'essere umano. Modificare il proprio corpo per arrivare spesso a non riconoscersi più in esso perché cambia in maniera incondizionata, è sintomo, a mio avviso, di bassa autostima. Vivere in corpo che diventa diverso da quello in cui si è nati, non aumenta l'autostima e la sicurezza ma la riduce; si diventa altri da quelli che si era e ciò è aspetto negativo più che positivo.
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    Messaggio  Carmela Attanasio Dom Mag 20, 2012 12:03 pm

    Le parole dette senza pensare sono più taglienti di una lama.”
    La pedagogia della disabilità deve partire dai termini relativi alla disabilità e dall'importanza delle parole relative ad essa.
    La scelta delle parole va fatta con ponderazione; esse, infatti, sono molto importanti perchè contengono simboli. Infatti, in ambito di disabilità, non si deve far confusione tra deficit, disabilità ed handicap.
    Ed è proprio da questo punto che possiamo parlare di un'organizzazione che ha approfondito l'importanza delle parole, facendone addirittura strumento di anni di ricerca. Parlo dell'OMS, cioè l'Organizzazione Mondiale della Sanità. La prima classificazione elaborata da questa organizzazione è "la classificazione Internazionale delle malattie", che risponde all'esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo, una descrizione dettagliata delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l'analisi dei dati. Appunto una sorta di enciclopedia medica.
    Nel 1980, però, l'Oms ha messo a punto una nuova classificazione internazionale, l'International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps; detta brevemente ICIDH, che si basa su tre fattori principali: la menomazione, la disabilità e l'handicap; questi verranno sostituiti poi da: menomazione, abilità e partecipazione.
    La menomazione è qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. Per la disabilità invece, c'è tutt'altro discorso da fare. Per disabilità infatti s'intende qualsiasi limitazione o perdita conseguentemente a menomazione della capacità di compiere un'attività nel modo o nell'ampiezza considerati normali per un essere umano. Ancora, è un'incapacità di svolgere determinate funzioni e/o di assolvere particolari compiti. Ma la disabilità non è solo un deficit o mancanza, ma è una condizione che va oltre la limitazione, superando tutte le barriere mentali ed architettoniche.
    E l'handicap?
    L'handicap è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, quindi, il disagio sociale che vive e la condizione di svantaggio che prova.
    Nel linguaggio comune deficit ed handicap vengono confusi l'uno all'altro, con evidente confusione tra il difetto organico e la difficoltà a maturare capacità necessarie per la realizzazione della personalità integrale del soggetto. Tutto ciò comporta il considerare l'handicap come un problema solo di chi ha qualche deficit e pensare che coloro che sono afflitti da qualche deficit non siano uomini come tutti gli altri. Due gravi conseguenze che possono essere evitate solo con la conoscenza e la consapevolezza di cosa si stia parlando.
    Successivamente fu pubblicato il manuale di classificazione ICF dall’Oms, nel 2001. La sigla ICF sta per “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”. Secondo l’ICF, la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. E’ considerata come misura delle attività e delle prestazioni che l’ambiente esterno consente di espletare. I termini menomazione, disabilità ed handicap, con l’ICF, vengono sostituiti da termini, quali: funzioni, strutture corporee ed attività e partecipazione.
    L’ICF è descritto dall’OMS come un linguaggio che serva da modello di riferimento per la descrizione della salute e degli stati ad essa correlati. Si tratta, quindi, di un linguaggio che inserisce lo stato di salute in un’analisi ecologica della persona. Considera qualsiasi disturbo, in termini di modificazione funzionale, associato a condizioni di salute a livello del corpo e della società. L’ICF è stato introdotto perché le informazioni che venivano date dalla diagnosi medica, non erano sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona. A livello di quest’ultima, infatti, la riabilitazione gioca un ruolo importante nel migliorare e ridurre la limitazione delle attività, con ausili e tecnologie. Le innovazioni derivanti dalle ricerche biometriche, tecniche ed informatiche possono offrire un importante aiuto alla riduzione della disabilità.
    Com’è evidente, è stata data molta importanza alla disabilità.
    Ma in realtà, il disabile, chi è?
    Il disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana. Un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive. Una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità, oppure dal diverso funzionamento di tali abilità. Nei confronti della persona con disabilità si tende ad assumere un atteggiamento ed uno sguardo compassionevole. Diventa, così, un’etichetta. Per cui non si parla più di una persona, ma del disabile o paraplegico ecc. Ma esistono anche persone con disabilità che non si sentono tali, infatti riescono a compiere qualsiasi tipo di attività. Un grande esempio è la ballerina-pittrice Simona Atzori di cui io ho scritto, in parte, questo: Simona Atzori è stata capace di dipingere con i colori che le sono stati dati. La sua menomazione fisica non è stata un limite su cui si sono infranti i suoi sogni ma è stata un trampolino per tuffarsi a pieno nella vita. Simona Atzori è riuscita a lasciare sbalordito il pubblico di tutto il mondo. Il suo modo di danzare, leggero e delicato come solo gli angeli in cielo sanno fare, è la prima cosa che colpisce lo spettatore, lasciando scivolare in secondo piano l’assenza delle membra. Una donna eccezionale, una donna che dev’essere un punto di riferimento per i tanti che condividono gli stessi problemi. La danza è solo una delle sue passioni così come la pittura, anch’essa sviluppata ottimamente con il solo lavoro degli arti inferiori. Una personalità senza precedenti sul palco così come lo è nella vita privata, fuori dai riflettori. E’ infatti interprete di una quotidianità semplice e vissuta pienamente. Riesce a districarsi abilmente nelle faccende domestiche, compiere gesti come pettinarsi od indossare orecchini con una semplicità straripante, aiutata solamente dai suoi piedi. Mi chiedo infatti, essendo donna e vivendo nel suo stesso mondo fatto di pregiudizi ed ipocrisie, da dove prenda tutta questa forza. Una persona dalla quale tutti dovremmo prendere esempio, noi che troppo spesso ci lamentiamo delle nostre vite aspettando che qualcosa o qualcuno venga a cambiarle. “Tutti sono diversi; non tutti sono disabili”. Infatti il termine disabile dichiara solamente che ad un individuo mancano una o più competenze, ma egli possiede anche delle abilità. La disabilità spesso viene confusa con la diversità, ma sono due termini profondamente carichi di molteplici significati. Per questo è appropriato usare il termine “diversabilità” che parla di una persona che ha, oltre che una disabilità, anche appunto delle abilità, diverse dagli altri, da scoprir e potenziare. Per questo si ritiene più corretto parlare di diversamente abili o diversabili.
    L’idea di diversabilità nasce dall’esigenza di non trascurare il valore della persona nella sua essenziale umanità. Anche per questo, con tanti altri motivi, esiste l’ausilio, che rappresenta l’apparecchiatura che aiuta una persona con deficit a ridurre gli handicap, come: il display braille, la sedia a rotelle, ecc. E chi, più di Oscar Pistorius ne è un esempio? Egli con l’aiuto di protesi in carbonio è riuscito a coltivare nuovamente la sua grande passione, quella di essere un atleta professionista, chiedendo addirittura di partecipare alle Olimpadi. Infatti il caso Pistorius ha diviso la critica di tutto il mondo, riducendo la complessità del suo personaggio ad una mera contrapposizione tra regole sportive e morale umana. Egli ha lavorato e sofferto sicuramente più dei suoi colleghi per arrivare tra gli uomini più veloci del pianeta, e secondo il mio parere Oscar Pistorius sicuramente riuscirà a riconfermarsi il più veloce nelle gare delle paraolimpiadi ed il suo modo di vivere dovrebbe essere un esempio per tutti. Inoltre, la cultura è un sistema condiviso di simboli la cui costruzione mediata dal linguaggio, genera nella comunità l’accordo sui significati. L’handicap è legato allo scostamento dalla normalità. Il pregiudizio come costruzione sociale è una visione restrittiva, riferita ad una persona o ad una categoria di persone, che si basa su considerazioni aprioristiche. Come ho scritto, per l’appunto, nel mio commento sugli stereotipi, indicare un disabile con tali appellativi non serve ad altro che ghettizzarlo e mi sembra assurdo che in una società così progredita, come la nostra, vengano usati ancora tali parole. Evidenziamo sempre le differenze tra gli esseri umani come la religione, il colore della pelle e così via. Tutti gli esseri umani hanno molte più cose in comune di quanto immaginano. Il solo fatto di alzare la testa e guardare lo stesso cielo, respirare la stessa aria, ci rende tutti simili. Infatti, secondo Lascioli, nel testo “Handicap e pregiudizio”, l’handicap si esprime con atteggiamenti individuali e collettivi di emarginazione ed esclusione nei confronti dei “diversi”. Pregiudizi e stereotipi farebbero dell’handicap qualcosa che serve per racchiudere i “diversi” in uno “scarto di umanità”. Una sensazione che la professoressa Briganti ci ha fatto provare per qualche istante durante una simulazione fatta in aula. Durante tale simulazione, io facevo parte delle persone escluse dalla città immaginaria, perchè "portatrice" di occhiali. Ecco, sentirsi emarginati, è sentirsi senza alcuna importanza. Avere la voce per gridare, la bocca per parlare ma non avere qualcuno che ci ascolti. E' come discutere con il vento, avere dinanzi a noi persone che non vogliono ascoltarci, ma soprattutto, vederci. Sì, perchè è come essere invisibili agli occhi di chi ci è di fronte. Non avere un corpo, una voce, è come essere inesistenti per chi non è "come te". Ecco come ci si sente ad essere emarginati, omologati all'ambiente, una sorta di camaleonti che si mimetizzano con le cose che ci circondano e dover chiedere a qualcuno che venga ascoltato di soddisfare i propri bisogni.
    Ritornando, però, al termine diversabile, si sostiene che egli sia una persona con disabilità che esprime le proprie abilità in modo differente rispetto alla maggior parte delle persone. Tutto ciò che è diverso e quindi non si conosce, di solito può intimorire e spaventare.
    Ma esiste la normalità?
    Il concetto di normalità è assolutamente relativo e soggettivo. Per cui, ognuno applica un suo criterio per definire tale parola. La definizione della Braidotti, in “Madri, mostri e macchine”, afferma che per definire bellezza e mostruosità, occorre immaginarle come due estremi opposti che si distanziano dal grado zero di mostruosità, che rappresenta quanto si intende “soggettivamente” per normalità. Riportando una parte del mio commento sulle protesi estetiche ed in particolare sulla bellezza, vorrei aggiungere:
    ma, in fondo, la bellezza cos'è? E qui vorrei riportare un'aforisma che ho letto e riletto tante volte ma ancora oggi mi sembra molto significativo ed appropriato per questa discussione: "L'aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi." Questa è una riflessione di Kahlil Gibran che secondo me racchiude tutto ciò che c'è da dire sul fatto che la bellezza è soggettiva. Non esiste un modello perfetto di bello. Il bello infatti, è solo ciò che piace in modo differente da persona a persona. Ma ciò che la società considera “bello” spesso non è conforme alla fisicità di alcuni soggetti che vengono considerati “diversi”. E la diversità porta alla categorizzazione, cioè alla collocazione di certe persone in determinate categorie. Diverso, infatti, può essere una persona non necessariamente affetta da menomazione fisica o psichica ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche. Del diverso si ha paura, il diverso incute timore. Succede spesso che, guardando una persona affetta da “mostruosità”, ci voltiamo dall’altra parte. Altre volte invece, guardiamo incantati e sconvolti una fisicità che non è conforme alla nostra.
    Per questo, spesso i ragazzi con disabilità, non sono considerati persone con cui rapportarsi e quindi sono affetti anche da una sorta di “invisibilità”. Ma, contrariamente a quest’atteggiamento, una grande frase racchiude questo concetto: “la disabilità non è un mondo a parte, ma una parte del mondo”.
    “Abbandonare la logica di inserimento e dirigersi verso l’inclusione”. Questo è il consiglio che dà una grande autrice che si è occupata proprio della disabilità, nel suo testo “Complessità della persona e disabilità”, scritto da Anna Maria Murdaca. I temi centrali che emergono in questo testo sono l’integrazione, l’inserimento del disabile nella società, la relazione educativa, il diritto dei disabili ad essere cittadini a pieno titolo. Ella afferma infatti, che è l’ostacolo che impedisce ad una persona con deficit di portare a termine una particolare attività. Lo svantaggio proviene dalla diminuzione o dalla perdita delle capacità di conformarsi alle aspettative proprie all’universo che circonda l’individuo. L’handicap si manifesta pertanto, in una situazione in cui vi sia una compromissione della capacità di sostenere funzioni della sopravvivenza. Così la Murdaca afferma che è il contesto sociale, cioè barriere fisiche ed ostacoli, a determinare la condizione di handicap. L’ambiente, quindi, può essere un oppressore od un facilitatore. Per questo la ricerca deve produrre delle tecnologie che servano come risoluzione al miglioramento dell’ambiente, diminuendo la disabilità del soggetto.
    L’obiettivo di questo testo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze. Infatti si deve parlar di integrazione, facendo riferimento alla valorizzazione delle dotazioni individuali.
    Occorre costruire una serie di attività che rendano significativa l’educazione dei disabili, attraverso nuove e buone prassi didattiche. C’è quindi bisogno di idee innovative e progressiste. In questo la ricerca è azione empowered, che vuole portare il disabile verso lo sviluppo della propria identità e della propria autostima.
    Il tutto è finalizzato a sollecitare nei soggetti disabili, la voglia di indipendenza ed emancipazione. Come abbiamo visto in aula, nel caso di Andrea Ferrari, giovane tetraplegico che vive da solo in un appartamento dotato di tutte quelle funzionalità che gli permettano di vivere in qualsiasi modo egli voglia, senza dover avere forzatamente l'aiuto dei proprio familiari. Infatti, con un solo comando su uno schermo, egli può gestire l'illuminazione, la videosorveglianza, la termoregolazione e l'antifurto, il che vuol dire anche maggiore protezione. Tutto ciò grazie alla domotica. Oggi la domotica è diventata un’arma indispensabile per quei disabili, molto gravi, che vogliono riappropriarsi della loro autonomia. Troppo spesso, a seguito di forti traumi, che hanno come conseguenza l'invalidità, molte persone si trovano nella condizione di dover dipendere interamente dai familiari o, nei casi meno fortunati, da sconosciuti: dall’impossibilità di svolgere quelle attività che da sempre hanno costituito la quotidianità di un individuo, deriva spesso una perdita profonda di autostima. Fortunatamente la tecnologia mette oggi a disposizione innumerevoli sistemi per controllare l’ambiente domestico, alcuni di essi studiati proprio per facilitare l'autonomia dei disabili.
    Inoltre, come afferma la Murdaca, si deve pensare ad un futuro in cui ci sia una comunità sociale attenta ai bisogni dei soggetti disabili. Per far sì che questo accada, bisogna creare l’adattamento nelle persone a guardare più alla presenza del soggetto , piuttosto che all’assenza delle funzioni.
    Sono necessari ambienti di apprendimento nei quali anche gli educatori siano preparati a queste particolari situazioni. Come ho scritto nel forum; proprio perchè il rapporto educativo si basa sulla comunicazione, verbale e non, e sul dialogo, che dovrà essere un incontro ed uno scambio di idee, in cui però non si dovranno creare dislivelli, altrimenti il discente si chiuderà in sè stesso, non sentendosi all'altezza della situazione e non si aprirà più con noi, impedendoci di capire quale sia il problema e/o le emozioni che prova, attuando un determinato comportamento. Infatti, quando un soggetto è in difficoltà, è molto importante capire i fattori che spingono egli a comportarsi in tal modo. Ed è per questo motivo, che essere educatori non vuol dire avere il controllo della situazione e quindi dello stesso soggetto, ma creare una situazione in cui il legame creatosi con l'educando porti ad un reale apprendimento. Importantissima, durante questo processo, diviene, quindi, la pedagogia del corpo; modello terapeutico abilitativo: è con il copro che il soggetto si esprime e si racconta, laddove non ci sia possibilità di comunicare attraverso il linguaggio delle parole. Si deve creare un’educazione completa, in tutti i sensi. Educazione corporea, vivere il corpo nei contesti educativi, soprattutto attraverso i linguaggi, combinandoli insieme, prestando attenzione ai senso ed all’ascolto. Proprio come abbiamo visto durante la visione del film “Lo scafandro e la farfalla”, in cui la comunicazione aumentativa usata dal protagonista, diviene oggetto di sopravvivenza e, soprattutto, di vantaggio.
    “Se vedi un affamato non dargli del riso: insegnagli a coltivarlo” Confucio.
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    Messaggio  valeria cefariello Dom Mag 20, 2012 12:08 pm

    OMS: Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero la prima classificazione Internazionale delle malattie che permette di fornire per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle caratteristiche cliniche. Nel 1980, l'OMS si basa su tre fattori interdipendenti tra loro: la menomazione, la disabilità e l'handicap. Menomazione: danno organico o funzionale relativo ad un settore specifico. Disabilità: incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti. Handicap: la difficoltà che la persona con disabilità incontra nel confronto con gli altri, condizione di svantaggio che in un soggetto limita l'adempimento ad una vita normale. Nel 2001 è stato pubblicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità il manuale di classificazione ICF che propone una defizione del concetto di disabilità multidimensionale.
    La sigla ICF sta per "Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute", secondo quest'ultima la disabilità è una condizione di salute derivata da una contesto sfavorevole. Essa non classifica solo condizioni di salute che sono d'interesse dell'ICD, bensì le conseguenze associate alle condizioni di salute. L'ICF rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario e dei settori della sicurezza sociale. Gli ambiti in cui può essere utilizzato sono quello sanitario, sociale, educativo, della ricerca e nella politica sociale e sanitaria. Nella seconda parte della classificazione rientrano i fattori ambientali che influenzano tutte le componenti del funzionamento e della disabilità. I fattori personali, invece, non sono classificati nell'ICF, in quanto sono diversi da soggetto a soggeto.
    Quando parliamo di disabile sono tante le caratteristiche che condizionano questo "svantaggio", in primis quella sociale. Sono le condizioni sfavorevoli che ci circondano a far sentire il disabile sempre peggio. Attraverso l'orologio e le barriere architettoniche, abbiamo notato come siano tanti gli ostacoli che incontra un disabile nello svolgere semplici attività quotidiane. Poche pedane, poche persone che rispettando gli spazi dedicati ai disabili e strutture poco efficienti. Nel mio paese, una sedia a rotelle avrebbe difficoltà a transitare sul marciapiede dato che motorini e macchine parcheggiano in modo "selvaggio". La disabilità spesso viene confusa con la diversità ma sono due termini profondamente carichi di molteplici significati che meritano una riflessione. Tutto ciò che è diverso e quindi non si conosce di solito può intimorire e spaventare. Il disabile ci fa paura perchè è diverso da noi e di conseguenza la diversità è concepita come " non normalita".Ecco che il disabile, a causa della superficialità della gente viene emarginato, escluso. Nella simulazione fatta in classe, nonostante sia stato un gioco, ci ha fatto avvicinare al concetto di "emarginato". La professoressa dava le spalle alle ragazze con gli occhiali e discuteva e parlava solo con il resto della classe. L'emarginato dalla società, riceve le spalle da tutti e soprattutto da noi cittadini. Alla luce di ciò possiamo affermare che l'handicap dipende dalla situazione, può essere aumentato o anche annullato in quanto dipende anche dal contesto socioculturale che la persona ha intorno a sè. Anna Murdaca nel testo Complessità della persona e disabilità si propone il raggiungimento di tre obiettivi: ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, rimodulazione del termine integrazione e comprensione delle reali condizioni di vita. Secondo l’ autrice occorre abbandonare la logica dell’ inserimento per dirigersi verso quella dell’inclusione, bisogna adottare quindi l’ottica della globalità della persona, attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica. La nuova cultura della disabilità deve essere attenta a cogliere tanto le disfunzioni comportamentali cognitive, quanto a innalzare la qualità della vita dei soggetti. Innalzare la qualità della vita dei soggetti disabili vuol dire circondali di mezzi appropriati ed idonei ai loro disagi. Attraverso la domotica, ovvero la scienza che si occupa delle tecnologie atte a migliorare la qualità della vita, abbiamo notato come un disabile può diventare autonomo in casa sua. La casa viene architettata attraverso dei sistemi che permettono al disabile di vivere come una persona "normale".
    Esercizio 3 .
    Il miglioramento estetico, ovvero il bisogno di sentirsi e vedersi bella, è condizionato notevolmente dalla società in cui viviamo. Società dove regna, purtroppo, la teoria dell'apparire piuttosto che dell'essere. I mass media ci mostrano continuamente immagini di donne "perfette". Secondo il testo di Remaury, la bellezza è associata all'idea che la donna abbia il dovere di coltivarla. La bellezza diventa dunque di primaria importanza nella scala dei valori. Secondo quanto descrive Lipovetsky nel suo libro, la terza donna, ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull'apparente acquisizione di grazia. La teoria della maturità positiva della donna le fa venire fuori come colei che controlla e gestisce la propria immagine all'interno dei modelli sociale. Il limite di questa maturità positiva è la convinzione che la donna si identifichi necessariamente in questi modelli. Infatti la chirurgia estetica è diventata di uso comune. Il soggetto ossessionato dalla paura di invecchiare usa in modo anche esagerato l'utilizzo di tale chirurgia.
    Interessante è stata la testimonianza di Braidotti in quanto riflette sulla capacità della donna di deformare il proprio corpo nella maternità. Per l'uomo diventa sia mostro che madre, quindi al tempo stesso qualcosa sia di affascinante, sia di mostruoso. Ritornando al discorso dell'estetica, credo vivamente che ogni donna abbia qualcosa di speciale da dare. Avere il seno più grosso non permette alle persone di farsi amare di più. "La bellezza prima o poi sparisce, bontà d'animo ci accompagna per tutta la vita."
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    Messaggio  RITA MASSA Dom Mag 20, 2012 1:01 pm

    L’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha elaborato la classificazione internazionale delle malattie o ICD. L’ICD fornisce per ogni sindrome una descrizione delle principali caratteristiche cliniche . Tale classificazione pone l’attenzione sulle cause delle malattie. Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione. Questa forma di classificazione verrà successivamente sostituita da altre diverse classificazioni . L’ICD prende in considerazione solo i fattori patologici ed è proprio per questo che verrà sostituita dall’ICF. L’ICF (classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute ) è stata elaborata dall’OMS nel 2001 . Questa tipologia di classificazione era totalmente diversa dall’ICD in quanto prende in considerazione oltre ai fattori biomedici anche altri fattori come l’interazione sociale. L’ICF pone particolare attenzione alla qualità della vita delle persone affette da patologie e alle capacità dei singoli soggetti . Tale classificazione ci permette di poter ottenere il reale quadro funzionale della persona , ovvero ciò che quel determinato individuo è in grado di fare e ciò in cui ha delle difficoltà . Questo sistema può essere utilizzato con persone di qualsiasi età .L’ICF sottolinea l’importanza di valutare l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui : la società , la famiglia e il contesto lavorativo sono elementi che possono influenzare lo stato di salute. Secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Il contesto sfavorevole si verifica quando incontriamo degli ostacoli . Nella nostra vita quotidiana si presentano moltissimi ostacoli , tali ostacoli sono amplificati soprattutto per persone affette da disabilità , infatti questi ultimi spesso e volentieri non riescono a condurre una vita autonoma proprio perché ostacolati dalle barriere architettoniche. Nell’esercizio “Orologio” si possono subito individuare tutte le difficoltà che avrebbe un disabile ad esempio nel giungere all’università (treni non accessibili , assenza di saliscendi sui marciapiedi ecc…) . Non dobbiamo dimenticare che le persone disabili sono cittadini come tutti noi . Le barriere architettoniche infatti non dovrebbero esisterci perché tutti dovrebbero avere la possibilità di essere autonomi e non dipendere necessariamente dagli altri . I disabili non sono diversi da noi , ma sono uguali a noi , sono parte integrante della nostra società e in quanto tali devono godere dei nostri stessi diritti. Di fondamentale importanza è infatti la differenza tra i termini disabile e diverso . Il disabile è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana . “Tutti gli individui sono diversi , ma non tutti sono disabili”. Con questa frase voglio evidenziare il fatto che spesso a causa di pregiudizi e stereotipi si tende a considerare le persone con disabilità come diversi da noi . L’umanità è bella perché è varia e nella sua vastità contiene soggetti con caratteristiche peculiari , come ad esempio diversità (fisiche , di lingua , di usi e costumi ). Non è possibile effettuare delle distinzioni su degli individui basandoci solo sulle differenze fisiche , infatti tali differenze sono si le più evidenti ma anche le più superficiali . “Tutti noi siamo diversi , ma anche uguali , siamo tutti uomini.” Il termine disabile venne considerato un termine dispregiativo perché sottolineava i deficit della persona e non le sue potenzialità. Considerando le persone solo per i loro deficit tendiamo ad etichettarle e quindi ad emarginarle. L’emarginazione è data dalle barriere mentali e culturali. Come ben sappiamo non si considerano le persone per sottrazione , infatti il termine disabile fu sostituito con quello diversamente abile. Il termine diversabile è un termine positivo in quanto mette in evidenza le diverse abilità delle persone con deficit. Non si parla più dunque della persona con deficit, ma della persona dotata di un’ anima e di sentimenti . “Non voglio più essere considerato per quello che non ho ma per quello che sono …una persona come tutte le altre” . Questa è una frase molto bella tratta dalla poesia di Gianni Scapelliti . Dobbiamo imparare a conoscerli e identificarli con il proprio nome dando la giusta dignità a tutte le persone. Anna Maria Murdaca, brillante docente esperta in questioni relative alla disabilità , scrive infatti il testo “Complessità della persona con disabilità”. In questo testo emergono dei temi molto importanti volti a garantire un’identità alla persona disabile. Si vuole prendere in considerazione la persona nella sua interezza e nella sua globalità . A. M. Murdaca sostiene che si debba abbandonare la logica dell’inserimento e tendere verso l’inclusione. L’integrazione è un processo che dura tutta la vita e racchiude vari ambiti : (educativo, culturale, ambientale ecc…). L’ ambiente è un fattore determinante nel definire la disabilità , infatti sono proprio le barriere architettoniche e anche quelle fisiche a determinare il processo di emarginazione. È il contesto sociale a determinare la situazione di handicap . Il termine handicap è traducibile in italiano con il termine svantaggio. Tale termine deriva dall’ambiente delle corse ippiche inglesi e nasce dalla pratica di obbligare il fantino, che cavalcava un cavallo dotato di qualità superiori , a gareggiare con la mano sinistra (hand) sul cappello (cap) ,utilizzando l’evidente svantaggio per equilibrare le prestazioni rispetto agli altri concorrenti . L’handicap è dunque un disagio sociale derivante dalla perdita di capacità . La società deve prendersi cura di questi soggetti per farli sentire pienamente integrati. Dobbiamo tener conto dei soggetti mutanti e differenziati. Quindi abbiamo una riformulazione del concetto di integrazione come accoglienza verso diverse identità e come condivisione dei valori etici. La novità è che non si mira più all’accudimento delle persone disabili , ma alla loro emancipazione. L’emancipazione potrà essere raggiunta grazie a reti collaborative molto fitte tra scuola, famiglia , operatori e professionisti . Attraverso questa attenta collaborazione potremo accompagnare i disabili verso il raggiungimento della cittadinanza attiva. Di fondamentale importanza è la relazione educativa . Il primo passo da effettuare affinchè una relazione educativa vada a buon fine è quello di costruire con l’educando un rapporto basato sulla fiducia e l’ascolto. L’educatore quindi deve limitarsi ad ascoltare il ragazzo liberando la propria mente da qualsiasi pregiudizio , deve creare insieme al ragazzo un progetto di vita che lo faccia sentire felice e realizzato. Il percorso educativo potrebbe essere facilitato anche grazie all’uso di strumenti tecnologici . L’educatore deve fare tutto il possibile per cercare di creare un ambiente in cui l’educando possa sentirsi a proprio agio in modo da esprimere i propri pensieri liberamente. L’educatore deve avere un comportamento basato sulla parità e sul rispetto , quest’ultimo deve far emergere tutte le doti dei disabili mettendo in atto programmi specifici . La relazione educativa è un occasione di scambio bilaterale. La formazione degli individui non avviene solo grazie alla relazioni educative , ma anche grazie all’uso di mezzi di comunicazione . I mezzi di comunicazione a volte possono indurre i giovani e soprattutto gli adolescenti in comportamenti sbagliati . Numerosissimi sono infatti i dibattiti su quanto la televisione influisca sul nostro modo di pensare e di essere. L’idea di cambiare il proprio corpo è nata, secondo me ,proprio a causa dei mezzi di comunicazione , come la tv che mira al raggiungimento del bello e della perfezione. Il copro , soprattutto quello femminile , veniva modificato proprio per rispondere ai dettami della società o della moda. Di particolare importanza è la frase di Postman ovvero: “ si pensa che il corpo sia obsoleto e che quindi sia necessario modificarlo per renderlo migliore .” Il copro viene quindi considerato come una macchina , infatti come la macchina sostituisce i suoi pezzi difettosi , così anche il copro sostituisce i suoi pezzi grazie alle protesi estetiche. Remaury sostiene ne “Il gentil sesso debole” che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione e che abbiamo un triplice obiettivo ovvero giovinezza, bellezza e salute . Il copro transfigurato è infatti il copro che deve ascendere alla scala della perfezione grazie ai progressi della scienza. Come Remaury anche Lipovetsky ne “ La terza donna” parla del tema delle protesi estetiche . La donna sceglie tra valori quali: l’eterna giovinezza, la perfetta bellezza e la salute totale. Il controllo della propria immagine conduce la donna verso la conquista del corpo perfetto. Rosi Braidotti in “ Madri ,mostri e macchine” evidenzia come la donna muti nel suo aspetto . Il suo corpo diventa infatti nell’immaginario maschile come mostro e madre contemporaneamente . Ed è proprio per questo che la Braidotti propone alle donne di incarnare anche le macchine . Io penso che le protesi debbano essere utilizzate liberamente altrimenti non avrebbe senso il progresso . Tali protesi devono però essere utilizzate usando la razionalità . Voglio dire che se un individuo decide di modificare il proprio corpo lo deve fare solo perché non riesce a star bene con se stesso e non perché gli è stato inculcato implicitamente dai media.
    Cristina Cardillo Zallo
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    Messaggio  Cristina Cardillo Zallo Dom Mag 20, 2012 1:47 pm

    PUNTO 1
    L’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha elaborato differenti strumenti di classificazione riguardanti l’osservazione e l’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni. La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD, 1970), risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in numeri che rendono possibile la ricerca e l’analisi dei dati. EZIOLOGIA --> PATOLOGIA --> MANIFESTAZIONE CLINICA L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze e sull’influenza del contesto ambientale: “la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980).
    Con l’ICIDH non si parte più dal concetto di malattia inteso come menomazione, ma dal concetto di salute, inteso come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo, la sua globalità e l’interazione con l’ambiente.
    L’ICIDH è caratterizzato da tre componenti fondamentali, attraverso le quali vengono analizzate a valutate le conseguenze delle malattie:
    - la menomazione, come danno organico e/o funzionale;
    - la disabilità, come perdita di capacità operative a causa della menomazione;
    - svantaggio (handicap), come difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione. MALATTIA O DISTURBO --> MENOMAZIONI --> DISABILITA’ --> HANDICAP Successivamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblica un nuovo strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e universale: “La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”, denominato ICF. Esso si delinea come una catalogazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare handicap.
    Si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto. L’applicazione dell’ICF emerge nella misura in cui la disabilità non viene considerata un problema di un gruppo minoritario all’interno di una comunità, ma un’esperienza che tutti, nell’arco della vita, possono sperimentare. Ognuno di noi può trovarsi in un contesto ambientale precario e ciò può causare disabilità. E’ in tale ambito che l’ICF si pone come classificatore della salute; se, ad esempio, una persona incontra difficoltà in ambito lavorativo, non ha molta importanza se la causa del suo disagio sia di natura fisica, psichica o sensoriale, ciò che importa è l’ intervento sul contesto sociale costruendo reti di servizi che riducano l’handicap.

    E’ molto importante, in questo ambito, fare una riflessione sulle parole disabile e diverso. La disabilità non è solo deficit, mancanza, privazione a livello organico o psichico, ma è la condizione di un individuo il quale, in seguito ad una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale, rispetto a ciò che è considerata la norma; per questo motivo egli è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale. La società solitamente tende ad etichettare i soggetti con handicap o con disagi, ovvero, tende ad evidenziare solo le caratteristiche di svantaggio e non a tener conto di altri fattori ove essi potrebbero al meglio essere potenziali. Oggi il pregiudizio è una sindrome comune restrittiva sempre più presente, rappresentata da una società basata su considerazioni aprioristiche le quali tendono, in visione di un sedia a rotelle, una mancanza di un arto o altre menomazioni, a far spaventare i cosiddetti “normodotati” e quindi portarli a provare pietismo nei confronti di tali soggetti.
    Per tale motivo si è pensato di cambiare alcuni vocaboli ormai ritenuti dispregiativi. Il definire disabile con termini più consoni in relazione alla diversità, quindi diversabile o diversamente abile, potrebbe essere una nuova chiave di relazione con il soggetto, nella speranza di potergli dare il suo giusto valore umano, degnandolo di una propria dignità. Il disabile esprime le sue abilità diversamente dai normodotati; la differenza comporta solitamente timore e spavento in quanto la “diversità” fa paura e viene concepita come non normalità. In realtà non esiste un parametro di “normalità” così come non esiste un criterio comune secondo il quale un soggetto possa ritenere una persona normale o meno.
    Personalmente quando penso ad un qualcosa di diverso mi sovviene un’immagine positiva di ciò che si distingue dalla massa per una peculiarità, una caratteristica, una differente potenzialità. Diverso è convenzionalmente colui che si allontana dalla norma e spesso ciò è accompagnato dalla spiacevole sensazione di sentirsi “Altro” poco adeguato al contesto sociale. Ciò che a mio parere va evidenziato, è che ogni individuo è specifico nella sua UNICITA’ avendo caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono come unico e irripetibile.
    L’errore secondo me è al principio: nelle parole “diversamente abili” viene proposto come prioritario il concetto di “diversità”. Ciò che bisogna far capire, invece, è che la disabilità non è una diversità, ma una condizione di vita. Ogni individuo è diverso dall’altro ma ciò non implica un’inferiorità o una perdita di valore!!!

    PUNTO 2
    Con il suo testo “Complessità della persona e disabilità” Anna Maria Murdaca pone come obiettivo primario quello di sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione. Ritiene giustamente che non si debba definire nessuno per sottrazione sostenendo che è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap e che sono gli ostacoli e le barriere fisiche, senza tralasciare quelle mentali, a favorire il processo di esclusione e di emarginazione. Questo testo mira:
    • Alla costruzione di una nuova cultura della disabilità
    • Alla ridefinizione del termine integrazione
    • Alla valutazione delle reali condizioni di vita dei soggetti disabili

    Si sviluppa così una rilettura dell’handicap; come sottolinea anche l’ICF, è estremamente importante valutare l’influenza dell’ambiente sulla quotidianità delle persone con disabilità.
    La famiglia in primo luogo dovrebbe liberarsi dal senso di impossibilità e di miglioramento che sovviene con la presenza di un disabile in casa, così come la scuola deve cercare di guardare oltre il contesto scolastico integrando l’alunno disabile in altre attività formative magari in ambito lavorativo e sociale. L’importanza dell’ambiente sta dunque nel suo poter essere ostacolo o facilitatore, impedimento o agevolazione.
    Il progetto d’integrazione sociale da rilievo non solo all’inserimento alla scuola, al lavoro o all’abbattimento delle barriere architettoniche, ma anche nella vita familiare e a tutte quelle attività ricreative, culturali, sportive; quindi emerge la necessità di una programmazione coordinata che coinvolga i vari settori pubblici e privati (scuola, servizi sanitari, socio – assistenziali), tenendo sempre conto del nucleo familiare del disabile, che gioca un ruolo essenziale nell’inserimento.
    Anche il tasso di occupazione è poco confortante; a mio parere la ragione va ricercata in un difetto d’informazione sui servizi esistenti, nella scarsa sensibilizzazione del territorio ad accogliere il disabile non solo nei luoghi di lavoro, ma in generale nel contesto sociale e, infine, nell’abitudine a liquidare i problemi della disabilità con scarsi interventi economici, non rispondendo ai reali bisogni.
    L’obiettivo di questa nuova cultura è la valorizzazione della persona umana, in particolare del disabile, con il rispetto delle differenze e con il suo totale inserimento.
    L’ integrazione deve essere visto come processo continuo e non punto di arrivo, una continua ricerca di soluzioni, strategie e ausili utili a preservare i diritti acquisiti dai disabili.
    La vera novità è che non si mira all’accudimento e al controllo, ma ad un’emancipazione e ad una crescita in ambito cognitivo, affettivo e sociale del soggetto. La nuova cultura deve intervenire tanto sulle disfunzioni comportamentali cognitive quanto sulla qualità della vita dei soggetti garantendo la costruzione di una loro identità personale in luoghi consoni capaci di sviluppare le potenzialità degli stessi.
    Il tutto è finalizzato a fare dei soggetti disabili, individui sempre più autonomi ed emancipati in quanto essi nutrono una profonda necessità di essere in grado di decidere della propria vita e di ottenere un inserimento reale nella società in modo attivo e produttivo.
    Viene così introdotto il termine “cura” inteso come agire educativo. Si tratta di aiutare le persone con deficit a convivere con la loro disabilità e a combatterla cercando di trovare una giusta soluzione di fronte ad ogni eventuale ostacolo.
    Per far si che ciò si realizzi c’è bisogno di ri-pensare ad una società con vari spazi di formazione ed è necessario creare programmi e progetti che coinvolgano in maniera “attiva” e “integrata” famiglie, disabili, cooperative, associazioni, poiché con la partecipazione di diversi utenti si individuano meglio i bisogni e si verifica l’efficacia dei servizi e degli interventi.
    La ricerca vuole quindi portare il disabile a sviluppare la sua identità in diversi ambiti come ad esempio quello educativo, didattico, riabilitativo o terapeutico.
    Credo che sia essenziale e necessario il nostro impegno per costruire una cultura realmente rispettosa delle esigenze diversificate delle persone, piuttosto che solamente tollerante verso chi non rientra nella “norma”.
    A mio parere soltanto dopo aver superato concretamente e radicalmente il problema dell’integrazione, si potrà parlare di una reale svolta culturale.

    PUNTO 3
    A mio parere il concetto di normalità e di bellezza sono frutto di un nostro giudizio e non esistono canoni prestabiliti da seguire per poter essere considerati belli o normali.
    Nel suo testo “Il gentil sesso debole, le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute”, Remaury mette in risalto come la donna abbia quasi il dovere di coltivare la propria bellezza perchè ritenuta immagine rappresentativa della stessa.La realizzazione del corpo di una donna, che egli chiama corpo esatto, sta nel raggiungimento della perfezione legata alla triade: bellezza, salute, giovinezza.
    Lipovetsky nel suo testo “La Terza donna” sembra aver raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza nella quale la donna riesce a controllare e a gestire la propria immagine tra i vari modelli presenti nella società. Il limite sta nella convinzione da parte della donna di doversi identificare necessariamente in determinati modelli per apparire bella. Ciò che oggi riveste maggiore considerazione e importanza all’interno dell’opinione pubblica è l’aspetto esteriore, quello superficiale e apparente che permette di sentirsi sicuri dei propri mezzi e di essere valutati positivamente dalle persone.
    I mass- media tempestano giovani e non di icone di perfezione e di modelli di bellezza irraggiungibili, lasciando credere che solo il raggiungimento di tale scopo possa comportare la felicità, talvolta tralasciando aspetti importanti come amore, amicizie e traguardi di vita concreti.
    Oggi si ricorre sempre di più all’utilizzo di protesi estetiche al fine di migliorare la propria immagine. Viene chiamato “potenziamento umano” ogni tentativo temporaneo o definitivo, di andare oltre le normali limitazioni del corpo umano, attraverso mezzi sia naturali che artificiali.
    Soffermandomi sulla chirurgia estetica io sono pro quando c'è davvero un problema che necessita di essere risolto: malformazioni, incidenti oppure difetti eccessivi che creano dei problemi di salute o di autoaccettazione.
    Sono contro quando si investe sul proprio corpo con lo scopo di sfondare, quando la chirurgia diventa una malattia e qualsiasi difetto viene risolto col bisturi. A volte l’ossessionato bisogno di rispecchiare i canoni della bellezza porta alla mostruosità, argomento approfondito da Rosi Braidotti nel suo libro “ Madri, mostri e macchine”. Spesso si crea un legame tra femminismo e tecnologia nel quale si cerca di rincorrere l’idea di un corpo macchina, rischio che non preclude il raggiungimento dell’obiettivo prefisso.
    Le modelle anoressiche rappresentano un prototipo di bello che diventa mostruoso. La modella Kate Moss è il simbolo della mancanza di carne, un corpo definito de-femminilizzato, ed è assurdo pensare che venga utilizzato per rappresentare la bellezza della donna.
    Credo che non ci sia niente di più bello del dono della vita, e sostengo che sia da stupidi metterlo in gioco per cercare di rientrare in quelli che sono gli inconcepibili canoni della moda.

    fabiola lucignano
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    Messaggio  fabiola lucignano Dom Mag 20, 2012 2:18 pm

    1)-L'ICD é un termine che nasce nel 1970 che risponde all'esigenza di cogliere la causa delle patologie fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche.Tale classificazione focalizza l'attenzione sull'aspetto eziologico della malattia,le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione,la ricerca e l'analisi dei dati,e avvicina le disabilità alle patologie cliniche.
    Mentre l'ICF è stato pubblicato nel 2001,e la sigla ICF sta per "CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DEL FUNZIONAMENTO DELLA DISABILITA'E DELLA SALUTE".Secondo l'ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole.E'una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona.La disabilità é considerata come misura delle attività e delle prestazioni che l'ambiente esterno consente di espletare.I termini come menomazione,disabilità e handicap sono termini che si basa l'ICD,vengono sostituiti da termini come
    -funzioni
    -strutture corporee
    -attività e partecipazione
    con l'intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. L'ICF non classifica solo condizioni di salute,malattie e disordini o traumi bensì le conseguenze associate alle condizioni di salute e pone come centrale importanza la qualità della vita delle persone affette da una patologia e permette di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla. L'ICF è stato introdotto perchè le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona. Rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario e dei settori della sicurezza sociale,delle assicurazioni dell' istruzione,dell'economia del lavoro.Gli ambiti in cui può essere utilizzato l'ICF sono:
    -sanitario
    -sociale
    -educativo
    -ricerca
    -statistico
    -politica sociale e sanitaria.
    Ci si riflette molto sulle parole DISABILE e DIVERSO. Il DISABILE è:
    -una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita
    -un individuo affetto da disfunzioni motorie e cognitive
    -una persona caratterizzata dalla mancanza di una o piu' abilità oppure del diverso funzionamento di una o piu' abilità. Tendiamo ognuno di noi,nei confronti della persona con disabilità,ad assumere un' atteggiamento ed uno sguardo di pietismo.La disabilità deve essere analizzata come fattore sia personale e sia sociale.Esistono anche persone con disabilità che non si sentono tali e che riescono a compiere qualsiasi tipo di attività,grazie al superamento delle barriere architettoniche.Utilizzare la parola DISABILITA' ha valore dispregiativo e indica che quel soggetto è in difficoltà,è disabile,cioè non abile in qualcosa.Il termine diversabilità mette in risalto delle abilità diverse daglia altri,da scoprire,far emergere e potenziare. Per questo ed altri motivi si ritiene piu corretto parlare di diversamente abile o diversabili quindi si inizia a proporre l'uso dell'espressione diversabilità al posto di disabilità. Anche la parola DIVERSO è una parola che ci fa un pò paura.E' diverso tutto ciò che non si conosce,per questo la parola disabile ci fa paura perchè è diverso da noi e di conseguenza la diversitò è concepita come normalità e non esiste una definizione comune di cio che è considerato "normale".La diversità porta alla collocazione di certe persone in determinate categorie. Io penso fermamente che la disabilità non è un mondo a parte ma una parte del mondo.(QUESTO ARGOMENTO LO ABBIAMO TRATTATO ANCHE IN CLASSE NEL LABORATORIO 2:Questa lezione sulla disabilità mi ha fatto capire molte cose. In questa ora di scuola ho capito che quasi tutti noi ragazzi vediamo la gente disabile come esseri inferiori che non riescono a fare quello che facciamo noi, ma questo, a quanto ho capito, non è assolutamente vero, perchè tutti abbiamo
    le nostre disabilita. Tutti noi non vogliamo avere a che fare con i DEFICIT, ma non mi sembra giusto, perchè in fondo siamo tutti persone.A me la lezione mi ha fatto capire molte cose belle, importanti ed utili per migliorare il rapporto tra le persone normali e quelle disabili.
    Il normodisabile è un disabile che vuol vivere nella nebbia,dire normodisabile è solo cercare paroline dolci per cercare di attenuare il concetto di disabilità.Un disabile in carrozzina,con tutto quello che comporta,mai sarà nelle stesse condizione di una persona non disabile,lo sarà magari e anche più mentalemte,culturalmente pure,ma mai fisicamente.Il mondo è stato fatto per i non disabili non certo per i disabili.Pochi decenni fa tanti,ora salvati dalla chirurgia e dalla medicina,sarebbero morti,oggi riescono invece a farLi sopravvivere,scaraventandoli purtroppo nel mondo della disabilità,con tutto quel che di negativo comporta......Abbiamo avuto una chance in più noi cosiddetti "NORMALI"rispetto a questa povera gente che purtroppo la vita li ha donati un esistenza molto difficile....Siamo a volte,come nel mio caso,dei veri miracolati.
    Così io realmente penso.Quindi basta pensare alle cose futili,basta pensare alle sciocchezze....Cerchiamo invece di capire come qst povera gente ogni giorno affronta un nuovo mattino.......PENSO,SINCERAMENTE,CHE A VOLTE NOI,PIU FORTUNATI,SIAMO SOLO PERSONE EGOISTE...E questo mi fa arrabbiare moltissimo......Anzi prof mi scusi del gergo ma mi fa SCHIFO!
    2)- Anna Maria Murdaca parla di cervello -mente-corpo. L'unità corporea si raggiunge grazie al movimento motorio nel quale le parti del corpo entrano in relazione con il mondo e con gli altri e al coordinamento delle parti,immagine corporee denotano la scoperta della propria corporeità la cui dinamicità è legata alla relazione del cervello,mente e corpo. Il corpo entra nello spazio e nel tempo,si modifica in relazione al loro modificarsi.Il corpo diventa luogo di ascolto e di osservazione per riconoscere possibilità,ostacoli,posture,interessi e linguaggi.Il movimento avvia il processo di ricostruzione della realtà attraverso l'abilitazione delle funzioni e del funzionamento,specie nei soggetti disabili. Il corpo gioca un ruolo di sutura fra mondo fisico e mondo simbolico e tra questo e il mondo dell'affettività. E con il corpo che il soggetto si esprime,si descrive e si racconta,esperienza di mediazione corporea limite,il soggetto trova una singolarità e una dimensione di gruppo.
    3)- Il testo di Remaury "Il gentil sesso debole",Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute. La cultura dell'immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza che nella società i mass media è di primaria importanza nella scala dei valori. Nelle rappresentazioni della femminilità la bellezza è associata all'idea che la donna abbia il dovere di coltivarla. Il suo miglioramento fisico ed estetico è l'adempimento dei suoi bisogni ovvero il bisogno di essere bella. La responsabilità e la cura della salute è da sempreb affidata alla donna,prima per gli altri oggi anche per sè. Diverse indagini hanno dimopstrato che alle persone con un aspetto giudicato attraente vengono attribuite anche presunte virtu' interiori come onestà,bontà,gentilezza e intelligenza magari inesistenti.Il corpo macchina è l'idea di associare al corpo umano,in particolare della donna,le stesse caratteristiche delle macchine.Quelle che non si adeguano finiscono con il sentirsi umiliate se non riescono a rientrare in questi standard nonostante i mezzi offerti dalla società.Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che una donna oggi deve continuare ad avere se vuole restare,quindi apparire,in televisione. Ad esempio Remaury nel "Il gentil sesso debole" dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione,abbiamo un triplice obbiettivo:giovinezza-bellezza-salute. Il corpo trasfigurato è legato all'immagine della perfezione corporea. In pratica il corpo deve ascendere la scala della perfezione grazie ai progressi della scienza.
    Il corpo esatto compie progressi verso la perfezione grazie alla scienza e ad altre discipline,ed è il modello dominante.
    Il corpo liberato lo è dalla malattia,dal peso e dal tempo,obbligatoriamente perfetto.La liberazione de La terza donna celebrata da Lipovetsky nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati. DALLA MALATTIA CIOè SANO,DAL PESO CIOè MAGRO,DAL TEMPO CIOè GIOVANE.
    La liberazione de La terza donna nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti:imposti e strutturati,per cui questa è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto. Il controllo della propria immagine,conduce la donna verso il corpo realizzato,ossia la conquista di un corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su se stessa,assicurato attraverso il conseguimento di bellezza e salute. Secondo quanto descrive Lipovetsky La terza donna ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza basta sull'apparente acquisizione di grazia.
    Mentre il testo della Braidotti "Madri mostri e macchine", essa si oppone alla inflazione discorsiva intorno alla materia corporea perchè va ripensato il rapporto corpo mente. In questo ambitop la psicoanalisi è uno degli strumenti per ripensare il corpo in modo da liberarlo dal dualismo. La Braidotti critica il divenire donna di Deluze caratterizzato da un movimento potenziale che sia per le donne sia per gli uomini permette di sottrarsi ai discorsi dominanti per sfuggire alle identità definite socialmente. Secondo Braidotti è solo il segno di trasformazioni in atto e consiglia una asimmetria tra i sessi riappropriandosi del pensiero della differenza. La asimmetria tra i sessi indica che c'è una differenza tra donne e uomini sia per quanto riguarda il pensare,la scrittura,sia per l'atteggiamento nei confronti della storia e della politica.Anche Braidotti intravede una possibilità di riflessione ovvero che la donna diventa nell'immaginario maschile qualcosa di orribile mostro e madre al contempo.E' a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare,oltre alla maternità e alla mostruosità,anche la macchina prestandosi al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l'immaginario che le sostiene.
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    Messaggio  Mena Pace Dom Mag 20, 2012 2:40 pm

    Prova Intercorso
    1. La Classificazione Internazionale delle Malattie, o più comunemente detta IDC (International Classification of Diseases), è un sistema elaborato nel 1970 dall’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), per tracciare le principali cause di ogni patologia. Questo procedimento traduce in codici alfa-numerici le diagnosi di ciascuna malattia e rende possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. In un primo momento anche la disabilità è stata considerata una patologia clinica. Solo nel 1980 l’ OMS ha fatto fronte a questo problema, realizzando una nuova classificazione denominata ICIDH, ossia International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps che focalizza la sua attenzione sull’influenza che il contesto sociale esercita sullo stato di salute dei soggetti. Questo nuovo metodo fornisce un quadro concettuale per la disabilità, descritto in tre dimensioni: Menomazione, Disabilità ed Handicap, attribuendo a ciascun termine una propria definizione.
    MENOMAZIONE : nel settore sanitario è considerata menomazione qualsiasi perdita o anomalia di una struttura o funzione psicologica, fisiologica o anatomica. La menomazione è caratterizzata dall’esistenza di anomalie, difetti, perdite a carico di arti, organi, tessuti o altre strutture del corpo, incluso il sistema delle funzioni mentali. È un danno organico o funzionale relativo ad un settore specifico.
    DISABILITA’ : per disabilità si intende qualsiasi restrizione o mancanza della capacità - causata da menomazione - di compiere un’attività nel modo o nell’intervallo di tempo considerato normale per un essere umano.
    HANDICAP : si definisce handicap una condizione di svantaggio vissuta da una persona in conseguenza a una menomazione o disabilità che limita o impedisce la possibilità di ricoprire il ruolo normalmente proprio a quella persona in base all’età, al sesso, ai fattori culturali e sociali. Si tratta di uno svantaggio che il soggetto presenta in relazione all’ambiente in cui è posto. Piuttosto che definire una persona “portatrice di handicap” o “handicappato” sarebbe più esatto parlare di “persona in situazione di handicap”, per sottolineare che questo svantaggio è creato da un contesto che richiede prestazioni di abilità superiori a quelle che una persona con una menomazione può offrire. In seguito a numerose revisioni, nel 2001, 191 Paesi hanno approvato una nuova classificazione, l’ ICF che significa “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”. Questo nuovo strumento mette in luce l’aspetto che riguarda la salute di un soggetto diversamente abile e pone in correlazione salute ed ambiente, definendo la disabilità come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. L’ ICF si occupa di descrivere lo stato di salute delle persone in relazione all’ambito sociale, familiare, abitativo e lavorativo, esaminando tutti gli elementi che possono influire sulla qualità della vita della persona. Vengono, in questo modo, presi in considerazione non solo gli aspetti medici legati a una particolare condizione di salute ma anche gli aspetti sociali che tengono conto del contesto ambientale in cui la persona vive. Di conseguenza l’handicap non rappresenta una condizione invariabile ma si riduce o aumenta in relazione alla presenza o assenza di strutture di ausilio. Analizzando una mia giornata tipo, mi sono resa conto che una persona diversamente abile incorrerebbe ogni giorno in numerose difficoltà per compiere le azioni più comuni come attraversare la strada, entrare in un negozio o usufruire dei mezzi pubblici a causa della presenza di barriere architettoniche come marciapiedi privi di scivoli, stazioni con montascale non funzionanti e assenza di semafori sonori. Ad aggravare la situazione si aggiunge la disattenzione e la disinformazione della gente che assume nei confronti delle persone diversamente abili un atteggiamento di pietismo e allontanamento. Il disabile è, in alcuni casi, considerato diverso e la diversità è spesso concepita come una forma di anormalità. Il diverso viene emarginato perché fa paura, incute timore e non è come noi. Per tale motivo si tende a categorizzare certe persone, attribuendo loro determinate accezioni come paraplegico, sordo, disabile ma, in questo modo, si priva l’individuo della propria soggettività e si evidenziano esclusivamente gli aspetti che limitano le sue capacità. Attraverso l'esperienza vissuta in aula insieme al gruppo classe, ho notato con quanta facilità ci si lasci persuadere dai beni materiali, dimenticando i valori importanti come la solidarietà e l’altruismo. Simulando una città in cui i portatori di occhiali erano esclusi da ogni decisione collettiva, ho capito che la loro emarginazione era frutto di falsi stereotipi. Infatti, durante un lavoro di gruppo svolto in aula precedentemente, ci era stato chiesto di attribuire ad ogni termine un aggettivo. Definimmo il disabile “poverino e limitato”; il mostro “brutto, cattivo e spaventoso”; lo straniero “ladro, manipolatore, poco affidabile” e il diverso “emarginato e deriso”. Solo successivamente ho compreso che la diversità fa parte della natura umana. Ognuno è unico nella propria diversità, ma tutti, in misura uguale, godiamo degli stessi diritti e non bisogna definire nessuno per sottrazione. Non bisogna catalogare le persone in base a ciò che non sanno fare e ciò che non possono fare. Per questo risulta più corretto parlare “diversabilità”, mettendo in risalto anche le diverse abilità che una persona disabile possiede. Esemplare è il caso di Simona Atzori, nata senza braccia ma diventata pittrice e ballerina di fama internazionale. Riporto di seguito una sua frase da me pienamente condivisa: “ Spesso i limiti non sono reali, sono negli occhi di chi guarda”.

    2. Secondo Anna Maria Murdaca il contesto sociale e le barriere mentali e culturali sono i principali fattori che determinano la condizione di handicap e favoriscono l’emarginazione di persone con disabilità. Come rileva l’ICF, l’ambiente esercita un notevole peso sugli individui e contribuisce ad accentuare o diminuire la loro disabilità; infatti, mentre in un ambiente ricco di opportunità, le persone diversamente abili riescono a raggiungere alti livelli di realizzazione e autonomia, in contesti meno favorevoli la loro indipendenza è ampiamente compromessa. È scoraggiante notare come in un paese avanzato come l’Italia siano ancora poche le città in cui una persona disabile può autonomamente vivere la propria vita senza necessitare dell’aiuto altrui. Un primo passo in avanti si è compiuto grazie alle tecnologie domotiche che consentono di migliorare la qualità della vita, attraverso la costruzione di una “casa intelligente” e tecnologicamente avanzata. Andrea Ferreri è l’esempio di come anche per un disabile è possibile vivere in maniera indipendente usufruendo delle tecnologie domotiche. Purtroppo si tratta di tecnologie che richiedono costi molto elevati, non accessibili a chiunque, e pertanto, in tempi di crisi economica, ancora poco diffuse. Come già prima accennato, anche l’ignoranza, la superstizione e la paura costituiscono fattori sociali che nel corso della storia hanno isolato le persone con disabilità e ritardato la loro evoluzione. Anna Maria Murdaca, quando parla di integrazione, fa riferimento ad un processo globale e continuo, che riguarda l’ambito sociale, scolastico e lavorativo e mira alla valorizzazione delle abilità individuali. Integrare significa anche offrire la possibilità di emanciparsi e in questo sono chiamati educatori, genitori, e insegnanti che hanno il compito di coniugare l’aspetto educativo con quello didattico, terapeutico e sociale, adottando metodi differenti a seconda del soggetto. Anche la cura occupa un posto rilevante poiché è intesa come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti, finalizzata alla realizzazione dell’uomo per ciò che è e per ciò che può diventare. Bisogna riflettere inoltre sulla relazione educativa che vede protagonisti educatori, genitori, discenti e figli. Essa si basa su un rapporto bidirezionale che implica scambio d’informazioni e di esperienze. In particolare, nella relazione educativa con un disabile, l’educatore non deve mettere in luce le “mancanze” ma evidenziare le potenzialità e le capacità di una persona. Deve realizzare un programma mirato ad offrire pari opportunità rispetto a un normodotato. Qualsiasi rapporto basato sull’ascolto e sul rispetto reciproco rappresenta un occasione di formazione per l’educatore e per l’educando . Tutto ciò ha come ultimo fine lo sviluppo dell’emancipazione e dell’indipendenza delle persone disabili che vanno considerati cittadini a pieno titolo.

    3. Nella società odierna, il concetto di perfezione viene sempre più accostato a quello di bellezza, considerando il corpo come il principale mezzo in cui la perfezione si manifesta. Secondo Remaury giovane, bella e sana sono le caratteristiche che il corpo femminile deve avere secondo giornali, televisione e moda. Questa è l'immagine ideale della donna proposta dai media e dalla pubblicità. Su questo canone estetico le donne dovrebbero costruire la propria identità, affrontando spese e sofferenze fisiche. Sempre più donne si affidano alla chirurgia estetica per modificare il proprio corpo e adattarlo ai modelli di bellezza proposti oggigiorno, con l’obiettivo di mostrare un corpo giovane e in forma. Lipovetsky parla di liberazione della terza donna dalla malattia, dal peso e dal tempo, per acquisire un corpo sano magro e giovane. Rosi Braidotti, invece, ne suo libro Madri, mostri e macchine si sofferma sul modo con cui il corpo di una donna cambia durante la maternità, assumendo nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: madre e mostro insieme.
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    Messaggio  Stefania Scafati Dom Mag 20, 2012 3:01 pm

    ESERCIZIO 1
    L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), al fine di migliorare le diagnosi delle malattie, ha elaborato una serie di classificazioni, la prima delle quali è l’IDC, ossia la “Classificazione Internazionale delle Malattie”, sorta nel 1970. L’IDC, ha il compito di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome o disturbo, una descrizione delle principali caratteristiche cliniche, ossia una diagnosi. Tale diagnosi viene tradotta in codici numerici che rendono possibile ma memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.
    L’IDC, quindi, focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia.
    Nel 1980, però, l’OMS ha messo a punto una classificazione internazionale, l’ICIDH (International Classification of Impairments, disabilities and handicaps), che si fonda su tre fattori che interagiscono tra loro: Menomazione, Disabilità e Handicap.
    Con il termine MENOMAZIONE, si indica la momentanea perdita o l’anormalità di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica ed anatomica che comporta una mancanza o un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo. La menomazione può essere, infine, temporanea o permanente.
    Per DISABILITA’ si intende l’incapacità, in seguito ad una menomazione, di svolgere qualsiasi tipo di attività o funzione, e di assolvere particolari compiti nel modo considerato “normale” per ogni essere umano.
    Il termine HANDICAP, infine, significa “svantaggio”. L’handicap infatti è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, il disagio sociale e la condizione di svantaggio che in un individuo impedisce l’adempimento di una data attività, che può essere alimentato dalla società in cui il soggetto vive.
    Successivamente, i termini disabilità ed handicap sono stati sostituiti dalla parole “Abilità” e “Partecipazione”.
    Con il termine ABILITA’ sono indicate, appunto, tutte le abilità che possiede una persona disabile, che possono essere diverse da quelle possedute da un “normodotato”, e che devono quindi essere scoperte, potenziate e rese note. Proprio per tali motivi non si parlerà più di “disabile” a di “diversamente abile”.
    La PARTECIPAZIONE invece, determina il coinvolgimento dell’individuo diversamente abile all’interno della società, mostrando più attenzione alle capacità del soggetto, evitando la RESTRIZIONE, ossia l’esclusione dello stesso dal contesto sociale.
    Nel 2001, l’OMS ha elaborato una terza ed ultima classificazione, l’ICF (Classificazione Internazionale del funzionamento, delle disabilità e della salute). Questa prevede non soltanto la presa in considerazione di fattori biomedici e patologici, bensì considera anche l’interazione sociale; l’approccio diventa così multiprospettico, ossia biologico, personale e sociale, considerando la persona nella sua globalità.
    Secondo l’ICF, la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Quindi il contesto sociale è uno stato di salute.
    Con questa nuova classificazione, subentra un nuovo schema: funzioni; strutture corporee; attività e partecipazione.
    L’ICF non è limitata in campo medico o sanitario in genere, ma può essere utilizzata in diversi settori, quali della ricerca sociale, educativo, statistico e nel campo della politica sociale e sanitaria. Offre quindi una prospettiva globale delle potenzialità e dello stato di salute inseriti in un contesto definito, che consentono di individuare i livelli di qualità del funzionamento ed i bisogni della persona.
    La DISABILITA’ spesso viene confusa con la DIVERSITA’, ma occorre sapere che sono due termini con significati differenti.
    Il Disabile è colui che non può svolgere normali attività quotidiane , un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive , una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità oppure dal diverso funzionamento di una o più abilità.
    Nei confronti della persona con disabilità si tende ad assumere un atteggiamento di pietismo, rischiando così di etichettare l’individuo, privandolo della sua individualità.
    La disabilità assume dunque valore dispregiativo, per indicare una persona in difficoltà, disabile e quindi non abile in qualcosa.
    Per questi motivi, il termine Disabilità è stato sostituito da Diversabilità, per indicare una persona abile in qualcos’altro.
    Ci sono persone però, le quali non si sentono affatto in una condizione di svantaggio rispetto ad un individuo “normodotato”, e riescono a svolgere qualsiasi attività grazie alle tecnologie abilitanti e al superamento delle barriere architettoniche. E’ il caso di Oscar Pistorius e di Serena Atzori. Pistorius, infatti, pur non avendo le gambe, utilizza protesi in fibra di carbonio, le flex foot che gli consentono non soltanto di camminare, bensì addirittura correre; ricordiamo che ha partecipato, dopo varie polemiche e indagini accurate alle Olimpiadi di Pechino nel 2008, gareggiando con i normodotati.
    Serena Atzori, invece è una ballerina senza braccia, la quale è riuscita a superare i suoi limiti danzando, nonostante il suo deficit fisico.


    ESERCIZIO 2
    Annamaria Murdaca, attraverso il suo testo “Complessità della persona e disabilità” affronta diverse tematiche, quali l’integrazione, l’inclusione del disabile, l’ambiente, la globalità della persona e la relazione educativa.
    La Murdaca, tenta di ricostruire una nuova cultura della disabilità (cercando di innalzare la qualità della vita del soggetto), di rimodulare il termine INTEGRAZIONE, di comprendere quali siano realmente le condizioni di vita del disabile e quali siano i servizi offerti dalla società in vista delle sue esigenze.
    L’autrice, infatti, sostiene che sia necessario procedere verso l’INCLUSIONE, considerando la globalità della persona, e quindi cercando di comprendere quali siano le sue idee, i suoi pensieri, evitando pertanto la “compassione” per quest’ultima. La Murdaca, infatti parla di cura, intendendo la progressiva emancipazione del soggetto, il quale potrà finalmente realizzarsi nella vita.
    Bisogna insomma, considerare tutte le componenti di una persona, non tralasciando nulla di essa, ma cercando invece di valorizzarla con il rispetto delle differenze e delle identità.
    Tutto ciò consente al disabile anche una maturazione psicologica, verificatasi anche grazie alla relazione educativa.
    La relazione educativa è l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra due o più persone. Tale rapporto, deve essere reciproco, basato in primo luogo sul rispetto ma anche sulla fiducia: la relazione infatti, è un qualcosa che si costruisce principalmente in due, ed è importante che vi sia parità tra i soggetti, i quali si scambiano opinioni, idee, esperienze apprendendo l’uno dall’altro.
    E’ pertanto un processo continuo, che richiede impegno, partecipazione, disponibilità, sensibilità e la piena consapevolezza di dedicarsi completamente all’altro.
    La relazione educativa si estende in tutti i tipi di rapporti, da quello docente/discente, educatore/educando, madre/figlio e qualsiasi altro tipo di rapporto che viene a costituirsi tra due o più persone.
    A lezione, abbiamo svolto un “setting” proprio riguardo la relazione educativa, che trattava l'incontro tra educatore, educando e il genitore di quest'ultimo. Durante questa simulazione è emersa l'assoluta disponibilità dell'educatore, aperto al dialogo e all'ascolto.
    Quando parliamo di persona, quindi , bisogna considerare tutti gli aspetti di essa, mettendo in luce le sue capacità e le sue doti, valutando le sue esigenze e necessità, in base anche al contesto sociale in cui vive.
    L’ambiente, infatti, influisce molto sulle condizioni di vita del disabile: può ostacolarlo, attraverso le barriere, o agevolarlo , mediante i servizi idonei alle proprie necessità, messi a disposizione dalla stessa società in cui vive. Infatti, è l’ostacolo che impedisce ad una persona con deficit di compiere una qualsiasi attività, in questo caso il contesto in cui vive, e con contesto si intende l’ambiente familiare, la scuola, l’assistenza sociosanitaria, le politiche sociali e del lavoro presenti in un paese.


    ESERCIZIO 3
    L’uomo, fin dai tempi più remoti ha cercato di raggiungere ideali di bellezza e perfezione.
    Proprio per tale motivo, la nostra società ha da sempre rifiutato le persone che, a causa di deficit di ogni genere, si discostavano da tali canoni estetici.
    I mass media hanno di certo contribuito a diffondere modelli di perfezione estetica ai quali, soprattutto i giovani tentano di assomigliare, sottoponendosi ad interventi di chirurgia estetica, spesso dolorosi e costosi.
    La cultura dell’immagine della donna si confonde con l’ideale di bellezza, che nella nostra società è di primaria importanza. La bellezza, dunque, è associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla.
    Remaury, autore de “Il gentil sesso debole”, afferma che la società odierna è diretta verso una corsa alla perfezione, tentando di raggiungere principalmente tre ideali: bellezza, giovinezza e salute. Il corpo presentato da Remaury è un corpo trasfigurato, legato all’immagine della perfezione corporea, un corpo esatto, che compie progressi verso la perfezione anche grazie al progresso scientifico, un corpo liberato, libero cioè dalla malattia e dal carico del tempo, che passa inesorabilmente.
    Lipovetsky, invece, nel suo testo “La terza donna”, ci descrive appunto tre donne: la prima, che appare sottovalutata e sfruttata, la seconda che è invece l’incarnazione della virtù e la terza è la donna che racchiude in se le precedenti, diventando dunque indefinita. Questo termine non è da intendere in senso negativo, in quanto costituisce il fondamento dell’autodeterminazione.
    Rosi Braidotti, infine, attraverso il suo testo “Madri, mostri e macchine”, introduce il tema corpo-macchina. L’autrice spiega come la donna sia capace di deformare, durante la maternità, il proprio corpo, allontanandosi dagli ideali di bellezza. Il suo corpo, infatti, agli occhi degli uomini è visto come qualcosa di orribile: mostro e madre allo stesso tempo. Per tale motivo, la Braidotti, suggerisce alle donne di incarnare, oltre alla mostruosità e alla maternità, anche la macchina.
    Oggi, infatti, si pensa molto più all’apparenza che alla sostanza, le persone preferiscono apparire piuttosto che essere, attuando delle vere e proprie trasformazioni sul proprio corpo, rinunciando alla propria persona, prediligendo invece l’immagine e l’ideale di bellezza dettati dalla società.
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    Messaggio  lucia lettera Dom Mag 20, 2012 3:13 pm

    L'OMS è l'Organizzazione Mondiale della Sanità,agenzia specializzata dell'ONU ,per la salute,fondata il 7 aprile 1948 a Ginevra.Nel 1970 l'OMS,elaborò l'ICD,(INTERNATIONAL CLASSIFICATION OF DISEASES). Tale classificazione,si concentrava sulle cause delle patologie,fornend per ognuna di esse una descrizione delle principali caratteristiche cliniche. Le varie diagnosi,vengono riconosciute attraverso una serie di codici numerici,allo scopo di facilitare la memorizzazione dei dati. Tuttavia ,erano ancora resenti numerosi limiti,creando l'impossibilità di cogliere la disabilità in tutti i suoi aspetti,veniva infatti escluso un elemento importantissimo che è quello sociale,che invece venne incluso nella seconda classificazione:ICIDH. L'ICIDH (International Classification of Impariments,Disabilites and Handicaps),venne elaborata nel 1980.Questa nuov classificazione,distingueva tra MENOMAZIONE,intesa come perdita o anormalità di una funzione psicologica,fisiologica o anatomica.DISABILITA',ovvero qualsiasi limitzione della capacità ad agire.HANDICAP,svantaggio vissuto da una persona a seguito di una disabilità.Quindi mentre la disabilità ,è lo svantaggio che la persona presenta per un problema personale,l'handicap rappresenta lo svantaggio sociale della persona con disabilità .Da ICIDH si passò poi, al nuovo documento ICF(CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DEL FUNZIONAMENTO DELLA DISABILITà E DELLA SALUTE) pubblicata dall'OMS nel 2001. Questa nuova classificazione definisce lo stato di salute della persona,piuttosto che le limitazioni,dichiarando cosi,che l'individuo "sano" si identifica come individuo in stato di benessere psicofisico,ribaltando di fatto la concezione di stato di salute.Il documento ICF ,copre tutti gli gli aspetti della salute (che comprende il vedere,udire,camminare,imparare e ricordare) e in quello collegato alla salute(che comprende , mobilità,struzione,partecipazione alla vita sociale ecc).L'ICF quindi,non riguarda solo le persone con disabilità,riguarda tutti,ha dunque uso e valore universale.In base alle varie classificazioni,è giusto chiarire il significato di 2 termini,spesso usati:DISABILE e DIVERSO. Il DISABILE presenta una particolare condizione personale ,in seguito ad una menomazione,ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma,per questo viene definito DIVERSO. E' dalla condizione di sentirsi diversi,che nasce l'emarginazione,l'esclusione dalla società;è proprio per questo che risulta utile,un progetto educativo che miri alla trasmissione di una cultura che suggerisca i valori del rispetto e del riconoscimento dell'altro.E' da qui che ANNA MARIA MURDACA intende avvaiare le sue riflessioni.A.M MURDACA,pone al centro dei suoi studi la person con disabilità,cercando di ricreare intorno a questa ,le condizioni necessarie per la sua esistenza nel sociale.Sono 3 i punti fondamentali a cui la Murdaca mira:1) ricostruzione di una nuova identità culturale della disabilità;da qui nasce il tema della GLOBALITA', in cuiva preso in considerazione il soggetto sia come singolo,sia come essere in evoluzione e in relazione con la società.2) Alla rimodulazione del termine integrazione come un processo continuo, non un punto d'arrivo,ma una continua ricerca di soluzioni.L'integrazione dev'essere intesa come l'insieme dei processi sociali e culturali,che rendono l'individuo membro di una società,nonostante le sue diversità.Il punto riguardantel'integrazione ,è strettamente collegato al terzo punto delineato dalla MURDACA,a cioè, quale ruolo effettivamente possono assumere i soggetti disabili e quali servizi vengono erogati per le loro esigenze.Qui entriamo in un discorso molto ampio,che sfiora il tema delle barriere architettoniche,il contesto sociale ecc.Oggi è molto discusso il poblema delle barriere architettoniche ;esse si presentano come dei veri e propri ostacoli tra l'individuo e il mondo circostante;rende il soggetto limitato ed è da qui che nasce l'handicap.Sono numerosi,gli interventi e le denuncie fatte, ma nonostante tutto,sembra che nulla ancora sia cambiato o che molto ancora debba cambiare.Come afferma la stessa MURDACA,"è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap. Anche la scelta delle parole va fatta con poderazione;sarebbe necessarioricordarsi,che con un solo termine ,etichettiamo,definiamo e il più delle volte offendiamo le persone.Inoltre la MURDACA vede come necessaria una educazione volta alla trasmissione dei valori come la resilienza,cioè la capacità di superare le avversità della vita,di rialzarsi più vincente dopo le sconfitte ;Un caso di resilienza noto,è SIMONA ATZORI, BALLERINA E PITTRICE che fa uso di solo gambe ,in quanto sprovvista di braccia. UN Progetto che sia capace di migliorare la qualità della vita e che dia la possibilità di vivere e non di sopravvivere.Alla disabilità,è strettamente collegato il tema dell'anormalità e quindi della bellezza. REMAURY,parlando di bellezza riflette inanzitutto,sullìimmagine della donna ,da sempre icona dell'estetica e creatura alla continua ricerca della perfezione.REMAURY,mostra come il rapporto fra modelli di bellezza femminile e società è mutevole,cambi in base all'epoca.La donna ,ha il bisogno di sentirsi bella,di curarsi,questi bisogni sono però imposti dalla società.Il bello sembra indicare il buono,un aspetto gradevole suggerisce uno spirito simpatico;quasi come rifarsi alla teoria di LOMBROSO ,il brutto,il mostro,il deforme è il deviante ,il delinquente.LIPOVETSKY, invece,nel suo testo:"LA TERZA DONNA ", afferma che questa deve scegliere tra 3 valori fondamentali:eterna giovinezza,perfetta bellezza e salute totale;i 3 ingredienti ideali per la ricetta della perfezione .L'autore ,afferma inoltre che la donna ha raggiunto una fase in cui,di fronte ai tanti modelli offerti dalla società, riesce a scegliere quello in cui di più riesce ad identificarsi.Sono diversi,infatti,i canoni di bellezza offerti dalla società;l'estrema magrezza ,che sfocia nell'anoressia,che anche se non rispecchia la bellezza perfetta,è molto diffusa la morte per anoressia ,nn comune solo tra le modelle,ma anhe tra ragazzine adoloscenti,che infelici delle normali trasformazioni del corpo,dovute alla stessa età(volume maggiore ai fianchi,gambe seno ecc) seguono diete estreme. All'estrema magrezza c è però chi preferisce le "forme abbondanti"; si sente spesso parlare di rgazzine che per i loro 18 anni chiedono le protesi al seno come regalo ai propri genitori.Donne di età avanzata,che pur di mostrare qualche anno in meno fabno dei lifting e altri tarttamenti distruttive per le cellule. ROSI BRAIDOTTI,nel suo testo"MADRI MOSTRI E MACCHINE", propone il discorso sui mutamenti indotti dalle biotecnologie che stanno modificando le pratiche della riproduzione e il rapporto dell'uomo con l materia corporea.Attraverso questi mutamenti e con questo nuovo modo di approcciarsi con la realtà,che è venuto a crearsi L'UOMO TECNOLOGICO,un uomo-macchina ,creato su misura della nuova realtà.La BRAIDOTTI,si sofferma a riflettere anche sul corpo gravido.La donna nella maternità,subisce delle trsformazioni corporee,divenendo cosi,nellìimmaginario maschile qualcosa di orribile ,cosi tanto da ripensare alla relazione ntic ,complessa e mutiforme che c è tra le madri,i mostri e le macchine
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    Messaggio  Gervasio Concetta91 Dom Mag 20, 2012 3:20 pm

    Nel 1970 l'OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, rettifica l'ICD,ovvero una lista in cui vennero elencate tutte le varie forme di malattie affiancando a queste una descrizione della malattia stessa con una diagnosi tradotta in un codice numerico con cui i medici servendosene,avrebbebbero potuto capire immediatamente la condizione del malato e intervenire.
    A questa lista però vennero inserite anche le varie forme di disabilità riconoscendole come delle vere e proprie patologie cliniche.
    Dopo ben 10 anni ,l'OMS creò l'ICIDH che questa volta si basava su tre fattori interagenti e interdipendenti: Menomazione,Disabilità e Svantaggio che vennero poi sostituite da altri tre fattori come Menomazione ,Abilità e Partecipazione .
    Con quest'ultimo termine si voleva indicare un maggior coinvolgimento sociale da parte del disabile nella vita sociale.
    Con il termine Menomazione si indica una perdita o anormalità a livello fisiologico,psicologico o anatomico che può essere temporanea,accidentale o degenerativa ,e portatrice di disabilità .Con il termine Disabilità si indica per l'appunto una limitazione del soggetto nello svolgere particolari attività e assunzione di specifici compiti.
    Nel momento in cui la disabilità e la menomazione costituiscono un disagio sociale tale da portare lo stesso soggetto a non saper più interagire con gli altri si parla di Handicap.
    Spesso si tende a confondere il termine Handicap con quello di Deficit ,utilizzandoli come se fossero sinonimi ma in realtà col primo si indica uno svantaggio sociale e con l'altro invece un disfunzionamento organico.
    Un utilizzo improprio di questi due termine potrebbe portare due gravi conseguenze :
    1)considerare l'handicap come una condizione tipica solo di quei soggetti con deficit
    2)Non considerare i soggetti con deficit come dei veri e propri uomini.
    Nel 2001 nasce l'ICF,che si interessa delle condizioni dei disabili e cerca di fare in modo che queste possano migliorare.
    Si basa su due fattori :Funzionalità Disabilità e Fattore Contestuale.
    Il primo che si occupa delle condizioni di vita dei disabili tenendo in considerazione ciò che riescono a fare con maggior o minor difficoltà.
    Il secondo invece del contesto ambientale ,riconoscendo una certa incisione e influenza di questultimo nelle componenti della disabilità.
    Di qui risulta necessario un chiarimento anche sui termini "Disabilità" e "Diverso".
    Il Disabile è infatti colui che mostra una limitazione nello svolgimento di alcune attività e per questo ,molto spesso, viene classificato come un "Diverso",ovvero come una persona sfortunata che genera un pensiero pietistico da parte degli altri nei suoi confronti, ma anche ad una sorta di categorizzazione dove ogni soggetto viene collocato in determinate categorie.
    Il tutto può incidere a livello psicologico e costituire dei complessi di inadeguatezza e inferiorità che possono portare ad un drastico calo di autostima , autosvalutazione ma anche e sopratutto ad un'emarginazione nei confronti del disabile.
    Spesso processi di questo tipo si generano improvvisamente,da un momento all'altro, com'è capitato in uno dei nostri laboratori in cui la prof. fungendo da capo ha diviso la classe in due gruppi ,mettendo in un angolo della classe tutte quelle che portavano gli occhiali e iniziando ad interloquire solo ed esclusivamente con il resto della classe (i cosidetti "cittadini").
    In questo modo si è andato a creare un vero e proprio processo di emarginazione nel giro di pochi munuti .
    Il tutto forse capita perchè spesso la massa genera uno stato di paura nei confronti dei disabili ,portandoli poi a riconoscerli come "Diversi".
    Ma in realtà noi "normodotati" non possiamo considerare un essere umano "diverso" solo perchè magari non vede,non sente o non cammina, dovremmo al contrario creare i presupposti adatti per concedere loro una vita migliore senza continue difficoltà.
    Innanzitutto dovremmo eliminare tutte le barriere architettoniche che non concedono agli stessi disabili di vivere una vita in completa autonomia .
    Ricordiamo le storie che ci sono state proposte al corso ,in cui donne e uomini raccontavano del loro disagio quotidiano nel prendere un semplice autobus o la metropolitana....nello spostarsi da un luogo all'altro.
    Tra l'altro nel 2003 c'è stato L'Anno Europeo dei Disabili in cui si è discusso per l' appunto di questo, e si è cercato di aumentare la sensibilizzazione tra la gente.
    Si è poi cercato un nuovo termine come "Diversabile" al posto di disabile per indicare un soggetto con un deficit,ovvero un soggetto che mostra una sua "mancanza" rispetto allo standard medio.
    A questo punto risulta necessario favorire lo sviluppo di un processo di integrazione proprio come lo propone la stessa Murdaca nel suo testo”Complessità della persona e disabilità”.
    In questo suo scritto tratta di varie tematiche come l’integrazione, l’inclusione ,la cura, le relazioni educative,l’ambiente e il contesto sociale.
    Come abbiamo già detto ,l’handicap indica uno svantaggio sociale che è ben diverso dal deficit,ma che potrebbe essere accentuato ancor di più dal contesto sociale.
    L’ICF infatti parlava di una probabile influenza dell’ambiente sulla vita degli individui come la famiglia che deve liberarsi dall’ottica di impossibilità di miglioramento dello stato psico-fisico dei propri figli disabili, o la scuola ,dove gli insegnati devono andare oltre la scuola stessa e creare i presupposti per sviluppare oltre le buone competenze anche una buona integrazione che dovrebbe poi essere marcata ancor di più dal contesto lavorativo.
    Innanzitutto secondo la Murdaca bisogna abbandonare l’ottica dell’inserimento proprosto dalla legge 118/97
    e abbracciare quella dell’inclusione .
    L’integrazione è un processo continuo che cerca soluzioni e mezzi adatti per conseguirle nel migliore dei modi avendo come obiettivo quello di valorizzazione della persona ,della sua identità e di ciò che lo rende diverso dagli altri costituendo così una vera e propria innovazione nel campo della disabilità.
    Anche secondo la MIUR ,l’integrazione è da intendersi come “ valorizzazione al meglio delle dotazioni individuali”, anche perché non si dovrebbe mai definire una persona per sottrazione perché si tratta di persone e non le si può intendere per ciò che non sanno fare.
    Altro tema fondamentale è quello della CURA,che è parte dell’agire educativo ed inteso come quel processo volto alla realizzazione dell’uomo per ciò che è e per ciò che diverrà.
    Di qui però non basta l’educazione classica ma risulta necessaria la “fantasia ermeneutica “ dell’educatore che col suo agire farà in modo di sviluppare tutte le dimesioni della persona.
    La relazione educativa diventa a questo punto fondamentale ;
    Si basa su un rapporto attivo tra educatore ed educando e offre una possibilità di formazione ad entrambe le parti.
    Tanto è vero che in una relazione del genere non si può intendere l’educando come un soggetto inferiore rispetto all’educatore perché entrambi hanno modo di imparare qualcosa di nuovo dall’altro;Si tratta infatti di una relazione bilaterale.
    Ovviamente non è da intendersi solo come quella che si può creare tra maestro e alunno ma anche tra madre e figlio ,visto che spesso i bambini ,anche se più piccoli rispetto agli adulti, possono e riescono a trasmettere molto.
    In una relazione educativa si crea un legame affettivo in cui ognuno una volta sviluppata una certa fiducia nei confronti dell’altro riesce a mostrare le proprie emozioni ,poiché ci si predispone all’ascolto, ci si mostra disponibili e accoglienti.
    In questo modo l’educatore avrà modo di rieducare e condurre il soggetto verso cambiamenti positivi e corretti ed un esempio pratico lo abbiamo osservato anche in una delle lezioni durante il corso ,capendo com’è che si deve approcciare l’educatore all’educando e soprattutto in cosa consiste praticamente il suo lavoro….lavoro che tra l’altro lo si può svolgere solo se lo si sente…solo se si nutre amore e passione verso questa cosa.
    Nel caso del disabile poi ,l’educatore deve comprendere la situazione ma anche i suoi bisogni , le sue capacità e conoscere per bene il suo carattere al fine di operare sempre nel verso giusto senza mai evidenziare le sue “MANCANZE” ,ma le sue doti.
    In questo modo si porterà il disabile ad uno sviluppo della sua autostima,indipendenza e identità che dovrà però avvenire in luoghi rassicuranti ,tranquilli e positivi andando a valorizzare le sue differenze.
    Altro tema fondamentale è quello dell’immagine .
    Come abbiamo già detto, spesso la massa mostra una sorta di paura nei confronti dei disabili perhè si mostra come “diverso” o addirittura un “mostro” rispetto agli altri.
    Oggi quello dell’immagine è un tema molto sentito che prende soprattutto tra i giovani che cercano di migliorare e perfezionare il loro corpo ,facendo continuo riferimento a quei modelli che vengono trasmessi dai maggiori medium.
    Il corpo femminile è sicuramente quello più gettonato ad una cosa del genere anche perché sembra quasi un dovere quello di prendersi cura del proprio corpo mostrandolo quanto più bello possibile ,anche se un ideale di bellezza assoluto non esiste e non esisterà mai ,ma si cerca comunque di raggiungere la perfezione affidandosi spesso alla chirurgia estetica .
    A volte risulta indispensabile per renderlo completo come nel caso Pistorius ,altre invece diventa un modo per renderlo perfetto eliminando imperfezioni o difetti.
    A questo punto quindi ci rendiamo conto che non esiste un limite tra ciò che è normale e ciò che spesso è definito come diverso perché tutti ci possiamo rientrare ,da un momento all’altro.
    Ci resta solo da imparare a comprendere l’uomo nella sua complessità.




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