Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    Messaggio  rosa manno Ven Mag 18, 2012 5:13 pm

    1)
    Il disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere alcune delle normali attività della vita quotidiana, è affetto da disfunzioni motorie o cognitive che hanno una ripercussione sulla sua vita sociale ma anche su quella psicologia; questo perché da sempre si guarda ai disabili con uno sguardo e un atteggiamento di pietismo, tanto che le loro disabilità diventano un’ etichetta, sempre più spesso infatti questi vengono definiti e riconosciuti per le loro disabilità, il sordo, il cieco….dimenticandosi che il disabile è una persona, un individuo con una propria identità,con una propria connotazione, con caratteristiche proprie. “La disabilità non è un mondo a parte, ma una parte del mondo”. Esistono anche persone con disabilità ma che non si definiscono tali e riescono a svolgere qualsiasi attività,come abbiamo visto nel caso di Rossella Atzori che è riuscita diventare una ballerina affermata pur avendo una grave menomazione alle braccia, o ancora il caso di Oscar Pistorius che è riuscito a diventare un grande atleta grazie al suo piede in fibra di carbonio, il flex foot, questi sono esempi di persone che hanno avuto coraggio e tanta fiducia nella vita, autentici esempi di resilienza.
    Ed è per questo motivo che dal 2003 si iniziò a proporre l’utilizzo dell’espressione diversabilità invece di disabilità,la questione non è meramente terminologica poichè questa nuova espressione vuole mettere in risalto, che ciò a cui ci riferiamo è una persona,la quale oltre ad avere una dis-abilità, possiede anche delle abilità diverse dagli altri da scoprire, far emergere e potenziare, lo scopo di questa rivisitazione terminologica è di osservare le persone con deficit in una nuova prospettiva. Nel corso degli anni, come potremo leggere di seguito molte cose sono cambiate…ma molte altre devono ancora cambiare, come diceva la protagonista di un video visionato in aula riguardo alle barriere architettoniche che ostacolano la vita di queste persone.
    ICD
    Nel 1970 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) elabora la “classificazione Internazionele delle malattie” o ICD, tale classificazione poneva l’accento sull’eziologia delle malattie che venivano tradotte in codici numerici per semplificare la memorizzazione, la ricerca, e l’analisi dei dati.
    EZIOLOGIA___PATOLOGIA___MANIFESTAZIONE CLINICA.
    ICDH
    L’ Oms nel 1980 mise a punto una nuova classificazione internazionale, l’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps detta brevemente ICIDH, questa nuova classificazione si basava su 3 fattori tra loro interagenti e interdipendenti e dava loro un nuovo significato, infatti menomazione, disabilità e handicap verranno sostituiti da menomazione, abilità e partecipazione, ciò implicava un maggior coinvolgimento sociale del soggetto e prestava maggior attenzione alle sue capacità. Inoltre con questa classificazione si metteva ordine nel campo delle “parole” utilizzate nel campo della disabilità :
    MENOMAZIONE: una qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. Possono essere transitorie o permanenti.
    DISABILITà: incapacità, conseguente a una menomazione, di svolgere determinate funzioni considerate normali per un individuo.
    HANDICAP:difficoltà che ha la persona con disabilità ad affrontare il confronto con gli altri che si trasforma in un disagio sociale.
    La disabilità può portare all’handicap, e questo a sua volta può nascere in seguito a una menomazione, senza comportare uno stato di disabilità permanente.
    ICF
    L’Oms nel 2001 pubblica una nuova classificazione, l’ICF, secondo questa classificazione la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole, la novità dell’ICF è che non classifica solo le condizioni di salute, malattie, disordini o traumi, che restano oggetto dell’ICD, questa invece prende in oggetto il contesto, quindi studia l’influenza positiva o negativa che l’ambiente in cui vive la persona affetta da patologia può avere sulla qualità della vita della persona stessa. Quindi stando a questa classificazione un contesto “sfavorevole” puo condizionare in maniera negativa la vita di un disabile e far nascere così degli handicap, come nel caso delle barriere architettoniche che rendono inaccessibili la maggior parte degli spazi pubblici alle persone disabili, nel caso opposto invece possiamo vedere come la domotica per disabili sostenga queste persone e renda la loro vita più confortevole e autonoma.
    2)
    Nel testo Complessità della persona e disabilità, Anna Maria Murdaca affronta questioni quali: l’integrazione, complessità e umanità della persona, inclusione e inserimento del disabilie, la cura e la relazione educativa.
    La Murdaca in questo testo appare fermamente convinta che è il contesto sociale a originare l’handicap, sono gli ostacoli, le barriere culturali e i pregiudizi sociali a determinare il processo di esclusione o emarginazione sociale.
    Ciò viene scritto e pubblicato nel 2001 anche dalla classificazione ICF dell’OMS in cui veniva sottolineata l’importanza dell’ambiente come componente che influenza la vita dell’uomo, in particolare quella dei disabili. L’ambiente quindi può ostruire o agevolare il processo per l’integrazione. L’ handicap essendo una costruzione sociale da vita a diversi stereotipi, finendo per dimenticarsi che dietro una menomazione vi sono delle persone, ognuna con la propria singola identità… “Ogni disabile ha la sua storia”...a questo proposito vorrei riportare la frase di un film che ha rappresentato per me un’ occasione per profonde riflessioni; il film è “Si può fare” diretto da Giulio Manfredonia, la scena di riferimento è quando il protagonista Nello riesce ad ottenere il trasferimento dei soci della Cooperativa 180 in un’altra sede e dettando le nuove regole ai pazienti non più internati nei manicomi dice : “Quello di cui abbiamo bisogno sono dei Lavoratori, e poi dopo se necessario dei malati di mente”. Questa frase secondo me è rappresentativa del suo non guardare i pazienti come malati, ma prima di tutto li considera PERSONE, ed è proprio grazie a questo suo modo di vedere la malattia, e alla sua grande volontà di vederli guarire,che riesce a donare a tutti loro un futuro migliore…o quanto meno a fargli provare emozioni positive mai vissute prima…
    Il testo Complessità della persona e disabilità tende alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione, alla comprensione delle reali condizioni di vita, al ruolo che può effettivamente assumere un disabile e i servizi che vengono erogati per le sue esigenze. Il fine di tutto ciò è la valorizzazione della persona, non tralasciando il rispetto per le differenze .Inoltre scrive l’autrice che ci troviamo di fronte ad un nuovo “paradigma del benessere” ed è per questo che prende vita un nuovo modo di intendere l’integrazione :
    -come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica.
    -come condivisione di valori etici.
    L’ integrazione è quindi un processo continuo, non un punto di arrivo, è una propensione per valorizzare al meglio le dotazioni individuali.Quindi non ci si impegna più per un semplice accudimento, ma le nostre azioni sono orientate per l’emancipazione dei disabili. La realizzazione di questo è tutta affidata alla fantasia, e alla capacità dell’educatore di instaurare l'educando un profonda e significativa relazione educativa.
    La relazione educativa è un legame complesso che si forma tra educatore e educando, ogni relazione è un incontro, è uno scambio, partecipazione ed alleanza, e non deve essere presenti disparità, anzi si deve creare un rapporto alla pari senza differenze, dove ogni soggetto si senta libero di esprimere le proprie idee e confrontarsi liberamente con gli altri. Nel caso in cui stabiliamo una relazione educativa con un disabile è fondamentale possedere una certa sensibilità, per capire i suoi bisogni e riuscirlo a conoscere. Compito dell’ educatore è inoltre quello di fare del suo meglio affinchè le qualità e le doti del disabile emergano al meglio, offrire loro pari opportunità dei normodotati, non mettere in luce le “mancanze” ma evidenziare le capacità, le doti di ogni persona!!!

    3)
    Cos’è la bellezza? La bellezza sembra sfuggire a qualsiasi definizione, ma ciò nonostante, in tutte le epoche quando si parla di bellezza ci si riferisce a sensazioni piacevoli suscitate dall’osservazione di un oggetto, un animale, un fiore, un quadro, una donna, e che sviluppano spontaneamente in noi emozioni piacevoli.
    Da sempre gli artisti, scultori e pittori, riproducono nelle loro opere l’ideale di bellezza della loro epoca. La bellezza infatti è funzione del tempo, i canoni infatti cambiano ma restano validi per il periodo indicato.
    Nell’ odierna società dei mass-media, giornali, televisione, moda contribuiscono a diramare un canone estetico sbagliato per cui le donne dovrebbero costruire la propria immagine e identità rincorrendo costantemente, quasi come un dovere per il solo fatto di essere donne, la triade Bellezza-Salute-Giovinezza. Ho definito questo canone sbagliato perché con i modelli di perfezione e magrezza che propone contribuisce a creare e a diffonder stereotipi ben noti sul corpo e sull’immagine delle donne. Ramaury nel suo saggio Il gentil sesso debole, sostiene che la condizione della donna rispetto al mondo antico non è affatto cambiata, la donna moderna infatti risulta ancora schiavizzata seppur da “padroni” completamente differenti, poichè per corrispondere ai nuovi rigidi canoni estetici, per conservare un aspetto giovane, tonico e magro è pronta a tutto, anche ad affrontare spese e sofferenze fisiche come la chirurgia estetica.
    Anche La terza donna di Lipovetsky che illusoriamente crede di essere libera, emancipata e di aver raggiunto la parita dei sessi, dimostra comunque la sua sottomissione ai modelli dominanti, per cui è obbligata dalla società a raggiungere il corpo perfetto.
    Quando si pensa ad un corpo perfetto, bello, affascinante, molte ragazze hanno subito, chiare nella loro mente, immagini di veri e propri scheletri. Corpi scarni al punto da lasciare intravedere le ossa…
    NON si può parlare di bellezza. Non lo è… Si è arrivati ad idealizzare l’ anoressia come se fosse un mast dei nostri tempi…Basti pensare alle modelle che ogni giorno appaiono sugli schermi delle nostre tv facendo passare così un messaggio che non è assoluto…
    Un esempio tra tanti può essere rappresentato dalla modella Kate Moss che in diverse campagne pubblicitarie pesava poco piu di 50 kg nonostante la sua altezza,quindi era eccessivamente magra e lontanissimo dai dai canoni estetici classici… non che una donna per essere bella debba essere necessariamente “in carne”, ma se si pensa all’ arte antica, quella greca e romana, ci vengono subito in mente corpi “voluminosi”, con seni, glutei e fianchi prominenti, donne così raffigurate erano simboli di sensualità e bellezza!!!
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    Messaggio  Lucilla Graziani Ven Mag 18, 2012 5:17 pm

    1]PASSAGGIO DALL'ICD ALL'ICF.L'OMS è 'l'organizzazione mondiale della sanità',che si pone come obbiettivo quello di raggiungere il piu alto livello possibile di salute,inteso pero come condizione di completo benessere sia fisico che mentale e sociale.La prima classificazione stilata nel 1970 da quest'organizzazione è l'ICD ovvero la 'classificazione internazionale delle malattie'.Questa è una vera e propria catalogazione internazionale delle malattie,fornendo in piu per ogni malattia,sindrome o disturbo che sia, una descrizione accurata delle principali caratteristiche cliniche e diagnostiche.In seguito negli anni 80 l'ICD venne sostituita dall'ICIDH 'International classification of impairments,disabilities and handicaps'.Questa nuova classificazione si basa principalmente su 3 tipologie di disabilità,collegate tra loro;la menomazione,la disabilità e l'handicap.La menomazione consiste in una perdita materiale o qualsiasi anormalità,difetto,a carico di arti o altre strutture del corpo,compreso le funzioni mentali.Provoca danni che portando a una disfunzione,data da una mancanza ed ad un errato funzionamento degli arti in questione.Puo essere temporanea,avvenuta come conseguenza di un incidente o degenerativa.Per disabilità invece intendiamo ogni limitazione o perdita subita,ogni limitazione,conseguente alla menomazione,nel poter svolgere attività ritenute normali per un essere umano.Il termine handicap sta ad indicare uno svantaggio,una difficoltà,un disagio anche sociale che la persona ha,a causa di una perdita o ad una menomazione.Molto spesso ci sono persone che considerano come handicap solo i problemi di chi ha qualche deficit,pensando che questi ultimi siano persone differenti da noi umanamente.Parlano definendoli 'handicappati',mettendogli questo appellativo proprio per calcare la differenza,come termine dispregiativo,proprio come il laboratorio dell'emarginazione e la città..'Ma chi siamo noi per giudicare gli altri?ognuno ha la sua debolezza,un suo"problema",ma non per questo dobbiamo essere esclusi dalla societa,dal mondo.Usiamo mille appellativi ma siamo tutti uguali e in equal modo dobbiamo essere trattati.Questa è discriminazione,ma nessuno merita di stare fuori dal mondo e di vivere dietro i giudizi degli altri'.Nel 2001 l'OMS propone una nuova classificazione,piu innovativa rispetto alle precedenti:ICF,'Classificazione internazionale del funzionament della disabilità e della salute'.L'ICF non classifica solo le malattie ma il loro funzionamento e le conseguenze che queste hanno sulla vita del paziente.Questa nuova classificazione ha un linguaggio comune,internazionale ma anche interculturale,appunto per poter essere compresa da tutti,ma sopratutto ideata per essere usata per qualsiasi fascia d'età,e per qualsiasi cultura,per descrivere presenza e assenza che sia di disturbi,lesioni o menomazioni,applicabile anche su persone che sono in perfetta salute.Il passaggio dall'ICD all'ICF c'è stato in particolar modo poiche le informazioni che venivano date dalle diagnosi mediche non erano sufficienti per avere un reale quadro funzionale della persona,per sapere cio che quella persona era in grado di fare e di non fare.Questa classificazione dell'ICF ci porta a fare una distinzione tra le parole disabile e diverso.DISABILE.L'espressione disabile sta ad indicare una persona,sottolineando il suo deficit,la sua mancanza,la sua impotenza nello svolgere regolarmente le azioni piu normali e quotidiane.Il disabile puo essere un soggetto con disturbi fisici o psichici,con delle mancanze,delle ridotte competenze,ma questo ci fa spesso dimenticare che questo possiede anche delle altre abilità.In molti casi,nei confronti delle persone che hanno delle disabilità,il termine disabile gli viene appellato come un etichetta,il suo nome diventa automaticamente quello.ma il disabile va ben oltre questo,ben oltre i giudizi delle persone,ben oltre degli appellativi...disabile è sinonimo di forza di volontà,di coraggio,di voglia di vivere.un chiaro esempio di questo sono Pistorious e l'Atzori..veri casi di resilienza..sia Oscar Pistoroius che Simona Atzori con la loro voglia di vivere e la loro passione per la corsa e per la danza ci ha insegnato che non bisogna mai mollare,che nulla è impossibile per chi ha un sogno.Loro nonostante i loro 'limiti' hanno raggiunto i propri sogni,con coraggio vivono la vita e non si sono mai arresi ai problemi,ma hanno fatto di questi un motivo per vivere,per combattere.DIVERSO.Con il termine diverso stiamo ad indicare una persona che ha dei tratti differenti rispetto alle persone'normali',mettendo cosi in risalto la normalità degli altri ma sopratutto si tratta di una persona cha ha potenzialità differenti dagli altri.Per questo motivo vengono anche chiamate persone diversamente abili,per far si che possano essere osservate sotto una luce diversa,una luce positiva e speranzosa.A ridurre gli handicap delle persone con disabilità,ci sono gli ausilli,apparecchiature che gli danno il giusto supporto ai lori problemi.Un esempio di ausilio è la sedia a rotelle.Lascioli ci dice che i pregiudizi e gli stereotipi racchiudono i diversamente abili in una cerchia ristretta,uno 'scarto di umanità'.La verità è che la diversità è vista come non normalità,e noi molto spesso siamo intimoriti da ciò che è diverso da noi.Ma un diverso puo essere anche uno straniero,una persona con una personalità piu profonda,un genio,non necessariamente con menomazioni o problemi fisici o psichici.'Ricorda sempre che sei unico,esattamente come tutti gli altri.'Anonimo.
    2] Il libro di Anna Maria Murdaca 'Complessità della persona e disabilità' si occupa principalmente di 3 punti in particolare;il tentativo di ricostruire una nuova cultura riguardante il disabile,il termine integrazione e infine l'inserimento del disabile nella società e dei problemi con cui hanno a che fare ogni giorno.L'obbiettivo primario è quello di far venire fuori il disabile,non come persona con malformazioni,limiti o disabilità,ma quello di far venire fuori la parte umana di questa persona,di valorizzare questo loro aspetto pur rispettando le loro differenze e la loro identità,che molto spesso viene trascurata.La cultura della disabilità in primo luogo deve essere pronta a cogliere le loro disfunzioni quanto innazlare la loro qualità di vita.Per questa nuova costruzione dell'identita è molto importante il contesto sociale.Infatti murdaca sottolinea molto il ruolo e l'importanza che ha il contesto sociale nella vita di queste persone;la società,la famiglia,la scuola,il lavoro possono influenzare molto le loro capacità ma sopratutto possono influenzare lo stato di salute fisica e mentale diventando delle verie e proprie barrirere per la comunicazione .Tutti questi contesti,per fare un buon lavoro,dovrebbero andare ben oltre le loro normali mansioni,ma soffermarsi sulla piena complessità della persona affinche possano dare ad essa una crescita in tutte le varie dimensioni.La famiglia deve essere sempre presente sostenendolo e la scuola,in particolar modo l'insegnante, in primo luogo deve sviluppare l'integrazione del disabile nel contesto classe ,aiutandolo con programmi specifici a far emergere le sue capacità.Molto importante nella relazione educativa è avere un clima,un contesto favorevole all apprendimento,in modo da farlo sentire a proprio agio e in modo da farlo aprire. . .L'integrazione non ha mai fine,non ha un punto di arrivo,è un processo continuo,in continua ricerca di strategie e soluzioni per i disabili.Il Documenti di Miur ci dice che l'integrazione viene intesa come 'astratta normalita',cioè che ha il compito di valorizzare al meglio le abilità del signolo,dell'individuo.'Non si dovrebbe mai definire nessuna persona per sottrazione',ed è proprio con questa frase Anna Maria Murdaca ci invita a tener conto che nessuno ha il diritto di giudicare gli altri,tanto meno per un qualcosa che non hanno o che non sanno fare,ma tenere sempre in considerazione l'umanita dell'individuo e per le sue capacità che lo fanno contraddistinguere dagli altri. Io credo che comunque integrazione significa anche questo,aiutare le persone con bisogni specifici e particolari,che sia in un contesto sociale o culturale, di aiutarli a vivere una vita,che anche se problematica e complessa,ha necessità di essere vissuta come tutti quanti gli altri. Siamo in un paese libero,e nessuno sta al di sopra di nessuno,infatti come afferma la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali nella dignità e nei diritti»,per cui anche le persone che richiedono continuamente aiuto e sostegno, che sono diversi sul piano fisico e mentale, che vivono al margine di un esistenza,hanno i diritti di tutti gli altri,hanno e devono avere pari opportunita affinche si soddisfino i loro bisogni e nessuno puo giudicare in base a cosa hanno o non hanno.L’ultimo punto di cui tratta il testo”complessità della persona on disabilità’ ci fa riflettere sul ruolo che hanno i disabili nella società.Gli ultimi tempi sono stati per noi motivo di forti problemi e di preoccupazioni,a causa della crisi generale che cì’è in atto,anche i disabili ne risentono,e vivono anche loro un momento di oblio. Raramente si parla della loro vita e dei loro diritti; presi dalle preoccupazioni economiche e politiche, spesso ci dimentichiamo della presenza di queste persone che hanno bisogno di aiuto molto piu di noi e soprattutto hanno bisogno di attenzioni specifiche per la loro crescita sia umana che sociale. Bisogna agire per migliorare la loro vita,in tutti i contesti,sociale e relazionale,dato che la vita del disabile non inizia e non termina solo con l'esperienza scolastica, ma ha bisogno di essere sempre valorizzata in ogni contesto.Bisogna far si che i disabili si approprino degli spazi sociali proprio come tutte le altre persone, che abbiano la possibilità di utilizzare i mezzi pubblici con facilità, di poter andare a fare compere come tutti, di vivere come tutti...di far si che la presenza del disabile diventi un fatto "comune",normale,di dare la giusta possibilità a loro di sentirsi meno esclusi dalla società,di dare a loro la normalità che vogliono e che meritano.E quando diventera normale tutto questo, ovvero che la presenza del disabile nei vari contesti sociali non susciterà piu notizia e riusciremo a far diventare consuetudine ciò che prima era speciale,significa che si è davvero sulla buona strada,per far diventare questo mondo,un posto piu civile e umano.
    3]Remaury e Lipovetsky nei loro testi ‘l gentil sesso debole, Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute’ e ‘La terza donna’,affrontano il tema della bellezza associandolo alla triade:giovinezza,salute e bellezza. Bellezza e salute infatti sono gli ideali del nostro tempo. Quando si parla di donna oramai la si associa automaticamente al bellezza,al culto del corpo,e ciò ci fa pensare che la bellezza,a sua volta,è associata all’idea che la dona la coltivi.“La donna – scriveva Baudelaire – ha pieno diritto di apparire magica e soprannaturale, e anzi sforzandosi di farlo adempie a una sorta di dovere”.Le pubblicità pongono al centro dell’attenzione quasi sempre un’immagine che evoca e idealizza la bellezza,la giovinezza,modelle sempre più inverosimili, dal fisico scolpito e perfetto. Questo fa si che molte donne passino ore e ore in palestra,nei centri estetici,per migliorare il loro aspetto.Molte ricorrono addirittura ai chirurghi estetici che realizzano interventi su misura in molte parti del corpo,per ingannare il tempo e raggiungere la”perfezione”.Diverse indagini dicono che alle persone che vengono reputate attraenti vengono attribuite anche virtù come l’onesta,la bontà ,la gentilezza e l’intelligenza. Questi fanno una differenza tra tre tipi di corpi,quello trasfigurato quello esatto e quello liberato ma lui in particolar modo si sofferma su quest’ultimo,affermando che è liberato dalla malattia,dal tempo e dal peso,ovvero sano giovane e magro.Ed è appunto da questo che nasce ”la terza donna” di Lipovetsky.Nei suoi testi riflette sulla femminilità della donna,facendo un passaggio fra tutte le varie epoche. Nella prima donna c'era la sfruttata e fin troppo sottovalutata,la seconda donna invece era quella che rappresentava per eccellenza l’idea di virtù.La terza donna a differenza delle precedenti nasconde la sua sottomissione ai modelli imposti dalla società e questo la spinge a raggiungere un corpo perfetto'prima il corpo doveva servire,ora è l'individuo che deve essere al servizio del corpo'Baudrillard.Un altra autrice che possiamo ricoleggare a Remaury e a Lipovetsky è Rosi Braidotti che con il suo testo'Madri mostri e macchine'ci vuole introdurre un nuovo ideale di donna.Un ideale che ha come legame il rapporto corpo-macchina,collegato percio alla tecnologia e quindi mostruoso.Il corpo femminile che raffigura oltre alla maternità e alla mostruosità anche la macchina.per lei questo viene visto dall uomo come un qualcosa di orribile, di mostruoso, ma allo stesso tempo di meraviglioso e affascinante.Si pensi alla capacità della donna di deformare il proprio corpo nella maternità,che diventa allo stesso tempo madre e mostro.Io credo che la bellezza sia relativa e soggettiva,tutto ciò che ci circonda è bello,ci cambia il modo di vedere le cose e le sensazione del momento,se sei positivo vedi tutto a colori,al contrario,il mondo intorno ti appare sempre buio e triste.Ma la bellezza per eccellenza è proprio questo, il tutto e il niente,il colorato e il nero,dipende da te stesso come lo vedi,con che occhi lo guardi.
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    Messaggio  Gallo Luisa Ven Mag 18, 2012 5:28 pm

    Passaggio dall’ICD all’ICF
    Negli anni 70’nasce l’ICD organizzazione mondiale sulla classificazione delle malattie,fornendola sull’aspetto eziologico della malattia,fenomeno che per ogni sindrome e disturbo usa una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e indicazioni diagnostiche,dove venivano tradotte in codici numerici.
    Negli anni 80’nasce l’ICDH dove l’OMS ovvero l’organizzazione mondiale della sanità,si basa su tre fattori che coincidono tra loro:MENOMAZIONE,DISABILITA’E HANDICAP che poi vennero sostituite da menomazione,abilità e partecipazione.
    MENOMAZIONE:è qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o definizione psicologica fisiologica o anatomica.
    Una patologia che comporta un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo.
    DISABILITA’ E DIVERSITA’:la disabilità il più delle volte viene associata a diversità che non hanno il medesimo significato ma bisogna fare un accurata distinzione;La disabilità è la condizione personale di chi in seguito ad una o più menomazione ha una ridotta capacità d’interazione con l’ambiente sociale rispetto a tutto ciò che è considerata la norma,ossia l’incapacità conseguente alla menomazione di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo e nell’ampiezza considerati norme per l’individuo.
    Per disabilità,s’intende anche handicap e deficit,i due termini nel linguaggio comune vengono associati l’uno all’altro,il deficit e la difficoltà a maturare quelle disposizioni o capacità della persona necessarie alla realizzazione progressiva della personalità integrale.
    L’handicap:è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri,infatti nel termine italiano deriva da “SVANTAGGIO”.
    Per quanto riguarda il deficit,ho parlato dell’Atzori e Pistorius quali sono accomunati dalla mancanza dei propri arti.
    La diversità è spesso usata come una minaccia della propria identità e per questo la presenza del “diverso” spesso genera sentimenti di paura,ansia e sospetto.
    Basta pensare alla presenza di alunni stranieri o di portatori di handicap,invece se solo si riuscisse a capire la differenza non come un limite alla comunicazione ma come un valore una risorsa,un diritto e l’incontro con l’altro potrebbe essere in certi casi anche scontro ma non sarebbe mai discriminazione.
    Io penso che vivere come una persona disabile sia veramente difficile,se poi le stesse non si favoriscono servizi e strutture adatte per muoversi e vivere se parliamo di strutture le cosi dette barriere architettoniche che per noi sono dei piccoli ostacoli da scavalcare mentre per loro diventano delle “montagne da scalare” e sfiderei chiunque a vivere cosi.
    EMARGINATO:l’emarginazione è un grosso problema che ci riguarda molto da vicino,l’individuo viene emarginato perché non è ben inserito nella società può dipendere da vari fattori:sociale,economico o civile però il più delle volte vittima dell’emarginazione è il disabile che viene umiliato e ghettizzato.
    Riguardo questo termine in classe abbiamo svolto un attività laboratoriale ho partecipato alla vita odierna di un cittadino facendo parte di esso.

    ESERCIZIO 2
    Anna Maria Murdaca sostiene che gli ostacoli del disabile sono l’esclusione e l’emarginazione come quelle mentali e culturali.L’ambiente è un elemento fondamentale che influenza la vita degli individui:la società,la famiglia,il contesto lavorativo dove il disabile cercherà di relazionarsi all’interno di esse.
    Murdaca attraverso il testo complessità della persona e disabilità tende a valorizzare la persona umana con il rispetto delle differenze e identità.
    La Murdaca introduce anche il concetto di Cura di sé ossia una ridefinizione del proprio essere, in quanto la cura è vista come una continua emancipazione dei soggetti coinvolti, alla realizzazione dell’uomo per ciò che è e per ciò che egli vuole diventare.
    L’educatore oltre che ad occuparsi dell’integrazione sociale e del sostegno dei bambini,egli farà da supporto anche per gli adulti, in quanto dovrà essere pronto ad affrontare ma soprattutto a saper ascoltare le problematiche di chi avrà davanti a sé, i rapporti educativi prima di essere tali sono rapporti umani e la scuola dovrebbe essere la prima agenzia formativa in questo senso, quali una volta applicati diverranno APPRENDIMENTO.
    La relazione educativa si costruisce con l’altro e per l’altro si dispone nella dimensione dell’essere per l’altro che si traduce in ascolto.
    Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile,l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile.Inoltre non mettere in luce le “mancanze” ma evidenziare le potenzialità.


    ESERCIZIO 3
    Remaury e Lipovetsky parlano di una triade bellezza,salute e giovinezza ,la bellezza secondo Remaury è un obiettivo che ognuno di noi pretende di raggiungere per essere accettato dalla società.
    Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che una donna oggi deve continuare ad avere se vuole restare in televisione.
    Ad esempio Remaury,nel “gentil sesso debole”dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione che secondo me non esiste poiché ognuno è perfetto con i suoi difetti.
    Lipovetsky nel suo libro,La terza donna ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza,basata sull’apparenza,la donna la fa venire fuori come colei che controlla e gestisce la propria immagine all’interno dei modelli offerti dalla società e piuò scegliere quello che più le aggrada.
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    Messaggio  TammaroAlessia89 Ven Mag 18, 2012 6:06 pm

    C'è un modo di dire universalmente conosciuto, ovvero "pensa alla salute"!
    Ma che cosa significa veramente essere in salute? e chi e cosa decretano malattia o salute? La salute come concetto è molto difficile da definire, in genere si intende l'essere tesi verso un equilibrio da un punto di vista fisico, psicologico e spirituale. L'OMS, acronimo di Organizzazione Mondiale della Sanità, si impegna a rispondere a queste domande. Facendo un percorso diacronico, arrivando all'incirca negli anni 70, troveremo le prime risposte con l'ICD, Classificazione Internazionale delle malattie". Questa iniziale classificazione era una sorta di grande enciclopedia, solo che anzichè cercare parole come "Francia o Napoleone" si poteva accedere ad una dettagliata descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indiacazioni diagnostiche delle varie patologie e sintomi. Essendo la prima classificazione, c' erano ancora molte cose da rivedere, come ad esempio, l'affibbiare un codice numerico ad ogni malattia, e lo stesso discorso valeva per la disabilità. Un paraplegico, nella classificazione, poteva così ritenersi il numero 20 o 30. Questo iniziale ICD, usava tre termini in particolare, ovvero: MENOMAZIONE, DISABILITA' e HANDICAP (SVANTAGGIO). Proprio durante questo corso, abbiamo imparato l'importanza di usare sempre la terminologia adatta; proviamo quindi ora a definire meglio queste tre parole. La MENOMAZIONE è una qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura, o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. La menomazione può essere transitoria o permanente e comprende o un' anomalia, o una perdita, o un difetto a sfavore di un arto, un tessuto o una qualsiasi altra parte del corpo. La DISABILITA' è una qualsiasi perdita, limitazione o incapacità conseguente ad una menomazione di compiere un' attività nel modo e nell' ampiezza considerati normali per un essere umano. La disabilità non è semplicemente un deficit, ovvero la mancanza totale o parziale di una determinata funzionalità fisica. Come ho già scritto nel laboratorio sulla relazione educativa: una persona può avere una menomazione, ma se vive in un ambiente che gli consente di stabilire benefici e benessere, la sua menomazione non diventerà disabilità. Al contrario, quando un individuo, incontra delle difficoltà nel rapportarsi al suo ambiente esterno, quando vive uno svantaggio, un disagio sociale, o una qualsiasi limitazione, in quel momento egli vivrà un HANDICAP. Un qualsiasi discostamento dal normale svolgimento della vita in seguito a problemi con l'ambiente esterno sarà un handicap; termine che in passato veniva usato in modo inappropriato. Nel 1980, l' ICD fu rivisitato e fu cambiato con l' ICIDH, ovvero International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap; e furono anche cambianti i termini usati in: menomazione, abilità e partecipazione. Una delle prime carenze dell' ICD che l'ICIDH cercò di colmare, si riferiva al fatto che la diagnosi da sola, non può fornirci un'immagine completa della persona malata. L' ICIDH presta una maggiore attenzione al coinvolgimento sociale delle persone, e un interesse maggiore nei confronti dei soggetti con deficit. Riferendoci però alla qualità, della vita delle persone, prese in considerazione e la loro partecipazione, non si era in grado di rispondere agli interventi necessari a migliorarla. Purtroppo l'ICIDH è stato il prodotto di pochi ricercatori e non è seguito nessun processo per assicurare la sua applicabilità. L' ICIDH era una classificazione per le persone con disabilità piuttosto che una classificazione della reale partecipazione umana e del reale funzionamento umano (ovvero quanto bene vive un soggetto). Queste due classificazioni, più attente alla malattia, che allo stato di salute furono sostituite da un nuovo acronimo ICF, che stava per Classifcazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, la cui approvazione avvenne nel 2001 da parte di 191 paesi. Per meglio rispondere alle esigenze di una società in continuo cambiamento, l'OMS ha promesso che l'ICF sarà continuamente rivisitato e rivalutato, per stare al passo con i tempi, considerando sempre l'intera persona e l'ambiente esterno. I tre termini che invece usa l'ICF sono: FUNZIONI, STRUTTURE CORPOREE e ATTIVITA'\PARTECIPAZIONE. L'attività si focalizza su ciò che viene svolto da soli, mentre la partecipazione su ciò che viene svolto in società. La chiave di lettura che utilizza l'ICF distingue tra: Funzionamento e Disabilità; e Fattori contestuali. Il primo si riferisce alla menomazione e alle restrizioni di attività e partecipazione; mentre il secondo considera tutti i fattori esterni che possono influenzare la persona. I fattori personali, quali età, sesso, stile di vita, ecc non sono classificati, poichè devono essere sempre valutati da soggetto a soggetto. L'ICF rispetto ai modelli precedenti è unico, poichè esso è attento alla salute e a tutti i suoi funzionamenti e determinanti. La cosa speciale di questa classificazione è che essa usa un linguaggio internazionale, in tal modo tra i vari addetti ai lavori nei vari paesi, non si creano incomprensioni, ed è così facilitata la comunicazione tra i professionisti che si interessano della salute. L'ICF pone al centro la qualità della vita delle persone affette da una malattia e ci fornisce un quadro su come esse vivono con la loro condizione e su come sia possibile migliorarla, e rendere serene e felici le loro esistenze. La disabilità è un tema affrontato in modo molto scrupoloso dall'ICF, che la definisce come una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. La disabilità, con l'ICF abbandona quella tradizionale figura di esperienza di vita negativa, e quell' immagine di stato di malattia. Spesso durante il corso ci siamo chiesti come un disabile viva la sua vita e quali problemi\pericoli affronta; argomenti del genere li abbiamo affrontati ad esempio nel laboratorio sulle barriere architettoniche e con l'esercizio orologio. Purtroppo oggi si vive in un'epoca di egoismo, indifferenza e del sentirsi sicuri solo perchè il problema non ci tange in prima persona, o perchè non ci è capitata una sorte simile. Immedesimarsi nella vita di un disabile non è facile, specialmente per chi è abituato alle sue solite comodità. Immagino la fatica fisica che una persona divers-abile affronterebbe nelle mie giornate, correndo tra casa-metropolitana-pullman-università ecc, dove anche io normodotata, specialmente dei cinque sensi, incontro mille difficoltà. Se l'Art 3 della Costituzione Italiana sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzioni, è bene allora riflettere, quanto effettivamente ogni persona possa sentirsi partecipe della normale vita sociale, politica ed economica senza intralci e problemi di nessun genere. Nei modelli precedenti, il contesto risultava intervenire in modo non significativo sul grado di disabilità della persona. Per l'ICF il totale stato di salute, non è dato solo dai fattori biologici e psicologici, ma anche e soprattutto da quelli sociali e contestuali; infatti l'ICF è anche detto il modello biopsicosociale. Un contesto favorevole, armonioso, è molto importante e influente per ogni persona, e per permettere che partecipi alla vita pubblica e viva un' esistenza serena, a prescindere dalla sua disabilità o diversità. Il disabile come è emerso da alcuni quesiti posti durante il corso, ci spaventa, lo temiamo perchè è diverso, ma questi due sono termini differenti. Forse ancora oggi viviamo questi problemi perchè siamo circondati da disinformazione, e facciamo ancora molta confusione tra le varie parole e il loro giusto significato. Disabile è colui che è impossibilitato a svolgere le normali attività della vita quotidiana, a causa di una mancanza, o di un diverso funzionamento di una o più abilità. Molto spesso il disabile scopre i suoi dusturbi fisici o psichici, confrontandosi con l'ambiente esterno, e con le persone normodotate. Il soggetto disabile è comunque un individuo, con la propria identità, che lo caratterizza e lo rende unico, esattamente come tutti gli altri. Il diverso è tutt'altro. Il diverso, è sempre tale, perchè è fonte di una categorizzazione. Il diverso è colui che la società ha etichettato come tale, per degli schemi fisici, mentali o comportamentali difformi dalla normalità... La noramlità, che parolone, chi decide chi è normale, e con quale criterio? chi ci pone questi canoni? Il diverso ci intimorisce, ci spaventa, ma lo potrebbe essere chiunque di noi: chi parla una certa lingua, chi veste in un determinato modo, chi segue una divinità piuttosto che un' altra, chi è di colore... ma non per questo, va posto ai margini della società, non per questo deve essere deriso, allontanato, emarginato o umiliato. Chiunque di noi, in un determinato contesto, potrebbe uscire fuori dai canoni standardizzati, e finire per essere l'etichettato di turno. Come abbiamo provato sulla nostra pelle, nel laboratorio inerente l'esperienza dell'emarginazione, nel quale io che porto gli occhiali, ero stata esclusa dalla società. Io che parlo sempre, sentirmi dall'altra parte, non è stato facile, anche se solo per qualche minuto, parlare e non avere voce, non essere ascoltata, è stato brutto. Avere le spalle della docente, che non ci degnava di uno sguardo. In quei pochi minuti ho provato la sensazione, che hanno provato per secoli, milioni di persone, ed è stato insopportabile. Sarebbe bello se ognuno di noi capisse quanto sia utile aprirsi all'altro, conoscendolo, andando oltre l'apparenza, e come piuttosto che perdersi solo nell'incontentabile parlare, sia bello anche l'avere pazienza di ascoltare senza pregiudizi. Purtroppo viviamo di stereotipi, inutile negarlo, anche se siamo nel 2012, questi sentimenti esistono ancora nelle persone. Far sentire gli altri deboli, diversi, indubbiamente alimenta a dismisura l'ego di alcune persone; persone che credono di sentirsi grandi, rimpicciolendo gli altri. Come diceva già Aristotele " l'uomo nasce come animale sociale" , il contesto conta molto, l'uomo è predisposto per natura a stare con gli altri, e nessuna legge, regime, dittatura o canone può e deve impedirglielo... porre un essere umano ai margini della società, togliergli i suoi diritti è una cosa inumana... è trattare gli uomini come, o peggio delle bestie. Tutti dobbiamo essere sullo stesso piano, e tutti abbiamo il diritto di essere, fare e dire quello che vogliamo. In particolare il titolo che ho dato al laboratorio, mappa degli steriotipi, LA DIVERSITA' SALVA LA SPECIE, dimostra bene la mia posizione riguardo questi argomenti. Io credo che un mondo fatto di individui tutti uguali, sarebbe davvero molto monotono; il bello della vita sta anche nel potersi confrontare con la diversità e la disabilità e scoprire che ogni persona ha qualcosa da offrirci. Ma quale approccio scegliere con i divers-abili? E' preferibile usare un approccio caritatevole, che garantisca priorità e privilegi, o è necessaria l'integrazione e l'accessibilità? Nel 1970, la legge 118 a favore degli invalidi, sanciva l'importanza di agire nell'ottica dell'inserimento. Anna Maria Murdaca, docente esperta e autrice competente in questioni realtive la persona con disabilità, scrittrice del testo Complessità della persona e disabilità, suggerisce di abbandonare le modalità precenti, dirigendosi verso l'inclusione adottando l'ottica della globalità. La Murdaca suggerisce una nuova cultura e conoscenza della disabilità, riconoscendo il valore della PERSONA. Il contesto ancora una volta quindi ritorna di estremo valore per il benessere di ogni soggetto; un contesto che sia ben informato, armonioso e favorevole. Il contesto sociale, inteso come fattore contestuale determinante nel definire la disabilità, può essere una barriera o un facilitatore; è infatti l'ambiente esterno a determinare ostacoli, barriere e condizioni di handicap. Come già accennato sopra, la condizione di handicap è la risultante di un disagio sociale, dovuta a problemi che un individuo riscontra rapportandosi con l'ambiente esterno. L'obiettivo principale è la valorizzazione della persona umana nel rispetto delle differenze e delle identità. Ma cosa si intende per integrazione? Integrare significa inserire una persona o un gruppo in un ambiente, in modo che diventi una sola parte organica; l'integrazione deve essere un processo continuo, e non un punto di arrivo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti di tutti, normodotati e divers-abili. Il termine integrazione deve essere riformulato alla luce di due nuovi orizzonti: accoglienza verso identità diverse in prospettiva umanistica; condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità, autonomia, identià e potenzialità personali. Ogni individuo deve essere rispettato, e considerato nella tua totalità, come agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri, soprattutto per i divers-abili. Essi non devono più esser definiti per sottrazione, ovvero portatori di handicap, o non vedente, o non udente... i normodatati solitamente non vengono definiti portatori di capelli castani, e tale differenza non deve più esistere. Alla luce di quanto detto, ecco come approcciare con i diversamente abili: non si deve mirare più all'accudimento, ma all'emancipazione. Dobbiamo abbandonare atteggiamenti di pietismo e compassione che non formano una persona autonoma, ma finiscono per sottolineare un'immagine di inadeguatezza e di debolezza. Per rispondere a queste nuove esigenze, abbiamo bisogno di un nuovo modo di definire anche la relazione educativa. Dimentichiamo i vecchi modi di insegnare, la persona disabile non deve solo sapersi vestire da solo o mangiare; dobbiamo fare in modo che egli stesso ripensi al proprio stato e alle proprie capacità funzionali, rimoduli la sua immagine abituale, lasciandosi alle spalle maschere, disagi, blocchi, scoprendo le forze resilienti capaci di superare le difficoltà insite nel profondo della personalità di ognuno di noi. Tutti abbiamo le pontenzialità per decidere di essere e avere ciò che vogliamo e il ruolo dell'educazione è quello di permettere l'attivarsi di questo potenziale. L'educazione parte prima di tutto dalla famiglia, che deve superare in modo veloce il trauma di aver avuto un figlio disabile, e questo non deve mai essere motivo di vergogna. I familiari devono sempre puntare ad un rapporto di collaborazione con l'ambiente esterno che circonda i propri figli, specialemente con la scuola, e gli specialisti, come gli educatori. Una delle lezioni più significative, per chi intende intraprendere la carriera di educatori, a mio avviso, è stata proprio quella inerente la relazione educativa. Come ho già scritto nel laborario: l'educatore deve essere una persona molto paziente, sensibile e aperta mentalmente alla diversità. L'educatore deve essere sempre pronto ad accettare il pensiero altrui, e mettersi in discussione. Il lavoro dell'educatore non è semplice come sembra, penso che si debba essere molto preparati, appassionati e predisposti. Trovo che l'educatore non debba sostituirsi al ruolo genitoriale, ma porsi come guida, come punto di riferimento e di sostegno. La persona che avremo di fronte sarà spaventata, sola, afflitta, scoraggiata e demotivata, ma dovrà sentire di potersi fidare di noi. D'altro canto anche noi educatori avremo tanto da imparare da chiunque ci troveremo davanti, poichè ogni relazione non è mai mono-direzioanle, ma c'è sempre uno scambio reciproco. Ogni volta che il nostro lavoro ci farà incontrare qualcuno, quella persona e la sua storia sarà per noi fonte di arricchimento personale e professionale. L'incontro con l'altro, segna sempre entrambe le persone, e ognuno ci lascerà sempre un pò di sè e prenderà un pò di noi. Come insegnava Don Lorenzo Milani, la nostra linea guida, il nostro metodo dovrà sempre essere quello dell' "I CARE", ovvero del M' IMPORTA, MI STA A CUORE. Importarsene, non solo di chi vogliamo bene, della nostra famiglia, di chi è come noi, ma di tutti, di tutta la società, non solo di una parte. Spesso capiterà nella nostra vita che incontreremo situazioni difficili, e la voglia di mollare, presi dallo scoraggiarsi sarà forte, ma non dobbiamo mai dimenticare che quelle persone hanno bisogno di noi, e molto probabilemente hanno acculumato diverse esperienze negative, di fallimento e impotenza e così sono portati a credere poco in se stessi e negli altri. La vera relazione educativa a mio avviso avviene, quando l'altro sente di poterti porre come ESEMPIO, un canale di trasmissione tra quelli più efficaci. Alla base di ogni relazione educativa dovrà esserci l'ascolto, il dialogo, il confronto e l'attesa dei tempi dell'altro nell'aprirsi e nel darsi; senza sottolineare mai le mancanze, ma evidenziare le potenzialità, le doti e le capacità di una persona. L'educatore dovrà creare un rapporto alla pari, senza differenze, in modo tale che il soggetto si senta libero di esprimere le proprie idee e confrontarsi liberamente con gli altri. Fondamentali sono stati anche i setting creati in aula, dove ho potuto osservare come alcune mie colleghe già inserite in questo mondo, agivano grazie alla loro esperienza. In ogni relazione educativa è contenuta una finalità implicita, ovvero educare alla relazione con gli altri, e che le prime relazioni costruiscono un modello per quelle future. E' importante capire che la relazione educativa, non riguarda solo l'ambito educatore-educando, o docente-alunno, ma dobbiamo trarre da essa insegnamento anche nei rapporti con i nostri genitori, amici e fidanzati. Bisognerà essere sempre attenti alla comunicazione, ma imparare a comprendere anche i silenzi; lasciamo che chi resta in silenzio ci spieghi il motivo per cui non parli,e abbia sempre la possibilità di farlo... e non affrettiamo conclusioni, pensando che non abbia nulla da dire! Forse è un silenzio che nega il dialogo, forse è un silenzio di vergogna, di umiliazione... i minuti di silenzio sono momenti molto importanti per imparare a conoscere le persone. La nuova politica socio-educativa consiste in: integrazione, differenziazione e personalizzazione. Ogni persona ha la sua storia, il suo vissuto, i suoi perchè, e ogni disabile li ha. Noi educatori dobbiamo fare in modo che ogni disabile accetti il suo corpo, impari ad apprezzarlo, e a stare in equilibrio con esso. Noi da fuori non dovremo mai fermarci solo all'apparenza e al corpo, ma è anche necessario sottolineare che ognuno di noi è un tutt'uno con il proprio corpo, lo abitiamo e non possiamo ignorarlo. Eppure quel corpo come affrontato nel laboratorio delle protesi estetiche, è da sempre la prigione dell'anima, la quale rappresenta la vera sede del nostro io. Il corpo è solo un vestito che spesso non coincide con il nostro vero essere. Il nostro corpo è il lento risultato di un cambiamento che vanta l'evoluzione di 6 milioni di anni. Noi siamo il risultato di un passato, che inesorabilmente ha corso, per arrivare a ciò che siamo oggi. La nostra corporeità negli anni ha cambiato moltissimi significati, e tutt'oggi ne ha diversi nei vari paesi del mondo. Nell'antica Grecia, chi nasceva storpio, per la vergogna spesso veniva gettato da una rupe, evitando che il resto della società potesse vederlo. Nei paesi dell'est, nelle tradizioni arabo-musulmane, il corpo femminile deve rimanere nascosto, celato il più possibile allo sguardo degli individui dell'altro sesso. Eppure quel velo, che noi occidentali vogliamo interpretare come repressione, per loro ha un senso diverso; esso, infatti, per loro significa protezione, ovvero l'essere considerate, valutate e apprezzate per quello che si è, andando al di là della fisicità della donna e delle sue curve. Non molto distante da questi paesi, ad esempio in India, non è sconveniente per una donna, mostare l'ombelico; lo stesso vale per moltissimi paesi dell'Africa, dove le donne mostrano tranquillamente il loro corpo nudo. La maschera della standardizzazione, ci rno specialmente nelle nostre ha fatto dimenticare che il nudo è la normalità. Per molti anni nelle mentalità della gente, viveva la credenza di associare il bello con il buono e il brutto con il cattivo. Più tardi negli anni, gli uomini hanno cominciato ad accettare anche la presenza del brutto, come qualcosa che inevitabilemente vive anch'esso in natura. Oggigiorno specialmente nelle nostre culture occidentali, il corpo ha cambiato la sua immagine. Con l'avvento di internet, chat, avatar, il corpo è entrato in secondo piano. Oggi si sta molte ore al pc, parlando con persone che si trovano anche dall'altra parte del mondo, così il nostro vero corpo giorno dopo giorno subisce una smaterializzazione, quasi come se fosse diventato obsoleto; tanto non ci si incontra più di persona. Tuttavia il corpo che ne ha risentito di più è quello femminile. Nell'ideale greco-romano si valorizzava un corpo di donna proporzionato tra le parti superiori e quelle inferiori, specialemente le curve dei fianchi. Nell'età gotica invece si apprezzava un seno piccolo, e la curva principale era il bacino. Molto più tardi, negli anni 60 del secolo scorso, si presentava sulle scene mondiali TWIGGY, modella attrice e cantante londinese, nota per la sua figura magra da preadolescente. Rapidamente lei e la sua minigonna, con il diffondersi della televisione nelle case, diventa una vera e propria icona, prendendo il posto della tipica donna in carne, bella anche con qualche kg in più. Da quel momento in poi, cambia il modo di vedere il corpo femminile come sesso fertile, e dalle curve sinuose, ora si vuole un corpo che sia de-femminilizzato. I problemi legati al comportamento alimentare nascono in quegli anni, dove una modella pesava l'8 % in meno di una ragazza normale, oggigiorno la situazione è precipitata, poichè il divario si aggira intorno al 25%. L'età maggiormente a rischio è quella compresa tra i 15 e i 25 anni nelle ragazze, le quali dimostrano particolare interesse per le riviste di mode, dispensatrici di stereotipi e canoni di bellezza. Quella di oggi, come suggerisce anche l'autrice Gilles Lipovetsky, è una Terza donna, che ha ormai superati i canoni passati, prima di sesso sfruttato, e poi di sesso virtuoso, esempio eccellente nella Beatrice. La donna che tutti vogliono, e che tutte vorrebbero essere è una donna volitiva e vincente, che può rinnovarsi e trasformarsi attraverso la moda, la dieta e l'esercizio fisico rigoroso. Molte indagini hanno infatti confermato che alle persone con un aspetto giudicato attraente vengono attribuite anche altre virtù interiori, come bontà, gentilezza e intelligenza magari inesistenti. Remaury, nel testo Il gentil sesso debole, ci dice che siamo tutti alla rincorsa della perfezione, i cui canoni sono giovinezza, bellezza e salute. Il corpo che tutti richiedono è totalmente diverso, modificarlo, perfetto, indistruttibile, mostruoso... si perchè i canoni che tutte ormai inseguono presentano un prototipo di bellezza che diventa deforme. Corpi corsì magri, scarniti, che perdono la loro naturalezza, rischiando malattie come l'amenorrea, l'anoressia e la bulimia, oggi del tutto sottovalutate. Trovo che il titolo scelto da Rosi Braidotti per il suo testo, renda al meglio questi concetti: Madri Mostri e Macchine; la quale si interessa anche al rapporto tra uomo\ donna e il loro diverso modo di pensare. Infatti secondo la Braidotti per l'universo maschile, la donna che si deforma nella maternità, e molto vicina nel loro immaginario ad un qualcosa di orribile: mostro e madre insieme. Una delle frasi che più mi ha colpito della stessa autrice dice: Dai due lati del mondo, si muore per la stessa malattia: la fame, per mancanza o per eccesso. Come scritto anche nel laboratorio sulle protesi estetiche: Alle persone non importa quanti sacrifici, quanti soldi, quanti giorni senza mangiare, quante operazioni debbano subire... tutti vogliono essere perfetti... si è disposti a tutto per non sentirsi brutti, non accettati... diversi!Oggi sembriamo tanti prodotti di fabbrica, tutti con lo stesso seno, naso, taglio di occhi... La vera bellezza per me sta nell'essere unici e irripetibili, che senso ha voler assomigliare a qualcuno, che sia Barbie,Ken o Twiggy, e sentirsi così solo il clone di chi non potremo mai essere?!









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    Messaggio  Izzo Maria Teresa Ven Mag 18, 2012 6:16 pm

    Molte parole appartengono allo stesso universo ma sono diverse le une dalle altre: deficit, disabilità e handicap.
    Le parole sono importanti, quindi ogni volta la scelta delle parole da utilizzare va ponderata. Infatti, spesso, l’utilizzo di alcune di queste parole diviene un termine dispregiativo.
    Ci sono alcune definizioni importanti di cui trattare prima di soffermarci sui vari termini.
    L’ICD è la prima classificazione elaborata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è la classificazione internazionale delle malattie del 1970.
    Essa, risponde all’esigenza di cogliere le cause delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche.
    Si parte quindi direttamente dalle origini ,cioè quando un bambino nasce infatti, spesso, si da per scontato che nostro figlio sia in salute rispetto alla realtà dei modelli trasmessi come normali quindi, il nuovo Walfare diventa la famiglia.
    Le diagnosi poi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati facendo dell’elenco una sorta di enciclopedia medica
    Il Manuale di classificazione ICF è stato approvato e pubblicato nel 2001 dall’Organizzazione mondiale della Sanità e propone una definizione del concetto di disabilità.
    L’ICF sta per Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute e ritiene che la disabilità sia una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole, è una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello Stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati.
    L’ICF a differenza dell’ICD non classifica solo le condizioni di salute ma anche le conseguenza alla condizione della salute, quindi entrambi sono complementari.
    Rappresenta uno strumento importante per gli operatori sanitari, sociali ed educativi.
    Questo sistema, infatti, non guarda solo alla salute ma tutta la persona compreso quindi anche l’ambiente vicino o lontano alla persona che è riconosciuto come integrante per la manifestazione della disabilità.
    Diventa poi, importante fare una distinzione tra DISABILE e DIVERSO.
    Tutti siamo diversi gli uni dagli altri ma non tutti siamo disabili.
    Il diverso è spesso l’altro, qualcosa che ci spaventa e verso cui a volte proviamo compassione o vergogna e che tendiamo ad allontanare emarginandolo.
    Da Wikipedia:Emarginazione(astratto di emarginare, in origine termine burocratico col significato di "annotare sui margini", e poi, in generale, "porre ai margini"[1]) è uno status o condizione, individuale o collettivo, di esclusione dai rapporti sociali, e può giungere fino alla negazione dei diritti civili.
    Contrapposto al bello c’è l’altro, spesso identificato come mostro.
    Per Braidotti ciò che accomuna tutte le diversità è la distanza di questi corpi dalla normalità, il loro essere stati visti sempre come mostruosi, come deformi rispetto alla norma e che rappresenta il grado 0 della mostruosità.
    Remaury afferma che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione e per questo abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza, bellezza e salute.
    Quindi la giovinezza e la bellezze sono le caratteristiche che una donna, oggi, deve continuare ad avere se vuole apparire.
    Cosi come ne “ La celebrazione della Terza donna” celebrata da Lipovetsky nasconde la sottomissione ai modelli dominanti del corpo: dalla malattia deve essere sano, dal peso deve essere magro, dal tempo deve essere giovane e quindi diventa obbligata ad andare verso un corpo perfetto.
    Wikipedia dice che "La bellezza è l'insieme delle qualità percepite che suscitano sensazioni piacevoli che attribuiamo a concetti, oggetti, animali o persone nell'universo osservato, che si sente istantaneamente durante l'esperienza, che si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi ad un contenuto emozionale positivo, in seguito ad un rapido paragone effettuato consciamente od inconsciamente, con un canone di riferimento interiore che può essere innato oppure acquisito per istruzione o per consuetudine sociale".
    Ci si vuole cambiare per marcare tratti appartenenti ad un solo gruppo, ci si cambia per integrarsi meglio nelle società.
    La semplice Idea di Bellezza apre le porte a tanti, troppi temi che a loro volta si contrappongono.
    Mi ha sempre appassionato il tema del Tabù visto in chiave antropologica che tocca vari temi : morte, vita, bellezza, sesso.
    In molte tribù della Tailandia l'utilizzo del collare per allungare il collo è pratica molto seguita.
    La bambina sceglie lei se indossare o meno il collare come la madre.
    Le donne non vedranno più il loro collo per tutta la vita, infatti il collare
    verrebbe rimosso solo se la donna commettesse adulterio o per fastidio dello stesso.
    Molte donne musulmane indossano il velo perchè costrette altre invece lo scelgono liberamente in quanto per loro è simbolo di bellezza e mistero.
    In altre ancora le donne pronte a trovare marito vengono tatuate in tutto il volto dalla propria madre come segno riconoscibile dell' essere diventate donne.
    In cina vengono fasciati i piedi durante l'infanzia in modo che non crescessero più di tanto. Inoltre molte effettuano lo sbiancamento della pelle.
    Donne che si ricostruiscono la Verginità con l'imene artificiale per la Religione che la vuole pura.
    Nelle cliniche private cinesi, con un prezzo che si aggira sui 10.000 $, viene eseguita un’operazione per allungare le gambe: si spezzano le tibie sotto al ginocchio e si fissano le ossa ad una specie di gabbia di metallo esterna. Giorno per giorno, attraverso lo spostamento di alcune viti, si cerca di distanziare leggermente le parti spezzate in modo da stimolare la crescita di nuovo osso. Si guadagnano pochi centimetri nel giro di lunghi mesi di dolore e c’è sempre il rischio di infezioni e di gravi problemi legati al possibile danneggiamento di nervi ed ossa solo per seguire un modello sempre più presente nel loro paese e cioè quello occidentale.
    In alcune tribù dell'Africa vengono incisi i denti per renderli appuntiti.
    Molte pratiche agli occhi di noi occidentali possono sembrare eccessive, ma non sono cosi diverse da alcune pratiche nostre. Infatti, per avere denti perfetti portiamo fili di ferro. Altri ancora inseriscono capsule d'oro tra i denti.
    Per eliminare rughe facciamo iniezioni su viso. Inseriamo sotto i nostri tessuti protesi di vario genere.
    Molti uomini fanno l'operazione dell'allungamento del pene. Ogni giorno molte applicano trucco per apparire più preparate oppure tagliamo i capelli o ancora ci mettiamo a dieta. Ma dov'è che la Normalità può trasformarsi in Follia? Una clinica della fertilità di Los Angeles ha offerto ai genitori la possibilità di scegliere il colore degli occhi e dei capelli del proprio neonato .
    Follia da provetta?
    Vi si sono recati anche delle coppie con la sindrome di nanismo i quali volevano che il figlio nascesse come loro nel momento in cui avessero accertato che non sarebbe nato con la stessa sindrome.
    Credo che l'ideale di bellezza occidentale sia quello che televisioni e giornali ci “Bombardano” continuamente.
    Immagini che sono semplicemente modificate con programmi appositi che però tendono a sottolineare solo difetti di chi le guarda.
    Ma la società come ci vuole? Qual'è davvero il modello da seguire?
    Vuole che siamo magre però poi fa campagne contro l'anoressia, ci vuole in carne ma poi molte aziende fanno abbigliamento dalle 32 alle 46.
    Quindi, possiamo essere sempre diversi ma non saremo mai come vorremmo essere.
    Il disabile invece, a differenza del diverso, è una persona che non può compiere una normale attività della vita quotidiana.
    In disabile è una persona, il disabile è cittadino, quindi bisognerebbe dargli indipendenza ed emancipazione e cosi renderli autonomi.
    Questo non sempre può avvenire in quanto c’è, per esempio, il problema delle barriere architettoniche quindi ci sarebbe bisogno di ricostruire una cultura della disabilità.
    Infatti, un argomento fino a quando non tocca noi stessi, non lo prendiamo quasi mai in considerazione e per questo credo che debba esserci un cambiamento culturale in tutte le persone verso tante cose che purtroppo si danno per scontate.
    Ci guardiamo intorno e basta uno sguardo per renderci conto delle barriere architettoniche che i cittadini con disabilità ma anche senza si trovano di fronte ogni giorno nella vita quotidiana.
    Tutto ciò si contrappone con il concetto di Indipendenza ed Emancipazione che sono alla base dell'Autonomia di tutti gli essere viventi.
    Per la società moderna è normale che si raggiunga un luogo ma purtroppo non è cosi scontato.
    Il tema dello scontato va cosi a coincidere con un altro tema di grande rilievo quello appunto della Normalità.
    Uno degli aiuti di emancipazione, autonomia e libertà di un disabile sono le architetture d’interno che utilizzano strumenti tecnologici: la Domotica.
    Domotica è un neologismo che deriva da “domus” (casa) e da informatica e significa appunto informatizzare la casa per migliorare la qualità dell’abitare e risparmiare energia e quindi ridurre i costi di gestione.
    Con un semplice telecomando, infatti, sarà possibile modificare, accendere, spegnere il riscaldamento, sarà poi possibile programmare la cucina, la lavatrice, aprire e chiudere le finestre, accendere l’antifurto, insomma tutte le operazioni che normalmente richiedono una serie di operazioni parzialmente controllate, verranno comandate da un unico pannello di controllo. Un’abilità rimane sempre un’abilità, infatti per sua natura non è mai diversa, diverso è il modo con cui la si può esercitare.
    Ad esempio, aprire la porta di casa è un’abilità che comunemente si esercita con una tecnologia chiamata chiave; ma se la persona ha un problema a maneggiarla, l’abilità non cambia, occorre una tecnologia diversa per esercitarla.
    La Domotica e le tecnologie possono quindi garantire a molte persone disabili le comuni abilità, consentendo loro di esercitarle in maniera personalizzata e diversa dal consueto.
    Infatti, dove l’uomo non può arrivare arriva la tecnologia. Tutto questo aiuta anche all’integrazione.
    Anna Maria Murdaca scrive il testo “Complessità della persona con disabilità”.
    Il testo mira:
    -alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità;
    -alla rimodulazione del termine disabilità;
    -a ripensare la vita del disabile per capire in che modo si può intervenire per migliorarla e ci pone una nuova politica socio-educativa che mira a : integrazione, differenziazione e personalizzazione.
    L’integrazione è un processo continuo e non un punto di arrivo e per questo non dobbiamo mai fermarci e quindi valorizzare sempre la persona e la ricostruzione di una conoscenza e cioè che ogni disabile ha la sua storia.
    Alla base di tutto ciò c’è la Relazione Educativa.
    La prima Relazione di vita è quella familiare, più precisamente tra Madre e Figlio.
    Alla base della relazione deve esserci il rispetto reciproco. La relazione educativa quindi in qualunque ambito si verifichi è un'occasione di formazione bilaterale in quanto l'educatore solo con la pratica perfeziona tutte le sue competenze.
    Altra caratteristica importante dopo il rispetto è l'ascolto e apertura alla comunicazione totale che spesso può avvenire anche con il silenzio, perchè anche il silenzio è ascolto.
    La relazione tra educatore ed educando è allo stesso tempo un prendere ed un dare in sincronia quindi diventa un arricchimento. L’educazione quindi, non deve curare ma intervenire e migliorare la vita.
    Infatti, come afferma il proverbio Cinese: Dai un pesce ad uomo e lo nutrirai per un giorno insegnagli a pescare e lo nutrirai per sempre”.
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    Messaggio  Elvira Scarpato Ven Mag 18, 2012 7:10 pm

    ESERCIZIO 1
    La prima classificazione stilata dall’Organizzazione mondiale della Sanità(OMS), è avvenuta nel 1970 ed è la “Classificazione Internazionale delle Malattie” che cerca di cogliere la causa delle varie patologie, fornendo per ognuno di essa delle indicazioni diagnostiche e delle caratteristiche cliniche; con l' OMS, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la menomazione e l’analisi dei dati. Avvicina la disabilità alle patologie cliniche, facendo dell’elenco una sorta di enciclopedia medica; dopo dieci anni nel 1980,l’OMS ha messo a punto una classificazione internazionale denominata brevemente ICIDH; questa, si basa su tre fattori interagenti e interdipendente tra loro: la menomazione, la disabilità e l’handicap che, però, questi termini verranno successivamente sostituiti da: menomazione, abilità e partecipazione(in questo modo veniva data una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale).
    Successivamente ,precisamente, nel 2001 , l’OMS stilò l’ultima classificazione ,ovvero l’ICF; questa sigla sta per “Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della salute”. Secondo quest’ultima classificazione, la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. L’ ICF è una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa annessi; i termini menomazione, disabilità e handicap usati dalla precedente classificazione, vengono sostituiti da nuovi termini, quali: funzioni, strutture corporee e attività di partecipazione. Però, l’ICF non classifica solo condizioni di salute, malattie; traumi, ma le conseguenze associate alle condizioni di salute e pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia, quindi permette di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla, affinchè possano contare su un’esistenza produttiva e serena. E’ stato stilato l’ ICF perché le informazioni che vengono date alla diagnosi medica, non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona, cioè che cosa quella persona era in grado di fare e quali fossero le difficoltà; questa classificazione è ideata per essere usata con tutte le persone di qualsiasi età per descrivere la presenza o l’assenza di menomazioni nelle strutture corporee. Importante è che questa classificazione rappresenta uno strumento fondamentale per gli operatori del campo sanitario, dell’istruzione, ecc., e adattandolo si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa. Molte persone con ridotte capacità motorie, visive o uditive, si trovano, purtroppo, ad essere ancora in parte discriminate poiché uno scalino o la larghezza di una porta sono loro di impedimento nelle varie occasioni di vita sociale. Ma cosa sono queste barriere architettoniche? L’ICF parla di contesto sfavorevole, che si riferisce alle famose “barriere architettoniche”, ossia qualunque elemento che impedisca limiti o renda difficoltosi se non addirittura impossibile, gli spostamenti o la fruizione di servizi, specialmente di persone con limitata capacità motoria o sensoriale. Nelle nostre città italiane sono ancora presenti tante barriere architettoniche, malgrado le leggi che ne impongono l’eliminazione; è necessario, perciò , insistere nell’opera d’informazione e in quella di sensibilizzazione, allo scopo di ridurre le “vere barriere”, quelle psicologiche, che mantengono lo stato di emarginazione sociale, civile e lavorativa dei soggetti disabili. L’eliminazione di esse, è un diritto del cittadino sancito dalla Costituzione e proprio a tal proposito, oggi le Istituzioni dovrebbero finanziare più fondi, per eliminare questo problema; tutti noi siamo uguali e non trova nessuna ragione per cui alcune persone con disabilità, non debbano usufruire degli stessi servizi che godiamo anche noi; e a tal proposito durante una lezione, è stato affrontato un tema a cui tengo moltissimo, ossia il tema dell’ “emarginazione”; è stata effettuata una simulazione in cui la docente si è finta sindaco dittatore di una città e ha deciso di emarginare tutti i miei colleghi aventi gli occhiali. Io , invece, ero semplicemente il “cittadino”(visto che non porto gli occhiali); si, un semplice cittadino, padrone di sé e del mondo, come oggi molto spesso accade. A noi “cittadini” deve essere concesso tutto, tutto è nostro, possiamo ridere, scherzare su persone emarginate e questo per me è davvero sgradevole, perché gli emarginati non hanno malattie, molto spesso non sono disabili, ma come spesso lì etichettiamo sono “diversi”, ma diversi da chi? Infatti nella nostra quotidianità usiamo termini dal significato non appropriato, infatti attribuiamo alle parole disabilità e diversità lo stesso significato, senza rendercene conto che hanno significati diversi; la persona disabile è prima di tutto una persona e come tale deve essere rispettata ,la persona disabile è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana e nei confronti della persona disabile si tende ad assumere un atteggiamento e uno sguardo di pietismo, diventando così un’etichetta. Il termine disabile, però, dichiara solamente che a un individuo mancano una o più competenze, senza considerare che egli possiede anche delle abilità; spesso la disabilità viene confusa con la “diversità”; il diverso può essere una persona non necessariamente affetta da menomazione fisica o psichica ,ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche, basti pensare allo straniero, al genio, all’emarginato, ecc. Sempre per quanto riguarda il tema della diversità, significativo è stato il fiml visionato in aula, ossia: “Indovina chi viene a cena” ,dove si evidenzia di come esistano dei pregiudizi attribuibili soltanto dal colore della pelle senza cercare il profondo di ogni persona.

    ESERCIZIO 2

    Nel testo “Complessività della persona con disabilità” l’autrice Annamaria Murdca mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità ,alla rimodulazione del termine integrazione e alla comprensione delle reali condizioni di vita di persone aventi disabilità e secondo l’autrice occorre adottare l’ottica della globalità, una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del comportamento, del funzionamento, e dell’assistenza della persona disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica.
    In merito alla persona con disabilità, l’obiettivo è valorizzarla con il rispetto delle differenze e dell’identità; l’integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di strategie idonee, soluzioni a perseverare i diritti acquisiti dai disabili.
    Nel parlare di integrazione non si fa riferimento più ad un’astratta normalità, piuttosto al valorizzarle al meglio le dotazioni individuali. La costruzione dell’identità personale deve avvenire in luoghi rassicuranti, in luoghi capaci di sviluppare le potenzialità personali, cercando i mezzi più idonei a valorizzare la differenza come risorsa; l’ integrazione deve consistere in un’azione di sviluppo , interazione ,modulazione, coordinazione di processi motori e psicomotori.
    Quando la relazione tra due persone ha lo scopo unico di promuovere lo sviluppo e la crescita, oltre che la prevenzione e la cura di particolari stati di disagio, si definisce “relazione educativa” ; la relazione educativa, dunque costituisce la base di appoggio di qualsiasi intervento, la strategia più efficace per costruire un rapporto significativo e di fiducia, senza il quale il lavoro educativo risulterebbe molto più faticoso e problematico, dal momento che ogni maturazione o cambiamento è impossibile in assenza di un coinvolgimento attivo dei soggetti nel processo che li rende attuali e possibili.
    Vari sono i tipi di relazioni educative c’è quella tra madre-figlio , tra docente-discendente e, proprio quest’ ultima deve essere “incontro e scambio”, partecipazione e alleanza tra docente e discendente. Alla base di essa, c’è uno scambio tra due o più persone, dove c’è la volontà di costruirsi un rapporto basato sull’accoglienza, sull’ascolto, ecc.
    Il futuro educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, arricchendole di conoscenze, necessario e fondamentale deve essere il reciproco rispetto nella relazione che s’ instaura tra l’ educatore e l’ educando, e, proprio in ambito scolastico avviene una crescita, una formazione dell’educando.
    E, proprio in quest’ambito che in aula abbiamo effettuato due simulazioni, riguardanti la relazione educativa: nella prima simulazione è avvenuta un’interazione tra un genitore e l’educatrice, ove, la madre lamentava l’assenza dell’insegnate di sostegno per suo figlio; l’altra simulazione aveva come protagonista una ragazza dove per finzione aveva dei problemi di socializzare.

    ESERCIZIO 3
    In una lezione si è discusso molto sul tema delle protesi estetiche usate come migliorameto del corpo.In passato, al contrario di oggi, si ricorreva a queste tecnologie solo per il miglioramento di un deficit fisico; secondo me, la bellezza è negli occhi di chi la guarda e il nostro cervello possiede un concetto astratto di bellezza.
    Da secoli i filosofi e gli artisti si chiedono se esistono caratteristiche che rendono un’opera oggettivamente o inderogabilmente bella: ora sappiamo che la bellezza è indiscutibilmente negli occhi, anzi nella mente di chi la guarda;oggi si sente parlare di bellezza “ideale”,di modelli di “perfezione” da raggiungere,dei modelli che ci vuole imporre la telivisone,di modelli sexy e irrangiungibili del cinema; un viso d’angelo e un corpo scolpito sono sicuramente d’aiuto, ma la vera bellezza arriva da dentro e dal sentirci bene con noi stessi:è quella bellezza che illumina i nostri occhi e fa spendere i nostri sorrisi,quella bellezza che rende UNICA ogni persona.
    Ma non per tutti è così…perché troppo spesso ci disprezziamo,odiamo quello che vediamo allo specchio e vorremmo essere come la velina di turno o la sexy attrice americana;eppure se lo chiedono in molti: la bellezza, esattamente cos’è ? Qual è l’ideale di bellezza riconosciuta dalla nostra società? La risposta è sempre la stessa: la bellezza è rappresentata dalla donna in t.v. , dalle top model,ecc. ; e poi inizio a pensarci seriamente, e mi domando perché tutti ci caschiamo , perché anch’ io sono condizionata da quest’ ideale? Oggi ricorrono alla chirurgia estetica ragazzine,donne mature per un semplice capriccio, le quali ricorrono a un intervento chirurgico che le faccia diventare più magre o semplicemente più carine; le origini di tale atteggiameto vanno ricercate nella società e nei modelli trasmessi, complici i sempre più numerosi vip che ostentano con orgoglio volti e corpi rifatti. Di questi nostri interrogativi ne hanno parlato anche Ramaury, Lipovetsky e Braidotti; Ramaury, nel suo testo “Il gentil sesso” afferma che tutti noi siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione. Ancora Lipovetsky ne “La terza donna” ci fa capire la differenza tra ieri e oggi della donna: infatti sino al Medioevo la donna era considerata l’incarnazione del male, poi sino a metà del Novecento era invece un modello angelico. Dal dopoguerra la donna non è omologata:e’ un aterza donna.
    Infine anche Braidotti sostiene che la donna,capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa nell’ immaginario del sesso maschile qualcosa di orribile: mostro e madre allo stesso tempo.
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    Messaggio  maria.lancellotti Ven Mag 18, 2012 8:18 pm

    Ci tengo a farle sapere che il suo corso è stato molto interessante al punto tale da portarlo per sempre con me,nel mio bagaglio professionale relativo alla figura di educatrice:grazie ad esso ho scoperto non solo un mondo che non avevo mai esplorato, ma anche il vero agire educativo,che consiste nell’aiutare l’individuo a liberare la propria autenticità che gli è intrinseca e cioè a diventare ciò che può e ciò che vuole essere.

    1:Come sostiene Canevaro,le parole sono molto importanti in quanto simboli ed è per questo che la loro scelta va fatta con ponderazione. Infatti l’uso improprio e non distinto dei termini handicap,deficit,disabilità potrebbe aumentare il problema dell’individuo,anziché ridurlo.
    Per poter comprender ciò si fa riferimento a definizioni importanti relative alla disabilità,elaborate dalla OMS(Organizzazione mondiale della Sanità) in tre classificazioni:ICD,ICIDH,ICF.
    L’ICD che è la “Classificazione Internazionale delle malattie”,si focalizza sull’aspetto eziologico delle patologie,cogliendo le sue cause.
    L’ICIDH ovvero “International Classification of Impariments,Disability and Handicap”assume un atteggiamento e un punto di vista più ampio nei confronti dei soggetti con deficit,in quanto mostra attenzione alle capacita dell’ individuo e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale.
    Tale classificazione si basa su tre fattori,specificandone il significato:LA MENOMAZIONE come una perdita o anomalia fisica o psichica e quindi danno organico;la DISABILITA’ come la capacità conseguente alla menomazione di svolgere determinate funzioni nel modo considerato “normale” ed infine l’HANDICAP,come la condizione di svantaggio e di disagio sociale conseguente ad una menomazione o disabilità.Seguendo queste definizioni si può dunque evidenziare come si può essere menomato senza essere disabile e disabile senza essere handicappato.
    La 3° e ultima classificazione elaborata dalla OMS,cioè l’ICF che sta per”Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute”,prende in considerazione le conseguenze associate alle condizioni di salute e quindi la qualità della vita delle persone affette da patologie,con lo scopo di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla.ICF propone infatti un concetto di disabilità più multidimensionale, in quanto essa non viene più semplicemente associata ad una malattia o patologia( come la aveva classificata l’ICD) ma ad una condizione di salute, derivata da un contesto sfavorevole: si è passati sistematicamente da un concezione di disabilita come condizione soggettiva e propria della persona, ad una più oggettiva che vede essa come condizione esterna al soggetto,in quanto determinata dal proprio contesto di vita cioè l’ambiente.Sono infatti il contesto sociale e quelle barriere architettoniche ma anche mentali e culturali, a determinare la condizione di handicap, cioè l’ostacolo che impedisce a una persona con deficit di portare a termine una particolare attività.
    Mi sono convinta di ciò con l’esercizio dell’orologio in cui ho descritto la mia giornata tipo calandomi nei panni di un disabile: ho incontrato mille ostacoli per svolgere semplici attività quotidiane e questo solo per la mancanza di strutture adeguati( come scivoli o ascensori) che dovrebbero essere garantite dallo Stato, in quanto il disabile è un individuo e quindi come tutti i cittadini andrebbe tutelato.
    Inoltre in quanto essere umano,al disabile non andrebbe negato il “valore” della persona umana nella sua essenziale umanità;da qui la proposta di sostituire l’espressione “disabilità” che sottolinea il deficit,la mancanza di competenze con il termine “diversabilità”,che mette in risalto nel caso specifico di questi soggetti non la dis-abilità ma le abilita e doti autentiche che possiedono(da disabile a diversamente abile).
    Ma il diverso poiché è associato al “non normale” spesso ci spaventa e il disabile per questo, molte volte fa paura e viene isolato:si verifica un processo di categorizzazione(processo di collocazione di persone in determinate categorie) provocato in genere dalla diversità che trasforma la disabilità in un fattore che identifica l’intera persona,non più riconosciuta nella sua interezza,ma in uno solo dei suoi aspetti esistenziali.
    Tuttavia la disabilità non può essere condotta a un deficit o ad una mancanza....ma ad una condizione che va oltre la limitazione.

    2:La docente Anna Maria Murdaca tratta nel libro “Complessità della persona e disabilità” alcuni temi complessi inerenti alla persona disabile(integrazione, ambiente,contesto sociale ecc),con lo scopo di creare una nuova cultura della disabilità centrata non soltanto sul funzionamento,comportamento e sull'assistenza del soggetto disabile,ma anche sul riconoscimento della persona nella sua dimensione olistica,cioè nell’insieme,nella sua interezza.Infatti non si dovrebbe soprattutto parlando di disabilità,definire nessuno per sottrazione,in quanto si tratta sempre di individui,persone che si caratterizzano per capacità e non per quello che non sanno fare.
    L’obiettivo è per questo aiutare il diversamente abile a valorizzare la propria persona umana nel rispetto delle differenze e delle identità,con il processo continuo dell’integrazione che non deve essere inteso semplicemente come propensione all’uniformità ma valorizzazione al meglio delle dotazioni individuali e quindi a indipendenza e auotonomia.
    Ciò può essere conseguito valutando il contesto sociale,l'ambiente come una possibile barriera,ostacolo che rende difficile la vita del disabile e quindi come fattore determinate nell’handicap che può provocare talvolta l’esclusione e l’emarginazione(come suggerisce la Murdaca).Infatti la nostra società pecca ancora nel guardare il disabile come un diverso,una specie di mostro che in quanto tale deve vivere in ambienti isolati e adatti ad esso,senza essere incluso nella comunità.Purtroppo questo,genera altri comportamenti negativi o meglio diseducativi da parte di altri componenti dell’ambiente,che possono aumentare ulteriormente il sentimento di inferiorità presente nella persona disabile;sto parlando anche della famiglia che a volte per evitare un rifiuto tende a non esporre il proprio figlio con deficit alla società,privandolo anche della possibilità di partecipare a semplici ma formative esperienze umane come una festa o un viaggio.
    Per tutti questi motivi, bisognerebbe dunque lavorare principalmente sull’ambiente e prendersi “cura” del disabile,dove per cura non si intenda in maniera semplicistica come accudimento,ma progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti,tesa alla realizzazione per ciò che egli è, e per ciò che egli può diventare;Jonas per questo riteneva che si dovesse parlare più specificamente di una “cura di sé”.
    L’educazione diventa il luogo di tale cura,o meglio la relazione educativa,intesa come spazio riparativo nel quale il disabile sperimenta con gli educatori una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi.Tale relazione,per questo tramuta in un incontro e scambio di idee,opinioni,emozioni,senza una disparità di potere tra educando ed educatore.Quest’ultimo infatti deve instaurare con l’educando un rapporto alla pari,che si basa sulla fiducia e rispetto reciproco;in tal modo egli si sentirà accolto e libero di esprimere ciò che vorrà:la relazione educativa “deve costruirsi con l’altro e per l’altro”,traducendosi in ascolto.
    L’educatore deve inoltre accettare il pensiero divergente e soprattutto deve essere pronto a mettersi in discussione:la relazione diventa così anche un dare e ricevere, una formazione bilaterale,il gesto dell’insegnate di accompagnare il discente camminando insieme l’uno affianco all’altro tenendosi per mano.
    Al di là di questi caratteri generali,io credo che la relazione educativa debba assumere caratteri anche soggettivi:in quanto diversi,l’educatore dovrebbe adottare diverse strategie e atteggiamenti tesi a porre ogni individuo nella condizione di dare il meglio di sè e questo credo che sia particolarmente importante nei confronti dei diversamente abili che hanno bisogno di input per poter scoprire la proprie potenzialità e doti.

    3:Viviamo,purtroppo in una società che ci spinge sempre più all’omologazione:la propaganda mediatica suggerisce i canoni di bellezza e della perfezione e noi facciamo di tutto per rispettarli e raggiungerli.Ciò riguarda soprattutto la donna,che ricorre sempre di più alla tecnologia,o meglio alle protesi estetiche per diventare “perfetta” e apparire eternamente bella quando sta invecchiando.Per questo REMAURY parla di una corsa alla perfezione verso cui si orienta l’uomo contemporaneo che ha il triplice obiettivo della giovinezza-bellezza-salute.
    Ancora,LYPOVESTKY illustra la donna del 21°secolo come la terza donna-la prima è quella sfruttata,demonizzata,svalutata;la seconda è l’icone,l’ideale di virtù,la Beatrice-che nasconde la sua sottomissione ai modelli imposti e strutturati,obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso la perfezione estetica.A tale scopo tendiamo a trasformare sempre di più il nostro corpo..:Braidotti presenta la figura di un “corpo-macchina” come mostruoso.
    Come ho ribadito nel commento sulle tecnologie,personalmente non sono contraria del tutto all’uso delle protesi estetiche quando possono migliorare la qualità della vita dell’uomo o aiutarlo a star bene con se stesso là dove c’è un piccolo difettuccio estetico,ma come in tutte le cose non bisogna mai eccedere in quanto si rischia di “farsi del male” e in questo caso di diventare una bambola di porcellana perdendo l’originalità fisica.
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    Messaggio  MAURIELLO JESSICA Ven Mag 18, 2012 8:50 pm

    Rispondi alle seguenti domande attraverso una spiegazione ragionata, arricchendola di spunti teorici (autori o libri) e personalizzandola (= richiamando i tuoi interventi laboratori ad essa collegati).

    1) Esponi il passaggio dall’Icd all’Icf, soffermandoti poi sul contesto e sulle parole disabile e diverso, personalizzando il tuo discorso attraverso una ripresa degli interventi ai laboratori che hai proposto ‘orologio’ /‘barriere architettoniche’, ‘la mappa degli stereotipi’, Sindaco/esperienza di ‘emarginazione’ (questo perché ciascun intervento deve essere diverso e avere l’impronta dello studente che lo elabora).
    Modalità: 1 pagina e mezzo (= 1 cartella e mezzo in word)

    Per affrontare la tematica del passaggio dall’ICD all’ICF ritengo sia necessario riflettere sulla scelta di parole appropriate che deve essere fatta con ponderazione, poiché ogni parola racchiude in se stessa un simbolo;questo argomento è stato anche affrontato a lezione e a tal proposito nel forum La mappa degli stereotipi ho affermato che ogni cosa può essere identificata con un nome in relazione alla lingua parlata ma la sua essenza rimane sempre la stessa e che ,inoltre, alcuni termini,pur avendo lo stesso significato, sono più appropriati in alcuni contesti piuttosto che in altri. In quella occasione ci è stata offerta la possibilità di scegliere uno tra i termini proposti e ho deciso di argomentare il termine MOSTRO poiché ritengo che sia una moneta a doppia faccia;è evidente,infatti, che quando pensiamo al MOSTRO lo associamo ad un essere cattivo,dalle sembianze bestiali,spesso un ibrido dal cattivo odore e dagli occhi minacciosi....antagonista in una fiaba e che in tutti i modi cerca di sottrarre la principessa al suo amato principe....è un Gargamella che cerca in tutti i modi di inquinare la natura utilizzando pozioni magiche ma….cosa accadrebbe se dietro quell’immagine cosi spaventosa si nascondesse un essere dall’animo nobile,dalla purezza dei sentimenti,se dietro ad un orribile ranocchio si nascondesse uno splendido principe? Beh in questo caso il nostro mondo si capovolgerebbe,il nostro sguardo non saprebbe più verso quale direzione soffermarsi e ci sentiremmo destabilizzati poiché ci renderemmo conto che forse a volte bisognerebbe essere disposti a mettersi maggiormente in discussione e comprendere che in alcuni casi dobbiamo cambiare la nostra visione del mondo. E’ proprio da questa consapevolezza che dovremmo partire poiché,per quanto difficile potrebbe apparire capovolgere la nostra idea sul mondo,è necessario per iniziare a vivere in un mondo nuovo caratterizzato dalle pari opportunità di tutti gli uomini.
    L’ICD è la prima classificazione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1970 che risponde all’esigenze di cogliere la causa delle patologie fornendo per ogni sindrome o disturbo descrizioni di caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche e che focalizza la sua attenzione sull’aspetto eziologico della malattia e le diagnosi sono tradotti in codici numerici per memorizzare,ricercare e analizzare i dati secondo lo schema EZIOLOGIA-PATOLOGIA-MANIFESTAZIONE CLINICA.
    Per cercare di risolvere questa profonda problematica, l’OMS nel 1980 ha messo a punto l’ICIDH (International Classification of Impairments,Disabilities and Handicaps) che stabilisce che i termini menomazione,disabilità e svantaggio o handicap debbano essere sostituiti da:MENOMAZIONE(che indica qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicopatologica,fisiologica o anatomica;le perdite materiali o anormalità possono essere transitorie o permanenti e comprende l’esistenza o l’evenienza di anomalie,difetti o perdite ad esempio a carico di arti come nel caso di Pistorius o dell’Atzori poiché è un danno organico o funzionale relativo ad un settore specifico che rappresenta una disfunzione legata a una mancanza, ad una non esistenza o cattivo funzionamento di un arto o di qualsiasi altra parte del corpo),ABILITA’(che sostituisce il termine DISABILITA’che indica qualsiasi limitazione o perdita conseguente a menomazione della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati “normali” ossia l’incapacità o restrizione a svolgere determinate funzioni e assolvere particolari compiti dove per RESTRIZIONE si indica l’esclusione,per eccesso o per difetto, nella realizzazione dei compiti,rappresenta l’oggettivazione della menomazione e riflette,quindi,disturbi a livello di persona )e PARTECIPAZIONE(maggiore attenzione alle capacità del soggetto e al suo coinvolgimento sociale).
    Nel momento in cui menomazione e disabilità causano una difformità tra l’èfficienza e lo stato del soggetto e le aspettative di efficienza e di stato da parte del soggetto stesso e del gruppo a cui appartiene si parla di HANDICAP che rappresenta la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri,il disagio sociale che ne deriva, la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità. Questo termine deriva dall’ambiente delle corse ippiche inglesi e nasce dalla pratica diffusa in passato di obbligare il fantino,che cavalcava un cavallo dotato di qualità superiori,a gareggiare portando la mano sinistra (hand) a contatto con la visiera del cappello(cap),utilizzando lo svantaggio causato da questa posizione per equilibrare le sue prestazioni rispetto a quelle degli altri partecipanti. Molto spesso nel linguaggio comune deficit ed handicap vengono usati con lo stesso significato e questo comporta due gravi conseguenze:
    -considerare l’handicap come un problema solo di chi ha qualche deficit;
    -pensare che coloro che sono afflitti da qualche deficit non siano uomini come tutti gli altri
    Le caratteristiche dell’handicap sono tre:
    -è una situazione che si scosta dalla normalità;
    -la discrepanza tra l’efficienza e le aspettative d’afficienza del soggetto e del particolare gruppo al quale appartiene;
    -la socializzazione di una menomazione o di una disabilità.
    Più recentemente (2001) l’OMS ha pubblicato il manuale di classificazione ICF(International Classification of Functioning,Disability and Health) che propone una definizione del concetto di disabilità multidimensionale e dalla portata innovativa rispetto alle precedenti classificazioni. Secondo essa,infatti,LA DISABILITA’ è UNA CONDIZIONE DI SALUTE DERIVATA DA UN CONTESTO SFAVOREVOLE e, partendo da questo presupposto, descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e sostituisce i termini MENOMAZIONE, DISABILITA ed HANDICAP con FUNZIONI,STRUTTURE CORPOREE ed ATTIVITA’ E PARTECIPAZIONE. Si tratta di un linguaggio standard ed unificato creato a partire da una visione della realtà che inserisce lo stato di salute in un’analisi ecologica della persona,secondo un modello biopsicosociale che in modo particolare riguarda le politiche di welfare,la salute,l’educazione e il lavoro. L’ICF classifica le conseguenze associate alle condizioni di salute ed è stato introdotto perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona;tale classificazione può essere utilizzata con persone di varia età. A questo proposito in aula abbiamo preso visione di un film nel quale un uomo e una donna con culture diverse decidono di legare le loro anime nel vincolo del Matrimonio perché come me anche loro erano consapevoli già qualche tempo fa che il bianco e il nero sono complementari e non opposti. Lo scopo principale della WHO-FIC (composto da ICD e ICF) è quello di garantire la comparabilità delle informazioni di salute nei e tra i Paesi,tra gli utenti e gli addetti specializzati. Assumono grande importanza la prevenzione e la ricerca biomedica possono evitare la comparsa di malattie che hanno un decorso cronico e che causano menomazioni. A livello della persona la riabilitazione gioca un ruolo molto importante nel migliorare e ridurre la limitazione dell’attività. Il CHECKLIST guarda alla persona nella sua interezza, non solo dal punto di vista della salute, ma anche nelle relazioni sociali. La classificazione ICF suddivide le informazioni sulla salute della persona in due parti:FUNZIONAMENTO e DISABILITA’. Nella seconda parte rientrano i fattori ambientali che hanno una grande influenza,mentre quelli personali non sono oggetto di classificazione.
    Ritornando alla questione relativa all’importanza delle parole si ritiene utile una riflessione sulle parole DISABILE e DIVERSO.
    DISABILE è una persona che è impossibilitata a svolgere le attività della vita quotidiana,è affetta da disfunzioni motorie e/o cognitive e anche psicologica se si trova a vivere in un ambiente sfavorevole ed è caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità oppure dal diverso funzionamento di esse. Fortunatamente esistono molti disabili che non si sentono tali e riescono a compiere varie attività grazie al superamento delle barriere architettoniche,alle tecnologie abilitanti.
    Molto spesso il concetto di disabilità viene confuso con disabilità senza capire che TUTTI SONO DIVERSI;NON TUTTI SONO DISABILI oppure la frase “Ricorda sempre che sei unico,esattamente come tutti gli altri”(Anonimo).Il termine DIVERSABILITA’ mette in risalto ,oltre che una dis-abilità anche delle abilità diverse dagli altri. A questo proposito mi ritornano alla mente i protagonisti del film SI PUO’ FARE che pur essendo malati di mente hanno la grande capacità di creare decoupage straordinari con scarti di legno.
    Importante appare fare una distinzione tra ausilio che rappresenta l’apparecchiatura che aiuta una persona con deficit(nel caso di un non vedente le cecità) a ridurre gli handicap(l’impossibilità di usare un normale monitor).
    La diversità porta alla CATEGORIZZAZIONE e nel caso dei disabili la situazione di disabilità diventa l’elemento unificante,mentre in altri casi il colore della pelle,il credo religioso, la lingua parlata. Il diverso di solito non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società suo malgrado e di lui si ha paura,viene isolato,è spesso il mostro,è l’altro,non lo capiamo forse perchè non cerchiamo nemmeno di farlo e per lui proviamo vergogna,compassione,desiderio di solidarietà anche se il vero aiuto glielo si offre non con soldi ma con l’istruzione;infatti il proverbio cinese “DAI UN PESCE AD UN UOMO E LO NUTRIRAI UN GIORNO,INSEGNAGLI A PESCAREE LO NUTRIRAI PER TUTTA LA VITA”è verissimo e molto attuale.
    Per concludere è un dovere ricordare che la disabilità non è un mondo a parte ma una parte del mondo e dobbiamo imparare a rispettarla in tutti i suoi colori.


    2) Anna Maria Murdaca scrive il testo Complessità della persona con disabilità, rifletti su quali logiche guidano il suo discorso, riguardo:
     la rimodulazione del termine integrazione
     la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
     la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    riportando come, attraverso le tematiche proposte (il contesto sociale, la persona, lo spazio di cura come luogo riparativo), possiamo pensare in modo nuovo ad una relazione educativa
    (anche qui riporta i tuoi laboratori laddove ritenuto congruo).
    Modalità: 1 pagina e mezzo

    Anna Maria Murdaca che immagine corporea,coordinazione all’azione e movimento denotano la scoperta della propria corporeità volendo sottolineare come l’unità corporea si raggiunge grazie all’azione,al movimento e al coordinamento motorio,nel quale le parti del corpo interagiscono con gli altri oltre che tra di loro. Si stabilisce,infatti,una rete bidirezionale del complesso corpo/mente poiché subendo continue modificazioni a livello percettivo/Emotivo –affettivo queste esperienze costruiscono la soggettività dell’individuo. In questo modo poiché è il vissuto inter ed intrapersonale di ogni soggetto,il corpo entra nello spazio e nel tempo,si modifica con il loro modificarsi,costruisce delle relazioni e diventa luogo di ascolto e di osservazione per riconoscere possibilità ,ostacoli,posture,interessi e linguaggi. Sono pienamente d’accordo con Murdaca per quanto riguarda questa tematica cosi complessa, che spesso non viene considerata con l’attenzione e la professionalità che merita. Per aver consapevolezza della propria corporeità è necessario,infatti,che i movimenti siano armonici e non creino impossibilità nel soggetto e ancora questa coordinazione incide molto sul fattore psicologico,la cui influenza è maggiormente amplificata nel momento in cui un disabile si trova a vivere in un ambiente ostile,tra persone che l’osservano come forma di pietismo,lo deridono ,lo giudicano diverso;in relazione a questo vorrei rifarmi al forum aperto dopo aver ascoltato poesie di ragazzi disabili che dicevano di amare la vita e in modo particolare mi ricordo di un non vedente che nei suoi versi afferma di aver paura di cadere non perché tema di farsi male ma poiché si sentirebbe schiacciato da tutti quegli occhi dei passanti che potrebbero osservarlo. Le mie emozioni scritte sono:
    “E'stata un'esperienza nuovissima e mi sento sconvolta,sono entrata in un mondo che non fa parte della mia quotidianità e ho una gran voglia di piangere e non so il perché.

    SONO QUESTE LE MIE RIFLESSIONI SCRITTE DI GETTO DOPO ESSERCI BENDATI GLI OCCHI
    Durante la lettura delle poesie vari sentimenti si sono susseguiti:gioia,amore,bellezza,tristezza,tantissima rabbia,mi sono sentita a tratti forte,in altri momenti una foglia schiacciata da un piede grosso,da tutti quei sassi che non mi chiamano per nome(perché io sono come TE,sono come quella persona che mi ha aperto le porte del suo mondo e mi ha fatto assaporare la sua dolcezza,la sua forza,il grande rispetto per la vita,per l'amore,per la gioia perché anche se non ho potuto GUARDARE ho SENTITO,MI SONO EMOZIONATA,HO IMMAGINATO,HO SOGNATO,HO SORISO E HO AMATO............”
    Spesso il disabile è emarginato poiché trova difficoltà ad integrarsi oppure poiché gli altri lo escludono a priori;è orribile notare come in una società cosi avanzata come la nostra, in cui si esaltano le pari opportunità di tutti gli individui ,ci siano ancora persone che vivono ai margini della società. In riferimento a questa mia ultima affermazione voglio rifarmi al forum La relazione educativa ed emarginazione in cui ho sottolineato come la presenza dei margini nella nostra società non si riesca a cancellare poiché dietro di essa ci sono dei giochi di potere,cumuli di soldi che si spostano e che entrano nelle tasche di poche persone;inoltre,nel forum Barriere architettoniche ho affermato che:” Esistono molte barriere architettoniche in ogni ambito:mancanza di ascensori nei condomini in cui abitano magari persone disabili,negozi con corsie strette che non offrono la possibilità ai genitori di andare a fare spesa con i propri figli portandoli nel passeggino qualora siano piccoli,mezzi di trasporto dai servizi scadenti che bloccano la giornata lavorativa di chi deve raggiungere un ufficio oppure va all'università.
    Attraverso queste considerazioni è evidente come tutti abbiamo problemi ,tutti nella nostra diversità e originalità;il disabile è una persona come me con difficoltà che ho anch'io ,anche se si tratta di difficoltà diverse...ma in fondo io non ho difficoltà diverse da quelle degli altri?”.
    E’ doveroso rimodulare il concetto di integrazione che nel migliore dei casi si riduce a semplice accettazione di un disabile in società ma che non può ridursi a questo ma all’entrare in relazione con lui,conoscerci, condividere passioni insieme,confrontarsi,aiutarsi perché è vero io potrei aiutare un mio amico costretto su una sedia a salire uno scalino ma lui potrebbe aiutare me nel creare un programma al computer per cui io sono letteralmente negata mentre lui è esperto. Paragonando la vita di un ragazzo disabile alla mia ,mi rendo conto che molte delle cose che faccio lui non potrebbe farle poiché il nostro Paese non gli offre nemmeno la possibilità di prendere un mezzo pubblico senza che rischi di essere investito infatti non potrebbe prendere il mio stesso treno,non potrebbe prendere la metro e la funicolare che io utilizzo per arrivareall’università,non potrebbe andare a correre ma POTREBBE fare una passeggiata,studiare,AVERE UNA RAGAZZA O UN RAGAZZO D'AMARE,avere hobby,avere amici,partecipare all'ac,andare al cinema e a mangiare una pizza...POTREBBE fare molte altre cose che faccio io,cosi come io potrei fare molte cose che fa lui ma non andare a sciare con degli scii particolari(MONOSKY) che un mio grande amico utilizza e che ha utilizzato ultimamente per andare in vacanza sulle DOLOMITI e la cui resilienza è eccezionale.
    Per capovolgere totalmente il pensiero della maggior parte delle persone sulla disabilità,bisognerebbe educare a vedere il mondo secondo un ottica diversa in cui non esistono margini,in cui pietismo e commiserazione non inchiodino persone disabili,in cui si impari a rispettare ogni singola persona in virtù della sua specificità e singolarità,a guardare oltre lo scafandro che racchiude la nostra anima e osservare e imparare a comprendere anche chi con il solo battito delle ciglia riesce a scrivere due volumi,ad amare ciò che siamo e tutte le persone che ci amano con le loro debolezze e i loro pregi perché come ho scritto nel forum sul film Lo scafandro e la farfalla “nei momenti difficili bisogna raccogliere tutta la forza che sta in noi e lottare come ha fatto la moglie dell’uomo la cui personalità mi ha colpito particolarmente,perché è semplice stare accanto ad una persona quando non ci sono difficoltà,quando si condividono solo momenti belli insieme mentre e molto più difficili non scappare quando sembra che non ci sia via di uscita…credo che quella della moglie sia stata una grande prova di amore mentre considero abominevole l’atteggiamento dell’amante dell’uomo che evidentemente stava con lui solo per i soldi ,per condurre una vita sfarzosa e divertirsi.
    Sarebbe ipocrito negare che ogni mamma vorrebbe che suo figlio nasca sano e che quando questo non accade si cade in un momento di grande sconforto perché sembra che tutti i progetti fatti siano svaniti, ma poi bisogna impegnarsi al massimo affinché si trovi la forza per lottare contro un mondo cosi ostile per rivendicare i diritti della PERSONA che più si ama al mondo e andare contro le intemperie,gli uragani e non spezzarsi mai perché quel bambino merita di vivere una vita dignitosa,merita di realizzarsi,merita che qualcuno creda in lui e lo aiuti a cercare il suo talento cosi com’è accaduto nel film SI PUO’FARE.
    Riguardo all’ultimo punto da svolgere ritengo che sia assurdo definire un progetto di vita per un disabile,perché ogni soggetto con menomazione,cosi come tutti gli altri uomini,hanno specifici progetti di vita relativi alle proprie esperienze,ai propri sogni e alle proprie ispirazioni. Tuttavia è dovere di noi tutti e dello Stato porre un ragazzo disabile nelle condizioni di svolgere una vita soddisfacente in cui coltivare i propri interessi,in cui essere circondato da amici che lo amano,in cui poter spostarci in città in modo autonomi ed usufruire di tutti gli altri servizi che sono diritto di tutti. Per attuare tutto questo bisogna partire da ognuno di noi,dalla nostra quotidianità perché a noi tocca il compito di dissolvere quelle ingiustizie che si propongono ogni giorno davanti ai nostri occhi e assumere cosi degli occhi nuovi attraverso cui guardare oltre le difficoltà e puntare cosi al cuore delle persone che come noi cercano solo amore,affetto e che qualcuno li ascolti;purtroppo,però, ci troviamo in un mondo sordo che non ascolta nemmeno l’eco di tutte quelle voci come la mia che vogliono combattere tutto questo,ma non smetterò mai di urlare e anche quando non avrò più voce non mi arrenderò e troverò altri espedienti per portare avanti le mie idee.

    3) Remaury, Lipovetsky e Braidotti: proponi, arricchendole di riferimenti, le tue riflessioni su questi autori sul corpo trasformato e mostruoso (anche in riferimento al laboratorio le protesi estetiche).
    Modalità: metà pagina
    (*puoi anche unire tutti e 3 i punti e farne un unico discorso)

    Remaury, Lipovetsky e Braidotti si sono occupati della tematica della donna soffermandosi sul desiderio di migliorare il proprio corpo “distruggendo”i segni del tempo e cosi raggiungere la “giovinezza eterna”.
    Remaury ci parla di una donna che viene sempre rappresentata giovane,bella e sana sostenendo che, soprattutto in virtù di queste immagini che anche i nostri attuali mezzi di comunicazione offrono quotidianamente,la donna va alla ricerca della perfezione corporea sottoponendosi anche a numerosi interventi che in alcuni casi provocano conseguenze drastiche e sempre più spesso la morte.Si pensa di raggiungere cosi la perfezione di un corpo immune a malattie ,ai segni del tempo e della fatica della vita,mentre a mio parere è proprio dietro ad ogni ruga si nasconde una storia di fatica,di gioia o di sofferenza e proprio dietro a mani ruvide che si nascondono i sacrifici che una persona ha compiuto per costruirsi una vita dignitosa.
    Lipovetsky nel suo testo “La terza donna” offrendoci il quadro di tre “tipi”di donne particolari:la prima donna svalutata e sfruttata, poi è venuta la seconda donna la Beatrice che rappresenta un’icona e ideale di virtù e nel ventunesimo secolo arriva l’era della terza donna che racchiude in se le altre due e le supera e alla quale viene attribuito l’aggettivo di indefinita,poiché pur essendo caratterizzata da autodeterminazione ,nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti percorrendo la strada del “corpo perfetto.” Il disprezzo del corpo si è affermato in modo particolare con il Cristianesimo che intendeva il corpo come peccato cedevole di fronte alla carne;sarà ben evidente il contrasto tra mente e corpo che si proterrà fino all''800 '900 fino ai giorni nostri. A partire da quel momento si iniziò a parlare di MUTA-MENTI non solo in ciò che si faceva ma anche nel modo di pensare;CORPO-MACCHINA di cui si inizia a parlare a partire dalla rivoluzione industriale poiché si ha l'identificazione tra UOMO e MACCHINA;CORPO-REPLICATO corpo inteso come macchina in quanto organismo biologico da riprodurre artificialmente;L'ALTRO CORPO politica di non accettazione del corpo. Il corpo femminile è stato per secoli sottoposto a modifiche attraverso il CORPETTO,la tecnica di fasciare i piedini ad una fanciulla poiché nell'immaginario collettivo si riteneva che i piedi di una ballerina ,di una gheisha dovessero essere piccolissimi.
    Braidotti propone un nuovo femminismo il CYBERFEMMINISMO poiché le CYBERGIRS con la loro passione per le tecnologie scelgono un terreno maschile su cui addentrarsi;questo si spiega poiché opera nel periodo post-femminismo e la sola differenza tra cyber femminismo e femminismo è rappresentato dal MEZZO cioè il computer che funge da tramite e da prolungamento delle menti umane. Propone il concetto di CYBER NEUTRO un ibrido tecnologico(poiché il corpo umano è invaso dalla tecnologia) che rappresenta il superamento dell’eterna opposizione della figura femminile e di quella maschile senza però annullare le differenze sessuali perché il sesso differisce per genere. Rosi Braidotti,infatti, in Madri,mostri e macchine ripropone proprio il discorso sui mutamenti indotti dalle bio-tecnologie che riguardano la relazione degli uomini con la materia corporea.
    Per ricondurmi alla parte iniziale del mio intervento credo che sia giusto fare una riflessione ripercorrendo le tappe del concetto di BELLEZZA a partire dal mondo Greco dove era presente il binomio BELLEZZA=PERFEZIONE. Cioè tutto ciò che era bello era simbolo di perfezione;per comprendere a fondo questa mia affermazione basti pensare agli eroi della mitologia greca come Achille piè veloce,simbolo di forza,di virtù. Con il tempo il significato di questo concetto è mutato poiché ad esempio nel periodo barocco “bello” è tutto ciò che ha forme particolari, ricche di virtuosismo;oggi il significato di questo concetto è ulteriormente cambiato perché bello è ciò che è perfetto ma non implica che dietro quella perfezione ci sia bellezza d’animo,forme di virtù ma molto spesso sofferenza,privazione,pillole dimagranti,seni rifatti,lentine colorate agli occhi. Perché si fa tutto questo?Perché non ci si accetta più per quello che si è?Perché si ha paura di invecchiare?Io a questi interrogativi risponderei molto semplicemente POICHE’ CI SI SENTE MOLTO FRAGILI E PER ALLONTANARE QUESTO PROFONDO SENSO DI DESTABILIZZAZIONE SI VUOLE CONTROLLARE TUTTO ANCHE IL TEMPO CHE PASSA PER EVITARE CHE ARRIVI L’IGNOTO CHE SPAVENTA TANTISSIMO.


    Maria Pia Palvelli
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    Prova intercorso (riapre a giugno) - Pagina 9 Empty Re: Prova intercorso (riapre a giugno)

    Messaggio  Maria Pia Palvelli Ven Mag 18, 2012 9:14 pm

    1.PUNTO
    L’oms : organizzazione mondiale della sanità è nata nel 1948 con lo scopo di migliorare il livello di salute di tutte le popolazioni .
    Tramite l’Oms si è data vita ad una nuova forma di “classificazione delle malattie “, detto anche ICD ( The International Classification of Diseases) , la quale si occupa di cogliere le cause delle patologie sin dalle origini , fornendo per ogni malattia caratteristiche specifiche. le diagnosi vengono tradotte in codici numerici , rendendo possibile la memorizzazione , la ricerca e l’analisi dei dati.
    L’Oms ha dato vita anche a nuove proposte di classificazione internazionale delle malattie ,sotto il nome di ICIDH ( International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps ). Codesta classificazione si fonda su 3 principi interagenti e interdipendenti :
    - MENOMAZIONE ( perdita o anormalità psicologica di un individuo )
    - DISABILITà (mancanza di capacità di compiere un’attività fisica o mentale)
    - SVANTAGGIO O HANDICAP (soggetto menomato )


    Questi termini verranno successivamente sostituiti :
    - MENOMAZIONE
    - ABILITà
    - PARTECIPAZIONE
    Nel 2012 Oms dà ancor vita ad una delle più grandi innovazioni : ICF(International Classification of Functioning, Disability and Health) classificazione internazionale della disabilità, del funzionamento e della salute. Esso è un modello di salute e disabilità UNIVERSALE .
    Tale classificazione è nata con lo scopo di descrivere lo stato di salute degli individui in relazione ai loro ambiti esistenziali (come quello sociale, lavorativo , familiare ecc ecc.), deducendo cosi le difficoltà nel contesto socio culturale .
    L’ICf rappresenta uno strumento importantissimo per operatori sanitari, per i settori della sicurezza sociale ecc poiché si da diritto alle persone con disabilità di integrarsi completamente con la società stessa.
    I campi dove puo essere utilizzato l’ICF sono: sanitario, sociale, educativo, ricerca, statistico.
    Per quanto riguarda il “ LINGUAGGIO ” deve essere comune tra i vari enti (tipo aziende ospedaliere, ASL ecc) . Così con questa innovazione il “disabile” si tramuta in “unico” , non dando più valore alla descrizione delle malattie (ICD) ma all’analisi dello stato di salute dell individuo (ICF).
    ATTIVITà LABORATORIALI :
    i termini tipo handicap, menomazione,disabilità ecc. sono sempre stati analizzati in modo preciso in aula ed accompagnati da esperienze laboratoriali , tramite visione di film, racconti in prima persona di soggetti ecc. In questo caso ciò che si doveva verificare era l’immedesimazione di un disabile nella nostra giornata tipo con le conseguenti difficoltà che esso poteva incontrare. (barriere architettoniche)
    Orologio
    Solitamente mi alzo alle 7,30 , scendo dal letto( e già qui il disabile ha bisogno di sostegno), lo stesso vale per il bagno. Dopo essermi lavata mi vesto e mi preparo ad affrontare la mia giornata. già nel scendere il mio palazzo, un disabile incontrerebbe problemi , in quanto sono presenti una decina di gradini.per mia fortuna sono una persona alquanto dinamica e questo sicuramente mi dà la possibilità di gestire il tempo in modo molto più veloce di un disabile. una volta che sono per strada , raggiungo la vesuviana , ed ad essere sincera non credo che il disabile trovi problemi , in quanto sono presenti anche segnaletiche per i non vedenti, quindi i marciapiedi sono omologati e anche la stazione ,che possiede un'ascensore. Per accedere al treno quindi un disabile non incorrerebbe in difficoltà ma una volta giunti a Piazza Garibaldi la situazione cambia , proprio come ho già detto nel commento fatto precedentemente ...stessa identica cosa anche per la metro .Invece per quanto riguarda la funicolare ancora una volta è presente un'ascensore . Da questo momento raggiungo l'università , dove non sempre sono presenti tutti i comfort per un disabile .
    questa forse è solo una delle tante giornate che potrei raccontare, ma forse è l'unica che facendo giornaliermente mi da la possibilità di riflettere quanto sia difficile per un disabile compiere quelle azioni che rientrano nella normalità di ogni ESSERE UMANO.
    Disabile= è COLUI CHE HA UN MENOMAZIONE FISICA O MENTALE,NON PUO ESSERE CONSIDERATO E VISTO COME UN DIVERSO PERCHE' SONO IN ALCUNI ASPETTI UGULI ALLE ALTRE PERSONE DEFINITE NORMALi. IL TERMINE DISABILE TENDE A METTERE IN RISALTO SOLO LE MENOMAZIONI DI UNA PERSONA, DIMENTICANDO CHE QUEST’I INDIVIDUI POSSIEDONO ANCHE DELLE ABILITà .
    Diverso = STA AD INDICARE UNA DIVERSITà , CHE PUO ESSERE NEGLI ATTEGGIAMENTI, NEL COLORE DEI CAPELLI, DEGLI OCCHI , DELLA PELLE ECC . SPESSO SI TENDE AD ISOLARE I “DIVERSI” .
    SPESSO IL DIVERSO NON SCEGLIE DI ESSERLO, MA VIENE “ETICHETTATO” DALLA SOCIETà
    “UNA PERSONA DISABILE NON E'DIVERSA,COSì COME UNA PERSONA DIVERSA NON E'DISABILE!”
    2^ PARTE
    Anna Maria Murdaca, nella sua vita si è occupata dello studio e stesura di questioni riguardanti le persone affette da disabilità.
    Considera il disabile un cittadino a tutti gli effetti e non come un individuo passivo e proprio per questo che con il testo “complessità della persona e disabilità” mira a punti ben definiti :
    - Ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    - Rimodulazione del termine integrazione
    - Ruolo che i disabili possono assumere , reali condizioni di vita , servizi erogati in base alle loro esigenze
    Ella afferma ce ci debba essere l’attuazione della globalizzazione con una chiara integrazione dei disabili. Integrazione vista come un’azione di sviluppo universale.
    Per Anna Maria Murdaca a determinare le condizioni di un disabile è soprattutto il contesto sociale , in quanto pesano di più le barriere sociali che quelle architettoniche. La professoressa cerca di giungere al punto che il disabile debba essere valorizzato , accettato ed integrato nella società. Infatti ci parla anche de ICF , proprio a testimonianza che l’ambiente circostante abbia la sua valenza, come il nucleo familiare di appartenenza , la società in se, il lavoro ecc ecc , ma anche l’educatore in questa circostanza ha una grande valenza. Questi elementi sopra citati, sono tutti indipendenti fra loro, ma allo stesso modo tutti importanti, dato che l’identità di una persona si forma anche in base alle persone che si frequentano. Per quanto riguarda l’educatore , ha l’obbligo di dover rispondere a determinati requisiti:
    - Disponibilità
    - Rapporto basato su fiducia
    - Rapporto confidenziale (non evidenziando le differenze di ruolo tra educatore ed educando)
    - Eliminazione del confine di separazione tra disabili e persone normodotate
    - Creare una forte autostima nel disabile
    L’obiettivo educativo ovviamente è motivato da principi come la gratificazione, condivisione di idee-sensazioni, regole(essenziali per la formazione di un individuo).
    Anna Maria Murdaca ovviamente tende a precisare che anche con il giusto lavoro da parte degli enti ( es. educatori) , le condizioni del disabile non di certo cambieranno nettamente, ma faranno sì che l’individuo non si senta isolato facendo accrescere così l ’autostima. Verso i disabili bisogna attuare una “cultura attenta a cogliere tanto le disfunzioni comportamentali cognitive quanto ad innalzare le qualità della vita dei soggetti”. Tutto il pensiero di Anna Maria Murdaca si può riassumere nella frase “non si deve definire nessuno per sottrazione”
    Proprio sul tema dell’educatore abbiamo durante una lezione attuato un confronto educatore – educando . confrontando tutte le possibili realtà che un educatore avrebbe potuto incontrare nella sua carriera. E quello che scrissi fu proprio questo: Per me l'elemento fondamentale per un rapporto tra educatore ed educando è la relazione che si istaura, in quanto solo se cè fiducia reciproca , l'educatore puo cercar di far superare dei limiti all'educando .
    l'educatore, deve dar la possibilità all'educando di sentirsi libero, di poter agire come meglio crede, ma intervenendo nel momento di bisogno. ( L' approdo auspicabile per l' educatore, sarebbe quello di una "distanza comprendente": sto abbastanza lontano perché il formando possa fare le proprie esperienze ma all' interno comunque di un mio contenimento, se occorresse. cit. " L' educazione é essenzialmente relazione" sociologia)
    3 punto
    Una bella donna non è colei di cui si lodano le belle gambe o le braccia, ma quella il cui aspetto complessivo è di tale bellezza da togliere la possibilità di ammirare le singole parti.
    Seneca,
    Sin dall’antichità il concetto di bellezza di una donna ha sempre avuto la sua valenza, a partire da studi filosofici a finire con autori come Remaury , Lipovetsky e Braidotti.
    Remuary vede l’oggetto in questione come “mostruoso “ in quanto sostiene che il miglioramento fisico ed estetico di una donna è solo la conseguenza di non sentirsi accettata dalla società. L’autore ci parla anche di tre tipologie di corpo:
    - Corpo trasfigurato = perfezione corporea
    - Corpo trasfigurato = trasformazione per giungere alla perfezione
    - Corpo liberato = è libero dal peso, dal tempo e dalle malattie (riferimento anche a Lipovetsky )
    Lipovetsky invece ci parla di: “La terza donna” cioè quella del nostro secolo, determinata a far qualsiasi cosa pur di poter raggiungere l’apice della perfezione fisica .Oggi giorno sono tantissime le donne che ricorrono alla chirurgia estetica, diete drastiche, massaggi, farmaci e quant’altro pur di potersi vedere un giorno trasformate.
    Per quanto riguarda Braidotti ,come Remaury, ci parla di un corpo definito “ corpo-macchina” dove la donna tende sempre piu ad avvicinarsi- dipendere alla tecnologia , ella afferma che si deve raggiungere la consapevolezza di rispettare il rapporto “corpo-mente”
    Come ho gia detto precedentemente , soprattutto nell’epoca in cui ci troviamo a vivere, sono tante le persone (comprese persone a me vicine )che ricorrono alla chirurgia estetica , e questo mi ha sempre dato modo di riflettere su quanto ormai si badi solo ed esclusivamente all’aspetto esteriore. Ho deciso di iniziare proprio con una frase di Seneca perché il mio pensiero è tutto riassunto li, in quelle poche righe. Non condivido chi , pur non necessitandone, ricorre alla chirurgia. Si è vero siamo in un secolo di grande progresso, e questo ben venga, ma lasciamo far questo a chi ne ha veramente bisogno ( vedi oscar pistorius).


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    Messaggio  elena capasso Ven Mag 18, 2012 9:47 pm

    Riflettiamo sull'importanza delle parole per dire disabilità. La prima classificazione elaborata dall'organizzazione mondiale della sanità(OMS) è la “classificazione internazionale delle malattie” (ICD) del 1970 ;una sorta di enciclopedia delle malattie che forniva per ogni malattia o disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e indicazioni diagnostiche. Queste vengono tradotte in codici medici che rendono possibile memorizzazioni e le analisi dei dati quindi focalizza l'attenzione sull'aspetto eziologico della malattia . Il limite di questa è che avvicina la disabilità a patologie cliniche ,ma la disabilità non è sempre una malattia. Per cercare di risolvere questo problema di definizione l'OMS nel 1980 crea l'ICDH (INTERNATIONAL CLASSIFICATION OF IMPAIRMENTS ,DISABILITIES AND HANDICAP). Questa modifica i termini: memoria -disabilità e handicap in :menomazione - abilità partecipazione .Quindi viene data piu importanza al soggetto e al suo coinvolgimento sociale con un diverso atteggiamento assunto nei confronti di persone con deficit .La menomazione è qualsiasi perdita o anormalità a carico di una funzione psicologica ,fisiologica o anatomica e può essere transitoria, accidentale(avviene a seguito di un incidente) o permanente. E’ un danno organico, una disfunzione che comporta un cattivo funzionamento di un arto o una parte del corpo. E’ il caso ATZORI, una ragazza che pur non avendo le braccia ,riesce a fare tutto ,soprattutto ballare.E’ l’esempio di resilienza :vive la vita con tutte le sue difficoltà,superando ogni limite che forse limite per lei non è; Questi esistono solo nella nostra mente.Mi piacerebbe paragonarla alla ginestra ,fiore che non si piega alle avversità e che è in grado di sopravvivere anche in un terreno arido.
    Conseguente alla menomazione è la disabilità cioè la limitazione a compiere un'attività nel modo considerato normale per un essere umano; In tal senso è la perdita di una capacità operativa ed'è caratterizzata da esclusioni nella realizzazione di compiti rispetto a ciò che sarebbe normalmente atteso. Rappresenta l'oggettivazione della menomazione e come tale riflette disturbi a livello di persona nella capacità di lavarsi , alimentarsi , saper camminare.Una persona puo essere menomata senza essere disabile e disabile senza essere handicappata. La difficoltà che la persona con disabilità mostra nel confronto esistenziale con gli altri si può chiamare handicap. Questo rappresenta il disagio sociale che deriva dalla perdita di capacita, rappresenta la condizione di svantaggio conseguente alla disabilità .Personalmente, prima di studiare tutto ciò, avevo sempre pensato che le parole deficit e handicap fossero sinonimi ,significassero la stessa cosa; invece sono due cose completamente diverse perché il deficit è il danno organico mentre l'handicap o ,svantaggio ,è la difficoltà di confrontarsi con gli altri. Fare confusione tra i 2 termini ci porta a considerare l'handicap solo come un problema di chi ha qualche deficit e pensare che coloro non siano uomini come tutti gli altri :pensiero rafforzato dall'utilizzo del termine dispregiativo “handicappati”.Nel 2001l'OMS pubblica l’ICF: una classificazione innovativa rispetto alle precedenti che sta per “classificazione internazionale del funzionamento ,della disabilità e della salute”. Secondo questa la disabilità è una condizione di salute determinata da un contesto sfavorevole ,quindi non sono solo i fattori biomedici ad essere presi in considerazione ma anche il contesto sociale. I termini menomazione ,disabilità e handicap vengono sostituiti da: funzioni -strutture corporee –attività e partecipazione con l'intento di dare maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale ,quindi non studia piu solo la malattia ma anche le conseguenze associate alle condizioni di salute e pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia evidenziando come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla per vivere serenamente. L’icf è stato creato perché le informazioni che venivano date della diagnosi medica non erano sufficienti a scegliere cosa quella persona è in grado o non è in grado di fare .Occorre fare una riflessione sella parola disabile e diverso .Per disabile si intende una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana perché affetto da disfunzioni motorie o cognitive.E’ una persona che ha un diverso funzionamento di un’abilità. Spesso scoprono il loro disagio proprio confrontandosi con i normodotati,ma talvolta non si sentono tali e riescono a compiere tutte le attività.Infatti recentemente la parola disabilità è stata considerata dispregiativa perché non include che essi possiedono anche delle abilità e che quindi è meglio parlare di diversabile,termine che indica il possedimento di abilità diverse dagli altri.Cosi nasce l’esigenza di non trascurare il valore della persona:essi vengono trattati con pietismo e esistono pregiudizi e stereotipi che li fanno apparire come uno “scarto di umanità” poiché tutto ciò che è diverso e quindi non si conosce,intimorisce,spaventa.Il disabile ci fa paura perché è diverso da noi,viene emarginato e considerato un mostro;Inoltre anche l’ambiente gli è sfavorevole visto che non gli consente di avere una vita “normale”per le barriere architettoniche:le incontrano nel momento esatto in cui escono dalla propria abitazione(scalini,marciapiedi rotti,auto parcheggiate su di essi) e non riescono a raggiungere un luogo almeno che qualcuno non li aiuti e cosi perdono del tutto la loro autonomia.Il diverso è l’altro,il mostro che viene isolato perché non lo capiamo e molto spesso non ci proviamo neanche,proviamo vergogna,compassione,imbarazzo. A mio parere,invece,la diversità è ricchezza,risorsa.Il mondo è bello proprio perché siamo tutti diversi,abbiamo caratteristiche uniche e irripetibili.Lo stesso Eraclito afferma “nessun uoomo si bagna nello stesso fiume due volte” dicendo che tutti sono diversi da prima per le esperienze che vivono.
    L'ICF sottolinea l'importanza di valutare l'influenza dell'ambiente sulla vita degli individui:la società,la famiglia,il contesto lavorativo puo favorire o inibire l'integrazione della persona con disabilità. Anna Maria Murdaca riflette proprio sull'integrazione delle persone disabili e nel suo testo "complessità della persona con disabilità" mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità,alla rimodulazione del termine integrazione,alla comprensione delle reali condizioni di vita,quale ruolo effettivamente possono assumere i soggetti disabili,quali servizi vengono erogati per le loro esigenze.L'ambiente nel senso ampio del termine,dal contesto familiare alla scuola,puo essere barriera o facilitatore. Occorre soffermarsi sulla complessità della PERSONA con disabilità : bisogna valorizzarla rispettandone e valorizzandone la diversità; “non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione” perchè parlando di disabilità si parla di persone .Bisogna pensare al processo d ‘integrazione come accoglienza verso l’altro e come condivisione di valori etici. L’integrazione è un processo continuo,non un punto di arrivo. Bisogna mirare all'emancipazione del soggetto con disabilità. Per l’emancipazione è molto importante la CURA di se ,per accettarsi e convivere con la propria specialità. La cura è vista come atto capace di aiutare la persona con deficit e ridare senso e significato alla sua personale esperienza .L’handicap proviene dalla non capacità di conformarsi alle aspettative proprie all’universo che circonda l’individuo .E’ un fenomeno sociale ed è proprio dall’immagine sociale e dai significati culturali che vengono attribuiti ad esso che si costruiscono le premesse per il riconoscimento della persona e per le opportunità di vita che le vengono concesse .Bisognerebbe costruire una serie di attività che sottolineino l’importanza della presenza dei disabili:non basta l’educazione classica ma c’è bisogno di una relazione educativa che consentirà la crescita della persona in tutte le sue dimensioni e il senso di appartenenza alla comunità educatrice. La relazione educativa è uno spazio nel quale il disabile sperimenta con gli educatori una serie di situazioni che gli permettono di pensare al proprio stato e alle proprie capacità eliminando blocchi,disagi,scoprendo la resilienza che fa superare le difficoltà. E’ molto importante,infatti,collegare le esperienze quotidiane del soggetto con la biografia emotivo|affettiva sia per una diagnosi clinica,sia per sottolineare l’importanza della precocità degli interventi disciplinari. Si cerca cosi di portare il disabile verso lo sviluppo della propria autostima,identità. La relazione educativa è l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l’educatore e coloro che egli educa. Deve essere una relazione di incontro,scambio ,partecipazione e alleanza e non deve essere contrassegnata da una disparità di potere tra insegnante e alunno .Ogni relazione è educativa in quanto è portatrice di significati,valor io anche semplicemente opinioni che assumono un peso educativo nella crescita di colui che li riceve,visto che in una relazione ogni individuo riceve qualcosa .Quindi è un dare e un ricevere. L’educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nella relazione e fondamentale deve essere il rispetto reciproco .Alla base di una relazione educativa c’è la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all’accoglienza ,all’ascolto,lasciando spazio alla libertà dell’altro e costruendo insieme un progetto di vita personale,quindi è anche scambio di emozioni tra due persone .La relazione educativa rimanda all’immagine di grande famiglia:l’insegnante deve prima di tutto creare un clima sereno,far entusiasmare l’alunno facendolo intervenire e confrontarsi con gli altri,con il rispetto e la stima per le sue opinioni. Deve far sentire a suo agio l’individuo creando un clima di fiducia .Lo studente deve contare sul fatto che vi sia all’interno dell’istituzione scolastica una persona di cui si possa fidare,pronta ad ascoltarlo,dargli consigli,incoraggiarlo,ma anche rimproverarlo al momento giusto. Bisogna saper coinvolgere l’alunno .E’ molto importante tra insegnante e alunno che ci sia un rapporto di fiducia e di stima.Sicuramente si da molto di piu laddove si viene considerati come persona e non come matricola. Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile,l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile .Bisogna cercare di portare il disabile sullo stesso piano dei normodotati;Quindi non mettere in luce le mancanze ma evidenziare le potenzialità,le doti e le capacità della persona .Occorre una certa sensibilità perché oltre a conoscere i suoi bisogni ,bisogna anche conoscere il carattere e altri fattori che potrebbero influenzare negativamente la relazione educativa. La nuova cultura della disabilità deve:cogliere le disfunzioni comportamentali e innalzare la qualità della vita dei soggetti. Rimodulare l’integrazione significa guardare alla globalità della persona che non puo essere curata se non considerata nell’insieme. Un’altra interessante proposta presente nel testo complessità della persona con disabilità è ripensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità,i quali non sono soggetti passivi di pietismo ma cittadini a pieno titolo.
    Il contesto culturale nel quale viviamo è un elemento determinante per la formazione degli ideali ,delle convinzioni e aspettative degli adolescenti.Le fonti prime di informazioni ,quali riviste,televisione,radio sono sempre piu fondate sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità che non sui contenuti.Numerosi studi indicano che questi mezzi giocano un ruolo importante nei problemi legati all’immagine corporea negativa,al modo scorretto di alimentarsi.Le modelle e i personaggi degli spettacoli forniscono modelli estetici spesso irrealizzabili per la maggior parte della popolazione.La magrezza e il rigido controllo del peso vengono “GLORIFICATI” mentre la corposità è vista come esteticamente brutta.Nel testo di REMAURY “il gentil sesso debole”la bellezza è associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla,quindi viene imposta dalla stessa società.Tutti siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione,abbiamo un triplice obiettivo: eterna giovinezza- perferta bellezza-salute totale.Anche Lipovetsky nella liberazione de LA TERZA DONNA sottolinea la sottomissione della donna ai modelli dominanti imposti per cui questa è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto.Raggiunge una fase positiva della cultura della bellezza :la donna puo scegliere la propria immagine all’interno dell’offerta di modelli sociali,ma c’è un limite:la convinzione che la donna si identifichi necessariamente in quei determinati modelli.Rosi Braidotti nel testo MADRI,MOSTRI,MACCHINE,intende ripensare il corpo e la mente senza introdurre una nuova dualità grazie alle tecnologie virtuali;Queste erano utili per arginare il conflitto di genere,portando la differenza sessuale nei mondi elettronici,virtuali.Il suo punto di partenza non era cosa siamo ma cosa vogliamo diventare..Braidotti parla di una nuova donna :trasgressiva,e non per questo mascolina,una donna nomade e in movimento,aperta alle nuove tecnologie,ai new media:le CYBERGIRL che con la loro passione verso le tecnologie,non hanno paura di confrontarsi col mondo maschile.Nel suo libro parla dei mutamenti indotti dalle biotecnologie che stanno cambiando il rapporto dell’uomo col suo corpo.il corpo gravido e quello mostruoso si uniscono nell’immaginario maschile all’idea di orribile e del meraviglioso:mostro e madre al contempo.E’ a partire da questa visione che proponje alle donne di incarnare la macchina.Quindi l’immagine della donna si allontana sempre piu dal reale,trasformandosi in ideale nella televisione,vincolata alla sua corporeità estetica,per poi perdere nel virtuale tutta la sua prigione di fisicità.

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    Messaggio  DI MASO CLAUDIA Ven Mag 18, 2012 11:33 pm

    1 )L’ OMS è l’ Organizzazione Mondiale della sanità. La prima classificazione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della sanità è la “ classificazione Internazionale delle malattie”
    ICD del 1970, che risponde all’ esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Per cercare di ovviare a questo problema di definizione l’ Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo a punto nel 1980 una classificazione internazionale,l’ International classification of impairments, disabilites and handicaps detta brevemente ICIDH.
    La nuova proposta dell’OMS si basa su tre fattori tra loro interagenti e interdipendenti : la menomazione, disabilità, e lo svantaggio o handicap.
    Caratteristiche della menomazione sono perdite materiali o anormalità che possono essere transitorie o permanenti e comprende l’ esistenza o l’ evidenza di anomalie,difetti o perdite a carico di arti,tessuti o altre strutture del corpo, incluso il sistema delle funzioni mentali.
    Ossia l ‘ incapacità, conseguente alla menomazione, di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo nell’ ampiezza considerati normali per un individuo.
    L’ handicap è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o di capacità, la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’ adempimento del ruolo normale per tale soggetto limita o impedisce l’ adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’ età , o al sesso.
    La classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute è stato introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica, seppure importanti, non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona, vale a dire che cosa quella persona è in grado di fare a quali sono invece le attività nelle quali ha difficoltà.
    Si ritiene molto utile , in questo ambito, una riflessione suelle parole disabile e dieverso.
    Disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, un individuo affetto da disfunzioni motorie e cognitive, inoltre i disagi sociali che riscontra il soggetto possono influenzare anche la sua sfera psicologica, una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità oppure dal diverso funzionamento di una o più abilità della persona nella sua essenziale umanità. La persona disabile è un individuo, con una propria identità.
    Diverso può essere una persona non necessariamente affetta da menomazione fisica o psichica ma che distingue dagli altri per le sue caratteristiche, si pensi alle seguenti etichette: lo straniero , l’ handicappato, il genio, colui che non si adegua alla norma, alle regole, standardizzate. Una persona diversa per lingua, cultura, costume, abitudini, razza, religione … Il diverso di solito non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società suo malgrado. A ciò posso ricordare l'avventura di Simona Atzori, sono rimasta molta colpita della sua testimonianza, le parole sono quasi superflue di fronte a i suoi movimenti così naturali nel sistemarsi i capelli, ma soprattutto nel danzare...!!!Il messaggio è stato abbastanza chiaro "TU SEI UNICO E VALE PER COME SEI ".E' un messaggio forte di grande speranza, Simona Atzori rappresenta una donna piena di vita e di voglia di viverla per tutto ciò che ti può dare, una donna normale, se sappiamo cosa significa normalità, ma al contempo speciale, perchè il suo impegno nella vita è importante in quanto da un esempio a chi pensa di essere diverso...ma invece non lo è!!!!e che si può volare anche senza ali!!!!!


    2)Si ritiene utile prendere in considerazione il testo complessità della persona e disabilità di Anna Maria Murdaca, docente esperta e autrice componente in questioni relative la persona con disabilità.
    Il testo di Murdaca mira: alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione, alla comprensione delle reali condizioni di vita i soggetti disabili. La costruzione dell’ identità personale tra memoria e progetto deve avvenire in luoghi riassicuranti in luoghi capaci di sviluppare le potenzialità personali cercando i mezzi più idonei a valorizzare la differenza come risorsa.
    Si pensa ad una comunità sociale che superi i limiti di una società che trascura spesso i soggetti disabili. Tutto ciò deve avvenire con attenzione alla persona, alla socializzazione, alla globalizzazione, all’ integrazione. Qui voglio aggiungere un mio piccolo commento
    Disabilità non fa rima con barriere,ma se ancora oggi stiamo parlando di barriere architettoniche, significa che c’ è ne bisogno… come ben sappiamo tutte le persone che vivono o hanno vissuto una situazione di riduzione della mobilità personale.
    Il primo passo verso il miglioramento della situazione deve essere fatto educando la comunità: bisogna educarla o rimuovere le barriere culturali prima di rimuovere quelle architettoniche al fine di promuovere l’ integrazione sociale parallelamente a quella ambientale. Il secondo grande passo deve essere fatto in fase di pianificazione urbanistica : la progettazione dello spazio degli edifici deve essere volta a favorire il più possibile una vita indipendente e confortevole delle persone nei vari settori. Io credo che sia giusto che per queste persone ci sia più organizzazione, con qualche parola in meno e qualche fatto in più.Nel testo si parla molto di relazione educativa. Quando una persona stabilisce una comunicazione con un’altra, con una finalità educativa, si dice “relazione educativa”, questa attraversa una serie di tematiche perché và dalla relazione familiare e quindi affettiva a quella scolastica e più propriamente formativa.
    Una relazione educativa è anche uno scambio di emozioni tra due o più persone, alla base vi è la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all’accoglienza, all’ ascolto, per poter così costruire insieme un progetto di vita.
    L’ insegnante deve trasmettere le proprie competenze culturali e didattiche, ma non deve limitarsi alla classica lezione fatta di nozioni, date e eventi. Deve prima di tutto creare un clima sereno, coinvolgere l’alunno facendolo intervenire e facendolo confrontare con gli altri, con il rispetto e la stima per le sue opinioni. Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile, l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile, cercando di portarlo su un piano di pari opportunità con i normodotati.
    L’insegnante deve decondizionare il bambino condizionato negativamente, cioè che si sente inferiore, attraverso delle strategie didattiche, una di queste è “la pedagogia del successo scolastico”, si tratta di non criticare le negatività, ma di esaltare le qualità del bambino.
    Lo scopo finale di questo lavoro della Murdaca, vuole essere quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere.



    3)Il culto della bellezza nella società odierna?… Beh, credo che il titolo potrebbe essere: “Se sei carino bene, altrimenti sei fuori!ecco perché si ricorre molto spesso alla chirurgia…E possiamo notare che già nei tempi passati c’ era questo pensiero perché vari testi lo dimostrano…
    Il testo di Remaury , Il gentil sesso debole, Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute.
    La bellezza è associata all’ idea che la donna abbia il dovere di coltivarla. La responsabilità e la cura della salute è da sempre affidata alla donna, prima per gli altri, oggi anche per se. Diverse indagini hanno dimostrato che alle persone con un aspetto giudicato attraente vengono attribuite anche presunte virtù interiori come onestà, bontà, gentilezza e intelligenza magari inesistenti. Ad esempio
    Remaury, nel IL gentil sesso debole dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute.
    Lipovetsky nel suo libro, La terza donna ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull’ apparente acquisizione di grazia .La teoria della maturità positiva della donna la fa venire fuori come colei che controlla e gestisce la propria immagine all’ interno della variegata offerta di modelli sociali, tra i quali sembra poter scegliere quello che le è più congeniale.



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    Messaggio  milone lucia Sab Mag 19, 2012 7:33 am

    1) L’OMS è l’organizzazione mondiale della sanità.
    La prima classificazione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1970 è la Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD),che risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie,fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche;le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione,la ricerca e l’analisi dei dati,facendo dell’elenco un’ Enciclopedia Medica. L’organizzazione mondiale della sanità per cercare di rimediare al problema di definizione nel 1980 ha sostituito l’ICD con l’ICIDH (International Classification of Impariments,Disabilities and Handicap) per poi passare all’ICF. La Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute (ICF) afferma che la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole;è una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati. Quindi non più soltanto una condizione soggettiva o come una caratteristica propria della persona ma con l’intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento e partecipazione sociale. L’ICF è descritta dall’OMS come “un linguaggio standard e unificato che serva da modello di riferimento per la descrizione della salute e che facilitando la comunicazione tra professionalità ed esperienze diverse può promuovere nuovi orizzonti di ricerca. L’ICF non classifica solo condizioni di salute,malattie o traumi che sono d’interesse dell’ ICD ma anche le conseguenze associate alle condizioni di salute e pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia,permette quindi di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinché possano contare su un’esistenza serena e produttiva. L’ICF è stata introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica anche se importanti non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona, cioè cosa quella persona è in grado di fare e quali sono invece le attività nelle quali ha difficoltà; l’ICF rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario e dei settori della sicurezza sociale,dell’istruzione,del lavoro. Adattandolo si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa. Abbiamo visto anche nelle varie lezioni di quante problematiche debbano affrontare le persone disabili ogni giorno per poter vivere una vita serena, anche per il troppo menefreghismo e il non considerare che in una città non ci sono soltanto persone normodotate, ma anche persone con qualche difficoltà in più che non possono essere bloccate, rinchiuse in casa per le varie barriere architettoniche sparse per la città. È molto utile quindi fare una riflessione anche sulle parole DISABILE e DIVERSO.
    DISABILE è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana,una persona affetta da disfunzioni motorie/cognitive,caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità. Molte volte nei confronti di una persona con disabilità si tende ad assumere un atteggiamento di pietismo dando loro un etichetta, parlando non più di una donna, un bambino o un anziano ma del disabile, del sordo ecc.
    Il disabile è un soggetto con disturbi fisici o psichici che spesso scopre il suo disagio proprio confrontandosi con persone normodotate. Esistono anche persone con disabilità che non si sentono affatto tali, riuscendo a compiere qualsiasi attività grazie al superamento delle barriere; come abbiamo visto Simona Atzori oppure Pistorius che non si sono fermati di fronte alle loro disabilità. (esempi di resilienza). Con il tempo il termine disabile ha assunto un valore dispregiativo, indica un soggetto in difficoltà, disabile cioè non abile in qualcosa mentre il termine diversabilità mette in risalto che si tratta di una persona che ha oltre che una dis-abilità anche delle ABILITA’ diverse dagli altri da scoprire, far emergere e potenziare; per questo motivo si ritiene più corretto parlare di diversamente abili o diversabili. L’idea di diversabilità nasce dall’esigenza di non trascurare il valore della persona nella sua essenziale umanità. Il termine diversabile è un termine positivo che mette in evidenza l’essere diversamente abile in una determinata cosa, ma non esclude l’essere abile in un’altra (es. una persona cieca è diversamente abile nella vista ma molto abile nell’udito, come abbiamo visto nel caso del professore Palladino). Molte volte purtroppo la diversità porta alla collocazione di certe persone in determinate categorie; il DIVERSO può essere una persona non necessariamente affetta da una menomazione fisica o psichica ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche, una persona diversa per lingua, cultura, religione, lo straniero, il genio, colui che non si adegua alla norma, alla regola standardizzante. Diverso non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società. Anche dall’esperienza di emarginazione fatta in aula abbiamo constatato questo fenomeno. Io ero tra i cittadini e godevo di molti privilegi, mentre le mie colleghe che si trovavano tra gli emarginati non godevano di alcun privilegio e anche se era soltanto un esempio si sono sentite comunque invisibili, isolate e non avevano modo di esprimersi, nessuno gli dava ascolto, si sentivano impotenti proprio come succede spesso nella realtà.
    2) Anna Maria Murdaca docente esperta e autrice nel suo testo “Complessità della persona e disabilità” mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione, alla comprensione delle reali condizioni di vita, quale ruolo possono assumere i soggetti disabili, quali servizi vengono erogati per le loro esigenze. Secondo l’autrice occorre dirigersi verso l’ottica della globalità cioè una nuova cultura e conoscenza della disabilità attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento, del comportamento, dell’assistenza del soggetto disabile ma anche centrata sul riconoscimento della persona.
    E’ il contesto sociale a determinare le condizioni di handicap, sono gli ostacoli e le barriere fisiche a favorire il processo di esclusione o quello di emarginazione. L’obiettivo di Murdaca è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità anche attraverso l’integrazione. L’integrazione è un processo continuo; una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili in quanto cittadini a pieno titolo (es. il diritto di uguaglianza). Non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione perché si tratta pur sempre di persone, quindi come tutti si caratterizzano per capacità, e non per quello che non sanno fare.
    Per quanto riguarda il concetto di cura come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti, cura volta alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare e come atto di umana comprensione capace di aiutare la persona con deficit e ridare senso e significato alla sua personale esperienza, a ricordarsi di sé, per accettarsi e convivere con la propria “specialità”; quindi diventa cura di sé ossia inscrizione attiva di sé nella ridefinizione del proprio progetto personale. Per mirare all’emancipazione del soggetto con disabilità, occorre costruire una serie di attività atte a rendere significativa la presenza dei disabili attraverso “buoni prassi didattiche”;anche con l’aiuto dell’educatore che consentirà la crescita della persona in tutte le varie dimensioni. Un esempio è la relazione educativa. La relazione educativa è uno spazio riparativo dove il disabile sperimenta con gli educatori, con gli insegnanti varie situazioni, di vissuti emotivi-affettivi che vengano elaborati, ricostruiti, integrati consentendo agli operatori di progettare delle opportunità educative da offrire al disabile in modo che ripensi al proprio stato e alle proprie capacità funzionali, eliminando maschere, disagi e scoprendo forze resilienti, capaci di far superare le difficoltà nel profondo della personalità. Anche dalla simulazione svolta in aula tramite i due setting (relazione tra due persone, in questo caso tra l’educatore e una persona in difficoltà) abbiamo visto come il ruolo dell’educatore sia importante, esso infatti non deve per forza trovare una soluzione ai problemi ma deve aiutarli ed accompagnarli nel loro percorso, nel caso di un disabile non dovrà mettere mai in risalto le “mancanze” ma evidenziare potenzialità e doti portandoli su un piano di pari opportunità con i normodotati.
    3) Remaury nel “Il gentil sesso debole” afferma che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Distingue:
    il corpo trasfigurato legato all’immagine della perfezione corporea;
    il corpo esatto che compie progressi verso la perfezione grazie alla scienza ed altre discipline, ed è il modello dominante;
    il corpo liberato dalla malattia, dal peso e dal tempo (perfetto).
    Lipovetsky nel libro “La terza donna” nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati per cui lei è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto (eterna giovinezza, salute totale, bellezza perfetta).
    Rosi Braidotti invece nel libro “ Madri, mostri e macchine” afferma che la donna è capace di deformare nella maternità il proprio corpo diventando nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre allo stesso tempo. La donna è spinta sempre di più verso la chirurgia estetica fino ad arrivare ad un corpo macchina, soggetta a tante trasformazioni tanto da diventare un mostro. Anche nella lezione affrontata in aula sulle tecnologie come miglioramento, in particolare le protesi estetiche abbiamo affrontato un problema sempre più in aumento, soprattutto nelle donne, di ricorrere alla chirurgia estetica ma non per una reale necessità ma perché non riescono ad accettarsi così come sono, volendo cambiare il proprio corpo che non rispetta i modelli di bellezza perfetta visti soprattutto in televisione.
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    Messaggio  roberta silvestro Sab Mag 19, 2012 8:06 am

    1)L’OMS è l’organizzazione mondiale della sanità; la prima classificazione che ha elaborato è stata “la classificazione internazionale delle malattie”(ICD) che tenta di trovare la causa delle patologie fornendo per ogni sindrome una descrizione delle caratteristiche principali. Infatti la disabilità veniva considerata come una vera e propria malattia. Successivamente nel 2001 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un manuale di classificazione ICF dove propone una nuova definizione di disabilità molto più innovativa della precedente. L’ICF descrive la disabilità come una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole,quindi non più una condizione solo soggettiva ma anche influenzata dall’ambiente esterno. Ciò ci dimostra come nel tempo si è cercato di capire questa condizione e si sta cercando di far si che le persone affette da una disabilità possano vivere nel migliore dei modi. Durante il corso si é parlato molto dei diversi significati che noi davamo ai termini:disabile,diverso,mostro e così via. Io mi sono concentrata sul concetto di diverso poichè riflettendo,potremmo collocare all'interno di questa categoria molte persone,per la frequenza con cui usiamo questo termine. Diverso è il disabile,il mostro,chi ha una carnagione diversa dalla nostra,chi non la pensa come noi,chi non veste come noi...potrei continuare all'infinito. Allora mi chiedo siamo noi i diversi o le persone che ci circondano? Rispondere a questa domanda è difficile poiché per ognuno di noi l’altro è diverso, dovremmo essere noi a far si che questa diversità non esista più. Ciò non è possibile poiché noi non facciamo niente per eliminare la diversità anzi, mi sono resa conto, che rendiamo la vita dei disabili ancora più difficile di quella che è. Molto spesso,non facciamo caso a quante barriere architettoniche ci sono ogni giorno per un disabile,ci muoviamo con molta facilità ignari di quanto possa essere difficile per loro percorrere lo stesso nostro tragitto. Intanto non facciamo nulla per far si, che cambi qualche cosa nella nostra città. Questa riflessione è scaturita grazie alla visita,in aula, di un’associazione di volontariato a favore dei non vedenti. Quest’ultimi ci hanno mostrato una serie di immagini dove evinceva le difficoltà che i non vedenti incontrano nella vita di tutti i giorni a Napoli.In primo luogo i percorsi pedo-dattili(riservati esclusivamente ai non vedenti) erano occupati dalle persone vedenti così da ostacolare i non vedenti, non esiste un semaforo con suoni acustici,dove ci sono le strisce pedonali molto spesso ci sono parcheggiati dei motorini. Mi sono calata nei loro panni ed ho pensato a come si sentono i disabili ogni giorno ciò mi ha fatto ritornare alla sensazione provata in aula quando mi sono sentita un emarginata. La professoressa ha chiesto a tutte le persone che portavano gli occhiali di posizionarsi alle sue spalle quindi di distaccarsi dal resto della classe,tra queste persone c'ero io.Successivamente lei si è finta sindaco di una città e volendo organizzare una festa chiedeva al popolo chi persone invitare e così via.....Noi che eravamo lì alle sue spalle non venivamo minimamente considerati,era come se non esistessimo,e per di più venivamo guardati da tutti con occhi diversi dal solito.Allora lì mi sono chiesta: basta così poco x essere guardati in modo diverso? Sono rimasta scioccata dal fatto che nessuno si è ribellato contro questa divisione, e nessuno ha cercato di fare qualche cosa,e questo,secondo me,ha rispecchiato proprio la società odierna.Mi sono rattristita perchè ho pensato come si sentono le persone che non sono accettate nella società,che non riescono ad integrarsi,proprio come noi non riuscivamo a farci ascoltare.Secondo me l'unico modo per capire veramente le persone è trovarsi nella stessa situazione loro,ed io sono riuscita ad entrare,anche solo per poco,nella situazione degli emarginati che a mio parere è la cosa più brutta che possa capitare ad una persona.
    Le barriere architettoniche sono molte,ma purtroppo ci sono anche quelle culturali.

    2)Anna Maria Murdaca,docente esperta e autrice del testo”Complessità della persona e disabilità”,si occupa di questioni relative le persone con disabilità. Ella afferma che ci deve essere una nuova cultura della disabilità concentrata sul riconoscimento della persona. E’ il contesto sociale a determinare la condizione di handicap, infatti è proprio l’ambiante che può essere inteso come una barriera o come facilitatore. L’integrazione per loro è un processo continuo,non un punto di arrivo,ma una ricerca continua di soluzioni,ma ciò è comunque un processo complesso. Quindi c’è bisogno di avere cura verso queste persone,ciò non vuol dire curarle,guarirle,ma significa considerarle in tutti i loro aspetti parte integrante della nostra vita. Parliamo così di un nuovo modo di integrazione come accoglienza verso diverse identità,come condivisione di valori,quindi la nuova cultura della disabilità è attenta a innalzare la qualità della vita dei soggetti .
    Proprio come ha fatto Simona Atzori. Una donna piena di vita, che vive la sua vita a colori,con il sorriso,con la gioia di vive perchè lei si vede "bella così com'è".Questa frase che mi ha fatto riflettere tantissimo poichè molto spesso noi non siamo felici di come siamo, ci troviamo tanti difetti,quando invece dovremmo pensare di essere stati fortunati solo x il fatto di essere nati.
    Lei afferma di non avere limiti ma sono gli altri che li pongono,infatti lei riesce a fare qualsiasi cosa con i piedi e questo dovrebbe farci pensare che niente è impossibile. Un altro esempio di grande forza è Oscar Pistorius,atleta sudafricano, campione paralimpico nel 2004,amputato bilaterale.
    Corre grazie a particolari protesi in fibra di carbonio, denominate cheetah. È il primo ed unico atleta amputato capace di vincere una medaglia in una competizione per normodotati. Nonostante i numerosi dibattiti,dove si discuteva se era giusto che egli gareggiasse alle olimpiadi,poiché le sue protesi potevano essere un “aiuto”,Pistorius non si è perso d’animo ha combattuto la sua lotta e l’ha vinta. Questi due casi sono un grandissimo esempio di resilienza.

    3) La responsabilità e la cura della salute è da sempre affidata alla donna,prima per gli altri,oggi anche per se. Infatti la costruzione estetica del corpo si attiene ai modelli del proprio tempo. Uno degli esempi più comuni è il modello proposto dalle passerelle ovvero modelle anoressiche. Ciò fa si che la donna vuole arrivare ad un corpo perfetto per così identificarsi in quei determinati modelli. Bisognerebbe capire che la magrezza non è bellezza in quanto le modelle anoressiche sono un prototipo di bello che diventa mostruoso. Ciò purtroppo non è compreso dalle donne e per questo si vuole arrivare a tutti i costi ad assomigliare a quest’ultime e per ciò si ricorre alle diete drastiche che successivamente possono trasformarsi in pieni digiuni per poi sfociare nell’anoressia. Le donne voglio assomigliare a questo modello poiché la televisione ci propone donne sempre più magre. Le donne di oggi puntano alla perfezione e visto che non tutte hanno dei canoni che si avvicinano ad essa, molte ricorrono alla chirurgia estetica. Con quest’ultima la donna può scegliere di cambiare tutto il suo corpo,visto che negli ultimi tempi la chirurgia estetica ha fatto molti progressi. Si può decidere di inserire protesi al seno,di iniettare siringhe di botox,rifarsi il naso e così via. In poche parole cambiarsi totalmente. Ma la donna rifatta è veramente più bella? Molte volte la donna che ricorre alla chirurgia estetica assomiglia ad un vero e proprio mostro, si diventata tutti uguali e quindi si perderà la bellezza naturale che ci distingue gli uni dagli altri.
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    Messaggio  carmela clemente Sab Mag 19, 2012 8:31 am

    1)L'Organizzazione Mondiale della Sanità, negli anni settanta del secolo scorso, ha elaborato l'ICD ovvero “La Classificazione Internazionale delle Malattie” per rispondere all’esigenza di individuare la causa delle patologie, fornendo così per ogni sindrome una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e diagnostiche. Tale classificazione avvicina la disabilità alle patologie focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia poiché ogni diagnosi viene tradotta in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. Siccome tale classificazione dava vita a una sorta di enciclopedia medica sulla disabilità, l’OMS ha realizzato una seconda classificazione mondiale definita ICIDH(International Classification of Impairment, Disabilities ad Handicap) basata su tre fattori interagenti e indipendenti tra loro:menomazione, handicap e svantaggio. La menomazione è qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. È un danno organico che può riguardare una qualsiasi parte del corpo. La disabilità, invece, è l incapacità di svolgere determinate funzioni o attività nel modo o nell’ ampiezza considerati “normali”per un individuo. L’handicap è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto con gli altri, il disagio sociale che ne deriva a causa della sua perdita di funzioni o capacità. Tale termine viene spesso confuso con il deficit che al contrario rappresenta la mancanza totale o parziale di una determinata funzionalità fisica e non va sempre associata alla disabilità, perché si può essere disabili ma non avere un deficit. Quando si fa confusione con questi due termini si incorre in un grave errore: considerare l’handicap come un problema di chi ha qualche deficit oppure pensare che chi ha qualche deficit non sia come tutti gli altri!!!. Ecco perciò che è importante, come afferma Canevaro, che la scelta delle parole va fatta con ponderazione perché nelle parole è contenuto il riferimento operativo a cui si fa riferimento. Proprio per riflettere sul'importanza delle parole la docente ci ha proposto un esercizio molto interessante riunendoci in piccoli gruppi in cui dovevamo dare una definizione di getto per 5 parole. il termine con cui ho trovato molta difficoltà è stato "diverso" poichè riflettendoci mi sono resa conto che viene usato per indicare varie cose,persone, anche in modo improprio. Spesso io lo utilizzo per indicare una persona diversa rispetto alla mia cultura,al mio colore di pelle sempre però considerando il diverso non come un nemico,una minaccia ma come una vera e propria” Risorsa” indispensabile da conoscere per evitare che si formino,anche se accade ancora oggi stereotipi e pregiudizi che portano a considerare il disabile diverso da noi. La diversità porta purtroppo alla categorizzazione cioè a collocare certe persone in determinate categorie. Questo atteggiamento di esclusione induce le persone ad interiorizzare sentimenti di inferiorità e inadeguatezza che portano all’ auto svalutazione e all’autoesclusione. La persona viene così etichettata perché ha degli schemi mentali, fisici e comportamentali difformi dalla normalità. Il diverso viene emarginato. Proprio per riflettere sull’emarginazione in aula durante il corso, abbiamo fatto la simulazione di una città di cui io ero una cittadina. In questa città era possibile richiedere di tutto e di più, anche un posto di lavoro. Io ritengo che questa simulazione è stata molto significativa perché mi ha fatto ulteriormente capire che non è possibile escludere una persona da una città, come in questo caso perché porta le occhiali!!!!Anche se non me ne sono accorta da subito,a dire la verità, perché ero troppo presa dal sentire realizzati i nostri desideri. Ho prestato attenzione al gruppo di esclusi solo quando la prof. si è girata verso di loro e ha iniziato a parlare con loro. E allora ho capito il vero significato della simulazione e soprattutto che l’emarginazione deve essere combattuta in tutti i modi e in tutti gli ambiti poiché è sempre brutto sentirsi esclusi e far soffrire le persone. Infine l’ultima classificazione fatta dall’OMS nel 2001 ha stabilito che la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. La disabilità grazie a questa classificazione non viene più vista come una caratteristica propria e oggettiva della persona ma come la misura delle attività che l’ambiente o contesto esterno consente di espletare. Con l’ICF quindi non vengono presi solo in considerazione gli aspetti medici ma anche quelli sociali tenendo presente il contesto in cui la persona vive. Questa classificazione non riguarda solo un gruppo di persone ma chiunque viva una condizione di salute in un ambiente che la ostacola. La disabilità perciò non è limitata solo alla malattia ma si identifica con lo stato di salute. E alla luce di tutto ciò si può dire che il deficit è una situazione soggettiva che è difficilmente curabile invece l’handicap che è una situazione oggettiva può essere aumentato, ridotto o annullato. Le persone disabili oggi purtroppo si ritrovano ad affrontare delle barriere architettoniche create dalla stessa società. Nei video infatti che ho potuto visionare al corso ho visto persone su una sedia a rotelle che non riescono a salire sull’ autobus, a prendere la metropolitana in quanto tali strutture o non sono dotate di apparecchiature adatte oppure se ci sono tali apparecchiature non funzionano e gli operatori addetti alla manutenzione di tali apparecchiature non sanno cosa e come rispondere al mancato funzionamento. Ecco perchè tutti noi e soprattutto le istituzioni dobbiamo impegnarci e fare in modo che anche i disabili non devono e soprattutto non posso essere privati della gioia di vivere.


    2)Anna Maria Marduca, docente esperta in questioni relative alla disabilità, affronta nel suo libro “Complessità della persona e disabilità” , alcune tematiche come l’integrazione, l’inclusione, l’inserimento del disabile e la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità. La stessa autrice sostiene che è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap , sono gli ostacoli e le barriere fisiche a determinare il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. Proprio l’ICF sottolinea l’importanza di valutare l’influenza dell’ambiente esterno sull’individuo . Secondo infatti l’autrice bisogna abbandonare la logica dell’inserimento in base alla quale una persona disabile deve adattarsi al contesto in cui si trova e dirigersi verso l’inclusione adottando l’ottica della globalità dando così vita ad una nuova cultura e conoscenza della disabilità valorizzando principalmente la persona umana colta in tutte le sue dimensioni sempre però nel rispetto delle differenze e dell’identità. Sarà quindi opportuno riflettere sull’importanza dell’ integrazione che non può limitarsi solo all’inserimento di una persona all’interno di un gruppo in modo che ne diventi parte organica ma accogliere l’altro nel rispetto della sua distanza e della sua differenza. La novità è rappresentata dal fatto che si mira all’emancipazione del soggetto con disabilità poiché “non si deve mai definire nessuno per sottrazione”perché comunque si tratta di persone che si caratterizzano per capacità,non per quello che non sanno fare. Strettamente legato all’agire educativo vi è il concetto di “cura” che mira proprio all’emancipazione dei soggetti coinvolti nella realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che può diventare. I disabili infatti sono cittadini a pieno titolo e per questo godono di tutti i diritti che il nostro Stato garantisce. È quindi fondamentale riflettere sulla creazione di una società con veri spazi di formazione per soggetti con disabilità i quali non sono soggetti passivi di pietismo ma responsabili di questa relazione. Sono necessari allora anche ambienti di apprendimento nei quali gli educatori siano preparati alla ricostruzione del diverso, che solitamente è visto come un frammento. E bisogna quindi dare vita a una comunità sociale che superi i limiti di una società che trascura spesso i disabili e lavorare quindi su ciò che si deve ancora fare per dare così voce ai disabili. Nell’ incontro verso l’altro un ruolo importante è dato dalla relazione educativa . Ogni relazione umana è educativa perché è portatrice di significati, valori, opinioni e rappresenta uno scambio continuo sul dare e l’avere. Alla sua base vi deve sempre essere una volontà di costruire un rapporto basato sull’accoglienza, sull’ ascolto lasciando spazio alla libertà dell’altro costruendo così un progetto di vita personale e originale. Ogniuno di noi è portatore di proprie problematiche e di un proprio vissuto che ogni buon educatore deve conoscere allo scopo di rimuovere tutti quegli ostacoli che ne impediscono il pieno sviluppo. Infatti, non si può costruire una relazione educativa senza che ci sia una conoscenza tra le due parti in quanto l’educatore deve guidare il proprio educando riconoscendo i suoi sbagli ma anche quelli dell’ educando e soprattutto deve vegliare su di lui affinché si senta protetto e curato. Per quanto riguarda la relazione educativa nei confronti del disabile, l’educatore deve prendere in considerazione le diverse situazioni e mettere in pratica programmi che garantiscono l’emergere delle doti del disabile . Non mettere in luce le sue mancanze ma evidenziare le potenzialità, le doti e le capacità di una persona. La relazione educativa rappresenta una vera e propria occasione di arricchimento personale per entrambi le parti poiché l’educando apprende grazie all’educatore che a sua volta mette in pratica e perfezione le sue tecniche di educazione. E proprio per renderci conto di come si costituisce una relazione educativa durante il corso, abbiamo assistiti alcuni setting in cui le nostre colleghe cercavano di creare un ambiente adatto a una relazione educativa. Dapprima abbiamo assistito a un setting in cui c’era un educatore e una mamma con un figlio(entrambe le figure rappresentate dalle nostre colleghe ) che cercava aiuto poiché l’insegnante di sostegno non si era presentata a scuola. L’educatrice si è mostrata molto sciolta, tranquilla e soprattutto accogliente in quanto è riuscita a mettere a suo agio la madre che ha esposto il suo problema tranquillamente. Nel secondo incontro invece una collega ha finto di non riuscire a integrarsi nel suo gruppo classe. In questa situazione l’educatrice ha fatto parlare la ragazza, l’ha ascoltata ma a mio parere è piaciuto di più l’approccio della prima educatrice. Questi setting mi hanno fatto capire quanto sia difficile costruire una relazione educativa, ci vuole amore, passione,rispetto e pazienza nell’incontrarsi con l’altro.


    3)Remaury ne “il gentil sesso debole” analizza l’immagine della donna diffusa nella nostra società affermando che le due caratteristiche che deve continuare ad avere sono: la giovinezza e la bellezza. Si rende conto che oggi siamo orientati verso una corsa alla perfezione per raggiungere un triplice il obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Distingue tra il corpo trasfigurato che è legato all’immagine della perfezione corporea;il corpo esatto che raggiunge la perfezione attraverso le scienze; il corpo liberato che lo è dalla malattia, dal peso e dal tempo. Lipovetsky invece sostiene la liberazione de “la terza donna”nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti per cui è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto. Anche Rosi Braidotti all’ interno di “Madri Mostri e Macchine” riflette sull’immagine che la donna in gravidanza assume nei pensieri maschili tanto da divenire come un qualcosa di orribile.!!! E riflette anche su un tema che ci riguada da vicino :femminismo e tecnologia affermando che non sempre con l’utilizzo delle tecnologie le donne possono uscire vincitrici da questa sfida. Già proprio così, ormai nella nostra società siamo continuamente bombardati da messaggi che ci invitano al raggiungimento “dell’ altro corpo” quello perfetto attraverso le protesi estetiche. Ed è frequente sentire soprattutto donne che non accettano il proprio corpo poiché rincorrono un ideale di bellezza proposto dai mass media trasformando così il proprio corpo in una macchina da modificare secondo i parametri dettati dalla stessa società. Lo stesso Neil Postman aveva affermato che “oggi si pensa che il corpo sia obsoleto e perciò si lavora duramente per sostituirlo in qualcosa di meglio”. Io personalmente ritengo che la bellezza oggi è vero che conta, non vorrei essere monotona, ma non è tutto nella vita. E soprattutto non condivido l' atteggiamento di persone che già sono belle e ricorrono alla chirurgia per essere PERFETTE in quanto ritengo che la perfezione stanca col passare del tempo(forse penserò anche questo perché non sono perfetta!!!!). Ritengo che la vera bellezza si ritrova nel profondo dell’anima, nel sentirsi bene con se stessa e soprattutto con gli altri. La bellezza interiore è un qualcosa che resta inalterata nel tempo, cresce e non MUORE mai e rappresenta un vero e proprio sole in piena notte!!!!!!!!!

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    Messaggio  francesca anello Sab Mag 19, 2012 10:50 am

    ESERCIZIO UNO: La classificazione Internazionale delle malattie o ICD è la prima classificazione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).Questa classificazione serve per spiegare le patologie,fornendo per ogni sindrome una descrizione delle caratteristiche cliniche principali. Ad ogni diagnosi viene associato un numero in modo da poter essere tutte memorizzate e analizzate (ad esempio:analizziamo il numero 326 invece di analizziamo la cecità). Inoltre,questa classificazione accosta la disabilità a patologie cliniche,trasformando l’elenco delle patologie in una specie di enciclopedia. Per allontanarsi da questa classificazione l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha creato ,nel 1980,un’altra classificazione internazionale detta ICIDH ovvero l’International Classification of Impairments,Disabilities and Handicaps. Qui le parole menomazione,disabilità e handicap vengono sostituite da termini quali:menomazione,abilità e partecipazione. Nel 2001 l’OMS ha elaborato la Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute:ICF. Questa classificazione descrive la disabilità come una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. I termini citati precedentemente (menomazione,abilità e partecipazione) vengono sostituiti da:funzioni,strutture corporee,attività e partecipazione. L’ICF viene introdotta perché le informazioni date dalla diagnosi medica non erano viste come sufficienti per sapere cosa una persona è in grado di fare e dove,invece,riscontra delle difficoltà. La classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute pone attenzione alle conseguenze associate alle condizioni di salute,classificandole,insieme ai disordini e ai traumi. Mettendo come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia,l’ICF,permette di capire come questi soggetti convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla. A questo proposito,noi abbiamo sviluppato un laboratorio (orologio/barriere architettoniche). Questo lavoro consiste nell’immaginare di essere disabile per un giorno e di ripercorrere mentalmente una nostra giornata tipo. Da persona disabile mi sono resa conto di quanto sia difficile svolgere le mie abituali attività giornaliere. Questo perché a casa e in città non si ha la possibilità di muoversi liberamente a causa delle barriere architettoniche e spesso anche dei cittadini che,ad esempio,parcheggiano le macchine sugli scivoli dei marciapiedi. Credo che in questo modo si contribuisce (in senso negativo) a far sentire una persona DIVERSA. Bisogna,a questo punto,riflettere su due parole:disabile e diversa. Partiamo dal primo termine. Il disabile è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività quotidiane;un individuo affetto da disfunzioni motorie e7o cognitive;una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità o dal diverso funzionamento di esse. Il disabile spesso prova disagio nel confronto con persone normodotate. Utilizzare però la parola disabile è dispregiativo perché indica che una persona è in difficoltà,è un disabile cioè non abile in qualcosa. Nel 2003 si inizia a proporre,allora,l’ espressione diversabilità. Questo termine è positivo perché risalta che si sta parlando di una persona che ha.oltre una disabilità,anche delle abilità diverse dagli altri. Il disabile ci fa paura perche è diverso da noi e quindi la diversità è vista come una non normalità. Non esiste però una definizione comune della normalità, perciò ognuno applica un proprio criterio per avere questa definizione. È qui che si inserisce il secondo termine da illustrare:il diverso. Quando pensiamo al diverso un soggetto non simile alle persone che gli vivono intorno. Diverso non è necessariamente una persona disabile o affetta da menomazioni fisiche o psichiche,ma una persona diversa per lingua,cultura,costume,razza. Per quanto riguarda questo discorso sul diverso voglio riportare una famosa frase di Martin Luther King che a mi ha colpito molto,il quale diceva: “Il mio sogno è che i miei quattro bambini possano vivere un giorno in una nazione dove non saranno giudicati dal colore della loro pelle,ma dal contenuto del loro carattere”. Inoltre a lezione abbiamo visto un film che parlava di un amore tra due persone di colore diverso prima contrastati dalle famiglie,ma che nonostante tutto si sono amati indifferentemente dal colore della pelle,dalla cultura diversa. Per farci capire meglio come più o meno ci si sente ad essere emarginati la professoressa in aula ci ha fatto fare una simulazione. Ha finto che noi fossimo tutti cittadini e lei il sindaco,dividendoci,successivamente,in persone con gli occhiali e persone senza. Io appartenevo (“illegalmente”) a quest’ultima categoria. Procedendo con la simulazione la professoressa parlava solo con i “cittadini” senza occhiali dicendoci che potevamo organizzare una festa,invitare un personaggio famoso e mangiare quello che più ci piaceva. Intanto il resto della classe,cioè il gruppo senza occhiali si trovava alle spalle della professoressa e non partecipavano all’organizzazione della nostra “festa”. Devo ammettere che non avevo più fatto caso a loro,quasi li avevo dimenticati. Non so loro come si sono sentiti,ma credo che il diverso in realtà non esiste. In un esercizio svolto in classe dovevamo scrivere di getto quello che ci veniva in mente a proposito di alcuni sostantivi tra i quali lo straniero e a me non è venuto niente in mente allora mi credo chi sia in realtà lo straniero. È solo colui che la società etichetta come tale perché ha schemi fisici,mentali e comportamentali difformi dalla normalità
    ESERCIZIO DUE:Il testo “Complessità della persona e disabilità” di Anna Maria Murdaca mira alla ricostruzione di una nuova cultura per i disabili, alla rimodulazione del termine integrazione e alla comprensione delle condizioni di vita delle persone disabili.Il termine handicap si riferisce a una condizione di svantaggio in conseguenza a una menomazione che limita,in un certo soggetto,l’adempimento del proprio ruolo normale. Anna Maria Murdaca suggerisce, invece, che è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap e sono gli ostacoli e le barriere fisiche a favorire il processo di emarginazione.L’obbiettivo del testo “Complessità della persona e disabilità” è la valorizzazione della persona umana attraverso il rispetto delle differenze e delle identità. L’integrazione che,secondo il Documento del Miur è “un’astratta normalità”, qui viene interpretata come un processo continuo per preservare i diritti acquisiti dai disabili e per valorizzare al meglio le dotazioni individuali.Per quanto riguarda il concetto di cura, si intende una cura come emancipazione dei soggetti coinvolti,volta alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare. Ne scaturisce quindi una riformulazione del termine integrazione intesa come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica e come condizione dei valori etici che tengono conto del rapporto dignità autonomia,identità e potenzialità personali.La vera novità è che si mira all’emancipazione della persona con disabilità. Occorre anche costruire attività per rendere significativa la presenza dei disabili. Ci si riferisce all’idea dell’educatore che consentirà la crescita della persona in tutte le dimensioni e l’appartenenza della comunità educatrice.La nuova cultura della disabilità deve essere attenta a cogliere tanto le disfunzioni comportamentali cognitive, quanto a innalzare la qualità della vita dei soggetti. La costruzione dell’identità personale deve avvenire in luoghi rassicuranti. A questo punto è opportuno parlare di educazione relativa inserendo anche l’esercizio svolto nel forum (commento riguardo la relazione docente/discente e alla simulazione avvenuta in aula). La relazione educativa può essere una relazione: madre/figlio; -docente/discente che riguarda anche il legame che si forma fra le due persone. Questo è un legame che porta all’apprendimento. In questo tipo di relazione è necessario il rispetto e l’ascolto dell’altro perché un buon educatore deve sapere ascoltare. L’approccio tra l’educatore e il discente è fondamentale,infatti bisogna essere in grado di creare delle situazioni che non mettano in imbarazzo l’altra persona. Un altro aspetto importante è la postura del docente,la sua disponibilità e la sua gentilezza. Tutti questi aspetti non li avevo mai presi in considerazione mi sono resa conto che sono importanti solo dopo aver assistito alla simulazione in classe dove due mie colleghe fingevano una di essere un’educatrice,l’altra di essere una persona che andava a parlare con la docente perché aveva dei problemi. Assistendo a questo esercizio ho capito quanto è importante che il docente sia gentile e in grado di mettere la persona che ha di fronte a proprio agio anche avvicinandosi fisicamente al discente; – mono-direzionali cioè quando in una qualsiasi relazione tra due o più persone avviene uno scambio dove si da e si riceve qualcosa; -educatore/educando dove il futuro educatore deve saper trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce attraverso il rispetto reciproco. Nella relazione educativa si cerca di capire chi si ha di fronte,i suoi problemi,difficoltà,paure creando anche di comprendere perché un soggetto si comporta in un dato modo. Importante è anche il legame affettivo che si crea e che permette alla persona con difficoltà di esprimere le proprie emozioni. L’insegnante deve creare in classe un clima di fiducia anche tra gli alunni stessi. In una buona relazione educativa,inoltre bisogna creare un rapporto alla pari ossia mettersi sullo stesso piano dell’interlocutore,ci deve essere un incontro e uno scambio di idee senza avere dislivelli tra il docente e l’alunno. L’insegnante deve dare il buon esempio,diventando anche un modello da seguire o un punto di riferimento. Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile bisogna cercare di portare il disabile su un piano di pari opportunità con i normodotati,non mettere in luce le “mancanze” ma evidenziare le potenzialità e le capacità di una persona. Nella relazione educativa è contenuta una finalità implicita e cioè quella di essere
    ESERCIZIO TRE: Nel testo “Il gentil sesso debole,Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute” Remaury analizza la figura della donna e di come essa sia legata all’immagine della bellezza. Nelle rappresentazioni della femminilità,la bellezza è associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla per adempire al bisogno di essere bella. L’autore dice che la società è orientata verso una corsa alla perfezione attraverso un triplice obbiettivo:giovinezza - bellezza – salute Il corpo trasfigurato è legato al fatto che il corpo deve ascendere la scala della perfezione grazie alla scienza Il corpo esatto compie progressi grazie alla scienza e ad altre discipline. Il corpo liberato è liberato dalla malattia,dal peso e dal tempo. Ne “Laterza donna” di Lipovetsky il controllo della propria immagine conduce la donna verso la conquista di un corpo perfetto Nel libro “Madri mostri e macchine”,Rosi Braidotti afferma che il rapporto corpo-mente deve essere ripensato. L’autrice critica il “divenire donna” di Deleuze consigliando un’asimmetria tra i sessi evidenziando così la differenza tra donne e uomini. Io credo che la bellezza sia solamente soggettiva e non come rappresentata dai media. Le protesi dovrebbero essere usate solo da chi ne ha realmente bisogno e non da chi,per capricci,vuole combattere il tempo assomigliando ai personaggi famosi della televisione. Prima venivano usati ad esempio il bustino,le scarpette da ballerina o gli anelli per allungare il collo che trovo tutti veramente inutili e insensati. La vera bellezza è dentro ognuno di noi. Bisogna imparare ad andare oltre le apparenze
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    Angela Scarpato


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    Messaggio  Angela Scarpato Sab Mag 19, 2012 10:53 am

    1) Negli anni settanta l’ organizzazione mondiale della sanità = OMS elabora una prima classificazione definita “classificazione internazionale delle malattie” = ICD, questa tuttavia era rivolta maggiormente agli aspetti patologici, infatti per ogni sindrome o disturbo vi è una descrizione delle caratteristiche cliniche e delle indicazioni diagnostiche; le diagnosi venivano poi tradotte in codici numerici che semplificavano quindi la memorizzazione, consultazione e analisi dei dati. Per questa classificazione è prioritario quindi l’ aspetto eziologico ovvero quello d’ individuare e analizzare le cause di una determinata malattia; inoltre semplificando questa classificazione procede per un preciso schema: eziologia – patologia ¬¬- manifestazione clinica. Si tratta dunque di una sorta di enciclopedia medica cha ha una certa importanza anche perché avvicina la disabilità alle patologie cliniche. Tuttavia da questa classificazione possiamo notare come la disabilità non è ancora colta in tutti i suoi aspetti , infatti ne risulta escluso l’ aspetto sociale al quale si cercherà di ovviare nelle successive classificazioni. Infatti proprio per cercare di risolvere questo problema di definizione nel 1980 l’ organizzazione mondiale della sanità ha elaborato un ulteriore classificazione “l’ International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps”= brevemente ICIDH. Si tratta di un passaggio molto importante in quanto l’ ICIDH mostra un nuovo approccio nei confronti del disabile, infatti questa nuova proposta dell’ OMS si basa su tre fattori che sono tra loro interdipendenti: la MENOMAZIONE ( una disfunzione che comporta una mancanza oppure un cattivo funzionamento di una parte del corpo ) la DISABILITA’ ( cioè limitazione o perdita conseguente in seguito a menomazione della capacità di poter compiere un’attività in un modo ritenuto normale) l’ HANDICAP ( quando la menomazione o la disabilità causano una difformità tra l’ efficienza e lo stato del soggetto e le aspettative di efficienza da parte del soggetto stesso e del gruppo a cui appartiene ). Lo schema che essa segue è quindi : menomazione – abilità – partecipazione. Da ciò si può notare una maggiore attenzione nei confronti dell’ integrazione del soggetto all’interno della società e verso le sue capacità, infatti non si parla più di disabilità ma di abilità. Si tratta di un cambiamento molto importante che conduce all’elaborazione dell’ ultima classificazione,avvenuta negli anni novanta non ancora utilizzata del tutto perché molti si rifanno ancora alla precedente classificazione, la “Classificazione Internazionale del Funzionamento,della Disabilità e della Salute” = oppure brevemente ICF; secondo questa classificazione la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole,i fattori biomedici e patologici non sono gli unici presi in considerazione ma vengono presi in considerazione anche l’interazione sociale: avendo cosi uno approccio multi prospettico : biologico, personale, sociale. I termini menomazioni, disabilità e handicap propri della precedente classificazione, vengono sostituiti da:FUNZIONI E STRUTTURE CORPOREE ( riguardante i fattori organici e le strutture anatomiche in generale e le funzioni fisiologiche condotte da tali strutture ) ATTIVITA’E PARTECIPAZIONE (ovvero consiste nella capacità d’integrazione con l’ambiente fisico – sociale ). Ogni fattore interagisce con gli altri, ed i fattori ambientali e personali non sono di minor importanza rispetto ai fattori organici. L’ ICF sostiene quindi che la persona è la risultante dell’interazione tra diversi fattori ,che insieme ci offrono un quadro globale del funzionamento e dei bisogni di una persona. Vengono dunque presi in considerazione non solo gli aspetti medici legati alla presenza di una condizione di salute ma anche gli effetti sociali conseguenti alla condizione di salute,tenendo in considerazione anche il contesto ambientale in cui vive la persona, infatti molto spesso è il contesto sociale a determinare l’handicap e di conseguenza le barriere mentali e culturali favoriscono il processo di esclusione ed emarginazione. Infatti uno dei temi affrontati durante le nostre lezioni è stato proprio quello dell’importanza dell’utilizzo delle parole e di come non bisogna fare confusione linguistica nell’utilizzare: DEFICIT, DISABILITA’ ed HANDICAP ;come infatti sosteneva Canevaro “ perché nella parola è contenuto il modello operativo a cui facciamo riferimento” perché agendo in questo modo non facciamo altro che aumentare l ‘handicap , anziché ridurlo.

    2) Nel testo “Complessità della persona e disabilità” la docente Anna Maria Murdaca si propone il raggiungimento di tre grandi obbiettivi : la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, la rimodulazione del termine integrazione e la riformulazione di un progetto di vita per le persone con disabilità. Secondo l’ autrice occorre abbandonare la logica dell’ inserimento per dirigersi verso quella dell’inclusione, bisogna adottare quindi l’ottica della globalità della persona; attenta non soltanto ad analizzare il funzionamento,del comportamento o dell’assistenza del soggetto disabile ,ma interessarsi alla persona in tutti i suoi aspetti : biologico, psicologico, intellettivo,affettivo, relazionale e sociale. Per la Murdaca è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap, infatti sono gli ostacoli e le barriere fisiche, mentali e culturali a favorire il processo di esclusione e quello di emarginazione. Infatti l’ambiente ( nel senso ampio del termine cioè il contesto familiare, la scuola, l’ assistenza sociosanitaria )viene inteso come fattore contestuale determinante per definire la disabilità, quindi sottolinea l’importanza di valutare l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui, che può influenzare lo stato di salute trasformandosi in una barriera o in un facilitatore; ad esempio la ricerca può produrre soluzioni tecnologiche che, migliorano l’ ambiente della persona e ne diminuiscono la disabilità (questo è il caso della domotica scienza in continua evoluzione che si occupa dello studio delle tecnologie atte a migliorare la qualità della vita nella casa,attraverso la realizzazione di un ambiente domestico tecnologicamente attrezzato, dove i sistemi sono in grado di svolgere funzioni in modo quasi autonomo, quindi una tecnologia che semplifica la vita ma soprattutto uno strumento di aiuto per i disabili ). Un altro obbiettivo prefissato dall’autrice e quello della valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità. Abbandonare la logica dell’inserimento e dirigersi verso quella dell’integrazione, processo continuo e non un punto d’arrivo, una continua ricerca per preservare i diritti dei disabili, per questo è anche sviluppo, lo sviluppo di ausili e strategie che permettono al soggetto con disabilità di essere autonomo ed integrato. Questa è la vera novità non si mira più all’accudimento ma all’emancipazione del soggetto con disabilità, questo perché non bisogna mai dimenticare che il soggetto con disabilità è comunque una persona,in tutto e per tutto,e che in ogni caso è un cittadino a pieno titolo e che come afferma a punto la Murdaca “non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione”. L’ integrazione è favorita dalla relazione educativa questa si costruisce con l’altro e per l’altro, richiede tempo e impegno dei soggetti in causa, si realizza in diversi luoghi e strutture specializzate differenti. Anche il rapporto madre-figlio e non solo ma anche quello tra docente- discente sono relazioni educative, queste relazioni producono apprendimento attraverso un interconnessione che porta alla fusione delle conoscenze. L’educatore deve prima di tutto creare un clima sereno e di fiducia deve far sentire a suo agio l’individuo grazie al quale questo riesce ad esprimere liberamente le proprie opinioni,fondamentale e necessario per la creazione del rispetto reciproco. Esempio concreto di relazione educativa ci è stato mostrato durante una delle nostre lezioni in una simulazione dove sono stati svolti due setting ( tra educatore ed educando) da questi è emersa l’importanza dell’educatore che trovandosi di fronte a soggetti con difficoltà ha saputo ascoltarli mettendoli subito a proprio agio e il suo modo di rapportarsi per tranquillizzare i soggetti ha evidenziato l’essere disponibile e sensibile senza però farsi coinvolgere troppo emotivamente nella situazioni , tuttavia l’educatore non è infallibile può sbagliare e da questi suoi errori deve migliorare,infatti l’educatore deve mettere in discussione se stesso e crescere dalla relazione educativa.

    3) La società odierna ha la capacità di influenzare sempre di più la vita di tutto noi, grazie soprattutto alla propaganda mediatica, che propone canoni di bellezza e di perfezione corporea sempre più difficili da raggiungere. Molti autori si sono occupati di questo problema tra questi Remaury, Lipovetsky e Braidotti affermano che questa problematica coinvolge soprattutto le donne che si trovano quotidianamente a confrontarsi con un ideale di bellezza e giovinezza da rincorrere affannosamente e con ogni mezzo,perché quelle che non riescono a rientrare in questi standard finiscono con il sentirsi umiliate. Infatti Remaury nel “Gentil sesso debole”afferma proprio che si è diretti verso una corsa alla perfezione, con un triplice obbiettivo: giovinezza – bellezza – salute. Anche Lipovetsky nel suo libro “La terza donna”afferma che la donna e sottomessa ai modelli dominanti imposti per cui si sente costretta dal sociale a percorrere la strada possibile verso il corpo perfetto, liberato: dalla malattia è quindi sano,dal peso è quindi magro e dal tempo è quindi giovane. Il controllo della propria immagine conduce la donna verso il corpo realizzato, ossia la conquista di un corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su se stessa per questo Braidotti parla di corpo – macchina = un corpo trasformato talvolta mostruoso sul quale appunto la donna lavora attraverso un rapporto sempre più stretto con le tecnologie, ad esempio le protesi estetiche. Come già espresso in uno dei nostri laboratori sono favorevole all’utilizzo di questa tecnologia che può essere di grande aiuto per persone sfigurate da malattie o gravi incidenti ma sono contraria quando queste vengono utilizzate solo per capricci estetici, come nel caso di molti personaggi famosi, e non solo, che compiono più di un intervento rendendo la loro immagine quasi completamente diversa da com’era precedentemente,cercando di raggiungere simbolicamente l’obbiettivo dell’eterna giovinezza.
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    Messaggio  Teresa Nazzaro Sab Mag 19, 2012 11:15 am

    Canevaro sostiene che nelle parole è contenuto il modello operativo a cui si fa riferimento, per questo anche l’OMS in seguito a diversi studi, ha classificato le parole deficit, disabilità ed handicap affinché proprio quest’ultima venisse abolita come termine dispregiativo a favore della parola DISABILE. La prima classificazione elaborata dall’OMS risale al 1970 come ICD “classificazione Internazionale delle malattie”cercando una causa a queste patologie, dando per ogni sindrome e disturbo una descrizione accurata delle caratteristiche cliniche. Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che agevolano la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. Questa classificazione è da considerarsi come l’Enciclopedia della malattia. Nasce però un problema di definizione, per questo l’OMS nel 1980 ha dato vita all’ICIDH ossia l’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps, basandosi su tre fattori : la menomazione, la disabilità e lo svantaggio o handicap; nel 1990 nasce l’ ICF ,che sta per “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”, purtroppo però utilizzata solo dal 2001. Questa classificazione pone in considerazione non solo i fattori bio-medici ma anche l’interazione sociale; grazie all’ICF la disabilità non è più una malattia ma uno stato di salute. Questo passaggio da ICD a ICF è stato fatto affinché gli stessi termini menomazioni, disabilità e handicap, venissero sostituiti dalle espressioni quali funzioni, strutture corporee e attività e partecipazione. Inoltre va fatto il punto riguardo i termini disabile e diverso. Chi è l’uno, chi l’altro? Il disabile è colui che in seguito ad una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale. Il disabile scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate, come i componenti della stessa famiglia d’origine che talvolta hanno difficoltà nel riconoscere il proprio figlio disabile o i compagni di scuola che spesso possono schernirlo. E va detto che nonostante le più ampie tecnologie fino ad ora sviluppate, un ragazzo disabile anche nella più semplice casa( come anche nella mia) si troverebbe in seria difficoltà nel potersi muovere tra uno spazio e l’altro o per poter svolgere le azioni più semplici. Naturalmente c’è anche in questa storia un lato positivo. Basti pensare all’atleta Oscar Pistorius che con le sue “flex foot” è in grado non solo di camminare ma di correre e gareggiare alle Olimpiadi. Si è aperto un dibattito a proposito di queste protesi poiché Oscar corre con delle gambe di fibre di carbonio. E' vero, quel 30% il più dà un vantaggio meccanico rispetto agli altri corridori ma sia dal lato umano che da quello sportivo, non lo vedo un problema. Penso che Oscar sia davvero in grado di partecipare come -col cuore lo dico- un normodotato; non sono quelle protesi che rendono Oscar un campione ma è la sua tenacia e la sua volontà, che generano forza nei suoi muscoli e danno vita ad apparecchi inanimati in fibra di carbonio. E' l'anima di Oscar che corre e dà vita ai suoi muscoli. Il diverso invece è colui che viene “classificato” dagli altri, ossia è un soggetto che assume una posizione di non uguaglianza rispetto all’occhio altrui. Diverso per cultura, diverso per il colore della pelle, diverso per modo di pensare, diverso per la lingua, diverso per il modo di mangiare, diverso per il modo di amare, diverso perché ritenuto sbagliato. Ricordo quando in classe è stato proiettato il film “Indovina chi viene a cena?” e scelsi di affrontare il tema diverso perché straniero, poiché come ho già accennato prima diverso può non essere necessariamente una persona affetta da menomazione fisica o psichica ma anche da un modo di vivere non uguale al nostro o di chi guarda. Diverso perché emarginato. In aula abbiamo avuto modo di scoprire cosa vuol dire emarginato, grazie ad un’esperienza molto simpatica fatta insieme alla nostra Professoressa Briganti. Alcuni di noi erano abitanti un paese dove venivano banditi tutti coloro che portavano gli occhiali, ovviamente era una burla; fatto sta che quest’esperienza ci ha dato modo di afferrare il senso a mio dire molto eloquente dell’esperimento. Adesso mi rendo conto che il gioco mi è piaciuto più del dovuto e ho letteralmente dimenticato le mie amiche "esiliate".
    E' vero, il poter disporre di tante cose, alcune impossibili, mi ha fatto sorridere, divertire e purtroppo a simulazione finita, mi sono sentita davvero in colpa.
    Forse se avessi riflettuto di più, avrei "comprato" la libertà delle mie amiche pur di vederle al mio fianco. E' vero, siamo troppo egoisti e troppo stupidi perché pensiamo di essere superiori e che tutto ci sia dovuto. E se fossi stata io, un'emarginata? Come avrei reagito?
    Mi sarei arrabbiata, forse sarei stata violenta e accecata dall'odio, mi sarei comportata proprio come quei ragazzi stranieri che messe alle strette dai guai della vita commettono furti e atti di delinquenza. L’esperimento ripeto ci ha dato la possibilità di carpire il perché non sia corretto porre le persone in uno stato di diversità avendo solo una differenza di linguaggio, di pensiero o come spesso abbiamo affrontato di anomalia fisica o psichica. Anna Maria Murdaca scrive:” Non si deve definire nessuno per sottrazione” e con questa frase prendiamo in considerazione il testo “Complessità della persona e disabilità” secondo il quale l’autrice ritiene giusto abbandonare la logica dell’inserimento legge 118 del 1971 nella quale : si considerano mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
    Ai soli fini dell'assistenza socio-sanitaria e della concessione dell'indennità di accompagnamento, si considerano mutilati ed invalidi i soggetti ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
    Sono esclusi gli invalidi per cause di guerra, di lavoro, di servizio, nonché i ciechi e i sordomuti per i quali provvedono altre leggi. (Mi sono permessa di approfondire il discorso con una ricerca circa tale legge). Tale abolizione a favore dell’inclusione, adottando l’ottica della globalità. In parole povere, il lavoro della Murdaca si fonda sull’accettazione del disabile mediante l’abolizione di barriere fisiche oppure ostacoli anche mentali, che purtroppo favoriscono il processo di emarginazione. Innanzitutto va fatta una rilettura del termine handicap , come già detto in precedenza , poiché per anni è stato usato in modo totalmente denigratorio, non solo per chi purtroppo ne è affetto(comunemente chiamato solo adesso DISABILE) ma anche per chi inconsciamente non capisce l’importanza di questa espressione, a cominciare dagli stessi genitori che riscontrano diversi problemi nell’accettazione di un figlio portatore di handicap. Alla base dei suoi studi, la docente suggerisce che il contesto sociale determina la condizione di handicap, quali scogli culturali e mentali che favoriscono in primis l’esclusione o l’emarginazione; non ci stancheremo di dire che la famiglia, come gli amici, il contesto lavorativo e la società giocano un ruolo essenziale sullo stato di salute del soggetto, aiutandolo o disinteressandosi completamente ai suoi bisogni. Anche gli insegnati dovrebbero “imparare a guardare” oltre la scuola poiché essa, rappresenta sicuramente un canale importante ma allo stesso tempo deve sviluppare nel soggetto una buona capacità di apprendimento e integrazione. Bisogna però soffermarsi sulla complessità della persona con difficoltà dal momento che la sua integrazione si basa su educazione, linguaggio, corpo e sulle cause socioculturali della marginalità sociale. Contro la già citata legge 118 del 1971, la Murdaca propone la valorizzazione della persona umana poichè sostiene che l’integrazione è un processo continuo che non ha fine poiché ha bisogno di continue innovazione nel campo dei diritti acquisiti dai disabili; come già citato,”non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione”, poiché a parlare sono persone che si caratterizzano per capacità non per quello che sanno fare. Ciò che principalmente la Murdaca propone è una rimodulazione dell’integrazione ossia guardare alla globalità della persona che non può venire scomposta in funzioni da curare separatamente, che ne logorano la capacità di considerare nell’insieme. I disabili sono cittadini a pieno titolo ed hanno diritto all’inserimento sociale grazie anche alla stessa società che si promuove promotrice dell’integrazione del soggetto stesso. A tal proposito la visione del film” si può fare” proposto dall’associazione U.n.i.vo.c, mi fa ripensare all’integrazione nel mondo del lavoro dei protagonisti del film, tutti facenti parte di un’associazione(creata in un ospedale psichiatrico) ma con problemi di mente. Grazie al loro capo (Claudio Bisio), i protagonisti si ritrovano a lavorare come parquettisti prima in case di amici e poi sfondando nel mondo del lavoro grazie ad un mosaico creato da due pazienti, interamente fatto con gli scarti del legno. Un agire educativo che mette in luce le capacità dei soggetti disabili; la fiducia che lo stesso capo dà ai suoi lavoratori che gli danno prova della loro essenza. Riprendendo il discorso della Murdaca e collegandolo, ci troviamo davanti al chiaro esempio di coinvolgimento dei soggetti, dove appaiono per quello che sono e per ciò che possono diventare. L’integrazione dei disabili va valutata non soltanto in ambito sociale, come abbiamo già detto più volte, ma anche nell’ambito ambientale; l’introduzione di tecnologia utili al benessere del disabili sono state un vero e proprio boom non soltanto nel commercio ma anche nell’ambito della mobilità e della auto-sufficienza dei soggetti portatori di handicap. Le case domotiche, sempre più sofisticate garantiscono ai disabili la possibilità di vivere la propria vita senza necessariamente l’ausilio di una persona normodotata. Il termine domotica deriva dal latino domus che significa "casa". La casa intelligente può essere controllata dall'utilizzatore tramite opportune interfacce utente (come pulsanti, telecomando, touch screen,tastiere, riconoscimento vocale), che realizzano il contatto (invio di comandi e ricezione informazioni) con il sistema intelligente di controllo, basato su un'unità computerizzata centrale oppure su un sistema a intelligenza distribuita. I diversi componenti del sistema sono connessi tra di loro e con il sistema di controllo tramite vari tipi di interconnessione (ad esempio rete locale, onde convogliate, onde radio, busdedicato, ecc.).Il sistema di controllo centralizzato, oppure l'insieme delle periferiche in un sistema ad intelligenza distribuita, provvede a svolgere i comandi impartiti dall'utente (ad esempio accensione luce cucina oppure apertura tapparella sala), a monitorare continuamente i parametri ambientali (come allagamento oppure presenza di gas), a gestire in maniera autonoma alcune regolazioni (ad esempio temperatura) e a generare eventuali segnalazioni all'utente o ai servizi di teleassistenza. I sistemi di automazione sono di solito predisposti affinché ogniqualvolta venga azionato un comando, all'utente ne giunga comunicazione attraverso un segnale visivo di avviso/conferma dell'operazione effettuata (ad esempio LED colorati negli interruttori, cambiamenti nella grafica del touch screen) oppure, nei casi di sistemi per disabili, con altri tipi di segnalazione (ad esempio sonora).Per concludere il discorso, a tal riguardo, non è l’accudimento ma l’EMANCIPAZIONE del soggetto con disabilità, che integra la maturazione psico-cognitiva,psico-affettiva e psico-sociale poiché essa è alla base di una cura idonea a creare una relazione educativa che sia un incontro che deve essere supportato da rispetto reciproco e parità. Ogni relazione educativa tra insegnante e alunno deve essere infatti incontro e scambio, partecipazione ed alleanza e non asimmetrica, cioè contrassegnata da una disparità di potere tra insegnante e alunno. La relazione educativa si costruisce giorno per giorno, a partire dal reciproco sentire e si consolida grazie alla condivisione di un vissuto, intermediario di scambi e di attività con gli alunni. E’ molto importante che tra insegnante ed allievo si crei un rapporto di fiducia e di stima che si consolidi in un dialogo diretto e personale anche fuori dalla classe. Lo studente deve contare sul fatto che vi sia all’interno dell’istituzione scolastica una persona di cui si possa fidare, pronta ad ascoltarlo a dargli dei consigli, a incoraggiarlo ma anche a rimproverarlo al momento giusto. Ciò che ormai caratterizza in buona parte del tempo i mass-media sono le continue immagini di ragazze sempre più attraenti e magre che inducono sempre più donne alla corsa per un corpo perfetto. A tal proposito Remaury ne “il gentil sesso debole” parla di una triade della perfezione incarnata in giovinezza-bellezza-salute. Salute oseremo dire manipolata da continui interventi dimagranti che non fanno altro che rendere il corpo trasfigurato, legato ad un’immagine comporea sempre più irraggiungibile dove spesso le ragazze, alla ricerca della taglia 42, da un corpo perfetto passano inevitabilmente ad un corpo malato, dove il corpo femminile si annulla e diventa mostruoso dove le ossa prendono il posto di un corpo con le forme, in salute e felice!
    Lipovetsky nel suo libro “La terza donna” parla di una donna che raggiunge una fase positiva della cultura della cultura della bellezza, basata sull’apparente acquisizione di grazia. Una donna costretta, che nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti,quelli di giovinezza e bellezza che bisogna possedere a tutti i costi se si vuol andare in televisione. Purtroppo il binomio bella=magra rappresenta tutt’oggi un prototipo di bellezza-mostruosità che conduce inevitabilmente alla degenerazione fisica e mentale portando le ragazze alla più comuni malattie quali anoressia e bulimia. Es. è la modella Kate Moss che negli anni 80 è stata personificazione della mancanza di carne e di un corpo de-femminizzato. Infine ma non ultimo, Rosi Braidotti nel testo “Madri, mostri e macchine” parla della psicoanalisi e critica il “divenire Donna” di Deleuze , poichè vi è un asimmetria tra i sessi che indica la radicale differenza tra uomini e donne. E quindi posti allo stesso grado, mostruosità, normalità e diversità rientrano tutti nella complessità dell’essere umano e della sua discrepanza.
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    Messaggio  Maria Natale Sab Mag 19, 2012 12:17 pm

    Esercizio 1


    La pedagogia della disabilita si occupa ,come già si percepisce dal nome , delle malattie relative alla disabilità, le analizza e ricerca le possibili soluzioni per rendere meno difficoltosa la vita del disabile. A questo proposito l’OMS “organizzazione mondiale della sanità” fondò nel 1970:
    ICD la “classificazione internazionale delle malattie ” , che ha l’ incarico di classificare , di scoprire le cause delle patologie inerenti alla disabilità, fornendo ad ogni disturbo o sindrome una spiegazione ed una descrizione precisa e dettagliata di ogni tipo di disabilità . Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici per rendere possibile la memorizzazione , la ricerca e l’ analisi dei dati ed infine tutto ciò viene raccolto in enciclopedie. L’ OMS ha voluto dare anche una definizione linguistica di 3 parole fondamentali a cui spesso di dà lo stesso significato, fondando nel 1980:
    ICIDH che sta per “internaziol classification of impairments, disabilites and handicaps” e si occupa della definizione e distinzione di 3 fattori della disabilità :
    1. La menomazione ossia la qualunque perdita fisica, la non esistenza o cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo,che può essere temporanea,accidentale data da un incidente o degenerativa porta alla disabilità,
    2. la disabilità , conseguenza dalla menomazione , è l’incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti a causa proprio delle limitazioni di capacità funzionali che servo per svolgere la azioni quotidiane ,tutto ciò che è considerato normale. Non è sempre così a volte ci sono delle eccezioni come il caso di Simona Atzori una ballerina , che anche non avendo le braccia è riuscita a fare tutto ciò che noi facciamo nella vita quotidiana con i piedi rendendosi autonoma ed indipendente anche con il conseguimento della patente.
    3. l’handicap , conseguenza della disabilità, è la difficoltà che il disabile incontra nel confronto e nella relazione con l’ altro non sentendosi a proprio agio a causa della perdita di funzioni e capacità che lo mettono in una situazione di svantaggio rispetto al normodotato. L’handicap però può anche manifestarsi in persone normodotate che hanno una situazione di disagio sociale quali li emarginati che possono essere stranieri, persone con religione razza usanze e costumi diversi dai nostri.
    Gli aspetti della disabilità dunque sono molteplici e molto diversi tra loro per questo motivo l’OMS nel 2001 pubblica: l’

    ICF “ classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute” che definisce la disabilità una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole, ed oltre a classificare malattie, traumi ecc. ricerca le conseguenze associate alle condizioni di salute e verte al miglioramento concreto della vita del disabile attraverso gli ausili e la tecnologia che oggi sono molto avanzati e permettono non solo di far condurre una vita normale, ma anche di eccellere in vari campi ,come nel caso di Pistorius ,un atleta privo di arti inferiori che attraverso le protesi flex foot in fibra di carbonio è riuscito a partecipare alle Olimpiadi di Pechino.


    Esercizio 2


    Anna Maria Mardaca nel suo libro “complessità della persona e disabilità “ ci espone quanto sia difficoltosa l’integrazione attiva nella società per un disabile , sottolineando che la principale causa di questa emarginazione è creata dalla società stessa che non valorizza il disabile tenendo presente le sua capacità, la sua a identità , ma lo guarda come uguale a gli altri disabili e lo definisce per sottrazione ,rispetto al suo non poter fare a causa della sua disabilità, non valutando gli aspetti che appartengono a tutti noi uomini , quali psicologico, intellettivo, affettivo e biologico ,creando o accentuando così il suo vero handicap. Quindi è la società , l’ambiente familiare,scolastico ecc. che deve cambiare perché determina la definizione di disabilità è può essere una barriera o un facilitatore per la condizione del disabile, inoltre l’integrazione del disabile nella società non deve essere un punto d’ arrivo ma un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni per agevolare e rendere sempre più autonoma e indipendente la vita del disabile che ha il diritto di proporre nuove idee per migliorare la sua condizione. Il disabile deve aver cura di se della propria persona e deve puntare ad una progressiva emancipazione fino ad arrivare allo sviluppo della propria identità, della propria autostima. La costruzione del se personale deve avvenire in luoghi capaci di sviluppare al massimo le potenzialità personali e valorizzare la differenza del disabile come risorsa, attraverso la relazione educativa nella quale l’educatore deve cercare di portare al disabile programmi mirati su un piano di pari opportunità con i normodotati. La domotica è un esempio di come il disabile effettivamente possa essere autosufficiente , basterebbe progettare le città tenendo conto delle esigenze dei disabili e non solo dei normodotati per abbattere le barriere architettoniche.


    Esercizio 3



    Remary , Lipovetsky e Bradotti si sono occupati di una delle tematiche più discusse nell’ età contemporanea ossia della tecnologia usata come mezzo di perfezionamento e trasformazione del corpo umano, in particolare di quello femminile. A questo proposito sono stati scritti 3 libri rispettivi i 3 autori citati:
    Remary scrive “ il gentil sesso debole “ dove ci dice che la cultura odierna è orientata verso un triplice obbiettivo salute, giovinezza e bellezza, i mass madia non fanno altro che bombardarci con immagini di corpi perfetti ,chi ne subisce di più è la donna che non viene vista come tale se non è bella e giovane, per questo motivo il ricorso alla chirurgia estetica è un bisogno, una necessità ,si persegue la perfezione che porta al rifiuto del proprio corpo considerato imperfetto rispetto i canoni di bellezza attuali ,
    Lipovetsky scrive “ la terza donna” dove parla di una donna ossessionata dalla propria immagine(la donna del 21esimo secolo) che tende alla giovinezza eterna, perfetta bellezza e alla salute totale.
    Braidotti scrive “ madri mostri e macchine” dove ci parla del corpo-macchina ossia di un corpo relazionato tutto alla tecnologia. Un corpo mostruoso sul quale la donna lavora , e trasforma.

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    Messaggio  Cinzia Guadagno Sab Mag 19, 2012 1:00 pm


    1. Durante il corso di pedagogia della disabilità mi sono resa conto di quanto sia importante sapere,quanto realmente una persona con disabilità è integrata nella società, sia in ambito educativo che in ambito linguistico e corporeo. Infatti è proprio nel contesto sociale che si individuano la maggior parte degli ostacoli, e sono proprio le barriere architettoniche che favoriscono l’esclusione e l’emarginazione delle persone che sono portatori di handicap.
    Inizio col dire che vi sono delle differenze tra i termini deficit, disabilità e handicap, e al fatto che spesso l’utilizzo dei termini sbagliati non fanno altro che aumentare l’handicap, anziché ridurlo.
    La disabilità, riprendendo una frase del libro: ”Nozione introduttive alla pedagogia della disabilità”, non è un deficit, una mancanza, privazione a livello organico o psichico, ma una condizione che va oltre la limitazione, che supera le barriere mentali e architettoniche.
    La diversità non fa parte di una persona necessariamente affetta da menomazione fisiche, il diverso è lo straniero, colui che non si adegua alla norma, una persona diversa per lingua, cultura, costume, abitudini, razza. Il diverso di solito non sceglie di esserlo, ma viene etichettato dalla società.
    Il diverso viene isolato, e poiché non lo conosciamo ci incute timore.
    Nel 1970, l’OMS elabora l’ICD focalizzata sulla causa, sulla descrizione delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle patologie. In seguito, nel 2001, l’OMS propone un nuovo concetto ICF la quale non classifica solo condizioni di salute. L’ICF è stata introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica, non vengono giudicate sufficienti per il reale quadro funzionale della persona. ICF rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario e dei settori di sicurezza sociale, d’istituzione, dell’economia, del lavoro. Adottandolo si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa.
    2. Anna Maria Murdaca scrive il testo complessità della persona con disabilità che costituisce una fondamentale indagine in ambito educativo linguistico e corporeo in quanto nel suo testo parla di cervello-mente – corpo.
    Ella afferma che il contesto sociale che determina la condizione dell’handicap, favorendo l’esclusione e l’emarginazione con le barriere architettoniche, fisiche e mentali. Anna Maria Murdaca riflette sulla logistica che riguarda la rimodulazione del termine integrazione, con le protesi in specifico nel campo sportivo, legandomi a uno dei laboratori svolti, mi viene in mente Pistorius il quale è un esempio di successo per quanto riguarda le protesi esterne. La Murdaca introduce anche il concetto della cura di se, vedendolo come un concetto di emancipazione. Parlando della ciltura della disabilità, specifica che il disabile è un cittadino della società, e possiede tutti i diritti in quanto tale,
    3. Remauri parla della bellezza sostenendo il miglioramento fisico ed estetico, insieme a Lipovesky
    evidenzia come le persone in particolare il genere femminile puntano ad un’eterne giovinezza. Braiodotti invece fa riferimento alla bellezza come corpo-mecchina in quanto oggi tutti i punti di riferimento di bellezza della tv e dei giornali. Io credo che la maggior parte dei corpi oggi sono trasformati, un corpo che si sottomette alle tecnologie e alle scienze per seguire degli stereotipi che allontanano sempre più l’uomo dall’essere se stessi pe
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    Messaggio  maddalena cacciapuoti Sab Mag 19, 2012 1:47 pm

    L’organizzazione mondiale della sanità (OMS)ha elaborato nel 1970 una prima classificazione internazionale delle malattie,denominata ICD,che racchiudeva l’esigenza di cogliere quali fossero le cause delle patologie e forniva ad ogni sindrome le principali caratteristiche cliniche .Per rendere possibile la memorizzazione,le diagnosi venivano tradotte in codici numerici creando cosi una sorta di enciclopedia medica. Nel 1980 venne definita una nuova classificazione internazionale (ICDH) che si basava su tre fattori principali ovvero menomazione,disabilità ed handicap. – menomazione :è un danno organico o funzionale relativo ad uno specifico settore,che può comportare una mancanza o un mal funzionamento di una parte del corpo. – disabilità : conseguente alla menomazione,è l’incapacità di svolgere determinate funzioni ritenute tra i normali compiti che un individuo dovrebbe svolgere. – handicap: è la difficoltà che una persona con disabilità incontra nel confronto esistenziale con gli altri. Successivamente nel 2001 l’OMS propose una nuova definizione del concetto di disabilità del tutto innovativa,nasce infatti il manuale di classificazione ICF (classificazione internazionale del funzionamento,della disabilità e della salute )che al termine disabilità associava una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Una disabilità studiata quindi non solo come aspetto proprio della persona ma che racchiude l’intero contesto ad esso correlato. La disabilità viene quindi considerata come misura delle attività e prestazioni che l’ambiente esterno permette di espletare,non più soltanto una condizione soggettiva propria della persona. L’ICF è stato introdotto perché le informazioni date dalla diagnosi medica,seppure importanti,non erano sufficienti a spiegare il reale quadro funzionale della persona,ovvero cosa il soggetto può o non può fare. Questa classificazione è utilizzata da tutti gli operatori sanitari,sociali ed educativi,pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia e permette di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla. L’ICF rappresenta quindi uno strumento importante che se adottato,permetterà di accettare il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società. Come già detto quindi,ruolo importante nell’aspetto della disabilità è il contesto,che può o meno influenzare e spesso accentuare un malfunzionamento di un soggetto. Importante e basilare è associare il giusto significato alle parole DISABILE e DIVERSO. Il disabile è una persona affetto da disfunzioni motorie,cognitive;una persona che presenta una mancanza di un abilità o un diverso funzionamento di un abilità. Spesso però è associato tutt’altro significato al termine disabile. Il disabile diventa infatti una persona alla quale rivolgersi con pietismo,alla quale viene data un etichetta e che è incrementata ancor più a contatto con persone normodotate o anche familiari che dimenticano che esso è in primis una persona. Viene dimenticato soprattutto che il disabile non è un individuo con meno competenze anzi è colui che possiede delle abilità che vanno scoperte,fatte emergere. La disabilità viene spesso confusa con la diversità,perché diverso è visto colui che presenta le proprie abilità in modo differente rispetto alla maggior parte delle persone,ed ecco che tutto ciò che è diverso inizia a spaventare,ad intimorire. La diversità porta spesso alla categorizzazione,cioè alla collocazione di certe persone in determinate categorie,e così la condizione di disabilità diventa il fattore che identifica l’intera persona,una persona non più riconosciuta nella sua interezza ma solo in uno dei suoi aspetti esistenziali. Questo fattore di categorizzazione e quindi di esclusione comporta un senso di inferiorità ed inadeguatezza nella persona con disabilità. Una diversità questa,intesa come “non-normalità”.Una normalità che dovrebbe essere relativa e soggettiva,che non dovrebbe avere una definizione comune. La diversità è un qualcosa con il quale ci imbattiamo in ogni momento,diverso per culture,per razza..e non diverso come fattore di esclusione. E’ opportuno parlare quindi di DIVERSAMENTE ABILE ,una persona che potrà avere tanto da insegnare,tanto da dare ,una persona che si contraddistingue nella sua unicità. In ragione a quanto detto credo che un esempio lampante possa essere Simona Atzori ,una donna determinata che senza ricorrere ad alcun rimedio ha deciso di accettare la sua disabilità come parte di essa riuscendo così a vivere con normalità in una situazione diversa,senza alcun limite ha saputo coronare il suo sogno di ballerina e ha insegnato a noi tutti che “l’altro,è diverso da noi “solo per la grande volontà che ci mette nel superare le difficoltà e nel vivere. Prova lampante di resilienza e dimostrazione di quanto un disabile possa fare. Sul concetto di disabile nel contesto sociale ne parla Anna Maria Murdaca nel testo “Complessità della persona con disabilità”. Obbiettivo principale secondo l’autrice è guardare ad una nuova cultura della disabilità che non si basi più solo sul comportamento di un disabile o sull’assistenza che ad esso va data,bensì nel riconoscimento della sua piena persona,nel rapporto con il suo contesto sociale che spesso determina l’emarginazione. Perchè sono gli ostacoli e le barriere fisiche,mentali e culturali che spesso favoriscono i processi di esclusione . In primo luogo la famiglia che spesso non crede possibile un miglioramento della situazione psico fisica di un proprio figlio. Mi rifaccio proprio ad una poesia ascoltata durante il corso:”L’angelo del signore”:
    Vi sentite come in colpa per la mia diversità
    e non cogliete l’insegnamento che la mia vita dà.
    Quando mi abbracciate forte sento il vostro amore infinito
    e io sorrido, poiché chi sono non l’avete ancora intuito. Si percepisce il senso di dispiacere e di pietà che la madre ed il padre provano di fronte al proprio figlio quando in realtà egli stesso afferma che c’è ben altro da cogliere..:”chi sono non l’avete ancora capito “. Ritornando al testo di Murdaca si vuole quindi insegnare a valorizzare la persona e con essa le sue identità e rispettare le proprie differenze,nella ricerca continua di strategie,di soluzioni idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili rivoluzionari a parole ma purtroppo absoleti nella pratica. Ecco perché non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione,per quello che non sanno fare,ma parlare di disabili senza dimenticare che si parla di persone. Non si mira più all ‘accudimento di un disabile ma all’emancipazione di esso,occorre costruire una serie di attività che possano rendere significativa la presenza di un disabile. Occorre quindi ripensare ad una comunità sociale che superi i limiti di una società che trascura spesso i soggetti disabili. Un contesto quindi che aiuti a potenziare le capacità di ogni singola persona,offrendo servizi che permettano di vivere la propria vita in piena autonomia ad esempio come la casa domotica,ovvero “”casa intelligente”dove tutto può essere controllato semplicemente attraverso l’utilizzo di un pulsante o ancora di un riconoscimento vocale. Importante inoltre è la relazione educativa intesa come spazio ripartivo in cui il soggetto imparerà a ripensare alle proprie capacità,ripenserà alla propria situazione senza timore,senza blocchi e sviluppando così la propria autostima. Una relazione educativa questa,che potrà stabilirsi non solo tra docente e discente,tra educatore ed educando ma anche tra madre e figlio. Dovrà essere intesa come uno scambio alla pari e non contrassegnata da una disparità di potere .Una relazione che rispetterà le singole differenze,che evidenzierà le potenzialità del soggetto e che si costruirà con l’altro e per l’altro. Una relazione educativa che fa parte ogni giorno del contesto in cui viviamo,un contesto che come già detto può aiutare o influenzare a tal punto da dominare su una persona. Lo spiega infatti Remeaury nel suo testo “Il gentil sesso debole”,in cui afferma che la cultura dell’immagine nelle donne si confonde spesso con quella della bellezza,che nella società come sappiamo,è di primaria importanza . La bellezza è associata all’idea che la donna abbia il dovere di doverla coltivare. Alla figura femminile è sempre stata affidata la responsabilità e la cura della salute. Remaury afferma che la donna è predisposta ad una continua corsa alla perfezione,infatti diverse indagini hanno dimostrato come alle persone con un aspetto giudicato attraente vengano associate virtù interiori come bontà,gentilezza,intelligenza magari inesistenti. Remaury afferma che la donna ha tre obbiettivi principali,ovvero: bellezza-giovinezza-salute. L’idea di bellezza è intesa come un bisogno(il bisogno di essere bella),uno stato questo che è imposto però dalla stessa società e quindi dal contesto circostante, e coloro che non si adeguano a questi standard finiscono con il sentirsi spesso umiliate. Allo stesso modo,Lipovetsky nel suo libro “La terza donna“spiega come la donna tenta di nascondere la sua sottomissione ai modelli dominanti della società,scegliendo però come strada possibile quella di ottenere un corpo realizzato,ossia la conquista di un corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su se stessa. Secondo l’autore,la donna ha raggiunto una fase positiva della bellezza basata sull’apparente acquisizione di grazia. E così viene fuori la figura della donna che controlla e gestisce la propria immagine all’interno dei tanti modelli offerti dalla società,tra i quali sembra poter scegliere anche se in realtà questo è solo un illusione,poiché essa si rispecchierà e si identificherà comunque in quei determinati modelli sociali. Si affermerà così la convinzione di un corpo libero dalla malattia e quindi sano,libero dal peso e quindi magro,libero dal tempo e quindi giovane. Una donna questa che in realtà non sarà mai realmente libera. Altro fattore che sempre più si è andato affermando nella nostra società è la magrezza,che non rispecchia più l’idea di bellezza ma la si osserva come deforme,le stesse modelle anoressiche rappresentano questo prototipo di bello che in realtà diventa mostruoso. E’il femminile mancante,mostruoso che si è imposto come modello dominante,tanto da imporre la malattia come modello estetico,come oggetto di imitazione e di desiderio. Una donna che è capace di continue trasformazioni. Rosi Braidotti nel suo testo “madri,mostri e macchine “ spiega infatti che va ripensato il rapporto corpo-mente,descrive la donna capace di deformare nella maternità il proprio corpo da divenire così nell’immaginario maschile qualcosa di orribile:mostro e madre al contempo,è di una donna capace secondo l’ autrice,di incarnare la macchina e quindi la tecnologia ridefinendo così quell’immaginario collettivo che deve essere fatto di differenze e non di soli stereotipi. Il mostro quindi inteso come incarnazione della differenza dalla norma..
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    Messaggio  Cinzia Guadagno Sab Mag 19, 2012 1:48 pm

     Durante il corso di pedagogia della disabilità mi sono resa conto di quanto sia importante sapere,quanto realmente una persona con disabilità è integrata nella società, sia in ambito educativo che in ambito linguistico e corporeo. Infatti è proprio nel contesto sociale che si individuano la maggior parte degli ostacoli, e sono proprio le barriere architettoniche che favoriscono l’esclusione e l’emarginazione delle persone che sono portatori di handicap.
    Inizio col dire che vi sono delle differenze tra i termini deficit, disabilità e handicap, e al fatto che spesso l’utilizzo dei termini sbagliati non fanno altro che aumentare l’handicap, anziché ridurlo.
    La disabilità, riprendendo una frase del libro: ”Nozione introduttive alla pedagogia della disabilità”, non è un deficit, una mancanza, privazione a livello organico o psichico, ma una condizione che va oltre la limitazione, che supera le barriere mentali e architettoniche.
    La diversità non fa parte di una persona necessariamente affetta da menomazione fisiche, il diverso è lo straniero, colui che non si adegua alla norma, una persona diversa per lingua, cultura, costume, abitudini, razza. Il diverso di solito non sceglie di esserlo, ma viene etichettato dalla società.
    Il diverso viene isolato, e poiché non lo conosciamo ci incute timore.

    Nel 1970, l’OMS elabora l’ICD focalizzata sulla causa, sulla descrizione delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle patologie. In seguito, nel 2001, l’OMS propone un nuovo concetto ICF la quale non classifica solo condizioni di salute. L’ICF è stata introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica, non vengono giudicate sufficienti per il reale quadro funzionale della persona. ICF rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario e dei settori di sicurezza sociale, d’istituzione, dell’economia, del lavoro. Adottandolo si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa.
     Anna Maria Murdaca scrive il testo complessità della persona con disabilità che costituisce una fondamentale indagine in ambito educativo linguistico e corporeo in quanto nel suo testo parla di cervello-mente – corpo.
    Ella afferma che il contesto sociale che determina la condizione dell’handicap, favorendo l’esclusione e l’emarginazione con le barriere architettoniche, fisiche e mentali.
    Anna Maria Murdaca riflette sulla logistica che riguarda la rimodulazione del termine integrazione, con le protesi in specifico nel campo sportivo, legandomi a uno dei laboratori svolti, mi viene in mente Pistorius il quale è un esempio di successo per quanto riguarda le protesi esterne. La Murdaca introduce anche il concetto della cura di se, vedendolo come un concetto di emancipazione. Parlando della ciltura della disabilità, specifica che il disabile è un cittadino della società, e possiede tutti i diritti in quanto tale,

     Remauri parla della bellezza sostenendo il miglioramento fisico ed estetico, insieme a Lipovesky evidenzia come le persone in particolare il genere femminile puntano ad un’eterne giovinezza. Braiodotti invece fa riferimento alla bellezza come corpo-mecchina in quanto oggi tutti i punti di riferimento di bellezza della tv e dei giornali. Io credo che la maggior parte dei corpi oggi sono trasformati, un corpo che si sottomette alle tecnologie e alle scienze per seguire degli stereotipi che allontanano sempre più l’uomo dall’essere se stessi per imitare gli idoli.


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    Messaggio  valeria scognamiglio Sab Mag 19, 2012 2:21 pm



    1)Da molti anni,l’uomo si è interrogato non solo sulle cause di sviluppo di una malattia,bensì anche sulle possibilità di inglobare le conoscenze acquisite in un sistema controllato e consultabile,al fine di giungere ad una diagnosi più precisa e più rapida così da scegliere e applicare terapie più idonee alla risoluzione dei casi. A tal proposito nasce l’ICD, la classificazione internazionale delle malattie,basata sulla sequenza etiologia – patologia – manifestazione clinica. Questo modello però non venne ritenuto abbastanza completo e dettagliato,in quanto trascurava gli aspetti contestuali e ambientali, ritenuti fattori imprescindibili della salute e della malattia. L’ICD fu sostituito con l’ICF,la classificazione internazionale della disabilità e della salute,dove per disabilità si intende una condizione di salute derivante da un contesto sfavorevole. L’ICF, produce un radicale cambiamento nel modo di concepire la malattia,la salute e la menomazione. L’handicap e la disabilità,non sono più considerate antinomie ,bensì dinamiche mutevoli nel contesto della vita di ognuno in relazione all’ambiente esterno. Con l’ICF il cambiamento sta nel pensare le condizioni di salute più che la malattia, la disabilità come evento dinamico e non statico, l’handicap non come condizione del singolo ma determinato da barriere esterne. Ne scaturisce una considerazione globale dell’individuo nelle sua componente biologica, psicologica e sociale, a differenza della precedente classificazione che pone l’accento sulle disfunzioni fisiche,ritenute immutabili e statiche e che si sofferma sulle difficoltà di un disabile a condurre la propria vita. L’ICF produce variazioni dal punto di vista terminologico. A tal proposito ho avuto modo di riflettere sul significato di alcune parole. Termini come disabile e diverso che a mio parere si eguagliavano in realtà hanno accezioni diverse come è stato esplicitamente spiegato anche in aula,insieme ai sostantivi: mostro,paraplegico, straniero, tutte parole che sottintendono un principio di discriminazione da parte di chi li guarda. In seguito tramite un lavoro di gruppo noi alunne ci siamo confrontate su alcune parole-chiave e siamo arrivate alla conclusione che l’uomo ,portatore o meno di disabilità è UN UOMO. Inoltre,abbiamo approfondito il tema attraverso la visione del film “Indovina chi viene a cena” ,un elaborato che mette in scena la pratica del razzismo estremo di un uomo di colore,ma il razzismo non è solo questo. I motivi che alimentano la logica discriminatoria vanno dalla cultura alla lingua,dal colore della pelle al modo di vestire. Nella società odierna,si pratica il razzismo anche tra i giovani che umiliano ed escludono i loro coetanei solo perché non indossano abiti firmati o perché non portano lo stesso taglio di capello. Purtroppo nelle nuove generazioni vige lì omologazione. Basta voltarsi per notare che i giovani sono fatti con lo stampino! Basterebbe bendarsi gli occhi e tapparsi la bocca affinchè tutti potessero sentirsi semplicemente uomini,indipendentemente dall’esteriorità. Bisognerebbe abbattere le barriere mentali, richiesta troppo alta. In un società dove non c’è alcun rispetto per gli altri come si può pretendere una particolare attenzione e una guida per i disabili? Non c’è soluzione all’indifferenza sociale ed è evidente in tutta Italia e accentuata dall’inefficienza di servizi pubblici,in particolar modo per i disabili. Loro sono costretti a restare a casa per paura di restare bloccati sui marciapiedi per la mancanza di scivoli, di isole pedonali che li costringono a vagare per strada,aumentando i rischi che si ritrovano ad affrontare. E come se non bastasse, le metropolitane e i bus che non permettono a queste persone un sicuro spostamento a causa dell’inefficienza dei montascale e per la mancanza di pedane mobili o elettriche. Non c’è nessuno a porsi questo problema perché forse la maggior parte dei cittadini sono normodotati. A questo proposito la nostra insegnante ha voluto farci immedesimare nei panni di coloro che si sentono emarginati dalla società. La prof ha così simulato la scena di una città,in cui vigeva una particolare regola: qualunque persona avesse gli occhiali non poteva farne parte. D’impatto mi sono strappata gi occhiali,fingendo di non appartenere a quella categoria ma poi decisi di metterli. Da emarginato ,ho dovuto dispormi nell’angolo insieme ad altre ragazze e ad assistere da lontano alla vicenda. La sensazione che ho provato da subito è stata Solitudine,non appartenenza,ma anche rabbia,perché pur urlando il nostro dissenso nessuno distoglieva lo sguardo dall’insegnate. Noi eravamo solo di scena. E’ stato triste stare li,senza avere voce in capitolo e dover subire passivamente quella “finta ingiustizia”.


    2) “ Una nuova cultura della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento,del comportamento e dell’assistenza del soggetto disabile,ma anche centrata sul riconoscimento della PERSONA in evoluzione”. Così scrive Anna Maria Murdaca per spiegare una delle tematiche centrali del suo libro: Ricostruzione di una nuova cultura della disabilità. In questa fase l’autrice cerca di dare una definizione alla parola disabile,intesa come una persona che trova difficoltà a portare a termine una determinata attività. Queste persone sono molto spesso esposte al fenomeno dell’emarginazione sociale,ma affinchè questo non accada,il disabile ha bisogno di sostegno,da parte della famiglia,della scuola e del contesto lavorativo. La famiglia in particolare dovrebbe sgravarsi dal peso delle colpe per aver un figlio disabile e adoperarsi per migliorare le sue condizioni di vita. Occorre soffermarsi sulla loro umanità,perché le persone non si caratterizzano per ciò che sanno fanno ma per quello che sono. Cito a tal proposito un aforisma di William Shakespeare: “Che cosa c’è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa,anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo stesso odore soave”. Questa citazione sottolinea il bisogno di rispettare e valorizzare ogni persona,accettando le differenze perché sono queste che ci caratterizzano come uomini. E’ tutta questione di interpretazione. A mio parere ognuno è stato creato diversamente dall’altro per la conformazione della testa,il colore degli occhi,dei capelli ma non per questo siamo emarginati. Perché questo non dovrebbe valere per i disabili? Non bisognerebbe emarginarli ma anzi facilitare le loro condizioni e stimolarli a non mollare. Ma ciò non accede quasi mai,perché la reazione al loro stato,ritenuto di inferiorità, è uno sguardo di misero pietismo,di rifiuto,di pregiudizi provato dai “normali” sui disabili e sui disabili su se stessi: qui si creano e si alimentano l’emarginazione e il rifiuto. Questo non fa altro che contribuire a sommergere i disabili nelle difficoltà quotidiane e nella solitudine,nelle incertezze. Bisognerebbe immergerli in quel meccanismo chiamato INTEGRAZIONE: come processo continuo,una ricerca di soluzioni continue ,di strategie idonee a preservare i loro diritti. Ma anche avere cura di loro, aiutandoli e spingendoli verso l’acquisizione dell’emancipazione e dell’indipendenza. Questi sono i requisiti alla base di ogni relazione educativa. Per relazione si intende un legame che si instaura tra una o più persone. Qualunque esso sia è portatore di valori o semplici opinioni che accrescono il patrimonio culturale del soggetto,poiché in una relazione ogni individuo dà e riceve qualcosa. La relazione educativa è un rapporto che lega docente e discente al fine di favorire lo sviluppo integrale della personalità. L’educatore non ha il semplice ruolo di trasferire nozioni,ma in primis deve tener conto della dimensione emotiva dell’allievo e programmare un insegnamento personalizzato,in base alle esigenze del bambino e ad eventuali problematiche che bloccano il suo sviluppo cognitivo. Egli dovrà fungere da guida,soprattutto per i bambini in difficoltà. In questi casi l’educatore dovrà cercare di capire chi ha di fronte,i suoi problemi,le sue ansie,le paure ,cercando di comprendere le cause di determinati comportamenti. Molto spesso i fattori che spingono il bambino ad assumere una certa posizione è la mancanza di affetto e di un punto guida che gli trasmetta valori e regole da rispettare. Per questo motivo l’educatore deve predisporsi all’ascolto e suscitare curiosità. In aula l’insegnante ha messo in scena un setting formato da un educatore e un educando,rappresentato da due coetanee,per farci calare nei panni di quella che sarà la nostra professione,quella di futuri educatori. A impatto ho notato la difficoltà delle ragazze ad aprire un dialogo e ad approcciarsi. Anche io probabilmente nella stessa situazione non avrei saputo cosa dire,ma questo è servito per capire che alla base di un buon educatore c’è prima di tutto l’esperienza.


    3) “Ben poco di carminio ha la sua faccia,è di smeraldo povera la gonna,la sua bellezza è l’amore che dà. E’ proprio ciò che la rivela mia”. La società ed i media,ci portano a pensare che la bellezza sia un valore assoluto ed abbia canoni precisi,giunti fino a noi dalla notte dei tempi.Autori come Remaury, Lipovetsky e Braidotti hanno posto la bellezza come tema centrale dei loro scritti. Remaury e Lipovetsky mostrano come l’immagine della donna si confonda con quella della bellezza,idea fondante nella società mass-mediologica. Sin dall’antichità alla donna venivano date mansioni molto leggere,quali la cura della casa e di se stessa. E’ stato infatti dimostrato che nella società odierna alle persone con un aspetto giudicato bello e attraente,vengono attribuite anche virtù come la bontà,la gentilezza e l’onestà. Il cosiddetto “mostro” coincide invece con la cattiveria. Giovani,belle e sane, questa è l’immagine ideale della donna,proposta dalla televisione,dai giornali e dalla moda. Su questo canone estetico,la donna dovrebbe costruire la propria identità,affrontando spese e esponendosi a sofferenze ( la chirurgia plastica). Le cosiddette “protesi estetiche” sono ausili artificiali atti a sostituire una parte mancante del corpo o integrare una parte danneggiata. Queste vengono utilizzate non solo per agevolare persone con problematiche fisiche,ma hanno spesso la finalità di migliorare il proprio aspetto fisico e conformarsi all’attuale modello di bellezza. Donne ossessionate dalla fisicità,che pur di somigliare a qualche diva del cinema,si sottopongono a interventi chirurgici per ritrovarsi belle e giovani come una volta. Ormai in giro c’è più silicone che pelle umana e la televisione non fa altro che divulgare e inculcare questo messaggio. Lo si può notare dalle semplici sfilate di moda,dove si mostra un ideale di donna taglia 38.Le donne che non si adeguano ai canoni fissati,finiscono per essere umiliate. Ma basterebbe guardare un quadro di Botticelli,Picasso,Modigliani per capire che è difficile accordarsi su un ideale di bellezza,perché ognuno è diverso. E perché perdere le specificità e andare incontro all’omologazione? A mio parere non esiste un criterio di bellezza. Infine Braidotti contrappone a questo ideale di donna,la donna madre ,che si deforma e perde il suo aspetto longilineo. Diventa così nell’immaginario collettivo qualcosa di orribile:mostro e madre al contempo. Ma io mi chiedo come sia possibile visto che l’immagine del pancione dovrebbe rappresentare l’idea di purezza,di felicità e l’avvento della vita.
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    Messaggio  Maria Grande Sab Mag 19, 2012 2:37 pm

    Credo che tutti nella nostra vita abbiamo usato parole come menomazione, handicap e disabilità, molto spesso in maniera impropria senza darci troppo peso e senza distinguerle tra loro. Io in primis, prima di frequentare questo corso confondevo queste parole e solo ora credo di aver capito realmente i vari significati. Il termine menomazione si riferisce a qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologia, fisiologica o anatomica. La menomazione è un danno organico o funzionale che può essere transitorio o permanente. Per disabilità invece si intende l’incapacità, conseguente alla menomazione, di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti considerati normali per un individuo. Il termine handicap invece, traducibile in svantaggio, indica la condizione di svantaggio vissuta da una determinata persona conseguente ad una menomazione che limita o impedisce la possibilità di ricoprire il proprio ruolo normalmente in relazione all’età, al sesso e ai fattori socio-culturali. Non bisogna fare confusione poiché fare un uso improprio delle parole può essere un modo per aumentare l’ handicap, ed è proprio per ovviare a questo problema che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato nel 1970 la Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD), che risponde all’esigenza di offrire una migliore ed efficace osservazione ed analisi delle patologie per migliorare la qualità delle diagnosi di tali patologie. L’ ICD ha dato origine successivamente all’ ICIDH che distingue i termini menomazione, disabilità ed handicap con menomazione, abilità e partecipazione prestando una maggiore attenzione verso le capacità e le possibilità del soggetto. Si inizia così a porre attenzione sulla persona disabile vista come parte integrante della società che ha la stessa dignità dei cosiddetti normali e ha diritto al massimo rispetto e considerazione. Dall’ICIDH si passa poi alla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) che pone un ulteriore tassello sul concetto di disabilità considerandola come una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. L’ ICF non classifica solo le condizioni di salute ma pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia ed evidenzia il fatto che la loro condizione può migliorare, anche attraverso l’utilizzo di opportuni ausili, garantendo così un’esistenza felice e serena. I termini menomazione, disabilità ed handicap vengono sostituiti nuovamente da termini quali funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione con l’intento di coinvolgere ulteriormente la persona disabile nella società. E questa non è una cosa semplice perché va detto che la nostra società, purtroppo, non favorisce l’integrazione dei disabili; pregiudizi, limitazioni e barriere architettoniche impediscono loro un’esistenza normale e serena. Un enorme fardello che purtroppo le persone disabili devono sopportare è appunto quello delle barriere architettoniche che limitano la loro mobilità, come abbiamo potuto constatare da alcuni video visti in aula sono molti i disabili che vorrebbero più autonomia negli spostamenti. I disabili hanno i nostri stessi desideri e come tutti noi anche loro vorrebbero andare in un locale, in un negozio, in un supermercato o semplicemente in farmacia o in banca possibilmente senza trovare davanti a sé ostacoli insormontabili che rendono stressante e non accogliente per loro quella struttura. Inoltre per molti disabili la semipovertà o povertà rappresenta un ulteriore disagio poiché lo stato non riesce a garantire un’adeguata condizione di vita. I cosiddetti politici quando sono davanti alle telecamere conoscono tutte le problematiche dei disabili, promettendo infrastrutture ed adeguati sussidi, ma puntualmente quando devono attuare le tanto decantate leggi speciali, sembra che dimenticano quella realtà troppo lontana da loro. Ma le barriere più difficili da superare non sono quelle fisiche ma bensì quelle psicologiche. Un disabile è una persona come tutti noi, non è diverso o meno capace e ha il diritto di condurre una vita normale senza sentirsi costantemente sotto i riflettori della diversità, del pietismo o della compassione... Perché purtroppo sono questi i sentimenti che suscitano in noi ma tutti noi dobbiamo imparare che la compassione non serve, il disabile va valutato nella sua integrità di persona che può offrire un contributo importante allo sviluppo della società. Troppo spesso il termine disabilità è legato alla diversità. Ma diverso da chi?? Questo è un argomento su cui scende spesso un velo di silenzio, sembra una sorta di tabù, una realtà lontana ma che rappresenta una grave emergenza. Il tema della diversità abbraccia una variegata tipologia di persone che va dagli immigrati ai disabili, che spesso devono sentirsi emarginati dalla società. Ma se tutti noi impariamo a considerare l’essere umano in tutte le sue sfaccettature ci rendiamo conto che nessuno è uguale ad un altro, ogni essere umano è irripetibile si contraddistingue tra tutti gli altri per la sua unicità, anche una persona disabile o una persona straniera è unica e irripetibile e portatrice di una ricchezza immensa proprio come tutto il resto del mondo. La diversità purtroppo è un concetto creato stesso dalla nostra società e dalla nostra cultura che collocano certe persone in determinate categorie. La condizione di disabilità diventa così il bigliettino da visita dell’intera persona che interiorizza sentimenti di inferiorità. Il termine disabilità dovrebbe mettere in risalto il fatto che il disabile oltre ad avere una disabilità ha anche molte abilità che vanno potenziate e fatte emergere. Fortunatamente esistono anche persone con disabilità che non si sentono tali e riescono a superare tutte le avversità sviluppando un’umanità più ricca, una consapevolezza di sé e del mondo più profonda e un atteggiamento verso la vita più giusto di noi normodotati. Ci sono tanti casi eclatanti e degni di nota, ricordiamo Simona Atzori, Oscar Pistorius i quali hanno imparato a vivere con le proprie menomazioni e a lasciare la propria impronta nel cuore di molte persone attraverso le loro passioni. Sembra però che il tema della disabilità venga distaccato da quello della diversità solo quando il soggetto, attraverso la sua determinazione riesce a far valere le proprie capacità proprio come nei casi sopra citati. Si dovrebbe invece imparare a considerare il soggetto nella sua unicità anche senza conoscere la sua storia e le sue abilità, bisognerebbe non vedere più la diversità nella disabilità ma andare oltre e vivere il “disabile normale” senza discriminazioni e sguardi curiosi.
    Il tema della disabilità viene affrontato anche dalla professoressa Anna Maria Murdaca che nel testo Complessità della persona e della disabilità afferma che non si deve definire nessuno per sottrazione perché anche i disabili sono persone, e si caratterizzano per le loro capacità e non solo per quello che non riescono a fare. Secondo la docente si dovrebbe ridefinire una nuova cultura della disabilità più attenta al riconoscimento della persona poiché lo svantaggio è determinato dal contesto sociale e sono gli ostacoli e le barriere fisiche, ma anche quelle mentali, a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. Questo è un po’ anche quello che abbiamo visto in aula attraverso il laboratorio sull’emarginazione, in quel caso infatti non sono state le ragazze con gli occhiali a scegliere di essere emarginate ma è stata la situazione creata dalla prof ad escludere dalla nostra città determinati soggetti. Molte di noi “cittadine a pieno titolo” ci siamo sentite un po’ tristi nel vedere escluse le nostre amiche dai preparativi della festa solo perché indossavano gli occhiali, ecco quella specie di tristezza momentanea che abbiamo provato noi è solo una briciola della tristezza che provano ogni giorno i disabili, i diversi, gli emarginati a causa della nostra società che purtroppo, come già detto, non riesce ad andare oltre la superficie delle cose e delle persone. Come sottolinea anche l’ICF l’ambiente esterno influenza la vita degli individui e le etichette che usiamo non fanno altro che ridurre le nostre potenzialità. Si dovrebbe iniziare a guardare i disabili come cittadini a pieno titolo, modellare gli spazi di formazione superando i limiti e le barriere mentali presenti nella famiglia, nella scuola, nel contesto lavorativo e in tutti gli altri elementi presenti nella vita di tutti i giorni. E’ necessario che le famiglie, le scuole, gli enti sanitari, la politica e le leggi interagiscano tra loro in modo da gettare basi più solide affinché tutti gli individui della società raggiungano una propria autonomia ed una propria stabilità sociale. In primis la famiglia si dovrebbe liberare dalla percezione di impossibilità di miglioramento della situazione psico-fisica del figlio disabile. Ovviamente non siamo qui a fare i finti moralisti perché chiunque davanti ad un figlio disabile sarebbe preoccupato ma non per i sacrifici o le privazioni che può comportare (perché questo come sappiamo lo portano tutti i figli) ma per le difficoltà che il figlio si troverà ad affrontare nella vita di tutti i giorni. Queste preoccupazioni però se troppo accentuate influiranno negativamente sullo sviluppo futuro del bambino, è necessario quindi che i genitori imparino a rendersi conto dei suoi bisogni e di immaginarsi il futuro senza troppe ansie e incertezze in modo da creare situazioni favorevoli affinché il bambino acquisti una propria autonomia senza sentire troppo il peso della sua menomazione. Anche l’educazione del bambino disabile è una nota dolente poiché gli insegnanti, anch’essi coinvolti nel processo di sviluppo del bambino, devono imparare a prestare maggiore attenzione alle facoltà e alle potenzialità del bambino cercando di andare oltre la scuola trasferendo le competenze dell’alunno anche al di fuori del contesto scuola e quindi magari nella vita lavorativa. Sono quindi necessari nuovi ambienti di apprendimento nei quali anche gli educatori e gli insegnati siano preparati, troppo spesso ci troviamo di fronte ad insegnanti che non sanno relazionarsi con i bambini disabili. Bisogna quindi porre particolare attenzione alla relazione educativa che si stabilisce tra i vari soggetti. Ogni relazione educativa è portatrice di nuove conoscenze, vi deve essere incontro e scambio tra i soggetti coinvolti. In una buona relazione educativa si devono creare una serie di situazioni che mettano a proprio agio il soggetto che si ha di fronte, si deve creare un rapporto alla pari senza differenze. Per quanto riguarda la relazione educativa nei confronti dei disabili bisogna far emergere le doti del disabile, considerare i suoi bisogni e cercare di metterlo sullo stesso piano dei normodotati. Si viene così a delineare una nuova visione di integrazione vista non più come un punto di arrivo ma come una continua ricerca di soluzioni e di strategie idonee a preservare i diritti dei disabili. Nel parlare di integrazione si fa riferimento alla valorizzazione delle dotazioni individuale in modo da garantire la crescita e la maturazione personale del soggetto. Rimodulare l’integrazione significa guardare alla globalità della persona mirando all’emancipazione del soggetto rimuovendo così le etichette sociali.
    Ma le etichette della nostra società non riguardano soltanto i disabili ma riguardano tutti noi che siamo troppo legati alle immagini stereotipate che ci propongono i media. Questi modelli influiscono pesantemente sul modo di essere e di pensare di ogni singolo individuo proponendo falsi valori e standard estetici impossibili da raggiungere. Autori come Remaury, Lipovetsky e Braidotti hanno messo in luce la corsa delle donne verso il traguardo della perfezione. Remaury infatti nella sua opera Il gentil sesso, le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute afferma che sono le donne ad essere più condizionate dalla cultura dell’immagine. La perfezione viene raggiunta attraverso la triade bellezza, salute e giovinezza sulla base della quale le donne costruiscono la propria identità. Solitamente alle persone con un bell’aspetto vengono attribuite anche presunte virtù interiori come bontà, gentilezza e intelligenza, che il più delle volte sono completamente inesistenti; questo possiamo infatti constatarlo attraverso la televisione che continua a propinarci giorno dopo giorno l’immagine delle “donne oche” invece di porre attenzione su quelle donne che fanno salti mortali per far coincidere lavoro, famiglia e tutti i problemi che si trovano a dover fronteggiare, perché quelle si che sono vere donne, non si lasciano abbattere dai problemi e hanno sempre un’enorme quantità di amore da donare. La terza donna di Lipovetsky mette in evidenza quanto la donna oggi sia obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto. Tutti siamo ossessionati dai canoni di bellezza e per raggiungere l’immagine della perfezione corporea spesso vengono usati dei metodi sbagliati da cui derivano le disfunzioni alimentari e le corse dai chirurghi estetici. La Braidotti in Madri, mostri e macchine parla del dualismo tra corpo e mente, secondo l’autrice questa rottura può essere arginata attraverso l’utilizzo della psicoanalisi che libera il corpo dalle trasformazioni e dalle mostruosità che ha dovuto subire con l’utilizzo delle tecnologie per adattarsi ai canoni estetici. “Creare un legame tra femminismo e tecnologia, giocare con l’idea di un corpo-macchina è certamente un rischio e non da alle donne la certezza di uscire vincitrici da questa sfida.” Come ho affermato precedentemente io stessa nel forum sulle protesi estetiche, voler essere perfetti a tutti i costi può essere estremamente pericoloso.
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    Messaggio  rosa d'onofrio Sab Mag 19, 2012 2:53 pm

    1)L’OMS (organizzazione mondiale della sanità)elabora nel 1970 l’ICD ossia la classificazione internazionale delle malattie .L’ICD si focalizza sulle cause,sulle descrizioni delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche della malattia .Al fine di rispondere alla necessità di un’omogeneizzazione dei dati nel mondo,le diagnosi,vengono tradotte in codici numerici .L’ICD inoltre avvicina le disabilità alle patologie cliniche facendo una sorta di enciclopedia medica .Esso però rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione,in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulle cause delle patologie ma anche sulle loro conseguenze. Nasce in questo modo nel 1980 l’ICIDH,dove non si parte più dal concetto di malattia inteso come menomazione,ma dal concetto di salute inteso come benessere fisico,mentale,relazionale e sociale che riguarda l’individuo e la sua interazione con l’ambiente. L’ICIDH si basa su tre fattori:la menomazione,la disabilità e lo svantaggio o handicap. Questi termini verranno sostituiti da:menomazione,disabilità e partecipazione.
    MENOMAZIONE:perdite materiali o anormalità che possono essere transitorie o permanenti e comprende l’esistenza o l’evenienza di anomalie,difetti o perdite a carico di arti,tessuti e altre strutture del corpo. La menomazione e’ un danno organico o funzionale relativo ad un settore specifico.
    DISABILITA’:incapacità conseguente alla menomazione di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo considerato “normale” per un individuo.
    HANDICAP:è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri,il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o di capacità,le condizioni di svantaggio conseguente a una menomazione o ad una disabilità che in un soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età o al sesso.
    Nel 2001 L’OMS perviene alla stesura dell’ICF .Quest’ultimo si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali al fine di cogliere le difficoltà che le disabilità possono causare nel contesto socio culturale di riferimento. Tramite l’ICF si vuole descrivere non le persone ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale. Si vuole puntare l’attenzione sull’individuo nella sua globalità e unicità e non solo come persona avente malattie o disabilità. L’ICF vuole fornire un’analisi sullo stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente,arrivando alla definizione di disabilità intesa come una condizione di salute in un ’ambiente sfavorevole. Tutto ciò porta a evidenziare non solo come le persone convivono con la loro patologia ma anche cosa e’ possibile fare per migliorare la qualità della loro vita. Abbiamo notato che c’e’ da fare in modo pratico ancora tantissimo. Durante una delle lezioni abbiamo infatti visionato alcuni filmati sulle barriere architettoniche presenti nella nostra città che ostacolano la vita del disabile. Tante le difficoltà che una persona disabile incontra in quello che faccio di solito:scendere le scale di casa mia,prendere mezzi di trasporto,andare al bar dell’università a fare colazione .Sono tante le leggi e le promesse ma in pratica resta tutto uguale. Le istituzioni dovrebbero garantire alle persone con deficit di muoversi liberamente e in modo autonomo. La prof ha raccontato la sua esperienza in Olanda dove e’ possibile incontrare per strada,a differenza della nostra realtà,tante persone sulla sedia a rotelle perché non esistono barriere architettoniche. Tutto ciò a dimostrazione che questo può avvenire anche in Italia.Basta volerlo .Bisogna abbattere tutte le barriere perché siamo tutti uguali e godiamo degli stessi diritti e della stessa libertà di svolgere autonomamente le nostre azioni. Inoltre molto spesso su alcuni termini ci si confonde,non conoscendo i veri significati. Le parole sono fondamentali per comunicare ma possono anche trasformare la realtà se ne facciamo un uso inconsapevole o non si conosce il vero significato. Per questo bisogna chiamare le cose con il loro nome. Molto spesso la disabilità viene confusa con diversità. Occorre distinguere questi due termini. Il disabile e’ un soggetto con disturbi fisici o psichici che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate. Il più delle volte capita di assumere un’ atteggiamento di pietismo nei confronti della persona disabile o viene etichettato come:quel disabile,quel sordo,quel paraplegico. Il disabile invece è una persona come tutti e deve essere chiamato con il suo nome perché è quest’ultimo quello che ci differenzia. Esistono anche persone con disabilità che non si sentono tali e riescono a compiere qualsiasi attività: Atzori e Pistorius due esempi di resilienza. La diversità è tutto quello che ci rende unici. Molto spesso la diversità è vista in chiave negativa,come minaccia della propria identità e per questo la presenza del diverso genera paura,ansia,timore. Il diverso non sceglie di esserlo ma è etichettato dalla società solo perché ha schemi mentali,comportamentali e fisici differenti dalla normalità. La nostra società tende a discriminare ed emarginare le persone per cose futili. Questo concetto l’abbiamo elaborato in classe facendo una simulazione:la classe si e’ trasformata in città e la prof in sindaco dittatore. Il sindaco(prof) ha cacciato dalla città tutte le persone con gli occhiali,io non avendoli ho rivestito il ruolo di cittadino. Ho provato tanta vergogna per essere parte di quella città ma ho immaginato come doveva essere terribile far parte degli emarginati,senza godere di alcun diritto nemmeno quello della parola. Senza avere la forza di reagire perché la mancanza d’identità porta alla non reazione. Bisogna porre fine a qualsiasi tipo di discriminazione perchè ognuno di noi è diverso e deve godere della propria libertà.
    2) La docente ANNA MARIA MURDACA ha scritto il testo “COMPLESSITA’ DELLA PERSONA E DISABILITA” ponendo l’attenzione su tre aspetti:ricostruzione di una nuova cultura della disabilità,rimodulazione del termine integrazione,comprensione delle reali condizioni di vita,quale ruolo possono assumere i disabili,quali servizi vengono erogati per le loro esigenze ridefinendo in questo modo un progetto di vita per le persone con disabilità. Secondo Murdaca l’ambiente è determinante nel definire la disabilità,può essere una barriera o una facilitazione. L’handicap infatti è in primo luogo un fenomeno sociale è proprio dall’immagine sociale e dai significati culturali che vengono attribuiti ad esso,che si costruiscono le premesse per il riconoscimento delle persone e per le opportunità di vita che le vengono concesse. Ella sostiene che bisogna dirigersi verso l’inclusione adottando l’ottica della globalità,abbandonando la logica dell’inserimento. Occorre ricostruire una nuova cultura della disabilità,attenta quindi non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento del comportamento,dell’assistenza del soggetto disabile,ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione. Questa nuova cultura deve essere attenta:a cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive e innalzare la qualità della vita dei soggetti. La costruzione dell’identità personale deve avvenire in luoghi capaci di sviluppare le potenzialità personali cercando i mezzi più idonei a valorizzare la differenza come risorsa .Occorre poi rimodulare l’integrazione ,guardando alla globalità della persona che non può essere scomposta in funzioni, che possono essere curate separatamente perdendo la capacità di integrare,di considerare nell’insieme. Bisogna quindi valorizzare al meglio le doti individuali senza definire nessuno per sottrazione. Una persona infatti si caratterizza per la capacità non per quello che non sa fare .Bisogna ripensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità,i quali sono cittadini a pieno titolo. Un ruolo fondamentale nel processo di integrazione ed emancipazione del soggetto con disabilità è attribuito alla relazione educativa:l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l’educatore e coloro che egli educa. Tale relazione deve essere:incontro,scambio,partecipazione e alleanza. La cosa fondamentale tra educatore e educando è il rispetto reciproco e l’ascolto. L’educatore nella relazione è coinvolto in prima persona e quindi deve essere educato e preparato all’accoglienza ,in modo da permettere alla persona con un problema di aprirsi. Tutto ciò non è facile infatti far emergere il problema è difficilissimo. L’educatore deve restituire alla persona il problema che ha, rendendo in questo modo la persona consapevole del problema. Tutto questo l’abbiamo messo in pratica durante la simulazione di 2 setting ,durante i quali prima una mamma e poi un’adolescente hanno esposto i propri problemi alle educatrici. Le ragazze nel ruolo di educatrici sono state accoglienti ,aperte al dialogo,all’ascolto,soprattutto disponibili e umane. Essere educatore è molto difficile bisogna avere dentro tanta passione.
    3)Remaury nel suo testo “il gentil sesso debole” sostiene che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione,avendo un triplice obiettivo:giovinezza,bellezza,salute. La società persuade e impone modelli di bellezza a cui tutti vogliono aspirare. Le donne sono influenzate da modelle taglia 42 che la propaganda mediatica ci propone come canone della bellezza e perfezione corporea. Per imitare questi modelli sempre più ragazze cadono nello spettro dell’ anoressia. Lipovetsky nel “la terza donna” sostiene che la donna deve scegliere tra i valori dell’ eterna giovinezza,perfetta bellezza e salute. La donna è sottomessa ai modelli dominanti imposti,per cui questa è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto. Il controllo della propria immagine tramite la scelta tra i modelli sociali,conduce la donna alla conquista di un corpo perfetto assicurato principalmente attraverso il conseguimento di bellezza e salute. Braidotti nel testo “madri mostri e macchine” parla di corpo-macchina ossia un corpo trasformato,alcune volto mostruoso,sul quale la donna lavora per migliorarlo attraverso l’uso di tecnologie tra cui le protesi estetiche. E’ sempre piu’ frequente il ricorso,anche tra giovani alle protesi estetiche e molte volte vengono applicate con eccessi ,senza alcuna motivazione fondata,semplicemente per capricci personali o per assomigliare a qualche modello proposto dai media. Io ammetto l’uso di protesi estetiche laddove servono a correggere difetti fisici che compromettono la salute,oppure per ritoccare e migliorare caratteri fisici che generano insicurezza. E’ da condannare invece l’uso eccessivo delle protesi estetiche che diviene smania personale,di aspirare a divenire piu’ belli,alla ricerca così di una felicità fondata sulle apparenze. La vita è costituita dallo scorrere del tempo ed è bello mostrare una ruga in più ma sentirsi giovani interiormente. E’ questa la vera felicità. L’estrema ricerca della perfezione fisica non assicura il benessere interiore. La felicità non si trova in superficie,non è data solamente dall’aspetto fisico,ma dalla serenità con noi stessi. Non dobbiamo imitare nessuno,perché ognuno di noi ha la sua bellezza soggettiva..

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    Messaggio  teresa perretta Sab Mag 19, 2012 3:49 pm

    1)
    ICD sta per “Classificazione Internazionale delle malattie”, è stata la prima classificazione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, detta brevemente OMS, ed è stata messa a punto precisamente nel 1970 allo scopo di soddisfare l’esigenza di scoprire la causa di ogni patologia, sindrome e disturbo e di renderne note le principali caratteristiche cliniche. Tale classificazione, però, comportava un problema di definizione poiché avvicinava la disabilità alle patologie cliniche; fu pertanto elaborata una nuova classificazione, l’”International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps” (ICIDH) che si basava su tre fattori tra loro interagenti ed interdipendenti:
    - menomazione,
    - disabilità,
    - handicap.
    La disabilità era definita come “qualsiasi limitazione, restrizione o perdita, conseguente a menomazione, della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano”; la disabilità, inoltre, può essere transitoria, permanente, regressiva o progressiva.
    La menomazione, invece, era definita come “qualsiasi perdita, anche materiale, o difetto o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica”. La menomazione rappresenta l’esteriorizzazione di uno stato patologico poiché riflette i disturbi manifestati a livello d’organo e, costituendo un danno organico, è una disfunzione che comporta una mancanza, cioè non esistenza, o cattivo funzionamento di una parte del corpo. La menomazione può essere temporanea, accidentale (cioè può avvenire in seguito ad un incidente) o degenerativa (cioè può portare a disabilità); ma una persona può essere menomata senza essere necessariamente disabile, come può essere disabile senza essere necessariamente handicappata.
    L’handicap (termine traducibile in italiano con “svantaggio”) è il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o di capacità, la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che limita o impedisce al soggetto in questione di assolvere il ruolo considerato normale per un individuo della sua età, o del suo sesso; quindi l’handicap proviene dalla diminuzione o dalla perdita della capacità di conformarsi alle aspettative o alle norme della società cui l’individuo è inserito. L’handicap, inoltre, può avvenire in seguito a menomazione, senza comportare uno stato di disabilità permanente.
    I termini “menomazione, disabilità e handicap”, propri di questa classificazione, furono sostituiti da termini quali “funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione” all’interno di una nuova classificazione successiva, elaborata dall’OMS nel 2001, ossia la “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute” o ICF, dall’inglese “International Classification of Functioning, Disability and Health”. Quest’ultima propone una definizione innovativa del concetto di disabilità (come “una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole”) e implica un notevole cambiamento nel punto di vista e nell’atteggiamento assunti nei confronti dei soggetti con un deficit, ossia di un difetto organico, poiché presta una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale.
    L’ICF, infatti, guarda alla persona nella sua interezza, non solo dal punto di vista della salute, ma anche delle relazioni sociali e fornisce un reale quadro funzionale del soggetto poiché ne descrive sia il funzionamento, cioè ciò che quella persona è in grado di fare, sia la disabilità, cioè ciò in cui ha difficoltà, sia la presenza o l’assenza di menomazioni riguardanti le funzioni e/o le strutture corporee, sia i fattori contestuali, cioè l’influenza positiva o negativa che l’ambiente in cui tale persona vive può avere sul suo stesso funzionamento.
    Non vengono, quindi, soltanto classificate malattie, disordini o traumi, come nell’ICD, ma anche le conseguenze associate alle condizioni di salute, viene messo in risalto come le persone affette da una patologia convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorare quest’ultima per poter rendere la loro esistenza produttiva e serena; viene posta come centrale la qualità della loro vita.
    Inoltre, l’ICF non riguarda soltanto un gruppo di persone, ma chiunque viva una condizione di salute in un ambiente che la ostacola.
    Dunque, da un approccio prevalentemente medico (quello dell’ICD), incentrato sul soggetto e sulla sua disabilità, si è passati a un approccio (quello dell’ICF) maggiormente orientato a considerare la disabilità come condizione esterna al soggetto, perché determinata anche dalle condizioni che il contesto ambientale, in cui la persona vive, presenta.
    Inoltre, poiché l’handicap nasce nel momento in cui le risposte dell’ambiente pongono il soggetto in una condizione di svantaggio, esso può essere aumentato, ridotto o anche annullato.
    Un modo per annullarlo è non assumere nei confronti di tali persone atteggiamenti di emarginazione ed esclusione, soprattutto perché ciò induce i soggetti che ne sono vittima ad interiorizzare sentimenti di inferiorità, impotenza e inadeguatezza che possono portare all’autosvalutazione e all’autoesclusione. Per di più, l’emarginazione costituisce sempre e comunque un’ingiustizia, dal momento che non esistono motivazioni obiettive secondo cui una qualsiasi persona, disabile o meno, debba essere esclusa da un qualsiasi gruppo o contesto. E’ una cosa che non dovrebbe mai accadere, ma purtroppo accade e anche spesso; la sola cosa che possiamo fare è partire da noi stessi, pensare a come ci si potrebbe sentire da esclusi e cercare nel nostro piccolo di evitare di emarginare qualcuno.
    E’ altrettanto importante non giudicare le persone con un deficit in base a pregiudizi e stereotipi, non etichettarle come diverse ma soprattutto come “disabili” perché tale termine ha valore dispregiativo, in quanto indica solamente ciò che manca a quell’individuo, senza considerare che egli possiede anche delle abilità; è invece più corretto usare il termine diversabile o diversamente abile perché tale espressione evidenzia invece che l’individuo, oltre ad una dis-abilità (cioè non abilità in qualcosa), ha anche delle abilità diverse da quelle degli altri che vanno scoperte e potenziate. Il termine diversabilità, quindi, sottolinea il valore della persona nella sua essenziale umanità e evidenzia l’unicità propria di ognuno noi, poiché ogni individuo ha caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono come unico e irripetibile.
    2)
    Ogni relazione, ogni incontro umano è educativo poiché è portatore di significati, di valori o anche solo di idee che influenzano la crescita di colui che li riceve, dal momento che in una relazione ogni individuo dà e allo stesso tempo riceve qualcosa; una relazione educativa può essere quella che si instaura tra una madre e suo figlio, tra un docente e un suo discente e tra un educatore e un educando, che può anche essere un adulto con difficoltà, come un carcerato, un tossicodipendente o un alcolista.
    In ognuno di questi casi, la relazione per essere educativa deve costituire un rapporto alla pari dove non esistono differenze né dislivelli tra le persone coinvolte e deve essere basata sul rispetto e sulla stima reciproci, sull’incontro e sullo scambio sia di opinioni sia di emozioni, sulla partecipazione e sull’alleanza, sulla predisposizione all’accoglienza e all’ascolto dell’altro, sulla fiducia e sul dialogo personale ed informale, sulla conoscenza tra le due parti, sul far sentire l’altro a suo agio creando un clima sereno e sulla volontà di capire nel profondo chi si ha di fronte, le sue difficoltà e le sue paure.
    La figura dell’educatore è particolarmente importante perché egli deve essere paziente, sensibile, attento alle caratteristiche soggettive che deve valorizzare e sulla base delle quali deve realizzare la relazione, l’educazione infatti deve essere personalizzata; egli deve diventare una guida, un esempio, un modello da seguire, un punto di riferimento, ma soprattutto deve essere sempre pronto a mettersi in discussione e a migliorarsi.
    L’obiettivo dell’educatore consiste nel promuovere nel soggetto cambiamenti positivi e corretti, ma nella relazione educativa vi è anche una finalità implicita, quella di educare alla relazione con gli altri.
    Nel caso di una relazione educativa con un disabile, l’educatore deve considerare non solo i bisogni, ma anche i tratti caratteriali della persona e scoprire, far emergere e potenziare le sue doti e le sue capacità attraverso l’attuazione di programmi specifici; non deve quindi evidenziare le sue “mancanze” ma le sue potenzialità allo scopo di portarlo, tramite questi percorsi mirati, su un piano di pari opportunità con i normodotati.
    Ciò riflette esattamente il pensiero di Anna Maria Murdaca, autrice del testo “Complessità della persona con disabilità”, secondo la quale la relazione educativa costituisce uno “spazio riparativo” in cui il disabile deve sperimentare con gli educatori e con gli insegnanti una serie di situazioni e di vissuti emotivo-affettivi allo scopo di promuovere una sua crescita in tutte le varie dimensioni, psicocognitiva, psicoaffettiva e psicosociale; l’obiettivo, quindi, non è quello di accudire la persona con disabilità, ma di sollecitare in quest’ultima lo sviluppo della propria identità, della propria autostima, di una sua progressiva emancipazione ed indipendenza, di farle scoprire le proprie potenzialità e le proprie forze resilienti capaci di farle superare le difficoltà, di aiutarla a ridare senso e significato alla sua personale esperienza, ad accettarsi e convivere con la propria specialità, a prendersi cioè cura di sé.
    Murdaca propone pertanto una nuova cultura della disabilità, che deve mirare tanto a cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive della persona, quanto a innalzare la qualità della sua vita; ciò è possibile attraverso la valorizzazione della persona umana nel rispetto delle differenze, concepite come risorse, e delle identità (considerazione del tutto innovativa nel campo della disabilità).
    I soggetti con deficit non devono quindi essere definiti “per sottrazione”, cioè per quello che non sanno fare, ma per le loro capacità che esprimono in un modo specifico e personale; è proprio in questo guardare la persona nella sua globalità e non scomponendola in funzioni, in questa accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica e nella condivisione di valori etici che riguardano la dignità, l’autonomia, l’identità e le potenzialità personali che consiste la “rimodulazione del termine integrazione” cui Murdaca mira nel suo testo.
    Integrare vuol dire anche valorizzare al meglio le dotazioni individuali e attuare strategie idonee a preservare i diritti dei disabili, in particolare il diritto dell’uguaglianza e delle pari opportunità.
    Tutto questo richiede coniugare l’aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico, quello riabilitativo e quello sociale e attuare modalità di apprendimento che rispecchino stili cognitivi individuali in contesti e ambienti attendibili e sostenibili.
    La società deve pertanto prestare una maggiore attenzione ai soggetti disabili come persone, alla loro socializzazione, globalizzazione e integrazione, considerarli come cittadini a pieno titolo e predisporre veri spazi per la loro formazione.
    Inoltre, dal momento che l’handicap costituisce un fenomeno sociale poiché è determinato dalle barriere architettoniche quanto da quelle mentali e culturali, quindi dal contesto sociale, quest’ultimo può rappresentare una barriera o un facilitatore; infatti gli ausili e la tecnologia, migliorando l’ambiente, possono offrire un importante aiuto alla riduzione della disabilità.
    Si pensi, ad esempio, alle sedie a rotelle che aiutano le persone con deficit a superare l’handicap di non potersi muovere autonomamente, ai display braille che aiutano invece i non vedenti a superare l’impossibilità di usare un normale monitor, o ancora alla casa domotica che consente in particolare a chi ha problemi motori, di vivere una vita più semplice, ma soprattutto autonoma, senza assistenti, come una qualunque persona normodotata.
    3)
    Ogni epoca, ogni cultura ha sempre imposto un determinato modello di bellezza: si pensi, ad esempio, a quelle tribù che indossavano lunghi collari per allungare il collo perché consideravano la bellezza avere un collo lungo, o al bendaggio dei piedi della geisha o della ballerina per rendere piccoli i suoi piedi, o ancora allo stretto corpetto che indossavano le donne di un tempo per far rientrare il loro corpo in determinate misure. Oggi è ancora così! Come sostiene Remaury, tutti cercano di imitare gli attuali canoni di bellezza e di perfezione corporea suggeriti dalla società attraverso i mass-media, cioè quelli delle attrici e in particolare delle modelle; il miglioramento fisico ed estetico è ormai avvertito come un bisogno, soprattutto delle donne, e chi non riesce a rientrare in questi standard si sente umiliato. Ma non si insegue solo la bellezza, bensì anche la giovinezza e la salute; infatti, come afferma Lipovetsky, il corpo perfetto è un corpo sano, magro e giovane, quindi libero o liberato dalla malattia, dal peso e dal tempo.
    Credo che la motivazione che spinga tante persone a ricorrere addirittura alla chirurgia plastica per cercare di far proprie le caratteristiche fisiche di tali modelli sia la paura di non essere accettati ma soprattutto di non piacere agli altri per come si è; pur essendo pienamente convinta che ciascuno sia libero di fare quello che vuole del proprio corpo, credo fortemente che sia più giusto per la propria persona non rinunciare alla propria originalità, cercando di somigliare a qualcun altro, e ricorrere ad interventi chirurgici solo per migliorare le proprie funzionalità fisiche. Pertanto, sono completamente a favore delle protesi come miglioramento, ma a patto che la loro assunzione sia guidata da motivi non puramente estetici, bensì legati alla disabilità.
    Inoltre, credo che nessuno debba essere definito mostro o a-normale soltanto perché è diverso da ciò che viene invece definito normale, soprattutto perché il concetto di normalità è del tutto soggettivo e relativo, ma anche perché a seconda del contesto e della cultura, ciascuno di noi potrebbe essere lontano dalla norma; bisogna pertanto imparare a comprendere l’essere umano nella sua complessità e nelle sue differenze.

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