C'è un modo di dire universalmente conosciuto, ovvero "pensa alla salute"!
Ma che cosa significa veramente essere in salute? e chi e cosa decretano malattia o salute? La salute come concetto è molto difficile da definire, in genere si intende l'essere tesi verso un equilibrio da un punto di vista fisico, psicologico e spirituale. L'OMS, acronimo di Organizzazione Mondiale della Sanità, si impegna a rispondere a queste domande. Facendo un percorso diacronico, arrivando all'incirca negli anni 70, troveremo le prime risposte con l'ICD, Classificazione Internazionale delle malattie". Questa iniziale classificazione era una sorta di grande enciclopedia, solo che anzichè cercare parole come "Francia o Napoleone" si poteva accedere ad una dettagliata descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indiacazioni diagnostiche delle varie patologie e sintomi. Essendo la prima classificazione, c' erano ancora molte cose da rivedere, come ad esempio, l'affibbiare un codice numerico ad ogni malattia, e lo stesso discorso valeva per la disabilità. Un paraplegico, nella classificazione, poteva così ritenersi il numero 20 o 30. Questo iniziale ICD, usava tre termini in particolare, ovvero: MENOMAZIONE, DISABILITA' e HANDICAP (SVANTAGGIO). Proprio durante questo corso, abbiamo imparato l'importanza di usare sempre la terminologia adatta; proviamo quindi ora a definire meglio queste tre parole. La MENOMAZIONE è una qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura, o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. La menomazione può essere transitoria o permanente e comprende o un' anomalia, o una perdita, o un difetto a sfavore di un arto, un tessuto o una qualsiasi altra parte del corpo. La DISABILITA' è una qualsiasi perdita, limitazione o incapacità conseguente ad una menomazione di compiere un' attività nel modo e nell' ampiezza considerati normali per un essere umano. La disabilità non è semplicemente un deficit, ovvero la mancanza totale o parziale di una determinata funzionalità fisica. Come ho già scritto nel laboratorio sulla relazione educativa: una persona può avere una menomazione, ma se vive in un ambiente che gli consente di stabilire benefici e benessere, la sua menomazione non diventerà disabilità. Al contrario, quando un individuo, incontra delle difficoltà nel rapportarsi al suo ambiente esterno, quando vive uno svantaggio, un disagio sociale, o una qualsiasi limitazione, in quel momento egli vivrà un HANDICAP. Un qualsiasi discostamento dal normale svolgimento della vita in seguito a problemi con l'ambiente esterno sarà un handicap; termine che in passato veniva usato in modo inappropriato. Nel 1980, l' ICD fu rivisitato e fu cambiato con l' ICIDH, ovvero International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap; e furono anche cambianti i termini usati in: menomazione, abilità e partecipazione. Una delle prime carenze dell' ICD che l'ICIDH cercò di colmare, si riferiva al fatto che la diagnosi da sola, non può fornirci un'immagine completa della persona malata. L' ICIDH presta una maggiore attenzione al coinvolgimento sociale delle persone, e un interesse maggiore nei confronti dei soggetti con deficit. Riferendoci però alla qualità, della vita delle persone, prese in considerazione e la loro partecipazione, non si era in grado di rispondere agli interventi necessari a migliorarla. Purtroppo l'ICIDH è stato il prodotto di pochi ricercatori e non è seguito nessun processo per assicurare la sua applicabilità. L' ICIDH era una classificazione per le persone con disabilità piuttosto che una classificazione della reale partecipazione umana e del reale funzionamento umano (ovvero quanto bene vive un soggetto). Queste due classificazioni, più attente alla malattia, che allo stato di salute furono sostituite da un nuovo acronimo ICF, che stava per Classifcazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, la cui approvazione avvenne nel 2001 da parte di 191 paesi. Per meglio rispondere alle esigenze di una società in continuo cambiamento, l'OMS ha promesso che l'ICF sarà continuamente rivisitato e rivalutato, per stare al passo con i tempi, considerando sempre l'intera persona e l'ambiente esterno. I tre termini che invece usa l'ICF sono: FUNZIONI, STRUTTURE CORPOREE e ATTIVITA'\PARTECIPAZIONE. L'attività si focalizza su ciò che viene svolto da soli, mentre la partecipazione su ciò che viene svolto in società. La chiave di lettura che utilizza l'ICF distingue tra: Funzionamento e Disabilità; e Fattori contestuali. Il primo si riferisce alla menomazione e alle restrizioni di attività e partecipazione; mentre il secondo considera tutti i fattori esterni che possono influenzare la persona. I fattori personali, quali età, sesso, stile di vita, ecc non sono classificati, poichè devono essere sempre valutati da soggetto a soggetto. L'ICF rispetto ai modelli precedenti è unico, poichè esso è attento alla salute e a tutti i suoi funzionamenti e determinanti. La cosa speciale di questa classificazione è che essa usa un linguaggio internazionale, in tal modo tra i vari addetti ai lavori nei vari paesi, non si creano incomprensioni, ed è così facilitata la comunicazione tra i professionisti che si interessano della salute. L'ICF pone al centro la qualità della vita delle persone affette da una malattia e ci fornisce un quadro su come esse vivono con la loro condizione e su come sia possibile migliorarla, e rendere serene e felici le loro esistenze. La disabilità è un tema affrontato in modo molto scrupoloso dall'ICF, che la definisce come una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. La disabilità, con l'ICF abbandona quella tradizionale figura di esperienza di vita negativa, e quell' immagine di stato di malattia. Spesso durante il corso ci siamo chiesti come un disabile viva la sua vita e quali problemi\pericoli affronta; argomenti del genere li abbiamo affrontati ad esempio nel laboratorio sulle barriere architettoniche e con l'esercizio orologio. Purtroppo oggi si vive in un'epoca di egoismo, indifferenza e del sentirsi sicuri solo perchè il problema non ci tange in prima persona, o perchè non ci è capitata una sorte simile. Immedesimarsi nella vita di un disabile non è facile, specialmente per chi è abituato alle sue solite comodità. Immagino la fatica fisica che una persona divers-abile affronterebbe nelle mie giornate, correndo tra casa-metropolitana-pullman-università ecc, dove anche io normodotata, specialmente dei cinque sensi, incontro mille difficoltà. Se l'Art 3 della Costituzione Italiana sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzioni, è bene allora riflettere, quanto effettivamente ogni persona possa sentirsi partecipe della normale vita sociale, politica ed economica senza intralci e problemi di nessun genere. Nei modelli precedenti, il contesto risultava intervenire in modo non significativo sul grado di disabilità della persona. Per l'ICF il totale stato di salute, non è dato solo dai fattori biologici e psicologici, ma anche e soprattutto da quelli sociali e contestuali; infatti l'ICF è anche detto il modello biopsicosociale. Un contesto favorevole, armonioso, è molto importante e influente per ogni persona, e per permettere che partecipi alla vita pubblica e viva un' esistenza serena, a prescindere dalla sua disabilità o diversità. Il disabile come è emerso da alcuni quesiti posti durante il corso, ci spaventa, lo temiamo perchè è diverso, ma questi due sono termini differenti. Forse ancora oggi viviamo questi problemi perchè siamo circondati da disinformazione, e facciamo ancora molta confusione tra le varie parole e il loro giusto significato. Disabile è colui che è impossibilitato a svolgere le normali attività della vita quotidiana, a causa di una mancanza, o di un diverso funzionamento di una o più abilità. Molto spesso il disabile scopre i suoi dusturbi fisici o psichici, confrontandosi con l'ambiente esterno, e con le persone normodotate. Il soggetto disabile è comunque un individuo, con la propria identità, che lo caratterizza e lo rende unico, esattamente come tutti gli altri. Il diverso è tutt'altro. Il diverso, è sempre tale, perchè è fonte di una categorizzazione. Il diverso è colui che la società ha etichettato come tale, per degli schemi fisici, mentali o comportamentali difformi dalla normalità... La noramlità, che parolone, chi decide chi è normale, e con quale criterio? chi ci pone questi canoni? Il diverso ci intimorisce, ci spaventa, ma lo potrebbe essere chiunque di noi: chi parla una certa lingua, chi veste in un determinato modo, chi segue una divinità piuttosto che un' altra, chi è di colore... ma non per questo, va posto ai margini della società, non per questo deve essere deriso, allontanato, emarginato o umiliato. Chiunque di noi, in un determinato contesto, potrebbe uscire fuori dai canoni standardizzati, e finire per essere l'etichettato di turno. Come abbiamo provato sulla nostra pelle, nel laboratorio inerente l'esperienza dell'emarginazione, nel quale io che porto gli occhiali, ero stata esclusa dalla società. Io che parlo sempre, sentirmi dall'altra parte, non è stato facile, anche se solo per qualche minuto, parlare e non avere voce, non essere ascoltata, è stato brutto. Avere le spalle della docente, che non ci degnava di uno sguardo. In quei pochi minuti ho provato la sensazione, che hanno provato per secoli, milioni di persone, ed è stato insopportabile. Sarebbe bello se ognuno di noi capisse quanto sia utile aprirsi all'altro, conoscendolo, andando oltre l'apparenza, e come piuttosto che perdersi solo nell'incontentabile parlare, sia bello anche l'avere pazienza di ascoltare senza pregiudizi. Purtroppo viviamo di stereotipi, inutile negarlo, anche se siamo nel 2012, questi sentimenti esistono ancora nelle persone. Far sentire gli altri deboli, diversi, indubbiamente alimenta a dismisura l'ego di alcune persone; persone che credono di sentirsi grandi, rimpicciolendo gli altri. Come diceva già Aristotele " l'uomo nasce come animale sociale" , il contesto conta molto, l'uomo è predisposto per natura a stare con gli altri, e nessuna legge, regime, dittatura o canone può e deve impedirglielo... porre un essere umano ai margini della società, togliergli i suoi diritti è una cosa inumana... è trattare gli uomini come, o peggio delle bestie. Tutti dobbiamo essere sullo stesso piano, e tutti abbiamo il diritto di essere, fare e dire quello che vogliamo. In particolare il titolo che ho dato al laboratorio, mappa degli steriotipi, LA DIVERSITA' SALVA LA SPECIE, dimostra bene la mia posizione riguardo questi argomenti. Io credo che un mondo fatto di individui tutti uguali, sarebbe davvero molto monotono; il bello della vita sta anche nel potersi confrontare con la diversità e la disabilità e scoprire che ogni persona ha qualcosa da offrirci. Ma quale approccio scegliere con i divers-abili? E' preferibile usare un approccio caritatevole, che garantisca priorità e privilegi, o è necessaria l'integrazione e l'accessibilità? Nel 1970, la legge 118 a favore degli invalidi, sanciva l'importanza di agire nell'ottica dell'inserimento. Anna Maria Murdaca, docente esperta e autrice competente in questioni realtive la persona con disabilità, scrittrice del testo Complessità della persona e disabilità, suggerisce di abbandonare le modalità precenti, dirigendosi verso l'inclusione adottando l'ottica della globalità. La Murdaca suggerisce una nuova cultura e conoscenza della disabilità, riconoscendo il valore della PERSONA. Il contesto ancora una volta quindi ritorna di estremo valore per il benessere di ogni soggetto; un contesto che sia ben informato, armonioso e favorevole. Il contesto sociale, inteso come fattore contestuale determinante nel definire la disabilità, può essere una barriera o un facilitatore; è infatti l'ambiente esterno a determinare ostacoli, barriere e condizioni di handicap. Come già accennato sopra, la condizione di handicap è la risultante di un disagio sociale, dovuta a problemi che un individuo riscontra rapportandosi con l'ambiente esterno. L'obiettivo principale è la valorizzazione della persona umana nel rispetto delle differenze e delle identità. Ma cosa si intende per integrazione? Integrare significa inserire una persona o un gruppo in un ambiente, in modo che diventi una sola parte organica; l'integrazione deve essere un processo continuo, e non un punto di arrivo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti di tutti, normodotati e divers-abili. Il termine integrazione deve essere riformulato alla luce di due nuovi orizzonti: accoglienza verso identità diverse in prospettiva umanistica; condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità, autonomia, identià e potenzialità personali. Ogni individuo deve essere rispettato, e considerato nella tua totalità, come agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri, soprattutto per i divers-abili. Essi non devono più esser definiti per sottrazione, ovvero portatori di handicap, o non vedente, o non udente... i normodatati solitamente non vengono definiti portatori di capelli castani, e tale differenza non deve più esistere. Alla luce di quanto detto, ecco come approcciare con i diversamente abili: non si deve mirare più all'accudimento, ma all'emancipazione. Dobbiamo abbandonare atteggiamenti di pietismo e compassione che non formano una persona autonoma, ma finiscono per sottolineare un'immagine di inadeguatezza e di debolezza. Per rispondere a queste nuove esigenze, abbiamo bisogno di un nuovo modo di definire anche la relazione educativa. Dimentichiamo i vecchi modi di insegnare, la persona disabile non deve solo sapersi vestire da solo o mangiare; dobbiamo fare in modo che egli stesso ripensi al proprio stato e alle proprie capacità funzionali, rimoduli la sua immagine abituale, lasciandosi alle spalle maschere, disagi, blocchi, scoprendo le forze resilienti capaci di superare le difficoltà insite nel profondo della personalità di ognuno di noi. Tutti abbiamo le pontenzialità per decidere di essere e avere ciò che vogliamo e il ruolo dell'educazione è quello di permettere l'attivarsi di questo potenziale. L'educazione parte prima di tutto dalla famiglia, che deve superare in modo veloce il trauma di aver avuto un figlio disabile, e questo non deve mai essere motivo di vergogna. I familiari devono sempre puntare ad un rapporto di collaborazione con l'ambiente esterno che circonda i propri figli, specialemente con la scuola, e gli specialisti, come gli educatori. Una delle lezioni più significative, per chi intende intraprendere la carriera di educatori, a mio avviso, è stata proprio quella inerente la relazione educativa. Come ho già scritto nel laborario: l'educatore deve essere una persona molto paziente, sensibile e aperta mentalmente alla diversità. L'educatore deve essere sempre pronto ad accettare il pensiero altrui, e mettersi in discussione. Il lavoro dell'educatore non è semplice come sembra, penso che si debba essere molto preparati, appassionati e predisposti. Trovo che l'educatore non debba sostituirsi al ruolo genitoriale, ma porsi come guida, come punto di riferimento e di sostegno. La persona che avremo di fronte sarà spaventata, sola, afflitta, scoraggiata e demotivata, ma dovrà sentire di potersi fidare di noi. D'altro canto anche noi educatori avremo tanto da imparare da chiunque ci troveremo davanti, poichè ogni relazione non è mai mono-direzioanle, ma c'è sempre uno scambio reciproco. Ogni volta che il nostro lavoro ci farà incontrare qualcuno, quella persona e la sua storia sarà per noi fonte di arricchimento personale e professionale. L'incontro con l'altro, segna sempre entrambe le persone, e ognuno ci lascerà sempre un pò di sè e prenderà un pò di noi. Come insegnava Don Lorenzo Milani, la nostra linea guida, il nostro metodo dovrà sempre essere quello dell' "I CARE", ovvero del M' IMPORTA, MI STA A CUORE. Importarsene, non solo di chi vogliamo bene, della nostra famiglia, di chi è come noi, ma di tutti, di tutta la società, non solo di una parte. Spesso capiterà nella nostra vita che incontreremo situazioni difficili, e la voglia di mollare, presi dallo scoraggiarsi sarà forte, ma non dobbiamo mai dimenticare che quelle persone hanno bisogno di noi, e molto probabilemente hanno acculumato diverse esperienze negative, di fallimento e impotenza e così sono portati a credere poco in se stessi e negli altri. La vera relazione educativa a mio avviso avviene, quando l'altro sente di poterti porre come ESEMPIO, un canale di trasmissione tra quelli più efficaci. Alla base di ogni relazione educativa dovrà esserci l'ascolto, il dialogo, il confronto e l'attesa dei tempi dell'altro nell'aprirsi e nel darsi; senza sottolineare mai le mancanze, ma evidenziare le potenzialità, le doti e le capacità di una persona. L'educatore dovrà creare un rapporto alla pari, senza differenze, in modo tale che il soggetto si senta libero di esprimere le proprie idee e confrontarsi liberamente con gli altri. Fondamentali sono stati anche i setting creati in aula, dove ho potuto osservare come alcune mie colleghe già inserite in questo mondo, agivano grazie alla loro esperienza. In ogni relazione educativa è contenuta una finalità implicita, ovvero educare alla relazione con gli altri, e che le prime relazioni costruiscono un modello per quelle future. E' importante capire che la relazione educativa, non riguarda solo l'ambito educatore-educando, o docente-alunno, ma dobbiamo trarre da essa insegnamento anche nei rapporti con i nostri genitori, amici e fidanzati. Bisognerà essere sempre attenti alla comunicazione, ma imparare a comprendere anche i silenzi; lasciamo che chi resta in silenzio ci spieghi il motivo per cui non parli,e abbia sempre la possibilità di farlo... e non affrettiamo conclusioni, pensando che non abbia nulla da dire! Forse è un silenzio che nega il dialogo, forse è un silenzio di vergogna, di umiliazione... i minuti di silenzio sono momenti molto importanti per imparare a conoscere le persone. La nuova politica socio-educativa consiste in: integrazione, differenziazione e personalizzazione. Ogni persona ha la sua storia, il suo vissuto, i suoi perchè, e ogni disabile li ha. Noi educatori dobbiamo fare in modo che ogni disabile accetti il suo corpo, impari ad apprezzarlo, e a stare in equilibrio con esso. Noi da fuori non dovremo mai fermarci solo all'apparenza e al corpo, ma è anche necessario sottolineare che ognuno di noi è un tutt'uno con il proprio corpo, lo abitiamo e non possiamo ignorarlo. Eppure quel corpo come affrontato nel laboratorio delle protesi estetiche, è da sempre la prigione dell'anima, la quale rappresenta la vera sede del nostro io. Il corpo è solo un vestito che spesso non coincide con il nostro vero essere. Il nostro corpo è il lento risultato di un cambiamento che vanta l'evoluzione di 6 milioni di anni. Noi siamo il risultato di un passato, che inesorabilmente ha corso, per arrivare a ciò che siamo oggi. La nostra corporeità negli anni ha cambiato moltissimi significati, e tutt'oggi ne ha diversi nei vari paesi del mondo. Nell'antica Grecia, chi nasceva storpio, per la vergogna spesso veniva gettato da una rupe, evitando che il resto della società potesse vederlo. Nei paesi dell'est, nelle tradizioni arabo-musulmane, il corpo femminile deve rimanere nascosto, celato il più possibile allo sguardo degli individui dell'altro sesso. Eppure quel velo, che noi occidentali vogliamo interpretare come repressione, per loro ha un senso diverso; esso, infatti, per loro significa protezione, ovvero l'essere considerate, valutate e apprezzate per quello che si è, andando al di là della fisicità della donna e delle sue curve. Non molto distante da questi paesi, ad esempio in India, non è sconveniente per una donna, mostare l'ombelico; lo stesso vale per moltissimi paesi dell'Africa, dove le donne mostrano tranquillamente il loro corpo nudo. La maschera della standardizzazione, ci rno specialmente nelle nostre ha fatto dimenticare che il nudo è la normalità. Per molti anni nelle mentalità della gente, viveva la credenza di associare il bello con il buono e il brutto con il cattivo. Più tardi negli anni, gli uomini hanno cominciato ad accettare anche la presenza del brutto, come qualcosa che inevitabilemente vive anch'esso in natura. Oggigiorno specialmente nelle nostre culture occidentali, il corpo ha cambiato la sua immagine. Con l'avvento di internet, chat, avatar, il corpo è entrato in secondo piano. Oggi si sta molte ore al pc, parlando con persone che si trovano anche dall'altra parte del mondo, così il nostro vero corpo giorno dopo giorno subisce una smaterializzazione, quasi come se fosse diventato obsoleto; tanto non ci si incontra più di persona. Tuttavia il corpo che ne ha risentito di più è quello femminile. Nell'ideale greco-romano si valorizzava un corpo di donna proporzionato tra le parti superiori e quelle inferiori, specialemente le curve dei fianchi. Nell'età gotica invece si apprezzava un seno piccolo, e la curva principale era il bacino. Molto più tardi, negli anni 60 del secolo scorso, si presentava sulle scene mondiali TWIGGY, modella attrice e cantante londinese, nota per la sua figura magra da preadolescente. Rapidamente lei e la sua minigonna, con il diffondersi della televisione nelle case, diventa una vera e propria icona, prendendo il posto della tipica donna in carne, bella anche con qualche kg in più. Da quel momento in poi, cambia il modo di vedere il corpo femminile come sesso fertile, e dalle curve sinuose, ora si vuole un corpo che sia de-femminilizzato. I problemi legati al comportamento alimentare nascono in quegli anni, dove una modella pesava l'8 % in meno di una ragazza normale, oggigiorno la situazione è precipitata, poichè il divario si aggira intorno al 25%. L'età maggiormente a rischio è quella compresa tra i 15 e i 25 anni nelle ragazze, le quali dimostrano particolare interesse per le riviste di mode, dispensatrici di stereotipi e canoni di bellezza. Quella di oggi, come suggerisce anche l'autrice Gilles Lipovetsky, è una Terza donna, che ha ormai superati i canoni passati, prima di sesso sfruttato, e poi di sesso virtuoso, esempio eccellente nella Beatrice. La donna che tutti vogliono, e che tutte vorrebbero essere è una donna volitiva e vincente, che può rinnovarsi e trasformarsi attraverso la moda, la dieta e l'esercizio fisico rigoroso. Molte indagini hanno infatti confermato che alle persone con un aspetto giudicato attraente vengono attribuite anche altre virtù interiori, come bontà, gentilezza e intelligenza magari inesistenti. Remaury, nel testo Il gentil sesso debole, ci dice che siamo tutti alla rincorsa della perfezione, i cui canoni sono giovinezza, bellezza e salute. Il corpo che tutti richiedono è totalmente diverso, modificarlo, perfetto, indistruttibile, mostruoso... si perchè i canoni che tutte ormai inseguono presentano un prototipo di bellezza che diventa deforme. Corpi corsì magri, scarniti, che perdono la loro naturalezza, rischiando malattie come l'amenorrea, l'anoressia e la bulimia, oggi del tutto sottovalutate. Trovo che il titolo scelto da Rosi Braidotti per il suo testo, renda al meglio questi concetti: Madri Mostri e Macchine; la quale si interessa anche al rapporto tra uomo\ donna e il loro diverso modo di pensare. Infatti secondo la Braidotti per l'universo maschile, la donna che si deforma nella maternità, e molto vicina nel loro immaginario ad un qualcosa di orribile: mostro e madre insieme. Una delle frasi che più mi ha colpito della stessa autrice dice: Dai due lati del mondo, si muore per la stessa malattia: la fame, per mancanza o per eccesso. Come scritto anche nel laboratorio sulle protesi estetiche: Alle persone non importa quanti sacrifici, quanti soldi, quanti giorni senza mangiare, quante operazioni debbano subire... tutti vogliono essere perfetti... si è disposti a tutto per non sentirsi brutti, non accettati... diversi!Oggi sembriamo tanti prodotti di fabbrica, tutti con lo stesso seno, naso, taglio di occhi... La vera bellezza per me sta nell'essere unici e irripetibili, che senso ha voler assomigliare a qualcuno, che sia Barbie,Ken o Twiggy, e sentirsi così solo il clone di chi non potremo mai essere?!
Ultima modifica di TammaroAlessia89 il Sab Mag 19, 2012 8:54 pm - modificato 1 volta.