Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    Monica Miele
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    Messaggio  Monica Miele Sab Mag 05, 2012 8:26 am

    1) L' Organizzazione Mondiale della Sanità (chiamata anche OMS) è nata nel 1948 con lo scopo di occuparsi del campo salutare e ha elaborato una serie di importanti classificazioni:
    - Prima classificazione: “classificazione Internazionale delle malattie” detta ICD. Essa nasce nel 1970 con lo scopo di chiarire tutte le cause delle patologie: le diagnosi vengono trasformate in codici numerici per facilitare la memorizzazione e le disabilità e le patologie cliniche vengono affiancate in modo tale da formare una sorta di enciclopedia medica.
    - Seconda classificazione: “classificazione Internazionale delle menomazioni, disabilità e handicap” detta ICIDH. Nasce nel 1980 e si basa proprio su questi tre fattori che successivamente verranno sostituiti con “menomazione”, “abilità” e “partecipazione”. MENOMAZIONE: rappresenta una perdita a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. Rappresenta anche un danno organico, una “non formazione”. La menomazione, quindi, è caratterizzata da anormalità che possono essere sia transitorie sia permanenti. Possono essere difetti o perdite di arti, organi, tessuti ecc..;DISABILITA': è una limitazione, in conseguenza della menomazione, delle capacità di svolgere un'attività nel modo o nei limiti ritenuti normali per un essere umano. Essa non rappresenta solo un deficit in quanto è una situazione che va oltre la condizione di limitazione; HANDICAP: è una condizione di svantaggio vissuta da una persona, in conseguenza di una menomazione o di una disabilità, che limita o impedisce la possibilità di ricoprire il normale ruolo per tale soggetto. Rappresenta, quindi, una difficoltà a maturare le disposizioni necessarie per la realizzazione progressiva della personalità integrale.
    -Terza classificazione: “classificazione Internazionale del Funzionamento, delle Disabilità e della Salute” detta ICF. Nasce nel 2001 perché le diagnosi mediche non erano giudicate sufficienti, ma bisognava avere un quadro più completo riguardo il paziente. Non si occupa soltanto di chiarire tutte le patologie, ma mette in primo piano la multidimensionalità della disabilità affermando che “la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole” quindi, non rappresenta più soltanto una condizione soggettiva. L'ICF è un importante strumento per gli operatori sanitari che classifica le conseguenze associate alle condizioni di salute mettendo in primo piano la qualità della vita.
    La disabilità, come ho già detto, è una limitazione delle capacità di svolgere una determinata attività; il DISABILE, quindi, è un individuo con problemi motori o cognitivi che non può svolgere le normali attività della vita quotidiana. Il disabile, inoltre, spesso si trova di fronte delle barriere architettoniche che rendono la sua vita ancora più difficile. Nel mondo d'oggi ognuno vive la propria vita frenetica e lo fa con così tanta naturalezza da non pensare che ogni passo che compie risulterebbe un grande traguardo per tutti coloro che non possono farlo. Anche in una piccola attività, come andare a comprare un giornale oppure andare in farmacia, le persone disabili non riescono ad essere autonome perché la nostra società non è munita di attrezzature idonee. La vita di un disabile, quindi, è completamente diversa dalla nostra a causa di queste barriere architettoniche (spesso anche di barriere mentali!!)che si ritrova lungo il cammino della sua vita. Un esempio lampante potrebbe essere la ima giornata tipo che è interamente scandita da gradini, scale e pullman non dotati di pedane per salirci.
    Capita spesso, inoltre, che la disabilità viene confusa con la diversità anche se i due termini indicano qualcosa di differente. Riflettendo sul termine di diversità mi viene in mente l'esperienza di emarginazione vissuta in classe (dove io ero la cittadina non emarginata ma la mia attenzione era costantemente rivolta alle ragazze isolate all'angolo della “città” e alla loro voglia di attirare la nostra attenzione) e il pezzo del film “indovina chi viene a cena” che abbiamo visto durante una lezione. Il film parlava di una storia d'amore tra una ragazza bianca e un ragazzo nero. Un amore non compreso e non approvato perchè i ragazzi appartenevano a culture diverse. Io mi chiedo perchè? L'amore non dovrebbe essere universale? Stiamo parlando di 2 persone che provano un sentimento, perché non possono coronarlo con un matrimonio? Sono profondamente in disaccordo con ciò. Il mondo è bello perché siamo tutti diversi e non per questo ci deve essere discriminazione. Il fatto è che spesso non si riusciamo a NON dare una categoria a tutto. L'errore, secondo me, si trova proprio in questo e ciò che mi ha fatto riflettere è stata proprio una citazione del protagonista del film: “gli altri mi considerano un uomo di colore, ma io mi considero un uomo”. Il film, in realtà, vuole essere una lezione a tutti gli episodi di razzismo avvenuti in America. Infatti, si conclude con l'approvazione del matrimonio da parte di entrambi i genitori che si convincono di non avere alcun diritto di opporsi alla felicità di due persone che si amano e che nel loro amore hanno già la forza per vincere l'incomprensione e i pregiudizi dell'ambiente che li circonda.
    Il termine diversabilità, invece, mette in risalto delle abilità diverse. Esso è un termine più positivo rispetto agli altri in quanto indica l'essere diversamente abili. Tutto ciò mi ricorda una frase anonima citata nel nostro libro Nozioni: “Ricorda sempre che sei unico, esattamente come tutti gli altri”.

    2) Anna Maria Murdaca con il testo Complessità della persona e disabilità si interessa all'aspetto globale della persona abbandonando la legge 118 del 1971 che porta avanti la logica dell'inserimento e adottando, invece, la logica dell'inclusione. La Murdaca si è soffermata sul termine “handicap” dichiarando che rappresenta uno svantaggio scaturito da una perdita delle proprie capacità di portare avanti le aspettative del resto del mondo, e che il contesto sociale influisce tantissimo questa condizione in quanto, come affermavo prima, sono proprio le barriere (architettoniche, culturali e mentali) che favoriscono l'esclusione e l'emarginazione. L'ambiente, però, potrebbe fungere sia da barriera sia da facilitatore: se la famiglia riuscisse a liberarsi dall'idea che il figlio disabile non può migliorare la sua condizione e gli insegnanti agevolassero maggiormente il ragazzo anche a livello umano, allora l'ambiente subirebbe delle modifiche, influendo positivamente sulla persona e diminuendo la condizione di disabilità.
    Con il suo testo, quindi, il suo obiettivo principale è valorizzare la persona con tutte le sue differenze cercando di costruire una nuova cultura per la disabilità; una cultura che non si occupa soltanto del funzionamento e del comportamento del disabile ma anche e soprattutto del riconoscimento della persona e dell'integrazione come un processo continuo e NON come un punto di arrivo; bisogna sempre portare avanti questo progetto affinché venga messo in atto; bisogna sempre cercare nuove strategie, nuove soluzioni per favorire il processo di integrazione, bisogna abbandonare ogni tipo di pregiudizio ed essere aperti all' inclusione e alla globalità dove diventa fondamentale andare a valorizzare la persona stessa. Quindi bisogna avere cura della propria persona, avere cura di sé ma anche degli altri. È una cura, però, che non mira all'accudimento, ma all'emancipazione del soggetto con disabilità attraverso la promozione di attività che rendono significativa la presenza di disabili.
    Di fondamentale importanza risulta la relazione educativa in quanto rappresenta “uno spazio riparativo dove il disabile sperimenta una serie di situazioni e vissuti che vengono, poi, elaborati, criticati e integrati”.
    La relazione educativa spazia, inoltre, in vari campi (relazione madre/figlio, relazione docente/discente, relazione educatore/educando) ed è molto complessa in quanto ha bisogno di essere supportata da un rispetto reciproco affinché si crei un punto di incontro e di scambio tra entrambi i partecipanti alla relazione. La relazione tra educatore/educando è molto difficile in quanto ogni errore da parte dell'educatore potrebbe costituire un cattivo esempio per l'educando.
    L’educatore nei confronti del disabile, deve essere in grado di portare, colui che si sente diverso, alla pari di un individuo normodotato, mettendo in luce le sue doti. L’educatore, però, non è visto da parte del disabile come la soluzione totale dei suoi problemi; egli, quindi, attraverso i suoi interventi educativi, riuscirà a migliorare radicalmente la situazione del disabile stesso.
    La simulazione tra colleghe, fatta in aula qualche lezione fa, è stata molto utile in quanto ho compreso che gli errori che si possono commettere nel rapportarsi con l'altro e nell'affrontare un problema sono tantissimi. Sicuramente è necessario e fondamentale cercare di creare un rapporto di stima e fiducia verso l'altro e cercare di presentarsi nel modo più disponibile possibile.

    3) La bellezza sicuramente è soggettiva. E' sufficiente osservare le opere di artisti famosi. Da Botero a Picasso, da Botticelli a Modigliani, ad ognuno un ideale di bellezza: mentre per Botero la donna doveva essere formosa, per Modigliani, invece, essa doveva avere il collo lungo. Questi sono solo alcuni esempi tra i grandi dell'arte. Oggi, però, viviamo in una realtà completamente diversa.
    Spesso la donna, con l'avanzare dell'età è sempre più insoddisfatta del suo aspetto fisico che lo vede invecchiare. Ma già in tempi passati si iniziava ad adottare strategie per migliorare il proprio aspetto fisico: i collari per allungare il collo, le scarpe sempre più piccole per non far crescere i piedi della geisha o della ballerina...
    Remaury, nel suo testo Il gentil sesso debole, analizza l'immagine della donna protesa tra bellezza, salute e giovinezza. La bellezza, spesso, viene associata al fatto che una donna deve sempre essere pronta a coltivarla. Si sono venuti a creare, così, degli stereotipi, dei modelli di bellezza che persuadono le donne rendendole schiave della società. Le donne, quindi, hanno avvertito sempre più il bisogno di mutare a causa di questi stereotipi e forse non comprendono che non esiste un ideale di bellezza. Ognuno è bello a suo modo. Ognuno ha una caratteristica che lo rende unico. Bisogna valorizzare di più se stessi. Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che una donna deve avere per “sopravvivere” in televisione. Inoltre, delle recenti manipolazioni, hanno cambiato totalmente l'idea di corpo che viene identificato in prototipi di modelle scheletriche.
    Diversamente, volevo riportare l'esempio di un opera famosa, la Venere di Willendorf, nella quale si notano parti del corpo molto pronunciate,ossia quelle parti le quali rappresentano la maturità collegata alla maternità, il tutto rappresentato con altre forme della bellezza, ossia il mostruoso, considerato come l'ombra del bello. Là dove il bello non produceva più nessuna emozione, il brutto veniva prodotto per valorizzare la vera bellezza; infatti, nella scultura prevale l'abbondanza e anche se nella venere vengono valorizzate le curve, poteva, lo stesso, rappresentare grazia per il significato che veniva dato all'opera. L'arte rappresenta il diverso, quel diverso che si riscontra ogni giorno e che deve essere promosso e non demolito dai mass media.
    Lipovetsky con La terza donna mette da parte la sottomissione della donna stessa ai modelli che vengono imposti dalla società e elabora il suo cammino verso il corpo perfetto affermando che la terza donna (ossia la donna d'oggi) è riuscita a raggiungere la bellezza perfetta, attraverso l'acquisizione della grazia.
    Braidotti, invece, con Madri mostri e macchine, analizza principalmente il rapporto corpo-mente. Afferma che c'è una grande differenza e asimmetria tra il sesso femminile e quello maschile sia per quanto riguarda il modo di pensare sia per i rispettivi atteggiamenti nel confronti del mondo politico e storico. Si sofferma anche sul corpo-macchina, un corpo trasformato che diviene mostruoso affermando che “la donna, capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre al contempo”.
    Tutto ciò, a mio parere, è dovuto anche e soprattutto alle innovazioni che propone continuamente la società. Il campo tecnologico è sempre in continua trasformazione, infatti la generazione d'oggi è fortemente legata a questa nuova tecnologia e difficilmente riuscirebbe a farne a meno.
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    Messaggio  Danila Cacciapuoti Sab Mag 05, 2012 8:42 am


    L’OMS è l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha elaborato delle classificazioni.
    La prima classificazione fatta dall’Oms è “la classificazione Internazionale delle malattie (ICD del 1970) , che risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbi una descrizione delle principali caratteristiche ed indicazioni diagnostiche.
    Tale classificazione focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia. Inoltre avvicina le disabilità alle patologie cliniche, facendo dell’elenco una sorta di enciclopedia medica.

    L’Oms nel 1980 ha messo a punto una classificazione internazionale, ICIDH (l’International Classification of Impairments, Desabilities and Handicaps).
    La nuova proposta del’Oms si basa su 3 fattori:

    1.Menomazione= qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica.

    2.Disabilità = l’incapacità conseguente alla menomazione di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo e nell’ampiezza considerati “normali” per un individuo.

    3.Handicap = la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o di capacità.

    Questi termini verranno sostituiti da :
    1.Menomazione
    2.Abilità
    3.Partecipazione.

    Nel 2001 l’Organizzazione mondiale ha elaborato un ulteriore classificazione l’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute).
    Secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole.
    La disabilità viene considerata in relazione all’ambiente esterno , non più soltanto una condizione soggettiva o come caratteristica propria della persona.
    Qualsiasi disturbo è associato a condizioni di salute a livello del corpo, della persona e della società.
    La classificazione dell’ICF non riguarda solo un gruppo di persone ma chiunque viva una condizione di salute in un ambiente che la ostacola, vengono presi in considerazione gli aspetti sociali e il contesto ambientale in cui vivono le persone.

    Analizziamo ora nel dettaglio il termine Disabile.
    Disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana perché affetto da disfunzioni motorie o cognitive.
    La disabilità può essere anche una indisposizione momentanea dovuta ad esempio da un incidente che impedisce le normali azioni quotidiane.
    Esistono persone con disabilità che non si sentono tali infatti riescono a compiere qualsiasi attività grazie al superamento delle barriere.
    Persone che con l’ausilio di una carrozzina si spostano per le strade della nostra città, superando lì dove è possibile quelle barriere architettoniche imposte dall’uomo.
    O ancora il caso di Simona Atzori, che nonostante la sua disabilità fisica molto evidente, supera quelle che sono le barriere imposte dai normodotati e vive la sua vita in modo estremamente normale.
    Utilizzare la parola disabile ha un valore dispregiativo, indica che quel soggetto è in difficoltà, è non abile in qualcosa.

    Si ritiene più corretto parlare di diversamente abili o diversabili perché questo termine mette in risalto delle abilità diverse dagli altri, da scoprire e far emergere.
    Come nel caso dei non vedenti dotati solo di 4 sensi,che sviluppano questi 4 sensi in modo maggiore rispetto a chi ne possiede 5.
    Tuttavia il termine diversità assume a volte un valore dispegiativo perché ciò che non si conosce di solito può intimorire e spaventare.
    Non bisogna emarginare o echittettare le persone con disabilità, poiché questo provocherebbe solo un ulteriore danno. Bisogna invece poterli integrare nel nostro mondo considerato “normale” per aiutarli a migliorare la loro vita.
    Oggi tutto questo è possibile anche grazie a quelli che sono gli aiuti tecnologici, le persona con disabilità potrebbero addirittura in un futuro vivere in una casa completamente domotica.
    Inoltre è possibile fare uso di tecnologie integrative come nel caso di Oscar Pistorius. Un giovane atleta dotato oltre che di protesi normali anche di protesi flex foot, il quale chiese di poter correre con i normodotati alle Olimpiadi.
    La disabilità non è un mondo a parte ma una parte del mondo.



    L’ICF sottolinea l’importanza di valutare l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui: la società, la famiglia, ecc.
    L’ambiente può essere una barriera o un facilitatore. La ricerca può condurre soluzioni tecnologiche che, migliorano l’ambiente delle persone e ne diminuiscono la disabilità. Come abbiamo potuto osservare durante il laboratorio nel caso di Pistorius o di Ferrara.

    Il testo “Complessità della persona e disabilità” di Anna Maria Murdaca, mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione, alla comprensione delle reali condizioni di vita, quale ruolo effettivamente possono assumere i soggetti disabili, quali servizi vengono realizzati per le loro esigenze.

    La nuova cultura della disabilità deve innalzare la qualità della vita dei soggetti con le diversità e cogliere le disfunzioni comportamentali dei soggetti.
    Il termine integrazione sta a significare l’inserimento pieno ed effettivo in un gruppo o in un ambiente.
    L’integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni a perseverare i diritti dei disabili, valorizzare al meglio le dotazioni individuali.
    Qui faccio di nuovo riferimento alla cecità, ovvero non soffermarci soltanto su quello che è il problema del non vedente, ma cercare nuovi modi per rendere il più normale possibile le loro vite, come la scrittura braille. Che dà la possibilità ai non vedenti di studiare e di leggere.
    Nessuno dovrebbe essere definito per sottrazione perché stiamo parlando di persone e bisogna valorizzare la persona in quanto diversa, guardandola nella sua globalità.

    Occorre costruire una serie di attività atte a rendere significativa la presenza dei disabili.
    Ad esempio creare luoghi adatti ed accoglienti, in cui il disabile impara a responsabilizzarsi in quanto cittadino.
    La costruzione dell’identità personale deve avvenire in luoghi rassicuranti e in luoghi in cui la diversità non è vista come un elemento negativo.
    La nuova politica socio.educativa consiste in:
    Integrazione
    Differenziazione
    Personalizzazione
    Ed è tutto finalizzato a sollecitare nei soggetti disabili lo sviluppo di indipendenza.

    Per quanto riguarda la relazione educativa, l’educatore deve mettere in atto dei programmi specifici per far emergere le doti del disabile, quindi occorre mettere in luce le qualità piuttosto che le “mancanze”.
    Durante in corso abbiamo simulato un incontro tra un educatore e un educando notando fin da subito la dispobilità dell’educatore di ascoltare e di predisporsi all’altro in maniera gentile e sensibile per far in modo che la loro relazione si istaurasse nel migliore dei modi.

    Tutto ciò che riguarda la disabilità, e quindi anche le relazioni educative, deve avvenire con attenzione alla persona all’interno del contesto sociale e globale.



    L’immagine della donna è sempre accompagnata dall’idea di bellezza.
    Alle persona con un aspetto giudicato attraente vengono attribuite anche delle virtù interiori che spesso sono inesistenti come bontà,onestà ecc.
    Il termine bellezza esattamente come il termine normalità è qualcosa di estremamente relativo, che cambia nel tempo e a seconda del contesto in cui viviamo.
    I mass media ci aiutano a diffondere un’ideale di bellezza, una bellezza che si avvicina sempre di più alla magrezza. E allo stesso tempo si allontana da quelli che sono i canoni della maternità o delle donne formose degli anni Ottanta.
    E’ un ideale di donna senza curve e senza carne che rende la bellezza simile a qualcosa di mostruoso.
    Ad esempio Remaury nel “Il gentil sesso debole” dice che siamo diretti verso una corsa alla perfezione, e i nostri obiettivi sono: la Giovinezza, la bellezza e la salute


    “La terza donna” di Lipovetsky spiega il ruolo della donna nella società che prima era sfruttata e svalutata, in seguito fu divinizzata e rappresentava l’idea di virtù, ed oggi è sottomessa ai modelli della perfezione che le vengono imposti. Con l’aiuto delle protesi estetiche, la donna, può lavorare sul proprio corpo per renderlo perfetto. Permettendo di migliorare quelli che possono essere dei difetti e modificando il proprio corpo secondo quelli che sono i canoni imposti dalla nostra società.

    La Braidotti nel testo “Madri mostri e macchine” si oppone all’influenza discorsiva intorno alla materia coreporea e va ripensando il rapporto corpo-mente.
    Prende in considerazione un altro aspetto della donna: la definisce un mostro per la sua capacita' di deformare il proprio corpo con la maternita', associa così la bellezza alla mostrusità.

    I 3 autori mostrano come la donna è sempre alla ricerca della perfezione, di una bellezza sempre più lontana dal reale.



    Rossella Ascione
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    Messaggio  Rossella Ascione Sab Mag 05, 2012 9:27 am

    1) Esponi il passaggio dall’Icd all’Icf, soffermandoti poi sul contesto e sulle parole disabile e diverso, personalizzando il tuo discorso attraverso una ripresa degli interventi ai laboratori che hai proposto ‘orologio’ /‘barriere architettoniche’, ‘la mappa degli stereotipi’, Sindaco/esperienza di ‘emarginazione’ (questo perché ciascun intervento deve essere diverso e avere l’impronta dello studente che lo elabora).
    Modalità:

    La prima classificazione elaborata dall’Organizzazione mondiale della sanità è stata l’ICD , ovvero Classificazione Internazionale delle Malattie , risalente al 1970 .Tale classificazione rispondeva all’esigenza di individuare le cause delle diverse patologie ,favorendo una raccolta dati molto dettagliata .
    Tuttavia ciò ha favorito l’avvicinarsi alla disabilità alle patologie cliniche , facendo dell’elenco dati una sorta di enciclopedia mediatica, per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) , ha messo a punto ,nel 1980 , l’ICIDH una nuova proposta classificatoria che aveva lo scopo di integrare termini come , menomazione , disabilità ed handicap con abilità e partecipazione . Nel 2001 poi si è passati all’ICF la “Classificazione internazionale del Funzionamento , della Disabilità e della Salute”.
    L’ICF è considerato dall’OMS come ‘il linguaggio standard ed unificante che serve da modello di riferimento per la descrizione della salute e degli stati a essa correlati e che ,nello stesso tempo, promuove nuovi modelli di ricerca . Quindi l’ICF si occupa delle conseguenze associate alle condizioni di salute ed è stato introdotto perché le informazioni date dalla diagnosi medica non venivano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona , ovvero ciò che è in grado o meno di fare .
    L’ICF rappresenta quindi uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario ed insieme all’ICD ,coi cui va a formare la WHO-FIC (Famiglia delle Classificazioni Internazionali dell’OMS) , garantisce la comparabilità delle informazioni di salute e la classificazione scientifica e internazionalmente valida nei diversi Paesi .
    Queste varie classificazioni internazionale quindi hanno svolto e lo fanno tuttora , una funzione vitale per il concetto di disabile e diverso che spesso vengono considerati come sinonimi . il diverso è colui che non appartiene alla dimensione reale di tutti , è colui che si differenzia per il proprio credo , cultura , partito politico ecc.
    Nelle varie differenziazioni , tuttavia, non ho mai citato o sentito citare la parola ‘disabile’.
    Disabile è solo un vocabolo ,un ideogramma , una parola che tramanda ideologie sbagliate e troppo diffuse di una realtà che esprime diversità .Considerare una persona disabile la rende diversa , ma non nello stesso modo in cui si considera il diverso .
    La persona disabile viene classificata per ciò che non può fare , suscita pietismo e porta ad autoescludersi, per non incrociare gli sguardi che non fanno altro che sottolineare la propria condizione. Come ci insegna la professoressa Murdaca “Non bisogna mai definire nessuno per Sottrazione” , per questo il termine disabile è da ridefinire, sostituendolo con Diversabile o diversamente abile .
    Questi sono termini che sottolineano le altre abilità che possiede una persona , non trascurando il valore della sua essenzialità umana e ponendola alla pari rispetto al resto del mondo .
    Nella simulazione del 26 Marzo ,in cui ci siamo bendate per pochi minuti , anche se in minima parte ,ho potuto percepire come è difficile essere diversabili soprattutto in un mondo che ti punta gli occhi addosso e ti considera imperfetto per ciò che non sei in grado di fare ,non capendo invece che diversabile vuol dire andare oltre gli imprevisti, le barriere e gli stereotipi per dimostrare che tutto è possibile e tutto si può fare non seguendo gli schemi standard che la vita propone .
    I veri disabili sono coloro che si fanno trascinare non pensando con la propria testa , che considerano gli altri per i difetti e non per i pregi ,che non vivono la propria vita ma quella data dagli altri , quelli che seguono la massa , quelli che cercano approvazione dal resto del mondo per portare a termine i proprio sogni , mentre le persone vere hanno il coraggio di dare pur sapendo di non poter ricevere molto in cambio , quelle che considerano il loro svantaggio una motivazione in più per lottare .
    Donare e donarsi , sono i principi chiave per coloro che hanno dovuto combattere il doppio per ‘avere’ una vita , mentre c’è gente che pur possedendo tutto si piange costantemente addosso , non sapendo minimamente cosa sia essere in difficoltà . Persino chi non vede quando sogna , non sogna mai il buio , essere su una sedia a rotelle non impedisce di giocare a basket , poter muovere solo il collo non impedisce di dipingere quadri bellissimi , non possedere le braccia non impedisce di danzare.
    Un educatore deve sempre considerare la persona per la sua eccezione , non per la sottrazione , aiutandola a stimolare le proprie abilità .
    Educare è dare una nuova vita , come fa una madre quando dona al mondo un nuovo figlio , per questo occorre allevarlo e proteggerlo quando la madre non è in grado di farlo , insegnargli la differenza fra giusto e sbagliato ,prendersi cura di lui limitando i danni che spesso inconsciamente procura la famiglia .
    Occorre quindi dar vita ad una relazione educativa occorre in primis fa rendere conto alla persona del suo disagio, aiutarlo ad ammettere ciò che lo affligge e sollevare questo rimorso dalla sua vita .
    Nell’ambito educativo non si può privare ma solo concedere , senza voltare mai le spalle a nessuno , ma aiutarlo a voltare pagina .

    2) Anna Maria Murdaca scrive il testo Complessità della persona con disabilità, rifletti su quali logiche guidano il suo discorso, riguardo:
     la rimodulazione del termine integrazione
     la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
     la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    riportando come, attraverso le tematiche proposte

    Nel testo ‘Complessità della persona con disabilità’ Anna Maria Murdaca esprime un concetto chiave, ovvero l’esigenza di dar vita ad una nuova cultura e conoscenza della disabilità, incentrata soprattutto sul riconoscimento della persona in evoluzione , passare dall’inserimento all’inclusione della persona con disabilità, adottando l’ottica della globalità .
    Il termine handicap è l’ostacolo che impedisce a una persona con deficit di portare a termine una particolare attività, è questo concetto che lo limita più di qualsiasi menomazione .
    Valorizzare la persona con il rispetto delle differenze e delle identità ,vuol dire realmente consentirle di integrarsi tramite un procedimento continuo ,non si deve mai considerare qualcuno‘per sottrazione’ ,perché si tratta di persone .
    Il deficit è difficilmente annullabile , è uno scompenso stabile , dal quale non si guarisce , ma se si riuscisse a decentrare l’attenzione sulle limitazioni che tale condizione comporta , se si riuscisse ad andare oltre l’handicap di un “essenza umana”, che già si considera solo un’essenza per via del suo stato , sarebbe possibile ridare a queste persone l’umanità che il resto della società non concede , perché troppo concentrata su ciò che non si ha invece che su ciò che si possiede, e si considera il prossimo per la sua diversità .
    Spesso il diverso è isolato , escluso , ma ciò che colpisce realmente nel profondo distruggendo la proprio autostima ,più di qualsiasi altra cosa è far pietà al resto del mondo .
    La pietà è un sentimento contorto , serve a fare la carità verso i bisognosi , gli affamati ed è senz’altro una cosa meravigliosa ma , non va confusa con la solidarietà .
    Il gesto solidale coincide con il far si che il soggetto con handicap possa divenire autonomo con il tempo , e per far questo è importante che si cerchi di capire le concrete difficoltà che deve affrontare ogni giorno, e stimolarlo a dare sempre il massimo .Delle volte mostro e diverso coincidono,ciò avviene perchè la società riesce a convincere i soggetti che vengono identificati in tali categorie di essere davvero dei mostri o di essere diversi , creando veri e propri disagi psichici .
    Eppure essere diversi non dovrebbe essere un 'deficit' ,anzi è la diversità che caratterizza l'umanità rappresenta ''la specificità che rende unici'' .
    Lo svantaggio proviene dalla diminuzione o perdita della capacità di conformarsi alle aspettative o alle norme proprie dell’universo che circonda l’individuo.
    L’ambiente può essere una barriera oppure un facilitatore ,migliorando l’ambiente delle persone se ne diminuisce la disabilità. Un esempio di un progetto di vita per le persone con disabilità è la domotica .
    Questa nuova scienza per molti è importantissima e può fare la differenza. Per un tetraplegico , ad esempio , la domotica è l’unica possibilità di essere finalmente capace di muoversi autonomamente , l’indipendenza non è più una fantasia ma pura verità.
    La Domotica è il frutto di un progetto che vede in campo specialisti diversi con un unico fine: diffondere la cultura dell'ambiente creato a misura d'uomo, cioè di ogni persona, sia quella in grado di utilizzare tutte le proprie risorse fisiche e mentali sia per chi può contare solo su una parte di queste. Occorre considerare la persona disabile come elemento attivo all'interno di una struttura immobiliare. Le strutture edili con cui l'utente entra in contatto devono poter interagire e permettere un grado di autonomia alla persona disabile.
    Massimizzare l 'Autonomia è l’obbiettivo principale di tale disciplina .
    Tale impianto ingegneristico e tecnologico ,tuttavia , è molto costoso e non tutte le persone diversabili hanno la possibilità di poter usufruire ti tali servizi. Tutti hanno il diritto alle pari opportunità , e soprattutto a tali opportunità che possono cambiare molte vite .
    Le politiche inclusive devono lavorare su cosa si deve fare e sottolineare quanto non si fa ancora, per far questo è necessario rileggere la sostenibilità sociale attraverso l’azione forte delle istituzioni per dar voce ai disabili . Occorre quindi un nuova Politica Socio Educativa che consista in:
    -Integrazione
    -Differenziazione
    -Personalizzazione
    Il tutto è finalizzato a sollecitare nei soggetti disabilito sviluppo di indipendenza ed emancipazione.
    Figura di spicco in tal senso è l’educatore che svolge una funzione primaria . Egli si pone come guida nei confronti di coloro a cui intende donarsi , diviene colui che sprona a non considerarsi un disabile ma una persona , perché educare è proprio questo .
    La relazione educativa è un complesso legame che si forma tra due o più persone , è un rapporto che si istaura tra una persona guida e una persona in difficoltà . In tale tipo di relazione avviene uno scambio dove si da e si riceve .
    Alla base della relazione vi è la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all’accoglienza , lasciando spazio alla libertà dell’altro costruendo un progetto di vita personale .
    Ogni incontro umano è educativo , in quanto è portatore di significato valori o anche semplicemente di opinioni. Tutto questo deve favorire uno scambio alla pari , senza differenzazioni, tutto questo deve ispirare l’educatore , la società ,le istituzioni a guardare oltre la menomazione, l’ handicap e considerare la persona che sta dietro la superficialità che caratterizza l’ideologia comune.
    Ogni disabile ha la sua storia ed ha il diritto di continuare a scriverla come tutto il resto del mondo , senza pregiudizio o stereotipi , ma semplicemente per quello che è .

    3) Remaury, Lipovetsky e Braidotti: proponi, arricchendole di riferimenti, le tue riflessioni su questi autori sul corpo trasformato e mostruoso

    Remaury nei testi ‘Il gentil sesso debole’ e ‘Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute’ sottolinea come spesso l’immagine della donna sia accostata al concetto di bellezza , come se essa abbia il dovere di coltivarla .
    Diverse indagini hanno dimostrata che spesso a persone di bell’aspetto vengono associate virtù interiori presunte, come se esse siano perfette in tutto .Tale concetto ci collega ai modelli dominanti del proprio tempo.
    Il concetto di bellezza oggi è omologato alle misure 90-60-90 , ciò spinge molte giovani ragazze ad incontrare il chirurgo per liposuzioni al seno , al sedere spesso inutilmente .
    Si è passati dal modello della formosità a quello muscoloso , che grazie alle campagne mediatiche si è diffuso a dismisura , soprattutto nelle donne.
    Quelle che non si adeguano finiscono con il sentirsi umiliate, giovinezza e bellezza sono caratteristiche che oggi una donna deve possedere sempre , nonostante l’età o le complicazioni che possono provocare .
    Il modello odierno di bellezza femminile è vergognoso , la donna nel 21° secolo viene ancora usata come uno strumento a stampo sessuale o pubblicitario , l’importante è apparire .
    Come sostiene Remaury oggi siamo in corsa verso la perfezione, spinti dalla voglia costante di assomigliare ad una macchina, obbiettivo: giovinezza – bellezza - salute.
    Ciò genera soltanto un corpo un corpo trasfigurato , un corpo che con il progredire delle pratiche scientifiche deve ascendere la difficile scala della perfezione .
    Analoga concezione è quella di Lipovetsky il qual ne ‘La terza donna’ sottolinea come essa sia sottomessa ai modelli dominanti ed al controllo della propria immagine , un apparente posizione di grazia che le consente di raggiungere una fase positiva della cultura della bellezza.
    Queste donne ‘moderne’ non si rendono conto di come gli interessi altrui le rendano difettose .
    Ricorrere alla chirurgia dovrebbe essere una pratica che si effettua per compensare problemi biologici , non per capriccio.
    Le protesi estetiche dovrebbero essere usate in maniera giudiziosa per riparare un’evidente carenza estetica, tipo la presenza di mammelle sul petto maschile (ginecomastia) , togliere la pelle in eccesso dopo un drastico dimagrimento , passare da una prima scadente a una terza,, tutti scompensi che causano gravi ripercussioni psicologiche.
    Inoltre la bellezza oggi è anche sinonimo di problemi alimentari :
    -Anoressia : disturbo alimentare di origine psicologica, che riguarda soprattutto ragazze di età compresa tra i 12 e i 25 anni, il periodo del passaggio dall’età infantile a quella adulta.
    -Bulimia: La bulimia (dal greco boùlimos, fame da bue) è un disturbo alimentare caratterizzato da un irrefrenabile bisogno di mangiare.
    Queste patologie sono in frutto di una costante diffusione di modelli sbagliati .La magrezza non è del tutto’bellezza’ , dal momento che le modelle anoressiche rappresentano un prototipo di bello che diviene mostruoso.
    Costituisce il femminile mancante dalle forme dis-umane .Non c’è nulla di bello nel ridursi così .
    Purtroppo lo si capisce a proprie spese se non si viene aiutati in tempo. Occorre riacquisire il controllo del proprio corpo e della propria vita.
    I saggi di Rosi Braidotti sono utili a comprendere come l’universo femminile sia andato trasformandosi.
    Il femminismo ha assunto una visione della corporeità scardinata e disordinata , ponendo attenzione alle diverse sfumature che associano tale visione con la diversità.
    Ciò che accomuna il tutto è la distanza dei corpi dalla normalità,vista come il grado zero della mostruosità. Secondo la professoressa Braidotti la donna è capace di deformare il proprio corpo nella maternità , che a sua volta include un altro corpo al suo interno , divenendo mostro e madre al contempo nell’immaginario maschile .
    Il discorso della Braidotti serve a far comprendere che possiamo tutti entrare in un insieme di categorizzazione ma con la stessa abilità dobbiamo imparare a distinguere e comprendere l’essere umano nella sua complessità. Occorre prodigare un nuovo avvenire per la donna che non la veda come schiava dell’uomo o come succube della bellezza , ma come un essere resiliente, capace cioè di andare oltre i canoni imposti , oltre il mostro o la macchina, e di collocarsi nella perfezione rimanendo coerente con se stessa.
    Orsola Cimmino
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    Messaggio  Orsola Cimmino Sab Mag 05, 2012 5:37 pm

    Esercizio n°1

    Nella prospettiva attuale delle condizioni di disabilità, è fondamentale interrogarsi sui cambiamenti che la classificazione ha introdotto nel linguaggio comune, atto a designare prevalenti compromissioni fisico-psichiche, che investono la persona nel suo contesto di vita.
    Da più di un secolo l’uomo si è interrogato non solo sulla eziopatogenesi bensì anche sulla possibilità di imbrigliare le conoscenze acquisite in un “contenitore” scientifico, organizzato e consultabile, al fine di giungere ad una diagnosi più precisa e più rapida, così da applicare terapie e comportamenti che fossero i più idonei alla risoluzione del caso. Nel nostro contesto particolare il modello di disabilità perdurante fino a non molti anni fa, coincideva con la successione di causa-effetto secondo la progressione: Malattia o disturbo-Menomazione-Disabilità-Handicap come previsto dall’ICDH del 1980, modello a sua volta derivante dall’originario ICD del 1948.
    Tre sono le parole chiave che si desumono dall’ICDH: minorazione, disabilità e handicap.
    Per minorazione si intende qualsiasi perdita o anomalia a carico di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche; può essere transitoria o permanente. Essa rappresenta l’esteriorizzazione di uno stato patologico e riflette i disturbi a livello d’organo.
    La disabilità, invece, è la riduzione parziale o totale della capacità di compiere un’attività nel modo e nell’ampiezza considerati normali. Essa sta tra la capacità di compiere un’azione e l’incapacità; cioè un individuo può avere una specifica disabilità, ma anche precise abilità. Cioè non riesce a fare quello che il normale fa, ma ha altre abilità, piccole o grandi che siano.
    L’ handicap riguarda gli svantaggi esistenziali conseguenti riduzione dello svolgimento di un ruolo in relazione all’età, fattori socio-culturali a seguito di minorazione/disabilità.
    Lo svantaggio è situazionale e contestuale ed è una condizione che può scaturire dall’azione degli altri o dell’individuo stesso. E’ un vissuto che può presentarsi in alcune circostanze e non in altre, così come anche la restrizione della capacità di compiere l’azione è dipendente dalla richiesta e dal compito da svolgere. L’ICDH sposta l’attenzione sull’individuo che fronteggia le conseguenze della patologia. Esso aveva allargato il campo visivo fino ad includere l’individuo, l’attività dello stesso e l’ambiente, specificando che proprio dall’interazione di questi fattori poteva o non, presentarsi la disabilità e lo svantaggio. Al centro di questo approccio c’è la persona disabile che combatte la sua malattia: mentre il deficit è evidente, l’handicap è relativo, è una condizione di incontro tra le persone e una situazione. E’ uno svantaggio che può essere riducibile o aumentabile.
    L’ICF (Classificazione internazionale delle funzionalità, disabilità e salute), è uno sviluppo coerente di questo pensiero, anzi evidenzia aspetti propositivi che valorizzano il singolo. Esso pone in primo piano il concetto di salute e di funzionamento e lo correla a tutte le situazioni e condizioni interne ed esterne dell’individuo che possono inficiare la condizione di benessere bio-psico. I termini menomazione, disabilità e handicap, vengono sostituiti da funzioni, strutture corporee e attività e partecipazione con l’intento di indicare una maggior attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. Nell’ICF la parola handicap è stata eliminata, in quanto ciò attribuiva alla persona una caratteristica negativa. Quindi la disabilità è una condizione ordinaria di vita e non è legata ad una condizione di malattia: viene definita come conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra condizioni di salute di un individuo e fattori personali, e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui egli vive e lavora. Al centro del nuovo ICF c’è la descrizione dello stato di salute delle persone in generale, in relazione ai loro ambienti di vita, al fine di individuare le difficoltà che nel contesto socio-culturale possono causare disabilità.
    Canevaro afferma: Attenzione alle parole!! Perché nelle parole è contenuto il modello operativo a cui si fa riferimento: quindi è importante non fare confusione perché utilizzare termini impropri può essere un modo per aumentare l’handicap, anziché ridurlo. A questo punto bisogna che ci soffermiamo su due termini : disabile e diverso. Il disabile è una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità ed è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana. Si dice che i disabili non sono in grado di vivere autonomamente come le persone normodotate, ma non è così. Esistono persone con disabilità che non si sentono tali infatti riescono a compiere qualsiasi tipo di attività grazie alle tecnologie abilitanti che consentono loro una certa autonomia e grazie anche al superamento di barriere. “Tutti sono diversi; non tutti sono disabili”. Durante il nostro corso la proff ci ha mostrato dei video in merito a ciò. Abbiamo visto come Simona Atzori, nata senza braccia, diventa una ballerina e pittrice famosa, perché la sua grande passione, la forza di volontà vincono su tutto. Questo è un emblematico esempio di resilienza, perché nonostante fosse afflitta da una situazione avversa ne esce comunque vincente. “ I veri limiti esistono in chi ci guarda”. Ancora abbiamo visto migliaia di ostacoli che si presentano nel quotidiano di una persona disabile. Ad esempio alla fermata di un autobus, bancomat che impedisce di prelevare dei soldi, difficoltà anche per comprare un giornale. Come può un disabile abbattere queste barriere architettoniche? Con l’aiuto della società e quindi di dare il nostro contributo a chi ne ha bisogno. Aiutare è importante, aiutarsi lo è ancora di più…
    Chi è la persona disabile? La persona disabile è un individuo, con una propria identità, con una propria connotazione, con delle caratteristiche proprie. E’ UN CITTADINO A PIENO TITOLO, E COME TUTTI I CITTADINI GODE DEGLI STESSI DIRITTI E DOVERI E DI PARI OPPORTUNITA’. NON SI DOVREBBE DEFINIRE NESSUNO PER SOTTRAZIONE, SENZA PERDERE DI VISTA QUELLA CHE E’ L’UMANITA’, PERCHE’ SI TRATTA DI PERSONE CHE SI CARATTERIZZANO PER CAPACITA’ E NON PER QUELLO CHE NON SANNO FARE. Il disabile viene considerato diverso…diverso da chi? Da cosa? Noi per primi siamo diversi in base alle esperienze che facciamo nella nostra vita. “Ricorda sempre che sei unico, esattamente come tutti gli altri”. Il diverso viene isolato, incute timore poiché non lo conosciamo, non lo capiamo quasi mai perché non ci proviamo neanche. Il diverso di solito non sceglie di esserlo, ma viene etichettato dalla società. Grazie a questo corso posso dire che ho nuovi punti di vista in merito a questa tematica; mi sento cresciuta, “arricchita” sotto quest aspetto perché ho imparato cose che prima non conoscevo. La diversità non deve essere considerata un ostacolo bensì una ricchezza; ogni individuo ha caratteristiche che lo rendono unico e irripetibile. Quindi il mondo della disabilità non è un mondo a parte…ma una parte del mondo.

    Esercizio N°2

    L’autrice Anna Maria Murdaca scrive il testo “Complessità della persona e disabilità”. In esso mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione e alla ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità. Secondo quest’autrice bisogna dirigersi verso l’inclusione, adottare l’ottica della globalità: si ha una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento, del comportamento e dell’assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica, che può essere disorganizzata da errate interazioni tra sistema biologico, psico-intellettivo, affettivo, relazionale e sociale. Il contesto sociale determina la condizione di handicap; sono gli ostacoli e le barriere fisiche (come anche quelle mentali) a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. A tal proposito voglio ricollegarmi ad una simulazione fatta in aula: “emarginato o cittadino”? In questa simulazione tutte le persone con gli occhiali sono state messe da parte, emarginate, escluse, provando una grossa difficoltà, vivendo anche un profondo disagio nel non essere considerate e non potersi esprimere liberamente. Mentre i cittadini potevano esprimersi liberamente, organizzare una festa e decidere chi prendere parte ad essa. Quindi da ciò evince che parlando di emarginati si pensa alla solidarietà umana e al rispetto che dovrebbe essere dovuto ad ogni individuo. In molti casi il rispetto non esiste, la solidarietà nemmeno. L’emarginazione e la solitudine di cui soffrono tanti esseri umani sono determinati dalla nostra incomprensione, dal nostro egoismo. Tutti gli emarginati imparano giorno dopo giorno dalla nostra società a pensare di essere diversi e inferiori al resto dell’umanità. “Integrare” significa inserire una persona o un gruppo in un ambiente o in un contesto in modo che ne diventi parte organica (sia dal punto di vista di chi è da integrare; e sia a quello del contesto che integra). Quindi quando si parla di integrazione non si fa riferimento ad un’astratta normalità, bensì a valorizzare al meglio le doti individuali. Infatti l’obiettivo è proprio quello della valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità. Rimodulare l’integrazione in prospettiva umanistica significa guardare alla globalità della persona che non può venire scomposta in funzioni che possono essere curate separatamente perdendo la capacità di integrare, di considerare nell’insieme. L’integrazione è un processo continuo non un punto di arrivo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili, rivoluzionari solo a parole mentre obsolete nella pratica. L’handicap è un fenomeno sociale, è proprio dall’immagine sociale e dai significati culturali che vengono attribuiti ad esso, che si costruiscono le premesse per il riconoscimento della persona e per le opportunità di vita che le vengono concesse. Cartelli utilizza il termine handicap come “stereotipo sociale”: esso è uno spontaneo meccanismo di difesa dall’angoscia, dalla paura derivante dal nostro rifiuto di specchiarci in un’immagine non gratificante e lo stereotipo sociale diventa giustificazione razionale della rimozione del problema. A tal merito durante la lezione riguardante la parte laboratoriale la professoressa ci ha mostrato un video tratto dal film “Indovina chi viene a cena”; è un film del 1967 dove una ragazza bianca americana si innamora di uno stimato medico afroamericano. La scena che mi ha maggiormente colpita è il dialogo tra il dottore e suo padre in cui il dottore dice al padre: “tu ti consideri un uomo di colore, io invece mi considero un uomo”. Questa è stata una lezione di vita perché ci fa capire che non esiste alcuna differenza tra bianchi, neri ecc ecc; è proprio la diversità che ci rende a sua volta unici nella nostra unicità. “ Che cosa c’è in un nome”? Quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo stesso odore soave. Ritornando all’integrazione possiamo dire che il suo significato è anche ricercare incessantemente il rapporto con l’altro. Quindi è fondamentale far si che si venga a creare questa relazione educativa tra Io/Altro. La relazione educativa è uno spazio riparativo nel quale il disabile sperimenta con gli educatori, con gli insegnanti una serie di situazioni, di vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti, e integrati nel qui e ora della relazione educativa. In realtà Murdaca si riferisce a vissuti intrapsichici che elaborati, proiettati, negoziati consentono agli operatori di progettare delle opportunità, appunto educative, da offrire al disabile, affinchè egli stesso ripensi al proprio stato e alle proprie capacità funzionali, moduli l’immagine soggettiva in una sfera più ampia dell’abituale, eliminando maschere, blocchi, disagi, e scoprendo quelle forze resilienti capaci di far superare le difficoltà insite nel profondo della personalità. Per relazione educativa s’intende l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l’educatore e gli educandi. L’educatore per fa si che la relazione avvenga deve costruire e rafforzare il rapporto con l’individuo in modo costante; deve avere un comportamento basato sul rispetto e parità; deve far sentire a suo agio l’individuo da educare creando un clima di fiducia. In aula la proff ci ha proposto 2 setting, uno dei quali riguarda una madre e l’educatrice, in cui la madre ha esposto il problema del figlio a scuola con l’insegnante di sostegno che si assenta di continuo. Da questo setting si evince l’apertura al dialogo, la disponibilità dell’educatrice nei confronti della madre, l’accoglienza, la sensibilità e la libertà di parola. “Ogni relazione, ogni incontro umano è educativo, in quanto è portatore di significati, valori o anche semplicemente di opinioni che assumono un peso educativo nella crescita di colui che li riceve, visto che in una relazione ogni individuo riceve qualcosa”.

    Esercizio n°3

    Il contesto culturale nel quale ci troviamo è un elemento determinante per la formazione degli ideali, delle convinzioni e delle aspettative degli adolescenti. Riviste, televisione, radio, sono sempre più fondate sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità che non su contenuti e sui messaggi costruttivi per l’individuo. Da un lato la pubblicità e la televisione diffondono l’idea che un corpo femminile è bello solo quando è magro, dall’altro la lotta al grasso giudicato come brutto è costante, creando un fenomeno di stigmatizzazione. Il corpo perfetto è diventato così l’ideale di riferimento ed un modo considerato basilare per emergere nella vita. Seneca afferma: “Nessuno che sia schiavo del corpo è libero”. La cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza; il suo miglioramento fisico ed estetico è l’adempimento dei suoi bisogni, ma questi ultimi sono stati imposti dalla società stessa. Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che una donna deve possedere oggi se vuole restare in televisione.
    Remaury, nel “Il gentil sesso debole” afferma che siamo diretti verso una corsa alla perfezione, con un triplice obiettivo che è quello di: giovinezza-bellezza-salute.
    Lipovetsky, invece, in “La terza donna” nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati, per cui questa è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili per arrivare al corpo perfetto. I valori tra cui deve scegliere sono: eterna giovinezza,perfetta bellezza e salute totale. Il controllo della propria immagine conduce la donna verso il corpo realizzato, cioè alla conquista di un corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su se stessa, assicurato attraverso il conseguimento di bellezza e salute. “Analizzando la società dei consumi, l’unico cambiamento è prospettico:prima il corpo doveva servire, ora è l’individuo ad essere al servizio del proprio corpo”.
    In ultima analisi la Braidotti nel testo “Madri mostri e macchine” dice che la donna capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa qualcosa di orribile: mostro e madre al tempo stesso. E proprio per questo che ella propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina prestandosi al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l’immaginario che le sostiene. Quindi creare un legame tra femminismo e tecnologia, giocare con l’idea di un corpo-macchina è certamente un rischio e non dà alle donne la certezza di uscire vincitrici da questa sfida. “La realtà dell’altro non è in ciò che ti rivela, ma in quel che non può rivelarti. Perciò, se vuoi capirlo, non ascoltare le parole che dice, ma quelle che non dice”.
    In aula ci siamo posti la domanda se siamo favorevoli o meno alle protesi estetiche… io sono favorevole alla chirurgia estetica solo se c’è un problema grave e quindi si ricorre ad essa; ma nel caso si voglia ricorrere a questa solo per piccoli difettucci fisici o capricci ( come rifarsi labbra, seno) in questo caso non sono per nulla d’accordo. Il corpo non va rinnegato; e se lo si tratta bene può durare tutta la vita.
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    Messaggio  miriam perrella Dom Mag 06, 2012 7:55 am

    1)la parte generale di pedagogia della disabilità studia la persona con disabilità nella sua complessità e integrazione. Canevaro riflette sulla scelta delle parole,che va fatta con ponderazione, ci si fa riferimento ad un modello operativo, sono importanti perchè contengono simboli, non adoperate per un'armonia sintattica o grammaticale. Per spiegare ciò mi soffermo sull'ICD, ICIDH,ICF. L'OMS elaborò l'L'ICD del 1970 ossia”classificazione internazionale delle malattie”si concentra sull'aspetto eziologico della malattia,secondo lo schema eziologia-patologia-manifestazione clinica. Avvicina la disabilità alle patologie cliniche facendo dell'elenco una sorta di enciclopedia medica. L'OMS per ovviare a questo problema nel 1980 perfezionò l'ICIDH dove i termini menomazione, disabilità ed handicap, verranno sostituiti da menomazione, abilità, partecipazione, ossia un maggore coinvolgimento da parte del soggetto. La MENOMAZIONE è perdità o anormalità a carico di una struttura o di una funzione, un danno organico o funzionale relativo ad un'area specifica. La DISABILITA' deriva dall'esteriorizzazione della causa psico-biologica, ossia l'incapacità di svolgere determinate funzioni e assolvere particolari compiti nel modo e nell'ampiezza considerati”normali” per un individuo. Non è solo deficit, è una condizione che va oltre la limitazione. E' caratterizzata da esclusioni per eccesso o difetto nella realizzazione dei compiti rispetto a ciò che sarebbe normalmente atteso. Il termine HANDICAP deriva dall'ambiente delle corse ippiche inglesi,è una condizione di “svantaggio” che in un certo soggetto limita o impedisce l'adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all'età, al sesso, ai fattori socioculturali..l'handicap costituisce una situazione permanente, irreversibile, ma non per questo immodificabile. Secondo me il vero handicap, che crea irreversibili cambiamenti è l'ignoranza, perchè un disabile è da scoprire, se ci si ferma solo alle ruote si perde molto. Nel 2001 L'OMS elabora l'ICF, classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute. Qui ad essere presi in considerazione non sono solo i fattori biomedici e patologici, ma anche l'interazione sociale:un approccio multiprospettico: biologico, personale, sociale. Secondo l'ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. E' il contesto sociale a determinare la condizione di handicap,sono gli ostacoli e le barriere fisiche come quelle mentali e culturali a favorire il processo di esclusione e di emarginazione Il modello ICF sostiene che la persona è il risultato dell'interazione tra diversi settori,una prospettiva unitaria e globale delle potenzialità e dello stato di salute. Consente di individuare i livelli di qualità del funzionamento e i bisogni della persona. Un individuo svantaggiato non deve essere considerato con il suo stesso deficit,ma ha pari diritti e dignità di tutti gli altri. Meritano una riflessione le parole DISABILE e DIVERSO. Al di là della disabilità c è l'individuo, una persona nell'accezione più globale del termine. Partire da questo presupposto per scoprire che siamo diversi, ognuno di noi possiede limiti e risorse e con questi si confronta ogni giorno della sua vita. Il DISABILE, soggetto con disturbi fisici o psichichi scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate, ha delle abilità, infatti ogni persona si distingue per capacità e non per quello che non sa fare. La disabilità viene spesso confusa con la diversità, che è un valore,una specificità che ci aiuta.Ognuno di noi è un essere unico, originale, irripetibile .A tal proposito è stato coniato il termine “diversamente abile” ossia abilità diverse dagli altri, da scoprire, far emergere, potenziare per evidenziare che dietro ogni persona c è un valore, un'identità. Il disabile ci fa paura perchè “diverso” da noi, e secondo Lascioli sono proprio i pregiudizi e gli stereotipi che racchiudono i diversi in uno “scarto di umanità”.Bisogna conoscere il termine normalità, definito da Rosa Braidotti il grado zero della mostruosità, prima ancora di parlare di DIVERSITA',dal verbo latino divertere cioè volgere altrove. Il DIVERSO è una persona che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche, non necessariamente affetta da menomazione fisica o psichica, ma diversa per lingua, cultura, costume. Del diverso si ha paura, per chi è diverso proviamo vergogna, compassione, non lo capiamo. Ma anche noi siamo diversi per le esperienze che facciamo e non siamo “altri”ma abbiamo caratteristiche peculiari che ci contraddistinguono. La diversità non è avere una diversa pigmentazione, come nel film “chi viene a cena”esempio di sfida contro il pregiudizio, le stupide paure, in quanto a tenere unite due anime è l'amore che va al di la di ogni pregiudizio etico. Cosi anche nel campo della disabilità conta la valorizzazione e l'appoggio sui punti di forza di una persona, perchè ogni persona ha un sorriso, un volto, un pianto, una gioia da condividere, le ali della fantasia come nel caso di Atzor la cui disabilità è un colore differente, un modo diverso di vivere e amare,un esempio di resilienza assieme ad Oscar Pistorius. Quindi la disabilità non è una condizione di salute avulsa dalla realtà,ma è parte del mondo perchè ognuno possiede abilità diverse dalle nostre. La diversità è risorsa e fonte di ricchezza. Un disabile deve essere una persona “completa”anche se questo termine è reso vano da una società che non dispone di mezzi adeguati e misure efficaci per un libero sviluppo di diritti e doveri delle persone disabili, con mancanza di sensibilità urbanistica difficoltà quotidiana (mal funzionamento dei montascale,marciapiedi senza sufficiente spazio per la salita e la discesa)cui sono sottoposti i disabili spesso relegati ad una condizione di marginalità e diseguaglianza che non è fonte di arricchimento. Essere emarginati è come “non avere voce”, essere impotenti nell'impossibilità di mutare la situazione simile all'esperienza vissuta in classe, dove io ero cittadino e la professoressa interpretava il ruolo di sindaco. E' necessario reagire a questo etichettamento, omologazione imposta dalla nostra società attraverso il confronto, il dialogo, l'ascolto e la comprensione perchè li dove c è indifferenza c è la fine dei sentimenti.

    2)Continuando con la disabilità, Anna Maria Murdaca nel testo”Complessità della persona con disabilità” esordisce: “non si deve definire nessuno per sottrazione”.Una definizione valida al massimo per gli oggetti, dove ancora una volta si focalizza l'attenzione sulla persona, con la sua capacità di sentire, di fare, di agire. L'obiettivo è la valorizzazione della persona, ossia il rispetto della differenza e dell'identità. Occorre soffermarsi sull'identità dell'individuo con disabilità, sulla situazione del contesto sociale, sull'effettivo compimento di normative nella realtà attuale, dirigendosi verso l'inclusione. Secondo l'ottica della globalità la persona deve essere colta nella sua dimensione olistica e sul riconoscimento della persona in evoluzione. Un'integrazione diventa inclusiva se finalizzata allo sviluppo delle competenze e capacità utili nel contesto, ma integrazione è anche ricercare incessantemente il rapporto con il diverso da sé percorrendo insieme la via del miglioramento comune. Integrare dal punto di vista letterale include chi è da integrare e il contesto che integra, rimodulare l'integrazione significa guadare alla globalità della persona, che non può venire scomposta in funzioni che possono essere curate separatamente perdendo la capacità di integrare. L'integrazione è un processo continuo una continua ricerca di soluzioni atte a preservare i diritti acquisiti dei disabili, valorizzando al meglio le dotazioni individuali secondo il documento del Miur. Secondo Murdaca una nuova cultura della disabilità significa riflettere su norme e disposizioni che regolano la tutela ed i servizi in favore dei soggetti in situazioni di disagio, i materiali e ausili che la tecnologia mette a disposizione, gli strumenti atti a calibrare e modulare l'approccio nei confronti di coloro che si trovano in posizione di svantaggio, il problema delle barriere architettoniche. La nuova politica socio-educativa consiste in integrazione, differenziazione, personalizzazione. Il disabile è una persona, quindi un cittadino. Non sono soggetti passivi di pietismo ma responsabili di questa relazione. Ogni disabile ha la sua storia, tutto finalizzato a sollecitare lo sviluppo di indipedenza ed emancipazione. Infatti la vera forma di solidarietà non è fare raccolta fondi,ma rendere autonomo l'individuo, e l'educatore è un facilitatore di autonomia ed emancipazione. Il soggetto con disabilità pertanto deve acquisire un processo di maturazione psicocognitiva , psicoaffetiva e psicosociale che richiede ambienti e contesti sostenibili. L'accoglimento invece è quel luogo in cui il soggetto definisce se stesso avvicinando l'altro nel rispetto della sua distanza e differenza. La cura come progressiva emancipazione e l'accoglienza sono alla base di una relazione educativa. La cura è atto intrinseco all'agire educativo, e restituisce alla persona con deficit senso e significato alla sua personale esperienza per accettarsi e convivere con la propria specialità, per ricordarsi della propria unicità. Permette come afferma Jonas la realizzazione dell'uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare.
    Accogliere invece è lasciare, nettamente opposto al fagocitare. La relazione educativa è proprio questo, si costruisce con l'altro e per l'altro, un'occasione di formazione bilaterale basta sul rispetto, sulla stima reciproca, su uno scambio alla pari senza creare differenze, è un dare e ricevere in sincronia. E' un rapporto di reciprocità significativo, un legame tra due persone.
    In classe ad esempio ho assistito a due setting. Il primo era una relazione tra madre ed educatrice la quale lamenta l'assenza dell'insegnante di sostegno, qui si nota un clima di maggiore fiducia e serenità determinato anche dalla postura dell'educatrice che mette a proprio agio la madre, tutto improntato alla comprensione e alla conseguente apertura da parte della madre. Nel secondo setting tra l'educatrice e la ragazza si nota una maggiore tensione dovuta all'età della ragazza che lamenta problemi quali :l'isolamento, la solitudine, la mancanza d'integrazione. L'educatore deve sapersi mettere in gioco, pronto a migliorarsi, non deve fermarsi in superficie, ma partendo da una manifestazione esterna giungere in profondità, portando alla luce le parti più nascoste, quelle impercettibili, evidenziando dunque le doti, le potenzialità, le capacità di una persona come nell'educazione al disabile. Deve svolgere ,secondo me, un ruolo analogo a quello di un angelo, dando il giusto valore al tempo e fornendo protezione e calore ad un corpo in difficoltà perchè la presenza dell'altro non è presenza biologica,è sostanzialmente appello e pone istanze di accoglimento, stima, rispetto, amore.
    Molte sono le forme di comunicazione, tra queste un ruolo particolare occupa il silenzio che è un valore fondante per la comunicazione, in quanto in un'epoca che celebra il rumore, la disattenzione saper ascoltare il silenzio è saper sentire, e l'uomo che è distratto dal vedere non sente dunque è pigro.

    3)l'immagine di un corpo perfetto nelle donne si confonde con quello della bellezza. E' ciò che affronta in modo specifico Remaury, Lipovetsky, Braidotti. Si ritiene che la donna abbia il dovere di coltivare la bellezza,un corpo sempre più attento alla triade bellezza-salute-giovinezza,una visione largamente incentivata dai mass media, persuasori occulti della nostra società. Remaury ne”il gentil sesso debole”enuncia il nostro triplice obiettivo:giovinezza-bellezza-salute. Un corpo trasfigurato(immagine perfezione corporea), corpo esatto(perfetto grazie alla scienza) un corpo liberato( dalla malattia, dal peso, dal tempo). Lipovetsky ne “la terza donna”nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti:dalla malattia cioè sano, dal peso cioè magro, dal tempo cioè giovane. Rosa Braidotti in “madri mostri e macchine”affronta il tema del corpo-macchina, dove al corpo vengono attribuite le stesse caratteristiche delle macchine in rapporto al fatto che il corpo emette calore e produce energia, sempre più vicino alla tecnologia. Propone inoltre l'idea di una donna come mostro e madre al tempo stesso, in quanto deforma nella maternità il proprio corpo. Mostro deriva da teras (scienza della teratologia)ossia sintesi di orribile e meraviglioso, oggetto di aberrazione adorazione.
    Legate alle tecnologie sono anche le protesi estetiche che suggellano l'immagine di un corpo perfetto, un organismo biologico da riprodurre artificialmente nel costante tentativo di dominare la natura. Fare uso di queste tecnologie(piercing o interventi di tipo chirurgico)non è una prova vincente e come afferma Seneca chi è schiavo del corpo non è libero,in quanto i valori autentici che ci esaltano risiedono nell'anima, l'interiorità è da coltivare, perchè la vera bellezza sta nella luce degli occhi.
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    Palma Napolano


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    Messaggio  Palma Napolano Dom Mag 06, 2012 2:23 pm

    La prima classificazione elaborata dall' OMS(Organizzazione Mondiale della Sanità)è l'ICD(Classificazione internazionale delle malattie ) che cerca di cogliere la causa delle patologie e di fornire per ogni sindrome e disturbo le caratteristiche cliniche e indicazioni diagnostiche.Tale classificazione pone l'attenzione sull'aspetto eziologico della malattia ossia le diagnosi vengono tradotte in codici numerici in modo da rendere possibile la memorizzazione ,la ricerca e l'analisi dei dati. Successivamente nel 2011 l'OMS ha pubblicato l'ICF(''Classificazione Internazionale del Funzionamento,della Disabilità e della Salute'' ),la quale non solo classifica le condizioni di salute,malattie,disordini o traumi che interessano l'ICD ma volge il suo sguardo alle persone affette da patlogie guardandole nelle loro interezza,evidenziando come esse convivano con la loro condizione e come poterla migliorare affinchè possano condurre una vita tranquilla e serena.Secondo l'ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole,testimonianza di ciò sono i continui ostacoli che la persona disabile deve superare nella vita di ogni giorno;nell'esercizio dell'orologio ho realizzato che tutto ciò che caratterizza una mia giornata tipo come scendere le scale,prendere un autobus sono degli ostacoli per una persona disabile,ostacoli che molto spesso procuriamo noi stessi o per la nostra indifferenza o perchè presi dalla vita frenetica di ogni giorno come ad es. parcheggiare al posto riservato ad un disabile non calcolando il grave danno che stiamo procurando. L'ICF può essere utilizzato in ambito sanitario,sociale,educativo,ricerca,statistico,politica sociale e sanitaria e suddivide le informazioni sulla salute della persona in due parti:Funzionamento e Disabilità;Fattori Contestuali.La prima parte è utilizzata per definire il termine disabilità mentre nella seconda parte rientrano i fattori ambientali che influenzano il funzionamento della disabilità.

    '' CHE IO POSSA VINCERE,SE NON RIUSCISSI ,CHE IO POSSA PROVARCI CON TUTTE LE MIE FORZE''. Pistorius
    Molto spesso sentiamo parlare di diverso e di disabile ma chi è veramente il disabile e chi è veramente il diverso?
    ''Perchè nelle parole è contenuto il modello operativo a cui si fa riferimento'' Canevaro.
    Il disabile è un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive ,il quale non può svolgere le normali attività della vita quotidiana e molto spesso scopre il suo disagio nel confronto con persone normodotate.Quando si parla di disabile si pensa esclusivamente a un individuo a cui mancano uno o più competenze senza tener conto che egli possiede anche delle abilità. Spesso la disabilità viene confusa con la diversità; il diverso è colui che oltre ad avere una disabilità ha anche delle abilità diverse dalle persone che lo circondano ed è per questo che oggi non parliamo più di disabile ma di diversamente abile,ossia di una persona che ha una propria identità .Quando parliamo di diverso la nostra mente ci conduce ad immaginare un individuo non simile alle altre persone che lo circondano e tutto questo avviene perchè la società considera il diverso colui che ha schemi mentali,compportamentali difformi dalla ''normalità''.Possiamo considerare diverso anche uno straniero per il colore della pelle,per la cultura e le sue tradizioni,quindi quando utilizziamo il termine diverso non intendiamo una persona necessariamnete affetta da menomazione( perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologoca ,fisiologica o anatomica)fisica o psichica ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche;a qusto punto voglio ricordare una bellissima danzatrice e pittrice Simona Atzori,la quale pur priva di braccia non si è mai arresa alle difficoltà della vita ma ha sempre combattuto per poter realizzare i suoi sogni portando con sè quel sorriso e quella gioia di vivere che non tutte le persone possiedono in quanto per lei ''vivere significa sorridere ''.E come ella stesso afferma ''se vogliamo esprimere noi stessi non ci sono limiti''. ''La bellezza delle cose nasce dalla mente di chi le osserva''David Hume.
    Lo scopo è quello di osservare la persona con deficit in una prospettiva nuova.Ad esempio nel caso di un non vedente ,la cecità è il suo deficit,e l'impossibilità di usare un normale monitor è l'handicap(condizione di svantaggio che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, tale svantaggio è conseguente a menomazione o ad una disabilità che in un certo soggetto impedisce o limita l'adempito del ruolo normale ).Bisogna avere il coraggio di guardare il mondo con occhi nuovi.........Nel corso della lezione con il Prof.Palladino mi ha colpito particolarmente una sua frase:''La persona non vedente quando sogna non vede il buio ma un mondo pieno di colori''.Rinchiusa nel mio piccolo mondo chiudevo gli occhi e cercavo di annullare il mondo che mi circondava e immaginavo nella mia mente un mondo dove potermi rifuggiare e dove tutto fosse più bello non accorgendomi che intorno a me vi sone cose che valga la pena di vedere come ci ha ricordato il Prof. Palladino,vedere il sorriso di un bambino,i fiori che nascono nel tepore caldo della primavera.La differenza tra lui e noi ,che lui non vede ma guarda con gli occhi del cuore mentre noi guardiamo ma non vediamo.

    Anna Maria Murdaca,docente e autrice, ha deciso di esplorare il mondo della persona con disabilità dando vita al testo ''Complessità della persona e disabilità'';tale testo tende alla riscostruzione di una nuova cultura della disabilità,alla rimodulazione del termine integrazione e alla comprensione delle reali condizioni di vita dei soggetti disabili.Secondo Anna Maria Murdaca la condizione di handicap è determinata dal contesto sociale in quanto sono gli ostacoli e le barriere architettoniche a favorire il processo di esclusione o quello di emarginazione.La stessa ICF sottolinea la grande importanza che l'ambiente svolge sulla vita delle persone in quanto può influenzare lo stato di salute e ridurre le loro capacità nello svolgere le mansioni che gli vengono richieste.L'autrice tende a creare un nuovo tipo di cultura che mira alla valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità;fondamentale nella cotruzione di questa nuova cultura è la tematica dell'integrazione che deve essere continua ricerca di soluzioni per preservare i diritti dei disabili . Lascioli sostiene che i pregiudizi e gl steriotipi fanno dell'handicap qualcosa per racchiudere i ''diversi'' in uno ''scarto dell'umanita'' ebbene Anna Maria Murdaca tende propio ad abbattere questi pregiudizi e mira come abbiamo detto in precedenza non solo all'integrazione ma anche all'emancipazione perchè bisogna ridare senso alla persona e alla sua storia ,ricordandogli continuamente l'importanza e l'unicità della sua storia,perchè ogni storia è unica e ogni persona ha qualcosa da raccontare ,in modo da convivere e accettare la propria specialità come sosteneva Jonas.In questo processo di integrazione fondamentale è il legame che viene a crearsi tra le persone,le famiglie e gli operatori in quanto la costruzione dell'identità della persona deve avvenire tra persone a lui rassicuranti.Nasce un nuovo modo di parlare di integrazione:''come condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità-autonomia,identità,potenzialità personali.In questo percorso di formazione dell'identità della persona di fondamentale importanza è la figura dell'operatore,dell'educatore ,il quale deve aiutare il disabile a comprendere che è parte di un progetto dove ogni singola persona è importante,eliminando maschere,disagi,scoprendo le forze resilienti(resilienza=una persona vincete nonostante le avversità)capaci di far superare le difficoltà insite nel profondo della personalità.
    Quando parliamo di relazione educativa non parliamo solo del rapporto che viene ad estaurarsi tra educatore/educando o tra docente/discente ma intendiamo anche quel legame che viene a stabilirsi tra madre/figlio dove ad essere educati non sono esclusivamente i bambini in quanto loro stessi molto spesso fungono da educatori per gli adulti.La relazione educativa è l'insieme dei rapporti sociali che si estaurano tra l'educatore e coloro che egli educa.Il rapporto educatore/educando è un gioco di dare e avere ,tale relazione deve essere incontro e scambio e non deve essere contrassegnata da una disparità di potere.L'educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce ,arricchendole di conoscenze.Molto spesso tra l'educatore/educando si viene a creare un legame molto specile,un legame basato sul dialogo e sull'ascolto che piano piano porta alla costruzione di un progetto di vita personale e originale.L'educatore deve essere sempre aperto al confronto e deve sopratutto essere in grado di mettersi in discussione e migliorarsi.In alcuni casi gli educandi sono persone con difficoltà,come tossicodipendenti,carcerati,ecc...;in questo caso la relazione educativa viene a stabilirsi tra una ''guida'' e una persona in difficoltà,la quale deve essere pronta a comprendere chi ha di fronte,le sue paure e le sue difficoltà che si trova ad affrontare all'interno della società.Quando le persone in difficoltà risultano essere bambini e ragazzi vediamo che essi tendono a rinchiudersi in se stessi e assumono atteggiamenti aggressivi nei confronti dei loro coetani,ma questi atteggiamenti non fanno altro che celare un loro bisogno d'amore e di affetto familiare.Nella relazione educativa con il disabile,l'educatore deve adottare programmi specifici per far emergere le doti del disabile portandolo su un paino di pari opportunità con i normodotati.La costruzione di una relazione educativa richiede tempo e impegno in quanto l'educatore deve imparare a conoscere la persona che ha difronte con lo scopo di rimuovere tutti quegli ostacoli che impediscono lo sviluppo;tale conoscenza avviene attraverso l'ascolto e l'accoglienza,dove accogliere significa lasciare spazio alla libertà dell'altro favorendo la nascita dell'identità personale.

    Non solo la società, come abbiamo detto in precedenza ,ostacola la nascita dell'identità personale ma attraverso quei suoi strumenti come la propaganda mediatica ci impone una cultura che pone al centro la tematica della bellezza e della perfezione corporea,caratteristiche che oggi come oggi tutte le donne devono possedere.Remaury nel testo ''Il gentil sesso debole''sostiene che tutti sono in corsa per la perfezione e desiderano giovinezza,bellezza e salute;tale perfezione può essere raggiunta solamente grazie alla scienza.Lipovetsky nel testo ''La terza donna'' ripercorre il cammino della donna che in un primo momento la descrice come colei che è sottomessa,svalutata,in un secondo momento diviene icona di virtù giungendo così finalmente alla nascita della terza donna, che racchiude in se i due momenti precedenti ,vista come colei che controlla e gestisce la propria immagine all'interno della variegata offerta di modelli sociali.L'intento dell'autrice è quello di sottolineare la parità dei sessi ma anche la loro diversità intrinseca.L'autrice Braidotti sottolinea l'importanza del rapporto corpo-mente e critica il ''divenire donna'' di Deleuze,caratterizzato da un movimento potenziale, che sia per le donne che per gli uomini permette di sottrarsi ai discorsi dominanti per sfuggire alle identità definite socialmente,in quanto per Braidotti la asimmetria dei sessi indica che c'è una radicale differenza tra donne e uomini sia per quanto riguarda il pensare che per l'atteggiamento nei confronti della storia e della politica.L'autrice propone alla donna di incarnare non solo la maternità,che diventa qualcosa di orribile per l uomo perchè porta alla trasformazione del corpo femminile,e la mostruosità ma di divenire macchina in modo da ridefinire sia le tecnologie attuali sia l'immaginario che le sostiene.Il vedere associata la figura della donna in maternità ad un mostro è qualcosa di assurdo in quanto associerei tale termine alle modelle anoressiche divenute per molti prototipo di bello.La modella anoressica è ''il femminile mancante'' dalle forme dis-umane.Il disprezzo del corpo e il corpo di ricambio sono due temi che si riferiscono a quelle che noi chiamiamo protesi estetiche.Secondo alcune correnti il modello di perfezione è quello di una macchina e i corpi non sono che macchine.Nel corso della storia il corpo femminile è stato sempre sottoposto a manipolazione per poter rispondere a quei canoni offerti dalla società; nel corso della lezione sulle protesi estetiche mi sono soffermata sulla tematica delle protesi al seno e sulle problematiche che esse molto spesso causano come ad esempio tumori al seno.Bisogna accettarsi così come si è.
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    Messaggio  Annamaria Bruno Dom Mag 06, 2012 2:45 pm

    1. Negli ultimi anni si è diffusa la volontà di adottare un linguaggio standardizzato, con le figure professionali che, si occupano di disabilità. La terminologia è cambiata grazie al sistema di classificazione utilizzato. La prima classificazione elaborata dall’organizzazione mondiale della Sanità (OMS), finalizzata all’osservazione e all’analisi delle patologie psichiche e comportamentali è “la classificazione internazionale delle malattie” (ICD) del 1970, che, risponde all’esigenza di cogliere le cause delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Tale classificazione focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che, rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati ( secondo lo schema eziologia-patologia-manifestazione clinica). Questa classificazione diviene una sorta di enciclopedia medica, rivelando ben presto limiti di applicazione. Per cercare di ovviare a questo problema di definizione, l’organizzazione mondiale della sanità (OMS), ha elaborato, nel 1980 una classificazione internazionale che, focalizza l’attenzione non solo sulla causa delle malattie, ma anche sulle loro conseguenze:” la classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH). Questa classificazione si basava su tre fattori tra loro interdipendenti: la Menomazione, la Disabilità e Handicap causata da una malattia.- La menomazione veniva definita come qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica e anatomica. Caratteristiche della menomazione sono anormalità che, possono essere transitorie o permanenti. Se il danno è causa di una limitazione, di una perdita delle capacità funzionali, tali da modificare negativamente l’attività del soggetto, la sua esperienza di vita ne risulta modificata in modo oggettivo.-La Disabilità, ossia l’incapacità, conseguente alla menomazione di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo e nell’ampiezza considerati” normali” per un individuo. La disabilità non è solo deficit, mancanza, privazione a livello organico e fisico, ma è una condizione che, va oltre la limitazione, che supera le barriere mentali ed architettoniche.- L’handicap è invece la situazione di svantaggio, conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che, in un soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, sesso e fattori socio culturali. L’importanza di questa classificazione risiedeva proprio nell’ammissione che l’handicap è un fenomeno sociale, culturale ed è strettamente causato da fattori ambientali e sociali. Infatti con l’ICIDH non si parte più dal concetto di malattia, ma dal concetto di salute, inteso come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale. La disabilità può portare all’handicap, ovvero allo svantaggio sociale che, si manifesta a seguito dell’interazione con l’ambiente. L’handicap a sua volta può avvenire in seguito a menomazione, senza comportare uno stato di disabilità permanente. Questo modello ha presentato molti limiti concettuali, in quanto il modello di disabilità era consequenziale: hai una malattia, quindi hai una menomazione, una disabilità ed un handicap. Numerose critiche di questo modello hanno portato l’OMS ad una revisione di questa pubblicazione del 1980. Milioni di persone soffrono a causa di una condizione di salute che, in un ambiente sfavorevole diventa disabilità. Usare un linguaggio comune e affrontare i problemi della disabilità in maniera multidisciplinare, diminuisce i danni di una vita persi a causa della disabilità. L’ICF: Classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute, è stato pubblicato dall’OMS e propone una definizione del concetto di disabilità innovativo rispetto alle precedenti classificazioni. Secondo questa classificazione, la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. La disabilità viene considerata come misura delle prestazioni che, l’ambiente esterno consente di espletare non più soltanto come caratteristica propria della persona, non si fa più riferimento alla menomazione o disabilità, ma alle funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione prestando particolare attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. L’ICF, non classifica solo condizioni di salute, bensì le conseguenze associate allo stato di salute e pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia, permette, quindi di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla. È molto importante una riflessione sulle parole disabile e diverso. Disabile: è quella persona che,non può svolgere le normali attività della vita quotidiana e che, spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate. La disabilità viene spesso confusa con la diversità, ma sono due termini carichi di significato. La Diversità è specificità. Il termine Diversabilità vuole porre in luce il fatto che, la persona disabile presenta delle disabilità, ma anche delle abilità diverse dagli altri, da scoprire, far emergere e potenziare. Per questo è più corretto parlare di diversamente abili, per non trascurare il valore della persona nella sua umanità, perché l’individuo disabile è una persona con una propria identità. La scelta delle parole fa fatta con ponderazione. Come scrive Canevaro: l’utilizzo di termini impropri può aumentare l’handicap anziché ridurlo. Il disabile viene spesso identificato come diverso e la disabilità come malattia, quasi fossero sinonimi. La disabilità non è una malattia, ma una condizione di vita che, non riduce assolutamente il valore e la dignità della persona. Oggi,non si riflette mai abbastanza sull’uomo come creatura perfetta,( nonostante le sue menomazioni) per effetto della perfezione di Dio che, ne è il Creatore. L’uomo non esiste solo come essere fisico, in lui c’è un’esistenza più nobile, quella spirituale. La mancata conoscenza sulla disabilità comporta un cattivo approccio ad essa. Un approccio pietistico di buonismo che, rende tutti uguali, ma che, inevitabilmente genera emarginazioni, perché tutti siamo diversi per caratteristiche, specificità, peculiarità. L’approccio più giusto che, contribuisce ad educare è quello di considerare la persona così com’è, considerando la disabilità una risorsa da cui poter attingere. Non si riflette mai abbastanza sul valore della diversità come valore aggiunto. La persona disabile è diversa perché ha proprie caratteristiche, qualità, abilità, competenze ed un bagaglio di sensibilità maggiore, capace di vedere oltre, senza fermarsi alle apparenze. Il disabile è un soggetto attivo, autonomo capace di amare, di esprimere sentimenti, di instaurare rapporti sociali e affettivi. La solidarietà, in ambito pedagogico non è fare la carità, ma emancipare la persona.

    2. Il testo” Complessità della persona e disabilità” di Anna Maria Murdaca, esperta di questioni relative alla disabilità; affronta i seguenti temi:la complessità della persona, l’inserimento del disabile, la relazione educativa, la globalità della persona. Secondo l’autrice occorre abbandonare l’ottica dell’inserimento e dirigersi verso l’inclusione. L’autrice parla di una nuova cultura della disabilità, attenta, non solo ai temi del funzionamento, del comportamento e dell’assistenza del disabile, ma anche al riconoscimento della persona nella sua dimensione olistica. Il testo mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione, alla comprensione delle reali condizioni di vita, quale ruolo possono assumere i disabili. L’obiettivo è quello di valorizzare la persona umana. L’Integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni idonee a preservare i diritti acquisiti dai disabili. Quando si parla di integrazione, non si fa riferimento ad un’astratta normalità, bensì al valorizzare al meglio le dotazioni individuali. Per quanto riguarda il concetto di Cura, si intende, Cura come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti, volta alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che, egli può diventare. Ogni disabile ha la sua storia. Il tutto è finalizzato a sollecitare nei soggetti disabili lo sviluppo di indipendenza ed emancipazione, valorizzare le modalità di apprendimento attraverso stili cognitivi individuali in contesti sensibili. Un’altra proposta del testo complessità della persona con disabilità è ripensare ad una società con spazi di formazione per soggetti disabili, i quali non sono soggetti passivi di pietismo, ma altrettanto responsabili di questa relazione. È opportuno riflettere su cosa sia la relazione educativa. La relazione educativa è un legame tra docente e discente, un legame che, produce apprendimento, interconnessione e così fusione delle conoscenze. Questa relazione deve essere incontro e scambio e mai disparità di potere tra insegnante e alunno. Una relazione educativa è anche uno scambio di emozioni tra i due. Alla base di una relazione educativa vi è la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all’accoglienza, all’ascolto costruendo un progetto di vita personale e originale. La capacità di coinvolgimento personale nella relazione educativa è parte costitutiva della professionalità dell’educatore. L’educatore è una professione di grande spicco morale. L’educatore scrive nell’anima delle persone. Dunque la relazione educativa non può ridursi ad un semplice “dare” e “avere”. La relazione educativa, rappresenta il modo attraverso il quale le intenzioni educative diventano risultati educativi, è un insieme di azioni eseguite in vista di un fine, valide solo quando tra educatore ed educando si instaura una relazione interpersonale. Quando non c’è relazione interpersonale, non c’è la possibilità di dare seguito alle intenzioni educative. Ciò che, maggiormente lascia un’impronta nell’educando è l’entusiasmo, la vicinanza, la flessibilità personale, la comprensione, l’empatia e il senso di giustizia dell’insegnante. La professione dell’educatore, dell’insegnante, contiene una forte tensione etica, come servizio alla persona nella sua crescita., nello sviluppo di tutte le sue potenzialità. L’essere educatore comporta la consapevolezza di svolgere un’attività rivolta all’uomo in quanto persona nel senso più completo del termine. Un’attività di formazione della persona considerata nella sua integralità. Nei rapporti interpersonali prende forma la”comunicazione in umanità” che, si realizza pienamente quando entrambi sono consapevoli del valore incondizionato della persona dell’altro, della sua dignità.

    3. Oggi risulta molto difficile accettare, comprendere e convivere con la disabilità, perché accettare i disabili significa accettare tutti gli altri, con le loro caratteristiche, valori, fede, cultura. Oggi, infatti si fa fatica ad accettare l’uomo che non corrisponde al predominante modello culturale dell’uomo perfetto. Sono molti i casi di emarginazione, di bullismo nei confronti di chi viene considerato “diverso”, perché non rispondente ai canoni culturali vigenti. Così l’uomo per saziare la sua fame di perfezione si affida a questi sistemi di miglioramento estetico, vere e proprie protesi estetiche, trasformando il suo corpo fino a renderlo mostruoso. La bellezza e la perfezione, ad ogni costo, sono ormai una cultura che, domina e influenza la mente umana, dissolvendo la vera e prima verità dell’uomo, lasciando così, il posto a queste bassezze. La cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza che, nella società mass-mediologica è di primaria importanza nella scala dei valori. Bellezza e bruttezza sono concetti antitetici. La propaganda mediatica, suggerisce, i canoni della bellezza e della perfezione corporea. Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che, la donna deve possedere a tutti i costi. Remaury, nel Il gentil sesso debole dice che, siamo orientati verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. La liberazione della terza donna, celebrata da Lipovetsky, nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti che, obbligano a percorrere la strada del corpo perfetto. Il controllo della propria immagine, conduce la donna verso il corpo realizzato, prodotto attraverso il conseguimento di bellezza e salute. Molto significativa questa frase di Baudrillard: “Analizzando la società dei consumi, l’unico cambiamento è prospettico: prima il corpo doveva servire, ora è l’individuo ad essere al servizio del proprio corpo”. Ancora Lipovetsky ritorna ad argomentare la condizione femminile; dicendo che, un corpo è liberato e perfetto quando si svincola dalle minacce esterne. Ad esempio, la liberazione dalla malattia, dal peso, dal tempo e dunque, di conseguenza corpo sano, corpo magro, corpo giovane. Tutto questo sembra una lotta che, vede l’uomo come protagonista che, vuole liberarsi da tutte quelle leggi naturali della Creazione, per ottenere un corpo che, terrà l’uomo stesso schiavo della materialità. Fatema Mernissi, osserva che, l’occidente è vittima della taglia 42, quella perfetta per eccellenza. Quelle che non si adeguano finiscono con il sentirsi umiliate. La magrezza come femminile mancante, in quanto magrezza non è bellezza. L’anoressia è divenuta il modello di una nuova femminilità. La magrezza imposta come un plusvalore. Concludiamo apportando una breve analisi di Rosi Braidotti dal suo testo: Madri, Mostri e Macchine. La Braidotti si oppone alla “inflazione discorsiva intorno alla materia corporea” e dice va ripensato il rapporto corpo-mente. In quest’ambito la psicoanalisi è uno strumento importante, per liberare il corpo da questo dualismo. Scrive ancora, la Braidotti che: <ciò che accomuna tutte le diversità è la distanza di quei corpi dalla normalità: il loro essere stati visti da sempre come mostruosi, come deformi rispetto alla normalità che, rappresenta “il grado zero della mostruosità”> Nel desiderio sfrenato di essere” l’altro” risiede la forza della mostruosità. La donna, capace com’è di deformare il proprio corpo, diventa nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre al contempo. È a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina prestandosi <al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l’immaginario che le sostiene> Creare un legame con il femminismo e tecnologia, giocare con l’idea di un corpo-macchina è certamente un rischio e non dà alle donne la certezza di uscire vincitrici da questa sfida, anche se <il gioco ormai è ben avviato e la marcia dei nuovi soggetti mostruosi mi pare inesorabile e soprattutto allegra, nel desiderio prorompente di uscire dall’immaginario putrefatto del vecchio patriarcato: un immaginario che la bellezza non l’aveva proprio concepita.> Le protesi come miglioramento: argomento molto attuale, in un mondo in cui l’apparenza, la bellezza esteriore giocano un ruolo fondamentale. Sono contraria alle protesi estetiche, anche se in alcuni casi giustifico questi trattamenti. Conosco una persona che, ha rifatto il naso, perché viveva questo suo difetto come una tortura, era divenuto per lei un complesso esistenziale. In questi casi, sono favorevole a trattamenti che possono aiutare la persona a vivere meglio. Abolisco, invece, tutte quelle modificazioni estetiche, come: liposuzioni a labbra, seno, glutei, per me tutto questo è come violentare il proprio corpo. Nel libro La mostra delle atrocità, James Ballard racconta della moglie di un noto chirurgo plastico: la donna aveva rivelato che, per tutta la durata del loro matrimonio, il marito le aveva costantemente modificato viso e corpo, aggiungendo soddisfatta: “non mi lascerà mai, perché può cambiarmi quando vuole”. Non è questo amore che si innamora dell’eccezionalità dell’altro, ma è amore per un corpo che, diventa strumento di piacere. È forse ripetitiva la frase: la vera bellezza è quella dell’anima, ma è invece, secondo me la più grande verità: la bellezza di coltivare valori e virtù nobili che, fanno bella l’anima e questa bellezza si rispecchia inevitabilmente nel volto, nei modi, negli atteggiamenti della persona. È cosa buona, anzi è un dovere curare la propria bellezza esteriore, apparire piacevole. San Francesco di Sales, nel suo libro Filotea scriveva: la cura della propria bellezza esteriore rispecchia il proprio decoro interiore. Concludo questo mio lavoro con una frase di Seneca: “Nessuno che sia schiavo del suo corpo è libero”.
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    Messaggio  maria11 Lun Mag 07, 2012 2:39 pm

    L’OMS ovvero l’organizzazione mondiale della sanità nel 1970 ha elaborato “la Classificazione Internazionale della Malattia” siglato ICD nata proprio con l’intento di cogliere la causa delle patologie, infatti tale classificazione, era una vera e propria enciclopedia medica, perché forniva la diagnosi tradotte in codici numerici. Col passare del tempo, ci si rese conto che l’ICD non era idonea, perché in primis classificava la disabilità come patologi clinica e poi perché questi codici numerici non erano comprensibili a tutti. Per risolvere questo problema, l’OMS nel 1980 ha definito “l’International Classification of Impariments, Disabilities and Handicaps” siglato ICIDH, la quale si basava sulla:
    • Menomazione: qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica, anatomica.
    • Abilità: ciò che la persona diversabile può fare senza difficoltà VS Disabilità: qualsiasi limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività considerati normali per un essere umano.
    • Partecipazione: porre maggiore attenzione alla capacità del soggetto o alle sue possibilità di coinvolgimento sociale, perché una persona può essere menomata senza essere disabile e disabile senza essere handicappata.
    Però col tempo ci si è resi conto che questa forma di classificazione non forniva sempre lo stesso linguaggio per la medesima malattia, allora nel 2001 l’OMS propone una nuova classificazione ovvero l’ICF “ Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute”. Questa è una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona ed utilizza un linguaggio standard ed unificato.
    Con questo tipo di classificazione e termini Menomazione, Disabilità, Handicap vengono sostituiti con: funzione, strutture corporee, attività e partecipazione; con l’intento di prestare maggiore attenzione alla persona.
    Come si suol dire le parole, in alcune circostanze, feriscono più dei gesti. Bisogna, infatti, usarle con cautela. Come scrissi in un mio commento le parole sono molto importanti e non bisogna utilizzarle impropriamente, oppure usarle per il semplice gusto di dire qualcosa…. Maggiormente poi, quando queste parole si riferiscono a tematiche molto ma molto delicate. Usarle impropriamente si rischia di toccare la sensibilità di chi ci sta di fronte!!!! Durante la medesima lezione abbiamo visionato un film all’interno della quale c’era una frase che secondo me racchiude tutto il significato del concetto di diversità ed è la seguente: TU TI CONSIDERI UN UOMO DI COLORE, IO INVEDE SOLO UN UOMO. Da questa frase possiamo evincere con chiarezza come due uomini, che magari hanno anche le stesse origini, si considerano diversi (in senso negativo) solo perché hanno una diversa visione del mondo. È ancora più stupefacente, poi, considerare divere persone che hanno avuto la sfortuna di non avere funzionante una parte del proprio corpo, come ad esempio Pistorius oppure l’Atzori!!!! Anna Maria Murdaca, autrice del teso “Complessità della persona e disabilità”, s’imbatte in alcune tematiche quali l’integrazione, la complessità e umanità della persona, l’inclusione e l’inserimento del disabile, la cura e le relazioni educative ecc… In questo testo infatti, ella, afferma che bisogna abbandonare la logica dell’inserimento sancita dalla legge 118 del 1971 e dirigersi verso l’inclusione , adottando invece l’ottica della globalità secondo la quale una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzar i tempi del funzionamento, del comportamento e/o dell’assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica, che può essere disorganizzata da errate interazioni tra sistema biologico, psico-intellettivo, affettivo, relazionale e sociale. Questo perché l’obiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e dell’identità. Per cui l’integrazione è un processo continuo non un punto d’arrivo, infatti non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione, perché si tratta di persone e soprattutto quando si parla di persone con disabilità; bisognerebbe avere sempre ben in mente che ogni disabile ha la sua storia. In qualsiasi relazione educativa avviene uno scambio dove si da, ma si riceve anche. Il futuro educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, arricchendole di conoscenza. Alla base di queste relazioni vi è il rispetto, ma vi è anche uno scambio di emozioni. In un mio commento riportavo brevemente la mia esperienza di educatrice di un gruppo di ragazzi di Azione Cattolica e dicevo appunto che è importante instaurare una relazione con i ragazzi come nel mio caso. Però è anche importante l’approccio che noi educatori abbiamo. Durante questa lezione, infatti, la prof ci ha detto che l’educatore non è colui che risolve i problemi, ma è colui che si pone accanto al ragazzo, con l’intento di farlo crescere magari aiutandolo a riflettere quale scelta prendere per intraprendere un giusto percorso di vita. A mio avviso l’educatore è come quel bicchiere che è sempre colmo d’acqua a tal punto che essa straripa fuori di esso; per cui l’educatore è quella persona in continua formazione per poter lasciare quante più cose possibili nel cuore e nella vita di ogni ragazzo e in generale persona…. Tutto questo però deve avvenire attraverso la testimonianza, cioè testimoniandolo tutti i giorni con la propria vita…. O per lo meno è quello che sento io in qualità di educatrice, sento infatti, il peso di una responsabilità (in senso positivo) di testimoniare tutto ciò con la mia vita e di pormi nei confronti di questi ragazzi come una guida… una guida che riesce a rendere visibile l’invisibile…durante questa lezione facemmo anche una simulazione all’interno della quale emergeva una netta distinzione tra i cosiddetti normali e gli emarginati e la mia prima sensazione è stata quella d’infelicità, angoscia, inutilità, poiché nella mia vita parto sempre dal presupposto di non bastare mai a me stessa ma di fare sempre qualcosa per gli altri!!!! Il contesto culturale è un elemento determinante per far scaturire in noi alcuni ideali, convinzioni, aspettative ecc… infatti le nostre menti sono bombardate da numerosi messaggi “negativi” provenienti da riviste, televisione, radio, mezzi multimediali…. Il corpo perfetto, infatti, è diventato l’ideale di riferimento per emergere nella vita.
    Remaury, nel suo testo, parla proprio dei canoni della bellezza che si presentano in ognuno di noi in un unico obiettivo: Giovinezza- bellezza- salute.
    Lipovetsky nella sua opera, propone una fase positiva della cultura e della bellezza, basata sull’apparente acquisizione di grazia.
    Rosi Braidotti, nella sua opera “Madri Mostri e Macchine” s’interroga sulle modalità d’iscrizione del corpo femminile nell’orizzonte fluido, della discorsività postmoderna.
    Come appunto dissi durante una lezione riguardante proprio le protesi estetiche secondo me non esiste un modello di bello, infatti, a tal proposito, c’è anche un detto popolare che dice NON E’ BELLO CIO’ CHE E’ BELLO MA E’ BELLO CIO’ CHE PIACE!!!! Questo è per far capire che sono io che scelgo, sono io che ritengo bello tutto ciò che rientra nei miei canoni di bellezza che sono miei e possono essere diversi dagli altri…
    Diana Autiello
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    Messaggio  Diana Autiello Lun Mag 07, 2012 6:02 pm

    ESERCIZIO 1
    L’ICD è la prima classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, proposta nel 1970 dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). L'ICD è uno standard di classificazione per gli studi statici ed epidemiologici, nonché valido strumento di gestione di salute e igiene pubblica, in quanto sono classificate oltre 2000 malattie. Tale classificazione risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Una sorta di enciclopedia medica, nella quale vi è una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale, implicando un notevole cambiamento dal punto di vista e nell’atteggiamento assunto nei confronti dei soggetti con un deficit. Nel 1980 l’OMS pubblicò un primo documento dal titolo: International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap (ICIDH). In tale pubblicazione veniva fatta l’importante distinzione fra: "menomazione" che veniva definita come "perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psico-logica, fisiologica o anatomica"; "disabilità" come "qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano e "handicap" come la "condizione di svantaggio conseguente a una menomazione o a una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, al sesso e ai fattori socioculturali. L’aspetto significativo del primo documento OMS è stato quello di associare lo stato di un individuo non solo a funzioni e strutture del corpo umano, ma anche ad attività a livello individuale o di partecipazione nella vita sociale. Il secondo documento dell’ OMS è stato chiamato International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF). Già questo titolo è indicativo di un cambiamento sostanziale nel modo di porsi di fronte al problema di fornire un quadro di riferimento e un linguaggio unificato per descrivere lo stato di una persona. Non ci si riferisce più a un disturbo, strutturale o funzionale, senza prima rapportarlo a uno stato considerato di "salute". La classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute è stata introdotta, perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica, seppure importanti, non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona, vale a dire che cosa quella persona è in grado di fare e quali sono invece le attività nelle quali ha difficoltà.. L’ICF rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario e dei settori della sicurezza sociale, delle assicurazioni, dell’istruzione, dell’economia, del lavoro. Adottandolo si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa. Gli ambiti in cui si può utilizzare l’ICF sono: sanitario, sociale, educativo, ricerca, statistico e politica sociale e sanitaria. Il modello ICF proprio perché sostiene che la persona è la risultante dell’interazione tra i diversi settori, offre una prospettiva unitaria e globale delle potenzialità e dello stato di salute inseriti in un contesto definito, consentendoci di individuare i livelli di qualità del funzionamento e i bisogni della persona. In uno dei laboratori svolti in classe abbiamo prestato attenzione alle parole e di come due parole diverse ma con lo stesso significato posso cambiare l’intera frase. Parole dette, parole pronunciate sottovoce, parole scritte, parole che restano. Il linguaggio è una delle forme primarie di comunicazione. Grazie alla parola gli uomini possono comunicare ed entrare in relazione tra loro. La parola ci svela all'altro creando una relazione di reciprocità. Abbiamo bisogno di comunicare e perciò abbiamo bisogno di parlare, di pronunciare parole, ma dobbiamo anche essere molto attenti alle parole. Esse possono ferire, perchè vanno dritto al cuore. Esse non smettono mai di vagare nella nostra testa, perchè abbiamo una memoria che non ci fa dimenticare le cose che fanno male. "Un linguaggio diverso è una diversa visione della vita", come disse Federico Fellini. Persone con disabilità o in situazione di handicap, sono prima di tutto persone e come tali meritano rispetto, sopratutto in un mondo dove la dignità delle persone viene calpestata, essi meritano di essere tutelati. L'esercizio svolto in classe può essere un'ulteriore passo verso un'accuratezza maggiore ai termini, e alla comprensione, almeno in piccola parte, di problematiche del genere.
    ESERCIZIO 2
    Anna Maria Murdaca, docente e autrice di “ complessità della persona e disabilità”, affronta in questo testo tematiche come: integrazione, complessità, inclusione e inserimento del disabile, le capacità funzionali; tutte queste tematiche che conducono l’autrice in discorsi come:
    -ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    -rimodulazione del termine integrazione
    -comprensioni delle reali condizioni di vita di una persona disabile
    Secondo Murdaca, bisogna prima di tutto adottare l’ottica della GLOBALITA’, una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento, del comportamento e dell’assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione; in pratica bisogna soffermarsi sulla complessità della persona con disabilità: la sua integrazione, in ambito educativo, linguistico e corporeo, le cause socioculturali della marginalità sociale. L’obiettivo principale è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità. L’integrazione dev’essere un processo continuo non un punto di arrivo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili. Inoltre non si fa riferimento più ad un astratta normalità, bensì al valorizzare al meglio le dotazioni individuali; non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione, perché si tratta di persone, e si caratterizzano per capacità non per quello che non sanno fare. A favorire l’integrazione vi è: la relazione educativa. L'educazione con il tempo è molto cambiata. Prima la figura dell’insegnante era molto più autoritaria e rispettata e la lezione tra docente e discente era passiva; cioè il docente spiegava e il discente apprendeva senza poter intervenire. Con il passare degli anni la lezione è passata da passiva ad attiva ed è caratterizzata dal dialogo, è una lezione sopratutto frontale. Attualmente l'insegnante ha il compito di guidare l’alunno con le sue esperienze e con la sua cultura non solo nell’acquisizione di nozioni. L’obiettivo dell’insegnante va oltre la semplice lezione; il suo compito è anche quello di mettere ordine alle conoscenze e alle esperienze che l’alunno fa nell’ambiente circostante, specialmente nel caso in cui queste influenze non siano educative. Diciamo che il docente prende le veci dei genitori quando essi non ci sono, oltre che a svolgere il mestiere dell’insegnante. Il compito del docente si è diversificato con gli anni; hanno maggiori responsabilità e per svolgere in modo efficace il proprio ruolo è necessaria, oltre la preparazione teorica, la conoscenza dei principi di base della comunicazione, sia nel gruppo-classe sia nella relazione con dirigenti e famiglie. Questa conoscenza permette inoltre di gestire in modo adeguato le situazioni di conflitto che si verificano tra i vari sistemi scolastici. Inoltre la presenza del bambino disabile in classe richiede conoscenze teoriche adeguate non soltanto da parte dell'insegnante di sostegno, ma di tutta l'équipe docente. L'insegnante può avere un ruolo importante non soltanto per la gestione della disabilità, ma anche per la sua individuazione precoce. Inerente all'argomento trattato è il film: "l'attimo fuggente" che mostra come i professori che lasciano qualcosa di importante nella vita non sono quelli laureati con i più grandi meriti,che spiegano la paginetta e basta,ma quelli in grado di farti appassionare alla materia e farti nascere delle passioni che ti distingueranno dal mondo. Un film che rimane impresso nella memoria. Un film che invoglia a seguire le orme degli studenti, di cogliere l'attimo prima che questo fugga via. Un film che incoraggia l'uomo a seguire i propri sogni, anche quando sembrano irraggiungibili; "Solo nei sogni l'uomo è libero, così è, e così sarà per sempre", afferma il professor Keating (Robin Williams). Un film magnifico.
    ESERCIZIO 3
    Remaury con il testo “Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute” afferma che la cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza, che nella società mass-mediologica è di primaria importanza nella scala dei valori. Nelle rappresentazioni della femminilità, quindi la bellezza è associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla; il suo miglioramento fisico ed estetico è l’adempimento dei suoi bisogni. Mentre Lipovetsky nel suo libro “La terza donna” afferma che la donna ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull’apparente acquisizione di grazia, in pratica la donna è divenuta colei che controlla e gestisce la propria immagine all’interno della variegata offerta di modelli sociali, tra i quali sembra poter scegliere quello che le è più congeniale. Braidotti con il testo “Madri mostri e macchine” afferma che la donna , capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre al contempo. Inoltre Braidotti propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina, creando un legame con la tecnologia.
    Io penso che in quest'era dove tutto ormai è basato sulla bellezza estetica, credo sia difficile non cadere nella tentazione del bisturi e se prima era una tendenza solo femminile; oggi tocca tutti di qualsiasi sesso e età. Più che una necessità, è diventata moda. E come tutte le mode tocca essere al passo con i tempi. Prima si ricorreva alla chirurgia quasi esclusivamente per problemi, oggi anche per piccoli inestetismi, rendendo tutti uguali tra loro, stessi zigomi, stesse labbra; come se fossero clonati.
    Personalmente non sono contraria all'uso della chirurgia, ma credo che non se ne debba fare un abuso. Ci si deve accettare con i piccoli difetti, invecchiare consapevoli del fatto che la vecchiaia non è sintomo solo del corpo che si trasforma ma anche di maggiore saggezza ed esperienza, usare quindi questo aspetto come lato positivo della nostra vita.
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    Messaggio  Laura testa Mar Mag 08, 2012 12:40 am

    1)Prima di parlare di “persona con disabilità”,si necessita di sottolineare alcune importanti definizioni. L’OMS(Organizzazione Mondiale della Sanità)ha elaborato nel 1970 la prima classificazione internazionale delle malattie o ICD. È una classificazione che risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie,fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Avvicina le disabilità alle patologie cliniche,realizzando una sorta di enciclopedia medica. Secondo alcuni studi,l’ICD si è sviluppata come classificazione pratica più che teorica,nella quale vi sono una serie di compromessi tra classificazioni diverse,infatti è possibile riscontrare ciò, nella sua struttura. Preferibilmente,le condizioni sono classificate in uno dei settori relativi ai “ gruppi speciali “ poiché ciò fornisce maggiori informazioni per le finalità statistico – epidemiologico. Nel 1980 l’OMS ha messo a punto una classificazione internazionale,detta brevemente ICIDH, per cercare di risolvere il problema di definire patologie. Nel 2001 l’OMS pubblica il manuale di classificazione ICF e propone una definizione del concetto di disabilità,inteso come una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Tale classificazione pone come centrale,la qualità di vita delle persone affette da una patologia;inoltre considera qualsiasi disturbo in termini di modificazione funzionale associato a condizioni di salute a livello del corpo della persona e della società. Non classifica solo condizioni di salute e malattie che sono di interesse dell’ICD,ma anche le conseguenze associate alle condizioni di salute;l’IDC-10,ad esempio,fornisce la diagnosi di una descrizione del processo e della eziologia della malattia. A tal proposito ritengo utile e necessario sottolineare l importanza della decima revisione della classificazione ICD,ovvero l’ICD-10,da me affrontata in studi precedenti. L’ICD-10 è la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati,proposta dall’OMS. Sono classificate in essa oltre 2000 malattie. La strategia generale,alla base dell’ICD-10,è di sviluppare”una famiglia di classificazioni di malattie e problemi correlati alla salute”,costituita da una classificazione principale ed una rete di classificazioni relativa ad aspetti specifici quali:la nomenclatura internazionale delle malattie,gli adattamenti specialistici,un supporto informativo per assistenza sanitaria ed altre classificazioni correlate alla salute come:menomazione,disabilità,handicap. Nel manuale di classificazione ICF,i termini: MENOMAZIONE ( qualsiasi perdita a carica di una struttura o di una funzione psicologica,fisiologica o anatomica), DISABILITA’ (qualsiasi limitazione o perdita della capacità di compiere un attività considerata normale per un essere umano,o meglio,l incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti),HANDICAP (difficoltà che la persona don disabilità affronta nel confronto con gli altri,i disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o di capacità),vengono sostituiti da termini come: FUNZIONI,STRUTTURE CORPOREE,ATTIVITA’ E PARTECIPAZIONE;con l intento di attribuire maggiore attenzione alle capacità del soggetto disabile e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. L’obbiettivo fondamentale è quello di integrare l individuo disabile all’interno di un contesto sociale,in modo che egli venga percepito come soggetto attivo. La disabilità deve essere analizzata come fattore sia personale che sociale;esistono anche persone con disabilità,che non si sentono tali ma che vengono etichettate ricevendo atteggiamenti e sguardi di pietismo. Secondo Lascioli ,ne testo “Handicap e pregiudizio”,l’handicap si esprime con atteggiamenti individuali e collettivi di emarginazione nei confronti dei “diversi”. Tale concetto è visibilmente espresso in uno dei video visto in aula. Il video riguardava un servizio realizzato nel 2007 dalle Iene,dove erano esplicite le difficoltà che un disabile affronta ogni giorno. Un disabile incontra ostacoli ogni qualvolta chiude la porta della propria casa;ostacoli creati dalla società stessa dovuti a servizi e tecnologie non funzionanti,ed ostacoli morali da parte di addetti a servizi pubblici ,i quali nel video pubblicano il loro disinteresse e la loro mancanza di sensibilità nei confronti di un soggetto disabile. Per questo motivo si necessita che il termine “disabile”venga sostituito dal termine”diversabilità o diversamente abile”,in modo da considerare tale soggetto come una persona che ha,oltre che una dis-abilità,anche un abilità. Infatti l’idea di diversabilità nasce dall’esigenza di non trascurare il valore della persona nella sua essenziale umanità.

    2)” Non si deve definire nessuno per sottrazione” (Anna Maria Murdaca).

    Anna Maria Murdaca nel testo “Complessità della persona e disabilità”,mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità,cioè una cultura che sia attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento,del comportamento e dell’assistenza del soggetto disabile ma,anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione che può essere disorganizzata da errate interazioni tra sistema biologico,psico-intellettivo,affettivo,relazionale e sociale. Inoltre la Murdaca mira alla rimodulazione del termine integrazione,dove per integrazione si intende un processo continuo e non un punto di arrivo. Una continua ricerca di soluzioni,di strategie idonee a preservare diritti acquisiti dei disabili,rivoluzionari solo in teoria e non in pratica. Secondo il documento del Miur,l’integrazione è intesa come”astratta normalità”,ossia,”propensione all’uniformità,cioè al valorizzare al meglio le dotazioni individuali”. L’obbiettivo è quindi,la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità. Differenze e diversità che spesso vengono ignorate all’interno di un contesto sociale. Anna Maria Murdaca suggerisce,che è proprio il contesto sociale a determinare le condizioni di handicap,sono gli ostacoli e le barriere fisiche ,a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. Per questo motivo l’ICF sottolinea l importanza di valutare l influenza dell’ambiate sulla vita degli individui. La società,la famiglia possono influenzare lo stato di salute,ridurre le capacità di svolgere compiti che vengono richiesti e porci in una situazione di difficoltà. La famiglia,in quanto prima agenzia educativa e di socializzazione,si dovrebbe liberare dalla percezione di impossibilità di miglioramento della situazione psicofisica di un figlio/a disabile. Anche gli insegnanti dovrebbero imparare a guardare oltre la scuola ed aver maggiore sensibilità disponibilità d’ascolto in modo da contribuire a sviluppare una buona integrazione e buone capacità e competenze nell’alunno disabile. La Murdaca sostiene che la vera novità è ,che non si mira più all’accudimento ma all’emancipazione del soggetto disabile. Inoltre occorre costruire una serie di attività per rendere significativa la presenza dei disabili attraverso buone prassi didattiche. In particolare,ci si riferisce all’idea che non basta l educazione classica,ma l’idea della “fantasia ermeneutica” dell’educatore che consentirà la crescita della persona in tutte le varie dimensioni e il senso di appartenenza della comunità educatrice. La relazione educativa è uno spazio ripartivo nel quale il disabile con gli educatori,con gli insegnanti,sperimenta una serie di situazioni,di vissuti emotivi-affettivi,che vengono elaborati,proiettati e ricostruiti,in modo da progettare opportunità per il disabile;al fine che egli stesso ripensi al proprio stato,alle proprie capacità,eliminando blocchi,disagi e superare le difficoltà nel profondo della personalità. È proprio questo l’obbiettivo ultimo del testo “Complessità della persona e disabilità” di A.M. Murdaca: comprendere le reali condizioni di vita,quale ruolo effettivamente possono assumere i soggetti disabili e quali servizi vengono erogati per le loro esigenze. In questo caso è possibile richiamare l’attenzione su due situazioni affrontate in aula,in due simulazioni diverse. La prima “le barriere architettoniche” ,la seconda “la relazione tra educatore-educando”. Entrambe,ci hanno fatto riflettere su come e quanto il contesto sociale può aiutare ma anche “impedire” al disabile,di prendere coscienza e al tempo stesso di “sorvolare” sulla sua disabilità;nel senso che spesso,il contesto sociale è “barriera fisica-morale” che tende a marcare la disabilità di un soggetto. Ed è in questi casi che “la relazione educatore-educando” assume una valore “vitale” per il disabile;in quanto l educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione,le difficoltà e la poca autostima del soggetto ,e mettere in atto programmi per far emergere le doti del disabile, ponendolo su un piano di pari opportunità con i normodotati.

    3)Il contesto culturale nel quale siamo inseriti è un elemento determinante per la formazione degli ideali,delle convinzioni e delle aspettative degli adolescenti. Le fonti prime di informazione,quali riviste,TV e mezzi multimediali,sono sempre fondate sul mondo dell’apparenza e non su contenuti e messaggi costruttivi. Numerosi studi,indicano che questi mezzi giocano un ruolo fondamentale nei problemi legati all’immagine corporea negativa,al modo scorretto di alimentarsi. La magrezza è”glorificante” mentre la corposità è “non salutare”. Ecco quindi la necessità di insegnare a leggere in modo intellegibile ed accurato i messaggi dietro i quali non si cela solo un imbroglio ma viene marcato il bisogno e la necessità di aderire a quel canone per aver successo e per essere apprezzati. Le donne cercano nei media una risposta,percepiscono questi messaggi come informazioni utili e vitali per poter raggiungere il successo,per poter rispecchiare la perfezione e di conseguenza per essere “accettate” nella società. Remaury ,Lipovetsky e Rosi Braidotti,sono autori che hanno argomentato e preso in considerazione il concetto di donna e tutti gli aspetti che esso comporta. Remaury nell testo “il gentil sesso debole” afferma che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione,abbiamo un triplice obbiettivo: giovinezza-bellezza-salute. La donna se vuole apparire deve continuare a prendersi cura di sé,della sua bellezza e giovinezza. Egli sostiene che,il “corpo esatto” è quel corpo dominante nel prototipo di bellezza mentre il “corpo trasfigurato”,è legato all’immagine della perfezione corporea. In pratica,il corpo deve ascendere faticosamente ma inesorabilmente la scala della perfezione grazie ai progressi della scienza. “il corpo liberato” lo è dalla malattia,dal peso e dal tempo,obbligatoriamente perfetto;la liberazione de”la terza donna” celebrata da Lipovetsky ,nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati” dalla malattia cioè sano,dal peso cioè magro,dal tempo cioè giovane”; per cui,la donna oggi,è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto. In fine, Rosi Braidotti nel testo”Madri mostri e macchine”definisce la donna,e quindi il corpo femminile,come capace di deformarsi nella maternità,diventando nell’immaginario maschile come qualcosa di orribile: MOSTRO-MADRE. Ed è proprio a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare,oltre la maternità e la mostruosità,la macchina. Un corpo-macchina,quindi che è rischioso e che non dà sempre alle donne la certezza di uscire vincenti da questa sfida,ma che comunque rende “allegri e fieri quei corpi putrefatti del vecchio patriarcato”. Un corpo materno che viene modificato secondo”norme” di bellezza previste e imposte dalla società. La cura per un corpo naturalmente modificato e quindi considerato “mostruoso” è la tecnologia;che talvolta viene utilizzata,semplicemente e superficialmente,per migliorare il proprio corpo e non per esigenze fisiche concrete;ci si riferisce per questo,alle protesi estetiche,che una volta inserite all’interno di un corpo,trasformano e “idealizzano” quel corpo stesso. Il messaggio che viene trasmesso e maggiormente sentito all’interno di questa società sempre più tecnologica,è che ormai non si può essere più brutti,vecchi e malati. Quando si usa e si abusa della chirurgia estetica,non è tanto il corpo che si rovina,ma la possibilità di riconoscersi nel proprio corpo,di stare bene con sé stessi. In fondo è il nostro corpo che ci dice chi siamo;è il corpo di una donna che racconta la sua storia. Un bisturi può cambiarla ma non di certo,renderla unica.
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    giuseppina tramo


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    Messaggio  giuseppina tramo Mar Mag 08, 2012 10:16 am

    Quando si parla di disabilità bisogna fare molta attenzione all’uso dei termini , soffermiamoci a riflettere e dare importanza alle parole. Si fa confusione tra deficit, disabilità ed handicap, senza pensare che l’utilizzo di termini impropri o il fare disordini linguistici possono far aumentare l’handicap, invece che ridurlo. Nel 1970 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), elabora una prima classificazione ,” la classificazione Internazionale delle malattie” o ICD , che risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, attribuendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibili la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. Negli anni 80,poi, l’Oms si allontana da questo tipo di classificazione per introdurre un’altra classificazione internazionale l’ICIDH. Questa nuova proposta si basa su tre fattori tra loro interdipendenti: MENOMAZIONE, DISABILITà ed HANDICAP. Verranno ad essere sostituiti dai termini: menomazione, abilità e partecipazione con maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. Si nota il cambiamento e la riflessione all’uso delle parole nel campo della disabilità. Per menomazione si intende qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura psicologica, fisiologica o anatomica. è menomazione un danno organico, una patologia che comporta una non formazione congenita o un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo. Per disabilità ,invece, si intende qualsiasi limitazione o perdita conseguente a menomazione delle capacità di compiere un'attività nel modo considerati normali per un individuo. L'esteriorizzazione della causa psico-biologica di una disfunzione dà vita ad una disabilità che corrisponde all'incapacità, conseguente alla menomazione, di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti. la disabilità non è solo deficit, mancanza, privazione a livello organico o psichico ma è una condizione che va oltre la limitazione che supera le barriere mentali e architettoniche. Una persona disabile nel suo vivere quotidiano incontra molti ostacoli e barriere che non gli permettono di vivere una vita, per così dire, normale. Nel loro paese una semplice commissione può risultare una missione impossibile. Si pensi al fatto di prendere il treno,come poter attraversare da un binario all'altro,andare in farmacia,fare una passeggiata,o addirittura uscire da casa. Il normale svolgimento delle proprie attività è ostacolato dalla mancanza di strutture adeguate e addette , anche se queste ci sono, non funzionano. è il contesto ambientale in cui vive la persona disabile, quindi, a determinare la condizione di handicap. L'handicap è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri,il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o di capacità, la condizione di svantaggio conseguente a una menomazione o ad una disabilità che in un certo soggetto impedisce l'adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all'età, o al sesso. Nel linguaggio comune i termini "deficit" ed "handicap" vengono assimilati l'uno all'altro, facendo confusione tra il difetto organico ( il deficit) e la difficoltà a maturare quelle disposizioni della persona necessarie alla realizzazione progressiva della personalità integrale ( l'handicap). Da qui si hanno due gravi conseguenze:-considerare l'handicap come problema solo di chi ha qualche deficit;-pensare che coloro che sono afflitti da qualche deficit non siano uomini come tuti gli altri, tale pensiero viene alimentato dall'utilizzo del termine dispregiativo handicappato. La disabilità, dunque, può portare all'handicap,ovvero allo svantaggio sociale,in relazione all'ambiente. L'handicap a sua volta può avvenire in seguito a una menomazione,senza comportare uno stato di disabilità permanente. Con il passaggio all'ICF le cose cambiano, o meglio cambia il modo di riflettere sui fattori che riguardano la disabilità. Il manuale di classificazione ICF che sta per “Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute”, è stato pubblicato dall’Oms nel 2001 e propone una definizione del concetto di disabilità multidimensionale e dalla portata innovativa rispetto alle precedenti classificazioni. Secondo l’ICF, la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Tale classificazione considera qualsiasi disturbo in termini di modificazione funzionale associato a condizioni di salute a livello del corpo della persona e della società. L’ICF classifica le conseguenze associate alle condizioni di salute e agli stati di salute ad essi correlati e pone centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia, permette, quindi, di evidenziare come convivono con la loro condizione e cosa fare e come sia possibile migliorarla.Si necessità in quest’ambito una riflessione sulle parole disabile e diverso. Temi discussi durante il laboratorio “ Dare importanza alle parole” e in merito all’esercizio svolto in aula sulle categorie degli stereotipi . Questi termini s’intrecciano molto tra di loro. Parliamo di disabilità riferendoci ad una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana,un individuo effetto da disfunzioni motorie. Si tende ad etichettare il disabile e nei suoi confronti si assumono atteggiamenti di pietismo, tralasciando il vero valore della persona quale è,la sua essenza umana,le sue capacità e potenzialità. Anche per la diversità avviene lo stesso,viene etichettata dalla società,collocata in determinate categorie. Diverso è colui che la società etichetta come tale perché ha degli schemi mentali,fisici e comportamentali difformi dalla “normalità”.Anche dalla visione del film “indovina chi viene a cena”, emerge chiaro il tema della diversità, il distacco verso colui che è diverso per il colore della pelle,per l’appartenenza ad una razza etnica anziché ad un’altra. Ma l’insegnamento di questo film è molto profondo :considerarsi un UOMO non uomo di colore. un uomo come tutti gli altri con la sua storia, i suoi vissuti, le sue idee, un uomo che merita rispetto e comprensione. Del diverso,purtroppo, si ha paura,timore ed è per questo che viene allontanato ed isolato;è l’altro ossia colui che è diverso da noi. Viene considerato diverso anche il mostro,nei confronti del quale si prova orrore,imbarazzo perché siamo spaventati per la sua fisicità,non ci preoccupiamo di conoscerlo, capirlo,pensiamo che sia un mostro anche interiore che possa compiere degli atti violenti o semplicemente per paura lo allontaniamo. Ognuno di noi è diverso per la nostra specificità, per il nostro modo di essere unici. Ogni individuo ha caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono come unico e irripetibile. Concludo questo primo punto con una citazione che a me ha tanto colpito per il fatto che induce e invita ognuno di noi a comportarci in un determinato modo:
    Ricorda sempre che sei unico, esattamente come tutti gli altri
    .2) Sulla questione relativa la persona con disabilità si ritiene opportuno fare riferimento al testo Complessità della persona e disabilità di Anna Maria Murdaca. Il testo di Murdaca mira: -alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, -alla rimodulazione del termine integrazione, -alla ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità. Secondo l’autrice occorre abbandonare la logica dell’inserimento legge 118 del 1971 e muoversi verso la logica dell’inclusione ,adottando l’ottica della globalità. “una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento, del comportamento e/o dell’assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica, che può essere disorganizzata da errate interazioni tra sistema biologico, psico-intellettivo, affettivo, relazionale e sociale. L’obiettivo principale è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità, cogliere l’essenza umana della persona. Una nuova cultura della disabilità significa tener presente: le principali norme e disposizioni che regolano la tutela ed i servizi a favore dei soggetti in situazione di disagio, -il problema delle barriere architettoniche e delle emergenze, i materiali e ausili che la tecnologia mette a disposizione, le possibilità e le potenzialità di inserimento lavorativo, gli strumenti atti a calibrare e modulare l’approccio nei confronti di coloro che si trovano in posizione di svantaggio e le classificazioni dei vari tipi di disabilità. La rimodulazione del termine integrazione è un punto su cui soffermarsi a riflettere sull’importanza di tale termine partendo dal suo significato letterale. Integrare significa inserire una persona o un gruppo in un ambiente o in un contesto in modo che ne diventi parte organica (sia al punto di vista di chi è da integrare, sia a quello del contesto che integra) rendere qualcosa completo, o più efficace. L’integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti dei disabili, non bisogna conoscere a memoria una legge o essere bravi a parole,nella teoria, ma è necessario saperla mettere in pratica, attivarsi e agire per i diritti di coloro che meritano rispetto. Nel parlare di integrazione si fa riferimento al valorizzare al meglio le dotazioni individuali. L’insegnamento più valido per la vita è che non si dovrebbe considerare nessuno per sottrazione, senza perdere di umanità perché stiamo parlando di persone, si pensa al disabile come colui che non sa fare ,non ha e quindi non sarà capace di fare una data cosa, senza pensare che il disabile è una persona con la sua capacità di sentire,di fare ,di agire, di pensare nel suo modo unico e personale. Nel parlare di handicap si fa riferimento al contesto sociale, in quanto l’handicap è uno svantaggio sociale proveniente dalla diminuzione o dalla perdita della capacità di conformarsi alle aspettative e alle norme proprie del mondo che circonda l’individuo. E’ il contesto sociale,ancora una volta, a determinare la condizione di handicap, le barriere, gli ostacoli a favorire il processo di esclusione e di emarginazione. Per uscire fuori da questa tragica situazione si dovrebbe partire dalla famiglia che si dovrebbe liberare dalla rassegnazione che il loro figlio/a disabile non possa migliorare o raggiungere un buon livello di autonomia ed emancipazione. Anche gli insegnanti dovrebbero imparare a guardare oltre la scuola, contribuire a sviluppare una buona integrazione e buone capacità e competenze che devono essere trasferite anche al di fuori del contesto scuola dell’alunno disabile. Nel campo della disabilità è fondamentale, il concetto di cura come luogo ripartivo, bisogna tener presente che il termine è intrinseco all’agire educativo, cura come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti, volti alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che diventerà. Murdaca sostiene che ci troviamo dinnanzi ad un paradigma del benessere la cui logica di fondo deriva dall’interdipendenza di alcune azioni dell’evoluzione biografica del soggetto impegnato. Si parla, quindi di un nuovo modo di intendere integrazione: Come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica., Come condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità, autonomia, identità,potenzialità personali. Il fattore rilevante è che si mira all’emancipazione del soggetto con disabilità, che fa parte del processo di maturazione psicocognitiva, psicoaffettiva e psicosociale che richiede ambienti adatti con contesti attendibili e sostenibili. La relazione educativa è uno spazio ripartivo nel quale il disabile sperimenta con gli educatori, con gli insegnanti una serie di situazioni, vissuti che vengono poi elaborati, criticati, proiettati ed integrati all’interno della relazione educativa. Bisogna lavorare per progettare spazi il cui senso è l’unico ponte sul quale il soggetto si declina in forma organica,psicologica e sociale (corpo, mente e relazione). Da qui l’esigenza di pensare in modo nuovo ad una relazione educativa. Partendo, innanzitutto dal fatto che la relazione educativa viene a crearsi in vari ambiti e tutti gli incontri sono educativi. La relazione madre/figlio, ad esempio, è in ambito familiare ma comunque è educativa. Si pensi che , talvolta, sono proprio i bambini ad educare e trasmettere tanto agli adulti. La relazione docente/discente, invece, è un legame che produce apprendimento, è un incontro, uno scambio, una partecipazione, un’alleanza fondata sull’ascolto, sul dialogo e sulla fiducia. L’insegnante non deve ridurre il suo ruolo ad un mero trasmettitore di nozioni, deve comprendere che lui è una guida, un punto di riferimento per i suoi alunni, che può dare tanto anche con un semplice scambio di opinioni; dall’altra parte ci sono gli alunni che possono fare altrettanto, creando cosi un clima di fiducia e stima reciproca, il loro rapporto diviene così un prendere e dare in sincronia. Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile, l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere e mettere in luce le doti, le potenzialità e capacità della persona con disabilità.C’è da dire ,inoltre,che ogni esperienza della vita è educativa e aggiungo formativa e costruttiva, anche quelle negative lo sono, aiutano a crescere, anche se nella vita si sbaglia si può rimediare e ci si può migliorare per non ricadere negli stessi errori. Per quanto concerne il rapporto tra educatore /educando, il futuro educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, arricchendole di conoscenza. È di fondamentale importanza l’ascolto ,il rispetto dell’altro, capire e dare tempo all’altro di esprimersi. Credo che in questa relazione l’educatore deve aprirsi all’altro in modo sincero attraverso il dialogo, prima accogliendo l’altro, ma ancor prima di imbattersi in questo incontro deve lavorare su se stesso, guardarsi dentro, nel momento in cui l’altra persona (educando) è in difficoltà deve capire in che modo può aiutarlo e quanto ciò che sta dicendo possa far parte di lui , come può restituire ciò che gli sta dando l’educando. È difficile o meglio complesso, perché penso che in questa relazione siamo noi educatori lo strumento portante, quindi, bisogna si, farsi prendere dal lato emozionale ma tenendo sotto controllo la situazione con attenzione e consapevolezza.
    3) La cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza. Il corpo femminile in modo particolare ha sempre subito nella storia delle manipolazione atte alla modifica della sua corporeità per rispondere ai dettami della società e della moda : vere e proprie strategie di trasformazione corporea. Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che una donna oggi deve continuare ad avere .(possedere a tutti costi) se vuole restare e apparire in televisione. Remaury nel Il gentil sesso debole dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza- bellezza-salute. Il corpo trasfigurato è legato all’immagine della perfezione corporea. Il corpo esatto compie progressi verso la perfezione grazie alla scienza e ad altre discipline. Il corpo liberato dalla malattia, dal peso e dal tempo, quindi, un corpo perfetto. Il testo la terza donna di Lipovetsky parla di una liberazione che nasconde la sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati. Scegliere tra valori quali eterna giovinezza, perfetta bellezza e salute eterna, in tal modo, raggiungere la grazia di un corpo perfetto. Il liberarsi dal peso introduce un altro tema importante, ossia la magrezza come deforme, si pensi alle modelle anoressiche che rappresentano un prototipo di bello mostruoso. La modella anoressica è emblema della mancanza di carne, un corpo de-femminilizzato, è il femminile mancante, deformante. Con Braidotti, invece, viene ripensato il rapporto corpo mente. Nella triade Braidotti riflette sulla donna, in quanto, capace com'è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa nell'immaginario maschile qualcosa di orribile:mostro e madre al contempo. è a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità,anche la macchina prestandosi <<al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l'immaginario che le sostiene>>. Da qui il tema del corpo macchina: creare un rapporto tra il femminismo e le tecnologie, giocare con l'idea di un corpo -macchina è un rischio e non dà alle donne la certezza di uscirne vincitrici. Tra i “sogni che il denaro può comprare”, il miraggio di un corpo perfetto è ormai tra i più accessibili”. L’accesso a questo mondo e al voler raggiungere un corpo perfetto, tanto desiderato, è dato dal progresso e dall’innovazione tecnologica. La tecnologia può essere intesa come scoperta evolutiva, indagine scientifica ,talvolta viene utilizzata per migliorare il proprio corpo ed è dettata da fini estetici. Si parla ,quindi ,di protesi estetiche. Uno dei temi che fa riferimento alle protesi estetiche: IL CORPO DI RICAMBIO. Tale argomento è presente nel manifesto di Neil Postman Technpoly ,la resa della cultura alla tecnologia ,parla dell’umanità come di una specie in via d’estinzione, di una società telematica che si ridefinisce grazie alle sperimentazioni tecnologiche. Si parte dall’idea che il corpo dell’uomo sia manchevole e che debba essere aggiustato con pezzi di ricambio proprio come avviene per le macchine ,viene completato da quest’ultime. Queste imperfezioni del corpo ,o come sostiene Gohlen, inadeguatezze biologiche vengono compensate dalla tecnologia. A mio avviso,sono d’accordo riguardo ai progressi e alle innovazioni tecnologiche, ma lo sono meno quando della tecnologia e nello specifico delle protesi estetiche se ne fa un uso eccessivo ed esagerato. Questo tema mi ha fatto riflettere ,ancora una volta, e pensare a Simona Atzori, la quale ha scelto di ,non avere le protesi ,e condurre la sua vita cosi come Dio l’ha creata. È divenuta una grande artista,facendo della sua persona un esempio di vita. Con questo voglio dire che, in alcuni casi, si può convivere con qualche difettuccio,perché a volte è quel difetto che rende bella ed unica la persona. Rincorriamo quella perfezione che in realtà non esiste,arriviamo fino al raggiungimento dell’altro corpo,un corpo che però non siamo noi! Inseguire quella bellezza, quel tipo di bellezza. Perché?se poi, come abbiamo avuto modo di vedere , alla domanda: “cosa si intende per bellezza o cos’è la bellezza?”rispondiamo tutti in maniera diversa, in quanto esistono diversi modelli di bellezza, quindi ,perché omologarsi o trovare un solo modello di bellezza impostato da qualcuno?! (Sono troppi gli interrogativi). Cerchiamo di migliorare il nostro animo, la nostra persona provando ad essere perfetti dentro anziché fuori.
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    Messaggio  Noemi Martuccelli Mar Mag 08, 2012 10:48 am

    Durante il corso di Pedagogia della Disabilità abbiamo affrontato molti tempi riguardanti la Disabilità e tutto ciò che la circonda. Ci siamo soffermati molto sulle difficoltà che incontrano le persone diversamente abili, spesso causate da noi altri.
    Non sempre diamo peso alle parole che usiamo, non rendendoci conto che ogni parola ha un suo significato e se viene usata in modo sbagliato tutto cambia. Quando vediamo una persona DISABILE subito proviamo pietà per lei ritenendo, che essendo DIVERSA, sia in una posizione di svantaggio.
    Purtroppo non ci rendiamo conto che sono propri questi nostri comportamenti, pregiudizi a determinare la condizione di svantaggio in cui vengono a trovarsi queste persone, in quanto vedono in noi una barriera e un ostacolo da superare.
    La cosa che più mi ha colpito è pensare che una persona con disabilità ha delle grosse difficoltà nel vivere al di fuori delle mura domestiche. L’esperienza dell’orologio mi ha aperto gli occhi dove non volevo aprirli. Mi risultava difficile pensare che delle persone possano avere delle difficoltà nel vivere in casa mia.
    A lezione sono venute a trovarci delle persone non vedenti e mi ha colpito molto il loro entusiasmo, e quando ci hanno mostrato il video di alcune interviste mi sono vergognata di essere NORMALE…
    Mi domando: ma come possibile che la nostra società ha i giusti mezzi per poter garantire, a i soggetti portatori di handicap, la giusta integrazione ma non sempre vengono utilizzati nel modo giusto e corretto?!?
    Non penso sia giusto che una persona diversamente abile, cittadino come gli altri, con i suoi diritti e i suoi doveri, debba trascorrere delle giornate “infernali” per colpa di altri e peggio ancora debba sentirsi diverso..ma poi diverso da chi?!?
    “Ricorda sempre che sei unico, esattamente come tutti gli altri!”
    Una persona deve potersi sentire libera ed indipendente nella propria vita, senza doversi sentire fuori luogo nel contatto con gli altri.
    Per fortuna queste persone SPECIALI non si fanno intimidire da noi persone NORMALI; esse hanno un forte senso di sopravvivenza e quando, in classe, ci siamo soffermati sull’ argomento “resilienza” il mio cuore si è riempito di gioia; che bello pensare che persone che vivono con delle difficoltà riescano a vedere il bello della vita anche quando il loro cielo è costellato da nuvole.
    Molti sono convinti che le parole DISABILE e DIVERSO abbiano lo stesso significato, confondendole addirittura,senza pensare che esse abbiamo significati completamente diversi.
    La persona disabile è colui che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, è una Persona affetta da disfunzioni motorie e/o cognitive, è un soggetto caratterizzato o dalla mancanza o da un mal funzionamento di una o più abilità.
    “Il disabile è anche ciò che gli altri pensano di lui”; il disabile non sceglie di essere diverso ma è colui che viene etichettato dalla società come tale. Le persone credono che le parole disabilità e malattia siano interscambiabili, ma non è così. La disabilità è una condizione causata da una malattia ma non è una malattia.
    Per aiutare comprendere il reale ruolo che assumono queste persone, l’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato differenti strumenti per la classificazione delle patologie della popolazione.
    Nel 1970 ha fornito la Classificazione Internazionale Della Sanità (ICD); essa pone l’attenzione sulle cause delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche. L’ICD si delinea come una classificazione causale in quanto descrive solo l’aspetto eziologico della malattia.
    Le diagnosi, situate nell’ICD, vengono poi tradotte in codici che permettono la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.
    Ben presto l’OMS si rende conto della poco utilità dell’ICD, in quanto questa classificazione presenta vari limiti; questo induce l’OMS ad elaborare altre classificazioni: l’ International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (l’ICIDH) e la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (l’ICF).
    L’ICIDH basa la sua attenzione sull’influenza dell’ambiente che assume sullo stato di salute del malato.
    L’ICF viene considerato uno strumento innovativo ed efficace, in quanto fornisce, a differenza delle precedenti classificazioni, un’ ampia analisi dello stato di salute degli individui, arrivando ad una nuova definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
    L’ICF, non descrive solo le condizioni di salute o i traumi, interesse dell’ICD, ma le conseguenze associate alle condizioni di salute del malato; permette di evidenziare come le persone convivono con la loro patologia ma anche cosa è possibile fare per migliorare la qualità della loro vita.
    L’ICF si occupa, in altre parole, dello stato di salute e di benessere delle persone.
    Questi strumenti rappresentano, se adottati in modo corretto, per gli operatori del campo sanitario uno strumento molto utile ed importante per accettare le persone con disabilità come parte integrante della società.
    “NON PERMETTERE AGLI ALTRI DI VEDERE IN TE LIMITI CHE NON SENTI DI AVERE”…e forse tutti dovremmo essere consapevoli che non sempre ciò che pensano gli altri di noi è vero e che l’etichette che ci “attaccano” sono realmente ciò che siamo, di conseguenza dobbiamo sempre contare fino a 10 prima di parlare e di giudicare per non far sentire GLI ALTRI diversi.
    Anna Maria Murdaca è un’autrice che mi ha molto colpito, docente esperta di questioni relative la persona con disabilità. L’obiettivo che si pone, con il suo testo “complessità della persona e disabilità”, è quello di sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione.
    L’autrice parte dal presupposto che, per creare una nuova cultura riguardante la disabilità, tutti, compresi genitori ed insegnanti, dovrebbero andare oltre i propri limiti legati a delle etichette e degli stereotipi sbagliati. È proprio il contesto sociale,familiare, lavorativo, spiega Mudarca, a determinare le condizioni di svantaggio e di difficoltà che vengono a crearsi per le persone con handicap. Sono le barriere architettoniche (fisiche e mentali) a favorire il processo di emarginazione e di esclusione della persona affetta da handicap.
    La famiglia della persona disabile, per prima, dovrebbe allargare i propri orizzonti ritenendo che il figlio o la figlia possa essere in grado di migliorare la propria condizione psico-fisica, invece di rin- chiuderli nel guscio per paura di “attacchi esterni”.
    Il messaggio datoci da Mudarca è quello di valorizzare la persona umana con il rispetto della diversità, perché alla fine tutti siamo diversi da tutti…no?!?
    Per questo si parla di nuova “integrazione” che tende a valorizzare al meglio le dotazioni individuali; la società, la famiglia..tutti dovrebbero essere predisposti a condividere con le persone con disabilità gli spazi propri.
    Nessuno mai dovrebbe essere definito per sottrazione, perché quando si parla di persone si parla di individui con capacità e queste non dovrebbero mai essere definiti per i loro i limiti e per ciò che non sanno fare.
    Quando si parla di integrazione si parla di un processo continuo in grado di ricercare, sempre, soluzioni in grado di preservare i diritti del disabile.
    Il tutto è finalizzato a sollecitare nei soggetti disabili lo sviluppo di indipendenza e di emancipazione, in quanto la persona disabile è un cittadino a pieno titolo.
    Molta importanza viene assunta dalla relazione eduativa, caratterizzata da un reciproco scambio di esperienze, conoscenze, valori e significati tra educando ed educatore; l’importate è che questo scambio sia uno scambio alla pari affinché l’educando non si senta a disagio e in difficoltà.
    La reazione deve basarsi sul rispetto reciproco; deve venirsi a creare un clima amichevole e favorevole per far si che l’altro si senta a proprio agio.
    Questo rapporto deve essere costruito giorno per giorno, per far si che entrambi possano avere fiducia l’uno dell’altro.
    L’educatore assume un ruolo di fondamentale importanza in quanto l’educando vede in lui una guida, un punto di riferimento e soprattutto un esempio da imitare.
    Per potere essere “efficace” la relazione educativa deve basarsi sulla volontà di costruire un rapporto predisposto ad uno scambio di emozioni, all’accoglienza, all’ascolto lasciando spazio all’altro.
    L’educatore nei confronti del disabile non deve assumere comportamenti di pietismo, ma anzi, deve aiutarlo a sentirsi alla pari con il resto del mondo, affinché egli non si senta più diverso, valorizzandone le doti.
    In aula abbiamo fatto varie simulazioni riguardanti la relazione educativa e mi sono resa conto che la cosa più importante, nell’iniziare questo rapporto, è il modo di porsi verso l’altro; sono molto importanti i gesti, la posizione e i comportamenti assunti verso chi ci è di fronte. È necessario, quindi, fare molta attenzione a non creare situazioni di imbarazzo, affinché il soggetto possa sentirsi in libertà di parlare,di sentirsi al sicuro in quel momento e sentirsi accolto in un clima di rispetto e fiducia.
    L’educatore non può essere visto come la soluzione dei propri problemi, ma i suoi interventi devono essere vissuti come una mano a chiarire e comprendere le cause che creano quei problemi.
    Accade che la società, spesso, imposti dei modelli di comportamento, di modi di vivere, di modi di essere che portano ad essere sempre insoddisfatti del proprio essere sia fisico che psichico.
    Autori come Remaury, Lipovetsky e Braidotti parlano della donna attuale e del suo corpo.
    Oggi più che mai la donna risulta essere sempre più insoddisfatta del proprio corpo; con l’avanzare dell’età ella si trova in difficoltà, vede invecchiarsi all’interno di una società dove prevalgono modelle,conduttrici, attrici con il corpo sempre perfetto senza il segno dell’età che passa, come affermano Remaury e Braiotti nei loro testi.
    Lottano contro il tempo sottoponendosi ad interventi estetici e chirurgici per sentirsi piacevole ed accettata in una società che la escludono.
    Remaury, nel suo testo, afferma anche la donna è sempre stata affiancata dall’idea di femminilità e che, quindi, la donna abbia il dovere di coltivarla. Siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione…ma perché rincorrere la perfezione quando ognuno di noi è imperfetto?!? Perché rincorrere qualcosa di cui in realtà non abbiamo bisogno?!? perchè abbiamo cosi difficoltà ad accettarci per quello che siamo realmente, senza dover ricorrere ai ritocchini?!? Bhè semplicemente perché la società non ci dà la possibilità di sentirci imperfetti e belli per come siamo REALMENTE. Oggi la nostra società è caratterizzata da uomini e donne “BIONICI” che non si prendono più cura della cosa più cara al mondo: se stessi. Per potersi sentire parte del resto del mondo si adeguano al resto della massa, diventando delle BARBIE e dei KEN tutti uguali, attraverso la conquista di una falsa perfezione.
    Lipovetsky spiega questa continua trasformazione della donna attraverso tre passaggi nel suo testo “la terza donna”; egli afferma che la donna è passata da un livello di sfruttamento ad un ruolo sempre più importante all’interno della società. La donna, infatti, ha man mano assunto un ruolo da icona da dover osservare fino ad arrivare alla donna d’oggi, la “terza donna”, sempre più insoddisfatta e alla ricerca di una perfezione quasi “plateale”.
    Io credo che le protesi come miglioramento sono giuste, spesso un difetto fisico può rovinare la vita. La chirurgia estetica viene anche applicata pro bono su casi di gravi ustioni; può ridare la vita a donne e uomini che odiano loro stessi e il loro corpo, ma anche a persone sfigurate da disgrazie, o che sin dalla nascita sono afflitte da malformazioni.
    Perso anche se tante persone vogliono apparire perfette, abusando della chirurgia, è anche colpa di questa società che ci presenta tutto molto perfetto, tutte donne e uomini senza nemmeno piccoli difetti...
    Oggi posso dire che fra noi ragazzi se non sei perfetto fisicamente, sei destinato a passare degli anni di inferno; ma poi mi dico: se per piacere agli altri devo sembrare una bambola FINTA sinceramente preferisco essere imperfetta ma vera..!
    Aiello Raissa
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    Messaggio  Aiello Raissa Mar Mag 08, 2012 1:03 pm

    Esercizio n° 1
    L’ OMS è l’ Organizzazione Mondiale della Sanità. Sin dalla sua nascita,molte furono le classificazioni da essa elaborate,la prima l’ICD ovvero “la classificazione Internazionale delle malattie”.L’ICD nasce nel 1970 e il suo scopo principale è quello di rispondere all’esigenza da parte di tutti di poter comprendere le cause delle diverse patologie,cercando di descrivere per ogni sindrome e disturbo le sue caratteristiche cliniche principali. Si tratta di una sorta di enciclopedia all’interno della quale tutte le diagnosi vengono tradotte in dei codici numerici che una volta memorizzati consentono la loro analisi .L’ICD non sarà né la prima né l’ultima classificazione elaborata dall’OMS il quale si impegnerà nel corso degli anni a fornire delle nuove classificazioni,sempre più dettagliate e che siano in grado di rispondere alle problematiche delle classificazioni precedenti. Non a caso a seguito dell’ICD, nel 1980 L’OMS sviluppò una nuova classificazione l’ICIDH ,ovvero, “la classificazione internazionale delle menomazioni,disabilità e handicap” ponendo l’attenzione sulle definizioni specifiche di questi termini,troppo spesso confusi ed utilizzati in modo inappropriato .L’ICIDH farà da tramite tra l’ICD ed una nuova organizzazione dell’ OMS,ovvero l’ICF .L’ICF (“Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute”) nasce nel 2001 e cerca di proporre un concetto di disabilità,che va oltre le visioni delle precedenti classificazioni;si tratta infatti di “ un linguaggio comune” che tutti gli enti dovrebbero adottare (ospedali,asl…)che serva da riferimento per la descrizione della salute e di tutti gli stati ad essa riguardanti. Attraverso l’ICF dovrebbe essere possibile inserire lo stato di salute delle persone in una prospettiva ecologica,che riguardi tutti gli ambienti interessati alla salute, affinchè si possa sviluppare una piena collaborazione rivolta al miglioramento delle persone affette da patologie. A differenza dell’ICD ,l’ICF non classifica soltanto le condizioni di salute,secondo una visione enciclopedica, ma di suo maggiore interesse sono le CONSEGUENZE che derivano da determinate condizioni di salute. Il suo scopo principale è quello di concentrarsi sulla qualità della vita delle persone affette da patologie per cercare di migliorare le loro condizioni nella società e farle sentire parte integrante e produttiva di essa. Secondo l’ICF avere solo informazioni riguardo alla diagnosi medica di una persona (come faceva l’ICD ) non era necessario per avere un quadro generale di quella persona e delle sue possibilità.
    Questo tipo di classificazione,viene utilizzato per persone di qualsiasi età che presentano disturbi e menomazioni , è un strumento fondamentale per gli operatori sanitari quali:insegnanti,medici,infermieri,logopedisti,terapisti che entrano in contatto con persone che si trovano in condizioni di salute particolari. Ecco perché l’ICF si adopera affinchè ci sia una piena collaborazione tra gli enti,perché la DISABILITA’ è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole che purtroppo è, e rimarrà tale se la sinergia tra i diversi ambiti non avrà luogo ,limitando sempre di più le attività delle persone.
    Riprendendo il pensiero di CANEVARO è importante soffermarci sulle parole utilizzate nel campo della disabilità. Le parole sono importanti,per cui la loro scelta va fatta con ponderazione,non bisogna mai utilizzare termini impropri perché questo può essere un modo efficace per aumentare l’handicap piuttosto che ridurlo. Credo che queste affermazioni siano fondamentali per far comprendere l’importanza di ogni nostra parola,per comprendere che bisogna formulare bene i nostri pensieri evitando di ferire gli altri ma essendo consapevoli del rispetto che gli dobbiamo,al di là delle sue condizioni di salute. A tal proposito mi soffermo sui termini: disabilità e diversità. Termini apparentemente uguali ma in realtà diversi tra loro .La DISABILITA’ rappresenta la limitazione o la perdita in seguito a delle menomazioni delle proprie capacità ,nel compiere delle attività che sono ritenute normali da tutti gli esseri umani .Una persona con disabilità non riesce a svolgere le attività della vita quotidiana perché le sue condizioni fisiche ,motorie e talvolta cognitive non glielo consentono. Vi è una totale assenza di abilità precise che recide la sua completa autonomia. Un disabile come per esempio: un sordo,un paraplegico,un non vedente,hanno difficoltà anche nello svolgere le più semplici attività che per noi “normodotati”non rappresentano un ostacolo .Hanno bisogno dell’aiuto costante di parenti,genitori e credo che ciò sia fattore degenerativo,perché l’impossibilità di avere una loro autonomia li rende più deboli e vulnerabili. Anche nei diversi laboratori affrontati riguardo alle barriere architettoniche abbiamo visto che per un disabile non è facile potersi muovere con facilità per strada o a casa .Come ho già detto,ogni giorno il disabile si ritrova a dover affrontare degli ostacoli ai nostri occhi banali,sarebbe opportuno sensibilizzare le istituzioni affinchè ci sia più spazio per queste persone che ogni giorno combattono per prendere posto nella società,una società che purtroppo li tiene fuori,e che pensa soltanto ad assumere un atteggiamento di pietismo nel vederli .Il punto fondamentale e nevralgico della questione riguarda la loro autonomia,vengono costantemente abbandonati e la loro disabilità in questo modo è ancora più accentuata,si sentono trascurati e non riescono ad essere agevolati neppure nelle loro abitazioni,molto spesso troppo piccole e con l’assenza di spazi che possano consentire loro di potersi anche solo spostare da una parte all’altra. Il DIVERSO invece è rappresentato da un atto estremo di categorizzazione. Il disabile è diverso,ma non in quanto tale,è diverso agli occhi di tutti,che tendono ad escluderlo,a svalutarlo,a farlo sentire inferiore e inadeguato. Un mondo che non accetta il disabile,che non gli consente di poter avere stima di sé,di poter essere fiducioso per il futuro. Il diverso non sceglie di esserlo ma lo diviene nel momento in cui viene etichettato dalla società,non solo il disabile,anche uno straniero. Il mondo è troppo legato a degli stereotipi che lo tengono bloccato in un’unica visione,a mio parere,distorta ,in fondo siamo tutti diversi,non è possibile categorizzare, ed a tal proposito ricordo l’esperienza “sindaco-città” fatta in aula in cui io ero nel gruppo degli emarginati perché indossavo gli occhiali da vista,mi sono sentita esclusa senza motivo perché credo che il fatto di avere tratti distintivi rispetto agli altri non debba essere motivo di esclusioni,”Il mondo è bello perché vario”è la nostra diversità che ci rende unici,bisogna fare delle nostre diversità,dei nostri punti deboli delle forze. Essere resilienti nonostante a volte la vita sia avversa e Simona Atzori , Pistorius ne sono l’esempio vivente, di come possa essere fantastica ed unica la propria vita ,essere forti e non sentirsi inferiori ma valorizzare il proprio essere.Bisogna considerare il disabile,una persona come le altre,dargli l’opportunità di poter vivere serenamente,di potersi sentire libero di esprimere le sue capacità e le sue potenzialità facendo si che ognuno possa apportare il suo contributo per arricchire la società,rendere il futuro alla portata di tutti.
    Esercizio n°2
    Anna Maria Murdaca autrice del testo “Complessità della persona e disabilità” è una docente esperta e competente riguardo alle questioni relative alle persone con disabilità. Il suo testo propone temi ben precisi ovvero:
    -Ricostruire una nuova cultura della disabilità
    -Rimodulazione del termine integrazione
    -Ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    Secondo Murdaca è opportuno dirigere il proprio operato verso l’INCLUSIONE cercando di partire dall’ottica della globalità. In primis bisogna sviluppare una nuova conoscenza della disabilità che non sia rivolta solo al funzionamento e all’assistenza del disabili ma in termini più ampi soffermarsi sul riconoscimento della persona con disabilità all’interno del suo spazio. Infatti, secondo Anna Maria Murdaca lo spazio ,l’ambiente in cui un disabile vive è fondamentale poiché è il contesto sociale ad influire negativamente ed a determinare la condizione di handicap .Diversamente da come si pensa,l’handicap non riguarda la persona in sé ma è una condizione che il disabile subisce e che deriva da una menomazione che non consente al disabile di poter adempiere alle normali attività, limitando il soggetto nel portare a termine un compito. Per cui potremmo dire che l’handicap favorisce ancora di più l’esclusione del soggetto nelle sue pratiche quotidiane ma soprattutto comportal’allontanamento dello stesso dai componenti della società che lo reputano diverso. L’ambiente influisce molto sulla vita degli individui e bisognerebbe creare le condizioni migliori per liberare non solo la società ma le stesse famiglie dei diversamente abili dal senso di impossibilità che le affligge quotidianamente e che non consente di migliorare le condizioni dei propri figli. Ogni ambiente,che sia la scuola,attività ricreative,deve cercare di integrare il disabile con le sue capacità non rappresentino più un ostacolo ma in modo da facilitare la condizione del disabile. Non dimentichiamo che il disabile,come noi tutti,è una persona e che quindi in quanto tale bisogna valorizzare anche le sue differenze .Non si ha a che fare con delle macchine ma con delle persone capaci di comprendere e provare sentimenti. Riescono a riconoscere la loro esclusione ed il loro allontanamento per cui l’obbiettivo è quello di discostarsi da tutto ciò per favorire una loro piena integrazione nella società .L’INTEGRAZIONE deve poter essere un processo continuo non solo un punto di arrivo, per questo è opportuno ricercare continuamente soluzioni e strategie per preservare i diritti del disabile. Secondo il MIUR l’integrazione deve favorire l’uniformità andando a valorizzare le capacità individuali non svalutando l’individuo per ciò che non sa fare,ma stimolarlo attraverso le sue potenzialità per consentire di avere la piena fiducia delle proprie capacità. Il disabile deve essere coinvolto nel poter sviluppare la propria identità e la sua autostima non perdendo mai di vista l’ambiente in cui ciò deve avvenire e stando attenti che l’integrazione riesca con l’ausilio di mezzi idonei che valorizzino la differenza di ognuno,ognuno con le sue problematiche ed ognuno con il suo modo di fare e di essere!Murdaca ci parla di GLOBALITA’ perché è importante poter partire da una visione totale dell’individuo disabile,si tratta di realtà del tutto differenti,i cui degli aspetti non possono essere sottovalutati,la loro globalità va presa in considerazione perché nessun individuo,a maggior ragione un disabile ,può essere scomposto in diverse parti. Non basta solo andare ad educare il disabile ma principalmente riuscire a sviluppare la crescita di ogni sua dimensione .E’ opportuno pensare non solo al presente ma anche a ciò che il soggetto diventerà nel futuro,bisogna dare al disabile la possibilità di credere che ogni sua esperienza è fondamentale ed è capace di poter rimodulare il suo essere,non più come individuo portatore di disabilità,ma una persona senza altri aggettivi,senza maschere. Deve essere data loro l opportunità di inserirsi nella società non solo a livello sociale ma anche lavorativo come accade per gli altri. Pensare a dei nuovi spazi educativi è fondamentale per gettare le basi dell’inclusione,gli insegnanti si trovano quotidianamente a relazionarsi con realtà individuali molto diverse tra loro,in questo caso con persone in difficoltà. Come ho già espresso nel laboratorio riguardante la relazione educativa,il legame che si stabilisce tra l’insegnante e l’alunno produce apprendimento. Si tratta di un vero e proprio incontro io-altro in cui avviene un continuo scambio completamente alla pari,in cui sia il docente che il discente imparano qualcosa di nuovo,un continuo dare e ricevere.Un educatore deve fare il possibile affinchè si possa trasmettere qualcosa di positivo, e ,di necessaria importanza è il rispetto che deve nascere da entrambe le parti .Bisogna riconoscere che il ruolo dell’educatore non è semplice,soprattutto quando ci si trova di fronte a casi con estreme difficoltà,e non mi riferisco solo a casi di disabilità ma alcolisti,tossicodipendenti,carcerati,l’educatore deve essere una figura guida nella vita di questi individui,deve riuscire predisponendosi all’ascolto a capire chi ha di fronte,riuscire a guadagnare la sua fiducia per rendere il suo percorso,seppure in piccola parte,più semplice;Comprendere le sue difficoltà,le sue esigenze senza lasciare nulla al caso ma riconoscere attentamente le differenze di ognuno per applicare delle buone strategie educative .Ragazzi che hanno problemi familiari,ragazzi che subiscono violenze o che sentono la mancanza di affetti familiari .Ecco perché Murdaca ci parla di globalità,un educatore ha di fronte,prima di tutto, degli individui quindi non basta pensare solo al fattore educativo (in quanto studio) ma saper guardare oltre questo aspetto per cogliere il senso più profondo della relazione educativa,ovvero cercare di insegnare anche a vivere,trasmettere dei buoni valori che servano per approcciare all’altro al di là delle differenze,delle problematiche,integrare ad esempio,nel suo piccolo,anche il gruppo classe,come sottosistema esemplare della società. Non a caso servirsi di esempi per esplicare delle cose è la metodologia più efficace. L’educatore deve dare all’altro il TEMPO DI ESSERE,lasciarlo libero di esprimersi,non giudicarlo,anche se ha delle opinioni del tutto divergenti,mettere l’individuo a proprio agio. Ovviamente non dimenticando mai ,che ogni individuo è diverso rispetto ad un altro,in particolare, quando ci si trova di fronte ad un disabile, è opportuno prendere in considerazione la situazione e mettere in atto programmi specifici che possano motivare il soggetto a fare sempre meglio,gratificarlo quando un lavoro viene svolto con eccellenza,condividere delle regole che rappresentino la reale struttura della realtà e condividere con gli altri le proprie esperienze .Ciò che preme inoltre è che l’educatore non debba mai sentirsi coinvolto a tal punto da non riuscire più ad individuare il limite che separa la vita reale dal suo compito. Essere oggettivo ma al tempo stesso portatore di UMANITA’ perchè siamo tutti esseri umani,con le nostre difficoltà o diversità,ma ognuno di noi contribuisce silenziosamente al futuro della società!
    Esercizio n°3
    L’immagine della donna nel tempo ha subito profonde trasformazioni. Oggigiorno la donna viene continuamente associata ai canoni di bellezza come se fosse un fattore di primaria importanza .In passato invece i ruoli della donna erano diversi e se volessimo considerare una scala di valori potremmo di certo dire che essa era colei che prima di tutto aveva la responsabilità per la cura della salute dei suoi familiari .e poi per sè. Nella società odierna la donna ,invece ,riveste un ruolo del tutto contrario a quello del passato, infatti, con l’emancipazione potremmo dire che il suo ruolo,non è più solo quello di badare ai figli e alla famiglia,ma ritrova un posto ben preciso nella società anche dal punto di vista lavorativo .Fondamentale,sempre più,l’aspetto ben curato di una donna la quale è continuamente intenta a cambiare la sua immagine per apparire sempre bella e perfetta. In questa visione è opportuno parlare del cosiddetto CORPO MACCHINA ,ovvero,l’idea di associare il corpo ad una vera e propria macchina e come essa dotato di pezzi che possono essere cambiati a proprio piacimento con continui “ritocchi”.Le donne che non si adeguano sono quelle ritenute “diverse”,quindi anche qui ritroviamo la concezione della diversità rispetto a degli stereotipi,dal mio punto di vista, del tutto sbagliati L’idea di corpo è cambiata ,non più un corpo così com’è ma un corpo che ha semplicemente voglia di apparire mostrandosi;una visione distorta dovuta agli ideali di giovinezza e bellezza divulgati dai mass media ,dalle trasmissioni televisive,e dalle riviste. Molti sono gli esponenti che trattano l’argomento tra i quali Remaury ne “Il gentil sesso” il quale afferma,come ho già detto, che la società è alla continua ricerca della perfezione,una perfezione raggiunta attraverso :la giovinezza,la bellezza e la salute. La chirurgia estetica è l’artefice di questo circolo vizioso,rappresenta un traguardo scientifico,di cui ormai tutti si servono per poter trasformare il loro corpo e renderlo ciò che in realtà non è,solo per capriccio,per essere perennemente giovani, e ricordo una frase di Anna Magnani (che ho già citato nel laboratorio delle protesi estetiche) che diceva :<< Le rughe non toglierle,ci ho messo una vita a farmele venire!>>.Eppure cosa c’è di più bello nel vedere il proprio corpo segnato dal tempo,le rughe,che altro non sono che i segni delle esperienze che hanno segnato la nostra vita;a tutti farebbe piacere vedersi sempre in forma,ma la vita è la vita ,ci segna, ci fa crescere e ci rende ciò che siamo.
    Donne che combattono con i chili di troppo e cercano di liberarsi dalle malattie, ma che in realtà non fanno altro che ricascarvi ,pensiamo all’anoressia e a tutte quelle ragazze che per via di disturbi alimentari hanno perso la vita ;tutti alla continua ricerca dell’ “eterna giovinezza”.Passiamo poi dalla donna di Remaury alla donna di Lipovetsky all’interno de “La terza donna” ,una donna che cerca a tutti i costi di nascondere la sua sottomissione ai modelli imposti ,che la obbligano a perseguire l’ideale di un corpo perfetto,un corpo realizzato dal lavoro su se stessi .Una donna che si ritiene libera ma che in realtà secondo me è imprigionata nel suo corpo. Infine l’analisi di un’altra tipologia di donna,la donna di Rosi Braidotti celebrata nel testo “Madri,mostri e macchine”.Braidotti invece imposta diversamente il suo discorso perché la sua visione della soggettività femminile è legata alla componente tecnologica del corpo,la sua donna è una donna trasgressiva,nomade,una donna del tutto aperta alle nuove tecnologie. Il suo pensiero è fortemente influenzato dal fatto che il corpo rappresenti un incrocio tra corporeo e tecnologico e proprio a tal proposito nella sua opera sarà lei stessa a sollevare l’importanza dei mutamenti bio-tecnologici che modificano tutte le pratiche a partire da quella della riproduzione. Braidotti supporterà l’amalgamarsi del corpo gravido a quello mostruoso in una prospettiva orribile ma allo stesso tempo meravigliosa .Ciò che la madre genererà sarà il mostro ed entrambi rappresentano delle trasgressioni che vanno oltre i limiti consentiti .Per Rosy Braidotti anche la normalità è mostruosità tanto da definirla :”punto zero della’mostruosità”.
    In conclusione,la nostra società ritiene la chirurgia estetica all’ordine del giorno,come se lo scopo fosse di clonare tutti Barbie e Ken,individui perfetti che non sono più capaci di sorridere in modo naturale che gli si vede la plastica gonfiarsi ovunque .Ciò che mi rattrista è che nessuno abbia capito il vero senso della chirurgia estetica,che non nasce per abbellire o rendere le persone perfette,ma ,nasce per poter agire su malattie cliniche e problemi medici gravi,che potrebbero aiutare le persone ad avere una vita serena e tranquilla.
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    Messaggio  FLAVIA AGOSTINO Mar Mag 08, 2012 3:58 pm

    L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS),agenzia specializzata dell'ONU per la salute, è stata fondata nel1948, con sede a Ginevra. L'obiettivo dell'OMS è il raggiungimento da parte di tutte le popolazioni del livello più alto possibile di salute,una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto come assenza di malattia o di infermità e rappresenta uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano. Tra i diritti umani bisogna quindi annoverare anche la tutela della salute, che la nostra Costituzione repubblicana garantisce, considerandola come un interesse della collettività. Tutti i cittadini devono poter accedere alle stesse cure ed alle stesse prestazioni sanitarie, indipendentemente dal reddito, dalla condizione sociale o dalla Regione di residenza. L’OMS ha elaborato una serie di classificazioni:la prima classificazione è “ La Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD,1970), che risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Tale classificazione focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia, le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. Tale sistema di classificazione, però con il passar del tempo venne sostituita con ICIDH, sorta nel 1980 in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze:” la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap”).L'ICIDH era coerente con una prospettiva organicistica, e il punto di partenza è sempre lo stato morboso (malattia congenita o sopravvenuta, incidente) in seguito al quale si origina una menomazione, intesa come perdita (o anomalia) funzionale, fisica o psichica, a carico dell'organismo. Tale menomazione può sfociare in disabilità, intesa come limitazione della persona nello svolgimento delle "normali" attività, mentre questa può portare all'handicap, ovvero allo svantaggio sociale che si manifesta nell'interazione con l'ambiente. E perciò tale classificazione negli anni ha mostrato una serie di limitazioni.
    -Non considera che la disabilità è un concetto dinamico, in quanto può anche essere solo temporanea.
    -È difficile stabilire un livello oltre il quale una persona può considerarsi disabile.
    -La sequenza può essere interrotta, nel senso che una persona può essere menomata senza essere disabile.
    -Nell'ICIDH si considerano solo i fattori patologici, mentre un ruolo determinante nella limitazione o facilitazione dell'autonomia del soggetto è giocato da quelli ambientali.
    Negli anni 90, l'OMS ha commissionato a un gruppo di esperti di riformulare la classificazione tenendo conto di questi concetti. La nuova classificazione, detta ICF,(Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) nata nel 2001, diede una nuova definizione al termine: “disabilità”,definisce lo stato di salute delle persone piuttosto che le limitazioni, dichiarando che l'individuo "sano" si identifica come "individuo in stato di benessere psicofisico" ribaltando, di fatto la concezione di stato di salute. L’OMS, attraverso l’ ICF, propone un modello di disabilità universale, applicabile a qualsiasi persona, normodotata o diversamente abile. Sostiene che la persona è la risultante dell’interazione tra i diversi settori ed offre una prospettiva unitaria e globale delle potenzialità e dello stato di salute inseriti in un contesto definito. Introduce inoltre una classificazione dei fattori ambientali. Il concetto di disabilità cambia e secondo la nuova classificazione (approvata da quasi tutte le nazioni afferenti all'ONU) identifica le difficoltà di funzionamento della persona sia a livello personale che nella partecipazione sociale. In questa classificazione i fattori biomedici e patologici non sono gli unici presi in considerazione, ma si considera anche l'interazione sociale: l'approccio, così, diventa multiprospettico: biologico, personale, sociale. La stessa terminologia usata è indice di questo cambiamento di prospettiva, in quanto ai termini di menomazione, disabilità ed handicap (che attestavano un approccio essenzialmente medicalista) si sostituiscono i termini di Strutture Corporee, Attività e Partecipazione. Di fatto lo standard diventa più complesso, in quanto si considerano anche i fattori sociali, e non più solo quelli organici. In sostanza l'ICIDH valutava i fattori di disabilità iniziando dalla menomazione, mentre l'ICF valuta le abilità residue dell'individuo (tale ottica è evidente sin dal nome dello standard, ovvero "classificazione internazionale delle funzionalità"), sostituendo al concetto di "grado di disabilità" quello di "soglia funzionale". Ciò che è fondamentalmente diverso è l'ambito di applicazione: mentre l'ICIDH è limitato al semplice ambito della disabilità, l'ICF descrive i vari gradi di funzionalità partendo dall'interazione dei suoi fattori e prevedendo anche diverse sottoclassi dello stesso parametro,al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità. Quindi la disabilità stessa viene vista in senso dinamico, in quanto non solo dipendente da stati patologici cronici, ma anche da fattori psichici e sociali, fattori necessariamente in costante evoluzione.
    Molto fondamentale non fare confusione tra deficit, disabilità ed handicap utilizzare termini impropri può essere un modo per aumentare l’handicap anziché ridurlo. È inutile nasconderlo: per la stragrande maggioranza delle persone che hanno ricevuto dalla sorte la fortuna di nascere con tutti i cromosomi (e le altre cose..) al posto giusto, chi non è tale resta, indiscutibilmente, “diverso”. Una diversità che può assumere le forme più diverse, da quella che attiene alle preferenze sessuali alla classe sociale, dal portafoglio più o meno gonfio per arrivare a quella “diversa abilità” con la quale oggi, si designa, forse più elegantemente, i più svariati tipi di handicap. Così, queste persone restano, purtroppo per loro, sempre e comunque “figli di un dio minore”, come recitava, poeticamente e correttamente, il titolo di un famoso film di qualche anno addietro che aveva, come protagonista, una ragazza sordomuta. La nostra società, così perfezionista, così tesa a ricercare modelli di bellezza, di abilità suprema, di ricchezza e di fama, respinge ai suo margini, magari anche inconsapevolmente, chi non può mai aspirare, per natura, a raggiungere questi stereotipati.
    Il mondo emargina i “diversamente abili” , anche se apertamente non vorrebbe forse farlo, ma li ferisce e li umilia anche con quella pietà che tutti manifestiamo di fronte, ad esempio, ad un ragazzo finito in carrozzella a seguito di un incidente stradale, che non è, non può esserlo, uguale a tutti i suoi coetanei, perché non corre, non cammina, non potrà mai fare un lavoro “normale”, avere una vita “normale”.
    Da qualche tempo, per fortuna delle persone così sfortunate, la normativa vigente ha cercato in tutti i modi di abbattere le “barriere” architettoniche, che li separano dal resto del mondo. Essa rappresenta, almeno dal punto di vista teorico, un notevole passo avanti affinchè in qualsiasi angolo del pianeta vengano aboliti tutti i tipi di discriminazione che possono colpire uomini e donne, vecchi e bambini,con ogni tipo di handicap fisico o mentale. Il motivo chiave che anima tutta la Convenzione è talmente giusto e semplice da stupirsi che non sia stato preso in considerazione prima: i diritti inalienabili di ogni persona che risiede sulla Terra devono essere garantiti, in maniera particolare, anche, anzi, soprattutto, alla parte più fragile della popolazione, i quali sono obbligati non solo a convivere con le difficoltà derivanti, naturalmente dalla loro condizione, ma anche troppo spesso, discriminate in varie e perversi modi. I principi generali della Convenzione affermano il rispetto inalienabile per la dignità individuale, l’indipendenza delle persone, la condanna e la lotta contro ogni forma di discriminazione, l’inclusione e la partecipazione delle persone con handicap nella società, allo stesso livello di quelle “normali”, insomma le famosi “pari opportunità”, che non riguardano solo la discriminazione tra uomo e donna, ma anche i “diversamente abili”. Forse, però il concetto più importante, quello che davvero ci deve fare riflettere, è il rispetto delle diversità, di pelle, di sesso, di razza, di religione, di età, di ‘abilità’, e via dicendo, e l’accettazione della stessa differenza come parte integrante della vita e della stessa umanità. Figli, quindi, tutti di uno stesso Dio, o, per chi non crede, della stessa natura.
    Una teoria bella e lodevole, ma che non si accompagna, inevitabilmente, con la pratica. Perché la disabilità e senza alcun dubbio, una delle difficoltà più severe che accompagnano la vita umana, in quanto significa essere incapace di svolgere delle funzioni nel modo che la gente considera ‘normale’.
    Purtroppo, però per qualsivoglia motivo si sia stati colpiti da questa diversità, per malattie ereditarie o genetiche,per traumi, per morbi degenerativi, addirittura per l’avanzare degli anni, resta il fatto che la gente poco volentieri sopporta le persone portatrici di handicap o le tratta, come già accennavo prima, con quella pietà o quel compatimento, destinato a creature da un certo punto di vista comunque ‘inferiori’. In realtà, invece, chi ha qualche handicap ha la stessa dignità di tutti gli altri, anzi, di solito, sopporta la propria croce con un coraggio che non tutti i normali hanno e, per questo motivo, se non per quella solidarietà che dovrebbe caratterizzarci, avrebbe bisogno di essere trattato con rispetto e considerazione, alla stregua di qualsiasi essere umano. Sappiamo che questo non succede anzi capita il contrario. Perché per fare l’esempio di una diversità, che durante il corso non abbiamo affrontato perché non è delle più gravi, ma oggi assai frequente, la dislessia, ovvero i bambini che non sanno, anzi non riescono a leggere, che spesso vengono presi in giro dai loro compagni, e non è detto che la scuola stessa li aiuti. Il nostro ordinamento prevede già da tempo dei ‘supporti’ specifici e dei sostegni studiati ad hoc per gli alunni con questo tipo di disabilità, ma non dappertutto essi vengono realmente impiegati, perché non in tutte le scuole esiste, per citare il caso più lampante, il computer che è veramente indispensabile per i dislessici (a dire il vero, non ci sono le macchine nemmeno per gli alunni “normodotati”, quindi figuriamoci per gli altri)e, quel che è peggio, solo negli ultimi anni è stata effettivamente ‘riconosciuta’ questa diversità, perché prima chi non riusciva a leggere veniva solo bollato come un vagabondo, con i danni non solo psicologici, ma anche pratici.
    Pure, oggi noi sappiamo che, ad esempio, Leonardo Da Vinci era dislessico il che non ha impedito di diventare un genio nei più diversi campi del sapere. Forse perché una persona che ha un qualunque handicap è più “matura”, sviluppa una personalità più ricca, una consapevolezza di sé e del mondo che percepisce più vasta, anche l’atteggiamento verso l’esterno e le persone più equilibrato, perché chi riesce a superare una disgrazia più o meno grande, inevitabilmente è più forte, e non sempre più debole, e, in quanto tale coglie ancora meglio delle persone “normali”, pronte ad arrendersi e a maledire la sorte di fronte alla minima difficoltà, il senso più profondo della vita. Come abbiamo visto, questo discorso vale anche per, Simona Azoti, che nonostante sia nata senza braccia tende a leggere gli eventi negativi come momentanei infatti tende a vedere i cambiamenti come una sfida e un opportunità piuttosto che come una minaccia. Ritiene di possedere un grande margine di controllo sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda infatti dice “i limiti sono in chi mi guarda”. Ci vuole insegnare che bisogna superare i propri limiti in onore della voglia di vivere.
    Un esempio per tutti: Jorge Luis Borges, uno dei più importanti del novecento, era cieco dalla nascita, ma questo non gli ha impedito di realizzarsi in un campo che a un non vedente sembrerebbe di natura precluso quale è la lettura e la scrittura. Un altro esempio è il signor Palladino, che a causa di un incidente stradale a 13 anni ha perso la vista, diventando cieco. È proprio la cecità a consentire di affinare una sorta di sesto senso interiore che ha permesso di arrivare ben oltre i limiti di una persona “normodotata”. E questo è soltanto, quello di Borges, uno dei tanti casi, perché moltissimi artisti, divi dello spettacolo, scienziati, politici e imprenditori hanno convissuto, e vivono tuttora, con i più svariati tipi di menomazioni che non hanno però loro impedito di svolgere al meglio la propria attività. Stavo scrivendo “normalmente”, mentre è proprio questo il problema. Non dovrebbe esistere differenza tra normalità e diversità, sia dal punto di vista pratico che dal quello psicologico. È proprio la nostra “forma mentale”, infatti, ad istaurare le barriere più alte, e quelle più difficili da abbattere, costruite sulla base del pregiudizio, della supponenza, di una limitatezza che, senza alcun dubbio è più “nostra” che “loro”. Qualsiasi persona, indipendentemente dal suo deficit fisico o cognitivo, resta comunque un essere umano, un nostro fratello, con il quale dobbiamo condividere un pezzo di cammino, senza portarne, o sopportarne, il peso. E come già accennai poco tempo fa, dovrebbe essere compito dell’intera società, dal politico allo studente, cercare di facilitare il quotidiano di queste persone; non basta mostrare compassione o finta solidarietà, è necessario attivarsi e con le proprie forze sensibilizzare chi dispone di potere e mezzi al fine di offrire una qualità di vita migliore.
    Ben venga quindi una Convenzione internazionale che ci ricorda che i diritti dell’uomo devono essere garantiti proprio a tutti. Solo così quando per la legge verranno finalmente abbattute le barriere di carattere pratico, c è la speranza che cadano anche quelle di carattere mentale le quali, purtroppo continuano ad appartenerci e ad etichettare un “diverso” come una creatura “minore”, degna magari soltanto della nostra compassione o carità. L’idea di ri-pensare una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità, i quali non sono soggetti di pietismo ma responsabili della relazione io-altro. Si pensa ad una comunità sociale che superi i limiti di una società che trascura spesso i soggetti disabili. Tutto ciò deve avvenire con attenzione alla persona, alla socializzazione, alla globalizzazione, all’integrazione.
    Dato che è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap bisogna analizzare l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui ovvero, la società, la famiglia, il contesto lavorativo, elementi che possono influenzare lo stato di salute. Andiamo ad analizzare vari istituzioni sociali, come la scuola e la famiglia. Ci sono parole che sono sulla bocca di tutti e che forse, proprio per questo, si ha l’impressione che basta pronunciarle per ritenere che siano risolti i problemi che esse comportano. Una tra queste, per fare un esempio, è l’integrazione. L’integrazione sarebbe un evento del tutto naturale, se tutti fossero messi in grado di frequentare quella palestra di convivenza e di educazione che si chiama scuola, siccome l’integrazione passa soprattutto attraverso l’educazione scolastica. La scuola, soprattutto quella elementare, si deve attrezzare con insegnanti e strumenti didattici adeguati alla condizione di chi ha bisogno di ausili maggiori. L’integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dai disabili, è la valorizzazione delle dotazioni individuali. Nessuno deve essere definito per sottrazione perché si tratta di persone, e si caratterizzano per le proprie capacità.
    Un altro elemento che costituisce il motore di integrazione è la famiglia. La famiglia, pur tra i mutamenti determinati dall’ evoluzione sociale e contro lo scetticismo di chi la vorrebbe in crisi, resta un fondamento della società ed una sicurezza per i giovani, in grado d’ispirare valori e fiducia in se stessi. La famiglia è, nel contempo un istituzione sociale, con diritti, leggi e doveri da rispettare, ed anche un valore da perseguire, essendo il primo ambiente in cui un individuo muove i suoi primi passi, acquista fiducia e sicurezza in se stesso e viene avviato al primo stadio del processo di socializzazione. Le esperienze, gli insegnamenti, i sentimenti acquisiti e sperimentati in famiglia permettono di formare e rafforzare l’identità dell’io e la propria personalità, indispensabili per realizzarsi al di fuori dell’ambito familiare. Gran parte dei comportamenti e delle scelte di vita di un uomo sono i prodotti di quanto assimilato dal rapporto con i genitori, dal clima respirato in famiglia, dall’educazione ricevuta. Si sente ripetere che attualmente la famiglia è in crisi. Alcune considerazioni convalidano quest’ ipotesi: il dialogo tra genitori e figli rischia d’impoverirsi o cessare del tutto, essendosi complicata la condizione dei giovani nella società di oggi; combattuti tra l’aspirazione ad ottenere subito tutto e le difficoltà di realizzazione socio- economica, i giovani si sentono delusi, tristi, incompresi e reagiscono chiudendosi in se stessi, rifiutando ogni conforto con l’esterno, ma anche con chi può capirli entro le mura domestiche. Infine c è da denunciare la carenza di servizi sociali e di intervento degli Enti pubblici predisposti al sostegno economico del nucleo familiare, nonostante il fatto che la nostra Costituzione preveda l’aiuto materiale da parte dello Stato alle famiglie più numerose e bisognose. Comunque la famiglia resta insostituibile innanzitutto per i figli, che in essa, ovviamente quando è sana, trovano. Il luogo naturale più consono alla loro maturazione ed alla loro prima socializzazione e la fonte di valori morali e di modelli comportamentali. Che la famiglia sia un bene prezioso, lo dimostra il fatto che l’azione di ogni altro istituto (scuola, Stato, Chiesa, azienda in cui si lavora) non può surrogarla; invece una solida e sana famiglia alle spalle consente ad ogni individuo di affrontare la vita con forza e fiducia in se stesso. L’obiettivo è quello di valorizzare la persona con il rispetto delle differenze e delle identità. La costruzione dell’identità personale, quindi, deve avvenire in luoghi rassicuranti capaci di sviluppare le potenzialità personali cercando i mezzi più idonei a valorizzare la differenza come risorsa. Per questo la nuova cultura della disabilità deve essere attenta ad innalzare le qualità della vita dei soggetti e cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive.
    Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile, l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere al tal proposito in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile attraverso programmi mirati su un piano di pari opportunità con i normodotati. Tutti i rapporti umani sono formativi perciò la relazione educativa si configura come uno scambio, un confronto che si viene a creare tra l’educatore e l’individuo da educare, attraverso un rapporto basato sul rispetto e la parità, dove entrambe le persone ricevono e danno qualcosa. Il problema, a mio avviso, è quello di trovare un equilibrio che non sia però turbato da ingiustizie e sopraffazione. Ritengo quindi che genitori e figli, docenti e discenti, debbano coesistere cercando di comprendersi e di comprendere i rispettivi limiti, al di là degli egoismi e degli estremismi sempre assai controproducenti e soprattutto ritengo che, come modesta soluzione comportamentale praticabile, ognuno d noi ricordi sempre che per ricevere bisogna prima donare.

    La tecnologia come miglioramento, può essere intesa come scoperta evolutiva, indagine scientifica ma il fine non è sempre pratico o necessario, talvolta viene utilizzata per migliorare l’estetica del proprio corpo. La tecnologia, per sua definizione, è lo studio delle tecniche inventate dall’uomo per risolvere i suoi problemi pratici con lo scopo di riprodurle e potenziarle attraverso l’uso delle conoscenze scientifiche. La tecnologia, quindi, costituisce per l’uomo una sorta di braccio sostitutivo, che rende più confortevole e sicura la sua esistenza, dando l’impressione di forza e di capacità di controllo più considerevoli sulle forze della natura. Quindi la tecnologia è un estensione e potenziamento delle facoltà umane. Dunque siccome è connaturato in noi l’istinto di sopravvivenza rispetto alle avversità e l’esigenza di migliorare la nostra vita a dispetto delle insidie che la mirano, non può non attrarre ciascuno di noi, sebbene in diversa misura, il rapporto con gli strumenti della tecnologia, che nell’esercizio delle loro funzioni sintetizzano e quasi simboleggiano la nostra voglia di affermazione e di controllo dei fenomeni complessi come la comunicazione,le protesi estetiche, la produzione e gestione delle risorse. Tutto ciò per entrare in rapporto con la società, sempre più competitiva e priva di valori. Parte dell'umanità sembra +destinata ad una profonda trasformazione culturale,epistemologica e perfino fisiologica. Ma la rapidità del cambiamento minaccia il nostro equilibrio biologico ed emotivo e lacera le componenti etiche ed estetiche tradizionali. Come è evidente, la “Tecnologia” ha investito il nostro “vivere”, condizionando gli stili di vita e le abitudini delle persone, ma soprattutto gli schemi cognitivi (il modo di pensare, di riflettere, di ragionare), e anche il modo di comportarsi di ogni singolo cittadino. Essa caratterizza le più grandi innovazioni di carattere estetico ed elettronico che ci siano mai state e che ancora continuano ad esserci e ad influenzarci sempre di più. È ormai risaputo che la cura dell’aspetto esteriore, di se stessi e delle cose e persone che ci sono vicine, è diventata un dato molto importante, ricercato e coltivato sia nella vita sociale che nella sfera del privato. Tuttavia alla base di questo fenomeno non c è semplicemente la predilezione per le forme belle e armoniose, ma la convinzione che la bellezza esteriore di una persona contribuisca ad “impreziosirla”, aumentandone la dignità, soprattutto perché tali cambiamenti suscitano da parte degli altri consensi e, a volte, persino invidia. Infatti un numero sempre maggiore di individui, soprattutto donne e fin dall’ età adolescenziale, è disposto a ricorrere persino alla chirurgia estetica per migliorare il proprio aspetto, e ottenere quindi, un viso più armonico, un corpo più levigato ed attraente, ricorrendo con ogni mezzo di bellezza e giovinezza. La donna attuale appare così sempre insoddisfatta, sempre alla ricerca della perfezione, come affermano Remaury, Lipovetsky e Braidotti. Remaury nel “Gentil sesso debole” sostiene che siamo diretti e orientati verso una corsa alla perfezione ed abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza- bellezza-salute. In tal modo, il valore e il significato della bellezza cambia, e da un frutto naturale, da valorizzare e da arricchire con la scelta di un abito giusto, di una pettinatura o un trucco adeguati, diventa un risultato che si può ottenere sottoponendosi anche ad interventi chirurgici costosi e potenzialmente rischiosi. Bisogni imposti dalla società, nel quale siamo inseriti. Le fonti prime di informazione, quali riviste, giornali, televisione,cinema, radio e mezzi multimediali, sono sempre più fondate sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità che non sui contenuti e sui messaggi costruttivi per il senso critico dell’individuo. La diffusione delle nuove tecnologie ha permesso all’uomo di migliorare la qualità della sua vita, di estendere gli orizzonti culturali, di arricchire le conoscenze, ma lo ha anche esposto al rischio di nuove forme d’alienazione e d’emarginazione.
    La liberazione de La terza donna celebrata da Lipovetsky nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati che conducono la donna verso il corpo realizzato, ossia la conquista di un corpo perfetto assicurato attraverso il conseguimento di bellezza e salute. Infine anche Rosa Braidotti ci riporta nel suo libro “Madri, mostri e macchine” il cambiamento che si è avuto con l’avvento delle tecnologie. E sostiene che giocare con l’idea di un corpo- macchina è certamente un rischio e non dà alle donne la certezza di uscire vincitrici da questa sfida. Infatti, oltre al fatto che non sempre viene ottenuto il risultato desiderato, si deve tener conto che a volte gli interventi vengono effettuati anche quando sconsigliati dai medici stessi. Il medico scrupoloso e tendenzialmente corretto, infatti sconsiglia un cambiamento fisico se esso non si adatta alla linea fisiologica sulla quale si intende intervenire, perché potrebbe dare un effetto deludente e disarmonico sul piano psicologico ed estetico e conseguenze dannose sul piano fisico. Ad esempio, una ragazza che intende aumentare la massa del seno di troppo rischierebbe di compromettere un’andatura naturale ed agevole, perché la sua schiena, abituato a sostenere il peso di una massa più piccola, potrebbe non riuscire a sostenerne uno più consistente. Infine, non sono da sottovalutare i rischi che si corrono affidandosi a medici senza scrupoli, pronti a far leva su desiderio di bellezza di donne o uomini giovani o meno giovani per arricchirsi e guadagnare prestigio, servendosi di strutture ospedaliere inadeguate o non predisposte per affrontare eventuali complicazioni respiratorie,cardiache o allergiche.

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    Rita Desiato


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    Messaggio  Rita Desiato Mar Mag 08, 2012 4:24 pm

    L’Organizzazione Mondiale della Sanità (detta anche OMS o World Health Organization in inglese) è un’agenzia specializzata per la salute fondata il 7 aprile 1948. L’OMS è” la prima Classificazione internazionale delle malattie “ o detta anche ICD, del 1970 ,nasce con l’obiettivo di cogliere le cause delle patologie , fornendo fondamentali caratteristiche cliniche sui vari tipi di sindrome e disturbi.Nel 1980 L’OMS promuove ICIDH (International Classification of Impirments ,Disavibities and Handicaps) basato su tre punti : Menomazione – Disabilità – Svantaggio/Handicap ; con il passar del tempo gli ultimi due punti sono stati rinominati rispettivamente Abilità e Partecipazione.
    Andiamo quindi a spiegare i tre punti presi in considerazione dall’ICIDH .
    Primo punto MENOMAZIONE indica una qualsiasi perdita o anomalia a carico di una struttura del corpo o di una funzione psicofisica,fisiologica o anatomica . Le caratteristiche della Menomazione sono:perdite materiali o anormalità , ovvero , comprende l’esistenza di difetti che possiamo definire come un DANNO ORGANICO , una MANCANZA o un CATTIVO FUNZIONAMENTO di una parte del corpo .
    Essa può presentarsi in forma :
    • Temporanea
    • Accidentale
    • Permanente
    Il secondo punto , ovvero , la DISABILITA’ è conseguente della Menomazione e indica la limitazione o perdita delle capacità di compiere un’attività nel modo considerato da tutti “normale” . Essa può essere considerata una restrizione o carenza della capacità di svolgere una qualsiasi attività.
    Infine L’HANDICAP rappresenta una difficoltà che il soggetto incontra nel confronto con gli altri ; quindi possiamo parlare di condizione di disagio o svantaggio .
    E’ una situazione che si scosta dalla cosiddetta “NORMALITA’ “ ovvero c’è difficoltà nella socializzazione , un difficile inserimento poiché il soggetto in questione viene etichettato dalla società come persona con handicap ; nasce cosi il problema dell’inserimento , dell’integrazione e quindi si parla del fenomeno esclusione .
    Un piccolo chiarimento va fatto sul concetto NORMALITA’ , innanzitutto va precisato che è una concezione assolutamente relativa e soggettiva ; poiché non vi è un parametro generale sul quale poter fare riferimento .
    Nel 2001 L’OMS apporta una modifica o possiamo definirlo meglio un passaggio dall’ICD all’ICF.
    L’ICF ovvero “ Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute” rivoluziona gli attuali principi ; questi principi evidenziano l’importanza di un approccio integrale che tiene conto del fattore ambientale . Il nuovo approccio si basa sulla correlazione tra stato e ambiente , essa è stata introdotta per poter avere il reale quadro funzionale della persona in più ha permesso di unificare un” linguaggio internazionale “ come ad esempio tra le ASL e ospedali .Un’importante riflessione va ai termini DISABILE e DIVERSO .
    Il DISABILE come già accennato prima è una persona impossibilitata a svolgere le cosiddette azioni o attività “normali “ della vita quotidiana . Nei confronti di queste persone di solito si tende ad avere un atteggiamento di pietismo , cosa che a mio parere è del tutto sbagliata perché riflettendoci sono persone con una grande forza di vivere ponendo anche come riferimento la ballerina-pittrice Simona Atzori ; essa è difinita la ballerina senza braccia . Fin da giovane ha intrapreso l’attività di ballerina e pittrice nonostante gli innumerevoli ostacoli , e proprio grazie a questa sua grande forza di volontà è riuscita a superarli. Detto ciò , perché ci deve essere qualcuno che li etichetta e deve farli sentire diversi nella società in cui vivono? A questa domanda la mia riflessione è stata che alcune persone si soffermano sulle cose superficiali e futili e non vanno oltre!
    La DIVERSITA’ spesso confusa con la parola DISABILITA’ vuole indicare una persona che ha una DIS-abilità ovvero un’abilita diversa dagli altri da dover potenziare , da scoprire o da far emergere.Le persone disabili possono interagire con il mondo esterno con l’ausilio di apparecchiature , strumenti atti a sostenerli , aiutarli nel loro percorso di vita; bisognerebbe eliminare le barriere architettoniche in modo che gli individui “ disabili” non vengano emarginati , resi invisibili dal resto del mondo poiché molte persone non vedono oltre e pensano di essere superiori . Una frase che mi ha colpito molto è : IL DIVERSO NON SCEGLIE DI ESSERLO MA VIENE ETICHETTATO DALLA SOCIETA’.
    La DISABILITA’ può presentarsi in forma :
    • Tranisitoria
    • Permanente
    • Regressiva
    • Progressiva
    Secondo una mia riflessione la disabilità non dovrebbe rendere le persone diverse in modo da allontanarle , emarginarle , ed escluderle anzi dovrebbe essere il contrario visto che si possono fare vari riferimenti a persone importanti come la sopra citata ballerina-pittrice Simona Atzori e lo sportivo Pistorius.

    Prendendo in esame il libro “ Complessità della persona e disabilità scritto da Anna Maria Murdaca , docente esperta e competente delle questioni relative la persona con disabilità ; mette in evidenza i temi di : integrazione , complessità e umanità della persona , inclusione e inserimento del disabile , cura e relazione educativa , nuovi scenari prospettati , ambiente e spazio .
    Il testo mira :
    • Alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    • Alla rimodulazione del termine integrazione
    • Alla comprensione delle reali condizioni di vita e quale ruolo possono assumere i soggetti disabili

    L’ ICF , dà l’importanza all’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui , ovvero :
    • Società
    • Famiglia
    • Contesto ambientale e lavorativo
    Sono elementi che influiscono sullo stato di salute .
    Un’importante riflessione viene fatta per quanto riguarda la relazione Educativa ( rapporto madre/figlio , docente/discente , padre/figlio ecc…) .
    Si parla di EDUCAZIONE,. Processo e attività , influenzata nei diversi periodi storici delle varie culture volta allo sviluppo e alla formazione di conoscenze e facoltà mentali , sociali e comportamentali in un individuo . Quindi possiamo dedurre che è il trasmettere di valori nozioni , idee ; uno scambio continuo dall’adulto al bambino , ma anche viceversa . Il rapporto adulto/bambino è biunivoco perché entrambi apprendono ma insegnano a loro volta.
    La RELAZIONE possiamo definirla :
    • Complesso di legami
    • Incontro umano , portatore di significati , valori e opinioni
    • Un continuo dare e avere
    La relazione tra educatore e educando si basa sul trasmettere qualcosa di positivo che costituisce un arricchire di conoscenze ; in ambito scolastico deve avvenire una crescita , una formazione dell’educando .
    Alle volte stessi i docenti sono in difficoltà con le varie situazioni che gli si presentano davamti , ad esempio in situazioni carceriere e comunitarie.
    In questi casi l’educatore lo possiamo paragonare ad una FONTE GUIDA e l’educando come una persona in difficoltà in cerca di aiuto , di comprensione e soprattutto si cerca di indirizzarlo verso comportamenti idonei e consoni.
    Per questi casi ci sono attenti studi , un lavoro di squadra con persone professionali e qualificate che mettono le loro competenze al servizio delle persone con difficoltà in modo da ricondurli nella società .
    Una riflessione va fatta sul ruolo dell’insegnante e cosa deve fare :
    • Trasmettere le proprie competenze agli allievi
    • Creare un clima sereno
    • Entusiasmare il bambino
    • Farlo sentire a suo agio
    Soprattutto il rapporto deve essere basato su : FIDUCIA – STIMA – RISPETTO.
    La relazione educativa su una persona disabile è molto importante poiché l’insegnante prima di tutto deve prendere in considerazione la diversa situazione , creare dei programmi specifici per far emergere le sue doti , non farlo sentire diverso e farlo integrare con gli altri compagni.
    L’importante è l’incontro con l’altro attraverso PAROLE , SILENZIO ,e CONOSCENZE .
    Le parole danno il senso di ciò che si vuole trasmettere a colui che sta ascoltando , quindi per poter recepire quello che si sta tentando di comunicare si deve prestare ATTENZIONE ; ne consegue che nelle relazioni educative è fondamentale l’attenzione .
    Dall’attenzione e l’assimilazione dell’argomento di cui si è trattato si apprendono le proprie conoscenze , quindi da un semplice discorso chiunque sia Insegnante ; Madre ; Padre ; Amico : Fratello ; Sorella ; vi è l’assimilazione del discorso e di conseguenza si ampliano le propre Conoscenze .
    L’obiettivo fondamentale è quello di Valorizzare la persona .
    La relazione si basa su alcune motivazioni :
    • Gratificazione : importante per il soggetto in formazione
    • Regole : inspensabili
    • Condivisione : nascono le ragioni comuni
    • Preferenza : Il modello che viene scelto da poter assomigliare
    Nella relazione educativa una finalità molto importante è quella di EDUCARE ALLA RELAZIONE CON GLI ALTRI.
    I rapporti educativi si creano in famiglia per poi proseguire con quelli esterni come la scuola e contesti extrascolastici .
    La prima cosa da fare quanto un bambino entra per la prima volta in aula l’insegnante deve guadagnarsi il suo rispetto e la stima dai propri alunni .
    La scuola non è solo un luogo dove si impara ma è anche un’ ambiente dove entrano a far parte le principali esperienze di vita !



    Prima si è fatto riferimento al corpo , i vari teorici che affrontano questo argomento sono : Gamelli , Rosi Braidotti e LIepovetsky . Faccio prima una piccola premessa che “ IL CORPO NON POSSIAMO NON INDAGARLO A PRESCINDERE DA NOI STESSI , POICHE’ E’ STRETTAMENTE LEGATO “ ; frase estrapolata dal libro “ Pedagogia Del Corpo “ .
    Egli fa una fondamentale distinzione :
    • Corpo abitato
    • Condizioni d’ascolto
    Egli definisce corpo abitato perché nel nostro corpo vi è : il sangue , le ossa ; i muscoli ecc..
    Il suo libro è costituito da sette capitoli dove mette in luce le teorie e i contesti ( scienze motorie e il legame del corpo ) ovvero la psicomotricità nonché il” gioco dei sensi” . Quindi si deve educare in quasi tutti i sensi . Il corpo possiamo paragonarlo ad una memoria senso-percettiva .
    La bellezza del nostro corpo è esaminata dal nostro grado di giudizio .
    La cultura dell’immagine della donna si esprime con la bellezza e la donna deve essere in grado ed ha il dovere di coltivarla .
    Un’importante scrittore Remaury nel suo libro “ Il gentil sesso debole” afferma che siamo orientati verso una corsa alla perfezione e quindi abbiamo un triplice obiettivo : GIOVINEZZA- BELLEZZA –SALUTE.
    Possiamo distinguere tre tipi di corpi :
    • Corpo trasfigurato : il corpo deve ascendere faticosamente ma inesorabilmente la scala della perfezione grazie ai progressi della scienza
    • Corpo esatto : compie progressi verso la perfezione grazie alla scienza ; esso è il modello dominante
    • Corpo liberato : liberato falla malattia ovvero sano dal peso nel senso magro e dal tempo giovane.
    Secondo Lipovetsky nel suo libro “La terza donna” fa percepire che la donna ha raggiunto una fase positiva sull’apparente acquisizione di grazie. La teoria della maturità della donna fa venire fuori colei che controlla e gestisce la propria immagine offerta dai modelli sociali . Il controllo della propria immagine conduce la donna verso il corpo realizzato ovvero una conquista del corpo PERFETTO. Uno slogan americano afferma “ ottenere il massimo da noi stessi “ volendo spiegare che al giorno d’oggi si cerca sempre la perfezione. Possiamo fare un riferimento alla modella Kate Moss , tanto magra che ha favorito la diffusione del fenomeno dell’anoressia ( per poter assomigliare a lei ed entrare nella taglia 38-40) , quindi con il tempo si sono andati a creare dei canoni di bellezza da seguire pur sapendo che sono sbagliati e fanno male al corpo. Queste persone come la Kate Moss definiti Modelli di “ femminile mancante “ ovvero sono donne senza forme DIS-UMANE ; perché la magrezza non è solo Bellezza. Tale immagine identifica l’anoressia come modello estetico , come oggetto di desiderio per il genere maschile e di imitazione per il genere femminile .Cosi nel campo clinico sono aumentati i digiuni restrittivi , le diete e le pratiche di svuotamento del corpo ; quindi possiamo definirlo un corpo deformato.Altra importante scrittrice è Rosi Braidotti che ha scritto il libro “ Madri mostri e macchine” .Una frase che fa riflettere molto è :” Ciò che accomuna tutte le diversità è la distanza di quei corpi dalla normalità , il loro essere stati visti da sempre come mostruosi come deformi ,rispetto alla norma che rappresenta il grado zero della mostruosità “ .La Braidotti sottolinea il tema del diverso in termini di mostruosità e paragona il mostro alla madre che deforma il corpo essendo in gravidanza ovvero incinta .Una frase che rappresenta cosa significa il mostro che mi ha colpito ed è stata estrapolata dal libro della scrittrice è:” Il mostro quindi di conseguenza è l’incarnazione della differenza dalla norma dall’umano-base : è un deviante , un’anomalia , un a-normale ,è abnorme .”
    • Secondo il mio pensiero non si deve cercare di mettere a repentaglio la propria vita seguendo un modello estetico solo perché ce lo impone la società , ma siamo noi che dobbiamo sentirci bene prima con noi stessi e poi con gli altri
    • E come ultima cosa non dobbiamo fare la differenza tra diverso e normale poiché tutti quanti siamo diversi , tutti siamo unici esattamente come tutti gli altri

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    Emilia De Blasio89


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    Messaggio  Emilia De Blasio89 Mar Mag 08, 2012 6:44 pm

    1. L’OMS Organizzazione Mondiale della Sanità intorno al 1970 opera un’elaborata classificazione internazionale delle malattie quale l’ICD volta d individuare le cause delle patologie fornendo, in questa maniera ,una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche per ogni sindrome e disturbo partendo già dalla nascita. Per rendere possibile la memorizzazione ,la ricerca e l’analisi dei dati le patologie vengono tradotte in codici numerici (aspetto eziologico)seguendo lo schema Eziologia-patologia, manifestazione clinica. Costituendo così una sorta di Enciclopedia Medica. Dopo ben dieci anni l’Oms mette a punto una classificazione internazionale ossia l’international Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps ovvero l’ICIDH, proposta basata su tre fattori integranti ed interdipendenti quali la menomazione, la disabilità, e lo svantaggio o handicap termini che verranno sostituiti da menomazione, abilità e partecipazione. Quest’ultima focalizza la sua attenzione sulle capacità del soggetto e delle sue possibilità di coinvolgimento sociale determinando un notevole cambiamento nei confronti di soggetti con deficit. Nasce così il termine DIVERSABILE che risalta nelle persone con disabilità anche delle Abilità. Nel 2001 l’ICIDH viene sostituita dall’ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, secondo cui la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sociale sfavorevole a differenza dell’ICD che definisce la disabilità una malattia. Il contesto sfavorevole, sopra indicato, è determinato da una catena di problema che abbiamo potuto constatare grazie all’esercizio dell’orologio proposto in aula. Ci siamo potuti rendere conto di quanto siamo noi cittadini a dare sempre più vita a questo contesto che sicuramente non favorisce l’inserimento sociale di persone disabili. Il più delle volte parcheggiamo l’auto su strisce pedonali o davanti agli scivoli per persone su sedie a rotelle, ostruendo il loro passaggio. La scarsa manutenzione su mezzi come pullman che non sono dotati di opposite attrezzature per permettere di salire e scendere, montacarichi fuori servizio nelle metropolitane, strade inaccessibili per persone su sedie a rotelle…. Tutti comportamenti che come già detto non favoriscono per niente il miglioramento della vita di persone diversamente abili. Ciò che contribuisce ad accrescere questo contesto è anche l’utilizzo inappropriato di termini come Diverso che spesso utilizziamo per indicare persone con deficit, o affette da patologie cucendo su di loro un’etichetta , che non fa altro che influire negativamente sul loro inserimento sociale. Il Disabile è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana a causa di disfunzioni motorie che creano un disagio sociale il più delle volte anche psicologico perché il disabile è anche ciò che gli altri pensano di lui. Come citato sul testo Nozioni introduttive di Pedagogia della Disabilità: tutti sono diversi; non tutti sono disabili. L’ICF è stata introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica, pur essendo importanti, non erano giudicate sufficienti per avere un quadro reale della persona, o meglio ciò che può o non può fare .La Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute considera anche un aspetto fondamentale, quello dell’interazione sociale, in questo modo l’approccio diventa multi-prospettico: Biologico, Personale e Sociale. In altre parole l’ICF non classifica solo condizioni di salute , malattie e disordini-traumi, che sono d’interesse dell’ICD, ma le conseguenze associate alle condizioni di salute, ponendo al centro la qualità della vita delle persone affette da una patologia permettendone un miglioramento affinchè queste possano contare su un’esistenza serena e produttiva. I termini menomazione, disabilità e menomazione vengono nuovamente sostituiti da Funzioni, Strutture corporee ed Attività di partecipazione, con l’intendo di indicare maggiore attenzione alle capacità del soggetto ed alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. Gli ambiti in cui può essere utilizzato l’ICF sono quello Sanitario, Sociale, Educativo, Ricerca, Scolastico ed in quello di Politica Sociale e Sanitaria. Nella classificazione ICF rientrano anche i fattori ambientali che influenzano tutte le componenti del funzionamento e della disabilità, organizzati secondo un ordine che va dall’ambiente più vicino a quello più lontano alla persona. Il modello ICF sostiene che la persona è la risultante dell’interazione tra diversi settori, offre così una prospettiva globale dello stato di salute, e queste persone inserite in un contesto sociale ci consentono di individuare i livelli di qualità del funzionamento e dei loro bisogni ed è un modello molto importante per gli operatori del campo sanitario e dei settori di sicurezza sociale, delle assicurazioni, dell’istruzione, dell’economia e del lavoro. Adottandolo, infatti, si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa. La classificazione ICF riguarda chiunque viva una condizione di salute in un’ambiente che la ostacola. In questo caso la disabilità non si limita soltanto alla malattia, come su detto per quanto riguarda l’ICD, ma si identifica con lo stato di salute, prendendo così in considerazione non solo gli aspetti medici ma anche quelli sociali, tenendo in considerazione anche il contesto ambientale in cui vive la persona.

    2. Anna Maria Murdaca, autrice del testo Complessità della persona e disabilità , è docente esperta in questioni relative alla persona con disabilità. Secondo l’autrice bisogna mirare all’inclusione ovvero alla globalità, una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione che può essere disorganizzata da errate interazioni tra il sistema biologico, psicologico, affettivo, relazionale e sociale. L’individuo svantaggiato deve essere considerato a pari diritti e dignità di ogni altro essere umano in quanto tale, deve essere considerato persona nella più globale eccezione del termine. Per ricostruzione di una nuova cultura della disabilità significa riflettere su:

    - Le principali norme e disposizioni che regolano la tutela ed i servizi in favore di soggetti in situazioni di disagio; - Il problema delle barriere architettoniche; - Materiali ed ausili che la tecnologia mette a disposizione;
    In prospettiva umanistica significa guardare alla globalità della persona con disabilità pensando a ciò che essa può o non può fare dando così spazio a tutto. Come abbiamo già detto è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap ,gli ostacoli che esso propone che causano una continua situazione di emarginazione ed esclusione, come ad esempio le barriere architettoniche che non permettono un favorevole inserimento sociale per persone con disabilità. L’ambiente quindi visto come contesto sociale può essere determinante per la disabilità, perché può essere favorevole ad esempio integrando al lavoro scolastico un lavoro vero e proprio, mentre può essere sfavorevole se ciò non avviene. Infatti gli insegnanti dovrebbero allontanare un po’ il concetto di scuola perché può contribuire a sviluppare competenze e capacità che devono essere trasferite nel contesto lavorativo. La famiglia deve liberarsi quanto prima dal senso di impossibilità di miglioramento della vita psico-fisica di un figlio/a disabile. L’integrazione è un processo continuo e non un punto d’arrivo, e significa inserire una persona o un gruppo all’interno di un contesto o ambiente al fine di far diventare loro parte organica. Significa, quindi, rendere qualcosa completo-efficace. Attraverso essa si tenta di valorizzare al meglio le dotazioni di ogni individuo per rendere persone con disabilità autonome ed emancipate. La logica della disabilità è la stessa del linguaggio, ovvero, deve esse multilineare e pluri-sequenziale, deve analizzare il soggetto ed analizzare il contesto e tutta la serie di interventi ad esso rivolti. Ciò che determina il concetto di cura riguarda l’agire educativo, intendendo la cura come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti, volta a rendere l’uomo per ciò che egli è e per ciò che può diventare. Con l’intervento di A.M.Murdaca si sente la necessità di riformulare il termine integrazione definendolo come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica e come condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità/autonomia, identità e potenzialità personali. attra Atrav Attraverso la relazione ed
    Attraverso la relazione educativa a formarsi non è solo l’alunno ma anche il docente. Nel caso di un allievo disabile il docente deve utilizzare programmi specifici cercando di mettere in luce le sue potenzialità e non i suoi limiti. Tra le relazioni educative abbiamo:
    La relazione madre/figlio dove il più delle volte ad essere educati non sono i bambini ma sono questi che educano gli adulti.
    Relazione docente/allievo tale relazione deve essere incontro e scambio, partecipazione ed alleanza e non deve essere contrassegnata da una disparità di potere tra allievo e docente. E’ un prendere e dare sincronia.
    Relazioni mono-direzionali in ogni tipo di relazione tra due persone avviene uno scambio si da ma si riceve anche qualcosa. Tutte le esperienze di vita sono relazioni educative.
    Relazione educatore/educando il futuro educatore deve trasmettere qualcosa di positivo alle relazioni che costituisce arricchendole di conoscenze. Al fine di un arricchimento reciproco è fondamentale il rispetto reciproco.
    Una relazione educativa è anche uno scambio di emozioni tra due o più persone; tutti possono insegnare, tutti possono imparare.
    3) Rosi Braidotti durante le lezioni di Women’s Studies, Eros and Pathos, collega il corpo a qualcosa di immateriale e propone il cibo come gioia, come piacere ma propone questo anche come disordine alimentare causa di problemi come anoressia, bulimia. La rovina contemporanea secondo la Braidotti sta proprio nel cibo visto come consumo, causa quelle immagini in cui le modelle diventano umane nei cartelloni pubblicitari mentre anoressia e bulimia rappresentano il buio. Il problema da lei riscontrato è che ai due lati del mondo si muore per la stessa malattia ovvero la fame. Vi è un evidente controsenso fondamentalmente perché l’attenzione dei mass media tenta dii ovviare alle cattive abitudini alimentari come anoressia, bulimia ed obesità, ma i mezzi di comunicazione favoriscono campagne pubblicitarie non fanno altro che incoraggiare queste patologie. Negli ultimi 30’anni è andata affermandosi sempre di più la magrezza femminile attribuendo al corpo esile valori quali ambizione, potere, autoaffermazione sociale. E’ stato dimostrando anche che il confronto personale con i modelli proposti dalle riviste provoca una diminuzione del tono d’umore soprattutto nelle donne. Remaury autore del testo Il gentil sesso debole, le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute ritiene che la cultura dell’immagine della donna si confonde con quella di bellezza, che ha il primato nella scala gerarchica nella società dei mass-media. Il suo miglioramento fisico ed estetico è legato ad un suo bisogno, ossia, quello di essere bella. Da sempre alla bellezza sono state attribuite virtù come onestà, gentilezza ed intelligenza quasi a dimostrazione che bellezza e bruttezza siano concetti antitetici. La propaganda mediatica propone i canoni di bellezza e di perfezione corporea, e quelle che non riescono ad adeguarsi a questi canoni si sentono umiliate. Bellezza e giovinezza sembrano essere oggi caratteristiche che una donna deve avere se vuole continuare a restare in televisione. Difatti possiamo assistere a molti modelli proposti dalla tv che pur di tenere vivi questi canoni non fanno altro che ricorrere alla chirurgia estetica trasformando di continuo il loro corpo fino a sfigurarlo nel vero senso della parola, quasi come se un corpo trasfigurato rappresenti l’immagine di perfezione. Nel testo La terza donna di Lipovetsky la liberazione nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati: Dalla malattia cioè salute, dal peso cioè magro e dal tempo cioè giovane, essendo così obbligata a percorrere una delle strade verso il corpo perfetto. La terza donna ha raggiunto una fase positiva della cultura di bellezza basata sull’apparente acquisizione di garanzia. La magrezza non è bellezza, la magrezza è un modello deforme dato che le modelle pur essendo anoressiche rappresentano un prototipo di bello ma che diventa mostruoso. Un esempio è la modella Kate Moss, tanto per citarne una, un corpo eccessivamente magro, senza forme, un corpo de-femminilizzato costituendo appunto il femminile mancante, e pure è stata ed è ancora icona di bellezza per molte donne, promuovendo l’anoressia fino a farla diventare una moda. Credo che, anche se per alcune persone è difficile, ognuno di noi deve accettarsi per ciò che è e magari cercarsi di migliorarsi ogni giorno di più per vivere una vita quanto più positiva possibile. Per migliorarsi intendo tirare fuori le proprie capacità con tutti i mezzi possibili, senza rendersi dei mostri, cercare di realizzare i propri sogni attraverso ogni abilità e senza ricorrere a secondi fini. Tutti siamo belli, penso che la bellezza non è solo ciò che l’occhio vede ma è soprattutto ciò che di noi non appare…

    “ La realtà dell’altro non è in ciò che ti rivela, ma in quel che non può rivelarti. Perciò, se vuoi capirlo, non ascoltare le parole che dice, ma quelle che non dice. “ Di K. Gibran, Sabbia e schiuma.
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    Messaggio  Carmela Frascarino Mar Mag 08, 2012 8:15 pm

    1)L'OMS è l'organizzazione Mondiale della Sanità,la quale si interessa di varie classificazioni.La prima classificazione elaborata dall'OMS è l'ICD ovvero "la classificazione Internazionale delle Malattie" che si interessa,a sua volta,di cogliere la causa principale delle patologie.Nasce così "l'Enciclopedia delle Malattie",all'interno della quale tutte le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione.
    Nel 1980 nasce una nuova classificazione Internazionale dell'OMS ovvero ICIDH (International Classification of Empairments,Disabilities and Handicaps) che si basa su 3 fattori tra loro interagenti quali:
    MENOMAZIONE: qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica,fisiologica o anatomica che può essere addirittura permanente.La menomazione può essere temporanea,accidentale (a seguito di un incidente) o degenerativa (portare alla disabilità).
    DISABILITA': è un incapacità di svolgere determinate azioni o attività a causa di una menomazione.
    HANDICAP: è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto con gli altri,vivendo una condizione di svantaggio a causa di una menomazione.
    Nel 2001 nasce un'altra classificazione dell'OMS ovvero l'ICF "Classificazione del Funzionamento,della Disabilità e della Salute" che non classifica solo condizioni di salute,malattie,disordini o traumi ,che sono d'interesse dell'ICD,bensì si interessa delle conseguenze associate alle condizioni di salute,ponendo al centro di tutto la qualità della vita delle persone affette da una patologia,permettendo,quindi,di evidenziare il loro modo di convivere con la loro condizione.
    L'ICF rappresenta uno strumento per gli operatori del campo sanitario,della sicurezza sociale,dell'istruzione,del lavoro,che se adottandolo si accetterà il diritto delle persone disabili ad essere parte della società stessa.
    Il passaggio dall'ICD a ICF è dovuto dal fatto che le informazioni date dalla diagnosi medica non erano sufficienti per avere il quadro funzionale della persona;ovvero quello che la persona è in grado di fare e in quali attività può avere difficoltà.
    Per l'ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole.Durante le lezioni,a tal proposito,abbiamo visionato quante barriere architettoniche può riscontrare una persona con disabilità durante una giornata qualunque nella sua città,notando come quest'ultima debba sentirsi ogni volta sottovalutato ed emarginato dalla società in cui appartiene.Bisogna,quindi,garantire a tutti una vita indipendente e confortevole escludendo qualsiasi forma di sottrazione.
    A proposito di contesto bisogna riflettere sulle parole disabile e diverso,le quali se vengono usate in maniera scorretta possono aggravare di più la situazione.
    Il DISABILE è una persona che non può svolgere le normali attività della vita quotidiana,è un individuo affetto da disfunzioni che gli comportanto il più delle volte il disagio sociale,è una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità oppure dal diverso funzionamento di tali.Il più delle volte nei confronti della persona disabile si assume un atteggiamento di pietismo diventando un etichetta,non considerando il fatto che se al disabile mancano una o più competenze può possedere anche delle abilità,a tal proposito,anche il termine "disabilità" può essere un dispregiativo bisogna usare il termine "diversamente -abile"o "diversabilità".
    Il DIVERSO è quella persona che non necessariamente è affetta da menomazione ma si distingue dagli altri solo per le sue caratteristiche che possono essere fisiche,culturali o sociali.
    "QUINDI SIAMO TUTTI UGUALI..."

    2)Anna Maria Murdaca scrive "Complessità della persona e disabilità" prendendo a tal proposito in considerazione le questioni relative alla persona con disabilità.
    Il suo testo mira:
    alla rimodulazione del termine integrazione
    alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    alla ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    Secondo l'autrice bisogna dirigersi verso l'inclusione e quindi l'integrazione delle persone con disabilità,ma ciò che il più delle volte favorisce il processo di esclusione e quello di emarginazione è il contesto sociale che determina la condizione di handicap attraverso gli ostacoli e le barriere fisiche.
    Bisogna garantire il raggiungimento dell'obiettivo che è quello della valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità,perchè si parla di persone.
    L'integrazione è un processo continuo,una continua ricerca di soluzioni,strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili.Bisogna aiutare soprattutto la persona con il deficit per dare un senso e significato alla sua personale esperienza.Il concetto di cura è rappresentato dall'agire educativo volto alla realizzazione dell'uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare.
    Ciò che può garantire la vera integrazione è la relazione educativa vista anche come "spazio riparativo" attraverso la quale il disabile sperimenta con gli educatori una serie di situazioni ripensando al proprio stato e alle proprie capacità funzionali eliminando maschere,blocchi e soprattutto il disagio sociale.La relazione educativa è vista anche come uno scambio tra due persone,che possono essere il docente/alunno,madre/figlio ecc;infatti si può parlare di formazione bilaterale perchè è un continuo dare e ricevere in entrambi i due lati.
    In aula abbiamo sperimentato 2 setting (l'incontro tra educatore e educando) e abbiamo notato come un educatore può interargire con l'interlocutore avendo come obiettivo quello di mettere al proprio agio colui che ha davanti a sè,cercando di trovare soluzioni e dimostrarsi fiducioso dinanzi alle difficoltà che il suo educando può riscontrare,arrivando a istaurare con il tempo anche un legame affettivo,ricco di emozioni reciproche.

    3)Autori quali Remaury,Lipovetsky e Braidotti si sono interessati della cultura dell'immagine nelle donne che si confonde con quella della bellezza e quindi al suo miglioramento fisico ed estetico imposto dalla società,che suggerisce attraverso giornali,televisione e spot pubblicitari i canoni della bellezza e della perfezione corporea.
    Remaury dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione ,abbiamo un triplice obiettivo:giovinezza-bellezza-salute.
    Lipovetsky ritiene che la donna si identifichi necessariamente a modelli sociali,i quali non permettono la scelta di quale sia per la donna il più congeniale e ciò può portare a fenomeni di malattia o distruzione della donna,quali l'anoressia e la bulimia cercando di assomigliare alla modella vista in televisione.
    Braidotti introduce il tema del corpo-macchina ovvero ciò che conduce alla formazione di un corpo mostruoso per arrivare all'ideale di bellezza.
    Ma un unico ideale, a mio parere,non esiste perchè ogniuno ha un suo modo di vedere e pensare le cose.La tecnologia ha fatto passi enormi,ma rientrando nel tema estetico e quindi perlando di chirurgia estetica sono del tutto contaria,in quanto le donne facendo un uso frequente diventano delle vere bambole di silicone slo per cercare di fare colpo e sentirsi più bella.
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    Messaggio  Valentina Paolillo Mar Mag 08, 2012 10:15 pm

    1 ESERCIZIO
    La prima classificazione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è “la classificazione Internazionale delle malattie” detta ICD (1970) che fornisce per ogni sindrome o disturbo i principali punti più importanti per rispondere alla richiesta di cogliere la causa delle patologie. Le diagnosi vengono tradotte in codici che rendono possibili sia la memorizzazione che la ricerca e l’analisi dei dati. Questa classificazione ha come priorità l’aspetto eziologico ovvero quello di individuare e analizzare le cause di una data malattia.
    L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione,circa un anno dopo e cioè “l’International Classification of Impairments,Disabilities and Handicaps (ICIDH). L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Questa nuova proposta si basa su tre fattori interagenti tra loro : la MENOMAZIONE, ossia la perdita o anomalia permanente o transitoria di una parte del corpo incluso il sistema delle funzioni mentali;la DISABILITA’, ossia l’incapacità,conseguente alla menomazione, di svolgere delle funzioni o attività nei modi ritenuti normali per un essere umano; l’HANDICAP ossia la difficoltà che il soggetto con disabilità incontra nel rapporto con l’altro e con l’ambiente che lo circonda. Successivamente,nel 2001,l’OMS ha pubblicato un ulteriore classificazione ovvero “Classificazione Internazionale del Funzionamento,della Disabilità e della Salute” (ICF).
    Il passaggio dall’ICD all’ICF avvenne perché le informazioni date dalla diagnosi medica, non erano sufficienti nel definire ciò che la persona era in grado di fare e ciò che non era in grado di fare. L’ICF considera la disabilità come una condizione di salute derivata dal contesto sfavorevole. Sicuramente un gran bel passo avanti considerarla non come un qualcosa di soggettivo ma come un qualcosa che accomuna tutti. Il contesto come abbiamo notato anche nel laboratorio “barriere architettoniche” è molto importante soprattutto per i disabili in quanto esistono ancora problemi come assenza di scivoli sui marciapiedi,oppure scalini impraticabili,autobus senza ponte elevatoio,scale senza montacarichi,ecc. Tutto questo comporta che un disabile si deve sentire per forza DIVERSO da un normodotato perché non si sente indipendente,libero di poter svolgere la sua vita quotidianamente come tutti gli altri. Bisognerebbe garantire al maggior numero di persone il diritto alla libertà di movimento..pensando meno a se stessi,eliminando questo egoismo che ci accomuna un po’ tutti..Sicuramente il primo passo verso il miglioramento della situazione deve essere quello di educare la nostra comunità in modo tale che essa possa eliminare innanzitutto quelle che sono le barriere culturali per promuovere un'integrazione sociale insieme a quella ambientale. Solo successivamente si può pensare a modificare il piano urbanistico.
    Come sostiene Canevaro la scelta delle parole va fatta con ponderazione,sono molto importanti. Infatti spesso siamo superficiali o comunque ignoriamo che una parola più contenere tante sfumature che la portano a diversificarsi da un'altra. Importante è spiegare la differenza tra DIVERSITà e DISABILE:vengono utilizzati erroneamente di frequenza come sinonimi ma in realtà non sono la stessa cosa. Il disabile è colui che non è in grado di svolgere le normali attività della vita quotidiana;un soggetto con disturbi fisici o psichici che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate Ed è un fattore che caratterizza sia la sfera personale che sociale. Quest’ultima perché spesso ci sono disabili che non si sentono tali. Un esempio può essere quello di Simona Atzori,argomento trattato in un altro laboratorio “resilienza” che appunto è un esempio di resilienza in quanto ha organizzato la propria vita positivamente dinanzi a una difficoltà..senza lasciarsi abbattere e ci fa capire anche che non esistono LIMITI,i quali esistono solo per quelle persone che guardano il mondo con superficialità. Il diverso invece è colui che la società concepisce e vede come un qualcosa o qualcuno difforme dalla “normalità”. Può essere una persona con una malformazione fisica o psichica ma può essere anche uno straniero,il genio,ecc. La presenza del cosiddetto "diverso" nella società come a scuola genera conflitti, mette in crisi il normale funzionamento del sistema e condiziona in modo forte la formazione e la crescita dei singoli, tanto più se si tratta di bambini. La "diversità" è cioè spesso vista in chiave negativa, come "minaccia" della propria identità e per questo la presenza dei "diverso" frequentemente genera sentimenti di paura, ansia, sospetto. Se si riuscisse invece a percepire la "differenza" non come un limite alla comunicazione, ma come un "valore",l'incontro con l'altro potrebbe essere in certi casi anche scontro, ma non sarebbe mai discriminazione. Siamo sempre più pieni di pregiudizi che ci condizionano fortemente e che nascono da quando si è bambini..infatti è importante partire da questa fase per poter formare nel migliore dei modi e senza pregiudizi o stereotipi l'uomo in quanto il bambino è più aperto ad apprendere e più ingenuo..meno capace di farsi influenzare in maniera totale dalla società. Secondo il mio parere come ho scritto anche nel laboratorio “la mappa degli stereotipi”,il diverso non esiste..quello che può essere diverso per te per me non lo è,e viceversa..inoltre penso che siamo TUTTI uguali. Sia per quanto riguarda il laboratorio “orologio” sia per quanto riguarda quello della simulazione sindaco sono state due simulazioni che mi hanno fatto entrare “nei panni” delle persone considerate “diverse”. Nel primo attraverso la mia giornata ho capito quanti sono gli ostacoli da superare anche per noi definiti normodotati nello svolgimento di azioni che compiamo quotidianamente. Nel secondo invece dove la professoressa aveva la funzione di sindaco “dittatore” e tutte le persone che avevano gli occhiali venivano escluse mi ha fatto riflettere sul tema dell’emarginazione .In questo caso io non ero una persona “diversa” e ho provato tanto dispiacere e rabbia così come impotenza in quanto non potevo fare niente per aiutarli. Penso che ciò non deve avvenire perché dobbiamo liberare le nostre menti da tutto quello che c’è di negativo e incominciare ad essere più flessibili verso gli altri e pronti a dialogare ed ascoltare senza problema alcuno.

    2 ESERCIZIO
    Nel libro “Complessità della persona e disabilità” Anna Maria Murdaca mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità;alla rimodulazione del termine integrazione e alla ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità. Un fattore importante che influenza la vita degli individui è sicuramente l’ambiente come può essere la famiglia,la scuola,il contesto lavorativo,ecc. Esso può essere può essere alcune volte una barriera ma anche un facilitatore come pere esempio può essere un mezzo tecnologico. Per fare un esempio posso fare riferimento ad un laboratorio dove abbiamo parlato di domotica grazie alla quale i disabili posso svolgere le normali mansioni che un normodotato può svolgere nella vita di tutti i giorni acquistando dignità e libertà. Importante in questo testo è il concetto di integrazione che ha come obiettivo la valorizzazione della persona umana rispettando sia quelle che sono le differenze e sia quelle che sono l’identità. L’integrazione viene considerato un processo continuo,senza fine,che mette in atto strategie e soluzioni per preservare i diritti dei disabili. A colpirmi è stata la frase scritta in grassetto”Non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione”: sono pienamente d’accordo perché come afferma l’autrice siamo persone e non oggetti e bisogna volgere lo sguardo solo verso quelle che sono le capacità ripensando così ad una società in cui i disabili vengono considerati soggetti a pieno titolo e partecipanti attivi all’interno della società. Bisogna tener presente il concetto di cura come termine intrinseco all’agire educativo, per la realizzazione dell’uomo per ciò che è e non per quello che può diventare successivamente. Quindi si mira all’emancipazione del soggetto con disabilità con l’obiettivo dello sviluppo dell’identità personale del disabile e della propria autostima che richiede però contesti ed ambienti rassicuranti capaci di potenziare le potenzialità personali valorizzando la differenza come risorsa. Importante è quindi la relazione educativa la quale si può avere sia nella relazione tra madre/figlio oppure tra docente/discente,ecc..quindi la si può avere in qualsiasi momento della vita e con tante persone. Essa permette uno scambio dove si da ma si riceve anche qualcosa. Nel caso tra docente e discente per esempio il rapporto tra docente e discente deve essere alla pari,ci deve essere PARTECIPAZIONE e SCAMBIO e l'insegnante non deve solo conferire nozioni sterili,ma deve comprendere l'alunno e DIALOGARE con esso,trasmettere SERENITà e FIDUCIA. . Io penso che la relazione educativa sia un momento di formazione sia da parte dell'educando che da parte dell'educatore..perchè nel rapporto con gli altri c'è sempre uno scambio di emozioni,di pensieri..si apprende sempre dagli altri e gli altri apprendono sempre da te. Inoltre il ruolo dell’educatore è fondamentale come abbiamo visto anche in un setting proposto in classe in quanto bisogna capire quindi chi si ha di fronte,i suoi problemi senza soffermarsi sulle apparenze e liberando la mente da pregiudizi cosa che non è sempre facile fare.

    3 ESERCIZIO
    Dominante è il tema della bellezza nei testi di Remaury,Lipovetsky e di Braidotti. In particolare di quella femminile la quale è affidata all’idea che la donna debba coltivarla e il miglioramento del suo fisico e della sua estetica è l’adempimento dei suoi bisogni. GIOVINEZZA e BELLEZZA sono le caratteristiche che oggi le donne DEVONO per forza avere e quindi spesso si ricorre alle protesi estetiche. Oppure si va incontro,a una malattia purtroppo oggi molto diffusa e cioè l’anoressia.
    Remaury nel “gentil sesso debole” dice che cerchiamo a tutti i costi la perfezione e abbiamo come obiettivo la giovinezza,la bellezza e la salute. Lipovetsky invece nel suo libro “ La terza donna ” ci presenta l’immagine di una terza donna che nasconde la sua sottomissione a modelli dominanti, e cerca di raggiungere il corpo perfetto. In “Madri mostri e macchine” di Braidotti parla della figura materna la quale durante il periodo della gravidanza subisce un cambiamento corporeo, il suo corpo appare agli uomini come il mostro-madre cioè come qualcosa di orribile ma affascinante allo stesso tempo. Successivamente viene riproposto alla donna un nuovo stile di corpo, il modello CORPO-MACCHINA che determina la nascita di un corpo nuovo e perfetto. Io mi sento di dire BASTA! basta con la continua ricerca di perfezione che purtroppo i mass media contribuiscono a diffondere e cioè alla taglia 38 o al seno rifatto,ecc.. La ricchezza non sta nell'aspetto fisico,ma in ciò che possediamo dentro,dalla nostra cultura,dai nostri valori e sentimenti. Termino con una citazione di David Hume che ho citato anche nel laboratorio “protesi estetiche”: “La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva". Cioè il bello è qualcosa di soggettivo,quello che ai miei occhi può apparire perfetto agli occhi di un altro può apparire meno perfetto o deforme.
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    Messaggio  RaffaellaPagano1990 Mer Mag 09, 2012 7:39 am

    1- L’organizzazione mondiale della sanità(OMS) e’ stata fondata il 7 aprile del 1948 a Ginevra; il suo obiettivo è il raggiungimento da parte di tutte le popolazioni del livello più alto possibile di salute definitiva come condizione di un completo benessere fisico mentale e sociale , non come assenza di infermità.
    E’ un soggetto di diritto internazionale vincolato da tutti gli obblighi imposti nei suoi confronti da norme generali consuetudinarie. All’interno dell’ OMS ci sono diverse divisioni operative.
    Alla divisione delle sostanze terapeutiche , profilattiche e diagnostiche sono demandate alcune attività in campo farmaceutico,come ad esempio l’istituzione di un servizio internazionale per la raccolta,l’elaborazione e la diffusione delle segnalazioni di intolleranza ed effetti collaterali dei farmaci.
    L’OMS ha dato vita a una nuova forma o classificazione internazionale delle malattie(ICD) nel 1970 .E’ uno standard di classificazione per gli studi statistici ed epidemiologici ,nonché valido strumento di gestione,di salute e di igiene pubblica.
    Inoltre la nuova proposta dell’OMS , ICIDH sorta nel 1980 come classificazione internazionale si basa su tre fattori fondamentali:
    -La menomazione (Soggetto non integro fisicamente e psichicamente);
    -La Disabilità (Il disabile è colui che manca di alcune capacità fisiche e mentali;non bisogna assolutamente confondere con il “diverso” che invece si presenta con un’ identità , una natura distinta rispetto ad altre persone.);
    -Lo svantaggio o handicap (Soggetto affetto da menomazione);
    Questi poi successivamente verranno sostituiti da altri tre fattori:
    -Menomazione;Abilità;Partecipazione;
    Per dare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e al fatto che può essere socialmente inserito ; ad esempio nel cambiamento dell’atteggiamento assunto verso i soggetti con Deficit.
    Ho avuto modo di affrontare discorsi come Disabilità , diverso , handicap e quant’altro attraverso il corso universitario della Professoressa Briganti.
    In queste lezioni abbiamo potuto toccare con mano il mondo dei diversamente abili ad esempio descrivendo una loro giornata tipo e rendendoci , così , conto delle difficoltà che si possono incontrare soprattutto in una delle città come la nostra che non ha ancora superato definitivamente , e neanche in parte , il problema delle Barriere Architettoniche . Le medesime si possono incontrare fin dal primo gesto mattutino , quello di fare la doccia , dato che il disabile incontrerà difficoltà nel salire il gradino.
    Possiamo continuare vedendo le tante problematiche successive che ci saranno andando incontro alle Barriere Architettoniche nella strada da casa all’università ; qualche esempio possono essere marciapiedi e salite bloccate dalle macchine parcheggiateci sopra . Anche se l’università è munita di ascensori per favorire la quotidianità dei nostri amici meno fortunati , questi una volta usciti rincontreranno le stesse difficoltà dell’andata.
    Nel 2001 L’organizzazione mondiale della sanità (OMS) crea uno strumento di classificazione innovativo , multidisciplinare e universale:la classificazione internazionale del funzionamento , della disabilità e della salute (ICF) è una classificazione che tende a descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale , familiare e lavorativo ) in modo da capire quali siano le difficoltà che causano disabilità nel contesto socio-culturale.
    L’OMS quindi con l’ICF propone un modello universale di salute e di disabilità con ricadute sulla pratica media e sulle politiche sociali e sanitarie internazionali.
    Con questa Classificazione Internazionale Del Funzionamento Della Disabilità e Della Salute non si vuole descrivere le persone , ma la loro quotidianità tenendo conto del loro contesto ambientale e classificandoli non come disabili ma come “ unici ”. I suoi scopi sono:
    -Fornire una base scientifica all’intera materia;
    -Stabilire un linguaggio comune;
    -Consentire un confronto dei dati tra i vari paesi;
    -Dare uno schema di base per i sistemi informativi sulla sanità;
    A differenza dell’ICD , dove veniva data importanza alla descrizione delle malattie dell’individuo ,
    l’ICF vuole fornire un ’ analisi dello stato di salute e degli individui mettendo a confronto la correlazione tra salute e ambiente.


    2)- Nel testo , Complessità della persona e disabilità , di ANNAMARIA MURDACA i tre punti fondamentali sono:
    -Ricostruire una nuova cultura della disabilità;
    -Rimodulare il termine integrazione;
    -Comprendere le condizioni di vita e il ruolo dei disabili;
    E’ necessario l’inserimento dei disabili nella società ; ciò che permette una nuova relazione educativa sono l’ambiente , la persona e lo spazio , non facendo sentire escluse le persone prese in questione.
    La relazione educativa è il rapporto tra la persona che ha bisogno di aiuto e quella che lo aiuterà ed è importante guardare la persona in difficoltà eliminando tutti i pregiudizi e capendo bene le sfaccettature del suo carattere.
    Per ANNAMARIA MURDACA sono da ostacolo più le barriere culturali e mentali che quelle architettoniche , giacché determinano l’esclusione e l’emarginazione del disabile dal contesto sociale . Il suo obiettivo è la valorizzazione della persona con il rispetto delle differenze e dell’identità . L’essere integrati in una società non è certo un punto d’arrivo ma un processo che continua nel tempo , una continua ricerca di soluzioni e tattiche per la ricerca dei diritti acquisiti dai disabili . MURDACA cerca di valorizzare la persona all’interno di un ambiente dove si considera il disabile integrato nella società . L’ICF sottolinea l’importanza che può avere l’influenza dell’ambiente su alcuni individui ad esempio gli elementi che possono influenzare sono : società , famiglia o lavoro . In primis la famiglia , ma anche gli insegnanti dovrebbero guardare la scuola , che comunque è un canale importante , ma anche oltre . L’identità di una persona con handicap , può dunque prendere forma grazie all’aiuto della società ma anche delle persone che frequenta . Lei ci descrive , inoltre , come dovrebbe essere la figura dell’educatore all’interno della società . Deve essere una persona disponibile , non deve mai creare una forte distinzione tra educatore ed educando , ma , ansi , far nascere un rapporto tra i due molto tranquillo e familiare ; in questo modo il disabile potrà vivere più serenamente la situazione sentendosi a proprio agio con il suo educatore-amico . Un altro compito importante dell’educatore , sempre secondo la nostra professoressa ANNAMARIA MURDACA , è quello di eliminare completamente , o almeno in parte , quella linea di confine che si pone tra un “ normodotato ” e un diversamente abile ; sottolineando tutti i lati positivi di quest’ultimo in modo da far salire la sua autostima .
    “ Non si finisce mai di imparare ”...E’ importante la relazione docente-discente i quali insegnano e apprendono a vicenda . La relazione educativa deve essere fatta di scambi , in cui entrambi le persone ricevono e danno qualcosa . La relazione , dunque , è un obiettivo educativo molto importante e come tutte le realtà si basa su alcune motivazioni:
    -Il bisogno,dettato dalle esigenze di sopravvivenza;
    -La gratificazione,importante per il soggetto in questione;
    -Le regole,essenziali per costruire la propria identità e realtà;
    -La condivisione,che nasce essenzialmente tra i partner;
    -La preferenza,l’adulto che viene preferito come modello per l’individuo.
    L’educazione , dice BRUNER , ” è un invenzione umana che conduce colui che apprende al di là del puro apprendimento ” ; imparare non è immagazzinare qualcosa ma ricostruire questo qualcosa in modo differente . Ci sono due tipi di cambiamento : occasionale e inconsapevole o intenzionale ; il primo è insito in ognuno di noi e nelle nostre esperienze quotidiane ; il secondo è voluto consapevolmente dall’individuo .
    Lei ci ricorda inoltre , che tutti questi esperimenti che apporrà l’educatore non risolveranno certo ogni problema del disabile , ma quanto meno lo aiuterà a vivere più serenamente nella società e a sentirsi parte di essa .
    Ho potuto avere , grazie al corso della Professoressa , un esperienza pratica di tutto questo .
    E’ stato molto importante , in classe , vedere una simulazione di SETTING tra l’educatore e l’educando .
    Il primo protagonista era un bambino e sua madre , lei spiegava all’educatore tutti i problemi di suo figlio con la Professoressa di sostegno .
    Nella seconda “ scena ” abbiamo assistito ai problemi di una ragazza adolescente nel pieno della sua timidezza e dei problemi che tutte le persone a quell’età hanno.
    L’educatore in questo caso mi ha dato la sensazione di uno psicologo , ha cercato di darle dei consigli facendola sentire aiutata e tranquillizzandola in modo da farle acquistare più fiducia in se stessa e negli altri . Penso , che questa esperimento sia stato importante per tutti noi che ogni tanto dovremmo provare a calarci nei panni delle persone meno fortunate.


    3)- “ Mente sana in corpo sano ”… Con questa citazione Giovenale vorrei iniziare a parlare della bellezza femminile e del significato che può assumere per queste . Il loro migliorarsi fisicamente è un suggerimento dato dalla società per essere accettate . Riallacciandomi , appunto , alla citazione di prima possiamo confermare che è stato dimostrato , da alcune ricerche recenti , che una donna bella fuori è anche bella dentro ; una donna con un bel fisico , quindi , viene giudicata buona , gentile e intelligente . La donna obesa e trasandata finirà col non entrare in questi standard di bellezza e quindi rischierà di essere esclusa dalla società e da quelli che la compongono . Giovinezza , magrezza e bellezza , quindi , sono requisiti fondamentali per far parte della società odierna.
    Secondo il mio punto di vista la donna ideale non esiste , o meglio è un discorso soggettivo e non oggettivo . E’ sbagliato pensare che ci sia un prototipo perfetto , una donna può essere bella anche solo per un sorriso o uno sguardo .
    REMAURY parla di un triplice obiettivo : giovinezza , bellezza e salute.
    Parla inoltre di tre tipi di corpo:
    -Il corpo trasfigurato:la perfezione corporea ;
    -Il corpo esatto:progressi verso la perfezione ;
    -Il corpo liberato:è liberato dalla malattia,dal peso e dal tempo perfetto .
    La liberazione della “ terza donna ”di LIPOVETSKY nasconde il suo essere sottomessa ai modelli che dominano la società : la malattia , il peso e il tempo . La donna è obbligata dalla società e dal suo sistema a percorrere la strada verso il corpo perfetto . Secondo LIPOVETSKY la terza donna è in una fase positiva della cultura e della bellezza . La teoria della maturità positiva della donna la fa sembrare colei che controlla il proprio apparire . Il limite , però , di questo suo essere matura è la sua convinzione a volersi identificare in quei modelli . Quindi , l’obiettivo della donna è la conquista dell’eterna giovinezza e quindi bellezza . In ogni caso la magrezza non è sempre bellezza , da quando le modelle anoressiche rappresentano il bello che si trasforma in mostruoso . Questa cosa è successa quando si è capito che l’anoressia è la mancanza di carne e quindi di forme , importanti per un corpo femminile . Tutto questo viene chiamato “ il femminile mancante ”senza carne ,senza curve o sviluppo . Concludiamo guardando le considerazioni di ROSI BRAIDOTTI e del suo libro Madri , mostri e macchine ; si deve rispettare il rapporto corpo-mente . Lei consiglia una asimmetria tra i sessi , un riappropriarsi del pensiero della differenza . L’asimmetria , vuole dimostrare che esiste una fondamentale differenza tra un uomo e una donna per quanto riguarda i loro pensieri , il loro rapporto con la storia , con la politica e via dicendo.
    Parlando del mondo estetico mi sono venute in mente alcune delle lezioni del corso della Pedagogia della Disabilità tenuto dalla professoressa Briganti dove abbiamo parlato delle protesi e delle protesi estetiche ; tenendo conto dei particolari che contraddistinguono le prime , utili , dalle seconde , futili.
    Protesi : dispositivo artificiale che sostituisce una parte del corpo mancante .
    Molte persone ricorrono alle protesi perché hanno un disprezzo del proprio corpo , solo per il loro aspetto esteriore , altre perché hanno la mancanza di un arto ; possiamo prendere come esempio PISTORIUS che utilizza le FLEX FOOT per correre.
    Non è giusto rimodellare le proprie parti del corpo solo per un capriccio estetico ma credo sia giusto ricorrere alla chirurgia estetica solo in caso necessario.
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    Messaggio  Chiara Di Napoli Mer Mag 09, 2012 10:43 am

    PRIMA PARTE
    Prima di parlare di disabili o “diversi”, due termini che sono confusi e accavallati, bisogna riflettere sul fatto che a volte i disabili sono paragonati a dei mostri e, le persone diverse anche... la nostra è una società che discrimina qualsiasi cosa che non faccia parte dei canoni e vorrei tanto che cambiasse... e anche se io sono contraria a queste cose, non nego che a volte mi lascio influenzare... per essere chiari bisogna partire da delle definizioni che ci dà.
    -L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha istituito l’ICD nel 1970 (Classificazione Internazionale della Malattie) che fornisce per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e delle indicazioni diagnostiche, le diagnosi sono tradotte in codici numerici e inoltre avvicina le disabilità alle patologie. Con un ulteriore modifica nel 2001 è stato fondato l’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute) in questa classificazione la disabilità è considerata come un’attività svolta a contatto col mondo esterno. Nel passaggio da ICD a ICF alcune parole sono state cambiate, per indicare la relazione tra soggetto e ambiente, ad esempio:
    • Menomazione Funzioni
    • Disabilità Strutture corporee
    • Handicap Attività e partecipazione
    Con l’ICF si può evidenziare come le persone affette da una patologia convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla per avere una vita produttiva e serena anche se è molto difficile perché vedo una discriminazione verso le persone disabili e inoltre alcune persone che osservano le scene dall'esterno e non si degnano neanche di dare una mano....è davvero uno “schifo” in quanto non accetto che nel 2012 si facciano lavori per ristrutturare luoghi pubblici e non si pensi ad eliminare le barriere architettoniche...e inoltre facendo l’esercitazione dell’orologio abbiamo visto che azioni fatte quotidianamente da noi “normodotati” per i disabili sono impossibili o hanno bisogno di un tempo tre volte maggiore. Nell’ICF sono state introdotte delle informazioni che derivano dalla diagnosi medica e che è utile per permettere un quadro quando più completo possibile . L’ICF serve anche per istituire un linguaggio comune per interloquire tra i vari enti e per rappresentare quante più categorie possibili. Nasce un termine “disabilità temporanee” ovvero alterazioni fisiche come la gravidanza; l’invecchiamento; lo stress; anomalia cognitiva o predisposizione genetica sono dette “condizioni di salute”. L’ICF può essere usato in vari ambiti, tra cui:
    -Sanitario
    -Sociale
    -Educativo
    -Ricerca
    -Statistico
    Ritornando alla terminologia c’è una differenza tra disabile e diverso. Ci sono varie definizioni per disabili ma per avere una spiegazione quanto più esaustiva è meglio fare un’unione di definizioni:
    1. Persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana
    2. Individuo afflitto da disfunzioni motorie e\o cognitive, inoltre con disagi social
    3. Persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità
    La disabilità diventa per l’individuo un’etichetta che fa sviluppare nei suoi confronti atteggiamenti di pietà e quindi implica dei problemi a esporsi con gli altri. Anche perché ci sono persone disabili che non si sentono tali come ad esempio, Simona Atzori o Pistorius dimostrano che più hai e più ti lamenti per cose futili mentre loro che sono partiti "svantaggiati" riescono a mostrare la gioia di vivere in tutto ciò che fanno mentre in noi, "persone normodotate" questa gioia di vivere a volte non si vede, riflettendo se scomponiamo la parola “dis-abile”, vuol dire non essere abile in qualche cosa. Allora mi viene spontaneo chiedermi chi è il diverso?il diverso è colui che non fa parte della normalità ma non deve per forza avere un deficit ma si può distinguere dalla massa anche per aspetti positivi (un genio;uno straniero;oppure diverso per lingua;per religione;per cultura;per abitudini;per razza o per costumi).Il diverso a volte non sceglie di essere diverso e allora si può sentire vittima di sentimenti d’inferiorità e inadeguatezza,un esempio a portata di mano è la discriminazione ed esclusione del diverso come abbiamo provato in aula con la simulazione emarginato/cittadino nella quale io ho "recitato" la parte del cittadino e mi sono sentita molto triste e "inutile" in quando non potevo fare nulla ma dovevo seguire la massa come tante pecorelle......e mettendomi nelle vesti dell'altro gruppo mi sono sentita in un certo senso cattiva in quanto capace di provocare un certo dolore agli altri...... Per di più la maggioranza ha paura del diverso e quindi lo isola, ne ha timore, è visto come un mostro, come una persona lonatana\distante, non proviamo a capirlo, proviamo nei suoi confronti compassione;vergogna;solidarietà;imbarazzo e se sono presenti delle menomazioni fisiche anche orrore. Allora sorge spontanea la domanda, Che cos’è la normalità?Con quale criterio si sceglie chi è normale e chi no?ma se ci riflettiamo il concetto di normalità e molto soggettivo e relativo e non ci sono dei canoni da seguire. Per avvicinarci a una definizione possiamo citare Braidotti in “Madri Mostri e Macchine” nel quale si dice che per definire la bellezza e la mostruosità occorre immaginarle come due estremi opposti che si distanziano dal grado zero di mostruosità che rappresenta l’individuo “soggettivamente” normale.
    SECONDA PARTE
    Per approfondire le questioni riguardanti la persona con disabilità, possiamo prendere in considerazione il testo di Anna Maria Murdaca, docente, “Complessità della persona e disabilità”.Lei tratta temi come l’integrazione; la complessità e l’umanità della persona; l’inclusione e l’inserimento del disabile; la cura e la relazione educativa; il paradigma del benessere; i nuovi scenari prospettati; l’ambiente; lo spazio ripartivo; le capacità funzionali; la biografia emotiva - affettiva; la globalità della persona. Murdaca mira
    • Alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    • Alla rimodulazione del termine integrazione
    • Alla comprensione delle reali condizioni di vita
    Una frase che mi ha colpito è “Non si deve definire nessuno per sottrazione”.Il termine handicap vuole significare la differenza tra le possibilità del soggetto con handicap e ciò che si aspetta l’ambiente da lui. L’ambiente può essere favorevole al miglioramento dell’individuo o lo può sfavorire creandogli problemi, per una giusta educazione c’è bisogno della valorizzazione della persona rispettando le differenze, creando così una logica della disabilità e dev' essere:
    • Multilineare e pluri-sequenziale
    • Analizzare il soggetto
    • Analizzare l’ambiente e tutte quelle variegate serie d’interventi a esso rivolti.
    Murdaca vuole incoraggiare l’emancipazione del soggetto con disabilità aiutandoli a maturare psicologicamente; affettivamente; socialmente aiutando così il disabile a sviluppare la propria autostima;identità e ciò deve avvenire in luoghi rassicuranti. La Nuova Politica Socio-Educativa consiste in:
    1. Integrazione
    2. Differenziazione
    3. Personalizzazione
    Alla base di tutte queste premesse ci sono le relazioni umane che possono essere tra madre\figlio; docente\discente; educatore\educando e in tutti questi casi c’è la possibilità d’apprendere in modo bi-direzionale ovvero la figura di chi insegna e di chi apprende s’invertono perché anche gli adulti possono apprendere dai piccoli. I rapporti educativi devono basarsi su dei legami affettivi, si deve essere pronti all’ascolto e non avere atteggiamenti aggressivi, si deve insegnare sia delle nozioni culturali ma sia dei valori perché i rapporti s’istaurano su una posizione alla pari che possono segnare positivamente o purtroppo anche negativamente l’individuo. Come ho già detto nel mio commento nel forum :”essendo io una studentessa di Scienze dell'educazione la maggior parte dei miei studi sono incentrati sul rapporto tra docente/discente e in questi due anni ho cambiato la visione che avevo di questo rapporto perché ho sempre visto l'insegnante come "colui che ha le conoscenze" e noi educandi come "vasi da colmare".....ma non è così il rapporto tra docente/discente è uno scambio continuo è una relazione che arricchisce a vicenda e non si impara e ne si insegna con il solo rapporto frontale ma si impara meglio e si insegna meglio quando c'è un rapporto basato sul fare,riprendendo così la teoria di Dewey "LEARNING BY DOING".Tramite questo rapporto si possono imparare tante cose ma anche e sopratutto il modo di rapportarsi con gli altri per evitare di vedere le persone che vivono o che hanno abitudini diverse da noi come degli emarginati o dei diversi. Perché l'emarginazione all'estremizzazione è la discriminazione razziale,pensiamo all'Apartheid o la Shoah,ma ci può essere emarginazione nella vita di tutti i giorni verso le persone "diverse" perché portatrici di handicap o affette da qualche disturbo psico-motorio.”
    Per quanto riguarda l’educazione del disabile, l’educatore deve progettare dei programmi specifici per non far sentire il disabile in difficoltà rispetto agli altri ma potenziare le sue doti. Per motivare l’apprendimento c’è bisogno di
    • Gratificazione essenziale per il soggetto in-formazione
    • Regole indispensabile per strutturare la realtà
    • Condivisione tra i partner
    • Preferenze l’adulto scelto come modello che poi il minore assumerà
    Nei rapporti c’è bisogno d’empatia e i primi rapporti sono quelli familiari, poi quelli scolastici e quelli extra-scolastici, l’educatore deve stare vicino allo studente sia durante gli errori sia per congraturarlo. Nei rapporti c’è bisogno sia delle parole sia del silenzio, perché le parole vengono viste come trasmettitori principali di conoscenze invece anche il silenzio serve sia per ascoltare che per insegnare.
    TERZA PARTE
    Molti autori si sono occupati di studiare il corpo e le sue “deformazioni” e tra i principali studiosi, troviamo.
    Remaury né “Il Gentil Sesso Debole. Le Immagini del Corpo Femminile tra Cosmetica e Salute” afferma che la donna ha quasi il DOVERE d’essere bella e di curarsi e di seguire il triplice obiettivo Giovinezza-Salute-Bellezza creando così un ” corpo trasfigurato” che cerca incessantemente la perfezione
    Lipovetsky né “La Terza Donna” afferma che esiste il “corpo esatto” cioè quel corpo che fa di tutto per arrivare al modello dominante ed esiste il “corpo liberato” dal peso,dalla malattia e dal tempo ovvero sano,magro e giovane,ciò porta alla formazione di una donna con un forte carattere che s’impone di seguire i modelli dominante
    Braidotti né “Madri; Mostri e Macchine” ragiona e afferma che il corpo femminile è stato anche oggetto politico utilizzato dal femminismo, lei vuole riappropriarsi delle differenze radicali tra uomini e donne in tutti gli aspetti della vita. Nel triplice obiettivo afferma che non vede le donne vincitrici e la tragedia più grande è che gli uomini vedono le donne incinte come ”MOSTRI” perché si deforma. Anche se il mostro è chi è ibrido, malformato ed ecco che appare il termine dell’uomo-macchina.
    Gamelli in “Pedagogia del Corpo” parla di un “corpo abitato” da sangue; ossa; muscoli ecc. e inoltre il corpo hanno una memoria senso-percettiva.
    Un altro argomento importante è la resilienza ovvero la capacità di resistere agli urti improvvisi senza rompersi o spezzarsi cioè l’attitudine dell’individuo a far fronte a situazioni di forte disagio, esempio Atzori e Pistorius. Per terminare possiamo dire che ci sono dei modelli estetici da seguire ma non educativi poiché si prende ad esempio il corpo della modella-attrice Kate Moss che com’è risaputo soffre d’anoressia o c’è una ricerca disperata in America e in Europa d’entrare nella fatidica taglia 42 anche se il corpo non lo permette.[list][*][b]
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    Messaggio  rosannapetrone Mer Mag 09, 2012 11:03 am

    L’ OMS è l ‘organizzazione Mondiale della Sanità.

    1)La prima classificazione che è stata elaborata dall‘ OMS è l‘ ICD che spiega le cause di varie patologie trovando per ognuno di esse delle fondamentali caratteristiche cliniche.
    Nel 1980 l‘ OMS propone una nuova classificazione Internazionale delle malattie: L’ ICDH che si basa su tre fattori: la menomazione, la disabilità e l ‘handicap.
    Per l‘ OMS la disabilità è l‘ incapacità di svolgere delle determinate funzioni e di compiere particolari compiti nel tempo che viene considerato “normale” per un individuo.
    Successivamente è stato pubblicato dall‘ OMS, l‘ICF ossia la classificazione Internazionale del funzionamento della disabilità e della salute. Per quest’ ultimo la disabilità è una condizione di salute che si è venuta a creare in un contesto sfavorevole ed è dovuta anche dall’ ambiente esterno.
    L’ ICD classifica solo le condizioni di salute, i disordini o i traumi, mentre, l’ ICF spiega anche le conseguenze associate alle condizioni di salute che un individuo può avere.
    Importanti sono i termini disabile e diverso.
    Il disabile è colui che è impossibilitato a svolgere delle attività ritenute normali che fanno parte della quotidianità a causa di disfunzioni motorie o cognitive. Il disabile spesso scopre il suo disagio quando si confronta con persone che sono normodotate,come gli amici o la famiglia. Il diverso viene etichettato “diverso” non sceglie di esserlo. Questo termine non implica necessariamente una persona affetta da menomazione, il diverso si distingue dagli altri per le sue caratteristiche: il diverso può essere lo straniero,il genio una persona che non parla la nostra stessa lingua, che non usa i nostri costumi e che non ha le nostre stesse abitudini. Durante il corso abbiamo parlato di disabile e di diverso e di come a volte è la società che pone dei paletti a queste persone che si sentono e sono “ normali” ma abbiamo constatato di come sia difficile per queste persone fare delle cose che noi riteniamo facili, ricordo di un video dove una signora costretta sulla sedia a rotelle non riusciva a salire sul marciapiede perchè il saliscendi era bloccato da una macchina.
    Ecco perché si parla di emarginazione queste persone che già sono in difficoltà si sentono escluse, il disabile, spesso viene emarginato; viene considerato uno scarto, una persona da non ascoltare o da non capire. Questo corso mi ha davvero fatto capire l’ importanza di aiutare il prossimo.


    2)Nel testo Complessità della persona e disabilità Anna Maria Murdaca ci parla delle persone con disabilità, precisamente la Murdaca nel testo mira:
    . alla rimodulazione del termine integrazione
    .alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    .alla ridefinizione di un progetto di vita per ve persone con disabilità
    Secondo l’autrice bisogna iniziare ad adottare l’ ottica della globalità, bisogna parlare di integrazione come un processo continuo, un modo per cercare di far inserire i disabili nella società odierna.
    Si parla infatti di integrazione un termine che però deve essere riformulato, integrazione sia come accoglienza verso persone diverse, e sia come condivisione di valori che tengono conto della dignità dei rapporti. Si cerca quindi di emancipare il soggetto disabile, di farlo sentire parte integrante della società, in modo da eliminare maschere o blocchi che si è potuto creare nel corso del tempo, la ricerca vuole portare il disabile verso lo sviluppo della propria identità è opportuno quindi una vera e propria ricostruzione dell’ Io che viene fatta necessariamente da educatore/insegnanti ma anche da rapporto madre/figlio, docente/discente.
    Una delle simulazioni che mi ha colpita maggiormente è stata quella del concetto di relazione educativa sperimentando due setting. In quel momento ho capito l’ importanza dell’ educatore e di come debba cambiare il suo atteggiamento davanti ad un bambino con problemi di disabilità.

    3) Esiste inoltre, un altro aspetto da valutare, ossia lo studio di, Lipovetsky, Braidotti e Remaury.
    Braidotti e Remaury parlano di una donna sempre insoddisfatta che fa girare la sua vita attorno al benessere e alla bellezza ( perché secondo loro è l’ unica cosa che nella vita ha importanza) affidandosi così a chirurghi estetici che le possono far ringiovanire anno dopo anno.
    Lipovetsky invece nel suo libro “ la terza donna” ci mostra tre passaggi che la donna ha compiuto del corso della storia: si parte da una donna svalutata e sfruttata, ad una donna ideale una vera e propria icona, per poi arrivare al ventunesimo secolo con una donna indefinita. Una donna che racchiude in sé le precedenti caratteristiche, ma che finisce per superarle diventando così un vero e proprio fondamento di autodeterminazione.
    Tutti e tre gli autori si trovano a parlare di un tema così recente oggi giorno.
    La nostra società è ormai stata catapultata in questo “circolo estetico” dove tutto e tutti devono raggiungere la perfezione, sono d’accordo a migliorasi e quindi sottoporsi a miglioramenti estetici per piacersi di più, non tutti vivono bene il proprio corpo e credo sia giusto poter essere liberi di decidere se cambiarlo o meno, sempre tenendo a mente di non cadere negli eccessi.
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    Messaggio  Giulia Marciano Mer Mag 09, 2012 12:34 pm

    ESERCIZIO 1

    Le parole, talvolta tanto semplici da pronunciare, talvolta tanto dolorose da accettare. Nel nostro quotidiano diciamo talmente tante parole da non renderci conto delle reazioni delle persone con le quali interloquiamo, arrivando addirittura a non saper di aver offeso un amico, un genitore per una 'parolina' sbagliata.

    "...Ho paura di cadere
    non tanto per il dolore che potrei avvertire
    ma per il PESO DEI LORO OCCHI
    che su quel pavimento
    potrebbero inchiodarmi..."

    "...CHIAMATEMI PER NOME.
    Non più:
    portatrice di handicap, disabile...
    Forse usate chiamare gli altri:
    "portatore di occhi castani..."

    Queste sono 2 strofe tratte dalle poesia "IN BILICO" di Gennaro Morra e "CHIAMATEMI PER NOME" di Gianni Scopelliti, due persone disabili che soffrono per le 'etichette' che gli vengono attribuite dai normodotati. Con lo scopo di parlare "UN'UNICA LINGUA" l'ICD, prima classificazione elaborata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, si sofferma sull'aspetto eziologico della malattia, avvicinando le disabilità alle patologie cliniche, creando una sorta di enciclopedia medica. Nel 1980 con la nascita dell'ICIDH i termini: DISABILITA' (incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti considerati 'normali' dall'individuo) e HANDICAP ( la difficoltà a maturare quelle disposizioni necessarie alla realizzazione progressiva della personalità integrale) vengono sostituiti da "Abilità" e "Partecipazione".Nel 2001, in seguito alla pubblicazione delI'ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) vi è un ulteriore rettifica dei termini: MENOMAZIONE (perdita o anomalia strutturale o funzionale, fisica o psichica), DISABILITA' e HANDICAP che vengono sostituiti rispettivamente da: "Funzioni", "Strutture corporee" e "Attività e partecipazione", soffermandosi sulle capacità del soggetto e sulla sua integrazione sociale.
    Il modello ICF sostiene che la persona è la risultante dell’interazione tra diversi settori, offre quindi una prospettiva unitaria e globale delle potenzialità e dello stato di salute inseriti in un contesto definito consentendoci di individuare i livelli di qualità del funzionamento e i bisogni della persona, uno dei suoi principali obiettivi è di rendere la persona disabile parte naturale della società stessa.
    Se la DISABILITA' è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole, chi è il DISABILE? Spesso,lo definiamo 'quello sulla sedia a rotelle' , non rendendoci conto che la sedia a rotelle è un AUSILIO, un vantaggio per il disabile. Il disabile è una PERSONA che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, affetta da disfunzioni motorie e/o cognitive, è anche CIO' CHE GLI ALTRI PENSANO DI LUI. Egli spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate. Purtroppo il disabile viene erroneamente accomunato al DIVERSO, il diverso di solito non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società suo malgrado. Dal 2003 (Anno Europeo dei disabili), viene utilizzata l'espressione "DIVERSABILITA'" per sottolineare il valore della PERSONA disabile. Il contesto sociale, determina la condizione di handicap,
    la nostra società è rude, insensibile, ci facciamo sopraffare da un essere inquietante quale, il PREGIUDIZIO che per me, è sinonimo di ignoranza, ci induce a emanare considerazioni affrettate. Lascioli, nel testo "Handicap e pregiudizio" ci fa capire come in seguito al pregiudizio, racchiudiamo i 'diversi' in uno 'SCARTO DI UMANITA''. L'emarginazione è una condizione psicologica terribile, in aula abbiamo fatto a riguardo una simulazione, io in quel caso facevo parte della 'città' ma pur essendo cittadina mi sono resa conto di quanto l'uomo può diventare crudele ed egoista, nella vita siamo tutti con gli stessi diritti e gli stessi doveri. 'RICORDA SEMPRE CHE SEI UNICO, ESATTAMENTE COME TUTTI GLI ALTRI'.[b]

    [b]ESERCIZIO 2


    Con il testo:” Complessità della persona e disabilità” Anna Maria Murdaca si sofferma su alcuni temi:

    INTEGRAZIONE intesa come “spazio ripartivo” dove il disabile con l’ausilio di una serie di attività educative, riacquisti la propria identità e la propria autonomia
    DISABILITA’ incentrata sul concetto di: valorizzazione della persona con il rispetto delle differenze e delle identità,
    PROGETTAZIONE di una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità

    Il termine: “integrazione” significa guardare alla globalità della persona. Secondo l’autrice, bisogna dirigersi verso l’inclusione dei soggetti e per raggiungere questo obiettivo, ha grande rilievo il contesto sociale che spesso limita la libertà, l’autonomia di una persona disabile, talvolta accrescendo i suoi handicap. Bisogna tener conto della persona in evoluzione e di conseguenza il processo di integrazione deve garantire una ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dai disabili, valorizzando al meglio le qualità individuali, non giudicandoli più per sottrazione ( non sa fa, non ha, non può…).
    Bisogna entrare nell’ottica che il DISABILE è una PERSONA e di conseguenza un CITTADINO a tutti gli effetti con una propria vita, una propria storia. La nuova cultura della disabilità ha la finalità di sollecitare nei soggetti disabili lo sviluppo di indipendenza emancipazione. Si pensa ad una comunità sociale di apprendimento in cui educatori/insegnanti siano in grado di coniugare l’aspetto educativo con quello didattico, riabilitativo e sociale, favorendo integrazione, differenzazione e personalizzazione, affrontando sempre col sorriso l’incontro con diverse identità, condividendo valori umani, etici, arricchendo le proprie esperienze formative con l’obiettivo di non emancipare le persone disabili, ma di renderle parte integrante del gruppo, non più “diversi”. Lo scopo finale, dunque, è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere. Perché ciò sia possibile è però necessario un lavoro integrato in grado di coniugare l'aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, assicurando iniziative di vera promozione personale e sociale.
    Non parliamo più di emancipazione, ma di inclusione, di promozione della cura di sé per accettarsi e convivere con la propria specialità. Creando una giusta relazione educativa, un rapporto egualitario tra l’educatore e l’educando, fatto di rispetto reciproco. L’obiettivo dell’educatore è quello di rieducare e condurre il soggetto a cambiamenti positivi, al contrario, l’obiettivo dell’educando è quello di apprendere. Un dare e avere, quest’esperienza l’abbiamo vissuta attraverso alcune simulazioni svolte in aula, da cui ho notato l’importanza dell’linguaggio sia verbale sia fisico, basta poco per far inibire una persona, talvolta per creare un rapporto comunicativo possono passare mesi e mesi, bisogna avere pazienza, ma soprattutto passione per questa esperienza formativa.

    ESERCIZIO 3

    Per Donna “perfetta“oggi si intende, colei che porta una taglia 42, bella, perfetta e in salute. Siamo vittime di una società stereotipata, vittima dell’immagine, del bello apparente. La donna “mediatica” è una donna oggetto, priva di contenuti, è una donna che pensa solo ad apparire. La nostra società è standardizzata e “accetta” solo un determinato tipo di Donne…Purtroppo o per fortuna non siamo tutte uguali, e oltre alle gambe c’è di più!!!
    Remaury, nel “Il gentil sesso debole” ci parla di un triplice obbiettivo per arrivare alla perfezione: GIOVINEZZA-BELLEZZA-SALUTE. Quando si parla di bellezza, si fa riferimento solo a quella esteriore, ma per quanto mi riguarda, ciò che ci rende veramente belli, giovani e in salute è lo stare bene con noi stessi, accettarci per così come siamo. Si ricorre spesso a metodi scientifici,chirurgici e all’utilizzo di protesi estetiche che sono finalizzate al cambiamento di parti del corpo al fine di apparire più belli. Concordo pienamente con il concetto di BELLEZZA=LIBERAZIONE di Lipovetsky, il quale nel testo “La terza donna” si oppone ai modelli dominanti imposti dalla società, affermando un CORPO LIBERO dalla malattia, dal peso e dal tempo; la Donna, attraverso un lavoro su se stessa (make the most of yourself), è autodeterminata, sa ciò che vuole per il bene di se stessa, non per la società! Prima il corpo doveva servire, ora è l’individuo ad essere al servizio del proprio corpo, che tristezza, siamo diventati tante “macchine” non più PERSONE, apprezziamo più un rossetto che un abbraccio, ritorniamo ad amare le reali bellezze della vita. Non più modelle anoressiche, veline scheletriche, ma Donne solari, belle, in salute anche con quale chilo in più, perché la carne è carne;), guardiamoci allo specchio sorridenti, non andiamo sempre a lamentarci per dei piccoli e inutili “difetti” estetici. Rosi Braidotti nel testo “Madri mostri e macchine”ci parla di un corpo trasfigurato, mostruoso, deforme rispetto alla norma, distante dai corpi “normali”. La Donna in seguito alla maternità, diventa nell’immaginario maschile, contemporaneamente mostro e madre poiché capace di trasfigurare il suo corpo, il corpo dunque, viene considerato una macchina. Il mostro è l’incarnazione della differenza della norma dell’uomo-base: è un deviante, un a-normale, è abnorme. Non c’è una bellezza assoluta, ognuno di noi possiede una propria bellezza, una propria particolarità perché: “NESSUNO CHE SIA SCHIAVO DEL CORPO E’ LIBERO!” amiamoci per come siamo!!!






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    Messaggio  frascogna domenica Mer Mag 09, 2012 2:51 pm

    ESERCIZIO 1

    L'OMS (organizzazione mondiale della sanità) è un istituzione internazionale fondata dall'ONU nel 1948 con il compito di promuovere in ogni stato il raggiungimento del più alto livello sanitario possibile al fine di assicurare a ogni cittadino il diritto alla salute. Nel 1970 questa organizzazione elaborò l' ICD (classificazione internazionale delle malattie) che rispondeva all'esigenza di cogliere la causa delle varie patologie, per ogni sindrome o disturbo vi è una descrizione delle caratteristiche cliniche e delle indicazioni diagnostiche che vengono tradotte in codici. Una seconda classificazione introdotta dall'OMS fu nel 1980 quella dell' ICIDH (classificazione internazionale delle menomazioni,disabilità e handicap) basata appunto su tre fattori menomazione,disabilità ed handicap che furono sostituite da menomazione,abilità e partecipazione dove si avrà una maggior attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. L'OMS ha elaborato nel 2001 uno strumento di classificazione che analizza e descrive la disabilità come esperienza umana che tutti possono sperimentare. Tale strumento, denominato ICF, propone un approccio all'individuo normodotato e diversamente abile dalla portata innovativa e multidisciplinare,un approccio che coinvolge l'aspetto biologico,personale e sociale; l'ICF guarda la persona nella sua globalità.

    DISABILITA' E DIVERSITA'
    Non bisogna mai confondere disabilità e diversità perchè sono due termini nettamente diversi. per DISABILE si intende colui che non è in grado di svolgere le normali attività quotidiane a causa delle sue difficoltà fisiche e psicologiche. Per disabilità intendiamo anche DEFICIT e HANDICAP. DEFICIT è una privazione a livello fisico e psichico basato sulla mancanza totale di una funzionalità fisica ed è un esempio in uno dei laboratori che abbiamo affrontato Oscar Pistorius e Simona Atzori che nonostante le loro difficoltà affrontano la vita con vitalità e gioiosità da una parte un ragazzo che nonostante le polemiche sportive non si è dato per vinta ha lottato dall' altra parte una ragazza che riesce a far tutto solo con i suoi piedi sempre sorridente. HANDICAP è l' ostacolo,la condizioni si svantaggio, la difficoltà che affronta la persona e deriva da un deficit ; a questo proposito ricordiamo la lezione riguardo alle barriere architettoniche che incontra un disabile, le difficoltà che ha anche in una stazione se il montascale non funziona, io non sopporto che non vi siano in alcune zone mezzi e strumenti adeguati per facilitare la vita a queste persone . Per quanto riguarda l'essere diverso è colui che è diverso da me dagli altri, diverso per il colore della pelle, diverso per tanti suoi aspetti. Purtroppo questo è un problema che è presente ancora oggi nella nostra società perchè basta che si vede una persona di colore e subito si è pronti a giudicare, a discriminare quando poi sono persone come noi con gli stessi diritti e doveri. Il diverso è anche l'EMARGINATO colui che viene messo da parte, colui che viene isolato perchè non fa parte di un gruppo sociale,perchè è diverso dal colore della sua pelle, è diverso per la sua cultura e molte volte si è diversi anche nel modo di vestire e si giudica. Ho avuto modo di testare questo fenomeno dell'emarginazione in uno dei laboratori dove la prof. faceva il sindaco poi c erano i cittadini e gli emarginati. Io facevo parte degli emarginati (già il salire su quella pedana ho pensato perchè non ho messo le lenti a contatto Smile )non mi sono sentita a mio agio ,mi sentivo etichettata ,estraniata senza dover esprimermi,senza dover dire la mia, ero su un patibolo. Non ho provato una bella esperienza però ho confermato ancora di più che gli emarginati sono cittadini come noi e devono essere messi alla pari.

    ESERCIZIO 2

    E' fondamentale indagare la complessità della persona con disabilità e la sua integrazione a questo ci ha pensato a darci un ricco approfondimento la docente Anna Maria Murdaca in uno dei suoi testi. la quale si sofferma su tre punti: la rimodulazione del termine di integrazione, la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità e la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità. Secondo lei bisogna scegliere una nuova cultura della disabilità centrata sul riconoscimento delle persone in evoluzione.
    Nel contesto sociale la condizione del disabile, gli ostacoli e le barriere che incontra portano a favorire il processo di emarginazione,di escludersi dalla società. Il disabile,quindi,deve affrontare prima il problema dell’accettazione da parte degli altri soggetti e pian pian integrarsi . L'integrazione è un processo continuo per cercare soluzioni,strategie a preservare i diritti della persona, la persona per essere integrata deve tener conto di tanti fattori come la relazione con gli altri di come approccia, tener conto dei suoi pareri e i suoi bisogni. Anche l ambiente è un elemento fondamentale che determina l'integrazione del disabile nella società (la scuola,la famiglia, l'assistenza) anche se ci possono essere delle barriere .La Murdaca introduce anche il concetto di Cura di sé ossia una ridefinizione del proprio essere, in quanto è vista come una continua emancipazione dei soggetti coinvolti, alla realizzazione dell’uomo per ciò che vuole essere. Murdaca vuole valorizzare la persona con il rispetto delle differenze e dell'identità permettendo nella persona disabile lo sviluppo di indipendenza ed emancipazione. Ciò che consente la crescita di una persona è anche la relazione educativa come spazio riparativo,costruire una relazione educativa è un obbiettivo positivo perchè permette al disabile di aprirsi,confrontarsi e di farsi ascoltare. Ogni relazione educativa è intesa come partecipazione e ogni incontro può essere sia positivo che negativo in quanto ci sono scambi di opinioni,di valori e che permette di dare e ricevere .L'educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce,ci deve essere il rispetto reciproco è molto importante che l’educatore lavori prima su sé stesso, e poi sull' educando e lo deve aiutare ed accompagnare nel percorso della vita facendolo anche sentire alla pari delle persone normodotate.

    ESERCIZIO 3

    L'immagine ideale della donna che propongono i media e la pubblicità è che deve essere giovane,bella e sana. Su questo canone estetico le donne dovrebbero costruire la propria identità affrontando spese e sofferenze fisiche che vanno dalla cosmetica alla chirurgia estetica, all'abbigliamento. REMAURY nel suo libro “il gentil sesso debole” sostiene che la donna giunge sempre a perfezionare incessantemente la propria bellezza e la propria salute portando l'individuo ad essere schiavo del proprio corpo. LIPOVETSKY sostiene che la donna deve scegliere tra eterna giovinezza,perfetta bellezza e salute totale attraverso questi tre obbiettivi riuscirà a raggiungere la sua perfezione e ne parla nel suo testo intitolato “terza donna” dove egli ci spiega anche di questa continua trasformazione della donna ossia da una prima donna: sfruttata,svalutata poi in un secondo momento è stata definita un modello angelico, un'icona sino ad arrivare ad oggi nel Ventunesimo secolo la “terza donna”sempre alla ricerca di perfezionarsi giorno dopo giorno. ROSI BRAIDOTTI nel suo libro “Madri mostri e macchine” ha analizzato i mutamenti della figura materna durante la gravidanza, il corpo gravido e quello mostruoso si mischiano nell'immagine della figura maschile come qualcosa di orribile e meraviglioso,affascinante e terribile. E da ciò viene riproposto alla donna un nuovo corpo che viene definito corpo-macchina. A questo riguardo vorrei parlare delle protesi estetiche io la vedo positiva per chi ha avuto brutti incidenti o per chi ha malformazioni mentre la vedo negativamente per le persone che lo fanno per apparire per piacere agli altri per essere come la diva che vedono in TV...io dico sempre che ci dobbiamo amare per quello che siamo perchè la vera bellezza è dentro di noi.


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    Messaggio  Antonia Manguso Mer Mag 09, 2012 3:22 pm

    1) L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è stata fondata nel 1948 con l’intento, così come espresso nella relativa costituzione, di far sì che tutte le popolazioni raggiungessero (e raggiungano ancora) un livello di salute più alto possibile.
    Nel 1970 l’OMS elabora una prima classificazione delle malattie, rispondendo così all’esigenza di cogliere la causa delle patologie: l’ ICD, ovvero “la classificazione internazionale delle malattie”, grazie alla quale per ogni sindrome o disturbo viene fornita una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed anche le relative indicazioni diagnostiche. Tale classificazione è da citare anche perché avvicina alle patologie cliniche la disabilità, rendendola parte dell’elenco “medico-enciclopedico” che l’ ICD formula.
    Per ovviare ai problemi di definizione inerenti al tema della disabilità, l’OMS nel 1980 elabora una nuova classificazione: l’ ICIDH ( International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps), che si basa su tre fattori: la menomazione, la disabilità e l’ handicap. Termini, questi ultimi, che verranno rispettivamente sostituiti da menomazione, abilità e partecipazione. Cambiamento che evidenzia una maggiore attenzione alle capacità ed abilità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale.
    Nel corso degli anni si è compreso quanto la società, ed i meccanismi ad essa riferibili, si stessero evolvendo e come si fosse resa necessaria l’elaborazione di una nuova classificazione. Si arriva così all’ ICF ( Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), il cui manuale viene pubblicato dall’OMS nel 2001.
    Tale classificazione, oltre ai fattori patologici e biomedici, prende in considerazione anche l’interazione sociale, facendo in modo che l’approccio al mondo della salute/malattia investa contemporaneamente il campo medico, quello personale e quello sociale. La disabilità risulta così definibile come “condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole”. È il contesto sociale a determinare la condizione di handicap.
    Per porre ulteriore attenzione alle capacità e alle possibilità di coinvolgimento sociale del soggetto, i vecchi termini vengono sostituiti da nuovi, quali: funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione. Questo a dimostrazione del fatto che i fattori ambientali e personali non sono meno importanti di quelli organici.
    Il modello ICF quindi si interessa della persona nella sua globalità, considerando l’handicap come situazione risultante dal contesto socioculturale che la persona ha attorno a sé.
    Riflettendo su questo aspetto ritornano alla mente le lezioni nelle quali si è parlato di barriere architettoniche e di emarginazione. Sono questi i fattori che maggiormente impediscono il cambiamento che dovrebbe esserci. Un cambiamento che porterebbe all’eliminazione delle difficoltà e di conseguenza di quegli handicaps che prima abbiamo definito come frutto del contesto sociale. Perché, come scritto già in commenti precedenti, è inaccettabile vivere in città che non offrono ausili necessari ai disabili, è inaccettabile fingere che questi siano problemi che non esistono perché non ci toccano, è inaccettabile assistere con cadenza quasi giornaliera a scene che hanno come protagonista incontrastata l’assenza o l’inefficienza dei servizi (che dovrebbero essere dovuti al cittadino), è inaccettabile che si definisca “diverso” colui che non può muoversi come noi, che non può parlare come noi, che non può scrivere come noi, che non può usufruire degli stessi servizi dei quali godiamo noi, noi che ci definiamo “normali”. Ed a proposito di “diversità”, risulta necessaria qui una precisazione sulla differenza di significato che intercorre tra il termine “disabile” ed il termine “diverso”. Il disabile è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana , è un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive, una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità oppure dal loro diverso funzionamento. Spesso la disabilità viene confusa con la diversità, si pensa a tratti che i due termini siano sinonimi, siano interscambiabili, ma così ovviamente non è. A dimostrazione di ciò, riporto qui una frase presente sul libro: Tutti sono diversi; non tutti sono disabili. Il diverso non è il disabile, ma colui che così viene etichettato perché non risponde a quei canoni che sono concepiti come rispondenti alla normalità oggettiva ( la normalità, a voler esser precisi, è un concetto del tutto relativo e soggettivo). Per noi il diverso è lo straniero, il disabile, il folle, colui che parla una lingua e svolge azioni a noi sconosciute …. Il diverso è visto come tale dagli altri, di certo non è lui stesso a considerarsi così, ed è questa concezione “etichettatrice” che conduce alla già su citata emarginazione. Concetto che abbiamo affrontato in una lezione recente, nella quale si è creata una simulazione che vedeva il gruppo classe come facente parte di una città dalla quale erano esclusi tutti coloro che indossavano gli occhiali. Una messa in scena che mi ha portato a riflettere sull’inutilità e vacuità di ogni forma di discriminazione ed emarginazione. Concetti che purtroppo hanno ancora troppo peso e rilevanza nella nostra società.

    2) Anna Maria Murdaca scrive il testo “Complessità della persona e disabilità” con lo scopo di mettere in evidenza tre fattori (da intendere come obiettivi) fondamentali: - la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità; - la rimodulazione del termine integrazione; - la comprensione delle reali condizioni di vita e del ruolo che una persona con disabilità può assumere nella società.
    Iniziando la nostra analisi partendo dal primo punto, notiamo come l’autrice tenga a promuovere una cultura attenta non soltanto ad analizzare i temi del comportamento e dell’assistenza del soggetto con disabilità, ma attenta anche al riconoscimento della persona nella sua globalità. La Murdaca si fa promotrice di una nuova cultura che promulghi leggi, norme, servizi a tutela dei soggetti in situazione di disagio. Una nuova cultura che miri all’abbattimento delle barriere architettoniche, che metta la tecnologia ed i suoi materiali ed ausili a disposizione del disabile, che offra possibilità di inserimento lavorativo. Che conduca quindi all’integrazione, ovvero all’inserimento della persona in un ambiente.
    L’integrazione è da intendersi come un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni, e non un punto di arrivo. Il suo significato, infatti, è anche quello di “ricerca incessante del rapporto con l’altro, con il diverso da sé”, in modo da migliorarsi e crescere insieme.
    Per far sì che un processo integrativo sia efficace, occorre soffermarsi sull’identità del soggetto disabile, analizzare il contesto sociale con il quale egli si confronta e, non da ultimo, studiare quelle che sono le leggi che “regolano” la vita di un cittadino in situazione di disagio e la loro effettiva messa in pratica. Tutto ciò è sintetizzabile in una sola regola: guardare alla globalità della persona.
    Dobbiamo entrare in quell’ottica di idee secondo la quale il termine integrazione è da intendersi come sinonimo di accoglienza, di condivisione.
    Attraverso questa nuova cultura e l’integrazione si arriva all’emancipazione, conquistabile anche grazie alla cura, ovvero all’attenzione e all’aiuto che si presta alla persona con deficit, dandole motivo, forza e voglia di accettarsi e realizzarsi per la persona che è e per quella che può diventare.
    Un ruolo importante è rivestito quindi dal confronto con l’altro, dai rapporti che si instaurano tra i vari soggetti. Come non fare ora riferimento al tema della “relazione educativa”?!?
    Ogni relazione, ogni incontro è educativo, perché permette alle parti coinvolte di dare e ricevere qualcosa. L’incontro si fa, infatti, portatore di significati, di valori o anche di sole opinioni che assumono un peso importante nella crescita dei soggetti che li ricevono. Tutte le esperienze della vita, sia esse negative che positive, sono relazioni educative, in quanto offrono spunti dai quali trarre insegnamento per la propria vita.
    Nella lezione dedicata a questo tema abbiamo visto come diversi possono essere i tipi di relazione che si vengono ad instaurare: vi è quella tra madre e figlio, quella tra docente e discente, tra educatore ed educando, tra dipendente e datore di lavoro. Tutti tipi di rapporti accomunati dalla stessa caratteristica: lo scambio reciproco di opinioni e emozioni affettive.
    A lezione ci siamo soffermati principalmente sul rapporto educatore/educando. Sono state ricreate in aula delle simulazioni, le cui protagoniste erano nostre colleghe che a turno svolgevano il ruolo di educatrice o di persona con un problema da presentare. Queste “piccole scenette” mi hanno portato a riflettere su quelle che devono essere le qualità proprie di un sano confronto. In primo luogo in una buona relazione educativa si deve cercare di creare una serie di situazioni che possono mettere a proprio agio entrambi i soggetti coinvolti. Bisogna quindi creare un rapporto alla pari, in cui non si evidenzino differenze tra gli individui a confronto. È necessario che non vi sia asimmetria o disparità di potere tra un soggetto e l’altro. Bisogna munirsi di pazienza ed essere consapevoli che una solida relazione si costruisce giorno dopo giorno, sbagliando, ascoltando, parlando, condividendo esperienze, in modo da creare quella fiducia e stima necessaria per potersi rapportare con libertà e senza inibizioni. Ed inoltre bisogna attenersi al cosiddetto “principio di restituzione”. Infatti quando si ascolta, può essere bene ripetere le parole che ci vengono dette, sia per renderle più nostre, sia per far sì che il soggetto che le ha pronunciate, riascoltandole, possa meglio elaborarle e capirne il loro effettivo peso.
    Relazionarsi per me significa quindi crescere, fare tesoro di ogni episodio, di ogni incontro, traendo da ciascuno di essi il giusto insegnamento ed esempio per le esperienze che verranno.

    3) La società nella quale viviamo impone sempre più canoni di bellezza da raggiungere, rispettare e mantenere. Sembra quasi che per essere accettati dalla massa, per integrarsi nel mondo civile sia obbligatorio avere uno splendido corpo, presentarsi in maniera impeccabile, vestire in un certo modo, parlare di determinati argomenti. Bisogna quasi farsi clone di quei modelli che i mass-media ci propongono ed impongono ripetutamente. Non si riesce ormai più a fuggire dall’ossessione di entrare in una taglia 42, di avere un taglio di capelli che segua i dettami dei più famosi stylist, di indossare quell’abito perché le/i vip del momento ne sono amanti, di comprare quella crema perché rende la pelle liscia e morbida al tatto. Si rincorre quindi quell’ideale (puramente utopico) di bellezza, salute e giovinezza.
    Ed è di questa triade che si occupano i testi di Remaury e Lipovetsky. Essi studiano gli effetti che tali immagini continuamente proposte hanno sulle persone, in particolare sulle donne, i soggetti più facilmente “abbindolabili” e più desiderosi di apparir belli e giovani. In particolar modo Remaury, nel Il gentil sesso debole, scrive che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione. È questo l’obiettivo da raggiungere, anche grazie all’ausilio della scienza, che attraverso la chirurgia estetica e gli innesti di protesi facilita il cammino che porta al raggiungimento del su citato fine.
    “Essere perfetti a tutti costi” sembra quasi lo slogan dei più, ormai. Se si vuole un bel seno, un bel naso, bei glutei si va dal chirurgo, se si vuol perder peso si va da un dietologo, se si vuole un viso curato e pulito si va dall’estetista. Tutto questo oggi è considerato “giustamente” normale, ma quando questa ricerca del bello sfocia nell’ossessione, si arriva addirittura ad ammalarsi di gravi patologie. È questo il caso di malattie legate ai disturbi alimentari, quali anoressia e bulimia: per piacere bisogna esser magre, per esser magre non si deve mangiare, più non si mangia più si perde peso, più il peso diminuisce più si piace. È questa la logica contorta che scatta all’interno della mente di una persona malata (malata in prima istanza a livello psicologico e conseguentemente a livello fisico).
    Rifacendomi al discorso della chirurgia e della scienza al servizio dell’estetica, da citare è anche il pensiero di Rosi Braidotti, la quale parla di “corpo-macchina”, ovvero di un corpo trasformato, per certi versi definibile mostruoso, sul quale la donna agisce in collaborazione con la tecnologia.
    Come ho già avuto modo di scrivere in altri commenti, ritengo utili i grandi passi in avanti e le scoperte della scienza in ambito tecnologico, soprattutto quando si prestano al servizio di chi ne ha effettivamente bisogno (vedi le facilitazioni apportate alla vita dei disabili). Non sono favorevole invece, a quello che definisco “accanimento estetico”, perché a lungo andare ritengo porti alla perdita di quelli che dovrebbero essere i veri obiettivi di ogni singolo individuo. Più importante infatti sarebbe lavorare sulla propria personalità, sul proprio carattere, sui propri valori. La bellezza esteriore dà piacere alla sola vista, quella interiore dà gioia, serenità, piacere a mente e cuore.
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    Messaggio  anna di maggio Mer Mag 09, 2012 4:43 pm

    Esponi il passaggio dall’Icd all’Icf, soffermandoti poi sul contesto e sulle parole disabile e diverso, personalizzando il tuo discorso attraverso una ripresa degli interventi ai laboratori che hai p roposto ‘orologio’ /‘barriere architettoniche’, ‘la mappa degli stereotipi’, Sindaco/esperienza di ‘emarginazione’ (questo perché ciascun intervento deve essere diverso e avere l’impronta dello studente che lo elabora).


    L'ICD è la classificazione Internazionale delle malattie ,ed è la prima classificazione elaborata dall' OMS : Organizzazione Mondiale della Sanità .Nasce nel 1970 e risponde all'esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche e concentra la sua attenzione sull'aspetto eziologico della malattia ,inoltre le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione , la ricerca e l'analisi dei dati , avvicinando le disabilità alle patologie cliniche , facendo dell'elenco un enciclopedia medica.Inseguito l'ICD venne a sua volta sostituito dall'ICIDH idealizzata nel 1980 come classificazione internazionale che s'impegnadi risolvere alcuni problemi inerenti alle definizioni.Dopo un pò nacque l'ICF , ,un manuale di classificazione pubblcato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001 presentando una accurata definizione del concetto di disabilità multimediale innovativa rispetto alle classificazioni precedenti.Secondo l'ICF la disabilità è una condizione di salute come conseguenza ad un contesto sfavorevole.Ciò che favorì il passaggio dall’ICD all’ICF, fu sopratutto perché le informazioni fornite dalla diagnosi medica, non definivano sufficientemente ciò che una persona sapeva o non sapeva fare.I settori Sanitario,Sociale, Educativo sono i più utilizzati dall'ICF.Nello sviluppare i concetti richiesti è sorta più volte la parola "DISABILITA'', la quale è stasta oggetto di dibattito all'interno dei nostri laboratori svolti in aula.Ma prima sarebbe più opportuno presentare e spiegare che cosa s'intende per disabilità.La disabilità viene vista come l'incapacità di svolgere determinate funzioni e di praticare particolari compiti in un modo ritenuto "normale".Non viene considerata solo un deficit , ma è una condizione che va oltre la limitazione e che quindi supera le barriere mentali e architettoiche.Il disabile è un individuo con una propria identità.Inoltre c'è da evidenziare che il termine disabilità mette in evidenzia abilità diverse dagli altri.Questa tematica è stata sviluppata nel secondo laboratorio dove sono stati proiettati in aula alcuni video che ci hanno illustrato le difficoltà che incontrano persone disabili.Proprio per questo mi sono chiesta come una persona disabile potrebbe vivere a casa mia a causa degli innumerevoli ostacoli...Infatti per questo motivo mi è stato chiesto di idealizzare un orologio di una mia giornata tipo marcandone le difficoltà che una persona disabile incontrerebbe se stesse al mio posto : mi alzo verso le 7:30 e il primo ostacolo che incontrerebbe una persona disabile a casa mia è che ho la porta del bagno un pò stretta quindi non permetterebbe l'entrata della carrozzina;dopo di chè anche per farsi la doccia ci sarebbe problemi in quanto la doccia ha lo scalino.Un altro ostacolo sarebbe scendere le scale del palazzo perchè non ho l'ascensore , e l'asfalto stradale è abbastanza rotto e quindi sarebbe poco comodo spingere la carrozzina.Una volta arrivata alla fermata del bus il problema sarebbe salirci perchè c'è uno scalino alto e sarebbe il caso mettere una pedana.Arrivata all'uni. non ci sarebbero più problemi in quanto disponiamo di 2 ascensori.Il problema si ripresenta nel rifare il tragitto all'inverso per tornare a casa. Molte volte mi soffermo su ciò che faccio ogni giorno e mi chiedo come avrebbe fatto una persona disabile al posto mio , e quanta difficoltà avrebbe incontrato.Io credo che queste persone debbano essere aiutate , ma sopratutto debbano essere create mezzi più adatti a loro senza barriere architettoniche illustrate in alcuni video proiettati in aula che appunto ci mostravano le difficoltà che una persona disabile incontra per strada anche per fare una semplice passeggiata,come per esempio marciapiedi che non presentano una discesa per favorire il passaggio dalla strada al marciapiede e viceversa o perchè non ci sono o perchè , se ci sono, sono bloccate da alcune macchine parcheggiate. Vi possiamo trovare però persone che nonostante presentino una disabilità grazie al superamento delle barriere architettoniche non si reputano tali e come possiamo ricordare due personaggi importanti come Simona Atzori e Oscar Pistorius,due personaggi che ritroviamo nella tematica della RESILIENZA.Infatti come possiamo ricordare,dato che a lungo sono stati presenti in alcuni dibattiti laboratoriali , Simona Arzori che pur essendo senza braccia dalla nascita, non si è mai persa d'animo e ha intrapreso sin da giovane l'attività di pittrice e di ballerina classica;o come Oscar Pistorius al quale , in seguito ad una malattia che colpì gli arti inferiori gli furono amputate ambedue le gambe , ma grazie all'utilizzo delle Flex Foot , piede flessibile in fibra di carbonio,quest'ultimo da quando era destinato a non poter cammirare più vinse molte gare sportive.Voleva partecipare anche alle Olimpiadi di Pechino del 2008 con i normodotati ma la commissione respinse la sua richiesta in quanto sostenne che le sue protesi presentavano un vantaggio rispetto a chi non le possedeva.Dopo tempo la commisisone scientifica ha ritirato tutto constatando le flex foot si presentavano come preotesi integrative in quanto andavano a ricoprire una parte del corpo mancante.Per quanto riguarda invece il termine "DIVERSO"(anch'esso ritrovato nello sviluppare concetti richiesti);diverso può essere anche uno straniero che presenta una lingua , cultura o religione diversa da un altro.Infatti questa tematica l'abbiamo sviluppata nella visione del film"Indovina chi viene a cena"ambientato negli anni 70.Il tema principale era il matrimonio misto considerato illegale; .In questo film sorge il tema della discriminazione contro chi è "diverso" per il colore della pelle.Lo stereotipo è, nell'uso moderno, la visione semplificata e largamente condivisa su un luogo, un oggetto, un avvenimento o un gruppo riconoscibile di persone accomunate da certe caratteristiche o qualità.In quest'ambito il tema del concetto di stereopito. Si tratta di un concetto astratto e schematico che può avere un significato neutrale (ad es. lo stereotipo del Natale con la neve e il caminetto acceso), positivo (la cucina francese è la più raffinata del mondo) o negativo (l'associazione tra consumo di droghe e la musica rock) e, in questo caso, rispecchia talvolta l'opinione di un gruppo sociale riguardo ad altri gruppi. Se usato in senso negativo o pregiudizievole, lo stereotipo è considerato da molti come una credenza indesiderabile che può essere cambiata tramite l'educazione e/o la familiarizzazione.Talvolta lo stereotipo è una caricatura o un'inversione di alcune caratteristiche positive possedute dai membri di un gruppo, esagerate al punto da diventare detestabili o ridicole. Alcuni gruppi hanno cercato, per deliberata strategia politica, di sviluppare nuovi stereotipi positivi su se stessi.

    2) Anna Maria Murdaca scrive il testo Complessità della persona con disabilità, rifletti su quali logiche guidano il suo discorso, riguardo:
    Ø la rimodulazione del termine integrazione
    Ø la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    Ø la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    riportando come, attraverso le tematiche proposte (il contesto sociale, la persona, lo spazio di cura come luogo riparativo), possiamo pensare in modo nuovo ad una relazione educativa

    NON SI DOVREBBE DEFINIRE NESSUNO PER SOTTRAZIONE.

    Queste sono le parole di Anna Maria Murdaca ,docente e esperta in questioni relative alla disabilità,e autrice del testo Complessità della persona e disabilità . L'obiettivo primario che si pone è di sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione. Da un lato una simile cultura impone necessariamente un'ottica progettuale e flessibile, articolata su livelli teorico-operativi e sulla continua modificabilità del soggetto, da cogliere nella sua prospettiva biografica; dall'altro necessita di un ripensamento dell'integrazione, intesa come "spazio riparativo" dove il disabile può sperimentare con gli educatori e gli insegnanti una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nel qui e ora della relazione educativa. L'integrazione diviene così costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, i mezzi per costruire la propria identità, prerequisito fondamentale per il raggiungimento dell'autonomia. Lo scopo finale, dunque, è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere. Perché ciò sia possibile è però necessario un lavoro integrato in grado di coniugare l'aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, assicurando iniziative di vera promozione personale e sociale. Quindi l'ambiente influenza molto la vita degli individui come la società , la famiglia , il contesto lavorativo che posso influire sullo stato di salute .La famiglia si deve liberare dal senso di incapacità nel migliorare la situazione sia fisica che mentale del figlio/a disabile. Gli insegnanti devono imparare che dietro ad un alunno c'è una persona e deve ,infine, aiutare a far emergere una capacità e delle buone competenze nell'alunno disabile. Infine l'ambiente ritenuto come fattore contestuale determinante nel definire la disabilità può essere ,può essere una barriera . La ricerca può produrre soluzioni tecnologiche che migliorando l'ambiente della persona ne diminuiscono la disabilità.
    3)Remaury, Lipovetsky e Braidotti: proponi, arricchendole di riferimenti, le tue riflessioni su questi autori sul corpo trasformato e mostruoso (anche in riferimento al laboratorio le protesi estetiche).
    I mostri hanno sempre rappresentato delle figure bordeline al limite della società dove le immagini cibernetiche vengono viste avverse.Essi sono esseri malformati ; malformazioni congenite dell'organismo corporeo.Il corpo viene considerato perfetto quando si libera dalle minacce esterne ,quali malattie ,peso,tempo e l'obbiettivo è l'eterna giovinezza.Vi sono diversi tipi di corpo come:
    trasfigurato:legato all'immagine della percezione corpore.
    Esatto:che va verso la perfezione grazie alla scienza e alla disciplia
    Liberato:che si libera dalla malattia ,dal peso e dal tempo
    Rosi Braidotti nel testo “MADRI,MOSTRI E MACCHINE” si oppone alla inflazione discorsiva intorno alla materia corporea, ripensando al rapporto corpo-mente.In questa sede la psicoanalisi è uno degli strumenti per ripensare il corpo in modo da liberarlo dal dualismo.Sostiene che vi è un assimmetria tra i sessi , l quale indica che c'è una radicale differenza tra donne e uomini sia nel pensare ,scrivere e sia nei confronti della politica e della storia.Oggi giorno siamo sempre più avvolti da modelli di bellezza che ci impongono di raggiugere il perfetto e ciò colpisce sopratutto le adolescenti e le donne, come appunto sostenevano autori come Remaury, Lipovetsky e Braidotti.

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