Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    Prova intercorso (riapre a giugno) - Pagina 5 Empty Re: Prova intercorso (riapre a giugno)

    Messaggio  maria giovanna toriello Mer Mag 09, 2012 5:42 pm

    1)L'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha elaborato 3 classificazioni: ICD, ICIDH, ICF.
    La prima classifcazione ICD( classsificazione internazionale delle malattie), stilata nel 1970, focalizza l'attenzione sull'aspetto eziologico delle malattie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche; le diagnosi vengono tradotte in codici numerici venendo a costruire un elenco che costituisce una sorta di enciclopedia medica!
    Nel 1980 si è poi passati all'ICIDH ( Classificazione Internazionale delle menomazioni, disabilità ed handicap), questa classificazione si basa su tre fattori tra loro interagenti: menomazione-abilità-partecipazione ( quindi si presta maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale).
    La MENOMAZIONE è qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. Essa può essere: temporanea, accidentale( può avvenire a seguito di un incidente), o degenerativa( può portare alla disabilità).
    La DISABILITà è l'incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere determinati compiti nel modo considerato “normale” per un individuo.
    L'HANDICAP è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, è il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o di capacità.
    Spesso nel linguaggio comune questi termini vengono confusi tra di loro, spesso “deficit” ( difetto organico) ed handicap vengono assimilati l'uno all'altro; questo porta 2 gravi conseguenze:
    -Considerare l'handicap come un problema solo di chi ha qualche deficit;
    -Pensare che coloro che sono afflitti da qualche deficit siano diversi da tutti gli altri;
    Nel 2001 l'OMS ha proposto una 3^ classificazione ovvero l'ICF( Classificazione Internazionale del Funzionamento, della disabilità e della salute), secondo questa classificazione la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. L'ICF è descritto dall'OMS come un linguaggio standard che serva da modello di riferimento per la descrizione della salute di una persona e degli stati ad essa correlati; pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia e permette quindi di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinchè possano contare su un'esistenza produttiva e serena. Vengono presi in considerazione sia gli aspetti medici che quelli sociali, tenendo pertanto in considerazione il contesto ambientale in cui la persona vive. Infatti proprio il contesto in cui viene a trovarsi un disabile può accentuare o diminuire il proprio handicap. Il problema maggiore è rappresentato dalle barrriere architettoniche che impediscono alle persone disabili di camminare senza ostacoli, infatti spesso le strade non sono percorribili ( a volte non sono percorribili nemmeno per persone senza problemi fisici figuriamoci per chi ne ha), oppure in prossimità di scale manca il montacarichi, e dove esso è previsto spesso non funziona. Purtroppo queste problematiche passano inosservate dalle persone normodotate, infatti io come altre ragazze del corso ci siamo rese conto di quante problematiche affrontano persone con deficit solo in seguito ai video visionati in aula e all'esercizio proposto dalla professoressa ovvero l'orologio, attraverso il quale abbiamo immaginato la strada che percorriamo ogni giorno sostituendo noi stessi con un disabile, e le difficoltà riscontrate non sono state poche!!! Per il futuro però si prospetta una vita migliore per queste persone, infatti la scienza sta facendo grandi progressi, basti pensare alle protesi usate da Pistorius (che gli permettono di camminare nonostante sia privo degli arti inferiori) oppure le case domotiche, che offrono grandi vantaggi, permettono alle persone con deficit di vivere una vita in piena autonomia e che quindi portano non solo vantaggi per quanto riguarda l'aspetto pratico ma aumentano anche l'AUTOSTIMA e la SPERANZA!!!! Queste ultime sono le componenti che non devono mai mancare in un soggetto disabile il quale purtroppo deve subire non solo i problemi pratici della vita quotidiana ma anche il pregiudizio delle persone che li vedono come diversi e li guardano con pietismo. Ricordo a tal proposito la poesia di Gennaro Morra il quale afferma: “Ho paura di cadere non tanto per il dolore che potrei avvertire ma per il peso dei loro occhi che su quel pavimento mi potrebbero inchiodare”... Quindi noi non dobbiamo guardarli con pietismo, dobbiamo superare i nostri limiti mentali e pensare che se pur sono presenti dei deficit e quindi non possono svolgere le attività come i “normodotati” possono comunque sviluppare altre capacità altrettanto importanti! Ciò si è potuto notare nella simulazione fatta in aula durante la quale la prof. ci ha fatte bendare ed ascoltare alcune poesie; in quel momento non avevamo la possibilità di guardare intorno e personalmente mi sono sentita persa soprattutto perchè sono una persona che osserva molto ma, dopo un primo momento di smarrimento, quando ho iniziato ad udire le parole delle poesie mi sono accorta che avevo focalizzato maggiormente l'attenzione su ciò che stavo ascoltando e ogni parola assumeva un peso e un senso che non avrebbero avuto se avessi avuto gli occhi scoperti.... è questo il caso di Simona Atzori la quale nonostante il grande limite fisico a cui la vita l'ha sottoposta (è priva di entrambe le braccia) conduce una vita del tutto normale, e ha fatto di un suo difetto un grande pregio tant'è vero che utilizza i piedi come fossero le sue mani, non si priva di niente, grazie alla sua forza, alla sua volontà riesce a ballare, a dipingere, addirittura può anche guidare!!!! Quindi i cosiddetti disabili non devono sentirsi “diversi” perchè ogni persona è diversa ed unica rispetto agli altri; loro sono semplicemente diversamente abili rispetto ai “normodotati” e vale anche il contrario!!! in fin dei conti chi è che decide in quale momento si passa dalla normalità alla anormalità?!? Siamo tutte persone con pregi e difetti e come tali abbiamo tutti il diritto alla vita!!! “Basterebbe un sorriso, il protarsi di una mano alla quale mi potrei aggrappare per non sentire più l'imbarazzo del mio continuo ondeggiare” questa è la parte finale della poesia che ho citato prima che ci fa capire che basterebbe solo un po' più di comprensione, meno pietismo e più aiuto e l'handicap potrebbe essere diminuito!!! “UNA PERSONA Può ESSERE MENOMATA SENZA ESSERE DISABILE E DISABILE SENZA ESSERE HANDICAPPATA”!

    2) Anna Maria Murdaca scrive il testo”Complessità della persona e disabilità” che mira:
    -alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità,
    -alla rimodulazione del termine integrazione
    -alla comprensione delle reali condizioni di vita, quale ruolo possono assumere i soggetti disabili.
    Secondo l'autrice il primo passo da affrontare consiste nell'adottare l'ottica della globalità: una nuova cultura e conoscenza attenta non soltanto ad analizzare i temi del comportamento, del funzionamento e dell'assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona nella sua dimensione olistica, in quanto i disabili sono persone come tutte le altre, con una propria identità e personalità, e quindi non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione, poiché si caratterizzano per le loro capacità e non per quello che non sanno fare! Deve quindi attuarsi un processo di integrazione, un processo continuo volto alla ricerca di soluzioni che preservino i diritti dei disabili, si tende quindi a valorizzare al meglio le dotazioni individuali. Si mira quindi, non tanto all'accudimento delle persone con disabilità quanto alla loro emancipazione, si vuole che i disabili diventino cittadini a pieno titolo!!! Mi sembra giusto ricordare un'altra poesia che mi ha colpito e che rispecchia quello che h appena scritto:
    “Non voglio più essere conosciuta per ciò che non ho ma per quello che sono:
    una persona come tante altre.
    Chiamatemi per nome.
    Anch’io ho un volto, un sorriso, un pianto,una gioia da condividere.
    Anch’io ho pensieri, fantasia, voglia di volare.
    Chiamatemi per nome.
    Non più:
    portatrice di handicap, disabile,
    non vedente, non udente, cerebrolesa, tetraplegica.
    Forse usate chiamare gli altri:
    “portatore di occhi castani” oppure “inabile a cantare”?
    o ancora: “miope” oppure “presbite”?
    Per favore abbiate il coraggio della novità.
    Abbiate occhi nuovi per scoprire che,prima di tutto,io “sono”.
    È inoltre importante coniugare l'aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale in modo tale da poter assicurare ai diversamente abili quell'integrazione piena assicurando iniziative di promozione personale; la costruzione della personalità deve avvenire in luoghi rassicuranti capaci di sviluppare le capacità personali cercando i mezzi più idonei a valorizzare la differenza come risorsa!!! Deve essere attuato quindi un processo che comprenda l'intervento di vari organi quali la famiglia, la scuola, la società il contesto lavorativo, i quali devono lavorare per far diminuire gli handicap a cui questi soggetti sono sottoposti, l'ambiente quindi può essere una barriera o un facilitatore!!! è importante che gli educatori realizzino un legame di fiducia e di affetto con i soggetti che incontrano in modo tale da permettere loro di esprimere le proprie paure e le proprie difficoltà e cercare di superarle insieme!!! Come abbiamo potuto notare in aula attraverso i 2 setting, che avevano come protagoniste un'educatrice e una ragazza con una problematica, gli educatori devono mostrarsi persone affidabili e propense all'ascolto in modo tale da creare un'atmosfera di fiducia la quale si percepisce anche attraverso i gesti del corpo!!! Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile, l'educatore deve mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile, e soprattutto come ci ha consigliato il Prof. Palladino, non dobbiamo guardare i bambini con deficit con pietismo, ma dobbiamo se necessario anche punirli, perchè in alcuni casi questi bambini capiscono di trovarsi in una situazione diversa dagli altri e quindi potrebbero approffittarsene!!!! Il prof. Palladino è stato un'esempio in quanto ha dimostrato che anche persone con deficit possono condurre una vita normale, senza limitazioni... L'incontro con quest'uomo mi ha colpito particolarmente perchè ci ha dimostrato che bisogna affrontare la vita con il sorriso non bisogna arrendersi agli ostacoli, lui nonostante il suo deficit evidente è molto più ottimista di molte persone normodotate; nonostante la vita gli abbia imposto questo dolore quando aveva 13 anni, ha trovato il lato positivo di questa disgrazia in quanto lui rispetto ad altre persone meno fortunate ha potuto osservare il mondo!!! Quest'uomo è un grande esempio di resilienza, nonostante tutto ha trovato il suo ruolo nella vita, ha trovato l'amore ha cresciuto dei figli e dei nipoti trasmettendo loro sani valori.

    3)Ogni persona è portatrice di valori e ideali. Molti di questi vengono acquisiti non solo tramite la famiglia ma anche attraverso il contesto culturale in cui viviamo! Fonti principali di questa trasmissione sono i mass-media ovvero la tv, i giornali, internet che purtroppo al giorno d'oggi sono sempre più fondate sul mondo dell'apparenza e dell'esteriorità... vi è una vera e propria cultura del bello, ma in fondo la bellezza cos'è??
    Alcuni autori hanno affrontato il tema della bellezza quali REMAURY che nel suo libro “Il gentil sesso debole...” ha affermato che la cultura dell'immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza; la bellezza è associata all'idea che la donna abbia il dover di coltivarla. Il suo miglioramento fisico ed estetico è l'adempimento dei suoi bisogni, ma questi ultimi sono stati suggeriti ed imposti dalla società...Aggiunge inoltre che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Tesi approvata anche da LIPOVETSKY che nel suo libro “La terza donna” ci propone l'immagine di una terza donna la quale nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti ovvero la liberazione dalla malattia cioè sano, dal peso cioè magro, e dal tempo cioè giovane. Secondo quanto scrive Lipovetsky la terza donna ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull'apparente acquisizione di grazia. La donna appare quindi come colei che controlla e gestisce la propria immagine all'interno delle varie proposte di modelli sociali tra le quali può scegliere quale le è più congeniale. Il limite di questa teoria è il fatto che la scelta di cui si parla è in realtà una scelta apparente poiché la donna viene ad identificarsi necessariamente in quei modelli proposti!!!
    Braidotti fa una riflessione sulla capacità della donna di deformare durante la maternità il proprio corpo il quale nell'immaginario maschile diventa qualcosa di orribile, madre e mostro al contempo... è da questa riflessione che l'autrice nel suo testo “Madri mostri e macchine” propone alle donne di incarnare anche la macchina, creare quindi un legame tra femminismo e tecnologia... questa è proprio la tendenza del secolo, ricorrere alla chirurgia per migliorare il proprio aspetto fisico, infatti ciò che conta di più è apparire... Tutto ciò come sopracitato deriva dai modelli proposti dai mass-media i quali mostrano ragazze magre, quasi anoressiche, senza cellulite, in pratica senza difetti... ma in molti casi questi difetti vengono nascosti, è sempre più diffuso ad esempio l'uso di photoshop, ma questo non viene preso in considerazione dalle ragazze che per assomigliare sempre di più a modelli televisivi ricorrono a diete improvvisate, interventi chirurgici e così via... La chirurgia ha anche degli aspetti positivi in quanto molto spesso accadono incidenti che deturpano il viso o il corpo di una persona, e quindi questa si trova sia ad affrontare lo shock dell'incidente sia il pregiudizio delle persone che poi lo vedranno come un diverso, quindi in questo caso sono favorevole alla chirurgia come anche nel caso in cui i difetti di una persona creino in essa problemi psicologici, in quanto anche se madre natura ci ha fatto in un certo modo ognuno di noi deve essere in sintonia con il proprio corpo, poiché se non piaci a te stesso non potrai piacere a nessuno... posso citare a tal proprosito una mia amica la quale aveva il problema dell'obesità, e questo l'aveva portata a nascondersi dagli altri; ad esempio quando qualche parente faceva visita alla sua famiglia lei non usciva dalla sua stanza, non usciva nemmeno più con i suoi amici! Così un giorno si è sottoposta ad un'operazione nella quale le è stata ridotta la dimensione dello stomaco, e ora è dimagrita 30 kg e sembra proprio un'altra persona, ha acquistato autostima e non si nasconde più anzi è molto più socievole.... Quindi si alla chirurgia quando è necessario, ma assolutamente no se si vuole assomigliare a prototipi proposti dalla tv, se si vuole sembrare sempre giovani, perchè la vita è un ciclo, invecchiare è inevitabile e sono più belle le mamme e le nonne che nonostante le rughe esprimono qualcosa con il loro viso piuttosto che tutte quelle donne che essendo ricorse più volte alla chirurgia estetica hanno perso la propria espressività!!! I love you
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    Prova intercorso (riapre a giugno) - Pagina 5 Empty fabiola loffredo: Prova intercorso

    Messaggio  fabiola loffredo Gio Mag 10, 2012 1:01 pm

    ESERCIZIO 1
    L'OMS (organizzazione mondiale della sanità) è stata fondata nel 1948 con l'obiettivo di avere le giuste informazioni riguardo alle diverse disabilità presenti in ogni angolo del mondo. La prima classificazione elaborata dall'OMS è l'ICD (classificazione internazionale delle malattie),istituita nel 1970. Si tratta di una sorta di enciclopedia medica intenta ad identificare le cause delle patologie,fornendo per ogni sindrome o disturbo una descrizione di tutte le principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche sull'aspetto eziologico della malattia. Successivamente tali diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazzione,la ricerca e l'analisi dei dati. Da questa prassi però ci si allontana nel 1980,quando l'OMS inizia a parlare di una nuova classificazione internazionale detta brevemente ICDH. Questa è basata su tre fattori interdipendenti: Menomazione,disabilità ed handicap; successivamente sostituiti con Menomazione,abilità e partecipazione. Si incomincerà quindi a dare maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. Si tratta di un cambiamento molto importante che comporta l'elaborazione dell'ultima classificazione,l'ICF (classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute);istituita nel 2001.Con questa classificazione si inizia a considerare anche l'interazione sociale,parlando di approccio multiprospettico,ovvero biologico,personale e sociale. Questa pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia,sottolineando come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla.
    In quest'ambito risulta necessaria una riflessione sulle parole Disabile e Diverso. Spesso si tende ad utilizzare nello stesso modo questi due termini,che in realtà hanno significati differenti...Il "disabile" è una persona che,a causa di una o più menomazioni,è incapace di svolgere attività della vita quotidiana che,per un normodotato,sono ritenute normali. Nei confronti della persona con disabilità,spesso si tende ad assumere un atteggiamento di pietà o di distacco. Sarebbe invece necessario ricordare che queste sono innanzitutto persone come noi,che non hanno nulla di diverso ma anzi in più quella forza e quel coraggio che probabilmente a noi mancherebbe; ma che purtroppo vivono ancora in un mondo fatto di tanti pregiudizi. Inoltre,dopo essermi immedesimata in una giornata tipo di una persona disabile,mi sono resa conto che ancora sono tante le barriere architettoniche che egli è costretto ad incontrare. Queste per noi possono essere semplici deviazioni,mentre per loro sono dei veri e propri muri invalicabili. E' assurdo che ancora oggi queste persone debbano sentirsi "inferiori" al resto della società semplicemente perchè chi è stato più fortunato di loro non è capace di rispondere a quei bisogni,per lui semplici,di cui queste persone necessitano. Per quanto riguarda la diversità invece,essa indica un individuo che risulta non uguale a noi forse per i suoi tratti somatici,per il colore di pelle,per la cultura; ma assolutamente non diverso a livello umano.Spesso però dell'"altro" si tende ad avere paura,incute timore perchè non lo si conosce e purtoppo questo tende ad essere ancora emarginato. A tal proposito,in aula,mi è capitato anche di testare un fenomeno di emarginazione attraverso un'esperienza laboratoriale: Tra i cittadini e gli emarginati facevo parte dei cittadini; ma allo stesso modo da questa esperienza ho capito quanto possa essere difficile e doloroso,per tutti coloro che nella vita sono realmente emarginati,sentirsi in qualsiasi circostanza inappropriati.

    ESERCIZIO 2
    Anna Maria Murdaca nel suo testo "Complessità della persona e disabilità",mira:
    1) alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità;
    2) alla rimodulazione del termine integrazione;
    3) alla comprensione delle reali condizioni di vita dei soggetti disabili.
    Risulta quindi necessario dirigersi verso l'inserimento e la globalità di qst soggetti. La società,la famiglia,il contesto lavorativo/scolastico sono determinanti perchè possono influenzare lo stato fisico-psicologico di una persona affetta da patologie. Quindi la società dovrebbe cercare di superare quello stato di "esclusione" per colui che viene considerato "diverso"; la famiglia dovrebbe liberarsi dal senso di impossibilità di miglioramento della situazione psico-fisica di un figlio disabile,cosi come anche gli insegnanti dovrebbero iniziare a guardare oltre la scuola e quindi anche alla vita lavorativa.
    Murdaca punta quindi alla valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità. Questa ha necessità di essere integrata nella società; in quanto l'integrazione è un processo continuo,una continua ricerca di soluzioni idonee a perseverare i diritti acquisiti dei disabili...E' il valorizzare al meglio le dotazioni individuali. Dunque non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione perchè si tratta di persone,le quali si caratterizzano x capacità e non per quello che non riescono a fare. e' importante quindi che il soggetto con disabilità riesca ad emanciparsi attraverso un educatore che consentirà la crescita della persona in tutte le dimensioni e il senso di appartenenza della comunità educatrice. Risulta fondamentale,in questo caso, soffermarci sul concetto di "Relazione educativa",ossia un complesso legame che si forma tra educatore ed educando e che comporta l'apprendimento attraverso la fusione delle conoscenze.
    A mio parere,risulta importante che tale relazione sia innanzitutto caratterizzata da un rapporto alla pari,sia un momento di incontro e scambio reciproco in modo che l'educando si senta libero di esprimenre i propri pensieri e i propri bisogni. Vi deve essere una forte empatia accompagnata da fiducia e rispetto tra i due,in modo che nessuno si senta in una condizione di disagio. L'educatore,in questo caso, deve cercare di trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce in modo da stimolare il soggetto in difficoltà,capendo chi si ha di fronte e scoprendo quali sono i fattori che lo spingono a comportarsi in un certo modo.

    ESERCIZIO 3
    Remaury e Lipovetsky,nei loro testi si soffermano sulla donna e sul suo rapporto con la bellezza.
    Remaury associa la donna all'idea che abbia il dovere di coltivare la sua bellezza per continuare ad apparire,attraverso un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute.
    Lipovetsky si orienta verso una fase positiva della cultura della bellezza. Egli sostiene che i valori tra cui la donna deve scegliere sono quelli di eterna giovinezza,perfetta bellezza e salute totale; prodotti da un lavoro su se stessa. Solo così potrà raggiungere la sua perfezione ideale.
    Rosa Braidotti invece,si oppone all'inflazione discorsiva intorno alla materia corporea,perchè va ripensato il rapporto tra corpo e mente. Ella critica il "divenire-donna" di Deleuze, inteso come solo segno di trasformazione in atto e parla di asimmetria tra i sessi sostenendo che c'è una radicale differenza tra uomo e donna. Ella riprende il concetto di corpi deformi collegandolo alla maternità della donna; considerata quindi dall' uomo come qualcosa di orribile: mostro e madre allo stesso tempo. Va dunque a collegare femminismo e tecnologia,proponendo alla donna un nuovo corpo,definito "corpo-macchina"...
    La tecnologia molto spesso, viene utilizzata semplicemente per migliorare il proprio corpo; si parla in questo casi di protesi estetiche. A tal proposito,in aula, si è parlato anche di "disprezzo del corpo" e "corpo di ricambio". Il corpo veniva considerato come peccatore cedevole ai desideri della carne,in quanto insicuro e manchevole.
    Secondo alcune correnti il solo modello di perfezione è quello della macchina, e i corpi non sono altro che macchine; ed in quanto tali possono essere modificati solo artificialmente per poi raggiungere l'altro corpo ritenuto da tutti bello e perfetto. Il corpo femminile in particolare, è sempre stato oggetto di mutamento per rispondere ai dettami della società e della moda: ci sono state vere e proprie strategie di trasformazione corporea,come i collari per allungare il collo o le scarpe di ballerina fasciate per fare i piedi più piccoli.
    Io penso che le protesi estetiche debbano essere utilizzate in primis per riuscire a migliorare una situazione di deficit; ma sono anche favorevole alla chirurgia come miglioramento per motivi estetici, basta che questa non venga utilizzata per "capriccio",per poter essere bella come una donna di spettacolo; ma solo da chi realmente voglia migliorare una parte del suo corpo che non riesce ad accettare e che la possa influenzare anche psicologicamente.
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    Prova intercorso (riapre a giugno) - Pagina 5 Empty Re: Prova intercorso (riapre a giugno)

    Messaggio  Chiara Verace Gio Mag 10, 2012 1:38 pm

    1)Vorrei cominciare il mio discorso partendo da quelle che sono state le mie impressioni sul corso. Grazie a quest’ultimo sono riuscita a comprendere l’importanza delle parole e la superficialità che spesso si attribuisce ad esse. Inoltre, spesso tendiamo a considerare le persone in modo troppo superficiale, senza andare a “scavare” nella profondità di ogni individuo. La pedagogia della disabilità va ad indagare la complessità della persona, in particolar modo della persona con disabilità,cercando di utilizzare terminologie adatte per ciascuna particolarità dell’individuo. La prima classificazione mondiale delle malattie, è stata elaborata dall’OMS ( organizzazione mondiale della sanità). L’OMS infatti ha elaborato nel 1970 l’ICD, che per ogni sindrome/disturbo forniva le descrizioni delle principali caratteristiche cliniche. Inoltre con l’ICD ogni diagnosi veniva tradotta in codici, per una maggiore memorizzazione, ricerca e analisi dei dati. Dieci anni dopo, nel 1980 , l’OMS introduce l’ICIDH che si basa principalmente su 3 elementi : menomazione, abilità, partecipazione ( inteso come possibilità di partecipazione sociale) .Solo nel 2001 è stato pubblicato dall’OMS , il manuale di classificazione ICF, che si basa sull’idea che la disabilità di un individuo è strettamente collegata anche al contesto a cui fa riferimento. Per questo i 3 termini-elementi utilizzati dall’ICD vengono sostituiti da: funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione. Come si può dedurre , l’ICF considera qualsiasi disturbo dell’individuo in relazione alla sua salute, al corpo, e alla società. Per questo si ritiene importante non solo la salute dell’individuo, ma anche le conseguenze relative ad essa, e quindi questo va a mettere in risalto il modo in cui la persona convive con la sua condizione e cosa si può fare per migliorarla. Il cambiamento dall’ICD all’ICF è stato spinto dal fatto che col tempo, si è compreso che le informazioni date su ciascuna patologia ( nell’ICD) non erano sufficienti per avere un vero quadro generale della persona, per cui non si riusciva a comprendere quali erano le sue difficoltà e quali invece le sue abilità. Al contrario con l’ICF si ha un approccio multi prospettico,per cui non si osserva solo l’ambito fisico ma anche gli altri ambiti legati alla persona. Come ho accennato in precedenza, anche le parole da utilizzare sono importanti. Spesso infatti alla parola disabile viene automaticamente collegata la parola diverso. Bisogna però fare una netta distinzione tra i 2 termini. DISABILE è chi è impossibilitato a svolgere una attività ritenuta “normale” nella vita quotidiana. Il disabile quindi è caratterizzato da una mancanza di una o più abilità ,e questo può portare a disagi sociali e psicologici. Spesso nei confronti del disabile c’è un atteggiamento di pietismo, ma più che la pietà si dovrebbe promuovere un comportamento d’aiuto efficace. Proprio grazie ad uno dei laboratori svolti in aula, abbiamo messo in evidenza un tema molto importante collegato alla disabilità ovvero LE BARRIERE ARCHITTETTONICHE. Con ciò si indicano tutte quelle strutture che risultano essere delle vere barriere nella vita quotidiana del disabile. Attraverso l’esercizio dell’orologio abbiamo notato le varie barriere, quali marciapiedi dissestati, semafori senza segnalatori acustici, palazzi senza ascensori o addirittura banconi dei bar troppo alti. Tutto questo va a discapito del disabile, che appunto è visto come DIVERSO. Nella nostra società questo termine viene sempre considerato in modo negativo,non comprendendo che in realtà diversità significa specificità, arricchimento personale. Ogni individuo è diverso dall’altro, ma siamo sempre portati a pensare agli altri come diversi e mai a noi stessi. Per questa associazione che si fa tra disabile e diverso, si va ad emarginare ciò che è diverso da noi. Lo abbiamo dimostrato anche attraverso l’esercizio dei cittadini-emarginati, focalizzando l’attenzione sui comportamenti di chi emargina e sui sentimenti di chi invece viene emarginato. La diversità quindi porta ad una categorizzazione, e cioè collocare le persone in determinate categorie (nella simulazione della città si categorizzavano ed escludevano tutti i cittadini con gli occhiali). In particolar modo la disabilità spesso diviene la caratteristica principale per identificare un individuo. Dall’unione invece tra disabilità e diversità, nasce il termine DIVERSABILE. Con questo termine però non si vuole andare a screditare la persona, ma al contrario si vuole mettere in risalto l’insieme delle abilità che l’individuo possiede e che possono essere potenziate. Si preferisce questo termine al più comune DISABILE, perché quest’ultimo va invece a mettere in risalto il deficit del soggetto, le sue mancanze. Vorrei concludere questa prima parte della relazione con una citazione: Ricorda sempre che sei unico, esattamente come tutti gli altri.

    2) NON SI DEVE DEFINIRE NESSUNO PER SOTTRAZIONE. E’ questa l’idea di Anna Maria Murdaca docente e autrice, esperta in questioni che riguardano le persone con disabilità. Infatti lo scopo principale del suo testo, “ Complessità della persona e disabilità”, è quello di ricostruire una nuova cultura relativa alla disabilità, attraverso una ricostruzione del termine integrazione, cercando di comprendere le reali condizioni di vita delle persone disabili. Secondo l’autrice, tutto questo può essere racchiuso nell’OTTICA DELLA GLOBALITA’ e cioè osservare il soggetto disabile in tutti i suoi aspetti, non solo quello legato alla sue disabilità e ai suoi comportamenti, ma anche e soprattutto osservare il disabile, riconoscendolo come persona in evoluzione nella società. Ovviamente la teoria della Murdaca parte da una rilettura del termine HANDICAP. Con questo termine infatti, si va a definire la difficoltà che il disabile incontra nella società. L’handicap rappresenta l’ostacolo che si evidenzia ad una persona con deficit. Il problema dell’handicap quindi, come afferma A. M. Murdaca e lo stesso ICF, è strettamente collegato al contesto sociale. L’ambiente influenza in maniera elevata la vita degli individui. Infatti, un ambiente pronto ad essere tecnologizzato per le persone disabili, non può far altro che migliorare le condizioni di vita di queste ultime, sviluppando cosi anche le proprie abilità. Al contrario, un ambiente che non è pronto né tantomeno aperto alla disabilità, rende quest’ultima un vero problema. (barriere architettoniche)Questo porta i soggetti con disabilità ( che possono avere deficit motori o psicologici ) ad essere scoraggiati e a non credere più nelle loro capacità. Inoltre la persona con disabilità viene definita in base a 2 ambiti di valutazione che sono le proprie opinioni personali e le varie informazioni istituzionali. Per questo è facilmente riscontrabile la questione dei pregiudizi e degli stereotipi. Anche a lezione abbiamo notato che ci sono molti termini che , nonostante non ne conosciamo il vero significato ci incutono timore, ci allontanano. Questo è dovuto al fatto che ci spaventano parole che riteniamo “strane”, pericolose. Ad esempio, durante la lezione abbiamo notato le nostre impressioni su alcune parole come mostro, paraplegico, straniero. Come lo definisce Cartelli, lo stereotipo rappresenta una vera e propria difesa delle persone, che si sentono attaccate e impaurite da un immagine non gratificante, quella della disabilità appunto. Per questo, lo scopo della Murdaca è proprio quello di arrivare a una nuova cultura della disabilità. Per fare ciò bisogna partire dal concetto dell’INTEGRAZIONE. E’ importante capire che questo è un processo continuo e non un punto di arrivo. Per questo è importante cercare sempre nuove soluzioni per mantenere intatti i diritti di ciascun disabile. Per avviare questo processo di integrazione, è necessario quindi cercare di sviluppare sempre al meglio le abilità di ogni singolo individuo, in particolar modo del disabile. Per A. M. Murdaca non si deve ricordare un soggetto per ciò che non sa fare, o per ciò che non ha, ma al contrario bisogna ricordarlo per quello che è in grado di fare, per le capacità che ha di migliorarsi. A questo punto, strettamente collegato al miglioramento del disabile è sicuramente il tema della CURA, intesa come progressiva emancipazione di tutti i soggetti coinvolti nella relazione educativa. Quest’ultima infatti rappresenta l’aiuto e la comprensione umana, che servono alla persona con disabilità ad accettarsi e convivere con la sua particolarità. Nella relazione educativa quindi, ogni soggetto si avvicina all’altro, sempre però rispettando la sua distanza e differenza. Per questo è fondamentale comprendere che lo scopo della relazione educativa è quello di emancipare il soggetto con deficit. Per questo il compito dell’educatore non sarà solo quello di insegnare, attraverso una educazione classica, ma il suo compito sarà quello di far crescere il soggetto in tutte le sue dimensioni e specificità, ed è per questo che parliamo di Globalità. Allo stesso tempo, il compito dell’educatore è quello di essere sempre consapevole che ciascun individuo ha una propria specificità, quindi anche la relazione educativa dovrà essere personalizzata per ciascun soggetto. A questo punto, vorrei riproporre quanto detto a lezione proprio sulla relazione educativa. Dobbiamo ricordare che la relazione educativa ( che può avvenire in vari ambiti, da quello familiare a quello scolastico) si basa sul rispetto reciproco. Inoltre parlando di relazione educativa si parla di relazione non asimmetrica, cioè non deve esserci una figura più “importante” di un'altra. Questo perché ogni relazione porta ad una crescita sia dell’educatore, che dell’educando. Quindi attraverso la relazione educativa cresce chi riceve nuove conoscenze, perché nella relazione ogni individuo riceve qualcosa. Come ho detto in precedenza, il compito dell’educatore è quello di osservare ciascun individuo nella sua specificità, e quindi comprendere anche i motivi dei suoi atteggiamenti. Nella relazione educativa, è fondamentale anche il legame affettivo, l’umanità che permettono sicuramente di instaurare un rapporto più forte tra i soggetti. Vorrei infine ricordare che quando si parla di disabili, si parla di persone. Per questo apprezzo molto il lavoro di A. M. Murdaca e il suo intento, ovvero cercare di arrivare ad una nuova idea del disabile, visto non più come persona da escludere o emarginare, ma al contrario come una persona da integrare al massimo nella società, cercando di potenziare tutte le sue abilità.

    3) La società, l’ambiente esterno sono fattori molto importanti nella vita di un individuo. La società infatti permette agli individui di essere integrati/emarginati, ma permette anche di sviluppare delle ideologie che spesso vengono seguite dalla maggior parte della popolazione. Tra i temi più ricorrenti e seguiti negli ultimi anni, vi è sicuramente il tema della BELLEZZA! Tanti sono gli autori che trattano questa tematica, vista non in senso positivo, ma al contrario come ormai un vero e proprio problema della società. Una vera malattia. Tra gli autori ricordiamo sicuramente, Bruno Remaury, il quale ritiene che oggigiorno l’immagine della donna si confonde con quella della bellezza. Remaury infatti crede, che ormai è pensiero comune che la donna abbia il dovere di coltivare la propria bellezza. Anni fa, il ruolo della donna era quello di occuparsi della salute degli altri, della propria famiglia. Oggi quest’idea è totalmente cambiata, sino ad avere donne che si occupano ed interessano principalmente del loro stato di salute e bellezza. Anche alcune indagini confermano l’idea di Remaury. E’ stato dimostrato che persone considerate più attraenti, sono automaticamente considerate anche belle dentro. Come a dire, “chi è bello esteticamente avrà sicuramente altre qualità anche a livello caratteriale”. Ovviamente, sappiamo che questa è un assurdità, perché non è certo un viso più elegante, o un corpo più scolpito a rendere una persona più rispettabile di un’altra. Per questo si parla anche di Corpo-Macchina. Il corpo macchina rappresenta quel corpo, in continuo cambiamento, attraverso operazioni, nuove tecnologie, insomma un corpo in continua trasformazione. Anche a lezione abbiamo trattato di questa problematica, cosi vicina a noi. Principalmente abbiamo toccato il problema delle protesi estetiche. Spesso infatti, le protesi estetiche sono fin troppo utilizzate. Ci sono persone che trasformano continuamente il loro corpo, per raggiungere l’ideale di bellezza , di perfezione. Ma come sappiamo, la perfezione non esiste, specialmente quando si parla di persone, di individui e non di macchine. Remaury propone una nuova idea di corpo. Egli infatti introduce il CORPO LIBERATO, e cioè un corpo che si è appunto liberato dalla malattia, dal peso e dal tempo e quindi è un corpo SANO,MAGRO E GIOVANE. Questi sono i 3 obiettivi che spesso la società, attraverso anche i mass media , ci impone. Un altro autore che tratta di questa problematica è Gilles Lipovetsky. Nel suo libro “ la terza donna” egli tratta di una nuova figura femminile. Ritiene infatti che oggi la donna, abbia raggiunto la convinzione di essere padrona della propria immagine, delle sue scelte,insomma una donna libera. Al contrario però, per Lypovetsky, il limite sta proprio nel fatto che la donna non se ne rende conto, ma in realtà si identifica comunque in determinati modelli, imposti dalla società. Infine un’altra autrice che tocca questo tema è Rosy Braidotti. La Braidotti però, introduce un nuovo ideale di donna. Una donna che è trasgressiva, aperta alle novità e soprattutto alle nuove tecnologie. La Braidotti infatti, ritiene che il corpo è strettamente collegato alle nuove tecnologie, le quali portano alla modifica di tutte le pratiche a partire dalla pratica riproduttiva. La stessa Braidotti , parla anche di asimmetria tra sessi,sottolineando cosi il tema della differenza. La differenza che quindi accomuna tutti gli esseri umani, che sono considerati come mostruosi, come deformi rispetto alla normalità, che La Braidotti stessa definisce “grado zero della mostruosità”. Inoltre la Braidotti, anche nella maternità vede una duplice espressione. Essa infatti ritiene che il corpo femminile, nell’immaginario maschile rappresenta un qualcosa di orribile, di mostruoso, ma allo stesso tempo di meraviglioso e affascinante. Per la Braidotti quindi, anche la “normalità” indica mostruosità.
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    Messaggio  ida errico Gio Mag 10, 2012 2:02 pm

    1)Esistono molte disabilità, per questo motivo l’OMS, nel 1970, ha elaborato una prima classificazione (ICD), la quale comprende una spiegazione delle cause di tutte le malattie fornendone una descrizione clinica, tutte le diagnosi vengono tradotte in codici numerici, facilitando la memorizzazione, l’analisi e la ricerca, però questa classificazione risulta una sorta di enciclopedia medica, senza spiegare gli aspetti che circondano la disabilità. Infatti, si cerca un’altra soluzione, l’OMS crea l’ICIDH (una classificazione internazionale sulle disabilità e sugli handicap), la quale si basa su tre fattori: menomazione, disabilità e handicap, che saranno sostituiti da menomazione, abilità e partecipazione. Si tratta prima di menomazione, ovvero qualsiasi perdita di una funzione psicologia, fisiologica e anatomica, quest’ultima determina la disabilità, cioè l’incapacità di svolgere determinate attività considerate normali, infine si parla di handicap o svantaggio, esso è la difficoltà che la persona affronta nel vivere con gli altri, quindi il disagio sociale che deriva dalla disabilità. L’handicap è una condizione oggettiva può essere ridotta grazie al soggetto che la vive, infatti, esistono persone con disabilità che non si sentono tali e riescono a compiere qualsiasi attività superando ogni ostacolo (disabilità); ad esempio Simona Atzori, una donna che, grazie alla voglia di vivere è riuscita a fare realizzare i propri sogni e superare i limiti imposti dagli altri, poi un’altra persona che abbiamo avuto l’opportunità di conoscere è il prof. Palladino, nonostante sia non vedente è riuscito ad aiutare gli altri, a creare una famiglia, queste persone sono un grandissimo esempio di resilienza perché hanno fatto della loro mancanza un qualcosa in più, non si sono mai demoralizzate. Con questo voglio dire che l’handicap è generato dal soggetto e dal contesto che lo circonda.
    L’OMS pubblica un’altra classificazione (ICF), la quale propone una definizione della disabilità, considerandola uno stato di salute del soggetto, essa si fonda su tre fattori: funzioni, strutture corporee e attività, con lo scopo di valorizzare le capacità del soggetto. Si passa a questo tipo di modello, perché si ha, non solo un quadro funzionale della sindrome, ma si cerca di trovare delle soluzioni che aiutino il soggetto a vivere meglio. Infatti ,esiste la” checklist” che guarda la persona nella sua globalità, quindi quello che è o che non è in grado di fare, ma soprattutto i fattori contestuali. Il contesto influenza la vita dei disabili perché esistono quelle barriere architettoniche, come ad esempio la strada rotta, l’assenza di un ascensore, sembrano banalità, in realtà incidono negativamente sul disabile, limitandolo, isolandolo dalla società. Durante il corso abbiamo parlato della “domotica” è una nuova tecnologia che aiuta queste persone, facilitando molte attività, esistono tanti modi e tecniche per ovviare queste problematiche, ma la cosa fondamentale è la forza di volontà.
    Un aspetto da evidenziare è il senso di emarginazione che vivono i disabili che li rendono vulnerabili, sicuramente è anche colpa nostra, che tendiamo a dire delle cose senza pensare alle conseguenze. Ci sono parole che dette in modo sbagliato possono essere fraintese e ferire le persone.
    Per studiare pedagogia della disabilità bisogna conoscere la differenza tra disabile e diverso.
    Il termine disabile, spesso, viene utilizzato per tutti i soggetti che sono in difficoltà, che hanno dei problemi, in realtà il disabile è una persona impossibilitata a svolgere delle normali attività nella vita quotidiana considerate ovvie. Nei confronti della persona con disabilità si tende ad assumere uno sguardo di pietismo, perché si guardano le incapacità del soggetto e non le sue abilità. Spesso accade che i disabili vengono allontanati dalla società perché considerati diversi, ma non deve essere così, perché la diversità non esiste poiché è un’etichetta imposta dagli altri. Se ci si ferma a pensare … tutti siamo diversi, la diversità ci rende unici.
    Si è notato che il termine disabile sottolinea, solo ed esclusivamente, le incapacità del soggetto, per questo motivo è stato coniato il termine”diversamente abile”, per valorizzare le sue abilità. Lo scopo è di eliminare pregiudizi e stereotipi nella mente delle persone, quindi guardare i disabili per le loro abilità.

    2) Il testo “complessità della persona con disabilità” scritto da Anna Maria Murdaca, mira a diffondere una nuova prospettiva per i disabili,il suo obiettivo è farli integrare nella società, considerandoli delle persone e sottolineo persone a pieno titolo; ella non si limita a questo, ma riflette anche sulle modalità che consentono di realizzare questa nuova integrazione.
    La disabilità deve essere multilineare, plurisequenziale, deve analizzare il soggetto e il contesto, perché ciò che lo limita è il suo handicap, in altre parole la sua condizione di svantaggio che vive nella società.
    Le sue difficoltà sono legate alla mancanza di obiettivi, dall’impossibilità di confrontarsi con gli altri, spesso questi soggetti vivono in solitudine, ma hanno bisogno d’aiuto, inoltre sono persone dalle quali abbiamo molto da imparare.
    La Murdaca affronta, nel suo testo, un tema importante: l’integrazione, la quale è il primo passo per inserirsi in un gruppo o nella società.
    L’integrazione è un processo continuo, che per verificarsi deve esserci la voglia di conoscersi da entrambi le parti. Esso consente di superare ogni tipo di pregiudizio che si ha sull’altro, per il soggetto integrato può segnare una svolta alla propria vita, l’aumento dell’autostima e avere una maggiore fiducia in se stesso, insomma, l’integrazione può generare la speranza di vivere una vita migliore. Tutti i tipi di relazione si istaurano con un processo di integrazione, quindi dare importanza al soggetto che si ha di fronte, sembra un processo automatico , ma non è così perché prima deve esserci la volontà di aprirsi all’altro. Secondo l’autrice per integrazione si intende quel meccanismo che si dirige verso l’uniformità e la valorizzazione delle capacità individuali dei soggetti, in cui bisogna abbandonare l’idea di diversità, adottando l’ottica della globalità, come afferma l’autrice “ non bisogna definire nessuno per sottrazione”.
    La complessità della persona con disabilità è legata al contesto, per contesto si intende non solo quello fisico, ma anche quello in cui il disabile vive, quindi il contesto familiare, scolastico, lavorativo , extrascolastico ect.
    Le sue difficoltà dipendono dall’ambiente che lo circonda, ad esempio, il primo contesto che può aiutarlo, è la famiglia, la quale dovrebbe diminuire il pensiero che non si possa migliorare qualsiasi tipo di situazione; anche la scuola è un contesto importante, nel quale il soggetto può raggiungere un’indipendenza; in questo caso gli insegnanti dovrebbero adottare una nuova prospettiva, che guarda i soggetti disabili, non per le loro incapacità,ma al contrario. Per questo motivo si parla di “cura della persona”intesa come atto educativo che mira a far ritrovare un’ equilibrio nel soggetto. L’obiettivo è far accettare la propria condizione e convivere con essa, un modo per ottenere ciò è attraverso una serie di attività didattiche, che siano creative, grazie all’intervento di persone disponibili, perché questi soggetti richiedono attenzione, infatti, per costruire un’identità personale, c’è bisogno di luoghi rassicuranti e gli insegnanti devono fare in modo che il soggetto cresca in tutte le sue dimensioni.
    Per relazione educativa non si intende solo quella scolastica, ogni tipo di relazione è educativa perché si fonda sulla trasmissione reciproca dei saperi, di idee e sullo scambio di emozioni. Educare significa trasmettere un qualcosa, che una volta recepito il messaggio si compie un cambiamento. Le caratteristiche presenti in ogni relazione devono essere: il rispetto delle idee altrui e della persona che si ha davanti, l’ascolto reciproco e una comunicazione attiva.
    Con ciò l’educatore diventa un punto di riferimento, una guida, per questo motivo deve essere sempre presente, aperto a comprendere le difficoltà dell’altro senza giudicare, quindi creare un rapporto alla pari. Infine, potremmo dire che tutte le persone che incontriamo nella nostra vita hanno un ruolo, ci trasmettono qualcosa positivo o negativo che sia, quindi non bisogna mai, essere superficiali con chi abbiamo di fronte.

    3) Nel testo “gentil sesso debole” di Remaury, l’immagine della donna viene confusa con l’idea di bellezza, si pensa che la donna abbia il dovere di coltivarla. Ma non è detto che una donna per essere considerate tale debba essere bella e giovane questo è stato imposto dai mass media. Avere cura del proprio corpo non significa sottoporsi ad interventi chirurgici per apparire più bella e giovane, ma significa mantenere un corpo sano attraverso l’armonia tra il corpo e la mente. Nel testo, Remaury afferma che noi siamo orientate verso la perfezione, attraverso un triplice obiettivo:giovinezza-bellezza-salute. Le donne vivono l’età come una malattia, di conseguenza cercano di ringiovanirsi attraverso la chirurgia, vedono nella scienza l’unico modo per “curarsi”.
    Anche nel testo di Lipoversky, “la terza donna”, emerge che la donna mira a raggiungere la perfezione attraverso un corpo bello e giovane.
    E’ vero che la donna deve sentirsi serena e a proprio agio e quindi curare il suo aspetto fisico, però non deve diventare un ossessione, non esiste solo questo nella vita. Ci sono donne che vivono male con il proprio corpo, anche per colpa dei mass media che ci propongono solo una tipologia di donna, però questo può diventare un problema o una vera e propria malattia, sto parlando dell’anoressia. E’ una malattia che colpisce la mente, perché chi ne soffre ha un immagine mentale del proprio corpo diversa dalla realtà.
    Rosi Braidotti nel testo “madri mostri e macchina” si interroga sul come le donne si trasformano in qualcosa di mostruoso e si allontanano dal cosiddetto “grado zero di mostruosità” vale a dire dalla normalità. L’autrice fa l’esempio del corpo della donna durante la gravidanza, il quale cambia in pochissimo tempo e risulta qualcosa di mostruoso agli occhi degli uomini. La mostruosità rappresenta l’intermedio tra qualcosa di inquietante e attraente nello stesso momento. Ella, inoltre, si sofferma sul rapporto che le donne hanno con la chirurgia, quindi trasformano il loro corpo in una macchina.
    Noemi de Martino
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    Messaggio  Noemi de Martino Gio Mag 10, 2012 4:10 pm

    ESERCIZIO 1
    L'Organizzazione Mondiale sella Sanità (OMS), ha come obiettivo il raggiungimento da parte di tutte le popolazioni, il livello più alto possibile di salute, definita nella medesima costituzione come condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto come assenza di malattia o di infermità. Le due classificazioni che compongono la cosiddetta “Famiglia delle Classificazioni dell’OMS” sono “la classificazione internazionale delle malattie” (ICD) e, “la classificazione internazionale del funzionamento,della disabilità e della salute” (ICF).
    La prima classificazione elaborata dall’OMS è stata l’ICD nel 1970. Tale classificazione fornisce un aspetto eziologico della malattia, indagando sulle cause dei fenomeni delle patologia, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione clinica. Comportando l’avvicinamento della disabilità alle altre patologie cliniche, formando una sorta di enciclopedia medica.
    Per impedire tale problema l’OMS propone una nuova classificazione, messa a punto nel 1980, l’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps detta brevemente ICIDH. Questa nuova proposta si basa su tre fattori: la menomazione, la disabilità e handicap. Nascerà una maggiore attenzione alle capacità dal soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale, favorendo i vantaggi e non gli svantaggi, così da sostituire i tre fattori in: menomazione, abilità, partecipazione.
    L’organizzazione mondiale della sanità nel 2001 propone una definizione del concetto di disabilità multidimensionale e dalla portata innovativa rispetto le precedenti classificazioni, annunciando l’ICF “International Classification of Functioning, Disability and Health”. Quest’ultimo non si limita a classificare malattie, disturbi o traumi (che sono d’interessa dell’ICD), in aggiunta si concentra sulle conseguenze associate alle condizioni di salute, permette quindi di evidenziare come le persone affette da una patologia convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinché possano condurre un’esistenza serena. Adottando l’ICF si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa, dato che la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. I tre fattori provenienti dalla classificazione precedente (menomazione, disabilità, handicap) vengono sostituiti da: funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione, favorendo una maggiore attenzione alle capacità della persona e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. Vengono dunque presi in considerazione non solo gli aspetti medici legati alla presenza di una condizione di salute ma anche gli aspetti sociali conseguenti alla condizione di salute, tenendo in considerazione soprattutto il contesto in cui la persona vive. L’ICF non riguarda solo un gruppo di persone ma chiunque viva una condizione di salute in un ambiente che lo ostacola.
    Abbiamo non poche conoscenze e informazioni in materia di “ambienti che ostacolano”, basta rivolgere lo sguardo al contesto che ci circonda. Gli ambienti che ostacolano partono da una difficoltà materiale e pratica che la società sottopone ai disabili, ovvero le barriere architettoniche, approdando verso un deficit di pensiero, pregiudizi e stereotipi che un disabile deve sentirsi attribuire. Come ho già scritto in un commento precedente, è la società che influisce sulle piaghe di un disabile, rendiamoci conto come una vita senza difficoltà per un disabile che possiede già un disagio, sia quasi impossibile se la società e il contesto non muta, non cambia dalle radici. Il problema si trova proprio nel “renderci conto”, il fatto è che la maggior parte delle persone non si rende conto affatto di quello che accade a queste persone, è questa indifferenza che grava sul contesto e di conseguenza ostacola chi invece ha bisogno di aiuto. Codesta indifferenza è dovuta alla troppa superficialità, dovuta al fatto che al giorno d’oggi diamo tutto troppo per scontato, ed è qui che approdiamo verso un deficit del pensiero. Il pensiero ci fornisce le istruzioni per adoperare le parole, come ci suggerisce Canevaro “la scelta delle parole va fatta con ponderazione, sono molto importanti, non tanto per un presupposto armonioso o formale ma per quanto contengono in quanto simboli.” Le parole se adoperate in malo modo possono generare discriminazioni che conducono esclusivamente alla emarginazione ed esclusione. Nel caso di persone comuni l’emarginazione dura brevi momenti e non lascia un segno indelebile nella vita, mentre per chi ha un disagio o una particolare difficoltà aggrava ancor di più la situazione e diventa indelebile.
    Deficit, disabilità, handicap, menomazione sono termini tra loro interagenti ed indipendenti, che in realtà vengono confusi tra loro, per di più vengono racchiusi sotto un unico marchio “diversità” o “disabilità” e il più delle volte questi termini coincidono. Per questo occorre una riflessione sulle parole diversità e disabilità. Per disabile si intende una persona che è impossibilitata a svolgere normali attività della vita quotidiana, un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive, una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità oppure dal diverso funzionamento di una o più abilità. La diversità invece, in qualsiasi forma si manifesta, porta alla categorizzazione, diverso è colui che si distacca per forma o contenuto da tutto ciò che è definito normale, di solito non si sceglie di esserlo ma si vieni etichettati dalla società a nostro malgrado. Quando la diversità incontra la disabilità (e non solo) avviene una sorta di discriminazione nei confronti dei disabili. Come ho scritto in separata sede tutti noi siamo diversi, partendo anche dalla più banale delle ipotesi quale il colore dei capelli degli occhi ecc… la diversità può essere dovuta anche alle esperienze che facciamo, grazie le quali, ci fanno rendere diversi dal prima e dal dopo. Ma il termine diverso deve essere pensato in relazione alla domanda “diverso da chi?”, “diverso da cosa?”. Convenzionalmente il diverso è colui che si allontana da qualcosa e questo qualcosa non è definibile perché ha più di mille volti. Ma, come mai il peso del termine diverso cambia da circostanze a circostanze? Perché il diverso visto come disabile ha un peso maggiore? Dobbiamo avere in primis il coraggio della novità, dobbiamo aprire la mente dai vincoli e dai limiti aprire gli occhi e scoprire che ognuno è unico e irripetibile esattamente come tutti gli altri, allontanando pregiudizi e stereotipi. Quindi non bisogna attribuire valenza o peso al termine "diverso" perché tutti noi siamo diversi, magari se proprio dobbiamo dare peso a qualcosa proporrei di attribuire valenza agli aspetti che accomunano le persone, gli aspetti che ci rendono uguali e non diversi.

    ESERCIZIO 2
    Nel testo Complessità della persona con disabilità Anna Maria Murdaca mira alla rimodulazione del termine integrazione, la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità.
    La logica che guida il suo lavoro è sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione e colta nella sua dimensione olistica. Da un lato una simile cultura impone necessariamente un'ottica progettuale e flessibile, articolata su livelli teorico-operativi e sulla continua modificabilità del soggetto, da cogliere nella sua prospettiva biografica; dall'altro necessita di un ripensamento dell'integrazione, intesa, sulla falsariga delle teorie psicoanalitiche, come "spazio riparativo" dove il disabile può sperimentare con gli educatori e gli insegnanti una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nel qui e ora della relazione educativa. L'integrazione diviene così costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, i mezzi per costruire la propria identità, prerequisito fondamentale per il raggiungimento dell'autonomia. D’altronde la vera novità è che non si mira all’accudimento ma all’emancipazione del soggetto con disabilità che fa parte del percorso di maturazione che vuole portare il disabile verso lo sviluppo della proprio identità, della propria autostima. Inoltre l’ambiente gioca un ruolo cardine in questo processo, (come abbiamo esposto precedentemente) è inteso come fattore determinante per un disabile, può essere una barriera o un facilitatore. La ricerca attraverso la tecnologia può produrre soluzioni che migliorano l’ambiente diminuendo la disabilità, ponendo come esempio la domotica. Lo scopo finale, dunque, è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere. Perché ciò sia possibile è però necessario un lavoro integrato in grado di coniugare l'aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, assicurando iniziative di vera promozione personale e sociale. Riscontro molto di Maria Montessori in Anna Maria Murdaca soprattutto quando spiega che l'integrazione diviene costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, e i mezzi per costruire la propria identità, prerequisito fondamentale per il raggiungimento dell'autonomia.
    Secondo Maria Montessori la questione dei bambini con gravi deficit si doveva risolvere con procedimenti educativi e non con trattamenti medici. Per Maria Montessori i consueti metodi pedagogici erano irrazionali perché reprimevano sostanzialmente le potenzialità del bambino invece di aiutarle e farle emergere ed in seguito sviluppare. Ecco quindi l'educazione dei sensi come momento preparatorio per lo sviluppo dell'intelligenza, perchè l'educazione del bambino, allo stesso modo di quella del portatore di handicap o di deficit, deve far leva sulla sensibilità in quanto la psiche dell'uno e dell'altro è tutta sensibilità. Il materiale Montessori educa il bambino all'autocorrezione dell'errore da parte del bambino stesso ed anche al controllo dell'errore senza che la maestra (o direttrice) debba intervenire per correggere. Il bambino è libero nella scelta del materiale con il quale vuole esercitarsi quindi tutto deve scaturire dall'interesse spontaneo del bambino. Ecco quindi che l'educazione diviene un processo di auto-educazione ed auto-controllo. Come sostiene Anna Maria Murdaca non basta soltanto un educazione classica, ma l’idea della fantasia ermeneutica dell’educatore che consentirà la crescita della persona, ogni disabile ha la sua storia, e i vissuti intrapsichici elaborati, proiettati e negoziati consentono all’operatore di progettare delle opportunità educative offerte al disabile, affinché egli stesso ripensi al proprio stato e alle proprie capacità in modo da eliminare blocchi e disagi scoprendo forze resilienti capaci di superare le difficoltà insite nella personalità. Anche il modello dell’educatore montessoriano è simile; se lo spontaneo processo di autoapprendimento del bambino deve essere aiutato e rispettato, l'azione dell'insegnante perde il carattere di centralità, sia come soggetto di “docenza” che come soggetto di controllo. Egli non impone, né dispone, né impedisce, ma propone, predispone, stimola ed orienta, e soprattutto egli stesso si esercita nella capacità di osservazione dei bambini e delle interazioni tra essi e l'ambiente, è sempre aperto a nuove e sorprendenti novità, con il rispetto dei tempi e ritmi di apprendimento sempre collegato alle differenze e alle variabili individuali, rispetta le libere scelte del bambino quale presupposto di un ambiente psico-sociale calmo, tranquillo, pacifico, e la misura dell'intervento diretto è limitato all'essenziale e al necessario affinché non sia disturbato il lavoro individuale, si esercita nella preparazione attenta delle attività in vista del lavoro autoeducativo del bambino, e il ricorso alla didattica della lezione collettiva solo nelle occasioni necessarie e con quel carattere di “grandiosità” e “solennità”. Attraverso le tematiche proposte dal testo Complessità della persona con disabilità possiamo pensare in modo nuovo ad una relazione educativa, e ri-pensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità, i quali, non sono soggetti passivi di pietismo ma altrettanto responsabili di questa relazione. Le politiche inclusive devono lavorare su cosa si deve ancora fare, quanto si può ancora fare nonostante, quanto non si fa. Si pensa ad un comunità sociale che superi i limiti di una società che trascura spesso i soggetti disabili, e tutto ciò deve avvenire con attenzione alla persona, sollecitando la socializzazione, la globalizzazione e l’integrazione.

    ESERZICIO 3
    Remaury, Lipovetsky e Braidotti: tre donne che riflettono sulla cultura dell’immagine nelle donne che si confonde con quella della bellezza, che nella società mass-mediologica è di primaria importanza nella scala dei valori.
    Basandosi sull’osservazione delle immagini della donna di una volta e di oggi, Remaury risponde alla questione essenziale della specificità femminile e tenta di denunciare il carattere alienante dei discorsi sul corpo della donna. L’intento delle riflessioni si Remaury (nel libro Il gentil sesso debole) quello di “smontare” il dispositivo che ingiunge alla donna di perfezionare incessantemente la propria bellezza e la propria salute, per riuscire a portare alla luce tutto ciò che contribuisce a rafforzare questo rapporto di soggezione che fa dell'individuo uno schiavo del proprio corpo. Secondo me la bellezza che propongono i mass-media non esiste, perché il loro modello di bellezza è uguale a perfezione, e la perfezione non è una cosa che ci appartiene: ogni cosa, anche le persone, hanno un difetto, che può rendere "meno bello" il soggetto di discussione. Quindi la bellezza che propone la nostra società, a parer mio, è un tentativo mal riuscito per raggiungere la perfezione.
    Lipovetsky propone nell’arco della storia tre donne (dal libro La terza donna). La prima donna: svalutata, sfruttata, demonizzata. Poi la seconda: l'icona, l'ideale di virtù, la Beatrice. Ventunesimo secolo: è l'era della terza donna. Racchiude in sé le due precedenti, ma le supera in una nuova accezione: quella di donna indefinita. Lipovetsky approda verso una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull’acquisizione di grazie. Lipovetsky mi fa riflettere su un immagine di bellezza che va oltre il corpo oltre l’estetica, perché la grazia è una qualità che riguarda la totalità della persona, infatti la terza donna che propone è una donna che racchiude le due precedenti, è una donna completa.
    Rosi Braidotti ( in Madri, mostri e macchine) analizza il corpo femminile, a volte confuso, nella post-modernità. Ci riconduce alla storia delle ideologie, dei tabù e delle metamorfosi che a tali contraddizioni fanno da sfondo. Occorre dunque ripensare alla relazione antica, complessa e multiforme che c'è tra le madri, i mostri e le macchine, relazione che passa per il corpo ma anche per la sua rappresentazione simbolica. Andrej Tarkovskij sostiene che nessuno sa cosa sia la bellezza, l’idea che la gente si fa della bellezza, il concetto stesso di bellezza, mutano nel corso della storia assieme alle pretese filosofiche e al semplice sviluppo dell’uomo nel corso della sua vita personale. Questo lo spinge a pensare che la bellezza sia simbolo di qualcos’altro. La bellezza è simbolo di verità. Quindi secondo il mio punto di vista la bellezza non può essere soggettiva poiché essa è una verità e la verità non è relativa ad ogni persona, noi non facciamo la verità, ma viviamo in essa. Spesso noi diciamo che una cosa è bella o parliamo di bellezza facendo riferimento al nostro gusto personale, ma una cosa può non piacermi ed essere allo stesso tempo bella per me. La bellezza è una qualità positiva che si avverte, ma non si vede attraverso i sensi. Una cosa ha bellezza (secondo me) solo se possiede le stesse caratteristiche dell'arte (rara,unica,preziosa).
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    Messaggio  valeria ottaviano Gio Mag 10, 2012 4:32 pm

    Esercizio 1 .
    L’organizzazione mondiale della sanità, l’OMS, ha elaborato varie classificazioni delle malattie.
    La prima classificazione risale al 1970 circa e fu l’ICD , focalizzata sull’aspetto eziologico della malattia, le diagnosi venivano tradotte in codici numerici per facilitare la memorizzazione e l’analisi dei dati. Questa classificazione avvicina quindi la disabilità alle patologie cliniche.
    Nel 1980 l’OMS elaborò un'altra classificazione l’ICIDH sviluppata su tre fattori collegati tra loro 1) menomazione 2) disabilità e 3) handicap . termini tramutati poi in menomazione abilità e partecipazione per far sì che l’attenzione si focalizzi sulle abilità del soggetto con disabilità non sulle sue disabilità, e per far aumentare le sue capacità e possibilità di coinvolgimento sociale.
    La menomazione è una perdita o anomalia organica /funzionale di un settore specifico del nostro corpo . assenza o cattivo funzionamento per esempio di un arto.
    La disabilità è la limitazione o la perdita parziale/totale della capacità di svolgere una funzione .
    L’handicap è la difficoltà che la persona con disabilità ha ad affrontare il confronto con gli altri nella vita di tutti i giorni. È quindi un disagio sociale.
    Nel 2001 l’OMS elabora la terza classificazione che è l’ICF che considera la disabilità come condizione di malessere derivata da un contesto sfavorevole. Quindi dalla disabilità come condizione individuale soggettiva legata solo alla persona con disabilità con l’ICF diventa una condizione sociale . il benessere della persona con disabilità si afferma quindi frutto del contesto sociale in cui vive, nella città in cui svolge la propria vita che non deve presentare barriere architettoniche ovvero quegli ostacoli fisici presenti nella strada come cunette, dislivelli, gradini, scale, mancanza di scivoli, che non permettono ad un soggetto con disabilità di svolgere la giornata come tutti i normodotati ( laboratorio orologio/barriere architettoniche ). Queste barriere architettoniche sono però presenti ancora in molte città rendendo difficile la vita di queste persone. L’ICF dai tre termini partecipazione disabilità ed handicap passa a tre termini come funzioni, strutture corporee e attività/partecipazione per render ancor di più il senso di sviluppo delle diverse abilità dei soggetti con disabilità per il loro completo coinvolgimento in società.
    Spesso utilizziamo i termini disabile e diverso come sinonimi ma tali non sono , anzi. Disabile è colui che ha una limitazione o una perdita totale/parziale della capacità a svolgere una funzione . il disabile non è il diverso. Tutti siamo diversi ma non tutti siamo disabili , ognuno è diverso dall’altro per svariati caratteri come il colore dei capelli , degli occhi, ecc.. ma proprio perché siamo diversi siamo unici ed irripetibili. È la nostra mente che etichetta un soggetto come diverso solo perché non ha un carattere noto e comune tra la massa. È la nostra mente che considera l’altro diverso se non rientra in uno dei nostri stereotipi, ovvero dei nostri schemi mentali in cui i soggetti son legati tra loro per la condivisione di una o più caratteristiche. Oggi più che mai nella società moderna chi non risponde ai modelli presentati e inculcati dai mass media e che tutta la società condivide è considerato diverso e subisce il processo di emarginazione, vien messo ai margini della società proprio perché considerato diverso (laboratorio sindaco/emarginazione).

    Esercizio 2.
    Anna Maria Murdaca nel suo testo “complessità della persona e disabilità” mira a :
    - Ricostruzione di una nuova cultura della disabilità.
    - Rimodulazione del termine integrazione.
    - Comprendere le condizioni reali di vita delle persone con disabilità per creare loro dei progetti di vita e una nuova relazione educativa.
    Secondo Murdaca bisogna dirigersi verso l’inclusione adottando l’ottica della globalità.
    -La nuova cultura della disabilità deve essere attenta a cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive e a innalzare la qualità di vita dei soggetti. Sollecitando lo sviluppo dei soggetti per la loro emancipazione ed indipendenza , rendendoli soggetti attivi in ogni ambito e non più passivi perché impossibilitati.
    - la rimodulazione del termine integrazione : integrazione come processo continuo di ricerca di soluzioni per valorizzare al meglio le dotazioni individuali. Passaggio dall’accudimento della persona con disabilità alla sua totale emancipazione/ indipendenza. Integrazione come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica : guardare alla globalità della persona , l’insieme. Persona che non può essere scomposta in funzioni. Integrazione come condivisione di valori etivi che tengono conto del rapporto – autonomia ,identità, potenzialità personali.
    -elaborazione di una nuova relazione educativa considerata come spazio riparativo in cui il soggetto fa esperienze , sperimenta situazioni e vissuti che dopo esser elaborati integra nella relazione educativa. Ogni relazione è educativa se portatrice di significati e valori. Se vi è uno scambio di idee e nozioni reciproco tra i due interlocutori, se hanno un rapporto alla pari all’insegna del rispetto , del confronto, della stabilità e del dialogo. Vari sono gli esempi di relazioni educative; tra le più comuni ricordiamo la prima relazione educativa che tutti viviamo che è quella tra madre e figlio, poi tra insegnate e allievo e in tema anche quella tra educatore ed educando ( in questo caso persona con disabilità). In quest’ultima l’educatore deve portare il soggetto alle pari opportunità dei normodotati attraverso specifici percorsi formativi facendo emergere e sviluppando le potenzialità del soggetto non le sue mancanze.

    Esercizio 3.
    Come discusso in aula esistono delle protesi considerate estetiche, utilizzate molto oggi per migliorare il nostro corpo. La Braidotti affronta il tema del corpo mostro . Secondo ella la normalità è il grado 0 della mostruosità, normalità tra bellezza e mostruosità. La teratologia è la scienza che studia la mostruosità per comprendere la normalità. Rosa Braidotti parla anche del tecno corpo di un corpo incarnato interconnesso a elementi tecnologici per estenderne le capacità (corpo in divenire = postumano , oltre l’umano) . Secondo Remaury siamo tutti orientati in una corsa alla perfezione facendo quindi ricorso alle protesi estetiche col triplice obiettivo giovinezza- bellezza- salute. Anche Lipovetsky afferma ciò in quanto parla del corpo liberato cioè perfetto se libero dalla malattia quindi sano, dal peso quindi magro, dal tempo quindi giovane. condivido l’opinione di questi studiosi che hanno affermato proprio ciò che avviene oggi, la corsa alla perfezione = giovani, magri e sani sottomettendo il corpo a continue trasformazioni!!!
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    Messaggio  erica caputo Gio Mag 10, 2012 5:16 pm

    La classificazione ICD ( International Classification of Diseases) è la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, un’ enciclopedia delle malattie stilata dall’ Organizzazione mondiale della sanità: OMS. La prima classificazione dell’ Oms degli anni ’70 rispondeva all’ esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo ad ogni sindrome un disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche.Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’ analisi dei dati. Negli anni ’80 ICIDH ( International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps) avvia una nuova classificazione basata su tre fattori tra loro interagenti e interdipendenti: la menomazione, la disabilità e lo svantaggio che vengono sostituiti con la menomazione , abilità e partecipazione dove vi è maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. La menomazione è qualsiasi perdita a causa di una struttura psicologica, fisiologica. Caratteristiche della menomazione sono perdite mentali o anormalità. Mentre nel 2001 si passa al ICF che sta per “Classificazione Internazionale del Funzionamento delle Disabilità e della Salute” riconosciuto da 191 Paesi come il nuovo strumento per descrivere e misurare la salute e la disabilità delle popolazioni. Secondo questa la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. È una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati, riguarda anche la classificazione in un ambiente che ostacola la salute e sostiene che la persona è la risultanza delle interazioni tra diversi settori. Prospettiva unitaria o globale es: non si parla più di sordo ma di un deficit della sordità che può nascere l’ handicap se le risorse dell’ ambiente pongono il soggetto in una condizione di svantaggio. L’ individuo svantaggiato non deve essere identificato con il suo deficit ma a pari dignità in quanto persona. I termini sono: menomazione, disabilità e handicap che vengono sostituiti con: funzioni, strutture corporee e attività e partecipazione con l’ intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. L’ ICF non classifica solo condizione di salute, malattie disordini o traumi, che sono d’ interesse dell’ ICD bensì le conseguenze associate alle condizioni di salute e gli stati di salute ad essa correlati e pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia permette quindi di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinchè possano contare su un’ esistenza produttiva e serena. L’ ICF è stata introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica, seppure importanti, non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro di fare e quali sono invece le attività nelle quali ha difficoltà. La disabilità è l’ incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo e nell’ ampiezza considerati “normali” per un individuo. Non è solo un deficit (mancanza, privazione) ma una condizione che va oltre la limitazione, è la condizione personale di chi, in seguito ad una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale. Come dice A. Canevaro “ Nelle parole è conteso il modello operativo a cui si fa riferimento”. Dobbiamo dar peso alle parole. Quindi quando si parla di un diverso non dobbiamo pensare allo straniero, all’ handicappato o al disabile. Viviamo, pensiamo, sogniamo allo stesso modo. Il disabile è una persona, un cittadino, che purtroppo non riesce a compiere delle semplici mansioni, difficili per loro e lo abbiamo visto facendo il laboratorio dell’ orologio. Dove per un paraplegico è complicato anche solo uscire di casa e fare la spesa. Devono essere partecipi alla società e quindi dobbiamo pensare agli spazi. Non bisogna dare niente per scontato e non escludendo nessuno. Come ad esempio il laboratorio della città, prova condotta dalla professoressa dove le ragazze con gli occhiali erano state allontanate dalla festa immaginaria organizzata dal sindaco. Le persone rifiutate si sentivano impotenti, non potevano fare nulla, un grandissimo disagio che una persona può subire. I veri limiti esistono in chi li guarda.Il testo “ Complessità della persone e disabilità” di Murdaca mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione alla comprensione delle reali condizioni di vita. Secondo l’ autrice bisogna adottare l’ ottica della globalità. L’obbiettivo primario che si pone il presente lavoro è sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione. Vi è la necessità di un ripensamento sull’ integrazione che diviene così costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, i mezzi per costruire la propria identità, prerequisito fondamentale per il raggiungimento dell'autonomia. Lo scopo finale, dunque, è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere. Perché ciò sia possibile è però necessario un lavoro integrato in grado di coniugare l'aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, assicurando iniziative di vera promozione personale e sociale. L’ integrazione è un processo continuo non un punto di arrivo, una ricerca continua di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili. È intesa come “ astratta normalità” ma nel parlare di integrazione non ci si può più far riferimento. Con l’ integrazione ne deriva la relazione educativa che avviene tra una madre e un figlio, docente e discendente, educatore e educando. Il ogni relazione ogni individuo riceve qualcosa. È un legame che crea il reale apprendimento, un prendere e un dare, dove vi avviene la perfetta formazione dell’ educando. È il confronto tra due persone basato sul rispetto e parità. Infatti quando un soggetto è in difficoltà si cerca di capire i fattori che spingono una persona a comportarsi in un modo magari non accettato dalla società. Anche in aula abbiamo costruito un setting educativo dove vi era una formazione bilaterale, scambio di emozioni, un dialogo, un incontro, uno scambio di idee, senza creare dislivelli, tra due o più persone.
    Secondo Remaury analizzando il suo testo “ Il gentil sesso debole” la cultura dell’ immagine della donna si confonde con quella della bellezza. Nelle rappresentazioni della femminilità la bellezza è associata all’ idea che la donna abbia il dovere di coltivarla. Il suo miglioramento fisico ed estetico è l’ adempimento dei suoi bisogni, ma questi, a loro volta, sono stati suggeriti e imposti dalla stessa società. Remaury dice ancora che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza, bellezza, salute. Concordo in pieno infatti la chirurgia estetica ormai è imposta dalla società, vediamo tutti corpi trasformati e ovviamente mostruosi. Mentre Lipovetsky nel suo libro “ La terza donna” ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull’ apparente acquisizione di grazia. La Teoria della maturità positiva della donna la fa venire fuori come colei che controlla e gestisce la propria immagine all’ interno della variegata offerta di modelli sociali, tra i quali sembra poter scegliere quello che le è più congeniale. Invece la Braidotti si oppone alla inflazione discorsiva intorno alla materia corporea. La Braidotti critica il “ Divenire donna” di Deleuze secondo la prospettiva di quest’ ultimo il divenire donna è semplicemente il divenire altro, non riguarda le donne. Secondo la Braidotti è solo il segno della trasformazione in atto e consiglia la asimmetria tra i sessi, riappropriandosi il pensiero della differenza.
    Lucia Casaburo
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    Messaggio  Lucia Casaburo Gio Mag 10, 2012 7:05 pm

    La scelta delle parole da utilizzare nel campo della “disabilità” sono molto importanti, poiché potrebbero aumentare l’handicap anziché ridurlo. Come sostiene Canevaro, non si deve far confusione tra deficit, disabilità, e handicap. La disabilità non è solo deficit, ma è una condizione che va oltre la limitazione, che supera le barriere architettoniche.
    L’OMS (organizzazione mondiale della sanità) ha elaborato una serie di classificazioni.
    ICD = ( classificazione Internazionale delle malattie).Sorta nel 1970 , coglie la causa delle patologie fornendo per ogni sindrome e disturbo, una descrizione delle caratteristiche cliniche. Focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia e le diagnosi vengono tradotte in codici numerici, che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.
    Con il passar del tempo, l’OMS nel 1980, propone una nuova classificazione internazionale, detta brevemente ICIDH, che si basa su 3 fattori:
    Menomazione= è una qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica,fisiologica o anatomica. Queste anormalità possono essere transitorie o permanenti a carico di arti, tessuti,o altre strutture del corpo. La menomazione non è altro che un danno organico o funzionale , che comporta una mancanza come “non esistenza” o un cattivo “funzionamento di un arto o una parte del corpo”. Essa può essere temporanea, accidentale (in seguito ad un incidente), degenerativa(che può portare ad una disabilità).
    Disabilità = si intende per disabilità, qualsiasi limitazione o perdita, conseguente a menomazione,della capacità di compiere un’attività nel modo considerato normale per un essere umano. In una prospettiva più ampia si intende una qualsiasi restrizione o carenza della capacità di svolgere un’attività ritenuti normali per un essere umano. E’ l’incapacità, conseguente alla menomazione, di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti. La disabilità non è solo un deficit, una mancanza a livello organico, ma è una condizione che va oltre i limiti, oltre le barriere architettoniche.
    Handicap = rappresenta il momento in cui menomazione e disabilità causano una difformità. L’handicap è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto con gli altri, la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione. Il termine Handicap è traducibile in italiano con il termine“svantaggio”. Nel linguaggio comune, handicap e deficit , vengono assimilati, ma ciò porta a due gravi conseguenze:1) considerare l’handicap come un problema solo di chi ha qualche deficit;2)pensare che coloro che hanno qualche deficit, non siano uomini come tutti gli altri.
    Solo nel 2001, dopo l’ICD e ICIDH, l’OMS (organizzazione mondiale della sanità) propone una nuova definizione del concetto di disabilità multidimensionale con la nuova ‘’classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute’’, detta brevemente: ICF.
    Secondo l’ ICF ,La disabilità è una condizione di salute derivata dal contesto sfavorevole.
    L’ICF, non classifica solo le condizioni di salute, malattie, disordini o traumi, bensì le conseguenze associate alle condizioni di salute; Ponendo come centrale la vita delle persone affette da patologie, evidenziando come convivono con la loro condizione.
    Il passaggio dall’ ICD all’ICF, è avvenuto perché le informazioni che venivano date dalle diagnosi mediche , non erano giudicate sufficienti per avere un reale quadro funzionale della persona, dunque per capire ciò che era in grado di fare e non.
    Tale classificazione è ideata per qualsiasi fascia di età, e rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario, perché adottandolo, ci si accerta delle condizioni di salute del disabile.
    A tal proposito si ritiene utile una riflessione sulle parole di disabile e diverso. Come ho già accennato nei mie interventi sul forum, spesso tutti noi tendiamo a confondere o unire i due termini e ad etichettare coloro che ai nostri occhi risultano ‘’diversi’’. Il disabile è colui che è impossibilitato a svolgere le normali attività della vita quotidiana, poiché affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive. Con questa affermazione posso collegarmi ad uno dei temi trattati in aula riguardante le ‘’barriere architettoniche’’. Per i normodotati, affrontare la vita quotidiana sembra una passeggiata, una qualcosa di semplice, facile e spontaneo, mentre ciò non accade per tutti coloro che noi chiamiamo disabili. E' assurdo pensare che ci troviamo nel 21 secolo e città/metropoli come la nostra, non mettano a disposizione i mezzi adeguati per permettere a TUTTI, di affrontare la quotidianità come un normodotato. Dunque ritengo che sia insensato che operazioni semplici come quello di attraversare la strada, usufruire dei trasporti pubblici o semplicemente salire le scale di casa, risultino complicate o spesso impossibili per un disabile.
    Il disabile ci fa paura perché è percepito da noi come ‘’diverso’’, quindi è concepito come ‘’non normale’’. Il concetto di normalità, è assolutamente relativo e soggettivo. Il diverso infatti, non è solo la persona affetta da menomazioni fisiche o psichiche, ma è un soggetto che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche non standardizzate. Il diverso di solito è colui che viene etichettato suo malgrado, dalla società omologata. Tutti coloro che vengono raggruppati nella categoria ‘’diverso’’, spesso e volentieri sono proprio quelli più emarginati ed isolati. Ciò avviene perché del diverso sia ha paura , non lo conosciamo e perché è distante da ciò che siamo noi. C’è da dire però che non tutti i soggetti definiti da noi come diverso e/o disabile, tendono all’emarginazione ed isolamento. Ci sono molte persone che nonostante la loro condizione riescono ad affrontare e superare le avversità della vita; Tale concetto lo possiamo racchiudere nel termine RESILIENZA , prendendo come punti di riferimento due giovani protagonisti delle nostre lezioni tenute in aula: OSCAR PISTORIUS E SIMONA ATZORI, i quali sono riusciti a superare ogni ‘’limite’’.

    2) Anna Maria Murdaca all’interno del suo testo ‘’COMPLESSITA’ DELLA PERSONA E DISABILITA’’ tratta di tematiche come: L’integrazione, la complessità della persona, la cura e la relazione educativa, la globalità della persone ecc…. il testo mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione e alla comprensione delle reali condizioni di vita dei soggetti disabili.
    Secondo l’autrice, bisogna dirigersi verso un’ottica della globalità, ovvero avere una nuova cultura e conoscenza della disabilità, centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione.. L’ambiente ha molta importanza nella vita degli individui. Col termine ambiente intendiamo: la società, gli individui, la famiglia, la scuola. Nel senso più ampio ,l’ambiente può essere una barriera o un facilitatore ed è inteso come fattore determinante nel definire la disabilità. Se parliamo di ambiente e persona disabile, dobbiamo parlare anche dell’integrazione del disabile in un determinato ambiente. L’integrazione è un processo continuo che valorizza al meglio le dotazioni individuali, ed una ricerca continua di soluzioni e strategie messe in atto per preservare i diritti acquisiti dei disabili. Dunque integrazione significa accoglienza verso diverse identità nel rispetto della sua distanza e differenza. Bisogna quindi, curare e integrare,la persona attraverso le relazioni educative. La relazione educativa attraversa una serie di tematiche:Relazione madre/figlio, dove non sempre il protagonista è il bambino, anzi a volte sono loro ad educare gli adulti. Relazione docente/discente, è un legame che produce apprendimento, rapporti sociali tra educatore ed educandi. Relazione mono-direzionale,che avviene tra due o più persone, e che a ricevere qualcosa non è solo chi ascolta, ma anche chi parla. Relazione educatore/educando,dove l’educatore deve far capire all’educando che non è inferiore anzi essi (l’educando) sono per l’educatore occasione di maturazione ed è essenziale il rispetto di entrambe le figure,per un arricchimento reciproco. L’educatore si trasforma come un esempio da seguire, una sorta di guida (il più grande insegnamento proviene dall’esempio).
    Per quanto riguarda la relazione educativa ad un disabile, l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione, e mettere in atto programmi specifici che facciano emergere le doti del disabile. Non bisogna mettere in risalto le sue mancanze, ma evidenziare le sue capacità, doti. Tutto ciò possibile attraverso la costruzione di una relazione, attraverso l’ascolto, rapporti educativi informali. La scuola , quindi, diventa l’ambiente dove entrano in gioco le nostre emozioni,la nostra esperienza di vita, il nostro vissuto.

    3) Il contesto sociale è un elemento determinante per la formazione degli ideali, delle convinzioni e delle aspettative degli adolescenti. I mass media, sono sempre più fondati sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità. Essi dunque, forniscono modelli estetici spesso irrealizzabili per la maggior parte della popolazione, diffondendo l’idea che un corpo femminile è bello solo se è magro e quello maschile è bello solo se è scolpito, giudicando il grasso brutto, è costante. Gli autori Remaury e Lipovetsky e Braidotti si sono interessati a queste tematica, in particolare alla loro esigenza di cambiare e di raggiungere l’ideale di bellezza. Secondo Remaury nella società mass-mediologica, la bellezza è associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla e dunque la responsabilità e la cura del corpo e della salute è sempre stata affidata alla donna. Inoltre secondo l’autore, le donne sono orientate e dirette verso una corsa della perfezione, avendo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Remaury ci parla inoltre del corpo trasfigurato e liberato. Il corpo trasfigurato è legato all’immagine della perfezione corporea; il corpo liberato indica una liberazione non solo dalle malattie ma anche dal tempo e dal peso.
    La liberazione della ‘’ terza donna’’ di Lipovetsky invece, nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati, per cui è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto. Essa può e deve scegliere tra valori come l’eterna giovinezza, perfetta bellezza e salute totale. Anche la Braidotti in MADRI, MOSTRI E MACCHINE, si oppone alla stereotipizzazione della materia corporea, proponendo invece di ripensare al rapporto corpo-mente. Nell’immaginario occidentale collettivo, i mostri erano rappresentati come figure cibernetiche avverse. Il corpo gradivo della donna e quello mostruoso si amalgamavano nell’immaginazione maschile in una prospettiva dell’orribile e del meraviglioso. In Braidotti ritroviamo il tema del corpo macchina che di certo non dà alle donne la certezza di uscirne vincitrici. E’ lo stesso discorso che abbiamo affrontato in classe con le protesi estetiche. La tecnologia spesso viene usata per migliorare il proprio corpo, ed il suo fine è dettato da motivazioni estetiche. Tale desiderio di ricorrere alla tecnologia, è la conseguenza di un ''disprezzo del proprio corpo'', che a mio avviso, è stato ingigantito dai mass media, che al giorno d'oggi propongono come modello femminile perfetto, donne che portino la taglia 40,una 5°di reggiseno,con labbra carnose ecc....e dunque conseguenza di ciò è che il corpo femminile subisce continue manipolazione atte alla modifica del corpo, solo ed esclusivamente per rispondere ai dettami della società e della moda. Ritengo che sia opportuno rivolgersi ad un chirurgo plastico solo in casi necessari per porre rimedio ad una mancanza e non per semplice gusto/vizio estetico.





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    Messaggio  veronicagiordano Gio Mag 10, 2012 8:45 pm

    Prima di parlare di disabilita e’importantissimo chiarire e fare un analisi ponderata sulla scelta delle parole. A tale proposito la prima classificazione elaborata dall’oms e’ l’ICD classificazione internazionale della malattia del 1970 che indica International classification of diseases. Come si evince dalla stessa dicitura della classifica l’attenzione viene puntata sulla parola diseases, ovvero sul concetto di malattia,lo strumento classificatorio tende infatti ad individuare le cause della patologia,formando per ognuno di essa una descrizione delle caratteristiche cliniche e limitandosi a tradurre i dati raccolti dall’analisi in codici numerici. L’ICD rileva ben presto vari limiti al punto da spingere l’oms ad elaborare un nuovo manuale di classificazione piu’ attento alle diverse componenti ambientali del soggetto che vive una specifica patologia. Gia nel 1980 l’oms definiva distinguere e classificare handicap, disabilità e menomazione con l’icidh appare chiaro fin dalle sue prime analisi che l’attenzione di questo nuovo strumento di classificazione si focalizza non più sul concetto di malattia, bensì su quelli di menomazione, disabilità e handicap. Si intende per MENOMAZIONE qualsiasi perdita o anomalia a carico di una struttura o di funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche, alterazioni transitorie o permanenti. Si intende per DISABILITA’ qualsiasi descrizione o carenza delle capacità di svolgere un’attività nel modo o nei limiti ritenuti normali per un essere umano. Si intende per HANDICAP una condizione di svantaggio vissute da una determinata persona in conseguenza di una menomazione o disabilità che limita o impedisce la possibilità di ricoprire il ruolo normalmente proprio a quella persona. Appare evidente che l’espressione di menomazione, disabilità e handicap pur essendo tra di loro in relazione indicano condizioni diverse e non possono essere usate in modo genericamente interscambiabili. Nel 1997 l’oms ha riformulato l’icidh 1 in icidh 2 che si completa con la dimensione dei fattori contestuali che interagiscono con la persona, che determinano il livello e il grado di partecipazione all’ambiente (fattori ambientali e fattori sociali). Infine l’ICIF pubblicato dall’oms nel 2001, sta per classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute, la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Le indicazioni della classificazione sono chiare, quelle del non etichettamento della persona. L’icif non classifica solo condizioni di salute e malattia, disordini o traumi che sono di interesse dell’icid, bensì le conseguenze associate alle condizioni di salute e pone come centrale la qualità della vita della persone affetta da una patologia, permette quindi di evidenziare come convivono con le loro condizioni e come sia possibile migliorarle affinchè possano contare su un esistenza produttiva e serena. Ma purtroppo ancora oggi nel 2012 possiamo vedere come a causa di barriere architettoniche le persone con disabilità non possono avere una vita serena nonché autonoma e libera come tutte le persone normodotate, ed ancora oggi assistiamo a discriminazioni involontarie della nostra società. Il disabile spesso viene considerato come diverso, e del diverso spesso si ha paura, incute timore. Dobbiamo capire che la diversità è in ognuna di noi, ed è proprio che quella diversità ci rende unici.”Tutti siamo diversi, non tutti siamo disabili”. Tengo a fare una breve riflessione sulla tecnologia domotica, oggi utilizzata solo da chi ha fortuna di disponibilità economica, fortuna che dovrebbero avere tutti coloro che ne hanno bisogno, in questo caso persone con disabilità, a mio parere è loro diritto di avere possibilità di una vita nella maggior autonomia possibile. Per non parlare poi di altri tipi di barriere semplicissime come salire le scale, ma che ancora oggi come ieri limitano ulteriormente la vita delle persone. La classificazione ha dato oggi grande contributo ma impossibilitata di eliminare quell’echitettamento di cui parlavo, basti pensare alle mappe di stereotipi presenti all’interno della nostra società, facendo sentire queste persone sempre più emarginate.


    Annamaria Murdaca
    Nata a Bovolino il 30 luglio del 1952. Nel suo testo affronta i temi INTEGRAZIONE, RICOSTRUZIONE DI UNA NUOVA CULTURA DELLA DISABILITA’ E LA RIDEFINIZIONE DI UN PROGETTO DI VITA PER PERSONE CON DISABILITA’.
    E’ il contesto sociale dice ANNAMARIA MURDACA a determinare le condizioni di handicap, sono gli ostacoli e le barriere fisiche a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. In relazione al processo di esclusione ricordo il laboratorio svolto in aula del sindaco, tutti coloro che possedevano gli occhiali dovevano essere esclusi, in quel laboratorio ho capito anche se in minima, parte ciò che potessero trovare le persone che sono escluse ed etichettate dalla società. Io personalmente mi sono sentita una vera traditrice, perché anche avendo le lenti a contatto sono rimasta in città, nascondendo in questo caso il mio “limite”.
    E’ PIU’ FACILE SPEZZARE UN’ATOMO CHE UN PREGIUDIZIO. Secondo l’autrice bisogna abbandonare la logica dell’inserimento e dirigersi verso l’inclusione, adottando l’ottica della globalità. L’obiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto della differenza e delle identità. L’integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti acquisti dei disabili. Non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione senza perdere di umanità, perché si tratta di persone è si caratterizzano per capacità, non per quello che non sanno fare.
    Riguardo al concetto di CURA bisogna tener presente che il termine è intrinseco all’agire educativo, cura come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti, volta alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è, e per ciò che egli può diventare.
    La vera novità e che non si mira all’accudimento ma all’emancipazione dei soggetti con disabilità. Il disabile sperimenta con gli educatori, con gli insegnanti una serie di situazioni, di vissuti, emotivo-affettivo che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nel qui ed ora della relazione educativa. Rimodulare l’integrazione in prospettiva umanistica significa guardare alla globalità.
    La nuova politica socio-educativa consiste in integrazione, differenzazione, personalizzazione. L’obiettivo principale è quello di sviluppare indipendenza ed emancipazione nei soggetti disabili. Un’altro intento proposto dal testo è quello di pensare ad una società con vari spazi di formazione per i soggetti con disabilità i quali non sono soggetti passivi di pietismo, ma altrettanto responsabili di questa relazione “disabili come cittadini a pieno titolo”.
    E’ importante quindi stabilire una buona relazione educativa con la quale si intende qualsiasi relazione “madre-figlio”, “docente-discente”. Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile, l’educatore deve prendere in considerazione le diverse situazioni e mettere a tal proposito in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile.
    La relazione educativa si costruisce con l’altro e per l’altro e si dispone nella dimensione dell’essere per l’altro, si traduce in ascolto.
    A questo proposito farei una piccola riflessione sul laboratorio fatto in aula, laboratorio su una situazione con setting specifico di educatore/educante, la simulazione mi ha colpito molto riportandomi ad un altro corso seguito in questi mesi con il prof. Cuna. Laboratorio di counseling che come il corso di disabilità mi ha dato tante nozioni importanti per un futuro di educatrice “ascolto attivo, empatia, ed il considerare la persona che è al nostro fianco unica e irripetibile”.


    Remaury
    Parla di canoni di bellezza. Giovani, bella e sana, questa è l’immagine ideale della donna che propongono i media e la pubblicità. Queste le caratteristiche che il corpo femminile deve essere secondo i giornali, la televisione, la moda. Su questo canone estetico le donne dovrebbero costruire la propria identità. Secondo me la cura di sé conta sicuramente, ma solo ed esclusivamente per raggiungere un grado di benessere interiore. Ma purtroppo oggi la tecnologia prevale molto e influenza in maniera elevatissima i nostri modi di pensare ed i nostri modi di essere ed apparire.
    L’ipovetsky.
    Nel suo testo la terza donna mette da parte la sottomissione della donna stessa ai modelli che vengono imposti dalla società, ed elabora il suo cammino verso il corpo perfetto affermando che la terza donna (ossia la donna di oggi) è riuscita a raggiungere la bellezza perfetta. E’ qui sentirei di fare un accenno sulla chirurgia estetica perché anche la chirurgia ha influenzato quella mentalità della perfezione. Io personalmente sono per la chirurgia, qualche anno fa ho effettuato una mastoplastica additiva, oggi posso dire che non è cambiata la mia vita ma il rapporto che avevo con la mia persona, infatti reputo che si debba fare una scelta con molta attenzione è sempre nel rispetto della stessa persona.
    Rosy Braidotti
    Collega il corpo a qualcosa di immateriale. La rovina contemporanea è percepita da lei nel cibo visto come consumo, le super modelle diventano umane nei cartelloni pubblicitari mediatici. Mentre anoressia e bulimia rappresentano il vuoto. Il problema principale che riscontra la Braidotti è che alla fine dai due lati del mondo si muore per la stessa malattia, la fame per mancanza o per eccesso.
    La televisione fornisce un informazione alimentare scorretta, a proposito di cibo e cucina, correndo il rischio di compromettere seriamente le abitudini culinarie degli italiani.
    Le fonti prime di informazioni, quali riviste, televisione, radio, sono sempre più fondate sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità, che non sui contenuti e sui messaggi costruttivi per il senso critico dell’individuo.
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    Messaggio  Marfella Valeria Gio Mag 10, 2012 10:03 pm

    1) La scelta delle parole da usare nel campo della disabilità è molto importante in quanto utilizzando una parola sbagliata possiamo addirittura aumentare l'handicap. Mi viene da pensare alla lezione svolta con i rappresentanti dell'Univoc in cui c'è stato mostrato un video ricco di parole e gesti errati da attuare, quella più frequentemente usata era "ambiente" mi dava l'idea di quando parliamo di habitat per gli animali, quindi decisamente una parola errata.
    L'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) nel 1970 ha creato l'ICD ovvero classificazione internazionale delle malattie che fornisce per ogni sindrome o disturbo una descrizione delle caratteristiche cliniche e indicazioni diagnostiche. Le diagnosi eranop tradotte in codici numerici che ne rendevano possibile la memorizzazione, la ricerca e l'analisi dei risultati. In quseto modo la disabilità diveniva una patologia clinica, una sorta di enciclopedia medica, per questo si faranno delle trasformazioni. Negli anni 80 l'OMS creerà ICIDH che userà tre termini principali:
    - Menomazione: ( perdita o anomalia, transitoria o permanente) è un danno organico o funzionale relativo a un settore specifico, es. non esisitenza o cattivo funzionamento di un arto.
    - Disabilità: è l'incapacità di svolgere alcune funzioni convenzionali ad es. Atzori che non avendo le mani non potrebbe scrivere, truccarsi, etc ma lo fa con i piedi quindi in modo non convenzionale.
    - Restrizioni: esclusioni, per eccesso o per difetto, dello svolgimento di compiti normalmente attesi da un soggetto, come il controllo dell'apparato escretore o la capacità di camminare.
    Quindi la disabilità è la perdita di funzioni e capacità operative in conseguenza di una menomazione, si riferisce alle capacità funzionali che si estrinsecano con atti e comportamenti che vanno a costituire gli aspetti essenziali della vita di ogni giorno.
    La disabilità non è solo un deficit ma è una privazione sia a livello organico che psichico.
    - Handicap: intendiamo la difficoltà che una persona con disabilità affronta nel confrontarsi con gli altri e con l'ambiente circostante a causa di una menomazione.
    In conclusione la disabilità può portare all'handicap cioè ad una difficoltà nell'interazione con l'ambiente , ma l'handicap può avvenire anche in seguito a una menomazione senza portare a una disabilità permanente.ù
    E' stata fatta poi dall'Oms una terza classificazione negli anni 90, l'ICF. Che ancora oggi non viene applicato concretamente nelle asl che usano ancora l'ICD. In questo tipo di classificazione è tenuta in considerazione anche la componente sociale quindi l'integrazione sociale (es, Pistorius sta ancora lottando per poter partecipare alle Olimpiadi dei "normali"). L'ICF si sofferma sullo stato di salute che deriva dal contesto sociale favorevole o sfavorevole. I termini menomazione, disabilità e handicap verranno sostituiti da funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione dando quindi maggiore attenzione al coinvolgimento sociale del soggetto. Vogliamo mettere in evidenza l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto risaltarne l’unicità e la globalità. Tutto tende a favorire interventi in campo socio-sanitario in grado di migliorare la qualità della vita delle persone. Adottando l'ICF si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa.
    Dobbiamo capire la differenza che c'è tra le parole disabile e diverso.
    - Disabile: colui che è impossibilitato a compiere le comuni attività quotidiane, una persona con disfunzioni motorie e/o cognitive che possono influenzare anche la sfera psicologica, un individuo che presenta mancanze di una o più abilità. Vygotskij rende tutto più semplice affermando che il disabile è una persona con una propria identità, una propria connotazione e proprie caratteristiche allo stesso modo di chiunque altro.
    - Diversità: spesso confusa con la disabilità. Quest'ultima porta alla collocazione di certe persone in determinate categorie. Preferiamo il termine diversabilità che mette, invece, in evidenza delle abilità diverse dagli altri, da far emergere e potenziare, oltre che una dis-abilità ( ricordiamo l'Atzori che con i piedi riesce a dipingere bellissime porcellane, un'abilità quindi diversa dagli altri).E' un modo di vedere le cose deciasmente positivo perchè mette in risalto l'essere diversamente abili di molte persone con deficit.
    Dobbiamo considerare la persona con disabilità un soggetto attivo che può instuarare rapporti soddisfacenti, se impariamo a rapportarci con la disabilità conosceremo molto di essa e ci apriremo a nuovi orizzonti, ed eviteremo di inserire queste persone in "un'ambiente" fatto per loro ( mi riferisco al video dell'univoc), e ci libereremo da stereotipi e pregiudizi. Bisogna atture una vera e propria educazione alla disabilità e alla diversità.

    2) Anna Maria Murdaca ci ha spiegato che sono le barriere mentali e culturali che determinano l’esclusione e l’emarginazione dell’individuo disabile dal contesto sociale. Sarà quiindi l'ambiente l'elemento fondamentale che determinerà o meno l’integrazione del disabile nella società. Infatti a favorire l'integrazione ed un’influenza positiva sulla vita del disabile sono la famiglia, la società e la scuola che sono gli elementi primari che favoriscono le relazioni che l'individuo instaura nelle stesse. Spesso si parla di disabile visto come oggetto da inserire all’interno di un contesto adeguato ma il disabile è prima di tutto una persona, egli infatti dovrebbe essere considerato non solo per l’aspetto fisico , ma anche attraverso i suoi comportamenti e il suo carattere, per questo NON SI DOVREBBE DEFINIRE NESSUNO PER SOTTRAZIONE. Infatti Murdaca nel testo “Complessità della persona e disabilità” ci spiega come bisogna istituire una nuova cultura della disabilità per valutare l'identità della persona rispettando le sue differenze. E' una nuova cultura della disabilità in cui la persona in evoluzione interagisce con fattori affettivi, relazionali e sociali. L'integrazione è un processo continuo in cui si stabiliscono nuove strategie per preservare i diritti acquisiti dai disabili, per aiutarli a sentirsi parte della società e a fargli capire l'importanza che hanno in essa. Come sostenuto nel documento del Miur bisogna valorizzare al meglio le dotazioni individuali per favorire l'integrazione, quindi attraverso l'emancipazione, la crescita personale e sentendosi parte della comunità educatrice che diventerà il luogo dove si riparano i mali di questo mondo.
    La Murdaca ci parla di un nuovo paradigna del benessere dove si punta all'emancipazione dei soggetti coinvolti e alla realizzazione dell'uomo per ciò che è e può diventare. Parliamo ancora di integrazione intesa come accoglienza delle diverse identità e come condivisione di valori etici. All'interno delle comunità educative si instaura la relazione educativa tra educatore e educando, si forma un clima positivo basato sulla solidarietà che è di sostegno all'individuo, questo legame di fiducia, basato su una profonda interconnessione produce una fusione delle conoscenze. La costruzione dell'identità personale deve avvenire in luoghi rassicuranti e capaci di favorire e sviluppare le potenzialità individuali. La relazione educativa incentiva l'integrazione ed è un'occasione di formazione bilaterale per l'educatore e l'educando. L'educatore avrà il compito di portare cambiamenti positivi nella vita dell'educando, fungendo da esempio per esso, l'educando avrà il compito di apprendere e esprimere liberamente le proprie idee e confrontarsi con gli altri soggetti. L'educatore nei confronti di un disabile dovrà rapportarsi in modo da farlo sentire pian piano alla pari del normodotato portando alla luce le sue doti naturali e quindi migliorando la situazione psichica della persona. In aula abbiamo simulato diversi setting che hanno dimostrato l'importanza del ruolo dell'educatore, abbiamo potuto notare quanto può essere difficile approcciarsi con la persona che chiede aiuto e quanto il dialogo sia importante per comprendere le esigenze dell'individuo.

    3)Remaury sostiene che tutte le donne hanno un triplice compito giovinezza-bellezza-salute, la donna ha l'obbligo oggi di prendersi cura d se stessa e di apparire giovane a tutti i costi. Sostiene l'autore che il corpo esatto è un modello dominante che grazie ai progressi della scienza porta alla perfezione, mentre il corpo trasfigurato è l'immagine della perfezione corporea. Lipovetsky ci spiega anche lui come la donna sia soggetta all'eterna giovinezza, salute e perfetta bellezza. Questi sono obiettivi da raggiungere a tutti i costi ( prendiamo ad esempio quelle modelle anoressiche che rinunciano alla loro salute per essere perfettamente magre), sostiene che un corpo diventa libero quando risece a difendersi dalle minacce del mondo esterno: il tempo che passa e le malattie. Rosa Braidotti nella sua opera "madri, mostri e macchine" ci parla dei cambiamenti corporei che avvengono in una donna che aspetta un bambino, il suo corpo appare agli occhi degli uomini come un mostro dal corpo deforme, per questo motivo viene proposto alla donna la sfida di un corpo-macchina , quindi si chiede alle donne di incarnare l'idea di essere una macchina procreatrice.
    Ai giorni nostri l'insicurezza e il voler raggiungere i canoni di bellezza stabiliti,porta molte persone a ricorrere alla chirurgia estetica che è addirittura diventata una forma d'arte "cyberpunk". Dal mio punto di vista l'utilizzo della chirurgia estetica è stato estremizzato al punto da divenire una forma d'arte o un modo per detnicizzarci e renderci tutti uguali (quindi dei mostri) solo per rincorrere i canoni di bellezza stabiliti. Forse in alcuni casi può essere un valido sostegno psicologico in quelle persone che non riescono a convivere con una parte del loro corpo, ma non si può modificarlo del tutto! Sono più favorevole all'utlizzo di protesi estetiche per aiutare quelle persone nate con qualche deformazione o che abbiamo subito danni in un incidente.
    Mi è capitato in queste ultime settimane di vedere su real time la trasmissione life shock in cui Rudy Santos, un uomo di 55 anni racconta la sua storia. E'nato con un gemello parassita sul fianco, quindi ha quattro braccia e tre gambe, questo gemello oltre a renderlo deforme gli provoca anche gravi problemi di salute, ma nonostante questo l'uomo ha scelto di non ricorrere alla chirurgia estetica, accetta il corpo che la natuira gli ha dato e per cui molti lo definiscono mostro, ora mi chiedo se può farlo lui anche noi possiamo convivere con un seno troppo piccolo o un naso imperfetto. Ho voluto fare quseto breve esempio per spiegare quali secondo me sono i casi in cui è davvero necessario ricorrere alla chirurgia.
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    Messaggio  VALERIAILLIANO Ven Mag 11, 2012 7:08 am

    Esercizio n°1
    Quando si parla di disabilità e di persone affette da varie tipologie di malattie, bisogna scegliere accuratamente le parole utilizzate per definirle, perché spesso vengono adoperate impropriamente e ciò comporta un aumento dell’handicap anziché una riduzione. Come sostiene Canevaro la scelta delle parole va fatta con ponderazione. Infatti nel corso del tempo diversi termini utilizzati per definire la disabilità sono stati sostituiti da altri ritenuti più adatti e congrui alle circostanze e alle situazioni. L’OSM (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha realizzato nel corso degli anni diverse classificazioni; la prima risale agli anni 70 con la classificazione Internazionale delle malattie, nota come ICD, che inseriva tutte le forme di disabilità sotto l’idea di malattia. Lo schema da esso utilizzato era: eziologia- patologia- manifestazione clinica; infatti cercava le cause della patologia e forniva una descrizione di tutte le rappresentazioni cliniche. Inoltre traduceva le diagnosi in codici numerici così da facilitare la memorizzazione e l’identificazione. Era una sorta di enciclopedia delle malattie. Per risolvere questo problema di definizioni l’OSM effettuò una seconda classificazione negli anni 80, nota come ICIDH (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps), che si basava su tre aspetti come la menomazione, la disabilità e lo svantaggio che furono in seguito sostituiti da altri aspetti come la menomazione, le abilità e la partecipazione. Si dava in questo caso maggiore importanza alle capacità del soggetto e alla sua possibilità di inserirsi nel contesto sociale. A distanza di dieci anni l’OSM ha realizzato un ulteriore classificazione nota come ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), che studia la disabilità come stato di salute, derivata da un ambiente favorevole o sfavorevole. Questa classificazione descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati, quindi le possibili conseguenze. Centrale è la vita delle persone affette da tali patologie. Il problema di fondo che ha determinato negli anni il passaggio dall’ICD all’ICF passando per l’ICIDH era l’incapacità da parte del medico di poter definire con chiarezza cosa il disabile potesse o non potesse fare. Ancora oggi però l’ICF non è utilizzato come si dovrebbe, infatti si fa ancora ricorso all’ICD. L’handicap del disabile si pone spesso agli occhi degli altri come un divieto, un ostacolo che impedisce alla persona di portare a termine una determinata attività. Molto spesso però è il contesto sociale, come sostiene Anna Maria Murdaca, a determinare la condizione di handicap, vale a dire gli ostacoli e le barriere fisiche che favoriscono il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. Quest’affermazione mi riporta indietro nel tempo a due simulazioni svolte in aula: l’esercizio “orologio/ barriere architettoniche” e la simulazione sindaco/esperienza di “emarginazione”. Nel primo caso ricordo bene il video “Giornata del disabile in Italia” visualizzato in aula, dove la protagonista era una giovane donna che dopo aver subito un incidente fu costretta a vivere sulla sedia a rotelle, ma la cosa più triste era quella di essere costretta a muoversi in uno spazio limitato. Non poter prendere l’autobus perché non era attrezzato di montacarichi, non poter entrare nei negozi perché non prevedevano gli scivoli, per non parlare dell’indifferenza delle persone a tale problematica che spesso occupano i posti auto o gli scivoli riservati ai disabili con le loro vetture. Anche nell’esercizio dell’orologio mi resi conto che il percorso da me seguito per raggiungere l’università ed altri luoghi non poteva essere ripetuto, eseguito dal disabile in maniera autonoma. Mi capita spesso di trovarmi in strutture ed edifici che non prevedono strutture per i disabili; è come se per LORO il disabile NON esistesse, MA non è così. Non bisogna assolutamente dimenticare che il disabile, come tutti noi, è una Persona/Cittadino e come tale deve avvalersi dei suoi diritti. Nel secondo esercizio, dove il tema principale era quello dell’emarginazione, l’insegnante aveva il ruolo del sindaco e noi alunni eravamo i cittadini della presunta città. Io insieme ad altri ragazzi sono rimasta in città, a discapito di altri che possedendo gli occhiali da vista sono stati allontanati, quindi esclusi dalla città per ordine del sindaco. Questa è la testimonianza del fatto che il più delle volte è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap; proprio perché vengono poste delle regole e delle norme che non prevedono l’ingresso di tutti in maniera paritaria nella società. C’è sempre qualcuno, il più debole, che viene posto ai margini. Come ho già detto quando si parla di disabilità bisogna fare attenzione alle parole che vengono utilizzate per definirla; per questo motivo bisogna ragionare su due termini importanti come disabilità e diverso. Il termine “disabile” viene utilizzato per indicare persone che sono impossibilitate, a causa di disfunzioni motorie e/o cognitive o per mancanza di una o più abilità o per il mancato funzionamento di esse, a svolgere le normali attività della vita quotidiana. L’errore che si compie spesso in questi casi è quello di assumere un atteggiamento di pietismo nei loro confronti. Gli si attribuiscono delle etichette che hanno delle influenze negative. Questo mi ricorda una poesia scritta da Gianni Scopellitti ascoltata durante la simulazione della cecità, nella quale si ribadisce l’unicità e l’irripetibilità del disabile, che come tale deve essere rispettato:
    Non voglio più essere conosciuta
    per ciò che non ho
    ma per quello che sono:
    una persona come tante altre.
    Chiamatemi per nome.
    Anch’io ho un volto, un sorriso, un pianto,
    una gioia da condividere.
    Anch’io ho pensieri, fantasia, voglia di volare.
    Chiamatemi per nome.
    Non più:
    portatrice di handicap, disabile,
    non vedente, non udente, cerebrolesa, tetraplegica.
    Forse usate chiamare gli altri:
    “portatore di occhi castani” oppure “inabile a cantare”?
    o ancora: “miope” oppure “presbite”?
    Per favore abbiate il coraggio della novità.
    Abbiate occhi nuovi per scoprire che,
    prima di tutto,
    io “sono”.Chiamatemi per nome.
    Il termine “diverso” assume spesso un accezione negativa. Viene utilizzato per indicare lo straniero, una persona diversa per lingua, costume e religione, ma anche per indicare il disabile. Si considera la diversità sempre come qualcosa di negativo, di pericoloso che può mettere in discussione la propria stabilità, mai come valore aggiunto che può arricchirci e migliorarci. Non bisogna fermarsi alle apparenze ma dialogare con l’altro per superare qualsiasi forma di pregiudizio e stereotipo. Questo tema mi ricorda l’esercizio sulla “mappa degli stereotipi” nel quale la parola che mi fece pensare di più fu proprio diverso. Grazie a quella simulazione svolta in gruppo ebbi la possibilità di confrontarmi con le altre ragazze su alcune parole alle quali diamo poca importanza e poco conto, come la parola “tetraplegico”. Quell’esercizio fu molto importante perché diede la possibilità a tutti noi di riflettere sulle parole, ma soprattutto sul loro significato, infatti spesso le utilizziamo inadeguatamente e ciò comporta solo confusione e disagio.


    Esercizio n°2
    Nel testo “Complessità della persona e disabilità”, Anna Maria Murdaca mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità ponendosi come obiettivo la valorizzazione della persona umana. Proprio come il Documento Miur parlando di integrazione non fa riferimento all’uniformità bensì alla valorizzazione delle dotazioni individuali. Integrazione quindi non come punto di arrivo, ma come un processo continuo, che ha l’intento di preservare i diritti dei disabili. NON SI DOVREBBE DEFINIRE NESSUNO PER SOTTRAZIONE: questo significa che le persone non si caratterizzano per quello che non hanno o per quello che non sanno fare, ma per le loro capacità. Quest’affermazione mi fa pensare a due grande persone, entrambi esempi di resilienza: Simona Atzori e Oscar Pistorius. La Atzori è una donna che nonostante le difficoltà motorie (ricordiamo che non possiede le braccia) è riuscita ad esprimere se stessa attraverso la danza e la pittura ed è riuscita ad emozionare il pubblico senza ostentare i suoi limiti; mentre Pisorius è un atleta paraolimpico, un uomo che a soli pochi mesi dalla nascita gli furono amputati gli arti inferiori a causa di una malformazione fisica; sembrava non potesse camminare più, ma grazie alla sua forza e alla sua tenacia è riuscito addirittura a correre. È diventato un grande atleta grazie a delle protesi impiantate al posto delle gambe note come flex foot. Dopo una lunga lotta è stato concesso a Pistorius la possibilità di gareggiare con i normodotati, così almeno in questa circostanza è stato possibile vedere disabili e normodotati allo stesso livello. Anna Maria Murdaca si sofferma spesso sull’importanza e l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui: la società come la scuola, la famiglia e il contesto lavorativo si devono impegnare per aumentare, anziché ridurre, le capacità delle persone di svolgere delle attività che gli vengono richieste. A partire dalla famiglia, che deve essere presente nel momento in cui si è impegnati al miglioramento dello stato di salute di un figlio/a disabile, anche la scuola deve sviluppare una buona integrazione e favorire lo sviluppo di buone capacità e competenze nell’alunno disabile. Competenze che gli saranno utili per inserirsi successivamente nel contesto lavorativo. L’insegnante, nella relazione educativa, deve mirare ad un integrazione inclusiva, deve tenere presente la diversa situazione e mettere in atto dei programmi specifici per far emergere le doti del disabile. Deve progettare delle opportunità educative, affinchè il disabile possa riconoscere il proprio stato e le sue capacità funzionali. Come ho già detto nel caso di Pistorius bisogna portare i disabili al pari livello dei normodotati. Non si devono mettere in risalto le sue “mancanze” , bensì le sue capacità e competenze. Parlando della relazione educativa ho pensato alla simulazione svolta in aula; ricordo che mi rimase impresso la predisposizione da parte delle future educatrici all’ascolto dell’altro e alle sue problematiche, ma soprattutto il tentativo di inserire l’altra persona in un contesto più familiare possibile, cercando di farla sentire a proprio agio. Quindi è fondamentale creare un clima favorevole, che dia all’altro la possibilità di aprirsi. Ricordiamo che l’ambiente è un fattore contestuale determinante nel definire la disabilità; può essere una barriera/ostacolo ma anche un facilitatore. Il disabile è anche influenzato da quello che gli altri dicono di lui, dall’immagine sociale e i significati culturali che gli vengono attribuiti; le opinioni personali hanno un peso molto forte nella vita delle persone e molto spesso il senso comune si lascia influenzare dagli stereotipi e dai pregiudizi, ferendo gli altri. Inoltre Anna Maria Murdaca parla del “nuovo paradigma del benessere” nel quale il concetto di cura non si limita all’accudimento ma alla progressiva emarginazione del soggetto, il tutto mirato alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare. Consentire la crescita delle persone in tutte le possibili dimensioni e innalzare la qualità della vita delle persone. Questa è la rimodulazione del termine integrazione: inserire una persona o un gruppo in un ambiente o in un contesto in modo che ne diventi parte organica. C’è il punto di vista di chi deve essere integrato e il punto di vista del contesto che integra. Spesso il disabile è pronto ad inserirsi nel contesto sociale, ma il contesto sociale è pronto ad accettare il soggetto con disabilità?. Bisogna intendere il termine integrare in senso umanistico, nel senso che bisogna guardare alla globalità della persona che non può essere scomposta in funzioni che possono essere curate separatamente perdendo la capacità di integrare, di considerare nell’insieme. INTEGRAZIONE- DIFFERENZIAZIONE- PERSONALIZZAZIONE, sono i tre aspetti della Nuova Politica Socio-Educativa. Per favorire lo sviluppo dell’identità personale bisogna individuare dei luoghi specifici e dei mezzi adatti/ idonei per valorizzare la persona. Ci sono dei servizi a disposizione dei disabili che però spesso non vengono utilizzati. Parlando di strumenti utili per valorizzare la persona facciamo riferimento agli ausili, che sono dei strumenti che permettono alle persone affette da queste patologie di svolgere autonomamente delle funzioni. Sono apparecchiature, accorgimenti, attrezzature che consentono di attivare o potenziare un percorso di autonomia possibile. È inteso come strumento che consente di annullare il deficit e ridurre l’handicap e come strumento di empowerment che vuole portare il disabile verso lo sviluppo della propria identità, della propria autostima. Nel caso di Pistorius egli utilizza le flex foot, che sono delle protesi integrative usate come un completamento di un organo o una parte del corpo mancante. Ci sono anche casi in cui le protesi non vengono utilizzate per scelta, come nel caso della Atzori. Oggi si parla anche di ausili tecnologici, innovativi che sono anche molto costosi , quindi non accessibili per tutti. I costi sono così elevati che non tutti hanno la possibilità di installare a casa propria tali tecnologie. In questi casi si parla di Domotica: la scienza che studia le tecnologie innovative atte a migliorare la qualità della vita delle persone nella casa e in altri ambienti. Una Casa Intelligente: un ambiente domestico attrezzato di apposite tecnologie, in grado di svolgere funzioni parzialmente autonome o precedentemente impostate dall’uomo. Ricordo l’esperienza raccontata in un intervista dal giovane ragazzo Andrea Ferrari, il quale vive in una casa domotica che è dotata di tutti gli strumenti tecnologici che gli consentono di essere più abile, di condurre una vita serena, ma soprattutto AUTONOMA. Con un comando vocale o con un tasto da pigiare ha la possibilità di fare cose che da solo non avrebbe mai immaginato di fare.


    Esercizio n°3
    Remaury e Lipovetsky parlano di bellezza, salute e giovinezza. Nel testo “Il gentil sesso debole, Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute”, Remaury parla della bellezza come un idea che la donna ha il dovere di coltivare, conformandosi ai modelli proposti dalla società dei mass-media. La responsabilità e la cura della saluta è sempre stata affidata esclusivamente alla donna, la quale insegue il desiderio e il bisogno di essere bella, la perfezione e l’eccellenza. Si parla di corpo trasfigurato, di corpo esatto anche se il corpo al quale si ambisce maggiormente è quello liberato: un corpo libero dalla malattia, dal peso e dal tempo, quindi perfetto. Nasce cosi “La terza donna” di Lipovetsky che è sana, magra e giovane. Controllando la propria immagine la donna si avvicina velocemente al corpo realizzato, quindi al conseguimento di bellezza e salute. Si sa che migliorare e perfezionare il proprio corpo è sempre stato il chiodo fisso delle donne. Per loro oltre ad essere una lotta per la perfezione è anche una lotta contro il tempo. È difficile accettarsi per quello che si, come è difficile accettare che il tempo passi e che il corpo si trasformi di conseguenza. Infatti proposi, a riguardo alle protesi estetiche, il testo scritto da Erica Mou “Nella vasca da bagno del tempo” proprio perché l’autrice definiva tali operazioni come “espressioni di gomma”. Come ho già detto nel forum sono a favore della chirurgia estetica se essa viene utilizzata per motivi di salute, quindi per risolvere un deficit fisico che causa difficoltà motorie, ma non per un semplice capriccio. Bisogna dire che la bellezza spesso si trasforma in mostruosità, patologia e anche morte. Mi riferisco alle modelle anoressiche che si ritrovano con un corpo de-femminilizzato, senza le forme del corpo femminile, il cosi detto femminile mancante. Il tema della bellezza mi fa pensare soprattutto a un modello di bellezza altro, come quello proposto da Botero nel quadro della ballerina: una ballerina diversa dal solito, con tutte le sue forme; infatti arte e bellezza è sempre stato un connubio molto intenso. Concludo con il testo “Madri, mostri e macchine” di Rosi Braidotti. In questo testo l’autrice ci parla molto del corpo macchina: un corpo che nasce dall’unione con la tecnologica, un corpo in continua trasformazione e mutamento che può essere plasmato come meglio si crede. Questo testo si concentra anche sulla figura del mostro, il quale è sempre stato una figura borderline, ai margini della società; è orribile, deviante, a-normale. La Braidotti associa al corpo mostruoso il corpo gravido, che si presenta all’immaginazione maschile in una prospettiva orribile e meravigliosa. La madre-matrice, che trasforma il suo corpo durante la gravidanza incorporando un altro essere, e il mostro rappresentano trasgressioni a livello di corporeità. I corpi deformi sono l’antitesi alla normalità, vale a dire quello che la Braidotti chiama il <grado zero della mostruosità>. È teratologia, la scienza dei mostri, che aiuta a comprendere l’enigma di una normalità. Spesso però la mostruosità è associata erroneamente alla disabilità, proprio perché non riusciamo a comprendere l’essere umano nella sua complessità e nei suoi duplici aspetti.




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    Messaggio  emiliana della gatta Ven Mag 11, 2012 8:25 am

    Il crescente bisogno di avere informazioni adeguate sull’identificazione delle diverse disabilità porta spesso a far riferimento ai rapporti o ai documenti legati all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La Costituzione dell'OMS dichiara: "il godimento del livello di salute più elevato possibile è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione, credo politico, condizioni economiche e sociali". La definizione di salute include "il benessere fisico, mentale e sociale". Nel 1970, l'OMS elabora “ la Classificazione Internazionale delle Malattie” (ICD), focalizzata sulla causa, sulla descrizione delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle patologie. Inoltre, al fine di rispondere alla necessità di un'omogeneizzazione dei dati nel mondo, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici. Tuttavia, il limite è quello di non prevedere le conseguenze della patologia, tanto che, oltre a periodiche revisioni, già nel 1976 all'ICD si affianca un testo relativo proprio alle conseguenze delle malattie, o a fenomeni a queste connesse. Viene così introdotto l’ICIDH che si basa su tre fattori interdipendenti:
    •Menomazione: perdita o anormalità che può essere transitoria o permanente e che comprende l’esistenza o l’evenienza di anomalie, difetti o perdite a carico di arti, organi tessuti o altre strutture del corpo.
    •Disabilità: espressione della restrizione, della carenza che la persona manifesta nello svolgimento di un’attività.
    •Handicap
    sostituiti in seguito dai termini menomazione, abilità e partecipazione. Questo modello, sviluppato comunque dall’OMS solo per prove sul campo, ha ricevuto molte critiche, anche se a suo tempo era servito a mettere un po’ di ordine in un settore in cui, perlomeno in termini classificativi. Numerose verifiche e critiche, hanno portato l’OMS ad una revisione e alla stesura di un nuovo documento, l’ICF “ Classificazione Internazionale del funzionamento, della Disabilità e della Salute. L’approvazione dell’ICF da parte dell’Assemblea Mondiale della Sanità nel 2001, ha, di fatto, cancellato l’utilizzo dell’ICIDH dalla pratica, proponendo l’ICF come strumento standard per misurare funzionamento, salute e disabilità. Il superamento concettuale della ICD è dunque dettata dalla constatazione che le persone, oltre a subire le manifestazioni cliniche della malattia, possono risultare incapaci di svolgere il loro ruolo sociale e di mantenere normali relazioni. Secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute derivante da un contesto sfavorevole. Essa è stata introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica, non erano giudicate sufficienti per dare il reale quadro funzionale della persona ovvero cosa quella persona è in grado di fare a quali sono invece le attività nelle quali ha difficoltà. L’ ICF quindi non è una classificazione che riguarda un “gruppo” ma riguarda “tutti”, poiché tutti possono avere una condizione di salute che, in un contesto ambientale sfavorevole, causa disabilità. L’ICF non classifica le persone ma gli stati di salute ad essi correlati. Spesso ciò accade ed è per questo motivo che bisogna distinguere la parola disabile da quella di diverso. Il disabile è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, affetta da disfunzioni motorie o cognitive. Nelle varie lezioni affrontate in classe abbiamo provato ad immedesimarci nelle vite di persone disabili, cercare di provare le loro emozioni e sensazioni dinanzi ai tanti ostacoli che incontrano nel loro percorso di vita. Ho provato una forte rabbia nel vedere come persone disabili non possono vivere la propria vita con normalità. Vengono ricordate loro continuamente le proprie disabilità, la vita diventa in qualche modo ancora più difficile. Ciò che mi stupisce è come lo stato si tenga fuori da tutto nonostante le tante sollecitazioni nel risolvere problematiche come le barriere architettoniche, probabilmente perché non è una questione che li tocca in prima persona..... Mi piacerebbe molto far passare loro una giornata tipo di un disabile per fargli capire cosa si prova realmente a vivere la propria vita osteggiata tante difficoltà. Il disabile ci fa paura perché è diverso da noi e di conseguenza la diversità è concepita come non normalità. Ma esiste davvero la normalità? Chi è il normale? In realtà non esiste una definizione di comune, “normale” … Siamo tutti uguali e diversi! La diversità porta ad una categorizzazione. Diverso può essere una persona non necessariamente affetta da menomazione fisica o psichica ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche: lo straniero, il genio, una persona diversa per lingua, per cultura, razza, religione… Il diverso di solito non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società suo malgrado. A tal proposito la docente Anna Maria Murdaca nel suo libro: “ Complessità della persona e disabilità” si occupa delle questioni relative la persona con disabilità. Il testo della Murdaca tenta di ricostruire una nuova cultura sulla disabilità, sulla rimodulazione del termine integrazione e sulla comprensione delle reali condizioni di vita delle persone con disabilità. L’obiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze. Nel parlare di integrazione non si fa riferimento ad un’astratta normalità ma alla valorizzazione delle dotazioni individuali. Sono in realtà le barriere mentali e culturali che determinano l’esclusione e l’emarginazione dell’individuo disabile dal contesto sociale. L’ambiente è un elemento fondamentale che determina l’integrazione del disabile nella società. Infatti a favorire un’integrazione ed un’influenza positiva nella vita di un disabile sono la famiglia, la stessa società e la scuola dove essi appaiono come quegli elementi primari che favoriscono la relazione che il disabile stesso attiverà all’interno di essa. L’integrazione è un processo continuo che tenta di trovare delle soluzione e delle strategie atte a preservare i diritti acquisiti dei disabili. Concetto di cura come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti, con la costruzione di attività che rendono significativa la presenza dei disabili attraverso buone prassi didattiche, in particolare ci si riferisce al fatto che non basta la solo educazione classica ma un’educazione che consente la crescita della persona in tutte le varie dimensioni. Il disabile viene immesso, con il sostegno di educatori, in situazioni e vissuti emotivi-affettivi che vengono elaborati e criticati al fine di portare ad una nuova cultura per disabili attenta a cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive quanto ad innalzare la qualità della vita dei soggetti. Bisogna guardare alla globalità della persona che non può essere scomposta in funzioni che possono essere curate separatamente perdendo la capacità di integrare, di considerare nell’insieme. L’integrazione deve portare allo sviluppo, all’interazione, alla coordinazione dei processi motori psicomotori. La realtà va quindi conosciuta, bisogna lavorare per progettare spazi in cui il senso è l’unico ponte sul quale il soggetto si declina in corpo, mente e relazione. Integrazione come accoglienza verso il diverso e come condivisione di valori che tengono conto del rapporto dignità, autonomia, identità e potenzialità personali.
    Come ci si comporta di fronte alle cose che ci circondano, quando dobbiamo darne una valutazione di tipo estetico? Antico dilemma che non ha poi tanta ragion d'essere perché il concetto di bellezza è un fatto in gran parte soggettivo, ma si fonda su una serie di elementi culturali e soprattutto psicologici ai quali non possiamo sfuggire e che ci condizionano in maniera inconsapevole. Ad esempio nel contesto moderno, la televisione, con i suoi spot pubblicitari che mette in risalto modelle sempre più perfette, le riviste con i suoi personaggi dello spettacolo, mettono in evidenza dei modelli estetici irrealizzabili per la maggior parte della popolazione, dove il corpo femminile per esser considerato bello si deve presentare magro e quello maschile necessariamente tonico e asciutto. Ad interessarsi di tali tematiche sono gli studiosi Remaury, secondo cui il canone di bellezza viene imposto dalla società che ci impone di inseguire la bellezza, la perfezione e la salute, Lipovesky, che nel suo libro:” La terza donna” afferma che la donna non è più come le altre due, ovvero la prima donna, svalutata e disprezzata e la seconda donna, legata ai canoni della bellezza e delle seduzione. Oggi la donna non è più indipendente e definibile ma ha acquisito la capacità di autodefinirsi e autodeterminarsi, che ha infinite potenzialità da utilizzare per costruire la propria identità. Braidotti invece afferma che il femminile é un luogo paradossale, un complesso teatro dove giocano molteplici intrecci sociali, simbolici e discorsivi. Possiamo affermare che nel corso dei secoli è cambiato molto il prototipo di bellezza, in qualche modo si è deformato. Nell’età greco-romana venivano considerate belle le curve dei fianchi, nel nudo gotico veniva valorizzata la curva del bacino e nell’età moderna, invece, vi è un vero e proprio capovolgimento dei canoni tradizionali di bello, proponendo opere in cui a dominare sono le deformazioni delle figure, dove in qualche modo il brutto diventa la vera bellezza, perché, il bello non produceva più nessuna emozione estetica come una volta. Da qui l’esigenza di stupire, di cambiare il proprio corpo, di renderlo unico, attraverso operazioni chirurgiche in grado di cambiare per sempre il proprio apparire… Ma è giusto tutto ciò? La vera bellezza non sta forse nella propria semplicità? A mio avviso è sbagliato ricorrere alla chirurgia estetica per migliorare il proprio aspetto solo per assomigliare ad un prototipo proposto dalla società. Sono contro, in modo particolare, alla chirurgia plastica sopra i 50 anni perché è un po' come volere essere immortali ma è impossibile, quindi si finisce per diventare ridicoli e per di più mostruosi! Quello che manca a noi giovani è l'amore per noi stessi, siamo troppo concentrati sul piacere agli altri, sull'essere accettati e perdiamo di vista ciò che fa bene a noi...ci stressiamo, dobbiamo fare tutti le stesse cose, vestire allo stesso modo e questo è stressante...
    La vera bellezza è quella fatta dai piccoli difetti perché sono proprio quelli a rendere la persona unica e speciale. Ovviamente quando una condizione diventa fonte di disagio che non permette di stare in mezzo alla gente, sono favorevole al ricorso di protesi, perché il disagio non permette di vivere la propria vita come si vorrebbe e ciò porta all'isolamento... Tutto ciò non deve essere un capriccio bensì un'esigenza.
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    Messaggio  Chiara Di Mare Ven Mag 11, 2012 9:49 am

    1) La classificazione ICD(classificazione Internazionale delle malattie) è stata elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità( OMS) ed ha come scopo quello di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni disturbo una descrizione valida di quelle che sono le principali caratteristiche cliniche.
    La struttura della classificazione ICD è determinata sia dall’aspetto eziologico sia dalla sede anatomica. Il criterio eziologico determina le cosiddette malattie infettive,malattie costituzionali e generali,malattie dello sviluppo,traumi. Il criterio invece anatomico si riferisce ad una specifica sede anatomica,determina quindi quelli che sono gli aspetti locali.
    L’organizzazione mondiale della sanità si è occupata di un’ulteriore classificazione denominata ICIDH ossia classificazione delle menomazioni,disabilità,handicap; Questi termini venivano rispettivamente definiti: “menomazione” : intesa come perdita o anormalità a carico di una struttura o una funzione psicologica,fisiologica o anatomica e rappresenta l'estensione di uno stato patologico, "disabilità" come "qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano" e "handicap"come svantaggio vissuto da una persona a seguito di disabilità o minorazione/menomazione". Questi termini verranno poi sostituiti da menomazione,abilità,partecipazione,per far si che ci sia una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale,implicando un cambiamento nell’atteggiamento assunto nei confronti dei soggetti disabili in quanto non sono da considerarsi diversi poiché si è notato che queste persone nonostante il loro deficit riescono a perseguire determinati obiettivi grazie alla passione,alla forza di volontà,a quella resilienza capace di far ritrovare in se stessi la forza per superare le avversità. Ricordiamo infatti il caso di Simona Atzori che nonostante la sua disabilità ha manifestato un ottimismo nei confronti della vita,un’autostima che le ha permesso di trasformare un’esperienza dolorosa in un’occasione formativa e di crescita continua. Quindi,è importante fare attenzione al concetto e al senso delle parole in quanto ognuna assume un significato diverso soprattutto quando ci si trova nel campo della disabilità dove spesso tendiamo a considerare sinonimi parole come disabile e diverso. Il disabile è una persona impossibilitata a svolgere normali attività della vita quotidiana,affetta da disfunzioni motorie e/o cognitive presenta dunque delle limitazioni nella capacità di compiere un’attività nel modo considerato normale per un essere umano. Il diverso invece è colui che ha abilità diverse dagli altri,da scoprire,far emergere e potenziare. La diversità porta alla categorizzazione cioè alla collocazione di certe persone in determinate categorie,può essere una persona non necessariamente affetta da menomazione fisica o psichica ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche,si pensi ad esempio allo straniero. Durante il corso abbiamo notato come il concetto di disabile sta cambiando persino nell’arte,infatti,un tempo il disabile veniva considerato “mendicante” a causa magari del suo aspetto, infatti veniva isolato e spesso di lui si aveva paura ma con l’evolversi di quella che è la concezione del disabile si è passati ad una rivoluzione dell’immagine dove le persone vengono raffigurate non più come soggetti storpi o deformi bensì in maniera sorridente con sguardo bonario e pacato. Inoltre,con l’evoluzione della nuova tecnologia,si è riuscito a creare dei vantaggi per questi soggetti nati con gravi malformazioni,si pensi al caso di Oscar Pistorius, un atleta paralimpico amputato alle gambe che corre grazie alle “Flex Foot” ,protesi in fibra di carbonio che sono gambe protesiche le quali hanno destato molte discussioni. Tutto ciò è dettato dal fatto che bisogna riconoscere l’importanza della diversità in una prospettiva di arricchimento reciproco.
    La disabilità,come afferma la classificazione Internazionale del funzionamento della disabilità e della salute (ICF) non è altro che una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole.
    La sigla ICF è stata elaborata dall’organizzazione mondiale della sanità nel 2001 e propone una definizione del concetto di disabilità più innovativa rispetto alle precedenti classificazioni, infatti viene considerata come misura delle attività e delle prestazioni che l’ambiente esterno consente di espletare,non più soltanto una condizione soggettiva o come una caratteristica propria della persona. In questa classificazione si considera anche l’interazione sociale,quindi all’approccio biologico e personale si aggiunge quello sociale; La terminologia usata quindi è indice di cambiamento in quanto ai termini di menomazione, disabilità ed handicap, come ho già detto, si sostituiscono i termini funzioni,strutture corporee,attività e partecipazione con l’intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. Quindi l’ICF non si occupa solo di classificare condizioni di salute,malattie,disordini o traumi, bensì le conseguenze associate alle condizioni di salute. L’ICF è stato introdotto perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica non erano considerate sufficienti per capire cosa una persona è in grado di fare e quali sono invece le attività nella quali ha difficoltà. Questa classificazione è ideata per descrivere la presenza o l’assenza di menomazioni nelle funzioni e strutture corporee,il funzionamento,la disabilità e il contesto delle persone che hanno un’influenza sullo stato di salute.


    2) Per quanto ciascuno di noi dica di puntare sull’interiorità e quindi non sull’aspetto fisico,ahimè non è così,la nostra società è superficiale,non è interessata all’essenza quanto piuttosto all’apparenza esterna. Ricordiamo infatti come le persone per essere piaciute ricorrono alla chirurgia plastica che può essere d’aiuto per quelle persone che hanno subito degli incidenti e che per forze maggiori sono rimaste sfigurate,ma cambiare il proprio aspetto solo per somigliare a quei modelli stereotipati di bellezza rappresentati da top model mi sembra ridicolo e superficiale. In questo modo l’immagine della donna si confonde con quella della bellezza. Ancora,molte persone intraprendono ferree diete che portano il più delle volte all’anoressia ,che rappresenta un prototipo di bello che diventa mostruoso,un corpo che si allontana rispetto ai canoni estetici della femminilità classica ed è lontano dal canone della maternità. Il corpo anoressico diviene il femminile mancante,deformante,dalle forme dis-umane.
    Nel linguaggio quotidiano siamo soliti definire “belle” quelle persone con aspetto gradevole che seguono una determinata moda,insomma che abbiano tutte le caratteristiche estetiche per piacere ma in realtà la parola bellezza accomuna in sé una serie di connotati che riusciamo a percepire in modo subliminare ma che non sempre riusciamo a definire.
    Come afferma Remaury siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione che ha un triplice obiettivo: giovinezza,bellezza,salute. Difatti giovinezza,bellezza e salute sono le caratteristiche che una donna oggi deve continuare ad avere e possedere a tutti i costi, liberando quindi il corpo da malattie e quant’altro.
    Lipovetsky invece ci parla della “terza donna” ossia la donna d’oggi che nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati per cui è obbligata a percorrere delle strade possibili verso il corpo perfetto e quindi verso il corpo realizzato che rappresenta il prodotto del lavoro su se stessa assicurato attraverso il conseguimento di bellezza e salute. Secondo quanto scrive Lipovetsky la “terza donna” ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza,basata sull’apparente acquisizione di grazia.
    La Braidotti nel testo “Madri mostri e macchine” ci descrive la donna come capace di deformare il proprio corpo durante la maternità divenendo nell’immaginario maschile qualcosa di orribile. Per questo la Braidotti propone alle donne di incarnarsi con la tecnologia,si crea così un legame tra femminismo e tecnologia che permette alla donna di avere un corpo perfetto.
    Tutte queste peculiarità ci fanno capire che la parola “bellezza” più che a un significato preciso ci rimanda all’idea di una parola contenitore,a un mix di positività, negatività e fascino.


    3) Anna Maria Murdaca, docente esperta in persone con disabilità,nel testo “Complessità della persona e disabilità” ritiene utile mirare alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione e alla comprensione delle reali condizioni di vita del disabile e quali servizi vengono erogati per le loro esigenze. Obiettivo della Murdaca è quello di dirigersi verso l’inclusione, adottando l’ottica della globalità,una nuova cultura della disabilità centrata soprattutto al riconoscimento della persona in evoluzione. Di fondamentale importanza appare il contesto sociale che determina la condizione di handicap ed è grazie agli ostacoli e le barriere fisiche che si favorisce il processo di esclusione o quello di emarginazione.
    L’ICF si occupa di valutare l’influenza dell’ambiente sulla società,sulla famiglia,sul contesto lavorativo che possono influenzare lo stato di salute e porci in situazioni di difficoltà. L’ambiente, inteso quindi come fattore contestuale determinante nel definire la disabilità, può essere una barriera o un facilitatore. Ne deriva che migliorando l’ambiente della persona diminuisce la disabilità.
    Obiettivo principale è la valorizzazione della persona umana pur rispettando le sue differenze e le sue identità.
    A preservare quelli che sono i diritti acquisiti del disabile è l’integrazione intesa come un processo continuo che mira a valorizzare quelle che sono le dotazioni individuali e accogliere diverse identità in prospettiva umanistica. Ciò che spinge l’uomo a realizzarsi per ciò che egli è e per ciò che può diventare è la cura, intesa come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti e intesa come atto di umana comprensione capace di aiutare la persona con deficit a ridare senso e significato alla sua personale esperienza ,a ricordarsi di sé,per accettarsi e convivere con la propria unicità. Si mira ad emancipare il soggetto con disabilità attraverso processi che richiedono maturazione psicocognitiva ,psicoaffettiva e ovviamente contesti sostenibili. Quindi per costruire una serie di attività atte a rendere significativa la presenza dei disabili attraverso buone prassi didattiche è indispensabile una “fantasia ermeneutica” dell’educatore che consentirà la crescita della persona in tutte le varie dimensioni. La relazione educativa diviene quindi uno spazio ripartivo dove il disabile sperimenta con gli educatori una serie di situazioni, di vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati e consentono agli operatori di progettare delle opportunità educative in modo che il disabile ripensi al proprio stato e alle proprie capacità funzionali eliminando blocchi,disagi,scoprendo le forze resilienti capaci di far superare le difficoltà insite nel profondo della personalità,compito dell’educatore è quindi quello di prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile,bisogna cercare di mettere i disabili sullo stesso piano dei normodotati ed evidenziare quindi le potenzialità,le doti e le capacità di una persona.
    La relazione educativa è un legame che può avvenire con disabili,persone adulte,bambini. Relazionarsi con qualcuno non vuol dire trasmettere semplici nozioni,è necessario che la persona(potrebbe essere il docente) si apra al dialogo,all’ascolto attivo per far si che il bambino o chiunque sia coinvolto in questa relazione,venga riconosciuto e non classificato o etichettato. In questa relazione si cerca di capire nel profondo chi si ha di fronte,i suoi problemi, le sue difficoltà,le sue paure,senza soffermarsi sulle apparenze ma cercando di comprenderne i fattori che spingono un soggetto a comportarsi in un dato modo. Quindi la relazione educativa potrebbe essere intesa come quell’approccio interpersonale tra due o più persone dove alla base vi sia una comunicazione improntata sulla comprensione reciproca dove non si avverte da parte del docente una posizione di superiorità. In una qualsiasi relazione tra due o più persone avviene uno scambio dove si da ma si riceve anche qualcosa,di fondamentale importanza appare il rispetto reciproco che si instaura tra l’educatore e l’educando al fine di arricchimento reciproco.
    Alessandra Mavrokefalos
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    Messaggio  Alessandra Mavrokefalos Ven Mag 11, 2012 10:27 am

    ESERCIZIO 1

    Per ICD si intende la “classificazione Internazionale delle malattie”; essa è stata la prima classificazione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e serve a capire le cause delle patologie, inoltre descrive per ogni disturbo o malattia le particolari caratteristiche cliniche. Un aspetto importante di questo tipo di classificazione è il fatto che le malattie vengono tradotte in codici numerici; ciò per velocizzare le pratiche.
    Andando avanti con gli studi sulle malattie si è osservato che l’ICD non bastava e quindi negli anni Ottanta l’OMS ha provveduto a formulare una nuova classificazione: l’ ICIDH. Con questa si introduce un nuovo termine: ABILITA’; quindi i termini di menomazione, disabilità e handicap o svantaggio, affrontati dalla classificazione precedente, sono stati sostituiti con i termini di menomazione, abilità e partecipazione. Ciò per dare più importanza alle potenzialità del soggetto disabile e non solo ai suoi limiti.
    A questo proposito si può parlare di RESILIENZA, ovvero della capacità dell’uomo di reagire alle situazioni avverse, quindi ad una probabile disabilità, per riuscire a vivere una vita autonoma e indipendente. Esempi affrontati durante il corso su questo tipo di comportamento sono Simona Atzori e Pistorius. La differenza tra i due è che Pistorius fa uso di protesi mentre la Atzori no, ma entrambi fanno forza sulle proprie capacità per reagire alla disabilità che li ha colpiti.
    Ritornando alla classificazione delle malattie, è importante dare una breve descrizione delle parole-chiave riferite alla disabilità in generale perché, come ci insegna Canevaro, le parole hanno un grande valore simbolico e quindi devono essere usate con attenzione in quanto, se utilizzate impropriamente potrebbero aumentare le difficoltà del disabile anziché ridurle.
    MENOMAZIONE: per menomazione si intende “perdita o anormalità di una struttura o funzione fisiologica, psicologica o anatomica”. Questo tipo di anormalità può essere temporanea o permanente.
    Conseguenza di una menomazione è la disabilità
    DISABILITA’: per disabilità si intende una perdita o limitazione della capacità di compiere determinate attività in modo considerato normale; questo perché c’è una disabitudine rispetto a ciò che non è conforme.
    HANDICAP: in ultimo c’è il termine di handicap; esso corrisponde alla condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità e al disagio sociale provato dalla persona disabile.
    Nel 2001 l’OMS propone ancora un ulteriore classificazione, ovvero l’ICF (classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute). Questa nuova classificazione propone il concetto di disabilità multidimensionale, ovvero tiene conto non solo degli aspetti clinici e patologici, ma considera anche il contesto e l’interazione sociale. La disabilità viene considerata in base alle attività che l’ambiente sociale permette di compiere alla persona disabile. Inoltre ci sarà l’uso si un linguaggio internazionale comune.
    Come detto prima, è fondamentale utilizzare le parole nel modo giusto; oltre alle classificazioni prima affrontate è importante riflettere sulle parole DIVERSO e DISABILE che spesso invece vengono confuse.
    DISABILE: esso è un soggetto affetto da qualche disfunzione motoria o cognitiva e ciò lo porta ad essere limitato o impossibilitato nello svolgere la maggior parte delle attività quotidiane. Ma è importante ricordare che non tutti i disabili si sentono tali in quanto oltre ad essere persone che presentano delle dis-abilità presentano anche delle abilità sulle quali fanno forza. Infatti, a questo proposito, si tende a parlare di persone diversamente abili e non più di disabili.
    DIVERSO: quando parliamo di diverso spesso ci riferiamo proprio ai disabili ma non solo; diverso può essere considerato anche una persona proveniente da un contesto culturale diverso da quello proprio, o colui che ha lingua e abitudini differenti ecc.
    Diverso viene considerato qualcuno o qualcosa contrapposto a ciò che per un’altra persona è considerato normale. Ma cos’è normale??
    Questo concetto penso che abbia un significato completamente soggettivo e relativo, quindi non assoluto.
    Il concetto di diverso serve quindi a categorizzare o etichettare un individuo e ciò, a sua volta, potrebbe portare al concetto di emarginazione.
    Durante il corso abbiamo affrontato varie simulazioni ed esercizi su questo tipo di termini; uno, per esempio, era intitolato “la mappa degli stereotipi” e l’altro era la simulazione del sindaco, riferita quindi al concetto dell’emarginazione. Il primo è stato un esercizio molto costruttivo perché, come ho scritto anche nel forum, ha permesso a tutti noi di renderci conto dell’importanza e del peso che hanno le parole, del significato sbagliato che spesso diamo a queste ultime e quindi ci ha spronato a riflettere di più quando parliamo.
    Per la simulazione vale lo stesso pensiero nel senso che questo tipo di esercizio ci ha permesso di metterci nei panni di un ipotetico emarginato o dell’emarginatore e quindi più facilmente si sono potute avvertire le sensazioni di uno o dell’altro.
    Riferito al concetto di disabilità abbiamo fatto anche un altro esercizio che riguardava le barriere architettoniche, ovvero quegli ostacoli che impediscono o rendono difficili gli spostamenti delle persone diversamente abili. Tutti noi abbiamo pensato ad una giornata tipo riflettendo sui percorsi che quotidianamente affrontiamo; ciò per farci rendere conto che spesso ostacoli che per noi non sono tali, per un disabile possono essere delle barriere insormontabili.

    ESERCIZIO 2

    Anna Maria Murdaca è una docente esperta in questioni relative alla persona con disabilità. Murdaca è anche un’autrice e uno dei suoi testi è Complessità della persona e disabilità; i temi principali di questo testo sono: l’integrazione, la cura di un disabile, l’importanza del contesto sociale, la relazione educativa e via dicendo. L’obbiettivo che Murdaca vuole conseguire con questo testo può essere diviso in tre punti principali:
    • Rimodulazione del termine integrazione;
    • Ricostruzione di una nuova cultura della disabilità;
    • Ridefinizione di un progetto di vita per le persone disabili.
    Tramite questi punti l’autrice vuole valorizzare la persona nella sua complessità.
    Una frase molto bella e significativa è “non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione”; bisogna quindi porre attenzione alle capacità e alle potenzialità di un disabile invece di pensare solo a ciò che non ha la possibilità di fare; anche perché, come sopra citato, Murdaca pone molta attenzione al contesto sociale, anzi ella afferma proprio che è l’ambiente a determinare la condizione di handicap. Ambiente sociale inteso sia come “fisico” sia come “culturale”. Barriere fisiche, quindi materiali e barriere culturali, quindi mentali possono favorire lo sviluppo del processo di esclusione o di emarginazione, condizioni che molto spesso il disabile vive.
    Rispetto al termine integrazione, verso il quale l’autrice pone molta attenzione, si può dire che esso non indica più il punto di arrivo, quindi la fine del percorso effettuato da un disabile, ma viene ora visto come un processo continuo il quale serve a garantire i diritti del disabile stesso. Integrazione non significa più inclusione di un soggetto disabile in un dato contesto, ma indica proprio il processo di accoglienza e di condivisione del “diverso”. Questo processo non serve solo ad accudire un disabile ma a far in modo che egli stesso dia significato alla sua esistenza, che riesca a convivere con la propria disabilità di modo che possa interagire con il mondo che lo circonda senza che sia portato ad isolarsi.
    Per riuscire ad ottenere ciò è di fondamentale importanza la relazione educativa che, come abbiamo spesso ribadito, si instaura non solo a scuola nel rapporto tra docente e discente ma anche in famiglia nel rapporto genitore-figlio o tra amici e via dicendo.
    Tutti questi tipi di relazioni sono funzionali alla crescita di un individuo.
    Murdaca ribadisce anche il concetto che i disabili, in qualsiasi tipo di relazione educativa, non sono soggetti passivi ma responsabili cosi come gli educatori. Inoltre è importante ribadire che non sono sempre e solo gli “educandi”, disabili come normodotati, a ricevere degli insegnamenti, ma può accadere che siano gli stessi discenti a dare un qualche insegnamento ad un educatore cosi come ad un genitore; infatti viene ribadito che in una relazione educativa, rispetto al concetto del potere, non ci deve essere disparità, in quanto la relazione deve essere vista e vissuta come incontro e scambio reciproco pur restando indispensabile l’uso delle regole.
    Certo è che in una relazione educativa si cerca di creare sempre un contesto positivo, di accoglienza, ma come la vita ci insegna, anche esperienze negative possono insegnare molto; proprio per questo uno dei punti chiave in un processo di insegnamento è proprio quello di partire dalle proprie esperienze, per crescere su di esse e poter sviluppare in modo sano la propria identità.
    Anna Maria Murdaca propone quindi “una nuova culture della disabilità” dove si cerca di favorire, per il disabile, lo sviluppo di un’identità personale. Questo nuovo approccio valuta le disfunzioni di un disabile ma valorizza anche tutte le potenzialità di quest’ultimo, facendo in modo che le differenze vengano avvertite come valore e non come principio di esclusione.
    I punti principali di questo nuovo approccio sono:
    • Integrazione;
    • Differenziazione;
    • Personalizzazione.
    Come si può ben immaginare, l’educazione rivolta ad un disabile è un processo diverso rispetto a quello che può essere rivolto ad un bambino normodotato proprio perché il primo può presentare delle difficoltà e delle limitazioni nel conseguimento anche di compiti elementari. Fondamentale è la figura dell’educatore il quale viene visto come guida nel processo di costruzione della propria identità e in quello di emancipazione. Nel caso di un discente disabile, l’educatore deve tener conto della diversa situazione ma deve far in modo che lo stesso abbia pari opportunità di un discente normodotato.
    Un aspetto importante relativo all’ambito della relazione educativa è l’ascolto. Se l’educatore è capace di dialogare e di ascoltare i disagi e le problematiche di ogni singola persona, può essere ancora più in grado di comprendere i motivi di determinati comportamenti e quindi potrà cosi rimuovere gli ostacoli per garantire il pieno sviluppo della persona stessa. Importante quindi è anche l’educazione personalizzata; essa serva a far in modo che entrambe le parti si conoscano, perché solo cosi è possibile poi instaurare un rapporto di fiducia tra le parti; questo tipo di rapporto fa in modo che l’educatore possa diventare una guida e uno stimolo del processo riflessivo del discente stesso, di modo che quest’ultimo possa crescere in maniera costruttiva.

    ESERCIZIO 3

    Remaury, Lipovetsky e Braidotti hanno incentrato molti dei loro studi sui concetti di bellezza e di donna; concetti molto legati tra loro soprattutto nell’età moderna. Questo perché si ritiene che oggi la donna per essere “considerata”, soprattutto in ambito lavorativo ma non solo, debba essere bella. Ma cos’è la bellezza? La bellezza, cosi come la normalità, sono concetti soggettivi. Il concetto di bellezza viene impartito soprattutto dai media e oggi giorno per essere considerate belle no basta più una semplice cura fisica, intesa come attività fisica, un bel vestito e un po’ di trucco, giusto per migliorare la propria immagine, ma si ricorre a vari interventi chirurgici i quali servono per arrivare alla perfezione, altro concetto relativo e soggettivo.
    Oggi essere bella/o sembra essere diventato uno dei bisogni primari dell’essere umano; fondamentale per la donna ma andando avanti con gli anni sembra che anche l’uomo avverta questo tipo di necessità. Perché questo bisogno è molto più avvertito oggi rispetto a tempi passati? È certo che anche nei secoli passati il l’ideale di bellezza era molto sentito; scultori, pittori e via dicendo si prodigavano a raffigurare, tramite le loro opere, la bellezza, ma è evidente che ognuno aveva la sua idea di bellezza, cosi come abbiamo visto durante il corso nella visione delle opere d’arte di pittori o scultori per i quali la donna bella poteva essere anche una donna in carne oppure cosi come abbiamo visto Picasso a cui piaceva scomporre visi, oggetti o paesaggi; anche quella è stata considerata bellezza. Mentre oggi questo concetto viene imposto dalla stessa società; si cerca una donna perennemente bella, giovane e sana. Inoltre al concetto di bellezza vediamo che vengono attribuiti anche altri concetti (positivi) come bontà, intelligenza, gentilezza ecc., come se una persona “brutta” dovesse essere per forza cattiva.
    Un aspetto contrapposto alla descrizione della bellezza prima affrontata è quella di bello come magro; una donna magra non più vista come bella e attraente ma come deforme o malata. Come si sa oggi tutte le modelle hanno taglia inferiore alla 42, ciò le porta a diete troppo restrittive che di conseguenza sfocia in una malattia: l’anoressia. Quindi si evince che anche il mostruoso, il deforme viene considerato bello. Ecco perché la bellezza è un concetto relativo e non può essere raggiunto in modo assoluto tramite determinati mezzi come diete o interventi chirurgici.
    Braidotti, in particolare, oltre che di bellezza e di donna si è occupata anche della donna come macchina e come deforme nel momento in cui deforma il proprio corpo nel periodo della maternità; ella viene qui vista come un qualcosa di orribile e mostruoso. Inoltre parla di corpo-macchina nel momento in cui da vita ad un altro corpo.


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    Messaggio  edvige garofano Ven Mag 11, 2012 12:18 pm

    Esponi il passaggio dall’Icd all’Icf, soffermandoti poi sul contesto e sulle parole disabile e diverso, personalizzando il tuo discorso attraverso una ripresa degli interventi ai laboratori che hai proposto ‘orologio’ /‘barriere architettoniche’, ‘la mappa degli stereotipi’, Sindaco/esperienza di ‘emarginazione’
    L’ICD è la prima classificazione elaborata dall’OMS ( Organizzazione Mondiale della Sanità ) ed è “la classificazione Internazionale delle Malattie” risalente al 1970. E’ uno standard di classificazione per gli studi statistici ed epidemiologici, nonché valido strumento di gestione di salute e igiene pubblica che risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie fornendo per ogni sindrome o disturbo la descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. La prima redatta fu una lista di cause di morte, adottata dall'Istituto Statistico Internazionale nel 1893 e nel 1948 vengono incluse anche le cause di morbosità. La classificazione è basata su codici numerici come si può qui notare:
    Alcune malattie batteriche trasmesse da animali (A20-A28)
    A20 Peste
    A21 Tularemia
    A22 Carbonchio
    A23 Brucellosi
    A24 Morva e melioidosi
    A25 Febbri da morso di ratto
    A26 Erisipeloide
    A27 Leptospirosi
    Questo perché così facendo si rende possibile la memorizzazione ed anche la ricerca e l’analisi dei dati. Ma nel 1980 si ci rende conto che la definizione ICD era ristretta alle patologie cliniche e per questo l’OMS ricorre ad una nuova definizione pubblicando un primo documento dal titolo International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH). In tale pubblicazione veniva fatta l’importante distinzione fra "menomazione" (impairment) che veniva definita come "qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psico-logica, fisiologica o anatomica" e gli altri due termini, che venivano rispettivamente definiti: "disabilità" (disability) come "qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano" e "handicap" come la "condizione di svantaggio conseguente a una menomazione o a una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, al sesso e ai fattori socioculturali". Volendo fare un esempio, un non vedente è una persona che soffre di una menomazione oculare che gli procura disabilità nella comunicazione e nella locomozione e comporta handicap, ad esempio, nella mobilità e nella occupazione, per citare solo i principali. Quindi un unico tipo di menomazione può dar luogo a più tipi di disabilità e implicare diversi handicap. L’handicap è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, il disagio sociale e la condizione di svantaggio che limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto. Possiamo fare un esempio proprio su noi stessi ricorrendo all’attività laboratoriale “Orologio e barriere architettoniche” nel quale spiegavo come già volendosi soffermare sul significato stesso di barriere architettoniche, trovavamo diverse definizioni: “si definisce barriera architettonica un ostacolo che impedisce, limita o rende difficoltosa la vita di persone con una limitata capacità motoria. Non credo che queste siano un problema solo per persone disabili, in quanto una ricerca ancora più accurata afferma che un elemento che non costituisca barriera architettonica per un individuo può invece essere di ostacolo per un altro, mi rifaccio all’Atzori quando afferma che i limiti sono negli occhi di chi guarda o peggio ancora di chi ricopre cariche volte a tutelare TUTTI, senza alcuna eccezione. Ma questi limiti li riscontriamo ovunque, non solo nelle grandi città, il problema è presente a partire dalle piccole cose, anche una strada fatta di sanpietrini costituisce un problema per persone con limitate capacità motorie” e riportavo la situazione di mia madre che a seguito di un’operazione è stata definita disabile e trova difficoltà nelle piccole cose di ogni giorno.
    L’aspetto significativo del primo documento relativo all’ICIDH è stato quello di associare lo stato di un individuo non solo a funzioni e strutture del corpo umano, ma anche ad attività a livello individuale o di partecipazione nella vita sociale. Il secondo documento ha per titolo International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) indicativo di un cambiamento sostanziale nel modo di porsi di fronte al problema di fornire un quadro di riferimento e un linguaggio unificato per descrivere lo stato di una persona, non ci si riferisce più a un disturbo, strutturale o funzionale, senza prima rapportarlo a uno stato considerato di "salute", infatti il nuovo documento sostituisce ai termini "impairment", "disability" e "handicap" che indicano qualcosa che manca per raggiungere il pieno "funzionamento", altri termini nella nuova prospettiva, che sono: funzioni corporee, strutture corporee, attività e partecipazione e fattori ambientali. E’ una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad esse correlati in modo che la disabilità venga considerata come misura delle attività e delle prestazioni che l’ambiente esterno consente di espletare. La Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità è stata introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona, ovvero cosa quella persona è in grado di fare e in quali attività invece trova difficoltà tali da istaurare relazioni educative significative. La relazione educativa è qualsivoglia relazione che istauriamo con un’altra persona, ogni cosa che facciamo o diciamo per noi è apprendimento, è un momento educativo. I settings svolti in aula, soprattutto il secondo, hanno ben reso l’idea delle difficoltà che non solo gli educatori, ma soprattutto gli educandi affrontano: l’esempio della ragazza completamente sola fa notare come alla base ci sia voglia di conoscere e farsi conoscere, di creare relazioni con ciò che la circonda. L’educatore deve essere capace all’inizio di non catapultarsi nella storia, di non affrettare i tempi, l’educatore deve attendere, c’è un film molto importante, GENIO RIBELLE, protagonista un ragazzo da educare a cui dare una vita, all’inizio rifiuta ogni psicologo a cui viene affidato, xk non lo ascoltano, seguono gli schemi, poi fa notare come un nuovo psicologo nelle prime sedute è in silenzio e poi quando si apre allo psicologo egli aggiunge “queste cose la gente le chiamo imperfezioni, ma non lo sono, sono la parte ESSENZIALE, tu non sei perfetto campione” e ho riscontrato questi atteggiamenti anche nelle relazioni che io stessa ho istaurato con dei bambini ai quali insegno pallavolo e la simulazione riguardante il sindaco e la città ha reso noi vittadini “vuoti” perché eravamo attratti da tutte le ricchezze materiali che potevamo avere.

    2) Anna Maria Murdaca scrive il testo Complessità della persona con disabilità, rifletti su quali logiche guidano il suo discorso, riguardo:
     la rimodulazione del termine integrazione
     la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
     la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    riportando come, attraverso le tematiche proposte (il contesto sociale, la persona, lo spazio di cura come luogo riparativo), possiamo pensare in modo nuovo ad una relazione educativa


    Anna Maria Murdaca in “Complessità della persona e disabilità” vuole sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione. Da un lato una simile cultura impone necessariamente un'ottica progettuale e flessibile, articolata su livelli teorico-operativi e sulla continua modificabilità del soggetto, da cogliere nella sua prospettiva biografica; dall'altro necessita di un ripensamento dell'integrazione, intesa, sulla falsariga delle teorie psicoanalitiche, come "spazio riparativo" dove il disabile può sperimentare con gli educatori e gli insegnanti una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nel qui e ora della relazione educativa. L'integrazione diviene così costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, i mezzi per costruire la propria identità, prerequisito fondamentale per il raggiungimento dell'autonomia. Lo scopo finale, dunque, è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere. Perché ciò sia possibile è però necessario un lavoro integrato in grado di coniugare l'aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, assicurando iniziative di vera promozione personale e sociale. La Murdaca parla di cervello-mente-corpo per la motricità nella disabilità poiché solo attraverso una strategia integrata si arriverà ad una vera parità delle opportunità e ad un corretto riconoscimento delle potenzialità delle persone disabili in quanto il movimento rappresenta non solo il canale privilegiato per raggiungere il benessero psicofisico ma anche un elemento fondamentale per favorire i processi educativi-abilitativi, infatti l’unità corporea si raggiunge grazie all’azione, al movimento che denotano la scoperta della propria corporeità. Un progetto di vita per le persone con disabilità, che imparino a conoscere il proprio corpo, per me lo si può riscontrare anche nella domotica, altro concetto espresso in aula e nell’attività laboratoriale. La domotica è la scienza interdisciplinare che si occupa dello studio delle tecnologie atte a migliorare la qualità della vita nella casa e più in generale negli ambienti antropizzati. Il termine domotica deriva dal latino domus che significa "casa". Questa area fortemente interdisciplinare richiede l'apporto di molte tecnologie e professionalità, tra le quali ingegneria edile, automazione, elettrotecnica, elettronica, telecomunicazioni ed informatica. Le viene dato anche l’appellativo di “casa intelligente” che può essere controllata dall'utilizzatore tramite opportune interfacce utente: pulsanti, telecomando, touch screen, che realizzano il contatto con il sistema intelligente di controllo, basato su un'unità computerizzata centrale oppure su un sistema a intelligenza distribuita. E’ attualmente una tecnologia con costi molto elevati, ma è la possibilità di rendere autonome le persone disabili, e farle sentire autosufficienti credo sia per loro la realizzazione di un sogno, infatti si parla di: “...Forse è: un lusso nella sua accezione più evoluta” questo perché la domotica oggi non è utilizzata a pieno delle sue capacità, cioè: viene usata da persone ricche che desiderano una casa del futuro, poche sono le persone disabili che possono accedere ad una casa domotica, si dovrebbe far in modo d’agevolare la costruzione di case domotiche anche perché, se i prezzi fossero più accessibili, maggiori sarebbero le richieste, e molte persone vivrebbero meglio! Ma a questo esercizio sono connessi molti laboratori, come la resilienze dell’ATZORI o di PISTORIUS per quel che riguarda la scoperta del proprio corpo e della voglia di avere le stesse opportunità dei normodotati: la resilienza, oltre la comune definizione, è il superamento de proprio limite, in questo caso risalta l'esempio di Simona Atzori, una splendida libellula che rende partecipi del suo dono, perchè Dio non poteva "dipingerla" in modo diverso: Simona doveva essere così e affrontando ostacoli e paure ha fatto della sua vita un esempio reale dell'oltrepassare i propri limiti. Oppure: “Lui per parte sua rifiuta ogni tipo di giudizio che lo consideri inferiore a qualcuno meno sfortunato di lui: un esempio da seguire per chi tratta con l'handicap, una speranza per chi subisce l'atroce destino di perdere un arto, o peggio tutti e due. TI ACCORGI CHE SUL VOLTO C'E' LA SOFFERENZA E IL SUDORE DI CHI IN QUELLA CORSA STA METTENDO QUALCOSA IN PIU' DI DUE PEZZI DI CARBONIO. E scopri che lì c’è un uomo, solo un uomo..” Credo che nessuna frase meglio di questa possa rendere l’idea che ogni persona è diversa dall’altra in ogni caso, con protesi o meno, una persona è più veloce di un’altra anche senza protesi, una persona ha la forza di volontà e la VOGLIA DI VIVERE, indipendentemente dall’aspetto fisico.

    3)Remaury, Lipovetsky e Braidotti: proponi, arricchendole di riferimenti, le tue riflessioni su questi autori sul corpo trasformato e mostruoso (anche in riferimento al laboratorio le protesi estetiche).
    Oggi, la cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza, che nelle rappresentazioni della femminilità è associata al dovere che la donna abbia di coltivarla. Remaury nel suo libro “Il gentil sesso debole” afferma che siamo orientati tutti verso una corsa alla perfezione con un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Giovane, bella e sana: questa è l’immagine ideale della donna che propongono i media e la pubblicità. Su questo canone estetico evidentemente irraggiungibile le donne dovrebbero costruire la propria identità, affrontando spese e sofferenze fisiche alimentate da un fiorente Basandosi sull’osservazione delle immagini della donna di una volta e di oggi, questo libro risponde alla questione essenziale della specificità femminile e tenta di denunciare il carattere alienante dei discorsi sul corpo della donna. Secondo l’autore, l’intento di questo libro è quello di “smontare” il dispositivo che ingiunge alla donna di perfezionare incessantemente la propria bellezza e la propria salute, per riuscire a portare alla luce tutto ciò che contribuisce a rafforzare questo rapporto di soggezione che fa dell'individuo uno schiavo del proprio corpo. Lipovetsky afferma nel suo libro “ La terza donna” che una volta c'era la prima donna: svalutata, sfruttata, demonizzata. Poi è venuta la seconda: l'icona, l'ideale di virtù, la Beatrice. Ventunesimo secolo: è l'era della terza donna. Come una matrioska, racchiude in sé le due precedenti, ma le supera in una nuova accezione: quella di donna indefinita. Un termine da vedere come il fondamento dell'autodeterminazione. In un che ha suscitato scalpore con le sue affermazioni per molti versi scioccanti, ma che hanno il pregio di stimolare un dibattito ora stagnante, ora compiacente, Gilles Lipovetsky si avventura a passo di marcia sul terreno minato della condizione femminile, scatenando esplosioni ad ogni piè sospinto. Il fine ultimo della sua tesi è mostrare come la donna realizzi se stessa realizzando pienamente e consapevolmente la propria differenza. L’autore si chiede per quale motivo, nella moderna società occidentale, dove la parità dei diritti è sancita per legge, le scelte dei due sessi in materia di amore, matrimonio, lavoro, figli spesso sono addirittura divergenti, ed afferma che ciò è dovuto ai cliché del passato che tutt’oggi esistono e resistono, perché la troppo recente libertà deve essere ancora assimilata. In ultimo, Rosi Braidotti, scrive «Madri, mostri e macchine». La studiosa introduce la sua opera schierandosi contro quella che definisce come “inflazione discorsiva intorno alla materia corporea”, sottolineando cioè il rischio che non ci sia un momento di rottura decisiva nel pensare il rapporto corpo-mente. Una via per arginare il pericolo che non ci sia una tale rottura è legata all’utilizzo della psicoanalisi, che va usata come uno degli strumenti in grado di rigiocare il corpo in modo da liberarlo dal dualismo che lo ha ingabbiato per secoli. Rigiocare il corpo è infatti la possibilità che il femminismo è stata in grado di darsi nel momento stesso in cui si è posto come pratica sovversiva di saperi e di forme di conoscenza. L’analisi che porta il femminismo ad assumere una visione della corporeità scardinata e disordinata rischierebbe di macchiarsi di autorefenzialismo se non si aprisse all’analisi di altri discorsi della modernità, se non guardasse a realtà altre dal femminismo, che sottolineano le diverse visioni delle differenze. Laboratori a cui possiamo collegarci possono essere quelli relativi alle protesi estetiche che racchiuderei in una frase molto significativa su cui riflettere: “non mi lascerà mai, perché può cambiarmi quando vuole", James Ballard che racconta della moglie di un noto chirurgo plastico di Beverly Hills.


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    Messaggio  Fabiola Mangini Ven Mag 11, 2012 2:37 pm

    1)Nel 1970 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) elabora la prima classificazione Internazionale delle malattie o ICD. Questa classificazione focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca, l’analisi dei dati ed inoltre,avvicina le disabilità alle patologie cliniche. I termini principali utilizzati in questi anni sono MENOMAZIONE, DISABILITA’, HANDICAP.
    Nel 1980 l’Oms organizza una nuova classificazione:ICIDH. I termini menomazione,disabilità ed handicap vennero sostituiti da :menomazione, abilità, partecipazione (maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale). Ora definisco queste parole chiavi, più delle volte soggette a confusione, partendo dal termine menomazione. La menomazione è una qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. La menomazione è un danno organico, è una disfunzione che comporta una mancanza come non esistenza, o un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo, o una qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione. Per disabilità, invece, si intende l’incapacità, conseguente a menomazione, di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo e nell’ampiezza considerati “normali” per un individuo. La disabilità rappresenta l’oggettivazione della menomazione e come tale riflette i disturbi a livello di persona. La disabilità non è solo deficit, mancanza , privazione a livello organico psichico, ma è una condizione che va oltre la limitazione, che supera le barriere mentali ed architettoniche. Infine definisco il termine handicap. È la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o di capacità, la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, o al sesso.
    Nel 2001 l’Oms pubblicò il manuale di classificazione ICF ( Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), esso propone una definizione del concetto di disabilità. Secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. E’ così i termini menomazione, disabilità, handicap, propri della precedente classificazione, vengono sostituiti da termini quali : funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione , con l’intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. L’ICF classifica le conseguenze associate alle condizioni di salute, la salute e gli stati di salute ad essa correlati e pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia, permette quindi di evidenziare come esse convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinché possano contare su un’esistenza produttiva e serena. E’ necessario utilizzare un linguaggio internazionale comune( per esempio tra le ASL, oppure tra ospedali). Gli ambiti in cui può essere utilizzato l’ICF sono: Sanitario, Sociale, Educativo, Ricerca, Statistico, Politica sociale e sanitaria. I fattori personali non sono classificati nell’ICF in quanto possono essere diversi da soggetto a soggetto, da luogo a luogo. Rientrano nei fattori personali per esempio il sesso, la razza, l’età, la religione, la nazionalità, le caratteristiche di personalità, gli stili di vita.
    Adesso mi soffermo sulle parole DISABILE e DIVERSO, due termini profondamente carichi di molteplici significati che meritano una riflessione. Il disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana; questo perché viviamo , come ho detto nel commento delle barriere architettoniche, in un paese allo sbando capace di rendere queste questioni cose di poco conto e su cui investire poco, anzi pochissimo. Disabile è un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive, una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità oppure dal diverso funzionamento di una o più abilità. Spesso tutti assumiamo nei confronti della persona disabile un atteggiamento e uno sguardo di pietismo, quando, invece dovremmo comportarci esattamente al contrario. Essere disabile diventa una etichetta. Il disabile spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate. In seno a questo discorso ci siamo soffermati in aula confrontando una nostra giornata tipo con quella di un disabile, scoprendo che sono molte le cose che non potrebbe svolgere nello stesso nostro modo, a partire dalle azioni che abitualmente facciamo nelle nostre case. Per fortuna esistono anche persone che non si sentono disabili e riescono a compiere qualsiasi tipo di attività, come Oscar Pistorius. Spesso la parola disabile viene confusa con DIVERSO che invece vuole mettere in risalto persone che hanno anche abilità diverse dagli altri. Per questo si ritiene corretto parlare di diversamente abili o diversabili, considerandolo un termine propositivo e positivo. Tutto ciò che è diverso e quindi non si conosce di solito, può intimorire e spaventare. Il disabile ci fa paura perché è diverso da noi, e di conseguenza la diversità è concepita come “ non normalità”. Senza sapere che il concetto di normalità è assolutamente relativo e soggettivo. Oggi si parla spesso di “normalità”, soprattutto a proposito di disabilità e diversità. La diversità porta alla categorizzazione, cioè alla collocazione di certe persone in determinate categorie. Quando si pensa al diverso immaginiamo un soggetto non omologato, un individuo non simile alla maggior parte delle persone che vivono intorno a lui. Diverso può essere lo straniero, come abbiamo visto dal film : Indovina chi viene a cena , oppure Paul , mio grande amico che ho citato nel commento “la mappa degli stereotipi”. Il diverso di solito non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società. A questo punto tutti dovremmo essere etichettati in quanto ,come ho già detto in un altro commento, TUTTI siamo DIVERSI l’uno dall’altro, a partire dal colore dei capelli, degli occhi ecc. senza capire che è proprio la diversità a renderci umani. Purtroppo, chi è disabile/ diverso viene emarginato. Questo discorso lo abbiamo affrontato con una simulazione, in cui si immaginava delle persone emarginate che nonostante il loro voler mettersi in mostra non venivano minimamente considerate dal resto della popolazione, proprio come accade per alcune persone nella vita quotidianità.

    2)Anna Maria Murdaca docente esperta, autrice competente in questioni relative la persona con disabilità, scrive il testo “ Complessità della persona e disabilità”. Il testo mira alla rimodulazione del termine integrazione, alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità e alla ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità. Secondo la Murdaca bisogna dirigersi verso l’inclusione, adottando la logica della globalità che è centrata , anche, sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica. L’obiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze delle identità. L’integrazione è un processo continuo e non un punto di arrivo. Bisogna promuovere una integrazione che sia sociale, scolastica, lavorativa(legge104/92 art1). L’integrazione è intesa come “astratta normalità” che poi si traduce in propensione all’uniformità ovvero valorizzare al meglio le dotazioni individuali. Non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione , le persone si caratterizzano per capacità e non per quello che non sanno fare. Come emerge dal testo della Murdaca bisogna ricostruire una nuova cultura della disabilità e ridefinire un nuovo progetto di vita per le persone con disabilità, riflettendo sulle principali norme e disposizioni che regolano la tutela e di servizi in favore dei soggetti in situazione di disagio, sul problema delle barriere architettoniche ( come ho detto in un commento accade che su questo argomento se ne preoccupano molto alcuni programmi televisivi anziché le istituzioni), sui materiali e gli ausili che la tecnologia mette a disposizione, sulle possibilità e le potenzialità di inserimento lavorativo , sugli strumenti atti a calibrare e modulare l’approccio nei confronti di coloro che si trovano in posizione di svantaggio e classificare i vari tipi di disabilità (motorio, sensoriale, psichico). Bisogna tener presente il concetto di cura, come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti, volta alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare e , come dice Jonas, ricordarsi dell’unicità della sua storia, per accettarsi e convivere con la propria specialità. Ne deriva l’esigenza di parlare in modo nuovo di integrazione, come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica e come condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità-autonomia, identità, potenzialità personali. Un integrazione diventa inclusiva con una didattica di qualità, la quale costruisce una serie di attività atte a rendere significative la presenza dei disabili, non basta solo l’educazione classica ma c’è bisogno di educatori che consentono la crescita della persona in tutte le varie dimensioni. E’ importante coniugare l’aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, in modo che si possa garantire a costoro integrazione piena. Quindi bisogna cogliere tanto le disfunzioni comportamentali cognitive quanto innalzare la qualità della vita dei soggetti disabili. La costruzione dell’identità personale deve avvenire in luoghi rassicuranti ed è importante cercare i mezzi più idonei a valorizzare la differenza come risorsa. Integrazione è anche ricercare il rapporto con l’altro , consapevoli, però, che in questo rapporto non c’è solo l’altro ma ci sono due persone. Quest’ultimo punto è importante per noi che vorremmo diventare educatori, infatti , in aula abbiamo parlato della importanza della relazione educativa, in quanto quest’ultima come dice la Murdaca:« consente agli operatori di progettare delle opportunità educative da offrire al disabile affinché egli stesso ripensi al proprio stato e alle proprie capacità funzionali, moduli l’immagine soggettiva, elimini maschere, blocchi, disagi, facendogli scoprire le forze resilienti capaci di far superare le difficoltà insite nel profondo della personalità». In aula abbiamo trattato della relazione in vari ambiti, come la relazione docente/discente, legame che produce l’apprendimento. Tale relazione deve essere basata su incontro e scambio, non deve essere contrassegnata da una disparità di potere tra insegnante e alunno. Abbiamo parlato dell’importante relazione che si stabilisce tra madre e figlio, relazione educativa nella quale ad essere educati non sono sempre è solo i bambini ma a volte capita che sono proprio questi ultimi ad educare gli adulti, in questo modo la relazione educativa nasce dal confronto reciproco. Qualsiasi relazione tra due o più persone è educativa sia se è positiva sia se è negativa. Nelle relazioni educatore/educando è assolutamente necessario il rispetto reciproco. Alcune volte gli educandi sono adulti con difficoltà(come i tossicodipendenti, alcolisti, carcerati), in questo caso la relazione educativa è tra una persona guida e una persona in difficoltà, l’educatore deve cercare, allora, di capire chi ha di fronte, i suoi problemi, e le sue difficoltà. Una relazione educativa è anche uno scambio di emozioni tra due o più persone, crea un rapporto alla pari senza creare differenze. Per quanto riguarda la relazione educativa con il disabile, l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e organizzare programmi specifici per far emergere le doti del disabile e non le sue “mancanze”. La relazione si regge su alcune motivazioni, queste sono mosse da bisogni, gratificazioni, regole, preferenze. Nella relazione educativa è contenuta una finalità implicita, educare alla relazione con gli altri. In merito a ciò la professoressa ci ha proposto in aula due setting. Nel primo, come ho spiegato già nel mio commento, i protagonisti sono stati l’educatrice ed una ragazza con suo figlio, la quale si è immedesimata in una mamma al cui figlio mancava la maestra di sostegno. L’educatrice è stata accogliente, disponibile e calorosa anche con il piccolo bambino. Nel secondo setting ,invece, i protagonisti sono stati un educatrice ed un educando, una ragazza, la quale si è immedesimata in un adolescente timida, che non aveva amici e che si sentiva in tutte le occasioni inferiore agli altri. L’educatrice ha fatto delle domande, voleva indagare, capire meglio la sua situazione. E’ stato un bell’esercizio proprio perché ci riguarda da vicino e fa capire che la relazione educativa non è semplice poiché entrano in gioco diverse componenti. Tra queste è importante capire il silenzio, che non è mai semplice ma personale, privato, sociale, mistico e spirituale. Il silenzio può significare anche ascolto per permettere all’altro di trasmettere le sue emozioni. Dunque non va assolutamente sottovalutato.

    3)Analizzando il testo di Remaury, emerge che la cultura dell’immagine , nelle donne, si confonde con quella della bellezza. Il bisogno di essere bella è stato suggerito, persuaso e imposto dalla società. È emerso da diverse indagini che alle persone con aspetto giudicato attraente vengono attribuite anche virtù come onestà, bontà, gentilezza e intelligenza magari inesistenti. Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che una donna, oggi, deve continuare ad avere se vuole apparire in televisione. Infatti, come ho già detto nel commento “le protesi estetiche”, se si accende la tv non possiamo non notare a partire dai semplici programmi, modelle bellissime con fisici statuari, e lo stesso vale se si esce fuori dalle mura domestiche, non possiamo evitare il bombardamento di donne perfette sui cartelloni pubblicitari. Remaury dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza -bellezza -salute. Sembra che nella nostra società non si possa essere vecchi, malati, brutti, imperfetti.
    Lipovetsky nel suo libro la “Terza donna”, parla di teoria della maturità positiva della donna. Descrivendola come pienamente capace di controllare e gestire la propria immagine all’interno della variegata offerta di modelli sociali, tra i quali sembra poter scegliere quello che le è più congeniale. Il limite di questa maturità positiva è la possibilità che la donna si identifichi necessariamente in quei determinati modelli. Infine Rosi Braidotti, invece, propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina, creare un legame tra femminismo e tecnologia. Concludo con la stessa riflessione con cui ho chiuso il mio commento inerente a questo tema: “ la bellezza esteriore è secondaria, non bisogna puntare l’intera esistenza per migliorare il proprio aspetto fisico, perché la perfezione non esiste. La bellezza è LIBERA, si pensi alla fisicità morbida della Venere di Botticelli, a Botero, a Picasso. Credo che sia proprio questo ha rendere tutto più bello.”
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    Messaggio  francescacella Ven Mag 11, 2012 4:15 pm

    1)È importante, nel campo sanitario, saper distinguere i termini utilizzati nel campo della disabilità. Bisogna specificare in primo luogo che le parole deficit, disabilità ed handicap sono termini diversi e devono essere utilizzati in modo appropriato. Si occupa di questo problema l’OMS, ovvero l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha elaborato nel 1970 la prima classificazione internazionale delle malattie, col nome di ICD, tesa a cogliere la causa delle patologie e fornendone per ognuna la giusta descrizione. In seguito l’OMS ha dato vita alla classificazione ICIDH che si fonda su tre fattori basilari, indipendenti tra loro ma che allo stesso tempo interagiscono: menomazione, disabilità, handicap; sostituiti poi da menomazione, abilità e partecipazione.
    Menomazione: perdite materiali o anormalità che possono essere transitorie o momentanee; comprende difetti o perdite a carico di arti, tessute o alcune strutture del corpo.
    Disabilità: incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo considerato “normale” per un individuo.
    Handicap: difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto con gli altri.
    Ancora è tato pubblicato dall’OMS un manuale di classificazione che propone una definizione del concetto di disabilità multidimensionale sotto il nome di ICF che sta per Classificazione intenzionale del funzionamento, della disabilità e della salute. Secondo quest’ultima la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. L’ICF descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati, quindi non classifica solo condizioni di salute, malattie e traumi ma per lo più le conseguenze associate alle condizioni di salute. Le informazioni raccolte dall’ICF sono di grande importanza e vengono utilizzate in più ambiti: sanitario, sociale, educativo; nel campo della ricerca, in Politica sanitaria e sociale. La classificazione ICF è organizzata suddividendo le informazioni sulla salute della persona in due parti: funzionamento e disabilità, fattori contestuali; la prima comprende i fattori organici, ovvero strutture corporee e funzioni corporee; la seconda parte comprende i fattori ambientali che influenzano tutte le componenti del funzionamento e della disabilità. L’ICF sottolinea l’importanza di valutare l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui in quanto può influenzare lo stato di salute e ridurre capacità tese a scolgere le mansioni che ci vengono richieste. L’ambiente può essere una barriera o un facilitatore. Per comprendere quali sono le barriere è possibile fare un esperimento molto facile che io stessa ho svolto durante il corso di pedagogia della disabilità: ho narrato nei dettagli una mia giornata tipo e in un secondo momento l’ho ripercorsa con gli occhi di un disabile, notando le grandi difficoltà. La mia giornata è ricca di ostacoli, salgo e scendo da pullman, funicolari e percorro avanti e indietro scale; già sotto questo punto di vista per un disabile sarebbe molto complicato fare ciò per la mancanza delle barriere architettoniche. Quando feci questo esperimento mi sentii molto a disagio perché fino ad allora avevo mai pensato a quanto potesse essere complicato per qualcuno ciò che per me è veramente facile, mi sono sentita mortificata, in imbarazzo.
    Oggi è molto importante discutere e riflettere sulla differenza tra due termini: disabile e diverso. Iniziamo parlando del termine disabile: una persona che non può svolgere attività nomali; una persona con disfunzioni motorie o cognitive; una persona affetta da disagi sociali. Spesso nei riguardi di una persona con disabilità si tende ad assumere un atteggiamento di pietà, tristezza non capendo che questo atteggiamento peggiora lo stato di handicap del soggetto. Altre volte si presenta il caso di disabilità ma di non sentirsi tali perché riuscire, tramite le protesi, a compiere qualsiasi tipo di attività. Qui si presenta il caso di “resilienza” ovvero non abbattersi dinanzi le avversità e combattere la “malattia” con fiducia e speranza. Un caso di resilienza e la Atzori, donna nata senza braccia che non ha voluto le protesi ma è cresciuta con grande coraggio imparando a compiere tutte le attività con l’uso dei piedi. È divenuta una grande ballerina ed un esempio al quale ispirarsi per chiunque individuo.
    Diverso: una parola, più significati. Abbiamo affrontato questo termine nel laboratorio degli stereotipi, analizzando confrontandomi con le mie colleghe più termini. Diverso ha riscosso molte riflessioni: ognuno è diverso dall’altro, non solo dal punto di vista patologico, ma da tutti i punti di vista: può essere diverso perché ha colore di occhi, capelli, pelle differente, può essere diverso per una distinzione di carattere, corporatura; diversi lo siamo tutti l’uno dall’altro, ognuno nasce con le proprie caratteristiche, ma per me non si è diversi in quanto persona! Siamo tutti persone, ed in quanto tali dotati di diritti, sentimenti ed emozioni; non è giusto discriminare una persona e considerarla inferiore perché disabile.
    2) “Una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento, del comportamento e/o dell’assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione [……]” questo è quello che scrive Anna Maria Murdaca nel testo Complessità della persona e disabilità mirando ad una formulazione nuova del termine “integrazione”, ad una nuova cultura della disabilità e ad una comprensione del reale stato di vita dei disabili. È importante riflettere sulla complessità della persona con disabilità, e dunque la sua integrazione in abito educativo, sociale e ciò che causa la marginalità. L’obiettivo fondamentale è quello di valorizzare la persona umana rispettando differenze ed identità. L’integrazione è un processo continuo, un processo sempre in sviluppo, c’è una continua ricerca di soluzioni per salvaguardare i disabili ed i loro diritti, non solo da un punto di vista teorico ma anche pratico. Nel termine integrazione inseriamo anche una valorizzazione delle dotazioni individuali e non è giusto discriminare una persona perché disabile dato che, in persona quanto tale, gode degli stessi diritti.
    In un laboratorio che si è tenuto a lezione, riferendoci all’argomento protesi, abbiamo toccato un argomento per me importante. Protagonista di questo episodio è stato Oscar Pistorius, disabile e più accuratamente, paraplegico; egli fin da piccolo ha la passione per gli sport e non ha caso, grazie alle protesi, è un campione a correre e probabile vincitore alle Olimpiadi. Purtroppo questo è stato molto criticato, fino a chiedere il divieto per Pistorius di presentarsi alle Olimpiadi in quanto le protesi gli consentono di correre più veloce rispetto ad un normodotato. Il mio pensiero va contro queste critiche in quanto ritengo che concedere ad un disabile delle protesi per dargli una stabilità nel vivere quotidiano e poi impedirgli di praticare una passione per lo stesso motivo, è come non essergli stato per niente d’aiuto, anzi per me è demoralizzarlo ancora di più perché è ricordargli di essere sempre un passo indietro agli altri. Ed allora qui l’integrazione dov’è? oppure quando parliamo delle barriere architettoniche, ripercorrendo la mia giornata non c’è nulla che faciliti un disabile (paraplegico in questo caso) a percorrere gli stessi miei tragitti… sembra fare un passo avanti e dieci indietro. Dare le protesi ad un disabile per vivere e poi negargli qualcosa allo stesso tempo non è da apprezzare.
    È importante ricreare una nuova cultura della disabilità che deve essere attenta ai bisogni delle persone con disabilità, a migliorare la qualità di vita, e a cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive. La costruzione dell’identità personale deve avvenire in luoghi rassicuranti capaci di salvaguardare le differenze valorizzandole come risorsa. Secondo Murdaca bisogna abbandonare la logica dell’inserimento e dirigersi verso l’inclusione, e parlare di “riformulare l’integrazione” vuol dire guardare alla globalità della persona. L’integrazione deve consistere in un’azione di sviluppo, coordinazione di processi motori e psicomotori, risposte emotivo affettive e così via. Oggi esistono delle case molto tecnologie che permettono ai disabili di poter vivere da soli e divenire padroni della loro vita; queste case prendono il nome di DOMOTICHE. Grazie ad un apparato tecnologico computerizzato, la persona con disabilità può controllare mediante un semplice telecomando tutte le azioni importanti della casa, come aprire il portone del citofono, la porta, accendere la televisione; addirittura esistono case che riescono a portarti nei vari luoghi della casa. Purtroppo, come tutto ci sono pro e contro, sono case molto costose che non tutti possono permettersi; ritorniamo al discorso di prima; fortunatamente esiste un programma televisivo volto proprio ad aiutare i disabili mettendo loro a disposizione case domotiche senza spendere soldi.
    Un’altra interessante proposta del testo è ri-pensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità che non devono essere trattati come di uno stato inferiore, con un senso di pietà. Bisogna sollecitare questa idea in ogni contesto: della comunicazione, delle relazioni, e quindi bisogna ragionare, lavorare su cosa di deve ancora fare, quanto si può ancora fare, migliorare sempre. Si pensa ad una comunità sociale che superi i limiti di una società che trascura sempre i soggetti disabili. Per produrre un adattamento si deve guardare di più alla presenza del soggetto piuttosto che all’assenza delle funzioni.
    Oggi come oggi, il disabile è considerato sempre ai margini della società, trattato sempre come un essere inferiore, e guardato con sguardo di pietà. Quello che Murdaca ha voluto esprimere col suo libro è che i disabili sono persone come tutti, che forse Dio per loro ha costruito un altro progetto, che comunque deve essere trattati normalmente come tutti; non c’è cosa più brutta per un disabile di essere guardato e giudicato, è quello che lo rende più debole! Murdaca vuole sollecitare le persone, almeno dal mio punto di vista, da quello che ha smosso in me, a dare una mano per questa rinascita della società, a combattere per i diritti di queste persone, a stargli vicino ed aiutarli; semplicemente a guardarli nel modo in cui ci riflette lo specchio, da ESSERI UMANI.

    3)Remaury col suo testo Il gentil sesso debole, le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute; Lipovetsky con La terza donna; e Braidotti con Madri mostri e macchine: questi sono i tre autori che parlano della corsa verso la bellezza, della trasformazione della cultura dell’immagine nelle donne, e del continuo miglioramento estetico. Oggi la rappresentazione della femminilità non sta più nel “cervello” ma nell’aspetto fisico e la donna ha il compito di coltivare la bellezza. Oggi “bellezza” e “bruttezza” sono diventati degli stereotipi, o lo si è l’uno o lo si è l’altro, non vengono considerati altri fattori, prima era imposto solo dalle donne, ora sembra imporlo la società stessa con in fenomeno massmediatico di cui ne siamo consapevoli. Le recenti manipolazioni corporee hanno cambiato radicalmente l’idea di corpo, ricercando sempre di più la perfezione. I valori che si vogliono cogliere sono l’eterna giovinezza, la perfetta bellezza e la salute totale, infatti se si parla di malattia si parla di sano, se si parla di peso si parla di magro, se parliamo del tempo parliamo di giovane!
    La corsa verso questa continua perfezione, questa eterna bellezza non fa altro che trasformare le donne, la femminilità in “mostro”, un essere malformato, un cambiamento radicale dell’organismo corporeo. Le protesi estetiche erano nate per motivi di salute, per curare malformazioni, oggi sono utilizzate per scopi superficiali ed egoistici. Per quanto mi riguarda io sono d’accordo per l’uso delle protesi estetiche per scopi di salute, ma non per scopi altri, in quanto dobbiamo essere solo grati di quello che possediamo e smetterla di correre una gara in cui non c’è alcun premio.
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    Messaggio  Votto Michelina Ven Mag 11, 2012 9:49 pm

    Nel 1970 l’OMS(Organizzazione mondiale della sanità) ha elaborato la prima classificazione internazionale delle malattie: l’ICD (International Classification of Diseases); fornendo ad ogni patologia o disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche tradotte in codici numerici secondo lo schema di eziologia (studio e approfondimento sul motivo per cui alcuni eventi o processi si verificano, o persino sulle ragioni che si nascondono dietro determinati avvenimenti), patologia, manifestazione clinica. Con questa tipologia di classificazione si elencano le patologie e si avvicina il termine disabilità a patologia.
    Nel 1980 l’OMS ha ritenuto opportuno elaborare una nuova classificazione internazionale: l’ICIDH (International Classification of Impairments Disabilities and Handicaps) nella quale i termini deficit, disabilità e handicap sono stati sostituiti da: deficit, abilità e partecipazione, attraverso una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e proponendo un nuovo atteggiamento nei confronti delle persone disabili.
    Nel 2001 OMS propone l'ICF (International Classification of Functioning, Disabiliy and Health) il quale rappresenta un’autentica rivoluzione nella definizione e quindi nella percezione di salute e disabilità, i nuovi principi evidenziano l’importanza di un approccio integrato, che tenga conto dei fattori ambientali, classificandoli in maniera sistematica.
    Il nuovo approccio permette la correlazione fra stato di salute e ambiente arrivando così alla definizione di disabilità come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
    Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con il progetto “ICF in Italia” propone di avviare un’azione sperimentale di stimolo affinché il più ampio numero di persone che operano nel settore della disabilità, operatori sanitari, sociali ed educativi, sia formato ad una diversa cultura e filosofia della disabilità, all’uso ed ai vantaggi della nuova classificazione dell’OMS e degli strumenti ad essa collegati.
    Accettare la filosofia dell’ICF vuol dire considerare la disabilità un problema che non riguarda i singoli cittadini che ne sono colpiti e le loro famiglie ma, coinvolge tutta la comunità e, innanzitutto, le istituzioni.
    La persona è considerata nella sua interezza, sono evidenziate le conseguenze associate allo stato di salute e si analizza la qualità della vita delle persone affette da patologie e in che modo convivono con il loro stato di salute e in che modo sia possibile migliorare la loro vita e le loro relazioni.
    Questo passaggio è, a mio parere, fondamentale perché la persona diviene soggetto di qualsiasi tipo di intervento assumendo capacità di scelta e non considerato mero oggetto di cure sanitarie o assistenziali.
    Gli attori dell'ICF sono la persona e l'ambiente. L’ambiente risulta di notevole valenza in quanto luogo dove la persona vive, si relaziona con gli altri e ,in special modo per le persone disabili, può favorire l’integrazione o l’emarginazione come si è evidenziato nei video visionati durante le lezioni, dove erano evidenti i molteplici handicap che incontravano le persone disabili: montascale non funzionanti, scivoli impegnati da autoveicoli in sosta selvaggia, ecc.
    Durante il laboratorio dell’ orologio sulle barriere architettoniche ho svolto una seria autocritica sul mio comportamento, spesso inadeguato, e auspico si promuova una maggiore informazione e sensibilizzazione inerente le tematiche della disabilità.
    Una parte del laboratorio svolto in aula ha chiarito alcuni termini come disabilità e diverso.
    La disabilità è la perdita o la limitazione, conseguente a un deficit, a compiere determinate funzioni o di assolvere compiti nel modo considerato normale (es. scrivere con la mano). Il termine diverso è molto complesso, tutti siamo diversi dagli altri, siamo essere viventi unici ed irripetibili, con caratteristiche fisiche, vissuti, sentimenti, pensieri, desideri, emozioni che appartengono solo a noi.
    Il diverso è altro da me, il diverso è il prossimo attraverso il quale riconosco la mia identità, è arricchimento, e colui che mi aiuta ad uscire da me.
    Nel film visionato “Indovina chi viene a cena?” ragionavo sulla “paura” del diverso (in quel caso diverso per colore della pelle) la quale sottintende i numerosi pregiudizi esistenti tra i protagonisti e riflettevo sul percorso svolto dai protagonisti per provare ad accettare l’altro.
    Il diverso (il disabile, l’immigrato, il ragazzo disadattato) a volte è emarginato, durante la simulazione del Sindaco dittatore, ho provato la condizione di emarginazione ed ho scoperto il senso di abbondono, di esclusione e di impotenza nei confronti di chi aveva deciso tale discriminazione casuale (persone con occhiali).
    Le odierne Politiche Sociali promuovono percorsi di inclusione sociale e di cittadinanza attiva ma, a mio avviso, vi è tanto ancora da compiere per attuarli concretamente.


    La dott.ssa Anna Maria Murdaca è una esperta docente nonché autrice puntuale di scritti relativi ad argomenti di disabilità.
    Nel testo “Complessità della persona con disabilità” concentra la sua attenzione su un nuovo approccio nei riguardi della persona disabile, la persona viene considerata nella sua interezza, nella sua globalità ,quindi con i suoi vissuti cognitivi-affettivi che vengono elaborati, criticati, costruiti nel qui ed ora della relazione educativa.
    Negli ultimi 30 anni si è assistito, nel mondo della disabilità, al cambio di parole d’ordine; da inserimento (Legge 118/1971) a inclusione.
    La parola inclusione presuppone un cambio di prospettiva, l’inclusione riguarda tutte le persone e la condizione umana, la quale può presentare difficoltà di vita e situazioni di disabilità.
    Il termine inclusione ci fa ragionare sul suo termine opposto: l’esclusione e ci fa affermare che le strategie e le azioni da promuovere devono tendere a rimuovere quelle forme di esclusione sociale di cui le persone disabili soffrono nella loro vita quotidiana: l’esperienza scolastica spesso vissuta ai margini della classe, l’abbandono scolastico, il mancato apprendimento di competenze sociali e di vita, l’esclusione dal mondo del lavoro, le esperienze affettive spesso relegate all’ambiente familiare, una scarsa partecipazione alle attività sociali e di tempo libero.
    Includere significa offrire l’opportunità di essere cittadini a tutti gli effetti, ciò non significa negare il fatto che ognuno di noi è diverso o negare la presenza di disabilità che devono essere trattate in maniera adeguata, ma vuol dire spostare l’analisi della persona al contesto per individuare gli ostacoli e operare per la loro rimozione.
    Il fine è promuovere condizioni di vita dignitose e un sistema di relazioni soddisfacenti nei riguardi di persone che presentano difficoltà nella loro autonomia personale e sociale, in modo da sentirsi parte di una comunità e di contesti relazionali dove poter agire, scegliere, giocare e vedere riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità.
    Guardare la persona nella sua globalità e non scomponendola in funzioni da curare separatamente, dove cura è inteso come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti che tendono alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e che può diventare, dove “cura” diventa cura di sé”.
    Promuovere l’inclusione significa quindi lavorare per far si che ogni persona, indipendentemente dalla propria condizione non subisca trattamenti diversi o degradanti, significa agire nei confronti della società, dei territori per renderli inclusivi, cioè capaci di dare concretezza, modificandosi quando è necessario, al diritto di cittadinanza di tutte le persone.
    Occorre quindi un cambiamento culturale e sociale, occorre andare oltre l’erogazione dei servizi e promuovere percorsi che consentono un reale miglioramento della qualità della vita della persona con disabilità e della loro famiglia, ciò permette il passaggio da una visione di risposta parcellizzata o di risposta all’emergenza del problema ad una visione progettuale a lungo termine: il progetto di vita.
    Agire sul territorio concretamente significa creare occasioni di incontro, scambio, conoscenza, condivisione e dialogo in grado
    di coinvolgere la realtà del territorio attraverso proposte che sappiano creare le condizioni ideali per la costruzione di relazioni positive, ponendo l’accento non solo sulla condizione di disagio, ma sulla ricerca di un benessere comune proponendo esperienze partecipative: dall’organizzazione di momenti di intrattenimento e socializzanti, alla realizzazione di progetti comuni dove ogni partecipante può sperimentarsi in un ruolo attivo.


    L’antropologo Bruno Remaury nel suo libro ”Il gentil sesso debole” opera uno studio dei rapporti controversi tra mass media e corpo femminile, ci spiega le ragioni e le sofferenze della donna attraverso i messaggi promozionali che ad essa si rivolgono i quali hanno sostituito i precetti di educazione morale e fisica. L’autore individua nell’immagine femminile resa oggetto la negazione dell’acquisita libertà di scelta da parte della donna che doveva sottrarla dalla mossa della plasmazione ad uso del pensiero maschile.
    Il saggio di Remaury si potrebbe leggere come prima introduzione al canone della norma, la norma comunicativa che racchiude la triade: bellezza, salute, giovinezza. Il corpo femminile è inteso in senso positivista, come via via perfezionabile di pari passo con la presunta civilizzazione, i metodi invasivi della bellezza a portata di tutti sono quelli offerti dalla cosmetologia e dalla chirurgia estetica, l’operazione invasiva di asportazione, ricomposizione, rimodellamento dell’identità non fanno che dichiarare l’assoluta soggezione della donna preda di una pratica manipolatoria sottesa e astuta.
    Il linguaggio della persuasione estetica appare alienante nella sua pretesa d’apparente benessere, in cui il soggetto è chiamato a ridurre l’essere al corpo.
    Il filosofo, scrittore francese Gilles Lipovetsky nel libro “Una felicità paradossale. Sulla società dell’iperconsumo” riflette sul benessere della società odierna.
    Lipovetsky afferma che il benessere è ormai passione di massa e il progresso tecnologico deve essere al servizio del iperconsumatore, che si rivela un giudice sofisticato delle merci gettate sul mercato, un filtro del gioco della domanda e dell’offerta.
    La felicità raggiunta dal soggetto si rivela un piacere ferito, il senso di potenza si accompagna alla consapevolezza di una irrimediabile solitudine.
    La filosofa Rosi Braidotti è da anni al crocevia del dibattito femminismo, identità, nuove tecnologie.
    Nel testo “Madri, mostri e macchine” la filosofa evidenzia come la donna nella maternità è capace di deformare il proprio corpo, diventando nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre al contempo.
    Ed è a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare oltre alla mostruosità anche la macchina prestandosi al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l’immaginario che le sostiene. Creare un legame tra femminismo e tecnologia, giocare con l’idea di corpo-macchina è certamente un rischio e non dà alle donne la certezza di uscirne vincitrici. L’attuale cultura femminista è coinvolta nell’universo cyber-mostruoso, come e quanto ogni altro movimento sociale o pratica culturale e politica nelle società tardo post-industriale. Si declina l’idea di un corpo secondo una traiettoria di deformabilità/deformazione in cui si mescolano i mostri (orribili e meravigliosi) e corpi femminili che sono eccentrici e mutanti perché, con o senza l’aiuto della tecnologia, protagonisti di maternità.
    Anche nelle mie riflessioni svolte precedentemente nel forum delle protesi estetiche , ho posto l’accento sul, a mio avviso, eccessivo valore affidato all’estetica nella nostra società, ai canoni di bellezza offerti dai mass media e alla sola preoccupazione di avere un corpo sano e bello, inteso come una macchina da perfezionare e rimodellare, dimenticandoci che la persona non è solo corpo ma ben altro, e invece viene considerata mero consumatore e utilizzato da molti come filtro di domanda e offerta per il mercato.


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    Milena Capasso


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    Messaggio  Milena Capasso Sab Mag 12, 2012 9:05 am

    “Quello che definisco grado zero è il livello di partenza per ciascuna definizione.
    Solo decostruendo e poi ricostruendo il grado zero della nostra visione possiamo capire cosa significano le parole e quale legame hanno con i significati socialmente attribuiti”.
    Sono partita dall’ultima pagina del libro “Nozioni introduttive di Pedagogia della disabilità” della professoressa Floriana Briganti perché ritengo che, in modo chiaro, sintetizzi un po’ il nucleo fondativo di tutti e tre i punti della discussione.
    La stessa idea l’ho ritrovata in un altro libro che, pur trattando tematiche diverse, parte dallo stesso assunto di base: il potere delle parole. Gianrico Carofiglio nel suo saggio “La manomissione delle parole” sostiene che “è necessario un lavoro da artigiani per restituire verginità, senso, dignità e vita alle parole. E’ necessario smontarle e controllare cosa non funziona, cosa si è rotto, cosa ha trasformato meccanismi delicati e vitali in materiali inerti. E dopo bisogna montarle di nuovo, per ripensarle finalmente libere dalle convenzioni verbali e dai non significati”.
    Le parole, dunque, hanno un potere immenso e il loro uso deve essere ben ponderato. Questo vale in tutti gli ambiti e nel caso della disabilità l’attenzione deve essere ancora più elevata.
    L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha cercato di venire incontro all’esigenza di trovare definizioni sempre più pertinenti alle diverse manifestazioni patologiche, includendo tra queste, inizialmente, anche la disabilità, stilando nel corso del tempo una serie di classificazioni.
    La prima classificazione, elaborata nel 1970, è la “Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD) che focalizza l’attenzione sulle cause della malattia e si concentra sulla memorizzazione, sulla ricerca e sull’analisi dei dati rappresentati dai codici numerici nei quali vengono tramutate le diagnosi.
    Questa prima classificazione è piuttosto scientifica ma non mette in luce il soggetto in quanto essere dotato di proprie abilità.
    Viene così redatta una nuova classificazione nel 1980 l’International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH) i cui punti cardine sono: la menomazione che indica qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica; la disabilità (successivamente sostituita dal termine abilità) che indica qualsiasi limitazione o perdita conseguente a menomazione della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano; l’handicap (successivamente sostituito dal termine partecipazione) che indica la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, il disagio sociale che deriva dalla perdita di funzione o di capacità, la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età o al sesso.
    Credo sia opportuno soffermarsi un momento su queste tre definizioni. E’ infatti socialmente diffusa l’idea che menomazione, disabilità ed handicap indichino la stessa condizione ovvero quella di una persona affetta da deficit non in grado di fronteggiare situazioni normali. Soprattutto il termine handicap è stato usato nel corso del tempo (e qualche volta avviene ancora oggi) con un’accezione negativa comportando gravi conseguenze quali il considerare l’handicap come un problema solo di chi ha qualche deficit e il pensare che coloro che sono afflitti da qualche deficit non siano uomini come tutti gli altri.
    In realtà l’handicap e la disabilità sono maggiormente legati al contesto sociale. Questa nuova concezione viene ampiamente rimarcata nella Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute (ICF) stilata nel 2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nella quale i termini menomazione, disabilità ed handicap vengono sostituiti da funzioni, strutture corporee e attività e partecipazione con l’intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. Pertanto l’ICF, utilizzando un linguaggio internazionale comune, è stata formulata per classificare la salute e gli stati di salute ad essa correlati e pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia.
    Nella struttura organizzativa dell’ICF vengono evidenziate non solo le informazioni relative al Funzionamento e alla Disabilità ma anche quelle relative ai fattori ambientali. Sono proprio questi ultimi molto spesso a procurare le maggiori limitazioni. Infatti il disabile, seppur affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive o da mancanza di una o più abilità, potrebbe condurre una vita piuttosto normale se non trovasse continui ostacoli sul suo percorso. Questo aspetto è stato sottolineato anche attraverso i video visionati in aula durante il laboratorio relativo alle barriere architettoniche che ha fatto emergere in me sentimenti di rabbia, rifiuto, indignazione nel vedere le reali difficoltà che un disabile incontra quotidianamente. La disabilità, quindi, da condizione legata ad una menomazione deve essere analizzata come fattore sia personale che sociale. Certo ci sono persone con disabilità che non si sentono tali perché sono riuscite a superare le barriere e le limitazioni che si sono presentate e mi riferisco a Simona Atzori, ad Oscar Pistorius ma anche al prof. Palladino, ai membri dell’U.N.I.Vo.C. tutti straordinari esempi di resilienza, di voglia di vivere, di voglia di lottare e di farcela nonostante le difficoltà che si possono incontrare.
    Tuttavia non va dimenticato che molto spesso è la società, è il contesto ambientale e culturale che rende handicappati, che crea delle condizioni di svantaggio e di difficoltà tali da far sentire diversi coloro che sono affetti da deficit. C’è un bellissimo romanzo autobiografico di Giuseppe Pontiggia che si intitola “Nati due volte” che affronta il tema del rapporto tra un padre e un figlio tetraplegico e a proposito della diversità c’è un passaggio molto intenso e significativo: “Quando si è feriti dalla diversità, la prima reazione non è di accettarla, ma di negarla. E lo si fa cominciando a negare la normalità. La normalità non esiste.
    Non è negando le differenze che si combatte il bisogno della norma ma modificando l’immagine della norma”. Quindi ciò che è sbagliato è la categorizzazione cioè la collocazione di certe persone in determinate categorie. Ma la diversità, come ho avuto modo di sottolineare nell’intervento relativo agli stereotipi, è una risorsa. Non è mai un elemento di discriminazione o meglio non dovrebbe mai esserlo. Ogni essere umano è un universo a sé, ha delle caratteristiche uniche ed inimitabili che possono solo arricchire l’altro se però si considera la complessità, l’umanità e la globalità della persona e se ci si proietta verso l’inclusione e verso l’integrazione. Anna Maria Murdaca nel testo “Complessità della persona e disabilità” parte da un presupposto semplice ma tuttavia molto complesso: l’integrazione è un processo continuo e non un punto di arrivo. Sebbene l’autrice pone l’accento soprattutto sull’integrazione delle persone con disabilità, io credo che bisogna partire dall’integrazione di ogni persona. E qui mi riferisco proprio a ciò che sostiene la Murdaca: l’obiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità. Questo è assolutamente necessario in qualsiasi contesto, anche se in alcuni è più facilmente riscontrabile, ad esempio nelle associazioni. Infatti, come ho segnalato nell’intervento a proposito dell’Associazione Sifo-Ronga, la cosa più bella è trovarsi li, con quelle persone e realizzare qualcosa di buono che sia a favore dell’ambiente, dei disabili, dei bambini. Si vivono momenti di confronto, si realizzano iniziative e incontri costruttivi e ogni attimo vissuto in associazione è un’esperienza che ti porti dentro sempre perché ti coinvolge fisicamente, psicologicamente e soprattutto emotivamente.
    Integrarsi significa, dunque, apportare la propria ricchezza e la propria unicità in un nuovo contesto e ricevere la ricchezza e l’unicità degli altri. A tal proposito la Murdaca realizza una vera rivoluzione del termine integrazione sottolineando il fatto che tale termine deve essere riformulato come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica e come condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità, autonomia, identità, potenzialità personali. Se poi si associa questo concetto alla disabilità, sostiene ancora l’autrice, è indispensabile non dimenticare che si tratta di persone, per cui non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione ma al contrario valorizzare al meglio le dotazioni individuali.
    E’ quindi importante considerare che è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap poiché è l’ostacolo che impedisce ad una persona con deficit di portare a termine una particolare attività, e sono sempre gli ostacoli e le barriere fisiche come pure quelle mentali e culturali a favorire il processo di esclusione e di emarginazione. In questo quadro ben si colloca la figura dell’educatore intesa come colui in grado di stimolare, promuovere e realizzare la relazione educativa. Tale relazione deve essere incontro e scambio, partecipazione ed alleanza e non asimmetrica. L'educatore, per fa si che la relazione avvenga, deve costruire e rafforzare il rapporto con l'individuo in modo costante, deve avere un comportamento basato sul rispetto e parità, deve far sentire a suo agio l'individuo da educare creando un clima di fiducia.
    Una relazione educativa è uno scambio di emozioni tra due o più persone. Alla base di una relazione educativa vi e' la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all'accoglienza, all'ascolto, lasciando spazio alla libertà dell'altro e costruendo insieme un progetto di vita personale e originale.
    Al primo posto nella relazione educativa c'e' un ricco e positivo legame affettivo che permette alla persona che sta di fronte di fidarsi per poi esprimere le proprie emozioni.
    Quindi la relazione educativa, con particolare riferimento alla disabilità, viene ad essere, secondo la prospettiva della Murdaca, lo spazio riparativo nel quale il disabile sperimenta con gli educatori, con gli insegnanti una serie di situazioni, di vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nel qui e ora della relazione educativa. Questo significa portare il disabile verso lo sviluppo della propria identità, della propria autostima, verso la costruzione dell’identità personale tenendo conto non solo dell’aspetto educativo ma anche di quello didattico, di quello terapeutico, di quello riabilitativo e di quello sociale al fine di garantire il vero diritto all’integrazione. Tale diritto si rivela assolutamente necessario dal momento che l’attuale società tende ad escludere e ad emarginare chiunque non risponda ai canoni imposti di salute bellezza e giovinezza e di un corpo tendenzialmente perfetto.
    In particolare con Remaury e Lipovetsky ci si riferisce al corpo trasfigurato legato all’immagine della perfezione corporea; al corpo esatto che compie progressi verso la perfezione grazie alla scienza; al corpo liberato dalla malattia quindi sano, dal peso quindi magro, dal tempo quindi giovane. Esattamente l’opposto di quanto visionato in aula a proposito delle opere d’arte e delle immagini delle pubblicità. O probabilmente, più che opposto direi che sono questi elementi portati all’eccesso. E così nel “ritratto della ballerina Anita Berber” che mi aveva colpito in particolar modo, l’immagine che ci restituisce Otto Dix, o forse quella che io colgo, è quella di una donna provata dalla vita, di una donna che nonostante il suo apparire “trasgressivo” è infelice, di una donna che vuole sembrare a tutti i costi diversa da ciò che realmente è.
    Dunque, Remaury ritiene che siamo orientati verso la perfezione con il triplice obiettivo di giovinezza-bellezza-salute per cui la cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza e Lipovetsky cede il passo ai modelli dominanti e con la teoria della maturità positiva della donna vuole dimostrare l’acquisita capacità di controllo e di gestione della propria immagine di quest’ultima nascondendo però il limite che la donna si identifichi necessariamente in quei determinati modelli.
    In virtù di questi ideali di bellezza l’autrice Rosi Braidotti nel testo “Madri Mostri e Macchine”, afferma che per definire bellezza e mostruosità occorre immaginarle come due estremi opposti che si distanziano dal grado zero di mostruosità, che rappresenta quanto si intende soggettivamente per normalità. L’autrice sostiene che la donna, capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre al contempo. E a partire da questa visione la Braidotti propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina.
    Per la studiosa occorre ripensare la relazione tra le madri, i mostri e le macchine attraverso il corpo e la sua rappresentazione simbolica. L’idea di un corpo-macchina legato anche alla bellezza è proprio quella che ho ritrovato in un articolo a proposito delle protesi estetiche. L’articolo dal titolo “La modella con le gambe bioniche” riguarda una bellissima attrice e modella americana a cui vennero amputati gli arti inferiori a un anno. Ciò che ritengo maggiormente interessante è il fatto stesso che si tratti di una modella!
    La modella è per definizione, o meglio per cultura, simbolo di bellezza, di perfezione, di appariscenza.
    Qui invece si rompono gli schemi tradizionali e ci troviamo di fronte ad una donna, bellissima certo, a cui sono state amputate le gambe e che si propone come modello di bellezza.
    Tuttavia, come sostiene la stessa modella, la questione non è tra corpo e tecnologia, tra bellezza e disabilità, tra protesi ed estetica. E’ l’armonia tra mente corpo e anima che permette a tutti, a chiunque di noi, di affrontare la vita, di sopportare le difficoltà, di combattere le paure, di trovare soluzioni. Ma tutto ciò è possibile solo con l’accettazione di se stessi, con l’accettazione dei propri limiti e delle proprie capacità, con l’accettazione di ciò che si sa di essere e delle qualità che si sa di possedere.
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    Messaggio  luciana sollazzo Sab Mag 12, 2012 9:35 am

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    Vivere significa superare gli ostacoli e le difficoltà... vivere significa avere la forza d'animo di sorridere anche se vorresti piangere.... vivere significa prendere tutto con ottimismo e leggerezza....I disabili sono coloro che ogni giorno devono superare da soli gli ostacoli, le barriere che la vita crudele gli hanno imposto. La pedagogia della disabilità deve partire da ciò; deve mettere al centro della sua riflessione il disabile e cercare di trovare gli strumenti che possano essere la forma di integrazione sociale, corporeo e personale. L'OMS, l'organizzazione mondiale della sanità nel 1970 elaborò la prima classificazione sulle malattie,fornendo ad ogni malattia, la propria indicazione diagnostica e clinica. Ma nel 1980 l'OMS ha messo a punto una classificazione prettamente per l'ambito disabilità:L'ICIDH. Essa si basa su tre fattori interdipendenti tra loro: La menomazione, la disabilità, l'handicap. Nonostante ciò immediatamente dopo la sua pubblicazione si affermo che essa non integrava completamente la disabilità ;essendo troppo specifico per la disabilità piuttosto che indagare in ambito più ampio ad essa,i problemi del funzionamento umano. Successivamente l'OMS ripropone nel 2001 una nuova classificazione: L'ICF . L'obbiettivo del ICF è di fornire un quadro ampio del funzionamento umano e della sua parte negativa:la disabilità. La classificazione si concentra sul termine salute, le conseguenze associate alle condizioni di salute, integrando appunto la disabilità vista non più come una componente negativa , ma la disabilità come naturale aspetto della vita da analizzare e integrare con le dimensioni del sociale, corporeo e personale per trovare una strategia comune di azione. Il modello ICF è diviso in 2 parti :la disabilità come condizione di malattia deve trasformarsi in: Funzione, Strutture, Attività e partecipazione ,tenendo presente soprattutto l'incidenza dei fattori contestuali e ambientali. Sia per l'ICID che per l'ICF il disabile è colui che è impossibilitata a svolgere una determinata attività considerata normale ,dovuta soprattutto a una menomazione o deficit , ciò una limitazione o privazione di una determinata struttura o funzione corporea. Importante è non confondere i termini e soprattutto mettere al centro di tutto la persona con la sua umanità e personalità nonostante il suo deficit. Infatti ciò che fa più male per un disabile è la considerazione sociale che hanno di lui; il disabile viene considerato diverso solamente per la sua dis-abilità a svolgere un determinata funzione, il disabile è colui che dispreggiativamente “Handicappato”.... il disagio sociale , la considerazione che gli altri hanno di lui ,la condizione di svantaggio per l'impossibilità di svolgere delle funzioni normale porta appunto all'handicap .L'handicap è la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o disabilità .Il cosidetto Handicappato viene isolato, escluso, emarginato, categorizzato , perchè considerato diverso, anormale , e il non normale ci fa paura in quanto diverso da noi. La società sembra non avere molta considerazione per il disabile; pongono delle barriere che impediscono al disabile di poter vivere una vita normale nonostante la sua disabilità. Se ci giriamo intorno possiamo vedere ostacoli per strada o per raggiungere una metropolitana o addirittura nelle nostre case; anche le cose che per noi sembrano banali esempio le scale possono essere un ostacolo insormontabile per un disabile. Molte volte vedendo un disabile ci fa pietà, tristezza , tenerezza ,immaginiamo di vivere per un giorno la sua vita, essere nel suo corpo, saremo stupiti,ci aprirebbe gli occhi su cosa significa vivere con un disagio . Importante è capire l'altro, di usare termini adeguati, capire soprattutto che una semplice parola può essere pungente come una lama , rispettare colui che è diverso da noi perchè è una persona come noi; ricordare che tutti siamo diversi ,ma non tutti sono disabili. In questo corso ho potuto fare la conoscenza di persone che nonostante la loro disabilità vivono la vita con gioia e serenità: Atzori,il prof Paladino e le associazione che ci hanno fatto visita. Credo che sono state lezioni di vita e ci hanno dato l'opportunità di riflettere sulla nostra vita e su ciò che vogliamo dare agli altri. In questo tempo di crisi e cambiamenti dobbiamo ricreare e riformulare una nuova coltura del disabile , capire le sue condizioni di vita e soprattutto riformulare il termine integrazioni. Questi erano anche gli obiettivi di Anna Maria Murdaca .Per la Murdaca è importante riprogettare una nuova forma di integrazione che permette il disabile di essere inserito nel suo contesto sociale ,eliminando barriere e ostacoli per la sua vita. Come l'ICF pone l'importanza dell'ambiente cosi per la Murdaca che sottolinea l'importanza di diffondere una nuova concezione del disabile ,per permettere al disabile di essere accettato, la società infatti è colui che maggiormente esclude ed edichetta il disabile,trascurando di valorizzare la sua persona. L'integrazione è un processo continuo , un processo che non ha fine ma deve raggiungere un obiettivo:la cura e la valorizzazione del disabile. Cura significa emancipazione e realizzazione della persona, come migliorazione e integrazione, integrazione in un luogo che possa accoglierlo, dimenticandosi della sua disabilità ma prendendo in considerazione la sua qualità di persona,potendo quindi migliorargli la vita .Tutto ciò può essere fatto allacciando una relazione stabile e duratura in famiglia ma anche in altri luoghi come la scuola e quindi tra docente e alunno o semplicemente tra due persone. Ogni relazione ci porta ad una fonte di maturazione ,in quanto relazionarsi con altro significa dare e ricevere e il momento in cui si può imparare nuove cose. Per quanto riguarda la relazione educativa con il disabile , l'educatore deve prendere in considerazione la sua situazione e attuare programmi affinchè possa evidenziare le sue potenzialità. Parlando di corpo ,il corpo è stato sempre considerato come fonte di limitazione di imperfezione, testimoniata anche da casi come la disabilità. C on lo sviluppo della tecnologia ha dato la possibilità di poter migliorare il proprio corpo attraverso pezzi di ricambio. Giovani e adulti influenzati dai messaggi persuasivi dei media chiedono alla tecnologia di poter eliminare la loro imperfezioni,in quanto il modello di perfezioni considerato sono le macchine( in quanto perfetti e incorruttibili) e i corpi non possono essere che macchine .La normalità nella nostra società è la bellezza.... la nostra cultura crea l'immagine della donna come l'assoluta bellezza e il suo miglioramento non è altro che il suo bisogno di essere bella ..Giovinezza e bellezza sono le caratteristiche principali che una donna deve avere per essere accettata o se vuole apparire in tv. Queste considerazioni di Remaury sottolineano l'importanza che si da alla bellezza e come le ragazze di oggi cercano di raggiungere con conseguenze disastrose come l'anoressia. La magrezza appunto è l'idea di bellezza , e seguire il modello di modelle anoressiche significa seguire un idea di bellezza .Il corpo deve essere fonte di salute , di bellezza e giovinezza -sano ,magro e giovane. Secondo Lipovetsky la donna è colei che gestisce la propria immagine all'interno dei variegati modelli sociali , scegliendo quei modelli proposti . Per la Braidotti la differenza tra sessi è ciò che deve essere eliminato. Le diverse concezioni di donna porta a considerare la diversità come mostruosità, diversi rispetto alla norma. l'obiettivo è quello di ripensare ad una nuova corporeità . Concludo dicendo che noi siamo influenzati dai modelli della società che ci vengono imposti importante è pensare con la propria testa e pensare alle difficoltà di altre persone che nonostante le loro difficoltà vivono la vita al meglio!
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    Carmen D'Alessio


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    Messaggio  Carmen D'Alessio Sab Mag 12, 2012 11:10 am

    L’ICD e L’ICF sono le due classificazioni che compongono la così detta famiglia delle classificazioni internazionale dell’OMS(Organizzazione Mondiale della Salute).L’ICD (Classificazione Internazionale delle Malattie,1970) è una sorta di enciclopedia delle malattie, che fornisce una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche per ogni sindrome e pone l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Ben presto però L’ICD rivela vari limiti di applicazione e ciò porta L’OMS alla creazione dell’ICIDH (Classificazione Internazionale delle Menomazione, delle Disabilità e degli Handicap,1980) , un nuovo manuale di classificazione capace di porre l’attenzione non solo sulle cause delle patologie(aspetto eziologico) ma anche sulle loro conseguenze che verranno poi analizzate e valutate attraverso tre componenti che caratterizzano L’ICIDH : Menomazione come danno organico o/e funzionale; Disabilità come perdita di capacità operativa a causa di una menomazione; Handicap o Svantaggio come difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione. Successivamente L’OMS da vita ad uno strumento innovativo di classificazione, L’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento,della Disabilità e della Salute, 2001), proponendo una definizione del concetto di Disabilità multidimensionale, intesa come una condizione di salute derivante da un contesto sfavorevole. L’ICF sottolinea l’importanza di valutare l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui disabili pensiamo alle mille barriere culturali, mentali e architettoniche presenti nel nostro paese: autobus privi di pedane, marciapiedi senza scivolo, metropolitane sprovviste di montascale e ascensori, io stessa ripercorrendo la mia giornata tipo mi sono resa conto che essa è piena di barriere architettoniche e quindi per un disabile risulta praticamente impossibile trascorrere. Tramite l’ICF si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.
    … “Tutti sono diversi;non tutti sono disabili”. Per capire fino in fondo questo concetto è fondamentale conoscere il giusto significato della parole. Il Disabile è colui che è impossibilitato a svolgere le normali attività della vita quotidiana, caratterizzato dalla mancanza di una o più abilità o dal loro diverso funzionamento. Ma ricordiamo che il disabile è prima di tutto una persona,con un’ identità e caratteristiche proprie. La parola disabile mi porta inevitabilmente a pensare ad un’altra parola e cioè Diverso. Esso spesso come il disabile viene emarginato, isolato perché differente da noi e per tale motivo la diversità viene vista come un vero e proprio problema , un pericolo, ma riflettiamo essa non è altro che fonte di ricchezza e risorsa .“E’ dalla diversità che nascono le cose più belle” ecco le parole di una straordinaria ragazza,Simona Atzori, che nonostante la sua disabilità è una ballerina e una pittrice meravigliosa,unica, un vero e proprio esempio di resilienza(Capacità di uscire da una situazione avversa). E proprio come dice Murdaca “non si deve definire nessuno per sottrazione”. Ella nel suo testo “Complessità della persona e disabilità” sottolinea la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione con l’intento di valorizzare la persona nel rispetto delle differenze e dell’identità. Concetto di cultura che necessita di un ripensamento, di una rimodulazione dell’integrazione in prospettiva umanistica(cioè nella globalità della persona) intesa come “spazio riparato” in cui il disabile può sperimentare con gli educatori e gli insegnanti una serie di vissuti che vengono poi elaborati, criticati ricostruiti e integrati attraverso la relazione educativa. Essa è quindi l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l’educatore e l’educando e per fa si che questa venga promossa è necessario creare un rapporto volto all’accoglienza, all’ascolto, basato sulla fiducia, sulla stima e sulla complicità che si viene a creare nel tempo e si consolida in un dialogo diretto e personale. La relazione educativa è anche uno scambio di emozioni tra due o più persone emozioni che si esprimono spesso nel momento in cui si viene a creare un legame affettivo che permette così alla persona in difficoltà di fidarsi. L’educatore in una relazione educativa al disabile deve considerare la situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile evidenziandone le potenzialità e le capacità …
    … Se da un lato ci sono persone che utilizzano la tecnologia come un completamento di un organo o una parte del corpo mancante, ne è un esempio l’atleta paralimpico Oscar Pistorius che a causa di un’amputazione ad entrambi gli arti inferiori usa le flex foot(protesi in fibra di carbonio), dall’altro ci sono persone che invece usano la tecnologia solamente per migliorare il proprio aspetto fisico, per questioni puramente d’immagine. Ne sono “vittime” soprattutto le donne che bombardate dai mille messaggi pubblicitari mirano al raggiungimento di quel modello di perfezione, di bellezza assoluta .A quest’ultima si aggiungono la giovinezza e la salute, un triade perfetta per chi vuole restare ed apparire in televisione. Di questo ci parlano Remaury e Lipovesky. Di cui uno in “il gentil sesso debole” sostiene che siamo entrati e diretti verso una corsa alla perfezione e che al “gentil sesso” legato alla bellezza si contrappone il “gentil debole” legato alla fragilità in cui la donna sottoposta sempre più ad operazioni invasive per rimodellare la propria identità si fa preda di una pratica manipolatrice dichiarandone così la sua assoluta soggezione e riducendo il proprio essere al solo corpo come si evince dai molti slogan pubblicitari. E l’altro in “la terza donna” afferma che la sua liberazione nasconde la propria sottomissione ai modelli dominanti imposti dalla società e per questo è obbligata a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto(sano,magro,giovane). La parte opposta e oscura del bello viene considerato come mostruoso,deforme,brutto. Tema affrontato da Rosi Braidotti in “Madri Mostri e Macchine” in cui sostiene che il corpo della donna in maternità da donna-madre muta in donna-mostro, metamorfosi che agli occhi degli uomini risulta orribile ma allo stesso tempo meraviglioso e affascinante. Braidotti parla così di corpo-macchina in quanto la donna determina la nascita di un nuovo corpo. Penso che di questi tempi l’aspetto esteriore, la bellezza e l’immagine sono di un’importanza molto elevata e per tale motivo diventa sempre più difficile convivere con un corpo che non ci piace o con difetti che ci sembrano terribili, tanto da influenzare la nostra autostima e sicurezza. Ma va ricordato che essere bella e perfetta non sempre è sintomo di salute e benessere fisico; pensiamo a tutte quelle ragazze ossessionate dal cibo che inevitabilmente finiscono per cadere in depressione o entrare nel tunnel dell’anoressia e della bulimia e così questa pressione sulla magrezza si distacca dall’idea di bellezza e finisce per essere legata all’idea di mostruosità!
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    Messaggio  Cristina Ambrosio Sab Mag 12, 2012 3:52 pm

    1) Esponi il passaggio dall’Icd all’Icf, soffermandoti poi sul contesto e sulle parole disabile e diverso, personalizzando il tuo discorso attraverso una ripresa degli interventi ai laboratori che hai proposto ‘orologio’ /‘barriere architettoniche’, ‘la mappa degli stereotipi’, Sindaco/esperienza di ‘emarginazione’ (questo perché ciascun intervento deve essere diverso e avere l’impronta dello studente che lo elabora)

    L’ICD o classificazione internazionale delle malattie è la prima classificazione elaborata dall’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), fu elaborata nel 1970 per cogliere le cause delle patologie dando una descrizione delle caratteristiche cliniche e indicazioni diagnostiche per ogni malattia. È una sorta di enciclopedia medica in cui ogni patologia viene associata a codici numerici per agevolare la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati, e che focalizza maggiormente l’attenzione sull’aspetto eziologico delle malattie. L’ICD avvicina la disabilità alle patologie cliniche.
    La successiva classificazione, che precede l’ICF è l’ ICIDH che si basa su tre fattori: Menomazione, disabilità, svantaggio o handicap (che verranno poi sostituiti da menomazione, abilità e partecipazione, per dare maggiore rilievo a ciò che il soggetto può fare e alla sua inclusione sociale). La menomazione è una qualsiasi perdita o anormalità di una funzione fisiologica, anatomica o psicologica, è l’esteriorizzazione di uno stato patologico, è una disfunzione o mancanza di un arto, una facoltà psicologica. La menomazione può essere di temporanea quindi non durare per tutta la vita, accidentale cioè avvenuta dopo un incidente o degenerativa, cioè può portare alla disabilità. La disabilità è una qualsiasi restrizione delle capacità di svolgere un’attività nei modi e tempi ritenuti normali, questa incapacità è conseguente ad una menomazione e non fa assolvere ai doveri e compiti nel modo in cui ci si aspetta di fare. L’handicap è la difficoltà che riscontra nel rapporto e confronto con gli altri, la persona con disabilità. Gli handicap sono spesso soggettivi, derivano da chi ci sta intorno, dall’ambiente in cui viviamo e dalle barriere architettoniche e dai pregiudizi sociali. I veri limiti esistono in chi ci guarda (S. Atzori) quindi il disabile per non avere handicap deve lottare con i pregiudizi sociali che spesso lo vedono come un diverso, un non umano, un poveraccio per cui avere compassione, qualcuno che non ce la può fare da solo, e deve lottare contro le barriere architettoniche che quasi tutte le città presentano a causa della poca conoscenza che le persone hanno delle architetture fatte per agevolare i disabili, quindi della poca sensibilizzazione che c’è su questo argomenti. Così una persona sulla sedia a rotelle avrà difficoltà a camminare in strada a causa dei marce piedi ingombrati da motorini e auto, delle pedane mobili alle scale della metro che non funzionano o non esistono, un cieco dovrà adeguarsi ai percorsi tattili occupati dai passanti, ai semafori senza segnale acustico o tattile ecc. (io nella mia giornata tipo, se fossi disabile non riuscirei neanche ad entrare nella stazione per prendere la cumana).
    Si giunge infine al manuale di classificazione ICF (classificazione internazionale di funzionamento della disabilità e della salute) pubblicato dall’ OMS nel 2001. L’ ICF descrive le modifiche dello stato di salute di un individuo e li stati ad essa correlati, inoltre definisce la disabilità come una condizione di salute derivante da un contesto sfavorevole, essa è misura delle attività e delle prestazioni che l’ambiente esterno consente di esplorare, sottolineando così l’importante dell’ ambiente e dell’impegno di tutti nel rendere possibile la vita autonoma ad un disabile e sottraendo questo stato da una condizione solamente soggettiva. I termini menomazione, disabilità ed handicap propri delle precedenti classificazioni, vengono sostituiti dai termini funzioni, strutture corporee ed infine attività e partecipazione, per porre l’accento su ciò che il soggetto sa fare, può fare e deve fare, e sulla sua inclusione e coinvolgimento sociale. L’ICF oltre a classificare le condizioni di salute e malattia, ma anche le conseguenze associate e tali condizioni, pone al centro la questione della qualità della vita e del suo miglioramento. Tale classificazione fu introdotta perché le diagnosi mediche davano un quadro riduzionistico della persona, non dicendo cosa era o non era in grado di fare. Questa nuova classificazione può essere usata per qualsiasi persona, età, per descriverne il funzionamento, la disabilità e soprattutto il contesto, il quale gioca sempre un ruolo fondamentale, inoltre può essere utilizzata in ambito sanitario, sociale, educativo, di ricerca, statistico e politico sociale sanitario. L’ICF è un linguaggio internazionale comune. È molto importante utilizzare un giusto linguaggio e termini appropriati, altrimenti si rischia di aumentare l’handicap ( un esempio a me vicino e che non mi stancherò mai di ripetere perché è ormai una mia missione sociale riguarda i termini sordo e sordomuto, i sordi sono sordi e non sordomuti, loro parlano, non sono muti, ma non sentono quindi sono sordi, e sono sordi no non udenti, altrimenti si mette in risalto cosa non sanno fare e cioè sentire, cosa che molti di loro non sanno proprio cosa significhi perché non l’hanno mai provata, come noi non sappiamo cosa voglia dire essere sordi). Una distinzione che va fatta è tra i termini disabile e diverso, termini che troppo spesso vengono impropriamente accomunati. Cosa voglia dire disabile già è stato detto, ma ciò che è doveroso dire è che questo termine mette in risalto una dis-abilità, mentre sarebbe più corretto parlare di diversamente abile o diversabile per sottolineare le potenzialità e capacità di chi si trova in questo stato di salute. I diversabili sono spesso additati come diversi, ma tutte le persone sono diverse, non tutte sono diversabili. La diversità è qualcosa che accomuna tutti gli esseri umani perché, come già detto, per fortuna non siamo usciti da una fotocopiatrice, e la diversità ci arricchisce. La diversità unita alla disabilità però, purtroppo, diventa esclusione, emarginazione, come afferma Lascioli “pregiudizi e stereotipi farebbero dell’handicap qualcosa che serve per racchiudere i diversi in una sorta di cerchio chiuso, in uno scarto umano”. Ciò che è diverso e non si conosce spaventa e tende ad essere allontanato aggrappandosi ad un concetto indefinito e labile come quello di “normalità”. Escludiamo senza pensare alle conseguenze che quell’atto può avere sull’escluso, su come ci si sente quando si è esclusi, sensazione che, per gioco come nella simulazione fatta in classe, o nella vita reale, tutti abbiamo provato. Il diversabile che viene etichettato come diverso fa della sua disabilità un fattore identificante e la sua persona non viene riconosciuta nella sua interezza, inoltre integra in sé sentimenti di inferiorità ed inadeguatezza. Non solo il disabile è etichettato come diverso, ma anche il non omologato, chi è diverso per cultura, lingua e colore della pelle ecc. Fare distinzioni di questo genere è utile solo se si guarda alla ricchezza della diversità, bisogna capire la diversità accomuna tutti, e che cambiamo continuamente, anche dopo un esperienza siamo diversi da come eravamo prima. Nell’interazione con l’altro bisogna ricordare che siamo tutti diversi, ma abbiamo la cosa più importante ad accomunarci: siamo tutti esseri umani!

    2) Anna Maria Murdaca scrive il testo Complessità della persona con disabilità, rifletti su quali logiche guidano il suo discorso, riguardo:
     la rimodulazione del termine integrazione
     la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
     la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    riportando come, attraverso le tematiche proposte (il contesto sociale, la persona, lo spazio di cura come luogo riparativo), possiamo pensare in modo nuovo ad una relazione educativa
    (anche qui riporta i tuoi laboratori laddove ritenuto congruo).
    Anna Maria Murdaca vuole nel suo testo ricostruire una nuova cultura della disabilità, rimodulare il termine integrazione e comprendere e ridefinire un progetto di vita per le persone con disabilità. Per far ciò bisogna partire da analizzare la complessità della persona e l’ambiente che la circonda. Come già detto, e come sottolinea anche Murdaca, spesso è il contesto sociale a determinare una condizione di handicap, con le sue barriere architettoniche che favoriscono il processo di esclusione anziché quello di inclusione. L’ambiente infatti può essere può essere una barriera o un facilitatore, e la ricerca e la tecnologia possono produrre ambienti che facilitano la vita alle persone con disabilità, le aiutano ad acquisire l’autonomia di cui hanno diritto. Un esempio sono le case domotiche, cioè case iper tecnologiche che sono gestibili da un solo punto della casa grazie a dispositivi tecnologici, utilissimi per chi ne necessita, superflue per chi può facilmente fare tutto con i propri arti. La società il contesto di lavoro e persino la famiglia possono influenzare il nostro stato di salute e porci in uno stato di handicap. La famiglia è la prima che deve liberarsi del senso dell’impossibilità dell’autonomia dei propri figli e dell’ impossibilità del miglioramento di vita, anche la scuola, gli insegnanti e gli educatori dovrebbero proporre lo sviluppo e l’integrazione dell’alunno, fargli acquisire capacità che dovrà poi trasferire nel mondo lavorativo. L’identità della persona con handicap viene definito in base a due ambiti di valutazione: il primo è il sistema delle opinioni personali, il secondo è il sistema delle informazioni istituzionali e formali. È anche per questo che è importante credere e far credere nelle capacità che anche il diversabile ha, e mettere in luce quello che può e sa fare. Non va mai dimenticato che il diversabile è una persona, e bisogna valorizzarlo con il rispetto per le sue differenze e della sua identità. Per valorizzare una persona è importante non definirlo per sottrazione,ma per ciò che è e che sa fare, valorizzare al meglio le dotazioni individuali è la base per il processo di integrazione insieme alla cura intesa come progressiva emancipazione dei soggetti volta alla realizzazione dell’uomo. Si avverte l’esigenza di ridefinire il modo di integrazione, in cui non si mira ad un semplice accadimento, ma a formare un soggetto autonomo, emancipato attraverso un processo di maturazione psicocognitico, psicoaffettivo e psicosociale e tramite contesti e ambienti sostenibili e attraverso una buona prassi educativa che elabori attività per rendere significativa la presenza del disabile, e che lo formi a 360 gradi. L’aspetto educativo, didattico, terapeutico, riabilitativo e sociale devono cooperare per uno sviluppo pieno della personalità del diversamente abile e per la sua inclusione sociale, la sua autonomia ed emancipazione poiché il disabile è un cittadino a pieno titolo come tutti gli altri. La relazione educativa gioca un ruolo fondamentale in tutto questo, va innanzitutto ricordato che il più grande educatore è l’esempio, e che il rapporto educativo deve essere sempre alla pari, fondato sul rispetto e sull’ascolto, come abbiamo anche visto nelle simulazioni in classe è importante che l’educatore si ponga in modo amorevole, disponibile e cordiale, sia disponibile ad un ascolto costante, lo studente deve sapere che l’educatore è un adulto autorevole su cui poter contare. Quando si è educatore di diversabili bisogna creare situazioni in cui possono emergere le doti del soggetto con diverse abilità e cercare di portarlo su un piano alla pari con i normodotati, evitando di guardare alle mancanze, ma sottolineando sempre le capacità e le doti della persona. Occorre anche sensibilità ed attenzione ai bisogni e ai tratti caratteriali nonché ad altri fattori che potrebbero intralciare un buon rapporto educativo.
    Il rapporto educativo non è solo quello tra discente e docente o educatore, ma anche tra famiglia e figlio, un esempio è quello della famiglia di Simona Atzori, che con grande amore forza e coraggio ha lottato per l’emancipazione della figlia, l’ha educata e le ha insegnato tutto ciò che c’è da insegnare, le ha dato l’autonomia e l’indipendenza grazie all’educazione.
    3) Remaury, Lipovetsky e Braidotti: proponi, arricchendole di riferimenti, le tue riflessioni su questi autori sul corpo trasformato e mostruoso (anche in riferimento al laboratorio le protesi estetiche).
    Tutti e tre gli autori parlano di bellezza e deformità, di come si possa diventare mostri tentando di rispondere ai canoni estetici che la società ci impone tramite i suoi modelli televisivi. Il canone di bellezza a cui tutti fanno riferimento è quello della modella anoressica taglia 36, alta ed eternamente giovane. Bellezza, salute ed eterna giovinezza è la perfezione verso cui tutti devono tendere(come ci ricorda Remaury e ribadisce Lipovetsky),ma è qualcosa di impossibile poiché tutti invecchiano, tutti si ammalano. Lipovetsky nel suo libro “la terza donna” propone la teoria della maturità positiva della donna che la dipinge come colei che controlla e gestisce la propria immagine all’interno delle varie alternative di modelli sociali. In realtà non è affatto così, di modelli sociali non ce ne sono molti, e la donna non sa scegliere, non è lei a scegliere, si adegua a ciò che i media gli dicono di essere, si trasforma e si deforma diventando talvolta anche anoressica per piacere alla società. I casi di adolescenti che seguono diete scorrette e che diventano anoressiche per assomigliare ad attrici e modelle sono sempre in aumento, le campagne di sensibilizzazione e quelle contro gli stilisti per eliminare la taglia 36 si continuano a rivelare inutili, l’idea di bellezza come anoressia è radicata nella maggior parte di noi e continua a fare danni. Braidotti nel suo testo propone un ripensamento del rapporto corpo e mente e avvia una riflessione sulla trasformazione corporea della donna che nel momento in cui diventa madre il suo corpo si deforma diventando quasi mostruoso per il maschio, diviene così madre e mostro. Ella propone alle donne di diventare anche macchine. Mostri infondo non sono altro che persone che non incarnano l’uomo base, ma incarnano la differenza, bisogna quindi chiederci cosa sia il bello, e per quale società. Io, come già detto nel commento sulle protesi estetiche, preferisco il fascino alla bellezza, forse è più indefinibile e ancora più soggettivo, ma di certo non conduce alla morte per anoressia, e non muore con la vecchiai.
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    Martina Molino


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    Messaggio  Martina Molino Sab Mag 12, 2012 4:30 pm

    A partire dalla seconda metà del secolo scorso l’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha elaborato differenti strumenti di classificazione con l’intento di osservare e analizzare le patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, per migliorare la qualità della diagnosi delle patologie.
    L’ ICD (Classificazione Internazionale delle malattie) è la prima classificazione proposta dall’OMS negli anni’70. Intende cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche focalizzando così la sua attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Un ulteriore sostegno è dato dal fatto che le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici ciò rende più semplice la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.
    L’OMS però ben presto, negli anni’80, elabora un nuovo manuale di classificazione che anticipa l’ICF(Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) e che rispetto l’ICD, intende concentrarsi anche sulle conseguenze delle malattie e sull’influenza che il contesto ambientale e sociale esercita sullo stato di salute (equilibrio fisico, psicologico, spirituale, relazionale e sociale dell’individuo nella sua globalità e rispetto l’ ambiente in cui vive e con il quale interagisce) (salute = benessere) delle persone. Questa classificazione è denominata ICIDH (Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicaps). Tre sono i componenti fondamentali sui quali si sofferma l’ICIDH; menomazione, abilità e partecipazione. Il passaggio è: qual è il disturbo?, a quale menomazione è dovuto?, a che disabilità corrisponde? Ed eventualmente quale handicap comporta?.
    L’ ICF è stata introdotta nel 2001, è uno strumento di classificazione multidisciplinare, dall’approccio universale ed innovativo in quanto analizza la salute dell’individuo in chiave positiva (funzionamento e salute), è stata adottata perché le diagnosi mediche non erano sufficienti nel descrivere il quadro funzionale della persona. I termini sono nuovamente sostituiti con: funzioni, strutture corporee ed attività e partecipazione.
    Come già accennato prima, ICF vuole descrivere lo stato di salute delle persone in rapporto al contesto socio-culturale in cui vivono per evidenziare quelle che potrebbero essere le cause di disabilità (disabilità, intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole), di pari passo intende sottolineare l’individuo come persona globale estrinsecata dalla disabilità e poi vuole ulteriormente dimostrare come l’individuo riesca a convivere con la sua patologia e allo stesso modo sia capace di rendere la propria vita migliore.
    Usa un linguaggio standard, unificato, internazionale per permettere a chi lo utilizza (operatori sanitari, sociali, educativi, di statistica, ricercatori, esponenti politici e la popolazione) di comparare le informazioni tra e in tutti i Paesi. Chi adempie a tale strumento deve riconoscere il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società.
    Hanno partecipato alla sua elaborazione numerosi governi appartenenti all’Assemblea Mondiale della Sanità, tra questi l’Italia ha offerto il suo aiuto tramite la DIN (Disability Italian Network) una rete collaborativa informale che ha come scopo principale quello di diffondere gli strumenti elaborati dall’OMS e di formare operatori che si occupano di inserimento lavorativo dei diversamente abili, in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche Sociali.
    Ognuno di noi può trovarsi in un contesto ambientale precario e ciò può causare disabilità. Ad esempio, una persona ha difficoltà in ambito lavorativo, non importa se la causa del suo disagio è di natura fisica, psichica o sensoriale. Ciò che importa è intervenire sul contesto sociale costruendo reti di servizi significativi che riducano la disabilità. Occorre quindi creare reti che eliminino le barriere architettoniche oltre che culturali che impediscono ai soggetti con disabilità e non di vivere semplicemente ed autonomamente.
    Ogni giorno incontro difficoltà lungo la strada è praticamente un percorso ad ostacoli costante per me che non ho problemi motori, di vista o di altro genere figuriamoci per chi questi problemi li ha. Tutto impedisce il passaggio.
    Come sostiene Canevaro è importante saper usare le parole perché quando vengono usate impropriamente aumentano l’handicap. È il contesto sociale, come sostiene A. M. Murdaca, che determina la condizione di handicap in quanto gli ostacoli e le barriere fisiche, mentali e culturali incrementano il processo di esclusione ed emarginazione. Troppo spesso usiamo le parole senza pensare e senza conoscere il loro reale significato, e quando non ci soffermiamo su ciò che vogliono dire finiamo per usarle abitualmente in modo improprio. Le parole hanno un peso e fanno più male di una violenza fisica, arrivano dirette al nostro cuore e ai nostri sentimenti.
    Si è convenzionalmente soliti definire una persona disabile come colui che è incapace, a causa di una menomazione, di compiere determinate funzioni ritenute “normali” ( ma meglio abituali ) per un essere umano. La disabilità può presentare disturbi sia a livello fisico che psichico, può essere transitoria, permanente, regressiva o progressiva.
    Diventa un etichetta e la persona non viene più considerata in base a ciò che abile a fare ma a ciò che non può fare. Diceva giustamente la poesia di Gianni Scopelliti, “chiamatemi per nome” e non disabile, sorda, celebrolesa e quant’altro, fate come quando non chiamate una persona con occhi castani, portatrice di occhi castani, non abbiate paura della novità e abbiate occhi nuovi per scoprire ( e capire ) che IO, prima di ogni altra cosa….SONO!
    Questo uso improprio della parola disabile è dovuta forse al fatto che spesso è associata alla parola diverso e tutto ciò che è considerato diverso da sé fa paura e viene ritenuto erroneamente come “non normale”. Ma in realtà non c’è una definizione per ciò che è “normale”, è assolutamente relativo e soggettivo.
    È stato ritenuto, nell’ “ Anno Europeo dei disabili” ( 2003), più appropriato usare i termini quali diversamente abili e diversabile in quanto sottolineano le capacità e le abilità di una persona e non sottolinea il deficit, ciò che manca rispetto un standard, non si dice più “sordo” bensì, persona con il deficit della sordità, “non bisogna mai definire nessuno per sottrazione” (A. M. Murdaca).
    Non tutti i disabili però si sono lasciati fermare dai loro deficit bensì hanno superato in modo resiliente le avversità grazie alla loro grande forza di volontà ( Simona Atzori) e grazie anche al supporto della tecnologia ( Oscar Pistorius ).
    Per essere più chiari, il deficit è la mancanza ad esempio delle gambe, l’handicap è dovuto all’impossibilità di camminare ed è fomentata dal contesto sociale, l’ausilio è la sedia a rotelle che gli consente di muoversi.
    Come ritiene Lascioli, l’handicap si esprime con atteggiamenti di emarginazione nei confronti dei “diversi”, rendendo così gli stereotipi ed i pregiudizi capaci di fare dell’handicap un qualcosa per racchiudere e quindi isolare in un “cerchio chiuso” i “diversi”. Si avvicina a questa concezione anche Cartelli definendo l’handicap come “stereotipo sociale” capace di giustificare razionalmente la rimozione del problema della paura nei confronti dei disabili-diversi (diversi da noi ).
    Chi è diverso? Diverso non è necessariamente chi è affetto da una menomazione fisica o psichica ma chiunque si distingue dagli altri per qualsiasi caratteristica fisica, mentale, politica, religiosa, di nazionalità e molte altre. Il diverso non sceglie di esserlo ma viene etichettato come tale dalla società che si lascia coinvolgere dai pregiudizi.
    Oggi ci troviamo in una società in cui la “diversità” si manifesta in tutti i suoi aspetti, dovremmo ormai esserci abituati a questa parola che tutti temono invece, questa difficoltà non sembra cessare.
    La frase che secondo me sintetizza nel migliore dei modi questo aspetto è “siamo tutti diversi ………e unici!” in quanto ognuno nella sua diversità esprime chi è e come la pensa, ognuno di noi è irripetibile, siamo tutti dei “pezzi” rari e questo, è il bello.
    Anna Maria Murdaca nel testo “Complessità della persona con disabilità” intende sottolineare l’importanza di valorizzare la persona nel rispetto delle differenze e delle identità. L’ integrazione è un processo continuo, una continua ricerca volta a trovare soluzioni adatte a preservare i diritti delle persone disabili. Tale termine deve essere rimodulato, deve guardare la persona nella sua globalità senza scindere nessuna delle sue parti. L’integrazione deve essere totale, a livello educativo, didattico, terapeutico, riabilitativo e sociale; in modo che queste persone possano raggiungere; attraverso un processo di maturazione psicocognitiva – psicoaffettiva e psicosociale conseguita da una relazione educativa come spazio ripartivo e come momento di accoglienza; la propria emancipazione.
    Pertanto la nuova cultura della disabilità deve cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive dei soggetti disabili innalzando la loro qualità di vita.
    Qualsiasi incontro umano tra due o più persone con gli stessi o diversi ruoli, è una relazione educativa, ognuno di noi insegna ed impara dall’altro, dunque si può parlare di formazione bilaterale. Mi viene da dire che una relazione educativa è qualsiasi relazione instaurata con affetto ( secondo me, bisogna vivere per amare e amare per vivere! ) e quando questo aspetto è presente la relazione nasce e si sviluppa naturalmente, proprio come è avvenuto nei setting durante le simulazioni fatte in aula.
    Nella relazione educativa bisogna prendersi cura delle persone con disabilità per permettergli di ridar senso alla loro vita prendendosi cura di sé grazie al riconoscimento dell’unicità della propria storia, riuscendo a convivere con la propria specialità. La costruzione dell’identità personale del soggetto deve emergere proprio grazie alle differenze che non sono più un ostacolo ma una risorsa. Anche i luoghi sono importanti, pertanto è necessario costruire una relazione in luoghi rassicuranti e capaci di far emergere le potenzialità personali…che ci sono ma che sono nascoste a causa dei dilaganti pregiudizi.
    I disabili sono cittadini a pieno titolo e noi tutti dobbiamo essere cittadini attivi, dobbiamo unirci tra famiglie, persone, operatori per poter costruire una società con veri servizi di formazione…l’unione fa la forza e fa sì che si possa costruire un progetto di vita per le persone con disabilità. Dobbiamo rispondere alle esigenze di tutti i soggetti, nessuno deve essere trascurato.
    Ancora una volta il contesto sociale influenza ed anestetizza i nostri ideali.
    Come sostiene B. Remaury, nel testo “ Il gentil sesso debole”, l’immagine ideale che promuovono i media è quella legata alla triade bellezza, giovinezza e salute ( salute che secondo me, spesso viene trascurata e messa a repentaglio ). Nella società moderna ogni cosa è creata per valorizzare il corpo, gli stessi vestiti ( che come sostiene Leopardi, sono ingannatori della fantasia in quanto nascondono il corpo alimentando la curiosità al contrario del corpo nudo che mostra la verità), le creme, i cosmetici e la chirurgia estetica ( manipolazione della materia corporea ) che se non è usata consapevolmente peggiora anziché migliorare l’omogeneità e la naturalezza del nostro aspetto.
    Per Remaury la bellezza è associata al fatto che debba essere coltivata dalla donna che è solita prendersi cura della salute di tutti.
    Si evincono tre tipologie di corpi, quello trasfigurato legato all’immagine della perfezione ( perfezione a tutti i costi…ma pur tentando nessuno riesce a diventare perfetto…la perfezione non esiste e bloccandoci su questo aspetto, non riusciamo ad essere liberi, non dobbiamo essere schiavi del nostro corpo “ Seneca” ); quello esatto e predominante al momento che si avvicina alla perfezione grazie l’intervento della scienza; e quello liberato che prevede obbligatoriamente la perfezione in quanto si è liberato da una malattia, dal peso o dal tempo. Al corpo liberato si riallaccia la liberazione de “La terza donna” acclamata da Lipovetsky che dopo essere stata una prima donna svalutata e sfruttata ed una seconda donna ideale di virtù, raggiunge, in questo secolo, una fase positiva della cultura della bellezza fondata sull’apparente acquisizione di grazia.
    La bellezza si divide tra mente e corpo. E spesso la mente ordina al corpo che diventa un suo prolungamento, di fare qualcosa oltre il limiti del possibile, del giusto, del sano. Bellezza e giovinezza vanno di pari passo, soprattutto nel mondo televisivo. La magrezza è confusa con la bellezza e spesso questo porta molte ragazze e talvolta anche i ragazzi ad entrare in “tunnel” come l’anoressia dai quali è difficile uscire. Così quel magro tanto desiderato deturpa il bel corpo che diventa quindi mostruoso.
    Si può quindi praticamente parlare di un obesità sociale.
    Visto che la donna è capace di deformare il proprio corpo con la maternità, R. Braidotti, nel testo “Madri mostri e macchine”, chiede alla donne di incarnare oltre alla maternità e alla mostruosità ( vista dall’uomo in questo particolare momento della donna ), anche la macchina ( corpo macchina ) ridefinendo così sia le attuali tecnologie che l’immaginario che le sottende.
    È però secondo me bruttissimo parlare di mostruosità di una donna incinta, è un momento bellissimo che racchiude in ogni sua parte momenti di tenerezza come già nel dire “ sono in dolce attesa” e poi generare e crescere, innanzitutto nella propria pancia e poi al di fuori un bimbo è magico e grandioso, siamo esseri dotati di grandi capacità.
    Ma come dice Scheffer, What is beauty?. La bellezza è soggettiva proprio come la “normalita”, “l’anormalità” e la diversità. È quella che noi attribuiamo a qualcuno o qualcosa secondo il nostro gusto personale.
    Il corpo della donna si trova spesso sotto i riflettori, viene mercificato e poi attaccato proprio per questo ed è anche sfruttato in campo politico.
    Come ho già detto in qualche laboratorio, sono favorevole alla chirurgia estetica ma a patto che non sia esagerata. Bisogna saper trovare la giusta misura in tutte le cose…”est modus in rebus”.





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    Pezzella Vincenza


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    Messaggio  Pezzella Vincenza Sab Mag 12, 2012 10:12 pm

    1) Negli anni 70 l’OMS,l’organizzazione mondiale della sanità,ha elaborato la prima classificazione internazionale delle malattie l’ICD.
    L’ICD risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie,fornendo per ogni sindrome una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Questa classificazione focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico delle malattie,le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che prendono possibile la memorizzazione,la ricerca e l’analisi dei dati.
    Negli anni 80 l’ICD viene sostituito dalla ICIDH che si basa su tre fattori che poi verranno sostituiti:
    Menomazione------------> Menomazione
    Disabilità------------------------> Abilità
    Svantaggio/Handicap ---------> Partecipazione
    La MENOMAZIONE è la perdita o anormalità a carico di una struttura mentale o di una funzione psicologica,fisiologica o anatomica. E’ un danno organico,una disfunzione che comporta la mancanza totale o parziale di una determinata funzione fisica.
    La DISABILITA è l’incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo e nell’ampiezza considerati normali per un individuo.
    L’]HANDICAP è la difficoltà che la persona con difficoltà affronta nel confronto con gli altri.E’ la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo per tale soggetto.Un altra distinzione è quella tra handicap e ausilio:
    L’handicap è l’ostacolo che impedisce ad una persona con deficit di portare a termine una particolare attività. L’ausilio e l’apparecchiatura che aiuta una persona con deficit a ridurre gli handicap.
    Più tardi nel 2001 l’ICIDH viene sostituito dall’ICF.
    Secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole.
    Spesso non ci accorgiamo di quante siano le difficoltà che un disabile deve affrontare nello svolgimento della sua vita quotidiana.Credo che la nascita di ogni singolo uomo implichi la vita al dovere di essergli di supporto,di aiuto.Una vita piena di speranze,gioie e anche piena di sofferenze altrimenti non sarebbe "vita".
    Molte persone dalla vita non hanno ricevuto beni ,o li hanno persi, e se la vita è ingiusta con loro non deve essere di certo l'uomo a complicargliela ancora di piu,anzi dovrebbe nel suo piccolo cercare di facilitare la loro vita,cercando di far diventare il loro handicap una cosa normale.L’uomo dovrebbe fare di tutto per dare una vita a queste persone ma purtroppo questo non accade.
    Attraverso l’esercizio “l’Orologio” possiamo renderci conto di tutte le difficoltà che un disabile puo incontrare nella vita quotidiana. Basta pensare ai marciapiedi i quali non hanno discese per loro,oppure alle difficoltà che ci sono nel prendere i mezzi pubblici.
    Accettando l'ICF si accetta il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa.
    Cartelli utilizza la nozione di handicap come STEREOTIPO SOCIALE,uno spontaneo meccanismo di difesa dall’angoscia dalla paura derivanti dal nostro rifiuto di rispecchiarci in un immagine non gratificante.E’ il contesto sociale quindi a determinare la condizione di handicap,sono gli ostacoli e le barriere fisiche come quelle mentali e culturali a favorire il processo di esclusione e emarginazione.
    E’ difficile pensare come si possano sentire queste persone quando vengono emarginate,però attraverso una simulazione fatta in aula un po l’ho potuto capire. La prof si è finta sindaco emarginando tutte le ragazze che portavano gli occhiali,quindi anche me,mentre chi restava in città poteva festeggiare .Quello che mi ha colpito è stato l'atteggiamento delle ragazze che erano in città,che prese dall'entusiasmo,non si sono accorte di noi che eravamo dietro "emarginate".
    Si ritiene molto utile una riflessione sulla parola disabile e diverso.
    Il disabile è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività dalla vita quotidiana;è un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive.E’ un soggetto con disturbi fisici o psichici che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con le persone normodotate.
    IL diverso di solito non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società a suo malgrado . Del diverso si ha paura ,vieni isolato ,è spesso il mostro perche non è conforme alle regole,è lo straniero.Tutto ciò che è diverso e quindi non si conosce di solito puo intimorire e spaventare.Il disabile ci fa paura perché è diverso e di conseguenza la diversità è concepita come non normalità.

    2)Anna Maria Murdaca è una docente esperta e autrice competente in questioni relative la persona con disabilità.
    Il testo di Murdaca mira alla:
    • Ricostruzione di una nuova cultura della disabilita;
    • Rimodulazione del termine integrazione;
    • Comprensione della reali condizioni di vita di soggetti disabili.
    Murdaca afferma che bisogna dirigersi verso l’inclusione cioè bisogna avere una nuova conoscenza della disabilità che sia centrata soprattutto sul riconoscimento della persona in evoluzione.
    L’obiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze.
    Integrare significa inserire una persona o un gruppo in un ambiente in modo che ne diventi parte organica.Nel parlare di integrazione si fa riferimento quindi a valorizzare al meglio le dotazioni individuali.Si cerca un nuovo termine di integrazione:
    come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica;e come condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità-autonomia,identità.
    Non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione perché si tratta di persone,e si caratterizzano per le loro capacita non per quello che non sanno fare.
    Quindi bisogna pensare ad una società con spazi di formazione per i disabili i quali non sono soggetti passivi di pietismo ma sono responsabili di questa relazione.
    Bisogna stabilire una buona relazione educativa.
    La prima e sicuramente quella che si istaura tra madre e figlio.La secondo è quella tra docente e discente ,un legame che produce l’apprendimento,attraverso un interconnessione che porta alla fusione di conoscenze.
    Ogni relazione è educativa in quanto è portatore di significati,di valori ,di opinioni quindi avviene uno scambio dove si da ma si riceve anche qualcosa.E’ un prendere e un dare.
    Come abbiamo visto durante le due simulazioni in aula l’educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nella relazione.Deve cercare di capire chi ha di fronte,i suoi problemi,le sue difficoltà seza soffermarsi sulle apparenze ma cercando sempre i fattori che portano il soggetto a comportarsi in un certo modo.
    Si devono creare una seri di situazioni che possano mettere il soggetto a proprio agio.
    Nel caso in cu si ha di fronte una persona disabile l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi per far emergere le doti del disabile.

    3)Il corpo femminile in particolar modo ha sempre subito nel corso della storia delle manipolazioni atte alla modifica della sua corporeità per rispondere ai dettami della società e della moda:vere e proprie strategie di trasformazione corporea.
    Postman afferma che "oggi si pensa che il corpo sia obsoleto" perciò si lavora in modo inconsapevole per sostituirlo con qualcosa di meglio.
    La tecnologia viene utilizzata per migliorare l'estetica del proprio corpo,in quanto le persone disprezzano il loro corpo.
    Il disprezzo del corpo risale ad alcuni temi della religione cattolica che indicano il corpo come peccatore cedevole ai desideri della carne.
    La politica di non accettazione del corpo è evidente anche nei media di primo tipo come la televisione,nei quali le trasmissioni mirano alla trasformazione fisica ed al raggiungimento dell' altro corpo che tutti definiscono bello e perfetto.
    Quindi mi viene da pensare ad una tv come manipolatrice in quanto ha realmente portato alla massificazione culturale dell'intero mondo,imponendo in modo non esplicito modelli di vita,di bellezza e comportamenti arrivando a condizionare le persone a livello psichico.
    Io sono d'accordo alle protesi estetiche ma solo se vengono utilizzate per gravi malformazioni,non ammetto l'utilizzo di queste protesi in maniera smisurata per migliorare il proprio aspetto fisico.
    A mio parere la tv agisce in modo negativo sulle persone,in modo che obbediscano ai modelli trasmessi,quasi come fosse un ordine,e chi non lo rispetta viene considerato un diverso.
    Sono molti gli autori che hanno trattato questo argomento.
    Remaury afferma che noi siamo diretti verso una corsa alla perfezione con un triplice obiettivo quello della giovinezza,bellezza e salute.Egli afferma che il corpo trasfigurato e legato all’immagine di perfezione corporea;il corpo esatto si perfeziona grazie alla scienza ed è il modello dominante;il corpo liberatorio lo è dalla malattia,dal peso e dal tempo.
    Lipovetsky invece ci parla di una terza donna la quale nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti ,è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto.
    Braidotti ci propone un corpo come un corpo-macchina un corpo trasformato che diventa mostruoso, sul quale la donna lavora attraverso la tecnologia.Si sofferma sulla figura materna la quale quando è in attesa di un bambino,va incontro ad un cambiamento corporeo,per questi gli uomini la definiscono mostro-madre.



    Anna Carmela Capasso
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    Messaggio  Anna Carmela Capasso Dom Mag 13, 2012 1:04 pm

    1) L’OMS cioè l’Organizzazione mondiale della sanità ha elaborato per la prima volta nel 1970 l’ICD (International Classification of Diseases) cioè classificazione internazionale delle malattie che focalizza la sua attenzione sulle cause, sulle descrizioni delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle patologie, al fine di rendere più omogenei i dati mondiali. L’ICD si delinea quindi come una classificazione, focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze e quindi viene realizzata una nuova classificazione l’ICIDH (International Classification of Impairment, Disabilities ad Handicap) cioè la classificazione internazionale delle menomazione,disabilità e handicap. L’ICIDH prendeva in considerazione,per la prima volta, l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Il concetto di salute viene inteso come benessere non solo fisico,ma anche mentale,relazionale e sociale, quindi la persona viene vista nella sua completa globalità e in relazione all’ambiente. L’ICIDH ridefinisce i termini di:
    Menomazione: alterazione anatomica o funzionale, psichica o fisica, rispetto agli standard generalmente accettati,cioè perdite fisiche che possono essere momentanee o permanenti o un malfunzionamento di alcune parti del corpo. Da questa definizione è alquanto evidente che non è un concetto assoluto ma relativo poiché la normalità stessa è relativa quindi la normalità è concetto statistico in rapporto alle persone di stesso sesso ed età,inoltre, non sempre la stessa menomazione incide in ugual modo nella vita di ogni persona;
    Disabilità:la perdita di capacità operative in seguito ad una menomazione. Quindi consiste nella difficoltà di effettuare una specifica azione nello stesso modo di qualsiasi altre persone che non hanno menomazione. La disabilità non riguarda una sola struttura anatomica,ma l’intera persona. La disabilità,quindi, rende difficoltose diverse attività alcune delle quali sono necessarie altre invece non lo sono ma tutto è in rapporto alla qualità della vita quindi è evidente che il concetto di disabilità non può prescindere dal riferimento all'ambiente di vita della persona e alla sua capacità di adattarsi ed interagire alle più diverse circostanze.
    Handicap: è la difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione. L’handicap quindi non riguarda l’individuo in quanto singolo ma influenza quella che è la sfera sociale dell’individuo con disabilità. L’handicap deriva quindi da una situazione di svantaggio e difficoltà poiché non si riesce a compiere attività che sono comuni per soggetti dello stesso sesso e età. Difficoltà che derivano soprattutto a causa delle barriere architettoniche che rendono spesso impossibili gli spostamenti per chi purtroppo possiede un qualsiasi problema fisico e il più delle volte queste persone finiscono x sentirsi in trappola nelle loro stesse città o a volte anche nelle loro stesse case, posti in cui ognuno dovrebbe sentirsi libero di muoversi. Il fatto che l’handicap derivi dalla disabilità si finisce per pensare che le persone affette da disabilità siano diversi dagli altri, anche a causa da etichette come il termine handicappati (che per fortuna oggi è fuori uso) che in passato venivano usate per definire persone con disabilità. Nonostante oggi sono molte le leggi che dovrebbero provvedere all’eliminazione di questi ostacoli c'è ancora molto da fare si dovrebbe capire che dietro ad ogni progetto architettonico c'è prima di tutto un'idea di uomo e una città che pensa un po'anche alle esigenze della persona con disabilità è sicuramente una città migliore. Ma purtroppo le nostre città sono ancore piene di trappole per le persone con disabilità basti pensare ad una mia giornata tipica per raggiungere l’università e ci si rende conto che se avessi un problema fisico per me sarebbe impossibile muovermi. E pensare che alcune persone davvero non possono farlo è alquanto vergognoso…!!!
    Dopo quasi un ventennio di applicazione e in seguito a un'ampia revisione, nel 2001 l'OMS propone un ulteriore e più innovativo strumento di classificazione, in cui lo stato di salute di un individuo viene affrontato in maniera multidisciplinare e non solo sanitaria:l’OMS istituisce l’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health) cioè la classificazione internazionale del funzionamento, della salute e della disabilità. L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) affinché si possano cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità si vuole quindi far emergere l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.
    La particolarità dell’ICF è che i termini menomazione,disabilità e Handicap vengono sostituiti dai termini:
    Funzioni:cioè tutte quelle funzioni fisiologiche del corpo,ma anche psicologiche;
    Strutture corporee:le parti anatomiche del corpo come ad esempio gli arti;
    Attività e partecipazione:cioè fare in modo che attraverso dei compiti si renda l’individuo partecipe della propria situazione di vita. Molto spesso,come abbiamo già detto, è la società stessa rende che impossibile questa partecipazione,poiché le barriere architettoniche rendono impossibili alcuni spostamenti per le persone con disabilità. Questa difficoltà nel muoversi comporta anche un problema di integrazione, infatti diventa difficile per il ragazzo disabile integrarsi e partecipare pienamente alla vita scolastica perché si sentirà sempre un po’ “diverso”. La società non dovrebbe mai permettere che le barriere architettoniche non permettano la perfetta integrazione di un individuo rendendolo un estraneo nel suo stesso mondo,inoltre la società dovrebbe educare alla diversità come fonte di arricchimento e di crescita,no come un qualcosa da cui stare lontano e da emarginare,poiché non c’è nulla di peggiore che emarginare qualcuno per la propria diversità,come abbiamo visto dal laboratorio della città,ma ciò che è spaventoso e che più fa pensare è proprio il fatto che lo si fa senza rendersene conto,come è capitato a me nella simulazione, dobbiamo quindi imparare a dare maggiore attenzione agli altri.
    Uno degli scopi dell’ICF stabilire un linguaggio standard e neutro per la descrizione della salute delle popolazioni allo scopo di migliorare la comunicazione fra i diversi utilizzatori, come ad esempio operatori sanitari, ricercatori, esponenti politici e la popolazione. La disabilità secondo l'ICF va considerata attraverso un modello cosiddetto "bio-psico-sociale" che prevede la valutazione di diversi fattori, derivanti dalle condizioni biologiche (integrità fisica e funzionale), psicologiche (aspetti cognitivi e affettivi) e sociali (organizzazione della società ma anche usi e costumi), concorrenti e interagenti a vari livelli tra di loro quindi l'individuo si rapporta al suo ambiente di vita e reagisce alle situazioni ambientali in cui è calato quando questo non può avvenire a pieno e ci sono delle limitazioni questo rappresenta la disabilità.


    2)Anna Maria Murdaca esperta nel campo della disabilità nel suo testo “Complessità della persone e disabilità “ ci parla innanzitutto di una costruzione di una cultura della disabilità. La nostra società infatti, nonostante è molto avanti, sia per lo sviluppo scientifico,sia tecnologico, sia per i modi di pensare, ma quando si parla di disabilità siamo ancora una società analfabeta. Sembra sempre che la disabilità è un qualcosa che riguarda gli altri e mai noi, di fronte alla disabilità ci sentiamo impotenti e quindi alla fin fine sono poche le persone che davvero si mobilitano per cambiare le cose,che si battono per l’inclusione delle persone con disabilità. Come sostiene l’ICF la condizione di handicap della persona con disabilità dipende dall’ambiente in cui vive, è il contesto sociale che favorisce o ostacola il problema della persona con disabilità. La persona con disabilità viene, quasi sempre, definita con ciò che non ha,invece di dare attenzione a quello che ha, a cosa può fare all’interno della società. Negli ultimi anni, si è smosso qualcosa nel mondo della disabilità infatti come afferma anche Murdaca non si parla più di inserimento ma di inclusione. Infatti l’idea di inserimento che c’era poco tempo fa sembrava quasi voler dire che la persona con disabilità doveva in qualche modo “adattarsi” a quella che era la società e il contesto sociale che lo circonda. Con il nuovo termine inclusione invece si è cambiato prospettiva poiché questo termine è proprio l’opposto dell’esclusione. Vuol dire creare delle strategie che devono tendere a rimuovere quelle forme di esclusione sociale di cui le persone con disabilità soffrono nella loro vita quotidiana: l'esperienza scolastica spesso vissuta ai margini della classe e non sempre supportata adeguatamente, l’abbandono scolastico, l'esclusione dal mondo del lavoro, le esperienze affettive spesso relegate all’ambiente familiare, una scarsa partecipazione alle attività sociali e di tempo libero. Le politiche inclusive devono partire dall’idea che l’inclusione riguarda tutti, ogni membro della società .Ciò non significa negare il fatto che ognuno di noi è diverso o negare la presenza di disabilità che devono essere trattate in maniera adeguata, ma vuol dire spostare l’attenzione su gli interventi per individuarne gli ostacoli e operare per la loro rimozione.
    Il fine è promuovere condizioni di vita dignitose e un sistema di relazioni soddisfacenti nei riguardi di persone che presentano difficoltà nella propria autonomia personale e sociale, in modo che esse possano sentirsi parte di una comunità e dei contesti relazionali. Insomma inclusione vuol dire riconoscere il diritto ad essere sé stessi. Affinché l’inclusione sia possibile concretamente e non solo a parole è necessario promuovere l'autonomia, informare la società e soprattutto le famiglie, per facilitare la comprensione della situazione in modo tale da sapere come attivare interventi di recupero, quindi è fondamentale supportare le famiglie .
    Dovrebbero inoltre essere garantiti, oltre agli strumenti di diagnosi, anche gli interventi socio-sanitari in grado di attivare le capacità della persona con disabilità, alla quale devono essere assicurati i servizi di riabilitazione e recupero, oltre a quelli di sostegno psicologico e psicopedagogico, bisognerebbe garantire quindi interventi per la cura e la riabilitazione precoce della persona con disabilità. Attivare questi interventi non vuole dire accudire queste persone, ma vuol dire aiutarli verso l’autonomia e l’indipendenza. Quando,finalmente, OGNI persona con disabilità verrà considerata cittadino a tutti gli effetti , quando sarà possibile la piena autonomia e l’eliminazione di tutte le barriere architettoniche allora si potrà dire che abbiamo raggiunto “la cultura della disabilità”,in questo percorso è di primaria importanza la collaborazione delle istituzioni,della famiglie,degli educatori, della scuola,che oggi sembra ancora non pronta ad affrontare tutto ciò. Quindi bisognerebbe attuare un intervento multidisciplinare mirato all’inclusione del soggetto con disabilità e la sua presenza a scuola non deve essere solo fisica o di contorno, ma partecipativa,non bisogna mirare solo ad un tipo di formazione classica ma alla creazione di una vera e propria relazione educativa. Dove l’insegnante e l’educatore devono fare in modo che emerga la personalità,il vero essere della persona con disabilità. L’educatore deve essere una giuda,ma non deve intralciare il percorso, deve lasciare ad ogni educando la libertà di fare le proprie esperienze e se è necessario anche di sbagliare, deve saper ascoltare, saper comprendere e deve aiutare nello sviluppo di un’identità autonoma, come fa una madre con un figlio o come una sorta di amico. Affinché sia una buona relazione ci sono una serie di fattori che devono verificarsi uno è sicuramente il rispetto reciproco cioè l’educatore non deve porsi in una condizione di superiorità poiché non è solo il discente che deve migliorarsi e mettersi alla prova ma anche l’educatore,inoltre si deve creare un clima sereno in cui tutti possono esprimere il proprio parere affinché tutto ciò possa avvenire l’educatore deve guadagnarsi la fiducia. Insomma per creare una cultura della disabilità non bisogna solo battersi per obbiettivi materiali (che sono anche essi fondamentali) come più servizi, più denaro per le pensioni e l’assistenza,ma impostare una nuova strategia basata sui diritti umani come l’ uguaglianza,il rispetto della dignità,la non discriminazione,le pari opportunità e il coinvolgimento nelle scelte. Diritti che in una società che si professa super sviluppata dovrebbero già essere insiti da molto tempo in ognuno di noi!!!


    3)Giovane, bello e sano: ecco la triade trionfante dei nostri giorni. Ecco i valori che dominano in tv e sui giornali,ecco i modelli con cui le ragazze vengono bombardate in continuazione. Personaggi perfetti dai corpi scolpiti, personaggi eternamente giovani e irrealmente privi di difetti,perone disposte a tutto pur di somigliare “all’altro” simbolo di perfezione e bellezza, disposti davvero a qualsiasi cosa ,anche a interventi pericolosi, pur di essere perfetti. Il concetto di bellezza,purtroppo o per fortuna, non è assoluto e cambia a seconda delle culture, degli usi e dei costumi è curioso rendersi conto di come molte forme di bellezza ci sembrano assurde e tendenti all’incredibile. Infatti solo alcuni anni prima le usanze di modificare il proprio aspetto trasformando determinate parti del corpo ci sembravano barbare e assurde, ora la situazione è un po’ ribaltata. La nostra società è piena di persone che vogliono cambiare la propria apparenza attraverso la chirurgia estetica. La donna più dell’uomo è schiava della triade giovinezza,bellezza e salute come afferma anche Remaury nel suo libro “il gentil sesso debole” le donne devono raggiungere quell’ideale di perfezione perché la società propone quel tipo di immaginario e alla fine molte donne è proprio su questi valori che fondano la loro identità. Il fine della loro vita finisce per essere il raggiungimento di un corpo trasfigurato cioè disposte a tutto pur di raggiungere la perfezione anche affrontando sofferenze fisiche ed esorbitanti spese economiche. Lo stesso ideale di donne viene celebrato anche da Lipotevesky nel suo libro “la terza donna” in cui l’autore ripercorrendo gli ideali del passato cioè quando la donna era considerata una sorta di reincarnazione del diavolo e successivamente quando la donna veniva considerata un essere angelico, ora c’è la terza donna quella che è costretta percorrere la via che porta ad avere un corpo perfetto poiché è quello il modello che la società offre. L’eccessiva perfezione e il tendere ad una bellezza estrema che non esiste può trasformarsi in qualcosa di mostruoso,in qualcosa che si contrappone alla bellezza. Ormai le tecnologie stanno modificando ogni sfera umana non solo fisica,ma anche relazionale. Come sostiene Rosi Braidotti la donna modifica il proprio corpo nella maternità che nell’idea maschile diventa come qualcosa di mostruoso,la maternità per gli uomini finisce per essere un qualcosa di meraviglioso,ma mostruoso allo stesso tempo. Come si può notare sia la bellezza che la mostruosità è relativa e a parer mio è importante sentirsi bene con il proprio corpo però senza sfociare nell’esagerazione poiché alla fine più che persone diventiamo delle vere e proprie macchine diventiamo tante pecorelle che seguono il modello di perfezione del momento,senza usar più né cervello,né cuore. Quindi l’uso della chirurgia estetica deve essere usata con coscienza,magari per risolvere problemi fisici ma non per assecondare dei capricci del momento,poichè a causa di questa amata/odiata invenzione, chi se lo può permettere si spingerà sempre più in là, verso frontiere inesplorate che (forse) dovrebbero rimanere tali.

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