Canevaro evidenzia l’importanza delle parole in “Le parole che fanno la differenza”, soffermandosi, in particolare, sulla parola handicap. Questo termine è stato utilizzato anche in modo dispregiativo come nel caso del bullismo, tant’è vero che si è deciso di abbandonarlo sostituendolo con la parola disabilità. Deficit, disabilità e handicap sono spesso usati come sinonimi, ma non sono la stessa cosa. Esempio di deficit organico è Simona Atzori, che non aveva le braccia, o Oscar Pistorius. La parola deficit non sempre si collega alla disabilità, in quanto quest’ ultima non ha sempre un deficit organico come nel caso dell’autismo. L’handicap, invece, è una difficoltà che impedisce ad una persona di non avere le stesse caratteristiche di un normodotato. Con la parola disabilità, sviluppiamo l’empatia, ossia il mettersi nei panni dell’altro. A tal proposito nel 1970 con l’ICD, fu apportata una grande innovazione che cambiò il modo d’intendere le persone affette da deficit le quali, sino ad allora, non erano considerate uomini ed erano associate ai mostri. L’ICD, una sorta di enciclopedia delle malattie, giunse alla conclusione che la disabilità non è sempre una malattia. Negli anni ’70 la disabilità era studiata come un caso clinico con diagnosi, come accadeva per le persone con la sindrome di Down. Nel 1980 l’ICDH riformula i termini utilizzati negli anni precedenti, sostituendo la disabilità con abilità e partecipazione, confermando il termine menomazione. L’abilità e la partecipazione solo su carta e non nella vita di tutti i giorni, in quanto i disabili sono ancora esclusi dalla società, non sono rispettate e valorizzate le loro esigenze. Nel 1990 con l’ICF la disabilità non è più considerata una malattia, ma una condizione di salute che evidenzia l’importanza dell’interazione sociale. L’ICF intende la disabilità come emancipazione del disabile per rendergli la vita migliore, autonoma, indipendente, una vita immersa nel contesto sociale in cui il disabile non è più il malato, il mostro, il diverso, ma la PERSONA nella sua complessità. Gli individui svantaggiati non devono essere solo identificati con il deficit, ma con le proprie esigenze in quanto persone diverse tra loro.
La parola che mi ha fatto molto riflettere è stata MOSTRO. Il mostro è colui che, a primo impatto, incute paura per il suo aspetto fisico: esempi li troviamo nel cartone animato “ il gobbo di Notre Dame ”, nel famoso mostro di Loch Ness oppure nei mostri dei giorni nostri quali il mostro del Circeo. Insomma, una vasta gamma di persone immaginarie o reali definite mostri per caratteristiche lontane dalla “normalità” e non conformi alla moda dei nostri giorni. Il mostro è quindi il diverso, colui che è escluso dalla società e non gli è permesso di farne parte. L’esercizio svolto in aula mi ha dato la possibilità di conoscere altri punti di vista diversi dal mio, di sviluppare, attraverso il dialogo e il confronto, un ragionamento non lineare ma complesso, non diretto verso un’unica soluzione, ma verso le molteplici strade presenti.
Diverso è considerato anche il Dr Prentice, stimato medico afroamericano che s’innamora, ricambiato, di una ragazza bianca. I due sono i protagonisti del film degli anni ’60 intitolato “INDOVINA CHI VIENE A CENA?” che ripropone un tema ancora attuale, riguardante le differenze razziali. In questi anni sono molti i protagonisti che lottano contro il razzismo, tra cui Martin Luther King, leader del pacifismo e della lotta non violenta, eroe e paladino degli emarginati, redentore della faccia nera. Nel film il Dr Prentice sottolinea come il colore della pelle di una persona non sia importante, tant’è vero che parlando con il suocero , il quale non accetta il matrimonio tra la figlia e il dottore, dice:”MI CONSIDERI ANCORA UN UOMO DI COLORE, MENTRE IO MI CONSIDERO UN UOMO”. Questo film ha evidenziato come le differenze razziali siano ancora attuali, in quanto sono presenti ancora streotipi e pregiudizi verso gli stranieri.