Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    Messaggio  Admin Mar Apr 24, 2012 2:50 pm



    ricordate: prossima lezione: 3 maggio 12.30-14.30


    ---------------
    Prova intercorso
    Testo di riferimento: F. Briganti, Nozioni introduttive alla pedagogia della disabilità,

    ------------------------------------------------------------------------------------------------------------
    Rispondi alle seguenti domande attraverso una spiegazione ragionata, arricchendola di spunti teorici (autori o libri) e personalizzandola (= richiamando i tuoi interventi laboratori ad essa collegati).

    1) Esponi il passaggio dall’Icd all’Icf, soffermandoti poi sul contesto e sulle parole disabile e diverso, personalizzando il tuo discorso attraverso una ripresa degli interventi ai laboratori che hai proposto ‘orologio’ /‘barriere architettoniche’, ‘la mappa degli stereotipi’, Sindaco/esperienza di ‘emarginazione’ (questo perché ciascun intervento deve essere diverso e avere l’impronta dello studente che lo elabora).
    Modalità: 1 pagina e mezzo (= 1 cartella e mezzo in word)

    2) Anna Maria Murdaca scrive il testo Complessità della persona con disabilità, rifletti su quali logiche guidano il suo discorso, riguardo:
     la rimodulazione del termine integrazione
     la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
     la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    riportando come, attraverso le tematiche proposte (il contesto sociale, la persona, lo spazio di cura come luogo riparativo), possiamo pensare in modo nuovo ad una relazione educativa
    (anche qui riporta i tuoi laboratori laddove ritenuto congruo).
    Modalità: 1 pagina e mezzo

    3) Remaury, Lipovetsky e Braidotti: proponi, arricchendole di riferimenti, le tue riflessioni su questi autori sul corpo trasformato e mostruoso (anche in riferimento al laboratorio le protesi estetiche).
    Modalità: metà pagina
    (*puoi anche unire tutti e 3 i punti e farne un unico discorso)

     Non allegare link, immagini o video.
     Salvare il word questo scritto e stamparlo, poi ricopiarlo nel forum.



    Ultima modifica di Admin il Gio Mag 24, 2012 2:40 pm - modificato 2 volte.
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    Messaggio  Giovanna Di Francesco Mar Apr 24, 2012 9:01 pm

    1)L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha elaborato, nel suo campo, una serie di classificazioni. La prima forma di Classificazione fu:
    ICD = ( class. Internazionale delle malattie) sorta intorno al 1970. Tale classificazione pone la sua attenzione sulle cause delle patologie, fornendo una descrizione delle caratteristiche cliniche, di ogni sindrome o disturbo; Ogni diagnosi, inoltre, viene tradotta in una serie di codici numerici, per facilitare la memorizzazione. Ad ogni patologia viene attribuita la disabilità, formando una sorta di
    Enciclopedia Medica.
    Tale sistema di classificazione, però, con il passar del tempo venne sostituita prima con ICIDH (Sorta nel 1980 come classificazione internazionale che cerca di risolvere alcuni problemi inerenti alle definizioni).Poi in seguito con ICF = (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) sorta nel 2001, che diede una nuova definizione al termine: “disabilità”.
    Tale classificazione descrive le modifiche dello stato di salute di una persone, ma soprattutto si interessa alle conseguenze che queste modifiche provocano nella persona. Considera qualsiasi disturbo associato a condizioni di salute del corpo, della persona e della società, ponendo come centrale la vita delle persone affette da patologie, evidenziando come convivono con la loro condizione.
    Il passaggio dall’ICD all’ICF, avvenne per vari motivi, prima di tutto perché le informazioni che venivano date dalla diagnosi medica, non erano considerati sufficienti nel definire ciò che la persona era in grado di fare, e non. La classificazione ICF, ideata per qualsiasi fascia di età, rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario, perché adottandolo ci si accerta del diritto delle persone con disabilità e le loro condizioni di salute (lo stress, l’invecchiamento, anomalia congenita). ICF viene utilizzato in campo: Sanitario,Sociale, Educativo.
    Per ICF “La disabilità” è una condizione di salute derivata dal contesto sfavorevole.
    Questo contesto sfavorevole causato da vari motivi, vari problemi. Ciò l’ho abbiamo potuto notare durante il laboratorio sulle barriere architettoniche, dove attraverso l’esercizio dell’orologio, si sono evidenziati gli ostacoli che un disabile incontra nell’arco della sua giornata; Ostacoli causati dalla mancanza di manutenzione su strade,(basta pensare a strade rotte, marciapiedi inaccessibili per chi è sulla sedia a rotelle), su attrezzatura,(come le pedane per entrare ed uscire da una metropolitana, oppure quelle utili per far salire o scendere sui pullman), ma anche causati dallo stesso cittadino,quando ad esempio parcheggia la sua auto sulle strisce pedonali, o su posti riservati ad invalidi. Sono tutti atteggiamenti che ,a mio parere, rendono la vita di un “diversamente abile” , più difficoltosa di quanto essa sia.
    Ad aggravare la situazione, inoltre, è anche l’uso scorretto, o meglio improprio, di termini come DISABILE, DIVERSO, HANDICAPPATO.
    Io credo che bisogna fare molta attenzione quando si vuol dire qualcosa,ma soprattutto bisogna PENSARE a ciò che si vuole dire, al messaggio che si vuol far passare, in modo da evitare dei disagi, soprattutto quando si tratta di temi molto delicati come deficit, disabilità, handicap.
    Molto utile è fare,quindi, una riflessione sulle parole disabile e diverso.
    Disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, una persona affetta da disfunzioni motori/cognitive, dalla mancanza di una o più abilità. Esso è un soggetto con disturbi fisici, o psichici, che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate. Nei confronti di persone con disabilità, spesso si tende ad assumere atteggiamenti di pietismo, dando a loro un’ETICHETTA. Attribuendogli spesso il termine DISABILE con un valore dispregiativo, perche si indica che quella persona non e abile in qualcosa. Fortunatamente esistono persone con disabilità che però non si sentono tali ,grazie al superamento delle barriere architettoniche; basti pensare a Simona Atzori, oppure a Pistorius, che sono due esempi di RESILIENZA, ovvero coloro che hanno “superato ogni limite”.
    Il termine divero o diversabilità vuol indicare una persone che ,oltre ad avere una dis-abilità, ha delle abilità diverse da altri. A mio parere è molto giusto usare termini come: diversamente abile o diversabili, piuttosto che disabile, perchè utilizzando questi termini non si trascura il valore della persona. Il termine diversabile, è un termine positivo che mette in evidenza l’essere diversamente abili in una determinata cosa, ma non esclude l’essere abile in un'altra. Infatti durante una simulazione fatta in aula, la professoressa ci ha fatto bendare, privandoci quindi della vista, ed ha incominciato a leggerci una serie di poesie, o messaggi fatti da bambini o persone con il deficit della cecità;
    durante la lettura ho notato che il mio udito era più attento, riuscivo a sentire anche i minimi rumori,come il cadere di una pena, il respiro della mia collega accanto,tutto ciò che sicuramente non avrei notato facilmente se non fossi stata bendata; Secondo me questa è la dimostrazione che chi è ceco, non è un disabile, ma un diversamente abile nella vista, ma molto abile nell’udito, e di conseguenza noi NORMODOTATI, in confronto a chi è ceco, siamo diversamente abili nell’udito .
    Disabile, insomma, è solo ciò che una persona pensa di lui.
    Chi è disabile, molto spesso viene isolato, emarginato; sensazioni queste, a mio parere, molto brutte e difficili da superare. Chi è emarginato si sente solo, si sente come un fantasma, dove nessuno lo considera, nessuno lo ascolta, provocando dei disagi molto seri, facendo soffrire non solo lui ma anche chi è molto vicino a lui, esempio familiari, genitori.
    Ad interessarsi della complessità della persona disabile , c’è stato anche Anna Maria Murdaca.
    2)Anna Maria Murdaca, docente e autrice di “ complessità della persona e disabilità”,affronta in questo testo tematiche come: integrazione, complessità, inclusione e inserimento del disabile, le capacità funzionali; tutte ,queste, tematiche che conducono l’autrice in discorsi come:
    ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    rimodulazione del termine integrazione
    comprensioni delle reali condizioni di vita di una persona disabile

    Secondo Murdaca, bisogna prima di tutto adottare l’ottica della GLOBALITA’, cioè bisogna avere una nuova cultura e conoscenza della disabilità che sia attenta non solo al comportamento del soggetto, ma al suo riconoscimento come persona in evoluzione. Il suo obiettivo è quello di valorizzare la persona rispettando le differenze e l’identità. Il contesto sociale , ha un ruolo molto importante, poiché è essa che determina una condizione di Handicap. Infatti come ho già affermato precedentemente, a esaltare le discrepanze tra il soggetto disabile e la società in cui vive, sono gli ostacoli ,le barriere fisiche,che impediscono ad una persona con deficit di portare a termine una particolare attività considerata normale. L’ambiente, (dal contesto familiare, dalla scuola), può avere una doppia funzione; può essere una barriera, oppure un facilitatore,basti pensare al ruolo dell’insegnante/educatore ; esso può, anzi deve, contribuire nell’integrazione del disabile.
    L’integrazione è proprio uno dei problemi che la persona disabile deve affrontare. Esso non è altro che un processo continuo, che ricerca soluzioni,strategie, diritti dei disabili. L’integrazione viene
    quindi vista come : accoglienza verso diverse identità, e come condivisione di valori etici. A favorire l’integrazione vi è: la relazione educativa.
    La relazione educativa, è lo spazio dove il disabile, insieme agli insegnanti, educatori, sperimenta una serie di situazioni, vissuti,che vengono elaborate,criticate ed integrate. La relazione educativa, può
    essere un momento di incontro, di scambio di idee, che può coinvolgere 2 persone, come il docente/discente,madre/figlio, oppure più persone come insegnanti/alunno.
    Infatti in una delle simulazioni fatte in aula, abbiamo affrontato il concetto di relazione educativa facendo due setting (il setting rappresenta l’incontro tra educatore ed educando).
    In entrambi i setting è emerso che il ruolo dell’educatore è molto importante; esso diventa una sorta di ESEMPIO da seguire per gli alunni, (nel caso della relazione insegnanti/alunni). Nella relazione educativa, si ha una formazione bilaterale, cioè a formarsi non è solo l’alunno, ma anche il docente. Esso rappresenta la parte più importante della pedagogia. Nel caso di un disabile,invece, l’educatore deve prendere in considerazione le diverse situazioni, adottando dei programmi specifici per far emergere le sue doti. Deve quindi evidenziare le sue potenzialità senza mettere in luce le sue difficoltà.
    3)Il contesto sociale è un elemento determinante, non solo per l’integrazione dei disabili, ma anche per la formazione di ideali, di aspettative degli adolescenti. A giocare un ruolo fondamentale per la formazione di stereotipi, di ideali, sono le riviste, le televisioni, che trasmettono immagini di modelli estetici ,modelle,ballerine/i ad esempio, difficili da raggiungere.
    Molto spesso l’immagine della donna si confonde con quella della bellezza, infatti la responsabilità, la cura della salute è sempre stata affidata alla donna, che deve prendersi cura del suo corpo.
    Come abbiamo affrontato in aula, seguire degli ideali, può causare dei problemi seri, come ad esempio l’ANORESSIA, una delle malattie più brutte;paragonata ad un tunnel dove ci entri con facilità, ma difficilmente riesci ad uscirne fuori. Autori come : Remaury, Lipovetsky e Braidotti si sono interessati alla tematica della donna, in particolare al suo bisogno di migliorarsi, di trasformarsi, di raggiungere “l’eterna giovinezza apparente”.
    Remaury sostiene le donne sono dirette verso una corsa alla perfezione; una perfezione di tipo corporea(grazie all’evoluzione della scienza), che rende il corpo libero, da malattie, dal peso e dal tempo. Lipovetsky ,invece, ci propone l’immagine di una terza donna che nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti, percorrendo una delle strade possibili verso il corpo perfetto.
    Ciò che sostengono gli autori, rappresenta,oggi, uno dei problemi più diffusi nella nostra società.
    E’ come se si avesse un disprezzo del proprio corpo, ed è per questo che si ricorre alle protesi estetiche , che vengono viste come “le tecnologie del miglioramento”.
    Dove vai, vai, senti parlare di ragazze, donne, che ricorrono alla chirurgia plastica per rifarsi il seno,il sedere,le labbra, solo per un capriccio personale, e sinceramente non sono d’accordo. Credo che il ricorrere alla chirurgia, l’impianto di protesi estetiche, debbano essere fatte solo per motivi di salute, per necessità, cioè sono giuste solo se possono migliorare LA VITA di una persona,se possono rendere la sua vita migliore, nel compiere anche piccoli gesti quotidiani.
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    Messaggio  donatella tipaldi Mar Apr 24, 2012 11:40 pm

    Durante questo corso ci siamo dedicati all’importanza delle parole e del loro “peso”. esse mostrano la cultura, il modo di pensare, di ragionare di un individuo, mostrano il grado di attenzione che si dedica ai più deboli! Le parole possono ferire più di un’arma a volte. Ed è per questo che prima di dire qualsiasi cosa, bisogna contare fino a 10!
    La nostra attenzione si è focalizzata in generale sulla PERSONA, e in particolare sulla PERSONA CON DISABILITA’. Ciò che mi ha lasciata allibita è che troppo spesso la disabilità è intesa come diversità. ma questo è del tutto sbagliato perché ognuno di noi, è diverso dall’altro! Di conseguenza disabilità non è sinonimo di diversità! Anzi! La disabilità è uno stile di vita!
    Addirittura c’è chi è convinto che i termini siano intercambiali! E questo è un ulteriore errore!
    Infatti, c’è chi crede che i termini malattia e disabilità siano la stessa cosa! Invece la disabilità è è una condizione che può essere causata a una malattia ma NON è una malattia!
    La cosa che mi rende felice è che il linguaggio intorno alla disabilità sta cambiando in meglio!
    Ciò significa che è stato avviato un processo di sensibilizzazione sociale, che è ancor in atto ed è efficiente ed efficace!
    Letteralmente la parola disabilità sta ad indicare la condizione personale di chi, in seguito ad una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d’interazione con l’ambiente sociale rispetto a ciò che è considerato la norma, e per questo è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale.
    Un termine abusato è quello di handicap che nel linguaggio comune (ma purtroppo molto spesso anche
    fra “gli addetti ai lavori”) è usato come sinonimo di danno o menomazione fisica o psichica, di
    difficoltà, malattia o sofferenza in genere e quindi anche utilizzato per indicare qualcosa di
    intrinseco alla persona (handicappato, portatore di handicap). Ovviamente,il concetto di handicap è riduttivo perché tralascia i fattori sociali ed ambientali che di fatto costituiscono la principale fonte di ostacolo (handicap). Questa convinzione ha portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a dotarsi di opportuni strumenti di classificazione che consentissero una migliore ed efficace osservazione ed analisi delle patologie organiche , psichiche e comportamentali delle popolazioni, per migliorare la qualità delle diagnosi di tali patologie.
    Infatti, fino a non molti anni fa, il modello di disabilità in vigore coincideva con la successione di causa-effetto secondo la progressione: malattia o disturbo-menomazione-disabilità-handicap come previsto dall’ICDH del 1980, derivante dall’originario ICD del 1948, il cui modello faceva riferimento alla successione etiologia-patologia-manifestazione clinica- diagnosi. Per cui,tali strumenti adottavano il modello medico tradizionale che trascurava gli aspetti relazionali,ambientali, sociali che sono fattori imprescindibili della salute e della malattia e condizionano il percorso degli uomini,tanto da divenire o fattori di rischio che possono aggravare il disturbo in questione o fattori di protezione che possono migliorare la salute.
    I processi di revisione hanno portato dall’ICDH (=classificazione delle menomazioni, disabilità,handicap) all’attuale ICF (2001) (classificazione del funzionamento della salute e della disabilità) con il quale cambia il modo di concepire la disabilità, la salute,l’handicap che vengono intese come dinamiche che possono mutare nel tempo e a seconda del contesto di vita dell’individuo.
    Quindi, l’ICF tende a considerare le condizioni di salute piuttosto che quelle di malattia cioè il benessere diviene la colonna portante sulla quale si poggiano gli aspetti della vita umana: fisici, mentali,sociali,ecc.
    In altri termini, l’ICF dalla disabilità delle persone si concentra sulla salute di queste ultime!
    Fondamentale importanza nel nostro percorso, ricopre il temine di CONTESTO , infatti è importante stimolare gli educatori a superare i pregiudizi intesi come classificazioni che nascono prima dell’incontro con il bambino, stimolare gli educatori ad approfondire la conoscenza con quel “tipo” di bambino, preparare gli educatori alla costruzione di un rapporto basato su sentimenti di amicizia, di protezione affinchè il bambino/ragazzo disabile si senta accolto in un contesto come la scuola/università dove molto spesso invece a prevalere sono, come già accennato, i pregiudizi e l’ignoranza (purtroppo).
    Ulteriore chiarimento riguarda i termini DIVERSO E DISABILE: spesso il disbile è considerato diverso da noi a causa delle proprie dis-abilità. E questo comporta una sorta di discriminazione e di emarginazione. E la domanda che mi pongo è: DIVERSO O…. SPECIALE? Ma poi… DIVERSO DA CHI?? Se non vado errata sia noi normodotati, sia i paraplegici, sia i ciechi, sia i sordi, sia gli autistici… noi tutti per volere del Signori siamo diversi! Ognuno ha il proprio carattere, il proprio colore di occhi, capelli. Ognuno ha un hobby! Con quale diritto ci permettiamo di giudicare il prossimo? E se diversi fossimo noi in prima persona? Anzi! Probabilmente il diverso, il mostro è proprio colui e/o colei che non riesce ad andare oltre le apparenze! D’altronde parliamo di esseri umani, che hanno qualche difficoltà in più nello svolgere le attività quotidiane ; oppure che hanno disfunzioni motorie, disfunzioni cognitive. Per non parlare poi dell’errore più comune che si è portati a compiere quando si è a contatto con questi ragazzi: inevitabilmente dove il processo di sensibilizzazione ha fallito, notiamo atteggiamenti di pietismo, di compassione o addirittura di disprezzo!
    In aula a proposito, ci sono stati proposti vari esercizi e simulazioni. Quelli che per me sono stati più significativi sono stati: l’esercizio dell’orologio nel quale si mettevano in luce le difficoltà che una persona disabile avrebbe incontrato durante la mia giornata tipo a causa delle barriere architettoniche! In questa occasione sono stata assalita da un senso di colpa e di ansia atroce perché già in casa mia, un disabile sarebbe diventato un vegetale! Sarebbe impazzito perché avrebbe perso la sua autonomia al 100%. E perdere autonomia, indipendenza per me equivale alla perdita della propria dignità!
    Altri esercizi però, mi hanno mostrato che ci sono persone come Simona Atzori che pensano e agiscono in modo differente dal mio….. (non a caso..siamo tutti diversi!) . Simona è la rappresentazione più emblematica del termine RESILIENZA! Ovvero…. Parlo di una persona che pur essendo disabile non si reputa tale! E guardando dei video, la sua frase che mi ha colpito molto è “non permettere agli altri di vedere in te limiti che non senti di avere”! infatti è una frase che per me è diventata un consiglio!
    La società deve attrezzarsi quanto prima, da nord a sud, affichè in tutte le città vengano assicurati gli ausili necessari a chi ne ha bisogno, perchè la libertà di movimento è un diritto inalienabile per tutti!
    Grazie a questo corso sento che sto crescendo molto. Sento di non essere più la ragazza superficiale, ingenua di qualche mese fa. Anche perché sto conoscendo e studiano autori di rilievo come la docente Anna Maria Murdaca che affronta e ci propone argomenti importanti e sempre più attuali come: l’integrazione, la costruzione di una nuova cultura della disabilità, la ridefinizione di un progetto di vita per le persone disabili.
    A.M.Murdaca parte da un presupposto: sostiene che per poter affrontare tali tematiche bisogna allargare i propri orizzonti e abbandonare i propri “limiti”… per cui è necessario rivoluzionare il proprio modo di vivere e pensare per aprirsi alla globalità per poter accogliere una nuova cultura,attenta alla disabilità e al riconoscimento,oltre che alla tutela, dell’individuo in quanto tale. Infatti, nella realtà odierna le barriere che permangono sono mentali perché la società non è ancora pronta, di fatto, ad accettare la disabilità in modo spontaneo! Infatti, ancora oggi, come accadeva nell’antichità, il corpo del disabile diventa oggetto di stigmatizzazione negativa. Di conseguenza, tutti coloro affetti da un deficit fisico o mentale, vengono allontanati dai circuiti della vita sociale e condannati ad uno stato di emarginazione (come ci ricorda Goffman). La stessa famiglia a volte nega l’integrazione del disabile per motivi di protezione o addirittura per evitargli l’umiliazione del rifiuto altrui.
    La società deve però abituarsi a condividere i propri spazi, con chi è dis-abile! Per cui, è necessario che leggi, scuola, mass media, famiglie interagiscano tra loro affinchè si possa assistere ad una reale svolta culturale! È importante che le famiglie crescano figli più consapevoli, più responsabili, più rispettosi…. E perché ciò avvenga è importante focalizzarsi sulla relazione educativa che vede educatore ed educando interagire tra loro, scambiandosi idee, esperienze. È un momento di scambio che riguarda sia l’ambito familiare tra genitori e figli, sia l’ambito scolastico tra, appunto, docente e discente. La relazione educativa esige competenze linguistiche,comunicative. L’educando deve essere in grado di trasmettere il proprio affetto… non deve accentuare le debolezze del bambino/ragaz
    zo. Credo che tale relazione sia un dare/ avere. Ognuno, dà qualcosa di sé all’altro e viceversa.
    A tal proposito, abbiamo con la docente, affrontato il tema della relazione educativa ricorrendo a due setting che, appunto, rappresentano l’incontro tra educatore ed educando… entrambe le simulazioni hanno evidenziato il ruolo centrale dell’educatore, dei suoi gesti, del suo modo di porsi. L’educatore deve rappresentare un punto di riferimento, una persona sulla quale poter contare sempre, con la quale poter parlare di tutto. Quindi l’educatore deve essere predisposto all’ascolto e deve riuscire a scindere le differenti situazioni che gli si presentano e fattori quali: sesso, età, nazionalità, situazione familiare.
    Prendersi cura dell’altro infatti significa proprio questo: cioè lasciare entrare l’altro in sé! Quindi la relazione educativa è uno scambio bilaterale!
    Tale relazione è strettamente connessa ai fattori ambientali che condizionano gli interventi dell’educatore, la crescita dell’educando, l’impiego di strumenti,ausili, risorse. Quindi è importante ordinare il contesto sociale per poter ridurre e/o eliminare gli influssi negativi e incentivare le sollecitazioni positive. Occorre educare anche i media, e i modelli che ci propongono!
    Un argomento che ti tocca molto, perché ho vissuto in prima persona ed ora… riguarda mia cugina, è l’anoressia. La colpa è anche delle riviste che ci presentano e convincono che la bellezza sia quella… cioè: niente curve! Ovviamente si aggiungono a questa motivazione anche problemi personali! Indubbiamente! Io fortunatamente sono riuscita a superare questo momento buoi. Mia cugina, di soli 16 anni…. Non ancora! E la situazione è davvero critica!
    A parte la parentesi personale, autori come Braidotti, Remaury, Lipovetsky hanno messo in luce lo status della donna attuale. Sempre insoddisfatta, sempre alla ricerca della perfezione,come affermano Remaury e Braidotti… donne che vogliono lottare contro i segni del tempo e che per questo si sottopongono frequentemente anche ad interventi chirurgici per migliorarsi sempre di più! (peccato che i chirurghi non sono ancora attrezzati per i miracoli! E le protesi non sono eterne!); Lipovetsky invece nel suo testo “la terza donna” ci mostra tre passaggi epocali: c’era una volta la prima donna, svalutata, sfruttata… poi è venuta la seconda donna: l’icona, l’ideale di virtù; ventunesimo secolo, arriva l’era della terza donna: che racchiude in sé le due precedenti ma finisce col superarle in una nuova accezione: cioè quella di donna indefinita. Un termine da non intendere in modo negativo bensì come il fondamento dell’autodeterminazione.
    In comune gli autori in questione, sembrano avere uno dei temi caldi che investono la nostra società: il disprezzo di sé stessi, del proprio corpo! Oggi il copro, che è la “cosa” più cara che abbiamo, quasi non è più rispettato… uomini e donne bionici caratterizzano la nostra generazione!
    Certo, sono favorevole alle protesi, alla chirurgia ma solo in casi seri! Credo non sia giusto alterare la volontà di “chi ci ha voluti così”…. perché andare contro natura quando poi c’è chi darebbe tutto l’oro del mondo per avere il nostro corpo ed i relativi difettucci?? D’altra parte…. Nessuno è perfetto!


    ps. ho seguito l'ordine da Lei indicato, ma non ho diviso per agromenti perchè ho preferito svolgere una sorta di discorso...
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    Messaggio  filomena mosca Mer Apr 25, 2012 1:40 pm

    Il crescente bisogno di avere adeguate informazioni sull'identificazione delle diverse disabilità porta spesso a fare riferimento ai documenti legati all'Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS).Ma è possibile trovare diverse classificazioni e poche spiegazioni sull'evolversi dei vari studi e strumenti necessari,in un'ottica di valutazione delle disabilità. La prima classificazione elaborata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) è la classificazione internazionale delle malattie(ICD),che risponde all'esigenza di cogliere la causa delle patologie,fornendo per ogni sindromo e disturbo una descrizione delle indicazioni diagnostiche.Pr cercare di ovviare a questo problema di definizione, nel 1980 l'OMS ha elaborato la classificazione internazionale L'ICDH.Questa nuova proposta si basa su tre fattori interagenti tra loro :la menomazione che indica la perdita o un'anormalità a carico di una funzione psicologica oppure fisiologica.La disabilità che indica l'incapacità di svolgere determinate funzioni e compiti nel modo ritenuti "normali" per un individuo.L'handicap è invece la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenzile con gli altri, il disagio sociale e la condizione di svantaggio che può essere alimentato dal contesto in cui vive.L'OMS nel 2001 pubblica il manuale di classificazione ICF e propone una definizione del concetto di disabilità e di salute multidimensionale.Secondo l'ICF, la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole.L'ICF pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia,e permette di evidenziare come le persone convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla, per avere un'esistenza produttiva e serena.Spesso nella vita la disabilità viena confusa con la diversità.Come ho spiegato in precedenza il disabile è colui che è incapace di svolgere le "normali" attività della vita quotidiana,quindi un individuo affetto da disfunzioni motorie o cognitive.In relazione a questo tema, tempo fa in aula sono stati trasmessi dei video,attraverso i quali ho capito che in realtà la legge non attua nulla di concreto nei confronti dei disabili.
    ci sono moltissime barriere che ostacolano queste persone,loro con coraggio cercano di imporre i lori diritti,ma ciò che mi irrita è l'indifferenza delle cosidette "persone normali" nei confronti dei disabili.Spesso noi nei confronti di queste persone assumiamo atteggiamenti e sguardi di pietiesmo,per cui non si parla più di una determinata persona, ma si parla del disabile.Ed è per questo che trovo che sia più opportuno parlare di diversabilità, perchè mette in risalto che la persona, oltre ad avere una disabilita, ha anche delle abilità diverse dagli altri, da scoprire, fare emergere e potenziare.Il disabile ci fa paura perchè è diverso da noi, e di conseguenza la diversità è concepita come "non normalità".Quando pensiamo al diverso immaginiamo una persona non simile alla maggior parte delle persone che vivono intorno a lui.Senza capire che il diverso può essere una persona che si distingue da noi per le sue caratteristiche oppure per le sue abitudini, cultura, razza.Il diverso spesso viene isolato,perchè ci fa paura perchè non lo capiamo,forse perchè non ci sforziamo nemmeno di capirlo e proviamo nei suoi confronti desiderio di essere solidali che non vuol dire fare beneficenza,bensì aiutare la persona.Per me molto significativo è stato il video mostrato in aula per quanto riguarda la diversità, perchè ci fa capire che la diversità non conta se c'è l'amore proprio come i due protagonistiche.Quindi non bisogna avere dei pregiudizie sulle persone solo perchè hanno un colore della pelle diversa da noi, solo perchè sono diversi.Perchè a volte è proprio la diversità a rendere le persone speciali.Quindi non dobbiamo emarginare le persone,solo perchè sono diversi da noi,l'esperienza fatta in aula per quanto riguarda l'emarginazione scatenò in me un senso di tristezza.Perchè ricordo l'impotenza di non aver fatto niente per quelle ragazze emarginate,inoltre con la simulazione fatta in aula ho capito che le persone vengono emarginate anche per cose futili.Quindi bisogna dare una mano a queste persone,perchè siamo tutti esseri umani e abbiamo gli stessi diritti e di conseguenza nessuno deve essere emarginato.Secondo Anna Maria Murduca,autrice del testo complessità della persona e disabilità,occorre adottare l'ottica della globalità:una nuova cultura e conoscenza della disabilità,attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento,del comportamento del soggetto disabile,ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione.L'obiettivo è la valorizzazione della persona con il rispetto delle differenze e delle identità,ciò può avvenire attraverso l'integrazione che è un processo continuo non un punto di arrivo,una continua ricerca di soluzioni,strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili.Perchè non si dovrebbe definire nessuno per sottrazioni,le persone si caratterizzano per capacità non per quello che non sanno fare.Molto importante è anche lo spazio di cura inteso come luogo riparativo, come progressiva emancipazione dell'uomo per ciò che egli è e per ciò che può diventare.Quindi un modo nuovo di integrazione ovvero come accoglienza delle diverse identità e come condivisione di valori etici.Non si mira all'accudimento ma all'emancipazione del soggetto con disabilità,quindi la nuova cultura della disabilità deve essere attenta tanto a cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive quanto ad innalzare la qualità della vita dei soggetti.Bisognerebbe ripensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità,i quali non sono soggetti passivi di pietismo, ma cittadini a pieno titolo.Quindi rimodulare l'integrazione in prospettiva umanistica significa alla globalità della persona,quindi nel suo insieme.Molto importante è anche la relazione educativa,ad esempio in aula sperimentammo la relazione tra l'educatore e l'educando e io riuscì a capire che questo tipo di relazione deve essere di massimo rispetto reciproco,per avere appunto,un'arricchimento reciproco.è un tipo di relazione educativo che permette una crescita,una formazione dell'educando.Il futuro educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce,arricchendole di conoscenze.In una buona relazione educativa bisogna,soprattutto creare un rapporto alla pari senza creare differenze,in modo tale che il soggetto si senta libero di esprimere le proprie idee e confrontarsi liberamentcon gli altri soggetti, quindi bisogna anche sapere ascoltare.Ma a sua volta la relazione educativa può anche essere uno scambio di emozioni tra due o più persone.Però a volte gli educandi sono adulti con difficoltà ad esempio tossicodipendenti,alcolisti,carcerati.La relazione educativa in questo caso è il rapporto tra una persona "guida"e una persona in difficoltà.In questa relazione bisogna nel profondo chi si ha di fronte, i suoi problemi, le sue difficoltà e le sue paure, senza soffermarsi sulle apparenze ma cercando di comprenderne i fattori che spingono un soggetto a comportarsi in un dato modo non approvato dalla società.C'è anche la relazione educativa tra docente/discente è un tipo di legame che produce l'apprendimento ,attraverso una serie di interconnessione che porta alla fusione delle conoscenze.Tale relazione deve essere costituita da incontro e scambio,partecipazione ed alleanza in sostanza non ci deve essere una disparità di potere , perchè l'alunno deve sentirsi a proprio agio in un clima di fiducia.La relazione educativa è anche il rapprto che si stabilisce tra madre e figlio.Per quanto riguarda la relazione educativa al disabile,l'educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile.Non bisogna mettere in luce le "mancanze " ma evidenziare le potenzialità , le doti e le capacità di una persona.Nella nostra società oggi giorno non si fa altro che guardare all'esteriorità alla bellezza.In relazione a questo tema c'è l'autrice Remaury che nel gentil sesso debole ci parla della donna di come viene rappresentata cioè Giovane, bella e sana: questa è l'immagine ideale della donna che propongono i media e la pubblicità. Queste le caratteristiche che il corpo femminile deve avere secondo i giornali, la televisione, la moda. Su questo canone estetico le donne dovrebbero costruire la propria identità.Lei afferma che noi siamo diretti verso la perfezione del corpo.Dello stesso argomento parla Lipovetsky che nel suo libro l'autrice ci vuole far capire che ,prima c'era una donna svalutata che veniva sfruttata,successivamente è subentrata una seconda donna la beatrice e infine c'è stata la terza donna quella di oggi ovvero la donna indefinita che nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti percorrendo la strada del corpo perfetto.Anche l'autrice Braidotti parla del corpo femminile però connesso alla tecnologia,ella afferma che creare un legame tra femminismo e tecnologia,giocare con l'idea di un corpo-macchina è certamente un rischio e non da alle donne la certezza di uscirne vincitrici da questa sfida.In aula abbiamo spesso parlato del corpo-macchina,se siamo d'accordo oppure no sulla chirugia estetica.Sinceramente sono dell'idea che si dovrebbe ricorrere alla chirugia estetica per problemi seri di salute , proprio come Oscar Pistorius che grazie alle protesi può ancora correre,quindi non bisognerebbe trasformare il nostro corpo in un corpo-macchina ,solo perchè vogliamo diventare più belle correggendo dei difetti.Perchè ci sono persone che farebbero di tutto per avere il nostro corpo con tutti inostri difetti,ed è per questo che non dobbiamo mai rinnegare il nostro corpo.


    Ultima modifica di filomena mosca il Lun Mag 14, 2012 3:13 pm - modificato 1 volta.
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    Messaggio  viviana.imparato Mer Apr 25, 2012 2:57 pm

    L’organizzazione mondiale della sanità (OMS)è stata fondata nel 1948 con lo scopo di raggiungere,in tutto il mondo,un alto livello di salute.
    Nel 1970 l’OMS elabora l’ICD,acronimo che sta per “classificazione internazionale delle malattie”. Si tratta di un passo molto importante che nasce dalla necessità di catalogare le malattie e coglierne la causa. Per ogni sindrome o disturbo vi è una descrizione delle caratteristiche cliniche e delle indicazioni diagnostiche;le diagnosi vengono,quindi,tradotte in codici numerici che semplificano la consultazione e l’analisi dei dati. Questa classificazione ha come priorità l’aspetto eziologico ovvero quello di individuare e analizzare le cause di una data malattia. Per semplificare si può dire che segua uno schema preciso:eziologia-patologia-manifestazione clinica. Si tratta,dunque,di una sorta di enciclopedia medica che ha una certa importanza anche perché avvicina la disabilità alle patologie cliniche. La disabilità tuttavia,non è ancora colta in tutti i suoi aspetti e ne risultano esclusi quello sociale e che invece si cerca di introdurre con la seconda classificazione elaborata dall’OMS nel 1980:l’ICIDH (International Classification of Impairments,Disabilities and Handicaps).
    Si tratta di un passaggio molto importante in quanto l’ICIDH mostra un nuovo approccio nei confronti delle disabilità. Lo schema che essa segue è:menomazione,abilità e partecipazione. Si nota,dunque,una nuova attenzione nei confronti dell’integrazione del soggetto all’interno della società e verso le sue capacità. Non si parla di disabilità ma di abilità. Si tratta di un cambiamento molto importante che conduce all’elaborazione dell’ultima classificazione datata 2001,conosciuta con l’acronimo ICF,”Classificazione Internazionale del Funzionamento,della Disabilità e della Salute”.
    Con l’ICF cambia l’approccio nei confronti della disabilità,si parla,infatti,di approccio multi prospettico che coinvolge aspetto biologico,personale e sociale. Non vi è più la sola classificazione di malattie e disturbi ma si pone attenzione alle conseguenze delle condizioni di salute del soggetto,alla qualità della vita,alle problematiche che questo incontra a causa di una menomazione.L’ICF guarda,quindi, alla persona nella sua globalità.
    Molto spesso si è portati a considerare le parole “deficit” e “handicap” come dei sinonimi mentre i due termini sono nettamente diversi. Un deficit,infatti, è la mancanza totale o parziale di una determinata funzionalità mentre l’handicap è l’ostacolo,la condizione di svantaggio che deriva da una menomazione o deficit. Questa importante differenziazione dei termini rende chiaro che mentre il deficit è qualcosa che non può essere mutato in quanto è una condizione difficilmente risolvibile,l’handicap è qualcosa di “soggettivo” e legato alla personale esperienza del soggetto e in quanto tale può essere ridotto e addirittura annullato.
    Ne consegue che parlando di salute, entrino in gioco nuovi elementi;essa,infatti,non può più essere separata dal contesto in cui la persona si colloca ma interagisce con esso e si influenzano a vicenda. Abbiamo visto nel laboratorio dedicato alle barriere architettoniche quanto l’aspetto “contesto” possa influire sulla qualità di vita della persona e sulla sua percezione della disabilità. In occasione di quel laboratorio siamo stati chiamati ad analizzare la nostra giornata tipo (dal punto di vista logistico) in due tempi,prima come la viviamo effettivamente e poi come la vivremmo se avessimo una disabilità.Mi sono subito resa conto che molte delle azioni che compio quotidianamente diventerebbero off-limits nel caso dovessi muovermi con una sedia a rotelle;la qualità della mia vita ne risulterebbe notevolmente compromessa e scenderebbe a livelli davvero bassi. Come dimostrano le foto che ho pubblicato in quel commento,infatti, non potrei entrare nel mio bagno o entrare nel portone di casa mia da sola. L’ambiente in cui si vive contribuisce a creare la sensazione di inadeguatezza e svantaggio nella persona disabile,la colloca erroneamente su un gradino più basso rispetto quelle persone che sono considerate normo-dotate dimenticando che siamo tutti cittadini e abbiamo tutti non solo gli stessi doveri ma anche e soprattutto gli stessi diritti.
    Si tende,invece, a considerare la persona disabile come “diversa” e in questo vi è il grande contributo della società che ci racchiude e banalizza tutti dentro stereotipi. La diversità porta alla categorizzazione,alla collocazione delle persone in determinate categorie e,così,la disabilità diventa una di queste categorie,un fattore identificante l’intera persona. Niente di più sbagliato.
    La società ci vuole tutti uguali,tutti perfetti e chi devia da questo percorso è considerato “altro” da noi;tutto ciò che è diverso ci spaventa,ci spiazza.In realtà ciò accade perché non si prova a guardare agli altri come semplici esseri umani e capire che la diversità non è un difetto o una condizione ma un’occasione per prendere dall’altro qualcosa che noi non abbiamo:un’esperienza,una visione del mondo,una capacità particolare.
    Guardando la figura di Simona Atzori,ad esempio,si potrebbe ritenere quella ragazza una “diversa” in quanto non ha quello di cui è dotato l’essere umano “normale” ovvero le braccia ma non è certo questo aspetto a renderla diversa bensì la sua resilienza,la sua capacità di sorridere alla vita nonostante le difficoltà,il suo essersi costruita una vita felice nonostante i pronostici fossero tutti contro di lei.
    Uno degli autori che ha trattato temi di questo tipo è la docente e autrice Anna Maria Murdaca la quale nel testo “complessità della persona e disabilità” affronta tematiche di grande rilevanza come:l’ambiente,l’integrazione,la cura,ecc…
    Per la Murdaca bisogna guardare alla persona disabile nella sua globalità e non scomporla in funzioni;non è la disabilità che caratterizza la persona ma la sua identità e personalità che vanno valorizzate e incentivate,bisogna considerare queste persone come cittadini a pieno titolo e provvedere affinché ognuno di essi raggiunga una perfetta integrazione all’interno del contesto sociale e dell’ambiente in cui si trova.
    Il termine integrazione significa proprio “inserire una persona o un gruppo in un ambiente o in un contesto in modo che ne diventi parte organica” per poter raggiungere questo scopo è necessario soffermarsi sull’identità della persona,sul suo contesto sociale,sulle leggi in vigore e sul loro effettivo utilizzo nella quotidianità. È necessaria una rimodulazione del termine integrazione in quanto esso da solo non basta e va integrato esso stesso con altri due termini:accoglimento e condivisione;accoglienza verso identità diverse e condivisione di valori etici come dignità e autonomia.
    Tutto ciò porta ad una nuova cultura della disabilità. Non si parla solo di funzionamento e assistenza del soggetto disabile ma di persona in evoluzione,del suo inserimento in contesti lavorativi,degli ausili tecnologici che possono migliorare la qualità della vita del disabile.
    Come afferma Murdaca gli ostacoli e le barriere fisiche favoriscono il processo di esclusione ed emarginazione ed è per questo, necessario che questi vengano abbattuti. Il superamento dei limiti è,infatti,uno dei primi passi verso la costruzione di un nuovo progetto di vita per le persone con disabilità e verso una nuova relazione educativa basata sull’integrazione.
    È necessario riflettere su quale ruolo possono assumere i soggetti disabili e quali servizi vengono effettivamente messi a loro disposizione;creare,dunque,una società nuova in cui il disabile possa inserirsi e formarsi come ogni altro essere umano.
    La stessa cura diventa un luogo riparativo e si collega all’agire educativo;essa non rigurda solo l’accudimento della persona ma la sua progressiva emancipazione e realizzazione.
    La relazione educativa risente di tutte queste tematiche affrontate precedentemente e ha un ruolo fondamentale nel processo di integrazione ed emancipazione del soggetto con disabilità.
    Qualsiasi contatto tra due o più esseri umani può essere considerato una “relazione educativa” in quanto,in quel momento,vi è uno scambio di emozioni e conoscenze che arricchiscono coloro che sono coinvolti. Affinché vi sia una relazione educativa produttiva è necessario che si instauri un legame di fiducia e rispetto reciproco e che l’educando senta che c’è qualcuno all’interno dell’istituzione scolastica (così come all’interno della famiglia o della comunità) sul quale poter contare.
    A riguardo ho trovato molto utili i setting proposti nel corso del laboratorio dedicato alla relazione educativa.
    Riporto di seguito alcune parole che ho scritto in quell’occasione “La professoressa ha portato la nostra attenzione alla postura delle persone intervenute nella simulazione;la postura è fondamentale per stabilire un primo impatto positivo e far sentire a proprio agio la persona che si incontra. Da abolire,per l’educatore, sono tutti quegli atteggiamenti di chiusura come:braccia incrociate,sguardo vagante,ecc… “.
    In occasione di quel laboratorio è,infatti,emersa l’importanza del primo impatto con la persona che si rivolge all’educatore e dell’esigenze di porsi sullo stesso piano e non in una posizione di superiorità.
    L’educatore deve essere un esempio ed una guida e nel caso di relazione educativa al disabile è necessario che l’educatore prenda in considerazione la diversa situazione del soggetto e lo aiuti affinché emergano le sue doti e le sue capacità senza mettere in luce le sue mancanze.
    Anche e soprattutto in questo caso è fondamentale che vi sia un rapporto paritario,non ci si può limitare alla lezione fata di nozioni,date,nomi da imparare ma è necessario instaurare un clima sereno in cui intervenire,partecipare,crescere. Nel caso del soggetto disabile questo non può far altro che agevolare la sua integrazione ed emancipazione.
    Come abbiamo visto la società ha la capacità di influenzare pesantemente la vita delle persone disabili e non solo. La società odierna,infatti,influenza sempre di più la vita di ciascuno di noi proponendo modelli di bellezza e perfezione sempre più difficili da raggiungere.
    Autori come Remaury, Lipovetsky e Braidotti affermano che questa problematica coinvolge soprattutto le donne che si trovano quotidianamente a confrontarsi con un’ideale di bellezza e giovinezza da rincorrere affannosamente e con ogni mezzo.
    Ne “il gentil sesso debole”,Remaury afferma,infatti, che vi è una vera e propria corsa alla perfezione e che abbiamo un triplice obiettivo:giovinezza,bellezza,salute.

    La donna di oggi deve essere bella e giovane per poter essere accettata dalla società che la osserva con occhio sempre più critico;essa modella e plasma il suo corpo in modo da sentirsi conforme a quello che la società vuole da lei.
    La società oggi ci vuole tutte atletiche e magre ed è questa una delle principali cause dell’aumento di disturbi alimentari nelle donne e soprattutto nelle più giovani.
    Le modelle anoressiche che la tv e le passerelle dell’alta moda ci propongono diventano dei modelli a cui ispirarsi e da imitare a tutti i costi nonostante quei corpi segnati dalla magrezza,senza curve e spigolosi siano totalmente l’opposto del corpo sano.
    La Braidotti parla anche di corpo-macchina;un corpo trasformato e talvolta mostruoso sul quale la donna lavora attraverso un rapporto sempre più stretto con la tecnologia.
    Come ho avuto modo di affermare nel corso del laboratorio sulle protesi estetiche, quello che noi chiamiamo ideale di bellezza è qualcosa di molto astratto,per niente oggettivo e inseguendo qualcosa di tanto soggettivo si rischia di perdere se stessi e uniformarsi alla massa.
    A mio parere il rischio è,infatti, quello di diventare tutti uguali e assistere alla nascita di una generazione totalmente artefatta e che impiega tutte le sue energie nel plasmare il proprio corpo a scapito del proprio aspetto interiore. Bellezza esteriore non è sinonimo di bellezza interiore e le due cose non sono in alcun modo connesse;avere bei capelli,le costole sporgenti,gli occhi azzurri è solo un diversivo per non occuparsi di ciò che realmente conta:la personalità,i valori,la morale.
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    Messaggio  nunzia apicella Gio Apr 26, 2012 11:18 am

    ESERCIZIO 1
    PASSAGGIO DALL’ICD ALL’ICF
    Negli anni 70 si è parlato di ICD, essa sta ad indicare l’enciclopedia delle malattie, la quale è basata sulla classificazione internazionale delle malattie stesse. L’icd risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie , fornendo per ogni sindrome e disturbo una classificazione e una descrizione di tutte le principali caratteristiche cliniche e diagnostiche dove tutte le cause venivano tradotte in codici numerici. Negli anni 80 invece si è parlato di ICIDH, dove l’ O M S ossia l’associazione mondiale della sanità, ha dedotto che si poteva parlare o per meglio dire classificare la MENOMAZIONE, LA DISABILITA’ e L’HANDICAP. Questi termini furono in seguito sostituiti da: MENOMAZIONE, ABILITA’ e PARTERCIPAZIONE.
    LA MENOMAZIONE: è la perdita o l’anormalità di una struttura o di una funzione psicologica, linguistica, oculare. Essa comporta la nascita di un cattivo funzionamento di un arto o di una determinata parte del corpo.
    L’ABILITA’: fa parte del dis-abile, il quale anche se è caratterizzato dal suo svantaggio, egli possiede delle abilità diverse dagli altri, da scoprire, da potenziare e da far conoscere. Per questo motivo è corretto parlare di DIVERSAMENTE ABILE.
    LA PARTECIPAZIONE: essa determina il coinvolgimento del diversamente abile all’interno della società quindi attraverso la sua partecipazione attiva si eviterà la restrizione ossia l’esclusione dalla stessa società.
    Negli anni 90 si è passato a parlare di ICF. Essa è la classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute. In questa classificazione i fattori biomedici e patologici, non sono gli unici. Essi infatti vanno a considerare anche l’interazione sociale e cosi in questo modo l’approccio diventa multi prospettico ossia biologico, personale e sociale.
    DISABILITA’ E DIVERSITA’
    La disabilità spesso viene confusa con la diversità, ma non bisogna collegare queste due parole. Entrambe infatti hanno un significato diverso. LA DISABILITA’, è la condizione personale di chi in seguito ad una o più menomazioni ha una ridotta capacità di interazione con l’ambiente sociale rispetto a tutto ciò che è considerata la norma, per questo egli è meno autonomo nello svolgimento di attività quotidiane ed è spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale. Essa determina la limitazione di compiere un’attività che un normodotato non ha limiti nel compierla. Per disabilità indicheremo anche DEFICIT e HANDICAP. Il deficit è una privazione a livello organico e psichico ed è basato sulla mancanza totale o parziale di una determinata funzionalità fisica ed un esempio è dato dall‘ATZORI e da PISTORIUS i quali sono accomunati dalla mancanza dei propri arti. L’HANDICAP invece è quella difficoltà che affronta la persona disabile nel confronto esistenziale con gli altri. Esso infatti determina un disagio sociale. Tradotta il lingua italiana HANDICAP significa appunto SVANTAGGIO. Lo svantaggiato però non deve andare a classificare l’individuo visto come fenomeno da baraccone o classificato come l’individuo per cui avere paura, ma dovrebbe essere ritenuto come parte integrante della società stessa. Da un ramo della disabilità ho parlato della paraplegia ossia di colui che è paraplegico ed è privato del funzionamento dei propri arti ed ho deciso di portare l’esempio di ELUANA ENGLARO. Per quanto riguarda la diversità essa indica un individuo che non è simile o uguale a me, diverso dal mio essere,dai miei tratti somatici ,dal colore della pelle, quindi tutti siamo diversi,ma non mi sento di accostare la disabilità alla diversità se voglio che il disabile abbia i miei stessi diritti devo considerarlo assolutamente come un individuo alla pari con me e quindi diverso da me solo per i suoi colori e per il suo modo di vivere, e quindi non diverso a livello umano, ma il pregiudizio della società spesso rende sia il diverso che il disabile lo scarto della società. Io credo che sia tanto difficile vivere come vive un disabile ma lo dico non attraverso un discorso pietoso ma di difficoltà. Infatti se ci guardiamo intorno sembra che tutto sia a nostra disposizione per essere agevolati quando usciamo di casa, ma non è cosi per il disabile. Egli è accolto solo in parte dalla società, e tante sono le barriere architettoniche che egli incontra, per noi sono solo piccoli salti o piccole deviazioni, per loro invece sono un muro invalicabile ed incredibilmente alto. Dico cosi perché dopo essermi impersonificata nella giornata tipo di un disabile, ho pensato a tutti i vincoli e le privazioni che ho ricevuto e sfido chiunque a vivere cosi.
    L’EMARGINATO
    Associare l’emarginazione alla disabilità sembra scontato in quanto nella società odierna tutto gira intorno all’apparire. Spesso il disabile ha vergogna di presentarsi e di apparire perché sottoposto a giudizio degli altri. Il sentirsi emarginati nella società comporta molti problemi infatti questa da vita ad una situazione di disagio sociale e quindi il disagio porta all’esclusione sociale. Ma nella società non viene escluso solo il disabile, se sfogliamo infatti qualche libro di storia è possibile vedere che l’emarginazione è un qualcosa che è sempre esistito, il povero è emarginato, colui che ha un colore di pelle diverso è emarginato, l’individuo che non condivide la mia stessa cultura o religione è emarginato ….. è emarginato colui che è differente dalla normalità che condiziona il nostro vivere. Partecipando ad una esperienza laboratoriale mi è capitato di testare un fenomeno di emarginazione. Tra cittadini ed emarginati sono stata cittadina, era comodo perché potevo decidere ciò che volevo senza mai voltare il mio sguardo a coloro che erano accostati ad un angolo dell’aula sentendosi cosi emarginati. Fin quando non ti ci senti emarginato per me non lo sei neanche ma se un giorno mi capitasse di sentirmi emarginato beh non so se avrei le capacità di riuscire a farmi accettare dalla società che è come un vortice vizioso tra chi appare e chi vuole sempre di più apparire.

    ESERCIZIO 2
    Anna Maria Murdaca ha dedotto che sono da ostacoli le barriere mentali e culturali le quali determinano l’esclusione e l’emarginazione dell’individuo disabile dal contesto sociale. L’ambiente dunque è un elemento fondamentale che determina o meno l’integrazione del disabile nella società. Infatti a favorire una integrazione ed un’influenza positiva nella vita di un disabile sono la famiglia, la stessa società e la scuola dove essi appaiono come quegli elementi primari che favoriscono la relazione che il disabile stesso attiverà all’interno di essa. Spesso si parla di disabile visto come oggetto da porre all’interno di un contesto adeguato ma il disabile è prima di tutto una persona con la P maiuscola, egli infatti dovrebbe essere considerato attraverso non solo l’aspetto fisico , ma anche attraverso i suoi modi di fare e il suo carattere e per questo NON SI DOVREBBE DEFINIRE NESSUNO PER SOTTRAZIONE. Infatti Murdaca attraverso COMPLESSITA’ DELLA PERSONA E DISABILITA’, cerca di andare a valorizzare la persona vista all’interno di un tema OLISTICO dove si considera il tutto prima delle parti,dove il disabile diventa parte integrante della società stessa senza fare distinzioni. Bisogna abbandonare ogni tipo di pregiudizio ed essere aperti all’ inclusione e alla globalità dove diventa fondamentale andare a valorizzare la persona stessa attraverso la sua identità sottoponendola ad un fenomeno di evoluzione attraverso quindi un processo di integrazione che andrà a riprendere le caratteristiche individuali per poi valorizzarle. Quindi bisogna avere cura della propria persona, avere cura di sé attraverso l’emancipazione e la crescita personale sentendosi cosi appartenenti alla comunità educatrice dove essa diventa il luogo da cui ci si può riparare da tutti i mali di questo mondo. Infatti nel luogo educativo si respira un’aria positiva piena di fiducia e solidarietà che nasce dalla relazione educativa che si instaura tra educatore ed educando. L’educatore oltre che ad occuparsi dell’integrazione sociale e del sostegno dei piccoli, egli prefigurerà anche come un supporto per gli adulti, in quanto dovrà essere pronto ad affrontare ma soprattutto a saper ascoltare le problematiche di chi avrà davanti a sé, i rapporti educativi prima di essere tali sono rapporti umani e la scuola dovrebbe essere la dimensione perfetta dove avvengono questi interventi educativi i quali una volta applicati diverranno APPRENDIMENTO. L’educatore attraverso la relazione educativa, determinerà la crescita dell’educando, infatti,per far nascere una buona relazione educativa l’educatore stesso deve impostare tutto ciò che fa sul rispetto reciproco dove esso determinerà quel legame tra educatore ed educando. L’educatore non deve mai dare il cattivo esempio ma deve basare il suo rapporto sulla fiducia, sulla stima reciproca ma soprattutto sulla complicità in modo da mettere a suo agio e rendere semplice anche una situazione insostenibile la quale ha portato alla distruzione colui che ci chiede aiuto. L’educatore nei confronti del disabile, deve essere in grado attraverso se stesso di riuscire a portare colui che si sente diverso alla pari di un individuo normodotato, per poi mettere in luce le sue doti ma l’educatore non è visto da parte del disabile come la soluzione totale dei suoi problemi, ma egli riuscirà attraverso i suoi interventi educativi a migliorare di molto la situazione del disabile stesso.

    ESERCIZIO 3
    REMAURY parla dei canoni di bellezza. Noi ci troviamo all’interno di questa società tutti orientati alla perfezione e per questo ognuno di noi ha un triplice obiettivo che prefigura come obiettivo principale verso la giovinezza –bellezza -salute. La donna se vuole apparire deve continuare a prendersi cura della sua bellezza e della sua giovinezza, egli infatti sostiene che IL CORPO ESATTO è quel corpo dominante nel prototipo di bellezza, mentre IL CORPO TRASFIGURATO si va a legare all’immagine della perfezione corporea.
    LIPOVETSKY sostiene che la donna è impegnata a scegliere tra l’eterna giovinezza, perfetta bellezza e salute totale. Essa attraverso la conquista di questi 3 obiettivi riuscirà a raggiungere la sua perfezione da lei ha tanto desiderata. Egli inoltre sostiene che un corpo diventa libero e liberato energetico e perfetto quando esso riesce a tenere lontano o a liberarsi dalle minacce che incombono dal mondo esterno come ad esempio il peso il tempo oppure la malattia che porta alla modificazione totale o parziale del corpo stesso.
    ROSI BRAIDOTTI nella sua opera madri mostri e macchine ha parlato della figura materna la quale va incontro ad una metamorfosi corporea quando essa è in attesa di un bambino, questo corpo appare agli occhi degli uomini come il MOSTRO- MADRE dal corpo deforme, e per questo motivo viene riproposto alla donna un nuovo corpo definito corpo- macchina che determina la nascita di un corpo nuovo.
    A tale proposito potremmo parlare delle protesi estetiche. Nella società moderna, la chirurgia estetica , è diventata come il pane quotidiano. Essa è stata definita come una grande arte, e per questo motivo ha avuto ed ha tutt’oggi un ruolo fondamentale nell’evoluzione della società umana. La causa scatenante in un primo momento, che fa ricorrere un individuo alla chirurgia estetica, è la propria insicurezza, insicurezza che con il passar del tempo diventa un problema maniacale, dove il soggetto non sopportando più l’imperfezione estetica che lo accompagna dalla nascita, decide d’intervenire e di andare appunto a modificare la sua imperfezione. Anche la vecchiaia può diventare un incubo per un individuo, il quale non accetta il suo mutare. Se nel medioevo, il corpo veniva definito il contenitore dell’anima, oggi esso può essere definito come il contenitore delle felicità, in quanto un individuo maschio o femmina che sia, può “mutare” e far “mutare” il corpo a suo piacere, facendosi aiutare dalle protesi estetiche. Attraverso questi mutamenti inizia pian piano a crearsi “L’UOMO TECNOLOGICO” quell’uomo che va ad identificarsi sempre di più come una macchina. Tutto ciò determinerà la lotta contro la morte, contro le malattie e contro la vecchiaia, ed entrando sempre di più nella società questa lotta verrà vinta attraverso la perfezione del corpo. Il corpo cambia da persona a persona, ognuno di noi ha un difetto, e anche se non si è uguali agli altri, questo difetto ci accomuna in quanto nessuno è perfetto. Ci sono però molte persone che ricorrono alle protesi estetiche o alla chirurgia, anche perché nella loro vita forse hanno subito brutti incidenti o sono stati colpiti da brutte malattie, quindi per cancellare questi eventi negativi e per ritrovare la bellezza svanita e deturpata del loro corpo, essi ricorrono a tali protesi. Quindi io credo che se queste ultime rendono felice una donna oppure un uomo che guardandosi allo specchio non sentono più quel senso di “specialità” allora la chirurgia estetica va affrontata. Purtroppo però in questa società frenetica i mass-media, hanno anch’essi influenzato l’idea della bellezza e di quel corpo perfetto, il quale lontano da qualsiasi canone reale. Il corpo perfetto oggi è diventato l’ossessione della maggior parte delle adolescenti, le quali a tutti i costi devono o per meglio dire sono “ obbligate” dalla società a seguire un modello, il quale appare come una lama a doppio taglio. L’ossessione per la bellezza è sicuramente una delle componenti dell’ANORESSIA, l’essere sufficientemente magre e pensare a non provare nemmeno più il desiderio di nutrirsi è scoraggiante. L’anoressia è una malattia psichica, che si riversa sul fisico, dove il magro diventa sinonimo di bello e se è bello allora piace. L’anoressico cerca di raggiungere un ideale di perfezione, che si traduce nel dimagrimento cronico, ma la situazione sfugge al controllo, il corpo induce alla mente a non nutrirsi, perché non ne manifesta più il bisogno,ecco questo può essere l’esempio di un desiderio di perfezione frustrato che spesso se non curato porta alla morte. A tale proposito potremmo parlare di NEIL POSTMAN, sociologo statunitense, il quale ha parlato dell’umanità, come una specie in via d’estinzione e addita i media come la causa di questa fine. La TV infatti si rivolge a tutti contemporaneamente, inviando senza la minima distinzione i suoi messaggi che spesso vengono raccolti in modo negativo dai ragazzi.
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    Messaggio  Anna Bianco Gio Apr 26, 2012 12:47 pm

    Nel 1970 l’Oms(organizzazione mondiale della sanità)ha istituito l’ICD(Classificazione internazionale delle malattie).L’ICD ha come scopo l’esplicazione delle patologie e la descrizione delle loro caratteristiche principali. Nel 1980 l’OMS ha sostituito questa classificazione in ICIDH (International classification of impairments,disabilities and handicaps) che si basa su tre fattori che interagiscono tra loro:la MENOMAZIONE, ossia la perdita o anomalia permanente o transitoria di una parte del corpo,la DISABILITA’, ossia l’incapacità,conse3guente alla menomazione, di svolgere delle funzioni o attività nei modi ritenuti normali,e l’HANDICAP ossia la difficoltà che il soggetto con disabilità incontra nel rapporto con l’altro e con l’ambiente che lo circonda. Nel 2001 l’OMS ha proposto una nuova classificazione l’ICF(classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute)secondo cui la disabilità diventa una condizione di salute di cui c’è bisogno di analizzare non soltanto la malattia in se stessa ma anche le conseguenze che arreca. Tutto ciò ha dato un contributo enorme alla condizione dei disabili,poiché essendo quest’ultimo uno strumento per i sanitari,operatori del lavoro,i disabili possono sentirsi parte dalla società(come è giusto che siano perché sono prima di tutto uomini e poi disabili).
    C’è da dire che non sempre questi termini sono utilizzati in modo appropriato dalla società a causa dell’incombente ignoranza ma soprattutto a causa dei pregiudizi vigenti. Qui mi ricollego ad un laboratorio eseguito in aula riguardante gli stereotipi. Spesso infatti non si da molto peso alle parole tralasciando un aspetto importante…che queste ultime possono essere dannose per coloro che ci ascoltano. Bisogna quindi porre maggiore attenzione su di esse evidenziandone le differenza. C’è infatti differenza tra diverso e disabile. La parola disabile indica come già ho detto in precedenza l’impossibilità di una persona di svolgere le normali attività,passo invece a chiarire il termine diverso…Il termine diverso è coniato da noi stessi dei confronti di coloro che mostrano delle diversità rispetto alla nostra normalità. Sottolineo NOSTRA NORMALITA’ perché come ho già sostenuto nei precedenti interventi la domanda da porsi è: Qual è la normalità?La normalità esiste?NO, la normalità non esiste è un canone coniato dall’uomo stesso e di conseguenza non esiste legge scientifica che lo stabilisce come norma,legge, parametro veritiero . Noi tendiamo ad emarginare coloro che a nostro parere sono diversi e nella maggior parte dei casi non siamo neanche consapevoli che lo stiamo facendo realmente. L’esperienza del laboratorio del sindaco della città né è l’esempio più lampante. La città ha effettuato una discriminazione senza senso e noi non curanti di una questione che riguardava solo coloro che portavano gli occhiali siamo rimaste inermi di fronte a quelle voci che “urlavano attraverso il silenzio” di volersi sentire anch’esse parte della città. Noi considerando i disabili diversi,facciamo lo stesso,li escludiamo,li emarginiamo.
    TUTTI SONO DIVERSI,NON TUTTI SONO DISABILI!
    Noi incorriamo spesso in questo errore. I disabili non sono gli unici ad essere diversi,lo siamo anche noi persone normodotate poiché Dio a fatto si che ognuno avesse una caratteristica che lo diversificasse dagli altri,che lo rendesse unico. Noi siamo tutti diversi,siamo unici!. Ci sono persone disabili che non si sentono tali,pensiamo all’Atzori, a Pistorius, i due esempi di resilienza di cui si è ampiamente discusso in aula. Loro hanno fatto della loro disabilità non un ostacolo,un limite ma un punto da cui ripartire,un punto di forza,hanno fatto si che la loro vita fosse come quelli di tutti anzi l’hanno resa speciale. Proprio l’Atzori disse in uno dei video: “Non permettere agli altri di vedere in te limiti che non senti di avere”. I limiti infatti non sono in loro ma negli occhi di chi li guarda con pregiudizi e con pietà. I veri limiti sono invece ciò a cui i disabili ricorrono ogni giorno,nella quotidianità ovvero le famose barriere architettoniche. Grazie all’esercizio dell’orologio mi sono resa conto realmente di quante barriere potrebbe incontrare un disabile se vivesse la mia quotidianità. Nonostante il fatto che siamo nel 2012 dove la tecnologia è ormai madre sovrana verso i disabili non è stato rivolta attenzione. Sono sempre maggiori le carenze di servizi per disabili ed è sempre in crescita l’inciviltà delle persone verso i disabili e non solo. Non c’è cosa peggiore secondo me imprigionare il disabile nella sua disabilità. Il disabile come uomo deve avere la sua autonomia.
    Oggi il termine disabilità è stato sostituito dal termine diversamente abile o diversabili che va proprio a sottolineare il fatto che loro hanno un deficit di alcune abilità non di tutte le altre che invece sono presenti ed anche in maniera più sviluppata. Lo stesso vale anche con il termine handicap che dovrebbe essere sostituito dal termine soggetto con deficit. In quanto il deficit è difficilmente annullabile mentre l’handicap dipende dalla situazione e può essere aumentato o addirittura annullato.
    Saper usare bene le parole risulta quindi importante soprattutto per favorire l’integrazione,l’inserimento del disabile,la conoscenza di quest’ultimo senza limiti e pregiudizi. Questo è una piccola parte del lavoro svolto dall’autrice Anna Maria Murdaca nel libro”Complessità della persona e disabilità”.Parla di un’emarginazione che nasce dai pregiudizi e dall’ignoranza,da una società che non è a piena conoscenza del mondo dei disabili,una società ancora limitata per accoglierlo indiscriminatamente. Ed è proprio su questo fronte che insiste A.M.Murdaca che si chiede in che modo favorire l’integrazione. Integrazione ha acquisito una nuova concezione. Si indica infatti con il termine integrazione l’accoglienza verso nuove e diverse identità ma soprattutto la condivisione dei valori come l’autonomia e l’identità. Per fare ciò bisogna come dice l’autrice stessa”Non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione”perché si stà parlando di persone che non si devono assolutamente caratterizzare per ciò che non hanno o non sanno fare ma per le loro capacità come del resto si fa con tutti gli altri esseri umani. Per fare tutto ciò bisogna intervenire in primis nell’ambiente che circonda il disabile quale la scuola,la famiglia.L’ambiente può ,infatti,risultare un arma a doppio taglio perché se da un lato potrebbe rappresentare un facilitatore(i pensi all’aiuto delle famiglie e della scuola come per l’Atzori,la danza e per Pistorius,l’atletica),dall’altro potrebbe risultare un ostacolo(si pensi alle barriere architettoniche).Un’altro aspetto fondamentale è lo spazio di cura intesa come sostiene Jonas “volta alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare”,divenendo quindi cura di sé verso l’accettazione dei disabili come persone “NORMALI”,l’accettazione di loro come persone.
    C’è bisogno quindi di una nuova cultura,che non si soffermi sull’individualità ma bensì sulla globalità,che colga si le disfunzioni comportamentali e cognitive ma che sia anche in grado di innalzare la condizione di vita dei soggetti coinvolti,che li porti verso l’emancipazione. Come dice Rosati “ cosa si deve ancora fare,quanto si può ancora fare nonostante,quanto non si fa”.L’educatore in questo assume un ruolo importante,in quanto è visto come colui il quale può fare qualcosa,ancora di più di quanto non si fa. Proprio per questo acquista una valenza incombente la relazione educativa che non è intesa soltanto tra il rapporto educatore educando ma è analizzato in una visione più ampia poiché quando si parla di relazione educativa si parla anche della relazione tra docente/discente,tra madre/figlio. Una relazione di dare/avere
    dove c’è bisogno di rispetto reciproco,ascolto dell’altro,costante relazione,uno scambio alla pari ma soprattutto l’educatore deve essere ben cosciente che lui non è li per dare risposte e soluzioni perché nella maggior parte dei casi non ci sono,ma è li per far sentire la sua presenza, il suo aiuto!
    In classe abbiamo riprodotto due relazioni educative:tra madre e figlio/educatrice e tra adolescente/educatrice grazie alla quale siamo riusciti ad entrare nel vivo della vicenda,e grazie alla quale sono emersi numerosi aspetti come quello che il cambiamento non è immediato, a volte non avverrà mai ma l’importante è lavorarci su costantemente con impegno ma soprattutto con AMORE!
    Quando si parla di disabilità si parla anche di corpo in quanto nella maggioranza dei casi la disabilità è proprio nel corpo del soggetto. Un corpo che viene sempre più denigrato dalle riviste,dai mass media,dalla moda che spingono gli uomini(nella maggioranza sono donne)a ricorrere alla chirurgia estetica per avere una perfezione che è soltanto illusoria poiché la perfezione non esiste. Questi temi sono ampiamente trattai da Remaury, Lipovetsky e dalla Braidotti. Quest’ultima,infatti parla addirittura di corpo macchina. Questo tema coinvolge soprattutto le donne,madri che vogliono plasmare il proprio corpo per tornare ad essere piacenti, giovani a volte incoscienti anche dei rischi che tutto ciò potrebbe comportare loro anche a livello salutario. L’uomo è attirato infatti sempre dai modelli più errati,si pensi a tutte le ragazzine che vedendo le modelle taglia 38 in passerella vogliono imitarle poiché le considerano icone della bellezza quando in realtà sono solo icone di mostruosità. Lo stesso tema lo possiamo ritrovare in Remaury nel”Il gentil sesso debole” in cui parla del triplice obbiettivo della donna e conclude dicendo che la liberazione della “terza”donna(la donna di oggi) è:Dalla malattia,cioè sano,dal peso cioè magro ,dal tempo cioè giovane!Quando abbiamo fatto come laboratorio le protesi estetiche ho ampiamente espresso il mio parere al riguardo. Ritengo ,infatti, che non esiste un canone di bellezza,la bellezza è tutto ciò che noi riteniamo sia bello ma soprattutto non c’è un aspetto che non deve mai sfuggirci…il fatto di essere UNICI!Non dobbiamo omologarci agli altri perché essere unici è la più grande bellezza!Anche i disabili sono unici e come noi essendo unici sono belli….i mostri sono altri!
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    Messaggio  Fabrizia Nosso Gio Apr 26, 2012 1:15 pm

    La pedagogia della disabilità si occupa di conciliare formazione e competenze relative alla disabilità, partendo dal riesame delle parole, quindi ripensando alle terminologie adoperate in questo campo.
    Abbiamo fino ad oggi, durante il corso delle lezioni, affrontato diversi argomenti.
    Tra questi il tema riguardante “il significato delle parole”. A tutti è sicuramente capitato almeno una volta nella vita di utilizzare in modo inappropriato alcune parole, magari senza conoscerne il reale significato. Questo può sembrare un banale errore, ma al contrario può invece rendere una situazione difficile ancora più complessa, può far aumentare un handicap anziché ridurlo.
    Posso sicuramente affermare che grazie a questo corso sto ampliando notevolmente il mio vocabolario, acquisendo di volta in volta il significato di parole che indubbiamente saranno per me importanti in futuro.
    Per cominciare la mia analisi, vorrei riprendere un documento di Andrea Canevaro, pedagogista italiano noto per i suoi studi innovativi sull’integrazione scolastica dei bambini affetti da disabilità.
    Nel testo “Le parole che fanno la differenza”, Andrea Canevaro, pone la sua attenzione su alcune parole chiave come: disabilità, diversità e integrazione. In particolare si è tanto battuto su quest’ultima , nel tentativo di raggiungere una piena integrazione scolastica per gli alunni in situazioni di handicap, in modo che abbiano diritto a frequentare le classi comuni.
    Siamo partiti da un modello elaborato nel 1980, ovvero l’ICIDH promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha perdurato per circa ventuno anni, fino a trasformarsi nell’attuale ICF.
    Le differenze sono le seguenti: mentre l’ICIDH (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps-Classificazione Internazionale delle Menomazioni, della Disabilità e dell’Handicap) trascurava gli aspetti legati alle relazioni, all’ambiente e al contesto, che inevitabilmente come ha dimostrato la scienza degli ultimi anni, condizionano il percorso di vita di individui affetti da disturbi gravi, in maniera maggiore anche rispetto a quella che può essere la malattia di cui essi sono colpiti, al contrario l’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health-Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) modello pubblicato nel 2001, ha finalmente iniziato ad analizzare la vita delle persone, oltre che le loro patologie e ha cercato in questo modo di migliorare la loro condizione di vita.
    In questo modo, non si considera più la disabilità come un problema di pochi e non ci si limita più a elencare solo i problemi, ma si pensa a degli obiettivi concreti che valutano anche la condizione sociale oltre che fisica della persona.
    In conclusione l’ICF non è più soltanto una semplice classificazione delle malattie ma anche un’analisi dei fattori contestuali che possono esercitare impatti significativi nella vita delle persone.
    Nella fase del laboratorio, durante una lezione, abbiamo analizzato il significato di alcune parole. Ricordo perfettamente la difficoltà che abbiamo avuto io ed i miei colleghi, pur lavorando in gruppo. Abbiamo poi attraverso un sondaggio nel forum potuto constatare che ci aveva messo maggiormente in difficoltà la parola “diverso”. Ritengo che nessuno può giudicare o puntare il dito verso qualcun altro, pensando che sia diverso, soltanto perché ha delle caratteristiche fisiche diverse dalle proprie, tutti siamo diversi e tutti proprio per questo motivo siamo unici. Non può una malformazione o anche semplicemente il colore della pelle, la cultura e quindi i modi di vivere, etichettare un individuo come diverso e quindi portarlo all’emarginazione. Il diverso è colui che possiede oltre che una dis-abilità, anche delle abilità diverse dagli altri.
    Il “disabile” è una persona che non può svolgere le normali attività quotidiane perché affetto da disfunzioni che possono essere di natura motoria o psichica oltre ad avere problemi sociali, ovvero disagi che non gli permettono di convivere in maniera serena con gli altri.
    Quello che dovremmo cercare di mettere in atto, nel nostro piccolo, è di eliminare quelle che sono le “etichette” che spesso ci spingono a non guardare queste donne, bambini, anziani prima di tutto come persone ma preferiamo definirli “disabili, ciechi, paraplegici” ampliando in questo modo le loro difficoltà. Bisogna sempre ricordare che: “il disabile non è un mondo a parte, ma una parte del nostro stesso mondo”.
    Ulteriori chiarimenti sul tema della disabilità, mi sono stati dati dalla Prof.ssa A.M.Murdaca, che attraverso il suo testo “Complessità della persona e disabilità” analizza argomenti quali: l’integrazione, la complessità, la cura, la relazione educativa e tanti altri.
    Il libro affronta “la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità” che significa riflettere su quelle che sono le principali norme che tutelano i soggetti in situazioni di disagio. In questo modo la Prof.ssa mira ad eliminare alcuni problemi, tra questi quello sicuramente delle barriere architettoniche, di cui siamo sommersi nel nostro Paese.
    Siamo tutti uguali, tutti cittadini dello stesso mondo e di conseguenza tutti abbiamo gli stessi diritti e dovremmo poter godere di questi diritti. Invece anche se la maggior parte delle volte non ci facciamo caso, perché quanto più un problema è distante, tanto più ne rimaniamo indifferenti, non notiamo quante barriere devono affrontare ogni giorno persone che non hanno la nostra stessa fortuna, come può essere quella di camminare con le proprie gambe. Chi invece è affetto da un deficit e ha bisogno di un ausilio, che lo aiuti a superare l’handicap come può essere la “sedia a rotelle” , uscendo di casa riscontrerebbe non poche difficoltà, riflettendo ad esempio su quella che è la strada da percorrere nel mio quartiere per raggiungere la stazione dei treni.
    La strada ha un marciapiede con al centro dei grossi alberi, quindi è impossibile poterci camminare sopra persino a piedi, figuriamoci con una sedia a rotelle e percorrere la strada giù dal marciapiede vorrebbe dire correre il rischio di essere travolti da un auto. Tutto ciò andrebbe risolto da chi ne detiene il potere, da chi ha la facoltà di agire per eliminare in maniera definitiva le tante barriere architettoniche. Tante le leggi che ad oggi impongono la loro eliminazione, ma allora perché ne siamo ancora sommersi? Non facciamo parte tutti di uno stesso gruppo? E allora non lasciamoli da soli!!!
    Per far sì che tutto questo non accada è necessario, come suggerisce la Murdaca, “rimodulare il termine integrazione”.
    Il significato della parola integrazione è: “l’insieme dei processi sociali e culturali che rendono l’individuo membro di una società”, ma il disabile è effettivamente integrato nel contesto in cui vive e in particolar modo nel contesto scolastico?
    Ho deciso per questo motivo di proporvi questa storia che ho letto poco tempo fa.
    E’ il racconto di un’insegnante di sostegno, specializzata nell’integrazione. La docente si trovò a contatto con un bambino che frequentava la prima elementare, cieco dalla nascita, impossibilitato a camminare da solo e ad usare la mano sinistra.
    Il bambino non riusciva a porre attenzione a quello che gli accadeva intorno, in quanto era sempre con la testa abbassata, appoggiata sul braccio e riusciva a rimanere in quella posizione per molte ore.
    La situazione non era semplice, ma grazie al duro impegno dell’insegnante, che non si è mai scoraggiata, i suoi sacrifici sono stati ben ripagati.
    Da subito si è resa conto che poteva scegliere se isolarsi in un’altra aula, insieme al bambino e cercare così di capire quali metodi potesse mettere in atto, oppure continuare a seguire il bambino, lasciandolo per tutto il tempo insieme agli altri suoi coetanei. La sua scelta fu appunto quest’ultima, perché capì che se si fosse isolata insieme al bambino, non avrebbe fatto altro che aumentare ulteriormente il suo stato di isolamento, privandolo dell’occasione di poter restare in contatto con gli altri bambini.
    Ho pensato che questo racconto ci poteva permettere di comprendere meglio il modo in cui la Prof.ssa Murdaca “ridefinisce un progetto di vita per le persone con disabilità” riformulando il termine integrazione, ampliandolo in “accoglienza” che non mira soltanto all’accudimento ma soprattutto all’emancipazione del soggetto con disabilità; e in “condivisione” di valori etici attraverso attività che possano creare un ambiente educativo adeguato, in modo che l’alunno con disabilità possa sentirsi parte di quel gruppo. Questo tipo di clima sarà messo in atto facendo rimanere il bambino in classe per il maggior tempo possibile, facendo in modo che possa svolgere le stesse attività degli altri suoi compagni per incoraggiarlo e integrarlo completamente.
    Ricordiamo sempre che “l’integrazione degli alunni disabili, giova non soltanto a loro ma anche a tutti gli altri bambini o ragazzi normodotati”.
    Per questo risulta fondamentale quella che viene definita come “relazione educativa” ovvero un’esperienza di incontro e scambio tra l’insegnante e l’alunno. Si costruisce giorno per giorno e si consolida attraverso una serie di attività, situazioni, vissuti emotivo-affettivi. E’ fondamentale che tra l’alunno e in particolar modo tra il bambino disabile e l’insegnante si crei un rapporto di fiducia e stima, il ragazzo deve poter contare su di una persona di cui si può fidare, pronta ad ascoltarlo, incoraggiarlo, se necessario rimproverarlo e dargli dei consigli. Il rapporto si rafforza attraverso il dialogo anche al di fuori del contesto classe.
    Una delle caratteristiche principali della relazione educativa è l’intenzionalità che fa agire l’educatore con consapevolezza, in questo modo sa sempre i motivi per i quali i suoi allievi compiono determinate azioni e sa quindi come relazionarsi in modo da non dover improvvisare.
    Quando abbiamo affrontato quest’argomento con la Prof.ssa Briganti, ho conosciuto il significato del termine “setting” che in linea generale corrisponde all’incontro tra due persone, in questo caso tra educatore ed educando. Fondamentale per il setting è che non dovrà mai interferire sulle prestazioni del soggetto, che dovrà al contrario sentirsi sempre libero di agire come meglio ritiene. L’educatore dovrà intervenire soltanto in maniera indiretta, senza ostacolare il lavoro del ragazzo, ma guidarlo e aiutarlo a superare gli ostacoli che potrà incontrare.
    Altro tema affrontato durante il corso è quello legato alle protesi estetiche.
    Tema attualissimo in quanto siamo ormai da tempo abituati a vedere attraverso la televisione e i giornali, l’immagine di questi corpi perfetti, non autentici perché non si è più in grado di convivere con le proprie imperfezioni, seppur spesso minime e impercettibili agli occhi degli altri. Come ho già sottolineato durante il laboratorio svolto, ritengo che la chirurgia , le nuove tecnologie e mi riferisco a quelle cosiddette di “miglioramento” di cui disponiamo oggi, rappresentano il raggiungimento di un bel traguardo, per esempio nel caso di malformazioni facciali in seguito ad incidenti. Ma quello che non condivido è il voler a tutti i costi raggiungere la perfezione, riproducendo spesso dei volti e dei corpi che sembrano copie di altri. L’idea di perfezione trasmessa purtroppo dai mass media è per me errata.
    Diversi sono gli autori che hanno affrontato quest’argomento, tra i quali B.Remaury che nel testo “Il gentil sesso debole” fa riferimento in particolare all’immagine di bellezza nelle donne. L’autore sostiene che le immagini di questi corpi perfetti sono frequenti e particolarmente evidenti ad esempio negli slogan che pubblicizzano prodotti di bellezza che spingono in questo modo a voler raggiungere la perfezione.
    Mentre la scrittrice G.Lipovetsky nel libro “La terza donna” ripercorre il tema della femminilità analizzandola nelle varie epoche. Ritiene che la prima donna era quella sfruttata e svalutata; la seconda donna era quella divinizzata e rappresentava l’idea di virtù; fino a giungere alla terza donna , quella contemporanea che racchiude in sé anche le due donne precedenti, ma a differenza delle altre due nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e per questa ragione è obbligata a percorrere la strada che la porta ad avere un corpo perfetto.
    Ultima autrice che voglio citare è Rosi Braidotti. Nel testo “Madri mostri e macchine” sottolinea un argomento che abbiamo anche affrontato durante un laboratorio osservando dei quadri che raffiguravano la disabilità, ma non solo, credo anche la diversità spesso associata alla bruttezza o meglio alla mostruosità.
    Ad esempio la Braidotti riflette sulla capacità della donna di deformare nella maternità il proprio corpo, che diventa per l’uomo allo stesso tempo madre e mostro, quindi qualcosa di orribile ma anche di affascinante.
    Riflettendo ancora sul tema degli interventi chirurgici, ripenso ad una mia amica la quale qualche anno fa ha deciso di ricorrere alla chirurgia estetica per potersi ritoccare il naso. Purtroppo lei non riusciva più a convivere con questa “imperfezione” e oggi che ha finalmente il naso perfetto che sognava riesce a sentirsi a suo agio e quindi più sicura di sé. Questo è l’unico caso in cui riesco a condividere ed accettare un intervento chirurgico, ma non approverò mai chi si sottopone ad operazioni estetiche, rischiando anche la vita per mettere a posto dei “cuscinetti” che magari di fatto non sono poi così evidenti.
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    Messaggio  simona capasso Gio Apr 26, 2012 1:45 pm

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    PASSAGGIO DALL’ICD ALL’ICF
    A partire dagli anni 70 l’OMS ossia l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato la Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD), questa viene considerata come un enciclopedia delle malattie, fornendo per ogni sintomo e disturbo un significato, inoltre attraverso l’ICD le diagnosi vengono tradotte in codici numerici e rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. Poi si è parlato dell’ICDH in quanto l’OMS lo ha elaborato negli anni 80, questa è la Classificazione Internazionale della Disabilità e dell’Handicap, e quindi hanno pensato di aggiungere alla Menomazione, Disabilità e handicap, altri 3 termini che sono: Menomazione, Abilità e Partecipazione. La Menomazione è una perdita in seguito ad un incidente, o è un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo, la partecipazione è una maggiore attenzione alle capacità di un soggetto e alle sue possibilità, e per concludere l’Abilità fa parte del Dis-Abile, il quale anche se è caratterizzato dal suo svantaggio, egli ha abilità diverse dagli altri, nel conoscere e nello scoprire nuove cose, e per questo è corretto parlare di DIVERSAMENTE ABILE. Inoltre negli anni 90 è nato l’ICF ossia una Classificazione in cui i fattori biologici e patologici non sono gli unici, ma viene presa in considerazione anche l’interazione sociale, infatti secondo l’ICF la disabilità è una condizione di salute che deriva da un contesto sfavorevole. Inoltre l’ICF non determina solo condizioni di salute, malattie o traumi, che fanno parte dell’ICD, ma riguarda anche le conseguenze associate alle condizioni di salute, in quanto pone al centro di tutte le indagini la qualità della vita delle persone che sono affette da qualche patologia per favorire la loro vita e le loro interazioni sociali.

    DISABILITA’ E DIVERSITA’
    La disabilità spesso viene confusa con la diversità, questi sono due termini profondamente carichi di molteplici significati, che molto spesso meritano una riflessione. SIAMO TUTTI DIVERSI…..E UNICI. Del diverso si ha paura, il diverso viene isolato, si ha timore, viene additato, viene giudicato e vengono prese le distanze da lui. Il diverso non lo capiamo perché da lui ci allontaniamo e viene disprezzato, ma molto spesso non si prova a capirlo e a integrarlo nella società e quasi sempre non ci proviamo neanche, e per questo egli prova “SENTIMENTO DI DIVERSITA’”. All’interno della diversità si afferma l’individuo detto “DIVERSO”. Il diverso è tale perché è la stessa società che lo etichetta così, pensare al diverso è pensare ad una persona non uguale a me. La disabilità ha diversi aspetti e mille volti, nessuno è uguale siamo tutti diversi, noi stessi siamo diversi da “prima”, però sempre attraverso le esperienze che facciamo. Inoltre all’interno della diversità e della disabilità si può parlare anche dell’Handicappato in quanto quest’ultimo è diverso a causa della sua disabilità viene emarginato dalla società, e molto spesso la diversità ci porta a categorizzare le persone. Parlando di diversità e di disabilità potremmo introdurre anche il tema dell’integrazione. Il termine integrazione vuol dire inserire una persona all'interno di un gruppo, in un ambiente o in un contesto, in modo che ne diventi parte integrante senza far discriminazione di colore della pelle, di età, di sesso o perfino portatori di disabilità o non, ma ciò che realmente conta nella vita sociale è il rapporto con l'altro che sia disabile oppure no. Io penso che bisogna dare spazio a tutti, anche un disabile deve avere la possibilità di fare tutto ciò che vuole come una persona abile, anche se è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane, e molto spesso si trova in condizione di svantaggio nel partecipare alla vita sociale. Ma ciò che vorrebbe fare durante una sua giornata tipo non gli viene consentito, in quanto incontra difficoltà. Già solo si pensa ad un disabile in carrozzella, si nota la totale INDIFFERENZA, degli addetti di una normale stazione di Milano, in quanto i montascale non sono funzionanti e per questo motivo bisogna prendere in braccio la ragazza, infierendo così sul suo problema, rendendolo ancora di più evidente e facendo così sentire la ragazza ancora più disabile e non autonoma. Come esempio potremmo portare la giornata tipo di un altro disabile che incontra della barriere architettoniche nella sua città, nel momento in cui scende dal suo palazzo incontra difficoltà per quanto riguarda i marciapiedi, e il totale menefreghismo della persone, che parcheggiano le proprie macchine davanti allo scivolo dei disabili, oppure mentre un disabile aspetta alla fermata dell’autobus, e dopo tanta attesa che finalmente arriva, si ritrova le porte chiuse in faccia perché gli autobus non posseggono gli scivoli per disabili. Molto spesso mi sono ritrovata a passare in una di quelle strade tutte rotte e piene di ostacoli, e mi sono soffermata a pensare che se per me era difficile camminare in strade piene di buche e ostacoli, figuriamoci una persona su una sedia a rotelle, diventerebbe una semplice passeggiata molto “pericolosa”. Tutto ciò è una cosa vergognosa perché viviamo nel 2012, con le nuove tecnologie dovrebbe essere “scontato” il buon funzionamento di un montascale all’interno di una stazione, gli scivoli all’interno degli autobus e delle strade più confortevoli, senza vincoli e ostacoli anche per una persona su una sedia a rotelle. Viviamo in un paese dove anche il disabile dovrebbe essere valorizzato, perché è innanzitutto una persona che come tutti noi deve essere rispettato. Quindi mi sento di dire che: QUANDO SI PARLA DI DISABILITA’ SIGNIFICA PARLARE DI PERSONE E QUINDI DI CITTADINI.

    EMARGINAZIONE
    L’emarginazione è un problema che riguarda la società di oggi. All’interno di questa società possiamo introdurre anche le persone emarginate, questi sono coloro che a causa di qualche loro problema disabilità oppure no vengono emarginati dalla società. Molto spesso le persone vengono categorizzate e quindi quelli che non fanno parte di un gruppo sociale vengono isolati ed emarginati. Ho avuto modo di partecipare ad un esperienza di emarginazione, ossia quello che riguardava i cittadini e gli emarginati. Io facevo parte dei cittadini, per me non è stato un problema scegliere tutto ciò che mi veniva proposto. Non so come avrei reagito, se avrei fatto parte degli emarginati, in quanto gli emarginati sono stati isolati, e non avevano modo di poter esprimere ciò che poteva essere comodo per loro. Ma le persone che sono emarginate sono comunque cittadini, e quindi dovrebbero essere messi alla pari con gli altri, senza discriminazioni e distinzioni.

    PROVA INTERCORSO ESERCIZIO 2
    Anna Maria Murdaca attraverso il testo Complessità della persona e disabilità, riprende i problemi che riguardano la persona con disabilità. L’autrice riprende alcuni punti da poter analizzare, come il contesto sociale che determina la condizione di handicap, a favorire il processo di esclusione e di emarginazione. La persona il quale bisogna soffermarsi sulla sua complessità con disabilità, ed ha bisogno di essere integrata all’interno della società , in quanto l’integrazione è un processo continuo, che riguarda l’individuo nell’inserimento all’interno della stessa società. Quindi parlando di integrazione bisogna valorizzare al meglio le doti di un individuo all’interno della società. In quanto non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione, perché si parla di persone, che si distinguono e si caratterizzano per le proprie capacità e per il loro modo di essere, e non per quello che non sanno fare, o che non sanno dire a causa della loro disabilità all’interno di questa stessa società. La Murdaca introduce anche il concetto di Cura di sé ossia un a ridefinizione del proprio essere, in quanto la cura è vista come una continua emancipazione dei soggetti coinvolti, alla realizzazione dell’uomo per ciò che è e per ciò che egli vuole diventare. Inoltre si può parlare anche di disabili visti come cittadini a pieno titolo, in quanto si parla della complessità del disabile nel vivere all’interno della società, dove questi ultimi non hanno bisogno di pietismo o di compassione in quanto sono cittadini della nostra stessa società, con gli stessi diritti. Possiamo parlare anche della Relazione Educativa, ogni relazione è un incontro sia umano, ma anche educativo, la relazione educativa è un legame che si forma tra l’educatore e l’educando. Questo riguarda diversi ambiti, ed uno di questo è quello tra Docente e Discente, in quanto come futura educatrice è molto importante la costruzione e la relazione che viene a crearsi con l’educando, ma anche ogni relazione e ogni incontro umano ed educativo. Un’altra relazione educativa importante è il rapporto che istaura tra madre e figlio, avvolte un rapporto morboso, in quanto per un ragazzo/alunno la famiglia viene vista come il perno principale, come la guida oppure come il più grande insegnamento. Qualsiasi esperienza nella vita è educativa, qualsiasi cosa è costruttiva e formativa, infatti per famiglia si intende anche il rapporto, e quindi deve essere un esempio per il proprio figlio. Inoltre è molto importante ricordarsi che una relazione educativa deve essere un rapporto alla pari, ossia bisogna mettersi sullo stesso piano dell’interlocutore, non bisogna creare delle differenze, in modo che l’educando si senta libero e a proprio agio, per dargli modo di esprimere le proprie opinioni e i propri problemi. La relazione educativa si crea giorno dopo giorno, è uno scambio di emozioni tra 2 o più persone, ed esiste anche una componente emotiva. Infatti quando il soggetto è in difficoltà si cerca di capire i fattori che lo spingono a comportarsi in un determinato modo, e quindi è anche uno scambio in cui entrambe le persone ricevono e danno. Io penso che la relazione educativa è un rapporto con l’altro che cresce e si istaura ogni giorno e questo può avvenire a scuola o in famiglia.

    PROVA INTERCORSO 3
    REMAURY attraverso il “Gentil sesso”, e le” Immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute”, parla della bellezza della donna, dove la coltiva e per questo l’obiettivo di ogni donna è la giovinezza, la bellezza e la salute. Infatti la donna se vuole apparire deve continuare a prendersi cura della sua bellezza e della sua giovinezza, infatti un corpo può essere considerato trasfigurato, quando è legato all’immagine della perfezione corporea, grazie anche ai progressi della scienza. Mentre un corpo può essere considerato esatto quando appare come un corpo dominante. LIPOVETSKY all’interno del suo testo” La terza donna” sostiene che la donna deve scegliere tra eterna giovinezza, perfetta bellezza e salute totale, in quanto attraverso alla conquista di questi 3 obiettivi la donna giungerà alla sua ideale perfezione. Inoltre un corpo viene considerato “libero e liberato”, “perfetto” e “energico”, questo quando egli riesce a liberarsi dalle minacce esterne come la malattia, il tempo ed il peso. Mentre Braidotti una filosofa e autrice che ha parlato di tecnocorpo, all’interno della sua opera Madri, mostri e macchine ripropone il discorso sugli straordinari mutamenti delle bio-tecnologie. La Braidotti si oppone all’inflazione discorsiva intorno alla materia corporea, in quanto va ripensato il rapporto corpo-mente. Inoltre la filosofa critica il divenire della donna, in quanto essa attraverso l’asimmetria dei sessi, indica la differenza tra donne e uomini. La Braidotti parla inoltre anche di corpi deformi, e di come durante la maternità il corpo di una donna possa modificarsi, e così diventa per l’uomo il mostro-madre. E da ciò viene riproposto alla donna un nuovo corpo, che viene definito corpo-macchina. Oggi la tecnologia è intesa come una scoperta evolutiva, un indagine scientifica, ma il fine non sempre è pratico, ma molto spesso viene utilizzata per migliorare il proprio corpo e quindi ci si riferisce alle protesi estetiche. Parlando di protesi estetiche si può parlare anche di Chirurgia Plastica, questa viene utilizzata il più delle volte per correggere e migliorare difetti e imperfezioni fisiche ed estetiche. Molto spesso si prova disprezzo per il proprio corpo, perché si ha una bassa autostima di sé stessi, e ci si disprezza perché si è attratti ed ingannati dagli ideali televisivi trasmessi da una “CATTIVA MAESTRA” come sosteneva Popper, purtroppo la tecnologia genera dei mutamenti non solo in ciò che facciamo ma anche nel nostro modo di pensare, i corpi non sono che macchine in quanto questi vengono presi come modelli di perfezione, per poter giorno dopo giorno cambiare il proprio aspetto ed essere sempre “ PERFETTI e BELLI”. Infatti oggi il corpo “perfetto” è diventato un ideale di riferimento, ed è considerato basilare per poter emergere nella vita, e quindi anche nella società, in quanto oggi si pensa che il corpo sia absoleto e perciò si lavora duramente, in maniera inconsapevole, per sostituirlo con qualcosa di meglio, tutto ciò può accadere anche attraverso una malattia come l’anoressia ossia una malattia psichica, in cui vi è la mancanza o la riduzione dell'appetito. Si tratta di un sintomo che accompagna numerose e distinte malattie, ed è dovuto a diverse cause, in quanto l’anoressico specchiandosi si vede sempre grasso e brutto, e vorrebbe continuamente dimagrire. Questa è una malattia che colpisce tantissimi ragazzi, in quanto molto spesso un punto di riferimento sbagliato è la televisione , che arriva agli occhi dei ragazzi con dei modelli e riferimenti errati, per poi portare questi ultimi a diventare “magri fino a morire”.
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    Messaggio  Cira Toscano Gio Apr 26, 2012 3:55 pm

    L’organizzazione Mondiale della Sanità(OMS)identificata come un’agenzia specializzata dell’ONU per la salute è stata fondata il 7aprile del 1948,con l’obiettivo del raggiungimento da parte di tutte le popolazioni del livello più alto possibile di salute,definita dalla costituzione come condizione di completo benessere fisico,mentale e sociale e non solo come assenza di malattia o infermità. Ha designato una serie di classificazioni,3precisamente che vengono con i nomi progressivamente di ICD-ICDH&ICF .
    -L’ICD->1°classificazione=(classificazione internazionale delle malattie) o brevemente detta ICD del 1970,coglie le cause delle patologie fornendo per ogni sindrome o disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e diagnostiche. Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici per poter così semplificare la memorizzazione,ricerca e analisi dei dati. Il modello ICD è vicino a quello ICF poiché le informazioni che fornisce vengono arricchite da quelle offerte dall’ICF,relative al funzionamento reale e quotidiano del soggetto. I due modelli dovrebbero essere usati insieme. Avvicina le disabilità alle patologie cliniche. Nel nostro contesto il modello di disabilità perdurante fino a pochi anni fa coincideva con la successione di causa-effetto secondo la progressione:Malattia- Menomazione- Disabilità- Handicap come previsto dall’ICDH del 1980 modello derivante dall’ICD -L’ICDH->2°classificazione (1980)basato sulla Manifestazione clinica,diagnosi,patologia ovvero strumenti che adottavano il Modello Medico Tradizionale che non badava più agli aspetti ambientali e contestuali che la scienza invece ha mostrato come fondamentali per la salute e la malattia condizionando il percorso umano e sociale degli individui. L’OMS per far si che si potesse ben comprendere questa seconda classificazione,proponeva una classificazione basata su 3fattori: .Menomazione= qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o funzione psicologica,fisiologia,anatomica. E’ un danno organico o funzionale relativo ad un settore specifico. Una disfunzione che comporta una mancanza,non esistenza o cattivo funzionamento di un arto o una parte del corpo o perdita,anormalità di una qualsiasi struttura o funzione. .Disabilità=DIS-ABILITA’ Incapacità conseguentemente alla menomazione. Incapacità o Limitazione nel compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati”NORMALI”per un individuo. Incapacità di svolgere determinate funzioni. Mancanza di una o più abilità oppure del diverso funzionamento di una o più abilità. “La disabilità non è un mondo a parte,ma una parte del mondo”.Ne è esempio lampante la resiliente Simona Atzori che con la mancanza delle braccia è incapace di svolgere quei compiti considerati”normali” ma nonostante la sua dis-abilità vede la vita a colori e non si ferma a quello che è considerato normale,NO!Lei va al di la,scegliendo di vivere e convivere con la sua dis-abilità e facendo delle sue gambe allo stesso tempo le sue BRACCIA e le sue GAMBE,amandole e benedicendole molto di più di quanto un ragazzo abile possa fare. L’Atzori che col suo DONO di andare oltre le apparenze e la superficie va in quel “DOVE” dove tutto sembra bellezza,dono,preghiera,resilienza tenendo presente che è importante “Non lasciar vedere agli altri i limiti che tu non senti”. Bisogna dunque superare quello sguardo di pietismo col quale si guarda un dis-abile,perché in questo modo non si parla più di quel”Mario”ad esempio,ma del sordo,del paraplegico etichettandolo, estraniandolo e considerandolo diverso. Anche noi abbiamo provato queste forti sensazioni facendo la simulazione sulla cecità. Qui è emersa la paura del restare soli,la paura di non riuscire più a vedere cosa accadeva nel mondo e quindi come diceva anche il prof. Palladino di perdere un grande dono e una grande ricchezza. Era forte quel senso di impotenza,quella voglia di sentirsi una persona come gli altri e non doversi preoccupare degli occhi della gente che inchiodano a terra. Altro esempio di emarginazione e diversità è stato quello simulato dal Sindaco della città che ha escluso “i diversi,le persone con gli occhiali” solo perché lontani da lui e dal suo modo di essere. Ma ciò accade solo perché il diverso non ha voce,è emarginato in questo caso e non ha diritti. E’ questo che ci rende DIVERSI … il guardare con occhio critico,con disprezzo,con noncuranza. La diversità porta alla categorizzazione. Il diverso è colui che si allontana dalla norma e si distingue dagli altri per le sue caratteristiche. Ma spesso non si sceglie di essere diversi,ma si viene semplicemente etichettati dalla società suo malgrado. Bisogna invece ricordare che”Ogni individuo è unico & irripetibile”. .Handicap= difficoltà che la persona con disabilità affronta confrontandosi con gli altri,il disagio sociale per la perdita di funzioni o capacità,una disabilità o menomazione che limita o impedisce la possibilità di adempimento del ruolo normale. L’handicap è traducibile con SVANTAGGIO che deriva dall’ambiente delle corse ippiche inglesi. Deriva dall’obbligare un fantino a cavalcare con uno svantaggio,ovvero con la mano sinistra sul berretto per le qualità troppo superiori del suo cavallo. Dunque l’handicap è l’ostacolo che impedisce una persona a portare a termine una determinata attività. Molto spesso c’è l’aiuto di apparecchiature che aiutano persone con deficit a ridurre gli handicap(es. sedia a rotelle,gruccia).E’ il caso delle Barriere Architettoniche. Abbiamo infatti notato che nel laboratorio dell’orologio facendo svolgere la mia giornata tipo ad una persona con la sedia a rotelle,quest’ultima incontrerà molte più difficoltà di quanto si possa immaginare,partendo dalla propria casa fino ad arrivare a seguire un percorso per strada(che non c’è) e avendo la difficoltà di scale,piani rialzati,mancanza di ascensori e spazi troppo stretti. Da qui il disagio sociale,lo svantaggio,impossibilità di svolgere un ruolo normale. Questi processi hanno perdurato per circa 21’anni fino a portare a trasformare l’ICDH(Classificazione delle Menomazioni,Disabilità ed Handicap)nell’attuale ICF -ICF->3°classificazione=(Classificazione Internazionale del Funzionamento,della Disabilità e della Salute)introdotta perché le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica non siano sufficienti. E’ un linguaggio standard che serve come modello per la descrizione della salute di una persone e degli stati ad essa correlati. Con l’ICF il cambiamento è nel pensare le condizioni di salute più che le condizioni di malattia, la disabilità come un evento dinamico e non statico, l’handicap come determinato da barriere esterne e non come condizione del singolo, i fattori di protezione come facilitatori e non come doti genetiche. Ma non classifica solo condizioni di salute,traumi,disordini,ma anche le conseguenze associate alle condizioni di salute(permette di evidenziare come i soggetti convivono con la loro condizione di salute e com’è possibile migliorarla per un’esistenza più serena).E’ uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario e dei settori della sicurezza sociale,delle assicurazioni,dell’istruzione, dell’ economia,del lavoro. Adottandolo si accetterà il diritto della persona con disabilità ad essere parte naturale della società stessa. Può essere usato in vari ambiti:sanitario,sociale,economico,scolastico … La classificazione ICF può essere organizzata suddividendo le informazioni sulla salute della persona in due parti:1°parte=DISABILITA’(Per indicare dei problemi e contribuire a definire la disabilità)+ FUNZIONAMENTO (Per indicare aspetti non problematici e definire il termine funzionamento)2°parte=FATTORI CONTESTUALI(Fattori ambientali che influenzano tutte le componenti del funzionamento e della disabilità e sono organizzati secondo l’ordine dell’ambiente più vicino alla persona più lontana).Infine c’è da dire che i fattori personali (sesso,età,razza,religione)nell’ICF non sono identificati.
    Ma quando parliamo del diverso intendiamo il diverso non solo per il suo aspetto di mancanza o menomazione,ma parliamo anche di diversità del corpo. Quel corpo da sempre oggetto tanto discusso. Il corpo è da sempre considerato come il vissuto INTER E INTRAPERSONALE di ogni soggetto che si modifica nel tempo. Diventa quel luogo di ascolto e osservazione per riconoscere la possibilità,gli ostacoli,i linguaggi,gli interessi. E’ col corpo che possiamo svolgere tutte le attività(come citato anche nel lab. delle protesi estetiche),il nostro lavoro,le nostre attività quotidiane. Ma è solo stando bene con se stessi che si sta bene anche con gli altri. Da sempre si è creduto che invece il corpo diversamente da quello che “siamo noi” persone,debba essere un corpo perfetto,asciutto,magro e bello per poter essere accettato e pronto al lavoro di modelli,adatto alla lente televisiva e ai modelli pubblicitari. ROSI BRAIDOTTI= collega il corpo a qualcosa di immateriale e critica il divenire donna,perché con la maternità è capace di deformare il corpo ed è vista dunque come orribile,mostro e madre allo stesso tempo nell’immaginario maschile. E’ a partire da questa fase che propone alle donne di incarnare oltre alla maternità e mostruosità anche LA MACCHINA prestandosi a ridefinire le tecnologie attuali e l’immaginario che le sostiene. Cerca di creare un legame tra il corpo femminile e quello tecnologico perche il corpo-tecnologico è solo un rischio che non assicura alle donne di uscirne vittoriose. E’ necessario dunque ripensare alla relazione antica,complessa e multiforme che c’è tra le madri i mostri e le macchine,relazione che passa per il corpo ma anche per la sua rappresentazione simbolica. Il corpo gravido e mostruoso si mischiano da sempre nell’immaginario come qualcosa di orribile e meraviglioso,affascinante e mortalmente terribile. Sia il mostro che la madre-matrice come dimostrano anche il cinema e la letteratura di fantascienza trasgrediscono i limiti e la forma del modello di corporeità assunto a norma. Il corpo macchina irrompe in scena rendendo sempre più incerto il confine tra naturale e tecnologico. REMAURY= Dice che siamo orientati verso una corsa alla perfezione con un unico obiettivo :Giovinezza- Bellezza- Salute. Bisogna dunque smontare l’obiettivo di perfezionare di bellezza e salute per la donna per riuscire a portare alla luce tutto ciò che contribuisce a rafforzare questo rapporto di soggezione che fa dell’individuo uno schiavo del proprio corpo LIPOVETSKY= solo Lipovetsky raggiunge una fase positiva della cultura della bellezza,basata sull’acquisizione di grazia. Ma la magrezza non è solo bellezza E’ anche deforme,mostruoso,anoressico e bulimico. Personalmente non sono concorde con nessuno dei tre autori perché tutti siamo persone e siamo belli già per il semplice fatto di essere ognuno diverso dall’altro. La bellezza fisica non dovrebbe contare perché non racconta del tuo modo di essere o del tuo carattere,ma purtroppo attualmente è la cosa più richiesta per trovare il fidanzato,per trovare il lavoro e per non essere emarginato e questo è la rappresentazione solo di uno dei problemi(in primis)più diffuso della società. Oggi per essere belli bisogna che la donna ci si veste alla moda per non sembrare il mostro del passato,curate,e se ne occorre ricorrere a chirurgie estetiche per sembrare alla fine “QUELLO CHE NON SI è Più”perché ormai si è donne trasformate . E’ dunque necessario parlare di “VALORIZZAZIONE DELLA PERSONA UMANA”per quello che è con il rispetto delle differenze e delle identità(obiettivo preso in esame nel testo di Anna Maria Murdaca).Fondamentale è l’integrazione intesa come processo continuo,con una continua ricerca di soluzioni e di strategie e cure per perseverare nei diritti dei disabili. Bisogna liberarsi dall’idea che non ci possa essere un miglioramento per il disabile e gli insegnanti in questo caso dovrebbero andare oltre la scuola per poter permettere un ottimo canale integrativo del disabile. E’ importante guardare le relazioni educative di quest’ultimo,come si rapporta col sociale,quali sono le cause che lo fanno sentire un emarginato. Ma in tutto ciò il ruolo più importante è giocato dall’educatore che è colui che è capace di aiutare la persona con deficit a ridare senso e significato alla sua esperienza personale,a convivere con la propria Specialità,a ricordarsi della sua unicità e soprattutto deve ricordarsi di non mettere mai in luce le sue mancanze. Questo è un po’ anche quello che è emerso nella simulazione EDUCATORE-EDUCANDO(formazione bilaterale)dove abbiamo cercato di mettere in luce le problematiche più evidenti oggi giorno e come un “BUON”educatore dovrebbe comportarsi. Non è emersa dalle nostre simulazioni nessuna esperienza di disabilità,ma sicuramente altre importanti tematiche. Ma la cosa ancora più bella che è emersa è stata la figura di un educatore pronto,attento ai problemi dell’altro,un educatore che dà- riceve e guida,che aiuta a tirar fuori e allo stesso tempo conduce,e trasmette qualcosa di positivo nelle relazioni arricchendole di conoscenza. Era un educatore dolce,attento e sempre disponibile così che l’educando si è sentito compreso e si è aperto a parlare del suo problema. La relazione educativa è uno spazio ripartivo nel quale un disabile sperimenta con gli educatori,insegnanti le situazioni,i vissuti che vengono elaborati e integrati nella relazione educativa. Murdaca invece vorrebbe scoprire le forze resilienti capaci di far superare le difficoltà nel profondo della personalità. La ricerca EMPOWERED vuol portare il disabile allo sviluppo della propria identità e autostima. La relazione educando-educatore è senz’altro un’esperienza di crescita per entrambi i soggetti ed è importante dire che anche l’educando può dare tanto all’educatore. Ne emerge anche un grande bagaglio di emozioni e sensazioni che i due soggetti possono scambiarsi a vicenda. Questo tipo di relazione educativa DEVE essere valida per ogni tipo di relazione.
    Fortuna Di Mauro
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    Messaggio  Fortuna Di Mauro Gio Apr 26, 2012 4:47 pm

    Durante il corso di pedagogia della disabilità abbiamo affrontato diversi temi, tra quelli più significativi voglio ricordare il laboratorio svolto in classe che riguardava “il significato della PAROLA”.
    Il lavoro si è svolto in gruppo, ci è stata presentata una scheda con varie parole da analizzare tra cui: disabile e diverso, parole che hanno presentato per il nostro gruppo una difficoltà rilevante.
    Quante volte ci è capitato di non dare il giusto peso a ciò che diciamo ? ciò può arrecare un grave danno per chi ci ascolta. Soffermandoci sulle parole usate nel campo della disabilità, va ricordato che la scelta di queste, va fatta con ponderazione. Le parole sono di estrema importanza, come ci ricorda Canevaro in “Le parole che fanno la differenza”, in quanto contengono simboli. Prima di tutto non si deve far confusione tra deficit, disabilità ed handicap: utilizzare termini impropri o fare disordini linguistici possono essere un modo per aumentare l’handicap, anziché ridurlo.
    L’esigenza di avere sempre più maggiori informazioni sulle variegate forme di disabilità, porta alla nascita dell’organizzazione mondiale della sanità (OMS) , la prima classificazione elaborata dall’OMS è :”la classificazione internazionale delle malattie (ICD) che risponde al bisogno di cogliere la causa delle patologie , fornendo per ogni sindrome una descrizione delle principali caratteristiche cliniche, una sorta di enciclopedia medica.
    Per cercare di ovviare questo problema di definizione, l’OMS ha messo a punto una nuova classificazione internazionale, che prende il nome di ICHID.
    La nuova proposta si basa su tre fattori che sono tra loro interdipendenti: La menomazione ( una disfunzione che comporta una mancanza oppure un cattivo funzionamento di una parte del corpo) La disabilità (limitazione nella capacità di compiere un’attività nel modo e nell’ampiezza considerati normali per un essere umano).
    Nel 2001 L’OMS pubblica un manuale di classificazione che propone una definizione del concetto di disabilità (ICF), secondo questa definizione , la disabilità è una condizione di salute che deriva da un contesto sfavorevole, l’ICF si concentra sulle conseguenze associate alle condizioni di salute delle persone disabili, migliorando la propria condizione di vita, a differenza dell’ICIDH che trascurava gli aspetti legati alle relazioni, all’ambiente e al contesto.
    Mi preme a questo punto ricordare quanto sia importante per questi soggetti il contesto sociale e scolastico nel quale vengono inseriti. Molto spesso le persone che circondano questi bambini si lasciano trasportare da giudizi fin troppo affrettati,la persona disabile viene spesso indicata come persona incapace di svolgere delle azioni autonomamente, come una persona la cui vita è limitata dalla sua disabilità … quindi a questa condizione viene associato un loro stato d’animo triste e si assume nei loro confronti un atteggiamento di pietismo. In effetti non è così , abbiamo avuto l’opportunità di notare attraverso i vari video proposti in classe e i vari incontri che queste persone sono dominate da un sorriso smagliante, sono autoironiche (prof. Palladino) e affrontano situazioni che a nostro parere possono risultare difficili con tranquillità e semplicità.
    Questi pregiudizi, purtroppo, il più delle volte possono portare ad una esclusione sociale di questi soggetti , rendendoli così davvero diversi. Secondo un mio punto di vista, infatti, la disabilità e la diversità sono derivati e nascono dal contesto sociale, il quale attua dei comportamenti diversi nei loro confronti rispetto ad una persona normale.
    In classe abbiamo avuto l’opportunità di approfondire questo tema, simulando una situazione di emarginazione, dove venivano escluse le persone con occhiali da un’ipotetica città dove si sarebbe organizzata una grande festa di lusso. Il vivere di persona queste situazioni è più toccante rispetto al solo pensarle . I pregiudizi e l’emarginazione sono solo caratteristiche negative della società che non fanno altro che portare la stessa a degenerare.
    Nello svolgimento di questo corso abbiamo avuto l’opportunità di soffermarci e approfondire alcune parole che ci risultano indicate in dati contesti , ma che in realtà vengono inserite in situazioni non idonee al loro significato. Molte volte la parola disabilità viene associata a diversità.
    In realtà il disabile è solo un individuo affetto da disfunzioni motorie o cognitive, un soggetto con disturbi fisici o psichici che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con le persone normodotate.
    L a disabilità è legata a una menomazione a carico di un arto , esistono però persone che non si sentono disabili e che riescono a compiere qualunque attività grazie alla propria forza di volontà o grazie all’ausilio di tecnologie integrative. Sono casi di RESILIENZA ,come abbiamo notato in : Simona Atzori (una ragazza senza braccia che riesce a trasmettere emozione quando balla e riesce con i suoi piedi a fare l’impossibile come guidare la macchina o truccarsi, una ragazza che tramite il suo sorriso dice SI alla vita, ringraziando il Signore di averle dato la vita. Per lei la diversità esiste solo negli occhi di chi la vuole guardare ) Pistorius ( un ragazzo senza gli arti inferiori che grazie all’ausilio delle tecnologie integrative (fibre di carbonio) ha potuto realizzare il suo sogno, partecipare alle Olimpiadi e vincerle ). Esempi di vita che ci insegnano che l’irraggiungibile non esiste, ma si può raggiungere attraverso forza, volontà e impegno.
    L a diversità e la disabilità sono due termini carichi di molti significati. Il termine diversabilità mette in risalto oltre che la dis-abilità anche delle abilità da scoprire e potenziare. Bisognerebbe considerare il diverso sulla base di una domanda :”Diverso da chi?” tutti potremmo esser considerati diversi a secondo del contesto e della cultura, i diversi potremmo esser noi che non riusciamo ad allontanarci da stereotipi, ghetti e pregiudizi.
    Ogni individuo ha caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono come unico e irripetibile. Spesso i ragazzi disabili sono invisibili o poco considerati non solo da parte delle persone che li circondano ma anche da parte dello Stato il quale non garantisce adeguati servizi o l’adeguato funzionamento degli stessi, creando inutili barriere architettoniche, difficili da superare.
    Riguardo ciò durante il corso ci è stato proposto un esercizio che ha suscitato in me un sentimento di forte sconforto nel dover immaginare di superare certi ostacoli. La professoressa infatti ha voluto mettere in luce, attraverso una rappresentazione della nostra giornata tipo, quante difficoltà potrebbe incontrare un disabile nella sua giornata.
    Lo Stato e le varie istituzioni non permettono a queste persone di poter condurre una “ vita normale ”, di avere un’indipendenza ,un’autonomia e un’emancipazione nella società.
    La disabilità non è un mondo a parte, è parte del mondo !!
    Temi come l’inclusione e l’inserimento del disabile , la cura e la relazione educativa vengono trattati anche da Anna Maria Murdaca nel testo “complessità della persona e disabilità”, secondo l’autrice occorre dirigersi verso l’inclusione, adottando l’ottica della globalità per avvicinarsi ad un nuovo concetto di disabilità, accettando e riconoscendo queste persone come individui, indipendentemente dalla loro condizione.
    E’ il contesto sociale (come ci suggerisce Murdaca) a determinare la condizione di handicap, sono gli ostacoli e le barriere fisiche a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione.
    Il corpo del disabile ,infatti, (tutt’oggi) viene visto come qualcosa di negativo e mostruoso ed è per questo che viene allontanato dalla vita sociale. L a nuova cultura della disabilità deve portare il soggetto verso lo sviluppo della propria identità, autostima e deve cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive e innalzare la qualità di vita dei soggetti.
    La società , la famiglia, il contesto lavorativo, sono elementi che possono esser visti sotto un duplice aspetto, possono essere una sorta di barriera oppure facilitatori nei processi di integrazione sociale.
    C’è l’esigenza di parlare in un nuovo modo di integrazione, come condivisione di valori etici che tengono conto delle potenzialità personali.
    La vera novità è che non si mira all’accudimento ma ALL’EMANCIPAZIONE del soggetto con disabilità che richiede ambienti e contesti attendibili e sostenibili. Il primo spazio che può favorire l’integrazione e l’emancipazione è :La relazione educativa.
    Tale relazione può coinvolgere due (madre | figlio) o più persone (docente | discenti) in una situazione dove si da e si riceve in uno scambio reciproco ! vi è uno scambio di emozioni e conoscenze che arricchisce coloro che vi sono coinvolti.
    L’insegnante ha un ruolo molto importante in questa situazione … deve imparare i tempi dell’altro, deve essere di guida per gli alunni, deve creare una situazione di serenità mettendo a proprio agio i suoi interlocutori rafforzando il rapporto con l’individuo giorno per giorno, creando un rapporto che si predispone all’accoglienza, all’ascolto, lasciando spazio alla libertà dell’altro e costruendo pian piano, insieme, un progetto di vita personale e originale.
    La costruzione di questo rapporto avviene lentamente e richiede impegno nei soggetti in causa, ci dev’essere volontà e disponibilità a costruire questa relazione educativa, in questo rapporto vi dev’essere una situazione paritaria , i cui l’insegnante non deve limitarsi solo alla classica lezione fatta di nozioni, date ed eventi ma deve creare un clima sereno e di fiducia facendo entusiasmare l’alunno in modo tale che possa intervenire e confrontarsi con gli altri.
    Solo ed esclusivamente in questo modo si può condurre la persona diversamente abile ad una integrazione, emancipazione e crescita effettiva.
    Caratteristica fondamentale di questo rapporto è il linguaggio del corpo, ossia, il modo di porsi con l’altra persona. Ed è proprio riguardo a questo argomento che in aula ci sono state delle simulazioni riguardo due setting , dove abbiamo avuto l’opportunità di notare oltre la mimica facciale e l’approccio del corpo (distante e tranquillo) il modo in cui l’educatore restituiva il problema del soggetto.
    Infatti, l’educatore, non deve dare soluzioni ma solo rendere meno disagiante il problema, guidando la persona verso il superamento del disagio.
    Il contesto sociale, lavorativo, i media … sono elementi determinanti per la formazione di prototipi di bellezza, canoni di accettazione, sono importanti per la formazione di ideali.
    Per questo motivo non si dovrebbe solo pensare di educare gli uomini , ma anche e soprattutto i processi comunicativi che si servono dei nuovi media per la formazione delle persone, influenzando di gran lunga sui modi di pensare, agire, parlare e vedersi.
    Sono molte le riviste e le pubblicità che tramandano ideali di bellezza irraggiungibili o quanto meno difficili da raggiungere perché “irreali”.
    Irreali perché molte donne per raggiungere la conquista dell’eterna giovinezza apparente, ricorrono a chirurgie estetiche inutili per perfezionarsi sempre di più, raggiungendo a mio parere non un’ideale di bellezza ma di mostruosità, in quanto non si rappresentano più per ciò che sono , ma per quello che vorrebbero essere.
    Questi temi sono stati considerati da autori come : Remaury ; Lipovetsky ; Braidotti .
    Remaury sostiene che il miglioramento fisico ed estetico della donna sarebbe frutto dell’adempimento dei suoi bisogni, i quali sarebbero, a loro volta, suggeriti e imposti dalla stessa società. Lipovetsky parla de “la terza donna “ (la donna di oggi, del ventunesimo secolo)che nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati, obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto!
    Il controllo della propria immagine tramite diete e operazioni chirurgiche estetiche porterebbero ad un’immagine definita “mostruosa”, un “ femminile mancante” deforme, senza carne curve o sviluppo.
    Anche Braidotti parla di un corpo mostruoso, che definisce “corpo-macchina” sul quale la donna lavora attraverso un rapporto sempre più stretto con la tecnologia.
    come ho potuto affermare anche nel laboratorio riguardante il valore della chirurgia estetica, Sostengo la chirurgia plastica o il miglioramento di qualche parte del corpo, solo se i “difetti” porterebbero a un mal funzionamento dei nostri processi vitali oppure a seguito di una malformazione causata da un incidente ecc …
    Personalmente, invece, sono contraria a questo tipo di operazioni o diete se vengono effettuate solo per un capriccio estetico (si pensi ai personaggi della televisione che fanno interventi plurimi sul proprio corpo,rendendo la propria immagine quasi irreale), sarebbero frutto di un disagio psicologico, di un conflitto di una persona che non riesce ad accertarsi per quello che è, non riesce a vedersi bello o a raggiungere le forme stereotipate di immagini provenienti dai media.
    Sminuendo così il valore della diversità che ci porta ad essere unici. Penso questo perché secondo me ogni difetto potrebbe esser visto in positivo, come una particolarità che porterebbe all’unicità rendendoci pertanto ancora più belli !!
    Accettarsi e sentirsi belli per ciò che si è , questa, si , che è la vera operazione da fare !!!!

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    Messaggio  lucia schiano lomoriello Gio Apr 26, 2012 6:44 pm

    Vorrei iniziare questa sorta di resoconto con una frase scritta da un anonimo:" RICORDA SEMPRE CHE SEI UNICO, ESATTAMENE COME TUTTI GLI ALTRI". Io personalmente mi son catapultata in un mondo inesplorato quello della Diversità per capire che in realtà non esiste il diverso ma l'essere speciale.! Dietro ad ogni corpo , si nasconde sempre una grande personalità. Il mondo, oggi, è ricco di artefatti , e ognuno di noi è pronto ad etichettare chiunque ci passi dinanzi, ed aver la consapevolezza che anche noi siamo etichettati. L’uomo cerca di puntare sempre il dito e di cercare un pretesto per criticare , ridicolizzare , disprezza l'altro , l'altro diverso da se. Ma è proprio la forza di chi non si sente inferiore , di chi non si sente diverso che ci rende unici e speciali , in grado di abbattere stereotipi e pregiudizi. E' considerando il contesto sociale con le sue più svariate forme di barriere che siano culturali o fisiche, che favoriscono la condizione di Handicap e a favorire il processo di esclusione o di emarginazione. L'Organizzazione Mondiale della Sanità iniziò già dal 1970 ad adottare la classificazione Internazionale delle Malattie o ICD che, risponde ad un enciclopedia dove c'è la specificazione per ogni disabilità equiparata alle malattie , essa, non faceva altro che associare dei codici alle singole diagnosi. Questa forma enciclopedica venne superata ed adottata l'International Classification of Impairments Disabilitiesand Handicap detta ICIDF , con la sola differenza che adopera l'integrazione tra tre termini ossia menomazione, disabilità ed handicap. Queste tre parole nel linguaggio comune sembrano uguali , ma in realtà esprimono concetti del tutto differenti e che, possono o meno essere una conseguenza dell'altra. Questo perché si ritiene per Menomazione un danno organico o funzionale , la prima che comporta una non esistenza o un cattivo funzionamento di un arto come ad esempio Oscar Pistorius, oppure un anormalità a carico di una struttura o funzione. Chi è Oscar Pistorius? Oscar non era altro che , un bambino, al quale già nella più tenera età”10” mesi , si vide amputare le sue piccole gambine, e costretto a veder svanire il sogno di correre , saltare, di essere quindi un bambino normale. Ma fortunatamente ,alla sua menomazione c’era una possibilità di recupero. Sono proprio le tecnologie che, con il loro avvento , hanno saputo donare un sorriso e una speranza a lui , e , a tanti altri disabili. Parliamo in questo caso di protesi integrative o meglio, l’avvento delle flex foot : piede flessibile a forma di C composto in fibra di carbonio. Grazie a queste il sogno di poter correre si è realizzato , anzi ancor più , gli ha concesso di poter partecipare alle Para olimpiadi , arrivando come primo al traguardo. Con questo voglio esprimere l’importanza della tecnologia come integrazione nel senso che integra una parte del corpo mancante a causa di una menomazione. Con il termine disabilità , invece si indica una restrizione della capacità di svolgere un 'attività nei modi e limiti ritenuti normali. Il termine handicap, venne invece coniato per la prima volta in Inghilterra , esso è traducibile in svantaggio .Il termine deriva dall'ambiente delle corse ippiche dove il fantino doveva cavalcare il suo cavallo con la mano "hand" sinistra a contatto con il cappello "cap". L'handicap quindi è lo svantaggio che la persona con disabilità affronta nel confronto con gli altri , il disagio sociale che deriva da una menomazione o da una disabilità che limita l'adempimento del ruolo normale per tale soggetto.L'ICD tutt'ora in vigore , viene sempre più sostituita già dal 2001 dalla Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute "ICF". Quest'ultima è un approccio multi prospettico che , non si limita ad osservare semplicemente l'ambiente fisico ma osserva in primo luogo lo stato di salute che deriva , da un contesto favorevole o meno. La disabilità viene pertanto considerata no più come sola caratteristica del soggetto ma ,come le prestazioni che l'ambiente esterno consente di esercitare. L'ICF sostituisce i termini menomazione disabilità e handicap , con , funzioni , strutture corporee e attività e partecipazione, con l'intento di indicare una maggior attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. Vengono quindi presi in considerazione non solo gli aspetti medici ma anche quelli sociali conseguenti alla condizione di salute, tenendo in considerazione il contesto ambientale in cui vive la persona. Un contesto ricco di barriere che , sono da intralcio, e, fungono da ostacoli che, il diversamente abile quotidianamente tiene a che fare. I primi ostacoli si riscontrano in quel luogo, in cui ogni essere umano si sente protetto , si sente al sicuro: la propria casa….Le rampe di scale, mobili troppo in alto, bagni piccoli e non a portata del disabile , queste sono le difficoltà che incontrerebbe nelle casi ancora non a norma. Ma a questo problema oggi risponde la Domotica. Un vecchio sogno dell’uomo è stato la casa che fa tutto da sé. Una casa che accudisce a tutti i bisogni di una vita casalinga fatta di comodità senza preoccupazione: la casa intelligente. È questa l’origine della domotica e, quindi, della casa automatica. La domotica ha come oggetto di studio privilegiato l’automazione della casa, una scienza che studia particolari sistemi per rendere l’abitazione in grado di far da sé e facilitare l’adempimento di molte azioni che si svolgono in casa. La domotica oggi viene posta al servizio delle persone diversamente abili , come ci è stato mostrato il filmato su Andrea Ferrari giovane disabile costretto a vivere sulla sedia a rotelle , che ringrazia i suoi genitori per tutti i sacrifici che hanno fatto per soddisfare il suo sogno di essere libero e indipendente all'interno della sua speciale abitazione . .Una casa fatta su misura per lui e per il suo handicap , dove poter accogliere i suoi cari , i suoi amici, a cui può offrire anche del caffè!. Questo ci fa capire ancora una volta come noi normodotati o meno veniamo investiti di questo sviluppo. Sono contenta di questo aspetto della tecnologia che si mette al servizio dei più deboli e aiutandoli nei minimi gesti quotidiani , tenendo sempre tutto sotto controllo. Però invece non mi piace pensare a coloro che adottino queste architetture solo perché son "svogliati e pigri”. In conclusione in molti articoli che ho letto dalla rete si parla di inutilità della domotica , io non credo che sia così, se ovviamente ben sfruttata essa è più che utile, perché dona un sorriso a chi prima non lo aveva. . Non abbiamo molte regole da osservare in società, ma alcune sono fondamentali come se c’è un posteggio con il contrassegno per persone disabili, rispettiamolo, lasciando libero il transito sui marciapiedi e portici, che spesso sono occupati da motocicli e bici che ostacolano il passaggio della persona sulla carrozzella o come i servizi statali non a norma di legge per il transito del disabile. Queste piccole regole nell’organizzazione della vita civile sono assolutamente trascurate nel nostro paese. Personalmente se mi mettessi nei loro panni , non avrei tutta quella forza per affrontare la giornata o almeno ne uscire distrutta. Spetta alla società rispettare le normative già esistenti e di impegnarsi a quel vivere civile che ancora oggi viene a mancare perché ci troviamo purtroppo ancora in una società individualista ed egoista che pensa al proprio bene e non al rispetto degli altri. Ma anzi ci allontaniamo da costoro come se avessero un morbo infetto, e quindi escludendoli del tutto , abbandonandoli a loro stessi, al loro destino, questo perché in fondo a noi il diverso ci fa paura. È' come una forma di protezione , è una barriera posta nei confronti di chi a nostro avviso non è normale. Ma in realtà la normalità , non ha una definizione ben precisa. Osserviamo con i nostri occhi colmi di pietismo , il disabile, che, interiorizza questi sentimenti di ripudio e disprezzo , e , finisce per coltivare sentimenti di inferiorità per, una "razza diversa e superiore alla loro”. “E' più facile spezzare un atomo che un pregiudizio "sono le parole citate da Einstein. Si verranno così, a creare due mondi differenti tra di essi : la normalità da un lato , e la diversità dall'altro. Purtroppo, chi è diverso ,rischia di essere emarginato solo perché non corrisponde ad un canone di perfezione, e per questo rischia di essere indifferente alla società e il suo pensiero , le sue idee non verranno mai prese in considerazione. Però c'è da dire che tutti siamo diversi ma , non tutti siamo disabili. Chi è il disabile? Ebbene il disabile è , una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana , un individuo affetto da disfunzioni motorie e o cognitive, una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità da un diverso funzionamento di esse. Si capisce di essere disabili al contatto con l'altro , si iniziano a notare le piccole differenze e si iniziano a temerle. Ma ciò non esclude il fatto di essere persone normali, aventi abilità diversi dagli altri da scoprire, far emergere e potenziare. Questo è il caso di Simona Aztori , un angelo senza braccia che , accurata dall'amorevolezza di cure materne, fin da piccola ha avuto la consapevolezza di non essere limitata nel suo essere ma anzi, afferma che i limiti sono negli occhi di chi li osserva. È' una grande donna che ha trovato la forza di vincere le sue paure e si è fatta strada nel mondo artistico pur non essendo dotata di braccia. Oggi è tra le ballerine più acclamate e , la più richiesta nelle rappresentazioni teatrali proprio per la sua passione che viene a trasmettersi nelle sue eleganti e armoniose movenze, il suo amore, la sua voglia di dare qualcosa alla società è come se venisse espressa nella radiosità del suo volto. Ella è l'esempio lampante di chi vuole , può. A mio avviso è necessario cogliere le abilità e le potenzialità di chiunque , perché ognuno di noi è portatore di una nuova visione diversa dalla nostra che ci può arricchire interiormente. Ma per far ciò bisogna accostare le nostre conoscenze , i nostri pregiudizi e aprirsi ad una nuova relazione basata sul rispetto e sulla fiducia nei confronti dell'altro. Fondamentale in ogni incontro, che sia casuale o meno, è l'ascolto. Ogni individuo, nelle varie tappe della vita ha accumulato diverse esperienze , che esse siano negative o positive , ci rendono più forti e maturi. Il relazionandosi è un evolversi in due. I disabile ci fa capire come ciò che noi riteniamo banale in realtà è tutt’altro. la disabilità non è un mondo a parte ma una parte del mondo. Integrare significa inserire una persona o un gruppo in un ambiente o, in un contesto in modo che , diventi, parte organica sia dal punto di vista di chi è da integrare, sia, colui che integra. Integrare : rendere qualcosa completo, portare a termine qualcosa o renderlo più efficace. Normale è per la nostra società , che una persona riesca a raggiungere qualcosa, è un fatto scontato, ma in realtà non lo è , proprio perché vi sono ostacoli che lo impediscono. Occorre quindi sull’identità del disabile, riflettere sulla situazione del contesto sociale , ragionando su leggi , e sul fatto che esse siano o meno rispettate e non lasciate al vento. L’integrazione implica un rapporto incessante con l’altro. Rimodulare l’integrazione significa guardare alla globalità della persona, ossia considerare il disabile in quanto persona non in parti , ma dando importanza alle sue capacità e permettere loro di vivere nel sociale nell’ambito scolastico e in quello lavorativo. La legge del 5/2/92 n° 104 decreta il rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e autonomia delle persone affette da Handicap e ne promuove la piena integrazione. L’integrazione è un astratta normalità che poi si traduce in propensione all’uniformità bensì al valorizzare al meglio le dotazioni individuali. Non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione .Parlare di disabile significa parlare di Persone. L’integrazione è condividere l’unicità di ogni persona. E’ vergognoso come non solo le istituzioni che composte da persone comuni non si soffermino ad osservare le varie situazioni avverse ai diversamente abili . col passare degli anni , anzi dei giorni, di ostacoli ci si incontrano sempre più. L’indifferenza è la malattia più grande al mondo. Bisognerebbe spendere un minimo del nostro tempo per occuparci degli impianti ausiliari per i disabili e per permettere loro una vita dignitosa. Da trent’anni come affermò una signora in un video mostrato ci son stati tanti cambiamenti ma, questi devono ancora migliorare. Tale concetto di disabilità e d’integrazione viene enunciato e modificato dalla docente Anna Maria Murdaca in Complessità delle persone e disabilità. La docente espone come il disabile può acquisire una sua indipendenza attraverso i vari spazi di formazione a essi dedicati. Sono inoltre necessari ambienti di apprendimento nei quali lo stesso educatore insegnante verrà preparato alla ricostruzione del diverso. Solo attraverso le relazioni educative che si può venir a contatto con l’altro e , si attinge ad una sua conoscenza più profonda. Ogni disabile ha la sua storia , le sue debolezze ma anche i suoi punti di forza. Solo mettendolo a pari livello con normodotato egli , si sentirà libero di esporsi, parlando del suo vissuto. L’educatore deve essere in grado di considerare la diversa situazione e mettere a tal proposito programmi differenti e specifici per far emergere le doti del disabile. L’atteggiamento di fondo dell’educatore implica la disponibilità alla relazione sia come accoglienza sia come progetto verso il soggetto in formazione. L’essere umano è sempre condizionato dalla società e dai suoi modelli. Ci si sente diversi anche in merito al proprio aspetto fisico. Le fonti prime di informazioni quali , riviste, televisione, radio sono sempre più fondate sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità che non sui contenuti e sui messaggi costruttivi. I protagonisti della pubblicità , modelle, e i personaggi dello spettacolo forniscono modelli estetici irrealizzabili per la maggior parte della popolazione. L’idea di corpo perfetto nacque già con l’avvento della rivoluzione industriale , dove, l’uomo , ritenuto debole, venne sempre più sostituito dalle macchine. Da quel momento in poi ne sarà sempre condizionato. Col passare degli anni ,la tecnologia ha saputo migliorarsi e perfezionarsi. Essa è stata in grado di aiutare i diversamente abili. Però d altro canto l'uomo usufruisce di queste nuove tecniche per ovviare a quelle che ritiene imperfezioni estetiche. Spesse l'uomo avverte il disprezzo verso il suo corpo, non lo accetta e, ricorre sempre più all' utilizzo della tecnologia proprio per migliorarsi .L'abuso di tali strumenti ha suscitato molto scalpore nella società .La tecnologia non modifica solo il corpo ma anche il pensiero. Si resta soggiogati dalle macchine. Si dice che il corpo è una macchina che può essere riprodotto artificialmente mediante il quale si combatte l'anzianità, le malattie , le imperfezioni estetiche e la mortalità. Così nasce il corpo replicato. L'idea di non accettazione del corpo come detto, si sta propagando ai massimi livelli. Tutti vogliono un corpo bello e perfetto, come, quei modelli divulgati dai mass media. Possiamo dire che la perfezione ha causato in passato e tutt'oggi molti problemi. Tra gli autori noti in quanto hanno trattato la tematica del corpo abbiamo Remaury che parla di una donna vittima e schiava della propria bellezza. Una donna che cerca di realizza la triade giovinezza , bellezza , salute facendo ricorso anche ai progressi della scienza. Si parla di una terza donna celebrata da Lipovetsky che nasconde la sua sottomissione ai modelli imposti , una donna obbligata dalla società a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su se stessa , attraverso il conseguimento di bellezza e salute. Rosa Braidotti invece ripropone in Madri Mostri e macchine , il discorso sugli straordinari mutamenti indotti dalla biotecnologie che stanno radicalmente modificando le pratiche della riproduzione e la relazione degli uomini con la materia corporea. Ella fa evincere come la donna nel suo stato interessante mutua nel suo aspetto , e diviene essere duplice madre e mostro. Viene quindi vista dal sesso maschile sia con occhi di meraviglia e sia con occhi disprezzanti. I corpi anormali oggi son sinonimo di deforme e antitesi di normalità e quindi da allontanare e non assomigliare. Ed è per questo che Baudrillard scrisse “Analizzando la società dei consumi , l’unico cambiamento è prospettico , prima il corpo doveva servire , ora è l’individuo ad essere al servizio del proprio corpo”. La tematica che più mi ha colpito riguardante al corpo è stata quella della perfezione. Io mi guardo allo specchio e mi disprezzo ....la mia domanda è "perché non ci accettiamo per quello che siamo? Forse per piacere agli altri? Forse perché siamo insicuri di noi? Forse perché abbiamo paura che gli altri ci allontanano o che non ci accettino? Ma poi ripensandoci mi viene spontanea la domanda: ma perché io non posso piacere per quello che sono e non per quello che non sono? Noi ragazze voliamo solo rispettare quei impositivi estetici ma questo comporta che per acquisire la forma perfetta dobbiamo seguire rigidamente lo schema di una dieta e, magari soffrire davanti ad una pizza...così facendo ci faremo solo del male , non saremmo più libere e ne felici. I modelli sono diversi da persona in persona, ed è per questo che non si può accettare un modello ideale. Ognuno è diverso nelle proprie specificità e non va a perseguire la strada dell'omologazione. Dovremmo estraniarci da questo mondo irreale e pensare al nostro di bene!




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    Messaggio  Marianna Romano Ven Apr 27, 2012 10:12 am

    1)Il passaggio dall’Icd all’Icf ha generato un importante cambiamento nel campo della disabilità. L’ICD è un tipo di classificazione che focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia e traduce le diagnosi in codici numerici facilitando la ricerca,la memorizzazione e l’analisi dei dati. Nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato una classificazione chiamata ICIDH,quest’ultima si basa su tre fattori:menomazione(intesa come perdita a carico di funzioni fisiche o psichiche),disabilità(intesa come limitazione o perdita della capacità di agire nel modo o nell’ampiezza considerati normali) e handicap(inteso come svantaggio vissuto da una persona a seguito di disabilità o menomazione). Tale classificazione negli anni ha mostrato una serie di limitazioni portando l’Oms a pubblicare il manuale di classificazione ICF,il quale propone una definizione di disabilità multidimensionale. L’ICF pone al centro la qualità delle persone affette da patologie,permettendo di evidenziare come esse convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla. Inoltre ,secondo questo manuale, la disabilità viene considerata come una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole,sottolineando come tutte le componenti del funzionamento e della disabilità vengono influenzati dai fattori ambientali vicini e lontani. L’handicap è una situazione oggettiva,dipende dal contesto socioculturale che il soggetto ha attorno a sé e può essere aumentato o addirittura annullato. Come è possibile annullare o almeno ridurre un handicap?Eliminando le barriere architettoniche. Il richiamo alla lezione svolta su questo argomento è necessaria. I video visti hanno mostrato che gli ostacoli che un disabile deve affrontare nel corso della sua giornata sono molti. Le attività quotidiane più semplici per noi, come attraversare la strada,prendere il bus,prelevare soldi in posta,comprare il giornale, si traducono in vere e proprie imprese che richiedono tempo e fatica. I servizi a loro favore ci sono,ma non funzionano come dovrebbero:c'è scarsa assistenza,mancanza di manutenzione,c'è soprattutto "menefreghismo" da parte delle autorità che fanno ben poco per migliorare la qualità di vita dei portatori di handicap. Per cercare di risolvere questo problema è necessario un contributo da parte di tutti,servizi concreti,solidarietà e soprattutto INTEGRAZIONE perché ,attraverso quest'ultima,è possibile preservare i diritti dei disabili con un processo di continua ricerca di soluzioni e strategie. A questo punto risulta molto importante fare una riflessione sui termini DISABILE e DIVERSO. Il disabile è una persona affetta da disfunzioni motorie ed è impossibilitata a svolgere attività normali di vita quotidiana. Spesso la disabilità viene confusa con la diversità ;i disabili vengono considerati diversi e ,molte volte,vengono assunti atteggiamenti di pietismo nei loro confronti. I pregiudizi,le etichette sono deleteri,in quanto portano alla categorizzazione e all’accrescimento della sensazione di sentirsi ALTRO,di sentirsi emarginato. Il diverso non è soltanto il disabile, ma anche lo straniero,il pregiudicato,il genio,colui che non si adegua alle norme sociali. Il diverso non sceglie la propria condizione ma gli viene imposta dalla società. Riguardo questo argomento non posso non fare riferimento ad un laboratorio che abbiamo svolto in classe. La professoressa ha finto di essere un sindaco "dittatore" che ha escluso dalla città,a cui era a capo, tutte le persone che portavano gli occhiali. Gli emarginati non ricevevano considerazione da parte del sindaco che non ascoltava le loro richieste e faceva in modo che fossero invisibili. Io ero cittadina e ho pensato subito di chiedere al sindaco di far rientrare le persone con gli occhiali nella città(ho notato che non sono stata l'unica a pensarlo).La condizione di emarginato credo sia la peggiore perché è imposta dagli altri e porta a sentirsi diverso e isolato dal mondo. L'emarginazione può essere combattuta soltanto agendo verso chi la crea,verso chi impone le proprie idee con la forza. L'omertà e il silenzio non fanno altro che fomentare questo fenomeno;bisogna opporsi e uscire allo scoperto.
    2)Il testo “Complessità della persona e disabilità”scritto da Anna Maria Murdaca, presenta tre obiettivi :1)ricostruire una nuova cultura della disabilità,2)rimodulare il termine integrazione ,3)comprendere le reali condizioni di vita e il ruolo che possono assumere i soggetti disabili. Per ricostruire una nuova cultura della disabilità è necessario adottare l’ottica della globalità e dell’inserimento. L’ambiente,la persona e lo spazio di cura come luogo riparativo, permettono di ridisegnare in maniera corretta e nuova la relazione educativa, riducendo al minimo le possibilità di esclusione ed emarginazione. L’ambiente(società,famiglia,contesto lavorativo …) influenza fortemente la vita degli individui e può essere un ostacolo o una facilitazione del nostro agire. Per questo risulta importante valorizzare la persona ,rispettare le differenze,le identità e soprattutto emancipare il soggetto con disabilità. A questo punto è indispensabile capire che cosa si intende per relazione educativa. La relazione educativa è il rapporto tra una persona guida e una persona in difficoltà. Il fine della relazione è capire i problemi,le difficoltà e le paure di chi ci sta di fronte mettendo da parte i pregiudizi. Essa si configura come un dare e un ricevere reciproco,in quanto tra i due soggetti avviene uno scambio attraverso il quale si realizza un tipo di formazione bilaterale. Educatore ed educando non sono su due gradini differenti,ma camminano insieme verso una maturazione reciproca. Non esiste un metodo educativo standard che un educatore deve seguire. Egli deve migliorare sempre di più le proprie strategie,deve adattarle alla situazione e soprattutto al minore che si trova di fronte. La relazione educativa ha una finalità implicita:educare a costruire relazioni con gli altri. In merito a questo argomento, la professoressa ha fatto simulare a 4 mie colleghe due tipi di relazione educativa. La prima aveva come protagoniste una madre in difficoltà che cercava di trovare una soluzione per il proprio figlio trascurato dall'insegnate di sostegno e un'educatrice,la seconda invece,una ragazza con problemi di socializzazione e difficoltà nel rapportarsi con l'altro e un'educatrice. In entrambe i casi le educatrici hanno dimostrato di saper fronteggiare le situazioni,mettendo a proprio agio le ragazze,utilizzando un linguaggio confidenziale e senza assumere un atteggiamento di freddezza e superiorità. Da questi setting ho imparato una cosa molto importante:attenersi al principio di restituzione. Quest'ultimo permette alla persona in difficoltà di prendere consapevolezza della propria condizione,consentendogli di vedere il proprio disagio da un altro punto di vista. L'educatore dovrà quindi "restituire" al soggetto quanto ha appreso da lui,proponendogli delle alternative senza, però, risolvere il problema e quindi togliergli la possibilità di acquisire autonomia e sicurezza.
    3)Remaury e Lipovetsky , nei loro testi ,analizzano il concetto di bellezza, sottolineando come essa sia diventata un obiettivo che ogni individuo pretende di raggiungere perché gli facilita l’accesso nella società. Ad esempio Remaury, nel “Gentil sesso debole”, afferma che il miglioramento dell’aspetto fisico fa parte dei bisogni da adempire,bisogni,che sono,a loro volta,imposti dalla società stessa. Lipovetsky ,inoltre,evidenzia come l’eterna giovinezza,la perfetta bellezza e la salute totale ,siano diventate strade obbligatorie che i soggetti ,in particolare le donne,devono percorrere per raggiungere un corpo perfetto e la conseguente accettazione da parte della società. Rosi Braidotti parla addirittura di corpo-macchina,riferendosi al legame tra femminismo e tecnologia, cioè del corpo femminile che incarna ,oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina. Nella società odierna si ricorre sempre più spesso alla chirurgia estetica per togliere rughe,per aumentare di una taglia il seno,per eliminare qualche difetto del corpo,si usano creme e svariati prodotti per essere belli e sempre più uguali ai modelli proposti dalla tv e dai giornali. L'apparenza supera di gran lunga la sostanza. Ricorrere all'utilizzo di protesi,bisturi,al botulino e quant'altro è giusto nel momento in cui si ha un difetto grave che crea disagio nella persona. Non lo è quando si vuole soddisfare un capriccio,quando si vuole essere accettati dalla società annientando il proprio io interiore. Cerchiamo di essere e non di apparire,miglioriamo l'anima e non il corpo, perché dopo la vita non conterà quanto siamo stati belli fuori,ma quanto lo siamo stati dentro.

    [b]
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    Messaggio  Diana Maddalena Ven Apr 27, 2012 11:01 am

    Prima di parlare della persona con disabilità è giusto procedere per grado ripercorrendo rapidamente alcune definizioni importanti.
    L'OMS è l'Organizzazione Mondiale della Sanità che ha elaborato una serie di Classificazioni come quella "Internazionale delle malattie" ossia l'ICD sorta nel (1970) che risponde all'esigenza di cogliere la causa delle patologie per ogni sindrome e disturbo, una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e diagnostiche. Tale classificazione focalizza,inoltre, l'attenzione sull'aspetto eziologico delle malattie, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la MEMORIZZAZIONE, la RICERCA e l'ANALISI DEI DATI formando una vera e propria ENCICLOPEDIA MEDICA. L'ICD è stato sostituito col passar del tempo dalla Classificazione Internazionale ICDH sorta nel (1980). Successivamente ci fu il MANUALE DI CLASSIFICAZIONE "ICF" che è stato pubblicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel (2001) proponendo una definizione del concetto di disabilità multidimensionale, dalla portata innovativa rispetto alle precedenti classificazioni. Secondo l'ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Inoltre l'ICF è una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona prendendo in considerazione anche l'interazione sociale, personale ed educativa. Il passaggio dall'ICD all'ICF avvenne per vari motivi, uno di essi e che le informazioni BIOMEDICHE e PATOLOGICHE non erano sufficienti per cercare di stabilire ciò che la persona era in grado di fare e non, generando cosi' un contesto sfavorevole. Parlando di contesti sfavorevoli mi viene subito in mente di riportare un laboratorio svolto sulle BARRIERE ARCHITETTONICHE e da qui ho potuto capire(anche con l'esercizio dell'OROLOGIO) come un disabile incontra ostacoli durante la sua giornata(partendo dalla mancata accuratezza dei marciapiedi. delle strade fino alle attrezzature per permettere ad un disabile di salire o scendere da un pulman, treno o dalla stazione) A mio parere quindi sono i contesti sfavorevoli che rendono una vita complicata per un disabile.
    Utilizzare termini impropri come (HANDICAPPATO, DIVERSO, DISABILE) possono essere un modo per aumentare l'handicap, anzichè ridurlo. Partendo dalla nozione di disabile possiamo dire che è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, un individuo con disfunzioni motorie o cognitive con disagi sociali che possono influenzare sulla sfera psicologica. Il disabile è anche ciò che gli altri pensano di lui. Tale termine presenta delle limitazioni nelle capacità di svolgere un'attività normale per un essere umano. Nei confronti della persona con disabilità si tende ad assumere un atteggiamento e sguardo di pietismo, diventa cosi' un'etichetta. Il disabile,inoltre,è colui che viene e si sente emerginato, si sente molto sofferente per le sue mancanze, soffre perchè crede che chi lo circonda (famiglia,amici, parenti)soffrono per lui. Non ci sono solo disabili che manifestano debolezze, ma anche quelli dotati di una gran forza d'animo. Un'esempio può essere l'ATZORI che è un caso di RESILIENZA, una sognatrice che nonostante le sue mancanze fisiche diviene vincitrice dei limiti che per lei non sono mai esistiti sin dalla nascita. Secondo me è da ricordare ad un disabile che non è il DIVERSO ma semplicemente UNICO esattamente come tutti gli ALTRI.
    Si ritiene utile prendere in considerazione il testo "Complessità della persona e disabilità" di Anna Maria Marduca, docente, esperta e autrice competente in questioni relative alla persona con disabilità. I temi che emergono sono: INTEGRAZIONE, COMPLESSITA', LA CURA, LA RELAZIONE EDUCATIVA,INCLUSIONE, INSERIMENTO DEL DISABILE, LA GLOBALITA' DELLA PERSONA. Tutti questi temi che mirano per Marduca:
    -alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    -alla rimodulazione del termine integrazione
    -alla ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    Secondo l'autrice è il CONTESTO SOCIALE a determinare la condizione di handicap, sono gli ostacoli e le barriere fisiche(come quelle mentali e culturali)a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. Sottolinea anche l'importanza di valutare l'influenza dell'ambiente sulla vita degli individui:la società, la famiglia, il contesto lavorativo, elementi che possono influenzare lo stato di salute, ridurre le nostre capacità di svolgere incarichi che ci vengono richiesti ponendoci in situazioni di difficoltà. L'ambiene,quindi, viene inteso come fattore contestuale determinante nel definire la disabilità una barriera o un facilitatore. Cartelli infatti utilizza la nozione di handicap come "STERIOTIPO SOCIALE". Occorre soffermarsi anche sulla complessità della persona con disabilità, la sua integrazione, in ambito educativo, linguistico, corporeo, le cause socio-culturali della marginalità sociale. E' importante dirigersi verso la logica dell'inclusione, adottando l'ottica della globalità. Si ha quindi una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta e centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione. L'obbiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità, considerazione innovativa nel campo della disabilità. Non si deve definire nessuno per SOTTRAZIONE, senza perdere di umanità perchè si tratta di persone che si caratterizzano per le capacità e non per quello che non sanno fare. Parlando di disabilità, si parla di PERSONA. Viene affrontato anche il concetto di CURA volto alla valorizzazione dell'uomo ciò che egli è, e per ciò che può diventare. Per quanto riguarda l'INTEGRAZIONE,invece,è un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee per custodire i diritti acquisiti dai dasabili. Un'altra interessante proposta svolta dall'autrice è quella di ripensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità, i quali non sono soggetti passivi ma responsabili di queste relazioni. A questo punto è opportuno riflettere su cosa intendiamo per RELAZIONE EDUCATIVA. Quest'ultima è un momento di dialogo, confronto, scambio di idee tra due o più persone come quelle tra docente/discente, madre/figlio, educatore/educando. La relazione educativa è fondamentale per costruire la figura dell'educatore che deve fungere da mediatore per i soggetti in difficoltà. E' di aiuto al disabile perchè gli permette di sviluppare (anche con l'aiuto degli insegnanti di sostegno)una serie di vissuti,situazioni,programmi ecc rendendoli integrati nel contesto classe. Sulla relazione educativa abbiamo svolto un SETTING in aula(tra educatore ed educando)e da qui è emerso l'importanza dell'educatore che trovandosi di fronte ad un soggetto con difficoltà ha saputo ascoltarlo, messo in condizione di parlare anche avendo difficoltà di esporre il proprio problema. Anche l'educatore cresce nella relazione educativa, deve conoscere se stesso, si deve mettere in discussione. L'educatore può sbagliare, ma solo dagli errori può migliorare.
    L'influenza del contesto sociale ricorre anche per l'immagine delle DONNE che viene fuori dai mezzi di comunicazione è nuova,modificata,complessa,e deforme. Oggi si tende da parte delle donne(ballerine,modelle)a crearsi dei modelli estetici perfetti che vengono influenzati da riviste, mass-media e questo tende a complessarle sfociando in molti casi in vere e proprie ossessioni e malattie patologiche. Uno degli esempi svolti anche in classe è quello riguardante il fenomeno dell'ANORESSIA. Quest'ultima si raggiunge quando una persona non ha accettazione del proprio corpo, ma un vero e proprio disprezzo tendendo a rifiutare il cibo per piacersi e farsi piacere. Questo fenomeno è molto diffuso nell'odierna società. Esso viene influenzato anche dai farmaci conosciuti attraverso gli spot pubblicitari che aiutano al dimagrimento eccessivo. Autori come Remaury, Lipovetsky, Braidotti che si sono interessati della figura della donna in particolare al suo bisogno di modellarsi, cambiare per raggiungere un'apparenza migliore agli occhi dell'altro. Per quanto riguarda Remaury sostiene che le donne mirano verso una corsa alla perfezione corporea rendendo il corpo libero da malattie,peso ecc. Lipovetsky ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza facendo venir fuori colei che controlla e gestisce la propria immagine all'interno della variegata offerta di modelli sociali. Oggi quando si ha un vero e proprio disprezzo del proprio corpo si ricorre alle PROTESI ESTETICHE. Io personalmente non sono contro ad esse, come anche alla chirurgia plastica ma bisogna utilizzarle solo in casi seri dove c'è veramente difficoltà nell'accettazione delle proprie mancanze fisiche non solo per apparire belli agli occhi degli altri ma per se stessi perchè si può essere belli e apprezzati anche esclusivamente tenendo conto della propia INTERIORITA'.
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    Messaggio  Brusini Rosa Ven Apr 27, 2012 4:21 pm

    DALL’ ICD ALL’ICF
    L’Oms, ovvero l’Organizzazione Mondiale della Sanità elaborò nel 1970, una classificazione detta ICD, ovvero la classificazione Internazionale delle malattie, usata per cogliere la causa delle patologie. E’ una classificazione che focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia, traducendo le diagnosi in codici numerici, creando una sorta di enciclopedia medica. Poi nel 1980 l’Oms elaborò un'altra classificazione, ovvero l’ICDH, dove troviamo questi termini:
    1 menomazione: qualsiasi perdita o anormalità a carico di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica;
    2 disabilità: l’incapacità di svolgere determinati compiti e funzioni ritenuti “normali” per un individuo;
    3 handicap: la difficoltà che incontra una persona con disabilità nel confronto esistenziale con gli altri, lo svantaggio sociale.
    Poi nel 2001 l’Oms elabora una nuova classificazione, l’ICF, secondo la quale la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Pertanto qui si sposta l’attenzione sul contesto nel quale si trova un soggetto con disabilità, dando maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. Quindi l’ICF non classifica solo condizione di salute e traumi, come l’ICD, ma classifica le conseguenze associate alle condizioni di salute, ponendo come centrale la qualità di vita delle persone affette da una patologia e come sia possibile migliorare la loro esistenza. Pertanto l’ICF viene utilizzato da tutti gli operatori sanitari, sociali ed educativi.
    Tutto questo discorso viene inserito all’interno di un altro discorso riguardante l’importanza delle parole e del loro corretto uso. Perché utilizziamo al meglio determinati termini è fondamentale conoscerne il significato. Quindi analizziamo qui il significato e l’uso del termine disabile, in correlazione al concetto di diversità, termini che abbiamo incontrato tante volte durante il corso. Disabile è una persona che a causa di una menomazione ha delle difficoltà a svolgere attività, solitamente facilmente svolte da una persona considerata normodotata. Però è importante saper restringere il campo in cui usare questo termine in quanto si può finire nel creare un’etichetta e questa è cosa offensiva e lesiva per queste persone che in tal modo trovano ancora più difficoltà a relazionarsi con gli altri. Inoltre il termine disabile dichiara solamente che un individuo manca di competenze, senza considerare che possiede anche delle abilità. Spesso la disabilità viene confusa con la diversità, ma non è la stessa cosa
    “tutti sono diversi; non tutti sono disabili”
    Questa frase più di tutte indica la profonda differenza tra i due termini, e l’unico modo per utilizzare nel corretto modo entrambi i termini correlandoli, è parlare di diversabile, termine che mette in risalto che si tratta di una persona che ha delle abilità diverse dagli altri, da scoprire, far emergere e potenziare.
    Molti sono stati gli spunti che ci hanno permesso tramite il forum di poter capire a metterci nei panni delle persone diversamente abili. Ricordo il laboratorio che mi chiedeva di immaginare la mia giornata tipo nei panni di una persona disabile, facendo emergere le difficoltà fisiche e psicologiche nello scontrarsi con le barriere architettoniche. O ancora la mappa degli stereotipi in cui ho capito quanto sia grave etichettare le persone, di qualunque etichetta si parli, in quanto questo crea inevitabilmente discriminazione e conseguente emarginazione. A proposito di emarginazione ho sperimentato in aula la sensazione di essere emarginata (per il fatto di portare occhiali) dal gruppo cittadini, creando in me sensazioni negative che mi hanno fatta crescere e capire che commettiamo errori apparentemente banali, ma estremamente dannosi per la società, e soprattutto per le PERSONE. È infatti fondamentale pensare che si tratta di persone, che dietro termini quali disabile, handicappato, gay (e qualunque altra forma di discriminazione)…, ci sono prima di tutto delle persone con un nome, dei sentimenti, dei valori, con una dignità che va rispettata.

    ANNA MARIA MURDACA
    La professoressa Murdaca col suo testo “Complessità della persona con disabilità”, mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione e alla creazione di un nuovo progetto di vita per le persone con disabilità, interessandosi quindi della globalità della persona disabile, in tutti i suoi aspetti: biologico, psicologico, intellettivo, affettivo, relazionale e sociale. Il suo obiettivo è la valorizzazione della persona con il rispetto delle differenze e delle identità. Il pensiero chiave della professoressa Murdaca è che non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione in quanto si tratta di persona, ed è quindi fondamentale la sua integrazione nella società. Integrazione che spesso, quando non si ha, crea il vero handicap. Quindi l’handicap deriva dal contesto sociale, gli ostacoli e le barriere fisiche e soprattutto mentali. È pertanto fondamentale in tali casi il prendersi cura che è un atto di umana comprensione capace di aiutare la persona con disabilità a ridare senso e significato alla sua esperienza, alla sua persona, creando attività integrative, ovvero attività di condivisione di valori quali autonomia, dignità e potenzialità personali. È da questo prendersi cura che scaturisce l’importanza della relazione educativa. Ma questa va pensata in una chiave nuova, quella che ci suggerisce la professoressa Murdaca, ovvero: la relazione educativa quale spazio riparativo nel quale la persona disabile sperimenta con gli educatori, gli insegnanti una serie di situazioni, di vissuti emotivi e affettivi che vengono criticati, elaborati, costruiti per portare la persona disabile verso lo sviluppo della propria totale accettazione, autostima e valorizzazione delle proprie capacità. Questo nuovo modo di pensare ad una relazione educativa, non è cosa semplice e la professoressa Briganti mi ha dato modo di capirlo creando due setting-esempio in aula. Lì infatti ho visto quanto sia importante il primo approccio, quindi anche a livello fisico-gestuale, stando attenti a non essere ne troppo invasivi, ne troppo freddi. Fondamentale quindi in una relazione educativa è il sapersi porre ,sapere di essere un esempio, ascoltare e farsi ascoltare e condividere.

    REMAURY, LIPOVETSKY E BRAIDOTTI
    Remaury e Lipovetsky si occupano della nuova concezione del corpo. Un corpo che deve essere necessariamente bello. Ma non il bello soggettivo, bensì il bello oggettivo, quello imposto dalla società e alla quale si aspira. In particolare Remaury individua una vera e propria corsa alla perfezione che si pone come obiettivo la triade giovinezza- bellezza- salute. Pertanto emerge il concetto di corpo liberato da cui Lipovetsky prende spunto per la sua riflessione; la liberazione de La terza donna celebrata da Lipovetsky è una liberazione del corpo dalla malattia cioè sano, dal peso cioè magro, dal tempo cioè giovane. Ecco dinuovo realizzata la triade. … prima il corpo doveva servire, ora è l’individuo ad essere al servizio del proprio corpo(Baudrillad). Ma il più delle volte questa triade è associata alle donne, al corpo feminile. Rosi Braidotti tramite varie riflessioni filosofiche storiche e culturali in “Madri, mostri e macchine” arriva a spiegare il corpo femminile in cui vediamo la donna capace di deformare nella maternità il proprio corpo, una sua tendenza al corpo macchina per quanto riguarda l’idea di poter uscire dai vecchi canoni di bellezza, e la mostruosità in cui l’orribile è meraviglioso. Quindi in questo modo Rosi Braidotti da una sorta di spiegazione riguardo all’esigenza di un corpo trasformato e mostruoso. Spesso per raggiungere questa meta si fa uso della scienza, e in particolare le protesi estetiche, utili per divenire ciò che si vuole: spesso fotocopie del canone imposto dalla società, ma anche al contrario, un modo per distinguersi divenendo diversi dai “normali”. A tal proposito ricordo il laboratorio riguardo le protesi estetiche che ci chiedeva appunto di dire se eravamo pro o contro le protesi estetiche. Io credo che vi debbano essere dei margini di utilizzo di questi utilissimi progressi scientifici, in quanto se usati per migliorare realmente e praticamente le condizioni di vita di una persona sono più che a favore altrimenti sono contro. La mia opinione può non valere niente ma almeno mi ritengo fortunata di essere quel che sono, accetto il mio corpo e vivo in pace con esso.
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    Messaggio  Maria Starace91 Ven Apr 27, 2012 5:10 pm

    1) L’OMS è l’Organizzazione Mondiale della Sanità. La prima classificazione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è la Classificazione Internazionale delle malattie o ICD del 1970, che risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche.
    L’ICD con il passar del tempo venne poi sostituita nel 1980 dall’ ICIDH, International Classification of Impairments , Disabilies and Handicaps.
    Essa si basava su tre fattori:
    - menomazione;
    - abilità;
    - partecipazione.
    Poi successivamente nell’2001 l’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicò l’ICF, la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute.
    L’ICF considera la disabilità una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Un contesto causato dagli ostacoli che troviamo per le strade, possiamo ricordare in questo caso l’esercizio orologio della nostra giornata, dove incontravamo molte difficoltà per la persona disabile.
    Essa è una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlata.
    L’ICF non spiega solo le condizioni di salute, di malattia che sono d’interesse dell’ICD, bensì spiega anche le conseguenze associate alle condizioni di salute.
    Il passaggio dall’ICD all’ICF avvenne perché le informazioni date dalla diagnosi medica, non erano sufficienti nel definire ciò che la persona era in grado di fare e ciò che non era in grado di fare.
    L’ICF viene utilizzato in diversi campi come quello sanitario, sociale, educativo, statistico ecc..
    I fattori personali non sono però classificati nell’ICF, poiché possono essere diversi da soggetto a soggetto, da luogo a luogo.
    In questo ambito possiamo soffermarci su due termini : il disabile e il diverso.
    Il disabile è la persona che non può svolgere le normali attività della vita quotidiana, ed è affetto da disfunzioni motorie o cognitive.
    Nei confronti della persona con disabilità si tende ad assumere un atteggiamento di pietismo. Il disabile è un soggetto con disturbi psichici o fisici che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate.
    La disabilità è spesso confusa con la diversità, essi sono due termini che meritano una riflessione. Con il passar del tempo si è iniziato a proporre l’uso del termine diversabilità. Il termine diversabilità nasce dall’esigenza di non trascurare il valore della persona nella sua essenziale umanità. La persona disabile è un individuo, con una propria identità. Ci sono però persone disabili che non si sentono tali, come ad esempio Oscar Pistorius, che da piccolo fu costretto all’amputazione delle gambe, grazie alle protesi, flex foot, ha vinto molte medaglie e ha potuto gareggiare alle Olimpiadi del 2008.
    Oppure possiamo pensare alla ballerina Atzori, pur non avendo le braccia riesce comunque a svolgere le attività quotidiane normalmente, riesce a guidare, pettinarsi ed essere comunque una ballerina.
    Mentre il diverso è colui il quale la società etichetta come tale perché ha degli schemi mentali, fisici e comportamenti difformi della “ normalità”, è una persona diversa per la lingua,cultura, razza. Il diverso viene spesso emarginato dalla società. Si pensi alla simulazione fatta in aula dove il sindaco, ha emarginato tutte le ragazze con gli occhiali, in quel caso le ragazze erano le persone diverse. Il diverso è lontano da quello che siamo noi, non lo capiamo. Per chi è diverso proviamo vergogna, compassione, imbarazzo.

    2) Anna Maria Murdaca, docente esperta in questioni relative la persona con disabilità, nel suo testo Complessità della persona e disabilità, mira:
    - alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità;
    - alla rimodulazione del termine integrazione;
    - alla comprensione delle reali condizioni di vita.
    Secondo l’autrice occorre abbandonare la logica dell’inserimento e dirigersi verso l’inclusione, occorre quindi adottare l’ottica della globalità, una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento, del comportamento e dell’assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione solistica, che può essere disorganizzata da errate interazioni tra sistema biologico, psico-intellettivo, affettivo, relazionale e sociale.
    La logica della diversità è la stessa del linguaggio:
    - deve essere multilineare e plurisequenziale;
    - deve analizzare il soggetto;
    - deve analizzare il contesto e tutta quella variegata serie di interventi a esso rivolti.
    La docente affronta anche il tema della relazione educativa, uno spazio nel quale il disabile sperimenta con gli educatori, con gli insegnanti una serie di situazioni, di vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, ricostruiti e integrati nella relazione educativa.
    Una relazione educativa è il rapporto che vi è tra due o più persone, come il rapporto madre/figlio, un rapporto in ambito familiare , che corrisponde comunque ad una relazione educativa. Essa può formarsi anche fra docente e discente, un legame che produce l’apprendimento, attraverso una profonda interconnessione che porta alla fusione delle conoscenze. In qualsiasi relazione tra due o più persone avviene uno scambio dove si da ma si riceve anche qualcosa. Qualsiasi esperienza della vita è educativa sia se si tratta di un’esperienza positiva, che di un’esperienza negativa. Quindi tutte le esperienze di vita sono relazioni educative.
    Nella relazione educativa è fondamentale il rispetto reciproco, e si deve creare una sincronia perfetta, soprattutto in ambito scolastico dove avviene una crescita, una formazione dell’educando. La relazione educativa rimanda all’immaginazione di una grande famiglia, un’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l’educatore e i suoi alunni in un rapporto quasi familiare con lo scopo di raggiungere degli obiettivi attraverso un rapporto di scambio di opinioni e di emozioni affettive. In una buona relazione educativa si devono creare una serie di situazioni che possono mettere a proprio agio il soggetto che si ha di fronte. Quindi bisogna creare un rapporto alla pari senza creare differenze.
    La relazione educativa è un occasione formativa bilaterale, nel senso che l’educando apprende grazie all’educatore, e l’educatore grazie all’educando, poiché attraverso la pratica può perfezionare le sue tecniche di educazione.
    Mentre nella relazione educative al disabile, l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile.
    La creazione di una relazione educativa richiede tempo e l’impegno dei soggetti in causa. La relazione educativa è motivata:
    - dal bisogno;
    - dalla gratificazione;
    - dalle regole;
    - dalle preferenze, ecc..

    3) Remary, Lipovetsky e Braidotti si sono occupati entrambi della trasformazione del corpo soprattutto di quello femminile.
    Remary nel suo teso “ Il gentil sesso debole ” dice che la cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza. Il miglioramento fisico ed estetico della donna consiste nell’adempimento dei suoi bisogni, come il bisogno di essere bella. Remary dice anche che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo quindi un triplice obiettivo: giovinezza- salute- bellezza.
    Lipovetsky invece nel suo libro “ La terza donna ” ci presenta l’immagine di una terza donna che nasconde la sua sottomissione a modelli dominanti, e cerca di raggiungere il corpo perfetto.
    Mentre Braidotti nel suo testo “ Madri, mostri e macchine ” parla del corpo femminile connesso con la tecnologia, essa parla anche di corpo-macchina un corpo su cui la donna lavora con la tecnologia, e che spesso diventa mostruoso.
    Io come ho già detto nel forum quando abbiamo parlato delle protesi estetiche, penso che se una persona non si trova bene con il suo corpo e può in qualche modo modificarlo perché non farlo. Con la parola modificare mi riferisco però a un disagio fisico, non modificare il corpo per raggiungere un corpo perfetto, perché secondo me ognuno è bello con i pregi e anche con i difetti.




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    Messaggio  Melania castoro90 Ven Apr 27, 2012 6:20 pm

    Durante questo nostro corso abbiamo appreso,attraverso la riflessione dei termini utilizzati nel campo della disabilità, che molto spesso per descrivere una data situazione o persona usiamo termini non del tutto consoni.
    L’OMS ossia l’Organizzazione Mondiale della Sanità fu la prima a fare una classificazione Internazionale delle malattie ICD, cercando di comprendere l’insorgere di patologie attraverso le sindrome e i disturbi che vengono denominati sotto il nome di una delle loro caratteristiche cliniche e diagnostiche,mentre le diagnosi vengono tradotte in codici numerici facilmente memorizzabili e utili per una ricerca migliore.
    L’OMS si basa su tre fattori:
    - Menomazione (perdita di una struttura o funzione a livello fisico);
    - Disabilità (incapacità di svolgere delle funzioni facilmente svolte da un normodotato);
    - Handicap (difficoltà che una persona affronta nella vita di tutti i giorni).
    Questi tre fattori vengono successivamente sostituiti da altri tre termini quali:
    - Menomazione
    - Abilità
    - Partecipazione (capacità dell’individuo di partecipare attivamente alla realizzazione del proprio percorso di vita).
    Con l’entrata dell’ICF (Classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute) si afferma che la disabilità dipende anche dal contesto in cui si manifesta, e quindi il contesto stesso può risultare fonte e causa della disabilità.
    Questo dato può essere confermato anche dalle ricerche svolte durante il laboratorio “barriere architettoniche” nel quale attraverso l’analisi dell’“orologio” (la nostra giornata) abbiamo appreso che anche nelle grandi metropolitane,apparentemente attrezzate per soddisfare ogni tipo di esigenza, persone affette da disabilità,addirittura riscontrano problemi nel banale attraversamento pedonale. Notando anche che i servizi che offre la società, sì sono presenti,ma non sono in condizioni da poter essere utilizzati correttamente.
    Anche qui abbiamo una nuova sostituzione di termini,quali:
    - Funzioni
    - Strutture corporee
    - Attività e Partecipazione (come possiamo notare il termine partecipazione ci accompagna sempre, in quanto un ottimo percorso avviene soltanto in condizioni attive del soggetto stesso)
    L’ICF venne introdotto in quanto si pensò che una semplice diagnosi medica non fosse sufficiente a stilare un totale quadro funzionale della persona, ma bisognerebbe conoscere le condizioni, la qualità di vita di essa, quindi analizzare le forme con cui il soggetto convive con la sua malattia anche in relazione al contesto famigliare e sociale e successivamente trovare un metodo atto alla miglioria. Spesso nei confronti della persona diversabile assumiamo un atteggiamento di pietismo, ma non comprendiamo che facendo ciò non facciamo altro che peggiorare, in qualche modo, lo stato psicologico di questa.
    Noi possiamo solo prendere atto che la nostra è una mentalità troppo stereotipata, piena di pregiudizi, nel senso che tutto ciò di cui non abbiamo una conoscenza o è diverso dal normale ci incute paura e di conseguenza tendiamo ad allontanarlo, ma pensandoci cosa significa “normale”??
    Io penso che nessuno è normale perché ognuno di noi è diverso, ha capacità maggiori in determinate attività rispetto ad altre. Non esiste un vero e proprio significato del concetto di normalità.
    La maggior parte delle persone è convinta che il concetto di normalità sia legato solo alla visibile perfezione fisica.
    Fortunatamente esistono anche persone con disabilità che non si sentono tali infatti riescono a compiere qualsiasi tipo di attività grazie alle tecnologie abilitanti. Qui abbiamo l’esempio
    dell’Atzori, ballerina che danza attraverso il semplice uso delle sole gambe e nonostante ciò trasmette una forza e un’armonia nei movimenti incredibile e di Pistorius atleta senza gli arti superiori,ma nonostante ciò attraverso le tecnologie integrative riesce ad essere un campione paraolimpico.
    Precedentemente ho usato il termine DIVERSABILI che oltre a mettere in evidenza una condizione di disabilità presenta anche un’abilità diverse dagli altri.
    Per questo si ritiene più corretto parlare di diversamente abili. Infatti durante un nostro laboratorio abbiamo provato ad essere per qualche minuto ciechi bendandoci con un foulard, ascoltando la lettura di alcune poesie.
    Quei pochi minuti sembravano un eternità, ma ho notato che riuscivo a percepire maggiormente ogni singolo rumore intorno a me anche il vocio fuori dall’aula e quindi si sono sviluppate maggiormente le nostre facoltà uditive. Anche l’incontro di Palladino ci ha aiutato a capire meglio la sua condizione di cecità.
    Ad interessarsi della complessità della persona disabile , c’è stata anche la docente Anna Maria Murdaca. Il testo “Complessità della persona e disabilità” mira ad adottare un ottica globale della condizione del soggetto disabile. La Murdaca afferma che la disabilità oltre ad essere una condizione di svantaggio conseguente ad una mancanza, che in alcuni soggetti limita il compiere delle attività normali, si viene a creare nel contesto stesso poichè si tende a vedere il disabile come colui che non sa fare qualcosa o è mancante di qualcosa tralasciando la sua effettiva natura.
    I vari ambienti sociali e famigliari riducono le capacità dell’individuo, infatti la famiglia tende maggiormente a pensare in negativo un possibile miglioramento del proprio figlio, quando dovrebbe pensare che esiste sempre una cura per ogni disabilità.
    L’obbiettivo più importante è quello di valorizzare la persona umana senza definirla per sottrazione. Attraverso l’integrazione,che è un processo continuo e non un punto d’arrivo bisogna andare ben oltre il semplice accudimento del soggetto,ma dobbiamo tendere all’emancipazione di esso.
    La costruzione di questo progetto deve avvenire in luoghi attenti ai bisogni dell’individuo,luoghi che non blocchino lo sviluppo delle sue capacità,ma le amplifichino.
    Servono ambienti utili per la formazione anche dell’insegnante e non solo del soggetto con disabilità, per comprendere anche come può avvenire un possibile approccio con l’altro.
    Con questo arriviamo al tema della relazione educativa discussa anche in aula attraverso delle simulazioni dove abbiamo potuto comprendere meglio come rapportarci e come sia importante un approccio positivo con un’altro soggetto.
    Diciamo che qualsiasi relazione,incontro, è educativo quando abbiamo modo di creare una fusione tra le conoscenze dei soggetti interessati. Anche la relazione madre/figlio positiva o negativa che sia è al tempo stesso educativa.
    Nella relazione educativa l’educatore deve lasciare all’educando qualcosa di positivo arricchendolo di conoscenze. Importante è il rispetto reciproco che si deve venire ad instaurare tra di essi.
    Nella relazione si cerca di capire sempre che cosa ha spinto il soggetto a comportarsi in un determinato modo, attraverso la sua “biografia” (racconto delle proprie esperienze personali).
    Spesso bisogna dare al soggetto il tempo di poter esporre i propri problemi perché molto volte tendono a chiudersi in se stessi e non lasciano trapelare i loro stati d’animo.
    La relazione è anche uno scambio di emozioni in quanto questo incontro tende a creare un rapporto ricco di momenti di ascolto, di libertà d’espressione. Deve avvenire questo scambio nella relazione per far sì che ci sia una conoscenza tra le parti.
    L’educatore non deve solo dare e ricevere,ma deve essere una guida,deve creare un clima sereno e far entusiasmare l’educando per ricevere uno stimolo positivo da esso.
    Deve riuscire a mettersi sullo stesso piano dell’altro, così facendo deve avvenire uno scambio reciproco di idee creando un rapporto di fiducia e di stima.
    L’obbiettivo dell’educatore è rieducare e condurre il soggetto a cambiamenti positivi e corretti.
    La relazione educativa si costruisce con l’altro e per l’altro ed è contenente di una finalità: EDUCARE ALLA RELAZIONE CON GLI ALTRI.
    A volte notiamo che in alcune associazioni si tende a trattare il disabile come un essere che è al di sotto di tutti, invece dobbiamo riuscire a combattere questo silenzio di coloro che conoscono queste situazioni e restano in un angolo a guardare senza far nulla!!!!!!!
    Per quanto riguarda l’educazione al disabile non bisogna mettere in risalto le mancanze ma bensì creare delle attività alla pari con i normodotati. Non dando modo ad esso di sentirsi inferiore a qualcun altro.
    Notiamo, infatti che nella nostra società non si fa altro che guardare all’esteriorità del soggetto piuttosto che guardare la bellezza interiore di ognuno di noi.
    A questo proposito possiamo citare tre autori che parlano di come oggi siamo concentrati molto sulla bellezza. In particolar modo la donna diviene soggetto portatore di bellezza. Il primo che citiamo è Remaury che rappresenta la donna come un essere perfetto in ogni minimo particolare. Il corpo della donna diviene strumento nelle mani dei media e della televisione, dove mostrandoci corpi perfetti, la donna tende a far qualsiasi cosa pur di poter rientrare anch’essa nel modello di perfezione, in quanto si ritiene che un corpo giudicato attraente sia portatore di valori come l’onestà,la gentilezza e l’intelligenza.
    Lipovetsky identifica una donna inizialmente sfruttata e svalutata, che tende a seguire un modello di perfezione prodotto di un lavoro su se stessa, assicurato dalla salute e dalla bellezza.
    Questi non sono corpi femminili, ma sono corpi de-femminalizzati. Corpi senza forme che identificano una donna vera e propria!!!
    La Braidotti autrice del libro “Madri mostri e macchine” identifica un corpo ormai tutt’uno con la tecnologia. Un corpo trasformato e anche mostruoso sul quale la donna lavora per poter avere delle forme perfette. In particolar modo le donne madri dove la Braidotti le identifica mostri e madri in quanto deformate dalla maternità.
    Possiamo dire che questo fenomeno è divenuto un vero problema in quanto nessuno si accetta così com’è. Tutti vogliono nascondere i propri difetti. Si pensi anche alle modelle che vediamo sfilare sulle nostre passerelle sempre più magre e anoressiche. In un mondo, ormai, dove l’anoressia, la magrezza è sinonimo di bellezza e perfezione, dobbiamo cercare di far svanire questa idea mal sana del corpo perfetto e dare alle generazioni future un messaggio positivo di come far sviluppare un corpo sano e bello!!!!
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    Messaggio  Rossella Palumbo Ven Apr 27, 2012 11:25 pm

    1) Variegata è la terminologia utilizzata nell'ambito della disabilità, intesa non solo come deficit, mancanza a livello organico e psichico, bensì una condizione che supera sia barriere mentali che architettoniche.
    L' ICD, ossia la prima classificazione internazionale delle malattie, è stata elaborata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità negli anni 70 per rispondere al bisogno di afferrare la causa delle patologie fornendo per ogni sindrome o disturbo una descrizione delle caratteristiche cliniche e indicazioni diagnostiche.
    Essendo una classificazione causale, l' ICD focalizza l'attenzione sull'aspetto eziologico della patologia; le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei risultati. Ma l’ICD rivela vari limiti di applicazione e ciò spinge l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione che focalizzi l’attenzione sulle conseguenze delle patologie e non solo sulle cause. Tale classificazione, messa a punto negli anni 80, è detta: “La Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH). Ne consegue che, non si parte più dal concetto di malattia inteso come menomazione, ma dal concetto di salute, inteso come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo, la sua globalità e l’interazione con l’ambiente. Secondo l'OMS bisognerebbe utilizzare in maniera complementare ICD e ICIDH favorendo l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una prospettiva più ampia. L’ICIDH si basa su tre fattori: menomazione, disabilità e handicap. Per MENOMAZIONE si intende ogni tipo di perdita o anormalità per quanto concerne una struttura o una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. La menomazione può essere: temporanea, accidentale (in seguito a un incidente), degenerativa (può portare alla disabilità). Per DISABILITA' si intende qualsiasi restrizione o carenza della capacità di compiere una determinata attività nella maniera considerata “normale” per un essere umano. Ciò comporta delle restrizioni, come ad esempio disturbi comportamentali appropriati. Per HANDICAP si intende la difficoltà che una persona con disabilità affronta nel confrontarsi con gli altri e con l'ambiente circostante a causa di una menomazione.
    L'elaborazione dell'ICF nel 2001 da parte dell'OMS scaturisce dalla presenza di limiti concettuali nella classificazione ICIDH. “La Classificazione Internazionale del funzionamento, disabilità e salute” vuole descrivere lo stato di salute delle persone in base all'ambito sociale, familiare, lavorativo con cui si relazionano, al fine di cogliere le difficoltà che possono causare disabilità. In questo modo si vuole mettere in evidenza l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto risaltarne l’unicità e la globalità. Tutto tende a favorire interventi in campo socio-sanitario in grado di migliorare la qualità della vita delle persone. A questo proposito mi viene in mente la frase detta in un video circa il laboratorio sulle barriere architetoniche "E' cambiato tantissimo da 30 anni a questa parte, ma tanto altro deve cambiare".
    Mi è rimasta impressa perchè, per quanto possa sembrare banale, racchiude il senso di tante problematiche riguardanti il nostro paese, ma in questo contesto sottolinea inequivocabilmente le svariate barriere che un disabile si ritrova a dover superare (se tutto va bene) nel quotidiano. Da qui l'etichettamento, l'emarginazione, e questo perchè sono in pochi quelli che hanno capito che il disabile non è un malato, ma un divers-abile ossia qualcuno che ha sviluppato abilità diverse.
    Occore riuscire a mettere a fuoco la differenza che c'è tra le parole disabile e diverso. Per disabile si intende colui che è impossibilitato a compiere le comuni attività quotidiane, una persona con disfunzioni motorie e/o cognitive che possono influenzare anche la sfera psicologica (ciò che gli altri pensano di lui), un individuo che presenta mancanze di una o più abilità. Vygotskij rende tutto più semplice affermando che il disabile è una persona con una propria identità, una propria connotazione e proprie caratteristiche allo stesso modo di chiunque altro.
    Spesso la disabilità viene confusa con la divesità. Quest'ultima porta alla categorizzazione, ossia alla collocazione di certe persone in determinate categorie. Si preferisce il termine diversabilità che mette, invece, in evidenza delle abilità diverse dagli altri, da scoprire, far emergere e potenziare, oltre che una dis-abilità. La chiave di lettura è quindi positiva perchè mette in risalto l'essere diversamente abili di molte persone con deficit. Allo scopo di aiutare una persona con deficit a ridurre l'handicap ci sono diverse apparecchiature, dette ausili, come la sedia a rotelle. In conclusione, è importante riconoscere la persona con disabilità come soggetto attivo, autonomo, capace di instaurare rapporti soddisfacenti; bisogna relazionarsi e convivere con la diversità e la disabilità, in quanto possono aiutare questa società a liberarsi dai luoghi comuni, dagli stereotipi e dai pregiudizi. C'è sempre la speranza che, nella vita di tutti i giorni, la relazione umana ed interpersonale con l’altro (il diverso, il disabile) comporti nei normodotati una modificazione del proprio modo di pensare e di agire, portandoli così ad un’apertura mentale ed a una sensibilità nuova e diversa. Portandoli a un'educazione alla diversità e alla disabilità.

    2) Secondo Anna Maria Murdaca, il contesto sociale favorisce il processo di esclusione o di emarginazione del soggetto con handicap. E' fondamentale, valutare quanto l'ambiente influenzi la vita degli individui: la famiglia, la società, il contesto lavorativo, ecc. L'ambiente ha una duplice valenza, nel senso che, può rappresentare una barriera o un elemento facilitatorio, come nel caso di soluzioni tecnologiche che diminuiscono la disabilità. Un esempio è la casa domotica che consente ai disabili di vivere in maniera autonoma e soddisfacente allo stesso modo di chiunque altro. Il testo della Murdaca “Complessità della persona e disabilità” si pone come obiettivo l'istituzione di una nuova cultura della disabilità, al fine di valorizzare l'identità della persona umana rispettando le sue differenze. Occorre pensare a questa nuova cultura della disabilità in riferimento alla persona in evoluzione che interagisce con fattori affettivi, relazionali e sociali. L'integrazione è un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni, strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili. Le persone disabili non si sentono coinvolte nella e dalla società. Lo dimostrano i tanti studenti disabili, la cui integrazione è difficile e a cui spesso è negato il diritto di studio. E lo dimostrano anche i tanti disabili adulti che non riescono a svolgere la loro professione. Secondo il documento del Miur, l'integrazione va messa in pratica valorizzando al meglio le dotazioni individuali. Per quanto concerne il concetto di cura, Anna Maria Murdaca, parla di un 'nuovo paradigma del benessere' in quanto si punta alla progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti e alla realizzazione dell'uomo per ciò che è e può diventare. Di conseguenza si parla ancora di integrazione, intesa come accoglienza delle diverse identità e come condivisione di valori etici. La costruzione dell'identità personale deve avvenire in luoghi rassicuranti e capaci di favorire e sviluppare le potenzialità individuali. La relazione educativa incentiva l'integrazione. La relazione educativa è un'occasione di formazione bilaterale tra educatore e educando. Tra le due parti si instaura gradualmente un legame di fiducia, basato su una profonda interconnessione che produce una fusione delle conoscenze.
    L'educatore si pone come obiettivo quello di rieducare e condurre l'educando verso cambiamenti positivi, dall'altro lato, invece, l'educando ha come obiettivo quello di apprendere, sentendosi libero di esprimere le proprie idee e confrontandosi poi liberamente con altri soggetti. La simulazione dei setting tenuti in aula ha chiaramente dimostrato l'importanza del ruolo dell'educatore, che funge da esempio per l'educando e che, in una relazione educativa, non c'è solo la persona con la quale ci confrontiamo in una determinata situazione, ma anche il contesto, il problema che ci sarà esposto, ecc.


    3) Dal passato a oggi, sempre considerevolmente marcata è stata la contrapposizione tra bello e l'altro, inteso come mostruoso. I mezzi di comunicazione, quali la televisione, internet e le riviste, contribuiscono ad alterare il senso di questi due concetti e a indurre le persone (per lo più donne) ad inseguire il prototipo di perfezione, cambiando la percezione interna del nostro corpo nel rapporto con lo spazio circostante. In particolare, tre autori, hanno esaminato la relazione tra bellezza e salute. Nel testo “Il gentil sesso debole, Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute”, Remaury sottolinea che la cultura dell'immagine per le donne si confonde con quella della bellezza e di conseguenza deve essere coltivata. E' come se fosse stata messa in moto una corsa alla perfezione che ha come fine ultimo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Si parla, inoltre, di corpo trasfigurato, legato all'immagine della perfezione corporea realizzata mediante i progressi della scienza; di corpo esatto che si avvia verso la perfezione grazie alla scienza e ad altre discipline e di corpo liberato, dalla malattia, dal peso, dal tempo, e conseguentemente e obbligatoriamente perfetto. Nel testo “La terza donna”, Lipovetsky fa apparire la donna del ventunesimo secolo come colei che controlla la propria immagine all'interno della società attraverso la teoria della maturità positiva. L'obiettivo finale (simbolico) è la conquista di un'apparente eterna giovinezza. Nel testo “Madri mostri e macchine”, la Braidotti ripropone il rapporto mente-corpo affermando che il divenire donna è il divenire altro, è il segno di trasformazioni in atto e consiglia una asimmetria tra i sessi. La Braidotti sperimentava un atteggiamento creativo nei confronti delle tecnologie, utile strumento per arginare il conflitto di genere, portando la differenza sessuale nei mondi virtuali senza ricadere nel dualismo. Conseguentemente, si parla di una nuova donna: trasgressiva e non mascolina, una donna in movimento, aperta alle nuove tecnologie. Secondo la Braidotti, i corpi deformi rappresentano l'antitesi della normalità e che il corpo macchina ridimensiona il confine tra naturale e tecnologico.
    A questo proposito, mi ricollego al mio intervento circa le tecnologie intese come miglioramento, affermando che nel caso di una persona disabile, le protesi estetiche fungono da ausilio, come le flex foot per Pistorius. Ma condanno assolutamente l'utilizzo di protesi per capricci estetici e quindi, come detto sopra, per rincorrere un modello prestabilito di bellezza; oppure come Orlan che si è sottoposta a una serie di operazioni chirurgiche solo per riproggettare il suo corpo, per trasformarsi in un nuovo essere. Infine, volevo riproporre questa frase “Nessuno è perfetto, ma sono le nostre imperfezioni a renderci unici!”, perchè, oltre a dare un senso a quanto affrontato in questo ultimo esercizio, secondo me si adatta perfettamente a tutte le tematiche affrontate nel nostro corso.
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    Messaggio  Lùcia Pisapia Sab Apr 28, 2012 8:27 am

    L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato negli anni, per quanto concerne il suo campo, diverse classificazioni. La prima è "la classificazione internazionale delle malattie" (ICD), elaborata nel 1970. Questa classificazione mirava a descrivere l'aspetto eziologico delle malattie, ossia le cause che le determinano e per ogni patologia descriveva le caratteristiche cliniche e le indicazioni diagnostiche. Le diagnosi effettuate venivano classificate attraverso codici numerici per facilitarne la memorizzazione e per favorire il ritrovamento e l'analisi dei dati. In questa prima classificazione il concetto di disabilità risulta fortemente legato alla malattia. Questa classificazione è stata corretta e superata nel corso degli anni. Nel 1980, ne è stata realizzata un'altra, detta ICIDH, che si basa su tre fattori: menomazione (definita come perdita o anormalità nelle funzioni fisiche o psichiche o come mal funzionamento o non formazione di un arto o di una parte del corpo conseguente ad una patologia), disabilità (intesa come incapacità, conseguente ad una menomazione, di svolgere funzioni ed attività nel modo considerato "normale" per un individuo) ed handicap (che significa "svantaggio" e che rappresenta il disagio sociale che un individuo vive come conseguenza della sua menomazione o di una disabilità che gli impedisce di essere come gli altri). Nel 2001 è stata realizzata una terza classificazione, che ha sostituito la precedente, "la classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute" (ICF). Secondo questa classificazione la disabilità è una condizione di salute derivante da un contesto sfavorevole. Il passaggio dalla prima a quest'ultima classificazione è avvenuto perchè negli anni si è arrivati a comprendere che la diagnosi medica, da sola, non dà indicazioni circa le reali capacità o difficoltà del soggetto; per comprenderle pienamente va analizzata la persona, il contesto in cui vive, il suo benessere e sicuramente questo è un grande passo avanti rispetto alle concezioni precedenti. Pensando al disabile, spesso viene in mente una persona che non può svolgere le normali attività quotidiane, in quanto non possiede o ha problemi in una o più abilità, una persona che è affetta da problemi motori o cognitivi e che può avere anche problemi psicologici. Stando a contatto diretto con queste persone o conoscendone la storia però ci si rende conto che anche loro hanno delle capacità; questo ho potuto notarlo quando si è parlato di persone "resilienti", persone che nonostante la difficoltà, trovano la forza di andare avanti e di fare anche cose che nessuno penserebbe possano fare. Su questo abbiamo analizzato due casi famosi: quello di Simona Atzori e quello di Oscar Pistorius. Simona non ha le braccia, ma è una brava ballerina; in un video ho potuto vedere qualcosa della sua vita quotidiana e mi ha colpito vederla guidare, dipingere, vivere la sua vita sempre con il sorriso sulle labbra, nonostante la sua difficoltà. Oscar invece, non ha le gambe ma il suo sogno era correre e con le protesi, oltre che con la sua grande forza di volontà, i sacrifici, gli allenamenti è riuscito a realizzarlo e a vincere molte gare, anche alle Paraolimpiadi. Entrambi non si sono arresi alla loro condizione, hanno saputo lottare, anche con il sostegno della famiglia e delle persone a loro vicine, sono riusciti a realizzare i loro sogni e per questo sono un grande esempio da seguire. Comprendere anche le capacità dei disabili ha portato con il tempo alla sostituzione del termine "disabile" con "diversamente abile", termine che nasce proprio dall'esigenza di considerare il disabile nella sua totalità, come una persona che ha sì delle problematiche ma anche delle abilità. Purtroppo però il contesto di vita per questi soggetti non è sempre favorevole; negli anni qualcosa è migliorato ma ancora oggi nei loro confronti le barriere sono tante. Innanzitutto ci sono quelle architettoniche esistenti nelle nostre città e che impediscono loro di svolgere quelle attività che noi compiamo quotidianamente e a volte fanno si addirittura che loro non possano uscire di casa. Questo aspetto ci è stato fatto capire bene attraverso alcuni video visti in aula e attraverso l'esercizio dell'orologio, in cui ci è stato chiesto di descrivere la nostra giornata tipo evidenziando tutti gli ostacoli che un disabile potrebbe incontrare se fosse al nostro posto, e purtroppo ce ne sono davvero tanti, come scalini, macchine che parcheggiano nel posto loro riservato o che gli impediscono di passare sui marciapiedi, ascensori stretti dove spesso chi è in sedia a rotelle non riesce ad entrare, ecc. Le leggi in materia ci sono, ma andrebbero applicate per migliorare la loro qualità della vita e per garantirgli quei diritti che oggi non sono ancora una realtà. Altre barriere sono quelle derivanti dal contesto sociale, secondo cui i disabili sono soggetti da curare, assistere, per cui provare sentimenti di pietà, da considerare per i loro limiti e non per quello che invece possono fare. Anche su questo ho avuto modo di riflettere ed in particolare sul fatto che queste considerazioni fanno si che i soggetti disabili vengano etichettati come diversi, così come avviene per altre categorie di persone, come gli extracomunitari o gli omosessuali ed il diverso è da evitare perchè spaventa, da allontanare perchè procura imbarazzo o vergogna. La nostra società è fortemente basata sull'apparenza, sull'omologazione ad alcuni canoni stereotipati che definiscono un concetto di normalità che porta ad accentuare l'emarginazione nei confronti di questi soggetti invece che mirare all'integrazione. Attraverso una simulazione effettuata al corso, ho potuto riflettere sul tema dell'emarginazione ed ho constatato che purtroppo discriminazioni nei confronti di persone considerate "diverse", ce ne sono state nella storia (basti pensare all'Olocausto o alle discriminazioni razziali), ci sono ancora adesso e secondo me non dovrebbero esistere. Non si tiene conto del fatto che ognuno di noi è diverso, per aspetto, per carattere, per cultura, per religione, per interessi, per idee, ma queste diversità dovrebbero essere considerate una grandissima risorsa, un arricchimento soprattutto attraverso il contatto e il confronto con gli altri. I disabili possono dare tanto, sul piano umano e professionale e per questo le loro attitudini, le loro capacità vanno valorizzate. Canevaro diceva "le parole sono importanti" e proprio analizzando le parole ci si rende conto di quanto sia importante conoscerne il reale significato, per poterle utilizzare nella maniera giusta; questo è importante in tutti i campi, ancora di più in quello della disabilità dove "utilizzare termini impropri o fare disordini linguistici può essere un modo per aumentare l'handicap anzichè ridurlo".
    Molti di questi temi sono stati analizzati dalla docente Anna Maria Murdaca, nel suo testo "Complessità della persona e disabilità". Questo suo lavoro mira a ricostruire una nuova cultura della disabilità, dare un nuovo significato alla parola "integrazione"e ridefinire un progetto di vita per questi soggetti. Per l'autrice, per poter realizzare tutto ciò è necessario riflettere su alcune tematiche: le norme che regolano la tutela ed i servizi da erogare per far fronte alle esigenze di questi soggetti, i problemi riguardanti le barriere che i disabili trovano nella loro vita, i materiali e gli ausili che la tecnologia mette a disposizione, il ruolo che i disabili possono svolgere nella società. Questi temi vanno analizzati considerando la disabilità non solo in termini di assistenza ma tenendo ben presente che il disabile è una persona, che va vista nella sua globalità per tendere ad una piena integrazione sul piano sociale, scolastico e lavorativo. Il termine "integrare" vuol dire inserire una persona o un gruppo di persone in un ambiente o in un contesto rendendola parte di esso. Purtroppo, come già visto in precedenza, questo non sempre avviene, in quanto l'ambiente presenta e determina barriere che portano all'esclusione o all'emarginazione di questi soggetti. Un laboratorio mi ha mostrato che a volte queste problematiche possono essere superate attraverso l'uso della tecnologia, come avviene nel caso della domotica. La parola "domotica" deriva dal francese "domotique", un termine composto dalla parola latina "domus" (casa) e dal francese "tique" che sta per "informatique" (cioè "informatica"). La domotica è una disciplina che studia il modo di integrare ed automatizzare gli impianti di un'abitazione o di altri ambienti per migliorare la qualità della vita delle persone. Per farlo, si utilizzano molte tecnologie e ci si avvale dell'apporto di diverse professionalità come l'ingegneria edile, l'automazione, l'elettronica, l'informatica. In aula ho visto un video in proposito, che mi ha colpito e che mostrava un disabile, Andrea Ferrari, nella sua casa domotica. Attraverso il computer, poteva svolgere diverse funzioni come alzare o abbassare le persiane, rispondere al citofono, accendere o spegnere la luce, ecc. Tutto ciò gli ha permesso di vivere da solo e questo secondo me è molto importante perchè gli garantisce l'autonomia, che altrimenti sarebbe stata irrealizzabile e che invece è indispensabile per non far sentire un disabile prigioniero della sua condizione. Purtroppo però realizzare ambienti domotici non è semplice perchè i costi sono molto elevati; si spera che in futuro possano diventare maggiormente accessibili affinchè ciò possa essere anche a favore di chi oggi non può permetterselo. Questo esempio mostra un modo per migliorare la qualità della vita dei disabili, ce ne sono molti altri ma solo attraverso una buona politica a loro favore ci si può davvero riuscire. Le barriere però non sono solo materiali, abbiamo visto che anche il contesto sociale può determinarle attraverso gli stereotipi, ossia meccanismi di difesa messi in atto per non identificarsi con un'immagine non gratificante e attraverso essi giustificare il problema in modo razionale. Questi fanno si che il disabile sia visto solo per quello che gli manca: a questo proposito la Murdaca sostiene che "non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione", ossia che non bisogna definire una persona solo in base alle sue mancanze ma anche in base alle sue qualità. L'autrice sostiene che la disabilità è una condizione, non una malattia e quindi il disabile non deve essere curato come si può curare un malato. Quando parla di cura, la intende come un luogo in cui il disabile possa ricevere sostegno per arrivare ad accettare la sua condizione, a comprendere le qualità che ha ed utilizzarle per emanciparsi. Questo concetto di cura implica una nuova definizione del termine "integrazione", che va inteso come accoglienza e condivisione di valori etici che tengano conto della dignità, dell'identità, dell'autonomia e delle potenzialità della persona. I disabili vanno considerati cittadini a pieno titolo, che possono svolgere un ruolo attivo nella società e quindi questa deve garantire loro servizi che possano aiutarli nella propria formazione, per arrivare anche ad inserirsi a livello lavorativo. Tutto ciò può realizzarsi attraverso una buona relazione educativa. La prima relazione educativa che tutti noi instauriamo è quella con la nostra famiglia, ma nella vita ogni relazione può essere educativa, perchè ogni persona con cui ci relazioniamo riceve qualcosa da noi e ci dona qualcosa di sè in uno scambio fatto non solo di conoscenze ma anche di emozioni. La relazione può essere positiva ma anche negativa; quando è negativa spesso ci si resta male senza pensare che anche questo tipo di relazione può far crescere, perchè quando c'è un legame qualcosa resta sempre ed è quello che ci permette di maturare. Un buon educatore deve instaurare un clima di fiducia con l'educando, deve ascoltarlo per comprendere le sue necessità, le sue difficoltà, metterlo a suo agio per permettergli di esprimersi al meglio ma deve essere anche capace di correggerlo quando sbaglia per evitare che ripeta gli stessi errori. Il rapporto tra educatore ed educando deve essere alla pari, senza differenze e basarsi su un confronto costruttivo, dove ognuno ha rispetto per l'altro ed in cui entrambi possano ricevere e dare qualcosa. Questo andrebbe fatto sempre, ancora di più quando ci si trova di fronte a soggetti in difficoltà come i disabili, che non devono sentirsi diversi, non devono essere considerati solo per quello che non possono fare ma anche per le loro potenzialità che vanno valorizzate attraverso l'uso di programmi che riescano a farle emergere. L'educatore deve avere una grande responsabilità verso i soggetti che deve educare ma deve avere anche una grande passione per il suo lavoro, solo così potrà svolgerlo nel miglior modo possibile. Al corso, attraverso una simulazione, ci è stato mostrato come una relazione educativa può avvenire e da questa dimostrazione ho capito che instaurare una relazione non è sempre facile e l'educatore non può dare soluzioni ai problemi che gli si presentano ma può solo dare dei consigli. Un'altra lezione a cui ho partecipato, quella dedicata all'autismo, mi ha fatto comprendere quanto, non solo gli educatori, ma tutte le forze presenti nella nostra società, possano e debbano lavorare insieme per migliorare la qualità della vita delle persone con difficoltà in quanto, come ci è stato ben fatto capire, la cura spesso viene dalle persone.
    Come abbiamo visto, l'ambiente influenza molto le nostre concezioni, questo anche per quanto riguarda la bellezza. A questo proposito, Remaury nel suo libro "il gentil sesso debole", parla del corpo femminile, analizza i canoni di bellezza e sostiene che tutti noi siamo alla continua ricerca della perfezione per arrivare ad essere giovani, belli ed in salute. Remaury parla di corpo trafigurato (legato all'immagine di perfezione da raggiungere attraverso la scienza), di corpo esatto (quello che progredisce verso la perfezione) e di corpo liberato (perfetto in quanto libero dal tempo, dal peso e dalla malattia). Un'altra autrice, Lipovetsky nel suo testo "la terza donna", sostiene che la donna deve scegliere se vuol raggiungere l'eterna giovinezza, la perfezione o la salute per ottenere il corpo perfetto, sottomettendosi ai modelli dominanti nella società. Rosy Braidotti, invece, nel suo libro "Madri, mostri e macchine", ci mostra innanzitutto come la diversità sia spesso associata alla mostruosità. Persino una donna incinta, il cui fisico si modifica per via della maternità, nell'immaginario maschile può essere associata ad un mostro, definito per questo mostro-madre. La Braidotti riprende anche il tema del corpo-macchina e sostiene che il mostro oggi è colui che si differenzia dai canoni considerati "normali" da una società. Parlando di corpo, un tema affrontato al corso è stato quello delle protesi estetiche. Questo tema è molto attuale oggi, in una società in cui i mass-media ci presentano donne e uomini giovani, belli, con corpi perfetti, molto lontani però da quella che è la realtà. Molti cercano di imitare quel modello, rincorrendo un'ideale di perfezione che non esiste e correndo a volte seri rischi. Vediamo spesso casi di persone che pur di modificare una parte del proprio corpo, si rivolgono anche a centri non a norma, che non danno garanzie e che quindi mettono a rischio la propria salute. Vediamo persone che esagerano con la chirurgia, cominciano magari da un piccolo intervento e poi ne fanno quasi una droga, non riuscendo ad uscirne oppure vediamo adolescenti che entrano nel tunnel dell'anoressia, una patologia psichica che però ha ripercussioni anche fisiche perchè porta le ragazze a non accettarsi, a vedersi grasse, a non mangiare e se non curata può portare alla morte. Questa società ci sta portando verso l'omologazione, ci sta spingendo verso una perfezione che non raggiungeremo mai facendoci pensare alle differenze come qualcosa di sbagliato mentre sono proprio queste la nostra ricchezza da mantenere e valorizzare.

    Sabrina Vitulano
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    Messaggio  Sabrina Vitulano Sab Apr 28, 2012 1:34 pm

    1)A partire dalla seconda metà del secolo scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e l’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie. La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD, 1970) risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. L’ICD si delinea quindi come una classificazione causale, focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.
    L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze: “la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980). L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni.

    L’ICIDH è caratterizzato da tre componenti fondamentali, attraverso le quali vengono analizzate a valutate le conseguenze delle malattie:
    -la menomazione, come danno organico e/o funzionale:con deficit organico si intende la mancanza totale o parziale di una determinata funzionalità fisica.
    - la disabilità, come limitazione o perdita di capacità operative subentrate nella persona a causa della menomazione;
    - handicap o svantaggio, come difficoltà che l’individuo incontra,nel relazionarsi con gli altri, nell’ambiente circostante a causa della menomazione.
    Possiamo dire che il deficit,in quanto situazione soggettiva,è difficilmente annullabile poiché è una malattia dalla quale non si può guarire a differenza del handicap che essendo una situazione oggettiva può aumentare o diminuire in base al contesto sociale in cui il soggetto si trova e che gioca un ruolo fondamentale.


    Il 22 maggio 2001 L’Organizzazione Mondiale della Sanità perviene alla stesura di uno strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale: “La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”, denominato ICF. L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto sociale di riferimento possono causare disabilità. Tramite l’ICF si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.
    Come afferma Canevaro:LE PAROLE SONO IMPORTANTI!Ed è per questo motivo che ci siamo,più volte,soffermati,su alcune parole in particolare tra le quali: DISABILE E DIVERSO. Il disabile è colui che non è in grado di svolgere le normali attività della vita quotidiana e che,a causa delle sue difficoltà,vive un disagio dovuto non solo alla sua condizione ma,soprattutto,al confronto che il soggetto ha con i normodotati nei vari contesti sociali,tenendo in considerazione anche i pregiudizi,gli atteggiamenti e gli sguardi di pietismo e le situazioni di emarginazione a cui i soggetti disabili sono costretti a causa dell’insensibilità,della superficialità visto che ormai è tutto incentrato sull’apparenza,della cattiveria e della non comprensione di alcune persone.
    Il diverso,invece,a mio parere,non è facilmente definibile perché ognuno può avere la propria idea di “DIVERSITA’”…Innanzitutto chi ha il diritto di poter definire qualcuno “diverso”?Come ho già scritto nel mio commento, basandomi sull'educazione che mi è stata impartita,ritengo che non esiste alcuna diversità poichè noi uomini siamo tutti uguali,nonostante i nostri pregi e i nostri difetti.
    Credo che tutto dipenda dal modo di guardare e di vedere le cose e la realtà...perchè se tutti riflettessero un pò di più,si accorgerebbero che non esiste alcuna "diversità",se non quella che,spesso,vogliamo imporre proprio noi stessi.


    2)Annamaria Murdaca,nel suo testo “Complessità della persona e disabilità”,riflette su due tematiche in particolare: la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità e la rimodulazione del termine integrazione. Come ho scritto sopra,il contesto sociale influenza fortemente la condizione di handicap,sono gli ostacoli e le barriere fisiche,sia mentali che culturali,a favorire il processo di esclusione o di emarginazione. Il disabile,quindi,deve affrontare prima il problema dell’accettazione da parte degli altri soggetti,poichè NESSUNO deve essere definito per sottrazione perché anche coloro che sono disabili sono persone normali come tutte le altre, e poi quello dell’integrazione,inteso come PROCESSO CONTINUO e non un punto di arrivo,una continua ricerca di strategie e di soluzioni per difendere i diritti acquisiti dai disabili. La nuova cultura della disabilità deve,dunque,stare attenta a: cogliere tanto le disfunzioni comportamentali cognitive quanto a innalzare la qualità di vita dei soggetti. Si cerca,quindi,di valorizzare la persona,con il rispetto delle differenze e delle identità,permettendo nel soggetto disabile,lo sviluppo di indipendenza ed emancipazione,ri-pensando così ad una società in cui i disabili vengono considerati soggetti a pieno titolo e partecipanti attivi. Il soggetto disabile può essere affiancato da qualcuno,se lo desidera, nella realizzazione di tali obiettivi,che lo aiuti a dare senso e significato alla sua personale condizione,avendo cura di lui,ascoltandolo e ricordandogli continuamente la sua “UNICITA’”,poiché ciascuno di noi è unico esattamente come tutti gli altri. Possiamo,qui,far riferimento anche all’importanza della relazione educativa,come “spazio ripartivo” in cui il disabile ha la possibilità di confrontarsi,di aprirsi,di farsi ascoltare da coloro disposti a farlo. Da qui,la possibilità di comunicare,sia con le parole ma anche con il silenzio. Ogni relazione educativa permette di dare ma anche di ricevere qualcosa. Offre la possibilità di scambiarsi conoscenze ed emozioni. Permette di confrontarsi e quindi di crescere insieme ma anche di ascoltarsi. La relazione educativa si costruisce col tempo e con la pazienza. Sapere di poter contare su qualcuno,che quel qualcuno ci sarà sempre per noi,che non ci abbandonerà mai non può essere altro che un motivo di gioia e di felicità. Quello che merita ciascun essere umano.

    3)Durante le nostre lezioni,ci siamo soffermati,più volte,su un argomento molto attuale,ossia le protesi estetiche.
    Va detto che,nella nostra società odierna,purtroppo,è quasi tutto incentrato sull’
    apparenza,trascurando nettamente la SOSTANZA,alimentando,così,il desiderio,soprattutto nelle donne,di avere sempre un corpo perfetto,ricco di pregi e privo di difetti. E’ proprio su tali tematiche che Remaury,Lipovetsky e Braidotti si sono soffermati. La bellezza estetica,ormai,è diventata una NECESSITA’,un bisogno che non può mancare e,da qui,il netto rifiuto per un corpo trasfigurato,deforme,mostruoso,non conforme ai comuni canoni di bellezza. Remaury,ad esempio,nel suo testo “IL GENTIL SESSO DEBOLE”,sostiene che siamo sempre più orientati verso una corsa alla perfezione,avendo un triplice obiettivo: GIOVINEZZA-BELLEZZA-SALUTE. Invece,Lipovetsky,nel suo testo,ci propone l’immagine di una TERZA DONNA che nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati. Essa è costretta a scegliere tra i seguenti valori,evidenziati già da Remaury: eterna giovinezza,perfetta bellezza e salute totale. Braidotti,infine, fa riferimento al corpo mostruoso che è allo stesso tempo,orribile e meraviglioso…basti pensare alla donna che,durante la gravidanza,trasforma il suo corpo e questo diventa,nell’immaginario maschile qualcosa di orribile,ma contemporaneamente,fonte di gioia: mostro e madre allo stesso tempo. Concludendo,posso solo dire che nessuno dovrebbe lasciarsi influenzare da questi modelli di assoluta perfezione imposti dalla nostra società che,a mio parere sono più che negativi,imparando ad apprezzare,maggiormente,la nostra infinita fortuna nell’essere come siamo e ad amarci di più,nonostante la nostra imperfezione…perché solo in questo modo potremmo imparare a vivere bene con gli altri ma soprattutto con noi stessi!!!
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    Messaggio  Irene De Vita Sab Apr 28, 2012 1:59 pm

    PUNTO 1
    La prima classificazione elaborata dall’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), è stata ICD ovvero “ La Classificazione Internazionale delle Malattie”. Quando viene proposta questa classificazione ci troviamo negli anni 70, ed aveva lo scopo di classificare le malattie. Nel mettere però insieme tutte le patologie forniva per ogni sindrome una diagnosi, queste diagnosi venivano tradotte in codici. Essendo questa una sorta di enciclopedia medica, avvicinava la disabilità alle patologie, perciò in seguito si è capito che non sarebbe andato più bene.
    Negli anni 80 nasce così un’altra classificazione: ICIDH (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps), per scampare ai problemi incontrati con ICD. Questa nuova proposta si basa su dei fattori interagenti e interdipendenti: menomazione, disabilità, handicap che però vengono sostituiti da:
    • Menomazione
    • Abilità ( viene diversificata da abilità perché mette in luce le abilità)
    • Partecipazione ( anche qui si tende a dare più considerazione alla partecipazione del soggetto)
    ( MENOMAZIONE)
    Perdita di tipo psicologico e fisico. Difetti o perdite, a carico di tessuti, arti e altre strutture corporali. Danno organico relativo ad uno specifico settore. Si parla, ad esempio, di menomazione sensoriale ( visiva o uditiva), motoria o intellettiva.
    (HANDICAP)
    Questa è la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione oppure ad una disabilità, che nel soggetto impedisce o limita il normale svolgimento di azioni e attività. L’handicap non è più sostenuto una condizione della persona, ma deriva dal suo rapporto con il mondo e l’organizzazione sociale in cui vive.
    Infine negli anni 90 è stato fatto (sempre dall’OMS) un terzo tipo di classificazione: ICF( Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute). ICF considera la disabilità una condizione di salute derivante da un contesto sfavorevole. L’ICF non è una classificazione delle persone: è una classificazione delle caratteristiche della salute delle persone all’interno contestuale delle loro vite individuali e degli impatti ambientali. Questa trasforma termini di menomazione, disabilità, handicap in funzioni strutture corporee e attività e partecipazione. Con l’intento di maggiore attenzione al soggetto e alle sue possibilità e capacità di integrazione sociale.
    Soffermiamoci ora sui termini di DISABILITA’ E DIVERSO.
    IL DIVERSO
    Vorrei partire dal titolo di un film (del quale abbiamo visto uno spezzone in aula); Indovina chi viene a cena? Rispetto a questo fil ho scritto qualcosa nel laboratorio inerente a proposito di questo tema. A mio avviso nessuno è diverso, la diversità la creiamo noi allontanando gli altri, mettendoci al di sopra e questo non è assolutamente corretto, anche quando abbiamo parlato di relazione educativa abbiamo visto quanto sia importante lo scambio alla pari, tutto deve avvenire su uno stesso livello, si è sempre bravi nonché pronti a criticare gli altri e a discriminarli ma non si è mai pronti a giudicare se stessi. Questo è quello che deve fare anche l’educatore, lavorare in primis su se stesso. Dunque credo che sia più giusto capire prima di tutto i propri errori e lavorare su quelli, in modo tale da poter estrapolare dalla “diversità” degli altri uno spunto per arricchire se stessi. Perché il diverso spesso è l’altro, colui che non è come noi, ma questo deve essere solo un punto di forza per apprendere cose che non sappiamo e altrettanto insegnare cose che l’altro potrebbe non sapere.
    DISABILITA’
    È la limitazione o perdita delle capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano. Si parla dunque di disabilità nella comunicazione, nel movimento e così via. Ancora una volta l’accento è dunque posto sulle peculiarità della persona e le soluzioni prospettate sono di carattere medico e riabilitativo. Ad esempio se si pensa alla progettazione di un edificio, si deve considerare che potrà essere abitato o visitato da persone che camminano normalmente e persone che si muovono su una sedia a rotelle. In questo caso si parla di “progettazione senza barriere architettoniche” , che è l’esatto contrario di “rimozione delle barriere architettoniche”. Dunque progettare per tutti, per la comunità è corretto non solo dal punto di vista sociale, poiché non esiste discriminazione dalle origini, ma è anche conveniente da un punto di vista economico: abbattete i costi che prima o poi dovranno essere sostenuti per rendere quel prodotto utilizzabile da tutti.

    PUNTO 2
    Anna Maria Murdaca cerca di ripensare al termine INTEGRAZIONE. Integrare secondo quest’ultima diviene una didattica di qualità perché non significa semplicemente inserire una persona all’interno di un contesto, ma far si che questi sia completo ed efficace . bisogna fermarsi sul vissuto sui bisogni e identità dell’individuo, ragionare sul contesto sociale e capire quanto l’individuo sia a contatto con questo. Dunque per integrare una persona bisogna tener conto di tanti fattori come ad esempio la relazione con gli altri, e capire che di fronte a me c’è un’altra persona e tener conto del parere, bisogni e pensieri dell’altro. In questo senso dunque RIMODULARE l’integrazione in prospettiva umanistica significa guardare alla globalità della persona, all’interezza perché non si può scomposti in tanti frammenti che vengono curati separatamente, ma considerare l’insieme del soggetto. L’integrazione diventa così per il soggetto disabile una parte del processo di maturazione psicocognitiva, psicoaffettiva ecc che richiede ambienti attendibili e sostenibili. Dare importanza alla capacità dell’individuo e promuovere integrazione sociale, lavorativa e scolastica. Tutto questo deve permettere all’individuo di fidarsi così molto di più di se stesso e anche degli altri. Non bisogna considerare mai nessuno al di sotto , non bisogna mai sentirsi dunque superiori. Il disabile è un essere umano come tutti e deve avere la possibilità di vivere una vita che si avvicini quanto più possibile alla normalità ( riferimento Domotica). Il disabile lo si deve considerare come persona e in quanto tale è cittadino, e come tutti ha la sua storia, i suoi vissuti le sue esperienze. Dobbiamo creare indipendenza in questi soggetti ed emancipazione così da poter proclamare una NUOVA CULTURA DELLA DISABILITA’. Considerare la globalità come inclusione, senza allontanare la singolarità delle persone. Anna M. M. nel suo testo riporta: la CURA è educazione e come l’educazione fa parte dell’esistenza , così anch’ essa, come sostenuto da Heidegger, << è preoccupazione , è tensione, un insieme di facilitazioni che si possono offrire al soggetto per raggiungere il suo POTER essere>>. Innanzitutto di fondamentale importanza a livello umanistico come l’indagine sulla disabilità significhi trovarsi di fronte ad una persona , che anche se con deficit questi non devono assolutamente portarci alla << perdita di umanità>>.
    “Che cosa c’è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo stesso odore soave” Shakespeare. Dice Anna Maria Murdaca che è il contesto a determinare la condizione di handicap, sono le barriere architettoniche e tutti quei disagi che rendono la vita di un disabile 10, 100, 1000 volte più difficile. Bisognerebbe valorizzare le qualità, le abilità le doti della persona attraverso un progetto di continua coltivazione di queste ultime, così per poter migliorare la vita dei disabili come c’è riuscito Andrea Ferrari. In questo ci deve aiutare anche la relazione educativa, che è quella che si instaura tra mamma e figlio, docente e discente, educatore ed educando, insomma possiamo considerarlo come un rapporto tra persona “guida” e persona in difficoltà. Sappiamo bene che tutti gli incontri sono educativi e come dicevo anche nel laboratorio a proposito di ciò, in una relazione si dà e si riceve SEMPRE. È sicuramente un complesso legame, ma è questo che una volta instaurato è solido e migliora tutto e soprattutto tutte le persone e le educa ad una più aulica sensibilità.

    PUNTO 3
    Nella società contemporanea tutto è focalizzato e concentrato sui mass media. Il corpo perfetto, l’ideale di bellezza sono tutti modelli che la televisione inietta in ognuno di noi e “ costringe” a seguire il modello che propone. La bellezza oggi è solo ciò che mostra la televisione , e ciò che la televisione mostra è oggettivamente bello! Remaury, Lipovetsky e Braidotti si interessano al tema della donna e del suo voler essere bella, bella in quanto incarnazione della perfezione. Remaury nel Il gentil sesso debole, sostiene che la donna accellera sempre più “il passo” per arrivare a questa forma di bellezza assoluta. A questa forma di bellezza oggi si può accedere anche tramite delle protesi estetiche ( chirurgiche), che modellano il proprio corpo ad immagine e somiglianza di chi più piace. Io sostengo che tutto questo avvenga a causa della televisione e dei cattivi modelli proposti; a proposito di questo mi rifaccio al testo di Karl Popper “ cattiva maestra televisione”, in questo testo Popper sostiene che ci vorrebbe una patente anche per fare televisione a causa dei programmi trasmessi (a bassa qualità morale). Ed anche a causa di tutto questo che oggi la maggioranza delle persone decidono di fare interventi chirurgici. A mio avviso è una cosa del tutto innaturale, come siamo stati creati così dovremmo “finire” , seguendo il normale, naturale corso di vita. Lipovetsky parla di liberazione de La terza donna, qui si raggiunge una gestione della propria immagine che oscilla tra più modelli potendo scegliere quello più congeniale, il fallo di questa maturazione sta nel fatto che la donna ha necessariamente bisogno di identificarsi in un ideale di bellezza . dunque un corpo è bello, perfetto quando “fugge” da minacce esterne come ad esempio le malattie. La Braidotti propone invece il termine tecno corpo: ovvero quando il computer viene inserito nel corpo ed è inteso come protesi. Ella sostiene un senso dei limiti che è estremamente importante per evitare l’autodistruzione, poi parla anche di soggetto in divenire(nuovo soggetto tecnologico). Abbiamo visto con la Braidotti una sorta di scaletta di posizioni rispetto al corpo bello:
     Bellezza
     Grado zero di mostruosità (normalità)
     Mostruosità (che viene studiata da una scienza apposita: teratologia)
     Infine credo che ognuno debba accettarsi per come è, la bellezza è soggettiva,ma molto soggettiva, e poi quella passa è ciò che abbiamo dentro che non morirà mai.
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    Daniela D'urso


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    Messaggio  Daniela D'urso Sab Apr 28, 2012 2:11 pm

    Ogni parola ha il suo specifico peso ed il suo significato ed è per questo che bisogna evitare sempre di essere superficiali, specialmente quando in discussione vi sono tematiche delicate come quella della disabilità. Il tempo spesso è testimone dei significati che queste parole determinano ed anche dei cambiamenti che esso porta, fortunatamente, con sé. La tematica della disabilità è andata evolvendosi con il passare degli anni , dal 1970 al 2011, sono trascorsi 41, che possono sembrare brevi o lunghi a seconda del punto di vista da cui si decide di osservare, 41 anni in cui comunque l’ Oms (organizzazione mondiale della sanità) ha rinnovato la sua metodologia e quindi i criteri con i quali ci si relazionava con la disabilità.
    Oggi è qualcosa di scontato affrontare questo tema con una maggiore sensibilità ma non è stato sempre così. Negli anni 70 appunto venne creata la prima classificazione da parte dell’Oms ed essa fu definita ICD: “ classificazione internazionale delle malattie”. L’obbiettivo maggiore era quello di individuare la causa delle patologie e difatti le caratteristiche cliniche e le indicazioni diagnostiche erano gli elementi caratterizzanti con cui si descrivevano ogni sindrome o disturbo. Testimonianza di quanto la mentalità di quegli anni e di questa prima classificazione si allontani dall’attuale pensiero , è la focalizzazione dell’attenzione su un aspetto eziologico della malattia : esistevano codici numerici che facilitavano la memorizzazione di ogni diagnosi. Ciò comportava la creazione di una sorte di enciclopedia ,da cui, e mi permetto di aggiungere fortunatamente, ci si allontanò presto. Solo 10 anni dopo , infatti, ci si avvicinava già verso i primi mutamenti e verso quindi una maggiore sensibilità che doveva accompagnare queste classificazioni. Nel 1980 l’Oms propone una nuova classificazione detta ICIDH. Essa si basava su tre fattori :menomazione, disabilità ed handicap , termini che verranno sostituti da menomazione -abilità- partecipazione.
    La menomazione era intesa come la perdita anatomica - psicologica- fisiologica e comporta una mancanza o un cattivo funzionamento di una determinata parte del corpo. La disabilità invece fu definita come incapacità di svolgere determinati compiti. Essa può portare all’handicap , cioè ad uno svantaggio sociale ad interagire con l’ambiente, esso quindi può avvenire a causa di una menomazione senza che ciò comporti una disabilità permanente. Spesso invece parole come handicap, deficit , vengono assimilate l’una all’altra senza fare una giusta distinzione, invece come riportato all’inizio bisogna dare a tutto il giusto peso e giusto significato ! Eccoci giunti ad una tappa recentissima , solo 11 anni fa è stata stilata la “ classificazione internazione del funzionamento della disabilità e della salute ( ICF). Come si può notare viene introdotto questo nuovo concetto per cui la disabilità viene vista ed è una condizione di salute che deriva da un contesto sfavorevole. Cambia totalmente il modo di guardare poiché ora l’ambiente assume un’importanza maggiore poiché la disabilità viene considerata come misura delle prestazione che esso le consente di espletare.. la disabilità NON è più qualcosa solo di soggettivo! Grandissimo passo in avanti considerarla quindi non come un problema di chi la ha ma un problema comune. Si crea quindi , e l’intento è proprio questo, una maggiore attenzione alle capacità del disabile e un maggior conseguente coinvolgimento sociale. Questo aspetto , dell’importanza dell’ambiente, per una persona disabile l’ho riscontrato molto quando ho dovuto immaginare una mia giornata tipo svolta da una persona con disabilità . Mi resi conto svolgendo quell’esercizio che non solo l’ambiente inteso come ambiente a livello sociale e quindi di persone, ma anche l’ambiente nel senso più concreto del termine e quindi fisico, determini una condizione di disabilità. Riflettendo mi sono resa conto che una persona magari in carrozzella, per fare un esempio concreto, se per scendere di casa e recarsi ad un supermercato ( per farne un esempio banale) non incontrasse ostacoli , m scivoli per disabili, spazi larghi ecc , si sentirebbe , e pecco di presunzione dicendone che ne sono quasi sicura, meno disabile. Forse è un concetto che può apparir complicato ma nasconde tutta quella semplicità che vorrei esprimere.. se si ha la possibilità di muoversi , vivere , ed agire come qualsiasi normodotato la disabilità pesa di meno e quasi si annullerebbe a mio avviso. Subito mi viene in mente la frase dell’Aztori , lei afferma proprio di non sentirsi disabile e difatti la sua resilienza , la sua forza d’animo , le ha permesso di vivere come una normodotata , la mancanza degli arti superiori esiste ed un dato di fatto ma lei se ne dimentica e se l’ambiente ( ritornando all’esercizio della giornata tipo) fosse maggiormente, e aggiungo di gran lunga, più favorevole , ciò sarebbe possibile anche per chi ha meno forza dell’Aztori..e comporterebbe un balzo in avanti strepitoso ! Lei quindi è DISABILE ma non si sente DIVERSA , ed è questa un’altra tematica da affrontare : TUTTI SONO DIVERSI; NON TUTTI SONO DISABILI.
    La persona disabile è quella persona impossibilitata a svolgere alcune normali attività della vita quotidiana , è caratterizzata da una mancanza di una o più abilità. Come abbiamo detto però, essa deve essere sia un fattore personale ma anche un fattore sociale. Disabilità, spesso può essere usata, in maniera dispregiativa , perché sottintende che quel soggetto è disabile cioè inabile a qualcosa, sarebbe più giusto servirsi del termine divers-abilità . L’uomo invece non nota queste piccoli sottigliezze , ma anzi , spesso classifica il disabile o diverso-abile, come diverso ! La diversità porta alla categorizzazione ed inoltre spesso , erroniamente, si ha paura del diverso e lo si etichetta. Ricordo un esercizio svolto in aula in cui abbiamo dovuto descrivere il diverso , il disabile ed altre “ categorie” creando così questo fenomeno di etichettamento che può degenerare in un’assegnazione di stereotipi comuni errati e retrogradi !
    Molti gli autori che si occupano di dare il loro contributo sulla persona in relazione alla disabilità, tra questi Anna Maria Murdaca , diversi i temi da lei affrontati . Innanzitutto l’autrice crede che sia necessario adottare “ l’ ottica della globalità”, dirigersi quindi verso l’inclusione riconoscere cioè il soggetto in evoluzione colta in una dimensione olistica : attraverso l’interazione dei diversi sistemi , da quello biologico e psicologico fino a quello relazionale e sociale. E’ difatti il contesto sociale che determina la condizione di handicap perché come suggerisce l’autrice e come mi ha permesso di riflettere l’esercizio della giornata tipo, sono le barriere mentali e fisiche che agevolano o inibiscono il processo di esclusione. L’ambiente , come si è capito quindi, ha un ruolo fondamentale, ed inteso nel suo senso più generico quindi dall’ambiente familiare a quello scolastico, socio sanitario esso diviene ostacolo o facilitatore e l’ ICF evidenzia questo aspetto e questo ruolo decisivo che l’ambiente ha sulla vita delle persone . Non si deve definire nessuno per sottrazione , è una frase proprio della Murdaca ,che è stata ripetuta a lezione varie volte, poiché , non bisogna considerare la persona per quello che non ha , ma per quello che ha. Ciò mi fa pensare a due nomi : Pistorius , Aztori , il primo senza gambe , la seconda senza braccia..ma io credo che anche se io sono normodotata e non ho queste loro menomazioni , posso dire ad alta voce che loro hanno qualcosa in più a me: innanzitutto posseggono una forza d’animo , di volontà , una resilienza che li ha spinti a fare ciò che si credeva non potessero , li ha spinti a fare l’inimmaginabile. Pistorius gareggia con i normodotati.. e l’Aztori , ricordo il video che vedemmo in aula, guida , si trucca , cucina, fa tutto quello che una donna comunemente fa. E se queste non sono potenzialità ? Loro sono capaci di avere nonostante la mancanza degli arti una vita normale, soprattutto Simona mi colpì terribilmente perché vive una vita normalissima , ha creato le sue braccia utilizzando ciò che aveva , le erano state donate le gambe ? E lei ha sfruttato queste, ha colto nella mancanza una potenzialità che nessuno di noi normodotati possiede , perché se io provassi ad usare le gambe come braccia non combinerei nulla ! Loro valorizzano se stessi ed è anche questo lo scopo nel testo della Murdaca, la valorizzazione della persona , rispettando le identità e le differenze. Il processo di integrazione deve essere infatti continuo. Integrazione della quale bisogna parlare, secondo la nostra autrice, in modo nuovo, ovvero come accoglienza delle diverse identità. La novità a cui Murdaca auspica è non più un accudire il soggetto ma l’emancipazione di quest’ultimo. La cura diviene così un’emancipazione dei soggetti , nasce così un nuovo paradigma del benessere ! Ogni disabile ha la sua storia e da tutti possiamo imparare , questo scambio relazionale va inteso come una relazione educativa: Ogni incontro umano è definibile come educativo perché ogni incontro diviene un dare e prendere in sincronia. In questo caso infatti parliamo di relazione educativa con disabili. In questa specifica situazione occorre stilare dei programmi che permettano al disabile di essere posizionato su un egual piano del normodotato,mettendo in luce le potenzialità . Possiamo quindi e dobbiamo saper cogliere insegnamenti in questa relazione ed in altre, difatti anche la relazione che si viene ad instaurare tra docente ed insegnante, madre figlio o ancora , e più vicino a noi, quella tra educatore ed educando , è un momento per arricchire gli altri ed arricchire noi stessi. In aula abbiamo simulato , tra le varie simulazione svolte, proprio un setting tra educatore ed educando e ancora una volta dall’esperienza pratica ho potuto comprendere ancora di più il significato di ciò che sto imparando ed in questo caso di relazione educativa. Essa è retta da motivazioni importanti quali ad esempio il bisogno che è dettato dall’esigenza di sopravvivenza. Altri elementi che caratterizzano la relazione educativa sono appunto la gratificazione che è essenziale per il soggetto che si sta formando, ancora la condivisione di ragioni tra i diversi partner della relazione, ancora le regole che devono esserci anche in una relazione educativa , per concludere con la preferenza cioè l’adulto diviene il modello, infatti uno dei migliori metodi e quindi quello che potrebbe essere classificato come il più grande insegnamento è proprio quello di essere d’esempio. Nella relazione scopo primario è quello quindi di educare a relazionarsi con il prossimo.
    I temi che abbiamo analizzato fin’ora sono quindi ruotati attorno concetti come quello della disabilità-diversità- normalità. Il punto di partenza però per ogni definizione è deve essere il cosiddetto grado zero, che è appunto il livello di partenza per ciascuna definizione. Ricostruire il grado zero vuol dire capire cosa significano le parole per noi e i significati che vengono loro attribuiti socialmente. Normalità : di questa parola sono varie le tematiche che potrebbero rientrare all’interno del suo significato; non più quindi una normalità definibile solo a confronto di una disabilità, ma una normalità intesa a livello estetico, altro tema fortemente soprattutto oggi, al centro di numerosi dibattiti. Cos’è normale ? chi decide chi è normale ? La società. Oggi l’idea di normale diventa quasi paragonabile ad un’idea di bellezza, poiché il canone da perseguire , la normalità di tutte le persone , ma specialmente delle donne, deve essere e rispecchiare quello del corpo perfetto. La non accettazione del corpo e il desiderio d raggiungere “ l’altro corpo” quello che si definisce perfetto accomuna oggi la politica dei mass media. Abbiamo visto appunto che attraverso un escursus storico questo frenetico raggiungimento di un’ideale estetico ha contaminato le società fin dall’antichità e oggi ha raggiunto il suo apice attraverso le cosiddette protesi estetiche , tema affrontato in aula e nel forum. Protesi estetiche ,interventi chirurgici che cambiano la donna, rendendola ( alla maniera di Naief Yehya) cyborg. Di donna cyborg ne parla sotto un’ottica diversa anche Rosa Braidotti. La sua considerazione parte dal credere che la capacità della donna di mutare il proprio corpo, nell’immaginario maschile, diviene qualcosa di mostruoso ed è per questo che la donna debba prestarsi ad incarnare la maccina, creando così un legame tra tecnologia e femminismo e il movimento che ne conseguì ovvero quello delle cyber femministe. Esse agiscono in un contesto come la rete nella quale le idee si diffondono all’infinito., la stessa Braidotti afferma che la sua disciplina, la filosofia, non ha mai capito nulla di tecnologico e difatti il suo pensiero è più un pensiero politico, rappresenta un movimento delle donne che devono sperimentare questo atteggiamento creativo dei confronti delle tecnologie. A dispetto di una figura materna la Braidotti chiede una donna che sia aperta, trasgressiva e nomade. Non è la sola a parlare però di corpo ,altri due gli autori che mettono al centro dei loro studi il corpo. Remaury parla addirittura di diverse tipologie di corpo da quello trasfigurato a quello esatto che poi è quello dominante. Egli nel suo testo “ il gentil sesso debole” afferma proprio che vi è una corsa alla perfezione corsa dettata da un triplice obbiettivo : giovinezza- bellezza-salute. Corsa che a mio avviso si è tramutata in una corsa malsana, metaforicamente una corsa praticata da chi non ha allenamento alle spalle, una corsa forse ingenua, di chi una mattina si sveglia e decide di cambiare nel modo più radicale , rappresentato appunto oggi dalla chirurgia e che vede il suo culmine in quelle assurde e “malate” trasformazioni” di donne e uomini che si sottopongono a tanti tantissimi interventi per somigliare a volte a personaggi dello spettacolo, a miti o ancora a personaggi dei cartoni ,di film come il celebre caso di Jacqueline Koh, una donna di 29 anni che negli ultimi 2 anni ha subito 10 operazioni di chirurgia plastica per assomigliare sempre più ad un fumetto giapponese. Ormai viviamo in un mondo in cui la chirurgia plastica e i ritocchi sono diventati la norma e non più l’eccezione. Ma chi non si meraviglierebbe nell’incontrare una giovane donna Singaporiana del tutto uguale alle ragazze che si vedono sui manga?
    Come si può notare quindi l’idea di mutare il proprio corpo è qualcosa che ormai è presente in tutte le società, in tutte le epoche e in tutte le persone. Lipovetsky parla infatti di tre tipi di donne : la prima svalutata e sfruttata , la seconda virtuosa e la terza che secondo Lipovetsky nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti. Ella ha raggiunto una fase basata sull’apparente acquisizione di grazie. Questa teoria della maturità positiva della donna la descrive quindi come una donna che sappia controllare e gestire la propria immagine all’interno dei vari modelli ma il lato negativo di questa teoria è la convinzione che necessariamente la donna si identifichi in questi modelli. Concluderei con due citazioni che racchiudono quanto detto , riferendomi a quest’ultima tematica , userei una farse che da sempre mi colpisce e che difatti ho citato anche nel forum sulle protesi estetiche : "io sono per la chirurgia etica bisogna rifarsi il senno!" Per quanto riguarda la tematica sulla diversità-disabilità , proporrei una frase molto significativa : “odio il termine normale riferito ad un essere vivente, non ho mai capito chi abbia deciso cosa non lo sia.” ..e quindi riportando il titolo di un noto film.. pensandoci in fondo.. diverso ma.. DIVERSO DA CHI?
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    Messaggio  eleonora daniele Sab Apr 28, 2012 2:41 pm

    1) L'OMS è l'Organizzazione Mondiale della Sanità. La prima classificazione elaborata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) è "la classificazione Internazionale delle malattie" o ICD del 1970, che risponde all'esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. Tale classificazione focalizza l'attenzione sull'aspetto eziologico della malattia, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l'analisi dei dati. Inoltre avvicina le disabilità alle patologie cliniche, facendo dell'elenco una sorta di enciclopedia medica, ossia delle malattie. Per cercare di ovviare a questo problema di definizione l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha messo a punto nel 1980 una classificazione internazionale, l'International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps detta ICIDH. La nuova proposta dell'OMS si basa su tre fattori tra loro interagenti e interdipendenti: la menomazione, la disabilità e l'handicap. I termini menomazione,disabilità ed handicap verranno sostituiti da: menomazione, abilità e partecipazione. È menomazione qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. Invece per disabilità si intende qualsiasi limitazione o perdita conseguente a menomazione delle capacità di compiere un'attività nel modo o nell'ampiezza considerati normali per un essere umano. L'handicap è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri, il disagio sociale che deriva da una perdita di funzioni o di capacità, la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l'adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all'età, al sesso e ai fattori socioculturali. Il manuale di classificazione ICF è stato pubblicato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2011 e propone una definizione del concetto di disabilità multidimensionale e dalla portata innovativa rispetto alle precedenti classificazioni. La sigla ICF sta per "Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute" dall'inglese "International Classification of Functioning, Disability and Health". Secondo la Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute (ICF), la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. L'ICF è una classificazione sistematica che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati. I termini menomazione, disabilità, handicap propri della precedente classificazione, vengono sostituiti da termini quali: funzioni, strutture, attività e partecipazione con l'intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. L'ICF non classifica solo condizioni di salute, malattie, disordini o traumi, che sono d'interesse dell'ICD, ma anche le conseguenze associate alle condizioni di salute, bensì la salute e gli stati di salute ad essa correlati e pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia permette quindi di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinchè possano contare su un'esistenza produttiva e serena. La Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute (ICF) è stata introdotta perchè le informazioni che vengono date dalla diagnosi medica, seppure importanti, non erano giudicate sufficienti per avere il reale quadro funzionale della persona, vale a dire che cosa quella persona è in grado di fare e quali sono invece le attività nelle quali ha difficoltà. Le parole sono importanti, sostiene Canevaro. Infatti la scelta delle parole deve essere fatta con ponderazione. Si ritiene molto utile, in questo ambito, una riflessione ragionata sulle parole disabile e diverso. Partiamo dalla nozione di disabile. Il Disabile è: una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana; un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive, inoltre i disagi sociali che riscontra il soggetto possono influenzare anche la sua sfera psicologica (disabile è anche ciò che gli altri pensano di lui); una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità. Nei confronti della persona con disabilità si tende ad assumere un atteggiamento ed uno sguardo di pietismo. Il disabile è un soggetto con disturbi fisici o psichici che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate, come i componenti della sua famiglia o anche i compagni di scuola, e nota differenze visibili o avvertite come tali. Esistono anche persone con disabilità che non si sentono tali infatti riescono a compiere qualsiasi tipo di attività (grazie al superamento delle barriere architettoniche).
    TUTTI SONO DIVERSI; NON TUTTI SONO DISABILI.
    Il termine disabile, però, dichiara solamente che a un individuo mancano una o più competenze, senza considerare che egli possiede anche delle abilità. La disabilità spesso però viene confusa con la diversità, ma sono due termini profondamente carichi di molteplici significati che meritano quindi una riflessione.
    RICORDA SEMPRE CHE SEI UNICO, ESATTAMENTE COME TUTTI GLI ALTRI.
    Il termine diversabilità mette invece in risalto - in modo specifico – che si tratta di una persona che ha – oltre che una disabilità – anche delle abilità diverse dagli altri, da scoprire, far emergere e potenziare. Tutto ciò che è Diverso e quindi non si conosce di solito può intimorire e spaventare. Il disabile ci fa paura perché è diverso da noi, e di conseguenza la diversità è concepita come “non normalità”. La diversità porta alla categorizzazione, cioè alla collocazione di certe persone in determinate categorie. Quando pensiamo al diverso immaginiamo un soggetto non omologato, un individuo non simile alla maggior parte delle persone che vivono intorno a lui. È colui il quale la società etichetta come tale perché ha degli schemi mentali, fisici e comportamentali difformi dalla “normalità”. Diverso può essere una persona non necessariamente affetta da menomazione fisica o psichica ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche, si pensi alle seguenti etichette: lo straniero, l’handicappato, il genio, colui che non si adegua alla norma, alle regole standardizzate. Una persona diversa per lingua, cultura, costume, abitudini, razza, religione. Il diverso di solito non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società suo malgrado. Noi stessi siamo diversi da prima con le esperienze che facciamo. Diverso è convenzionalmente colui che si allontana dalla norma. Il sentimento di diversità si accompagna solitamente alla sensazione spiacevole di essere altro, di non appartenere pienamente al proprio gruppo di riferimento, di scarso adeguamento al contesto sociale. Ma è anche vero che è specifico nella sua unicità. Ogni individuo ha delle caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono come unico e irripetibile. La disabilità non è un mondo a parte ma una parte del mondo. Riflettendo sulla mia giornata tipo, mi rendo conto che per una persona sulla sedia a rotelle risulterebbe un'impresa alquanto difficile e complicata svolgere le mie azioni quotidiane (come recarsi alla fermata dell’autobus, prendere il pullman, la metropolitana e la funicolare per poi arrivare infine all’università). Nell'esercizio “la mappa degli stereotipi” invece la parola su cui mi sono soffermata maggiormente è stata il "Diverso". È proprio la diversità che caratterizza l'intera umanità. Per quanto riguarda invece l’esperienza di emarginazione ho pensato a quante persone si trovano ancora oggi in questa condizione di disagio e quanto sia brutto per queste persone sentirsi emarginate. L'emarginazione, purtroppo, è tuttora una compagna inseparabile dell'essere umano.
    2) Si ritiene utile prendere in considerazione il testo "Complessità della persona e disabilità" di Anna Maria Murdaca. Questo testo mira:
    -alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità,
    -alla rimodulazione del termine integrazione,
    -alla comprensione delle reali condizioni di vita.
    È il contesto sociale (come suggerisce Anna Maria Murdaca) a determinare la condizione di handicap, sono gli ostacoli e le barriere fisiche (come quelle mentali e culturali) a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. L’ambiente (dal contesto familiare, all’assistenza sociosanitaria, alla scuola) - inteso come fattore contestuale determinante nel definire la disabilità – può essere una barriera o un facilitatore. Occorre poi soffermarsi sulla complessità delle persona con disabilità: la sua integrazione, in ambito educativo, linguistico e corporeo, le cause socioculturali della marginalità sociale. L’obbiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità. L’integrazione è un processo continuo non un punto di arrivo, una continua ricerca di soluzioni, di strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili. Nel parlare di integrazione, non si fa riferimento più ad un’astratta normalità bensì a valorizzare al meglio le dotazioni individuali. Per quanto riguarda il concetto di “cura” bisogna tener presente che il termine è intrinseco all’agire educativo, cura come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti, volta alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare. Anna Maria Murdaca scrive che ci troviamo davanti ad un “nuovo paradigma del benessere”. Ne deriva così l’esigenza di parlare in modo nuovo di integrazione. Si cerca un nuovo termine in quanto lo stesso va riformulato:
    -come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica,
    -come condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità - autonomia, identità, potenzialità personali.
    Per quanto riguarda la relazione educativa è uno “spazio riparativo” nel quale: il disabile sperimenta con gli educatori, con gli insegnanti una serie di situazioni, di vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nel qui e ora della relazione educativa. In realtà Murdaca si riferisce a: vissuti intrapsichici e/o che elaborati, proiettati, negoziati consentono agli operatori di progettare delle opportunità, appunto educative, da offrire al disabile affinchè egli stesso ripensi al proprio stato e alle proprie capacità funzionali, moduli l’immagine soggettiva in una sfera più ampia dell’abituale, eliminando maschere, blocchi, disagi, scoprendo le forze resilienti capaci di far superare le difficoltà insiste nel profondo della personalità. La nuova cultura della disabilità deve essere attenta a:
    -cogliere tanto le disfunzioni comportamentali cognitive
    -quanto a innalzare la qualità della vita dei soggetti.
    “Rimodulare l’integrazione” in prospettiva umanistica significa guardare alla globalità della persona che non può venire scomposta in funzioni che possono essere curate separatamente perdendo la capacità di integrare, di considerare nell’insieme. Una interessante proposta del testo Complessità della persona con disabilità è ripensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità, i quali, non sono soggetti passivi di pietismo ma altrettanto responsabili di questa relazione. È opportuno poi riflettere anche su che cosa sia la relazione educativa. Il rapporto che si stabilisce tra madre e figlio, quindi in ambito familiare, è una relazione educativa. In alcuni casi i protagonisti sono i bambini, ma non sempre. Ad essere educati non sono sempre e solo i bambini, a volte sono loro ad educare gli adulti, a trasmettere. La relazione educativa è anche un complesso legame che si forma fra docente e discente, un legame che produce apprendimento, attraverso una profonda interconnessione che porta alla fusione delle conoscenze. È l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l’educatore e l’educando. Tale relazione deve essere incontro e scambio, partecipazione ed alleanza e non deve essere contrassegnata da una disparità di potere tra insegnante e alunno. Ogni relazione, ogni incontro umano è educativo, in quanto è portatore di significati, valori o anche semplicemente di opinioni che assumono un peso educativo nella crescita di colui che li riceve, visto che in una relazione ogni individuo riceve qualcosa. È un prendere e dare in sincronia. Non sono relazione educative solo le relazioni che avvengono tra discenti e docenti ma tutte le esperienze della vita. Il futuro educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, arricchendole di conoscenze. Assolutamente necessario e fondamentale deve essere il rispetto reciproco nella relazione che s’instaura tra l’educatore e l’educando, al fine di arricchimento reciproco. La relazione educativa è tra l’educatore e l’educando in ambito scolastico dove avviene una crescita, una formazione dell’educando. Inoltre una relazione educativa è anche uno scambio di emozioni tra due o più persone. Alla base di una relazione educativa vi è la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all’accoglienza, all’ascolto, lasciando spazio alla libertà dell’altro e costruendo pian piano, insieme, un progetto di vita personale e originale. La relazione educativa rimanda all’immagine di una grande famiglia dove l’educatore sta al centro. Questa relazione si costruisce giorno per giorno, a partire dal reciproco sentire e si consolida grazie alla condivisione di un vissuto, intermediario di scambi e di attività con gli alunni. La relazione educativa deve essere un incontro e uno scambio di idee, senza creare dislivelli tra l’insegnante e l’alunno. La relazione educativa è sempre una relazione mediante la quale docente-discente insegnano e apprendono a vicenda, può dunque estendersi anche ai rapporti tra amiche/ci, tra fidanzati, marito-moglie, genitore-figlio/i, in tutti quei rapporti che vengono ad istaurarsi tra due o più persone: perché tutti possono insegnare e tutti possono imparare. Per quanto riguarda invece la relazione educativa al disabile, l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere a tal proposito in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile. Bisogna cercare di portare il disabile, attraverso questi percorsi, programmi mirati su un piano di pari opportunità con i normodotati. In questo caso non è importante solo l’ascolto ma anche l’esigenza. Non mettere in luce quindi le “mancanze” ma evidenziare le potenzialità, le doti e le capacità di una persona. Costruire la relazione è un obbiettivo educativo di primaria importanza che richiede tempo e l’impiego dei soggetti in causa. La relazione educativa si costruisce con l’altro e per l’altro. Nella relazione educativa è contenuta una finalità implicita, educare alla relazione con gli altri, e che le prime relazioni costituiscono un modello per quelle future.
    3) Remaury e Lipovetsky. La triade bellezza, salute e giovinezza.
    Nel testo di Remaury "Il gentile sesso debole, Le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute", la cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza. Nelle rappresentazioni della femminilità la bellezza è associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla. Il suo miglioramento fisico ed estetico è l’adempimento dei suoi bisogni (il bisogno di essere bella). Ma questi ultimi, a loro volta, sono stati suggeriti, persuasi e imposti dalla società. La responsabilità e la cura della salute è da sempre affidata alla donna, prima per gli altri, oggi anche per sé. Remaury nel suo testo dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obbiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Il corpo trasfigurato è legato all’immagine della perfezione corporea. La liberazione de "La terza donna" celebrata da Lipovetsky nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati: Dalla malattia cioè sano, dal peso cioè magro, dal tempo cioè giovane, per cui questa è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto (come il corpo realizzato). Il controllo della propria immagine, tramite la scelta tra i modelli sociali, conduce la donna verso il corpo realizzato, ossia la conquista di un corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su se stessa, assicurato principalmente attraverso il conseguimento di bellezza e salute. Secondo quanto descrive Lipovetsky nel suo libro, "La terza donna" ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull’apparente acquisizione di grazia. Concludo con il testo di Rosi Braidotti, "Madri mostri e macchine". I saggi contenuti in questo testo intendono interrogarsi sulle modalità d’iscrizione del corpo femminile nell’orizzonte fluido, a volte confuso, della discorsività postmoderna. Braidotti si oppone alla “inflazione discorsiva intorno alla materia corporea”, perché va ripensato il rapporto corpo-mente. La donna, capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre al coltempo. È a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina prestandosi al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l’immaginario che le sostiene. Si può far riferimento alle protesi estetiche, tecnologie come miglioramento. La non accettazione del proprio corpo è evidente anche e soprattutto dai media, come la televisione, che manda messaggi ai giovani il più delle volte negativi. "Non bisogna assolutamente essere schiavi dei media".


    Ultima modifica di eleonora daniele il Ven Mag 04, 2012 12:39 pm - modificato 3 volte.
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    Messaggio  ASCIONE ANNARITA Sab Apr 28, 2012 6:28 pm

    Negli ultimi 40 anni si è assistito a numerose trasformazioni nell’uso del lessico per indicare le principali disabilità; si è sentita sempre più forte l’esigenza di condividere con tutte le figure professionali, che si occupano di disabilità, un linguaggio standardizzato e comune, che non fosse più ad unico appannaggio dell’ambito medico clinico.
    Ad esempio in passato, alcuni termini (idiota, imbecille, deficiente) non avevano una connotazione dispregiativa ma erano ritenuti “scientifici” ed impiegati da figure professionali come psichiatri, pedagogisti per riferirsi a persone con ritardo mentale di varia entità. Anche il termine “handicap” - “handicappato” ha presto evidenziato dei limiti in quanto troppo generico e soprattutto di connotazione negativa.
    Attualmente l’uso della terminologia è cambiato, anche in base al sistema di classificazione utilizzato.
    A partire dalla seconda metà del secolo scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e l’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie.
    La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD, 1970) risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. L’ICD si delinea quindi come una classificazione causale, focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.
    L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze: “la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980).
    L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Con l’ICIDH non si parte più dal concetto di malattia inteso come menomazione, ma dal concetto di salute, inteso come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo, la sua globalità e l’interazione con l’ambiente. L’OMS dichiara l’importanza di utilizzare l’ICD e l’ICIDH in modo complementare, favorendo l’analisi e la comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una prospettiva più ampia.
    Nell’ICIDH, l’OMS proponeva una distinzione fra tre concetti:
    - menomazione, ossia qualsiasi perdita o anomalia a carico di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche, permanente o transitorio;
    - disabilità, interpretata come riduzione parziale o totale della capacità di svolgere un’attività nei tempi e nei modi considerati come normali, transitoria o permanente, reversibile o irreversibile, progressiva o regressiva;
    - handicap, ossia la condizione di svantaggio risultante da un danno o da una disabilità, che limita o impedisce lo svolgimento di un ruolo normale in rapporto all’età, al sesso, ai fattori sociali e culturali, rappresentando la discrepanza tra l’efficienza o lo stato del soggetto e le aspettative di efficienza e di stato sia dello stesso soggetto sia del particolare gruppo cui egli fa riferimento.
    Nel 2001, dopo una serie di sperimentazioni nate dallo sforzo di 91 paesi coordinati dall’OMS, è stato approvato a livello internazionale l’uso della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF): la salute assume un concetto complesso, dalla “lotta” contro il negativo alla facilitazione del positivo. L’ICF vede l’handicap come fenomeno sociale, inserito in un contesto ambientale culturale e pone l’oggetto della classificazione dalla menomazione alla salute; non ci si riferisce più alla menomazione o disabilità ma alle funzioni/strutture corporee e alle attività e si parte da uno stato considerato di “salute” per dire se e quanto ciascuno se ne e discosti.
    La disabilità diviene un fenomeno complesso che chiama in causa diversi aspetti come le condizioni di salute, le implicazioni a livello delle strutture corporee e delle funzioni, le limitazioni nello svolgimento delle attività, le conseguenze in termini di restrizioni alla partecipazione sociale. Qualunque persona in qualunque momento della vita può avere una condizione di salute che in un ambiente sfavorevole diventa disabilità.
    È importante sottolineare che il disabile non è un diverso, solo cambiando il linguaggio si può cambiare il mondo. La disabilità non è una diversità, ma una condizione di vita: ogni individuo è diverso dall’altro senza che per questo venga meno il valore. C’è chi scambia malattia e disabilità, come se i termini fossero interscambiabili: la disabilità è una condizione che può essere causata da malattia, ma non è una malattia. Attenzione a non credere siano discorsi banali: per un bambino la malattia si attacca, se sto vicino a una persona cieca prendo la cecità. Il nostro quotidiano non fa altro che emarginare sempre più queste persone che all’occhio dei più risultano diversi; è ancora viva in me l’esperienza della simulazione in cui mi immedesimavo nella parte dell’emarginata: avvertivo delle sensazioni di totale vuoto e smarrimento e sempre più aumentava in me la voglia di impegno concreto al rispetto, alla tolleranza, all’apertura verso i cosiddetti “diversi”, in modo da contrastare efficacemente dinamiche di isolamento e di emarginazione.
    “Abituarsi alla diversità dei normali è più difficile che abituarsi alla diversità dei diversi” afferma lo scrittore Giuseppe Pontiggia nel suo libro Nati due volte. Disabile (e tutti i termini che indicano il tipo di disabilità: paraplegico, tetraplegico, cieco, amputato, non vedente) non va usato come sostantivo: si confonde una parte con il tutto e così si riduce, offende, umilia una persona.
    L’esperienza comune ci mostra che ogni momento di crisi, ogni ostacolo, ogni evento straordinario costringe gli individui a cambiare atteggiamento e a modificare il proprio comportamento per cercare di adattarsi alla nuova situazione. Tutto ciò accade quando la famiglia, la scuola, le istituzioni e le persone si trovano di fronte ad un individuo diversamente abile. “L’entrata in scena” della diversità e della disabilità è così potente che scardina le consuetudini, richiede modificazioni e adattamenti sia delle persone che entrano in relazione con essa, sia delle strutture, sia degli ambienti.
    Spesso la disabilità è affrontata in modo equivoco e contraddittorio: è disconosciuta e “normalizzata” con facili e semplici buonismi che rendono tutti uguali ed equiparati; oppure è esaltata, attribuendo ai diversamente abili qualità e doti migliori, più vantaggiose dei normodotati. Questi due approcci sono infruttuosi e non contribuiscono né ad educare né a fare cultura. L’approccio più vero e positivo alla disabilità è quello di riconoscerla in quanto tale, attribuendole un valore positivo, considerandola come una risorsa, un segno distintivo, che non uniforma alla massa degli slogan “siamo tutti uguali” né discrimina in senso negativo e dispregiativo “i poveri disabili sfortunati”. “Non si deve definire nessuno per sottrazione” come afferma Anna Maria Murdaca, docente esperta e autrice competente in questioni relative la persona con disabilità.
    Tutto ciò può aiutarci a liberarci dai luoghi comuni, dai nostri stereotipi e pregiudizi, che spesso attribuiamo ed associamo come “etichette” a particolari persone e a chi sta loro vicino. Infatti molto spesso una persona che accompagna un disabile a fare una passeggiata, viene identificata come un membro della famiglia del disabile e mai come un amico né tanto meno come un partner. Questo indica la mancanza di una visione della persona disabile come soggetto attivo, autonomo, capace di instaurare rapporti sociali, amicali, affettivi gratificanti, soddisfacenti per tutti gli attori della relazione.
    Il nostro sguardo, e conseguentemente la nostra mentalità, dovrà abituarsi ed educarsi a tutte queste “non diversità”, facendole rientrare nella nostra quotidianità, nella nostra “normalità” sempre più ampia.
    Ma l’apertura alla disabilità di molti settori della società, una volta ritenuta impensabile, è innegabile, per quanto molto spesso solo teorica, ed è frutto di un lungo cammino che coinvolge un’infinità di attori e di contesti diversi. Un cammino che passa attraverso leggi, battaglie per i diritti, mass media e sviluppo culturale e sociale.
    Quest’ultimo è proprio il tema principale della “Complessità della persona e disabilità”, opera della sopracitata Murdaca, in cui l’autrice si sofferma soprattutto sulle sfaccettature della persona disabile, intesa nella sua globalità, e sull’inserimento a tutto tondo di quest’ultima nella società: vi deve essere non solo una richiesta “teorica” di integrazione e di inclusione nella società, ma anche un bisogno concreto di strumenti che permettano una vita indipendente, la possibilità di progettarsi un futuro, di scegliere come impiegare il proprio tempo.
    Murdaca si prefigge di valorizzare la persona, rispettandola sia nelle diversità che nell’identità, e sottolinea l’importanza di valutare l’influenza che l’ambiente ha su di essa dal momento che le barriere che ancora oggi permangono sono quelle mentali; se da una parte lo Stato interviene “imponendo” leggi specifiche, dall’altra la società non è ancora pronta ad accettarle del tutto e a metterle in atto spontaneamente: spesso è la famiglia stessa a negare l’integrazione del disabile, per un eccesso di protezione nei suoi confronti o per evitargli l’umiliazione del rifiuto altrui. La persona “abile”deve abituarsi a dividere il proprio spazio e la propria aria con chi abile non è; non deve temere di sedersi al suo fianco e di parlargli, magari intorno a una tavola imbandita o dinanzi ad un meraviglioso tramonto, perché le idee, i sentimenti e l’energia di ogni individuo non sono soggetti a limiti e risiedono in ogni essere umano. L’ambiente quindi può essere una barriera o un facilitatore ed il suo miglioramento può diminuire la disabilità. Soltanto dopo aver superato concretamente e radicalmente il problema dell’integrazione si potrà parlare di una reale svolta culturale.
    Insieme alle leggi, quindi, è necessario che scendano in campo la scuola, i mass media prendendo coscienza dell’importanza del loro ruolo educativo, visto come progressiva emancipazione dei soggetti coinvolti. È questa la nuova visione del concetto di cura, come agire educativo che rimodula in tal modo il concetto di integrazione, vista come accoglienza e condivisione di valori etici: non bisogna accudire il disabile ma emanciparlo.
    Risulta quindi di notevole importanza in tal senso una relazione educativa tra il disabile e un educatore in modo da sperimentare una serie di vissuti, di situazioni emotivo-effettivi che vengono elaborati, criticati, ricostruiti: solo così il disabile ripensa al proprio stato e alle proprie capacità funzionali, modulando l’immagine soggettiva in una sfera più ampia dell’abituale, eliminando maschere, blocchi, disagi e scoprendo le forze capaci di superare qualsiasi barriera interiore.
    Sarà capace la società di oggi ad impadronirsi di quella solidarietà, che è cultura, per migliorare la condizione delle persone con disabilità? Sarà in grado di rimuovere le barriere culturali prima di quelle architettoniche al fine di promuovere l’integrazione sociale parallelamente a quella ambientale? Ai posteri l'ardua sentenza...
    Accettare i disabili significa accettare anche tutti gli altri così come sono con le loro contraddizioni, debolezze, limiti, egoismi, pochezze, incomprensioni: sfida durissima per l'"uomo moderno", protagonista del III millennio, che non è in grado di accettare se stesso, un suo difetto estetico, piccolo o grande che sia, e trasforma il suo corpo rendendolo in certi casi mostruoso.
    La vera essenza di ciascun individuo è andata sempre più a scemare ed ha fatto posto alla voglia scatenata di sembrare, somigliare, imitare.
    Il mirare alla perfezione, l'irrompere dell'ansia di trasformazione del proprio aspetto, il voler migliorare ad ogni costo diventa sempre più radicato nella mente dell'uomo, giorno dopo giorno, e attraverso la chirurgia estetica e con l'ausilio di protesi sempre più sofisticate e adatte ad ogni singolo fabbisogno si riesce ad ottenere gran parte di ciò che si desidera.
    Ad esempio Remaury, nel "Il gentil sesso debole" afferma che siamo diretti verso una corsa alla perfezione, con un triplice obiettivo: giovinezza - bellezza - salute. Giovane, bella e sana: questa è l’immagine ideale della donna che propongono i media e la pubblicità. Su questo canone estetico evidentemente irraggiungibile le donne dovrebbero costruire la propria identità, affrontando spese e sofferenze fisiche alimentate da un fiorente. Lo scrittore, dunque, risponde alla questione essenziale della specificità femminile e tenta di denunciare il carattere alienante dei discorsi sul corpo della donna.
    La liberazione de "La terza donna" celebrata da Lipovetsky nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati, per cui questa è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto; il controllo della propria immagine, tramite la scelta tra i modelli sociali, conduce la donna verso il corpo realizzato, ossia la conquista di un corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su se stessa. Lipovetsky si muove sul terreno minato della condizione femminile nei secoli, scatenando esplosioni e sovvertimenti: un corpo è considerato libero e perfetto quando si allontana dalla minacce esterne ad esempio, la liberazione dalla malattia, dal peso e dal tempo con l'obiettivo di raggiungere l'eterna giovinezza apparente.
    Ma non è tutto oro ciò che luccica, la magrezza non è solo bellezza ma diviene sinonimo di mostruosità in casi estremi (il femminile mancante).
    É opportuno concludere inserendo una breve analisi con riferimenti al testo di Rosi Braidotti "Madri mostri e macchine". La studiosa introduce la sua opera schierandosi contro quella che definisce come «inflazione discorsiva intorno alla materia corporea» sottolineando cioè il rischio che non ci sia un «momento di rottura decisiva nel pensare il rapporto corpo-mente». Una via per arginare il pericolo che non ci sia una tale rottura è legata all’utilizzo della psicoanalisi, infatti l’accento sulle radici corporee dell’inconscio da una parte, e la temeraria affermazione dell’intelligenza e del sapere dell’inconscio dall’altra, fanno della psicoanalisi un discorso nuovo e radicalmente opposto all’umanesimo. Dunque la psicoanalisi va usata come uno degli strumenti in grado di rigiocare il corpo in modo da liberarlo dal dualismo che lo ha ingabbiato per secoli. La possibilità reale di comunicazione tra differenze deriva dall’aver pensato il corpo in una maniera fortemente politica: il corpo come teatro politico, come scena di saperi alternativi, come segno indiscutibile di una sovversione sociale e simbolica tuttora in atto. Il corpo come traccia di un possibile divenire soggetto delle donne.
    Ciò che accomuna tutte le diversità è la distanza di quei corpi dalla normalità: il loro essere stati visti da sempre come mostruosi, come deformi rispetto alla norma che rappresenta «il grado zero della mostruosità». L’importanza e la forza della mostruosità sta nella sua capacità di essere «il Medesimo e l’Altro»; la donna, capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre al contempo. E’ a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina: «prestarsi al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l’immaginario che le sostiene.
    Creare un legame tra femminismo e tecnologia, giocare con l’idea di un corpo-macchina è certamente un rischio e non dà alle donne la certezza di uscire vincitrici da questa sfida, anche se il gioco ormai è ben avviato e la marcia dei nuovi soggetti mostruosi mi pare inesorabile e soprattutto allegra, nel suo desiderio prorompente di uscire dall’immaginario putrefatto del vecchio patriarcato: un immaginario che la bellezza del corpo mostruoso non l’aveva proprio concepita.
    ANNARITA
    Luisa Ratti
    Luisa Ratti


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    Messaggio  Luisa Ratti Dom Apr 29, 2012 3:23 pm

    L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità)nel preambolo della sua Costituzione recita così:” il godimento del livello di salute più elevato possibile è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione, credo politico, condizioni economiche e sociali". La definizione di salute include "il benessere fisico, mentale e sociale"(questo è l’orientamento internazionale, ma già a livello della nostra Costituzione si può leggere un orientamento non dissimile nell’art. 3 comma 1 e 2 ). Occorrerà circa un trentennio e vari passaggi per arrivare dal concetto di malattia al concetto di benessere, ma molto ancora deve essere fatto per garantire il diritto per tutti alla migliore qualità di vita possibile, in base alle proprie caratteristiche di unicità e non di diversità.
    DALLA MALATTIA AL BENESSERE GLOBALE
    Nel 1970, l'OMS elabora l' ICD (International Classification of Diseases ovvero Classificazione internazionale delle malattie), classificazione focalizzata sulla causa, sulla descrizione delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle patologie, secondo lo schema:
    eziologia -> patologia -> manifestazione clinica
    Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici, al fine di rendere omogenei i dati nel mondo. L'ICD, ha particolare riguardo per l'aspetto eziologico della patologia, è una classificazione in cui assume un ruolo centrale la causa delle patologia, senza prevederne le conseguenze.
    Negli anni ’80 l’OMS mette a punto l’ ICIDH ( l'International Classification of Impairment, Disabilities ad Handicap . A manual of classification relating to the consequences of desease ovvero Classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità e handicap, manuale di classificazione relativo alle conseguenze delle malattie). L’ICIDH è caratterizzato da tre enunciazioni fondamentali, attraverso le quali vengono analizzate a valutate le conseguenze delle malattie:
    - menomazione(permanente ma anche temporanea, accidentale ,degenerativa ), qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura e/o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica ;
    - disabilità, come perdita di capacità a causa della menomazione di svolgere funzioni e/o assolvere particolari compiti nel modo o nell’ampiezza considerati normali;
    - handicap o svantaggio come difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione,che può diventare un limite o impedimento al ruolo normale che il soggetto dovrebbe svolgere ("normalità", non intesa come assoluta, quanto piuttosto come un concetto statistico di normalità in rapporto alle persone di stesso sesso ed età ).
    Lo schema per l’ICIDH è quello che segue:
    MALATTIA O DISTURBO--> MENOMAZIONI --> DISABILITA’ --> HANDICAP
    L’OMS dichiara l’importanza di utilizzare l’ICD (in Italia si fa riferimento alla versione 10 del 1992) e l’ICIDH in modo complementare, favorendo analisi e comprensione delle condizioni di salute dell’individuo in una prospettiva più ampia. L’ICIDH non coglie la causa della patologia, prende in considerazione l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute. Si pone maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale, ma si ricade ancora in una prospettiva di negazione, si descrive ancora troppo quello che non c'è, o quanto rimane. Poco dopo,si confermerà il termine “menomazione” ma al posto di “disabilità" e di ” handicap” vengono proposte le definizioni di "abilità” e “partecipazione”.
    Inizia a profilarsi un concetto di salute, inteso come benessere (fisico, mentale, relazionale e sociale) che riguarda l’individuo nella sua globalità e nell’interazione con l’ambiente.
    L'OMS promulga nel 2001, l' ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health ovvero Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute). Dalla condizione menomante si passa ora alla individuazione delle capacità complessive individuali residue, per giungere alla valutazione delle difficoltà che la persona incontra nell'ambiente sociale.
    A differenza delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH), quest’ultimo modello vuole fornire l’ analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente.
    L’ICF è la rappresentazione di una svolta, ci aiuta a riflettere sul fatto che la disabilità non è una malattia da curare , ma è la determinata caratteristica (di salute) del soggetto in relazione alla sua menomazione. Ciò che si può e che si deve veramente fare è rimuovere gli ostacoli provenienti dall’ambiente (sociale oltre che fisico)che trasformano il disabile in handicappato. Iniziando dall’uso dei termini , non sembra più opportuno parlare di portatore di handicap, ma di un soggetto che con una particolare condizione di salute vive in un ambiente sfavorevole che lo ostacola ma è vero anche che con interventi opportuni l’ambiente può essere trasformato fino a diventare opportunità di miglioramento nella vita della persona.
    LA PERSONA UMANA: né disabile, né diverso
    Sono ancora troppi gli stereotipi sociali che accompagnano il disabile, e lo categorizzano come “ diverso”,fino a farlo sentire davvero tale, fino a provocarne in taluni casi l’emarginazione(intesa sia come esclusione da parte degli altri che come autoesclusione). Siamo propensi a cogliere in un soggetto solo la sua menomazione, considerandolo solo per la parte mancante , non ci poniamo il problema di riconoscere la persona umana nella sua complessità come ci indica A.M. Murdaca . Invece di considerare l'handicap del disabile come occasione per mutare i criteri dominanti della società , se ne fa un pretesto per confermarli e renderli ancora più forti.
    L’attenzione oggi, deve focalizzarsi su cosa è possibile fare per migliorare globalmente la qualità di vita delle persone disabili, aiutandole a svolgere le normali attività della vita quotidiana, a ridurre ove è possibile le disfunzioni motorie e/o cognitive,a riattivare o potenziare (sempre dove è possibile) talune abilità o facendogliene scoprire delle nuove. Abbiamo i mezzi, le conoscenze, le tecniche (che sempre e comunque vanno implementati)per ridare valore alla dimensione umana della persona. Prevenzione primaria laddove è possibile, riabilitazione laddove occorra, ricorso agli ausili(supporti e sussidi) messi a disposizione dal progresso biomedico, tecnico e informatico, possono essere validi aiuti per migliorare fino anche ad annullare la condizione di handicap o svantaggio derivante dalle specifiche disabilità.
    LA NUOVA CULTURA DELLA DISABILITA’
    Anna Maria Murdaca,docente e autrice di varie opere sulla disabilità,ci propone una rilettura dell’handicap sottolineando la necessità del formarsi di una nuova cultura e conoscenza della disabilità che tenda al riconoscimento della persona in dimensione olistica ; chiede la rimodulazione del termine” integrazione”, affinché ci si lasci alle spalle la logica dell’inserimento e ci si diriga verso quella dell’”inclusione”; si interroga sulle reali condizioni di vita e sul ruolo che può essere assunto dal soggetto disabile.
    La Murdaca ci fa riflettere sul peso che ha il contesto sociale nel determinare l’handicap,e che le barriere fisiche e mentali hanno nel favorire l’emarginazione. L’ambiente fisico e sociale incidono senza alcun dubbio nel bene e nel male sul percorso di vita degli individui. La famiglia e la società (anche se a volte non intenzionalmente) possono ridurre le capacità del soggetto, facendolo sentire inefficace, proponendogli ad esempio compiti complessi e pretendendone una soluzione standard, lo pongono in situazioni di difficoltà. Diventa dunque necessario formare a una nuova cultura della disabilità affinchè la famiglia in primis, gli insegnanti e gli educatori poi, possano sostenere, sviluppare e potenziare competenze e capacità .L’obiettivo deve essere sempre la valorizzazione della persona umana , il rispetto delle differenze e delle identità. Sempre in quest’ottica l’integrazione diventa un processo continuo, non più annullamento della diversità o propensione all’ uniformità, ma ricerca continua di valorizzazione delle diverse dotazioni individuali di cui comunque bisogna tener conto per non chiedere il troppo o l’incongruo, ma neanche il troppo poco che svilisce. L’integrazione non deve essere più semplice accudimento, ma deve portare all’emancipazione del soggetto disabile.
    LA RELAZIONE EDUCATIVA COME SPAZIO RIPARATIVO
    Abbiamo indicato quali obiettivi della nuova cultura della disabilità la valorizzazione e l’ emancipazione della persona, obiettivi propri anche del fare educativo, e dunque giustamente vari autori guardano alle potenzialità della relazione educativa quale possibile “spazio della cura”o “spazio riparativo”. Un “fare-agire educativo il cui scopo possa essere quello di risvegliare nel soggetto la sua progettualità, un ottimistico cosa posso fare e cosa devo fare per ottenerlo, da contrapporre al negativo senso di incapacità, tipico in situazioni di difficoltà. Perchè tutti noi abbiamo bisogno di ritagliarci un posto nel mondo, usando i mezzi a nostra disposizione in modo responsabile.
    In generale ogni relazione educativa è uno scambio reciproco ,provoca un cambiamento sia nell’educatore sia nell’educando e ogni relazione è di per se educativa, per cui uscendo dalle classiche categorie genitori/figli , docente/discente, ecc.,può rientrare nella fattispecie anche un incontro fortuito con una persona che ci trasmette qualcosa e che involontariamente diventa il volano di una nostra intenzione sopita.
    Idealmente l’educatore dovrebbe essere l’ allenatore emotivo che rimette in contatto col proprio se ,che aiuta a trovare o ritrovare la strada, facendo appello alle potenzialità e ai punti di forza del soggetto. Il bravo educatore non è quello che indica la soluzione , ma quello che aiuta il soggetto ad acquisire coscienza della direzione che deve autonomamente prendere.
    LA RELAZIONE EDUCATIVA: buone prassi e responsabilità educativa
    Mi ha fatto molto riflettere Anna Maria Murdaca quando indicava nel parlare di inclusione del disabile, tra le buone prassi educative , “la fantasia ermeneutica” , concordo con lei pienamente perchè nel momento che ci si incontra con l’altro da se, per quanto ci sia la volontà di usare teorie e strategie accadrà sempre qualcosa che non ci si aspetta.
    Tempo fa un’amica,maestra di scuola materna mi raccontava che nella sua classe era stato inserito ad anno scolastico in corso ,un bambino non vedente di 3 anni, per problemi di ordine burocratico per qualche giorno non fu a disposizione l’insegnante di sostegno. Ora la maestra in questione sebbene inserita nella scuola da diverso tempo, rimase inizialmente disorientata, perchè mai le era capitato nella sua carriera un bimbo con questa specifica disabilità, ma poi da sola trovò il modo di comunicare con il piccolo e di proporgli anche delle attività didattiche, sulle classiche schede da colorare lei attaccava ai contorni delle figure uno spago, forniva il bimbo di colori a dita e tovaglietta e gli proponeva di colorare, al pari con i suoi compagni di classe.
    Altro punto su cui riflettevo è che nella relazione educativa il peso della responsabilità non è mai completamente sulle spalle dell’educatore, ma va assolutamente responsabilizzato anche l’educando, dalla sinergia di entrambi dipende il successo del fare educativo.
    Lavorando in particolar modo con persone in difficoltà, è importante non cedere al pietismo, ma dopo aver attentamente studiato la situazione da ogni punto di vista, far emergere il meglio possibile. Mi vengono in mente, le parole del Prof. Vincenzo Palladino incontrato al Suor Orsola:”se un giorno vi troverete a lavorare con un bambino non vedente, iniziate con una carezza, ma pretendete da lui il massimo che può dare senza cadere nei tranelli di un nocivo pietismo, la vera vittoria per lui e per voi sarà portarlo in queste aule universitarie”.
    EDUCARE IL CORPO:Dall’idea del corpo perfettibile al corpo mostruoso
    Già Foucault parlava di disciplinamento del corpo, di controllo sul corpo quale meccanismo microfisico di controllo sociale, e rileggendolo nella prospettiva di questo corso non mi sembra fuori luogo il collegamento,perchè forse l’idea di un corpo sempre manchevole di qualcosa,di un corpo da guarire o sempre perfettibile ha cominciato pian piano a delinearsi nel corso della storia.
    Siamo tutti “corpo” e tutto passa per il corpo (esperienze,emozioni), attraverso il corpo comunichiamo col mondo esterno, o semplicemente viviamo. Negli anni abbiamo assistito a vere e proprie rivoluzioni , dalla necessità di un corpo funzionale per vivere, al vivere per un corpo perfetto. L’ideale di perfezione si richiama alla triade giovinezza-bellezza-salute come ci spiega Remaury , ideale che tutti debbono raggiungere per essere al pari, uguali, per non essere emarginati.
    Quando si parla di corpo,bellezza e perfezione le immagini che ci vengono in mente sono quasi sempre quelle di un corpo femminile , Simonetta Ulivieri nel libro Le bambine nella storia dell’educazione :”…e la donna, o è corpo per altri, oggetto possibile del loro desiderio, macchina biologica di riproduzione, o non è corpo, cioè non è”.
    Lipovetsky guarda alla “ terza donna” , quella della nostra epoca come a una donna che liberamente può scegliere , controllare e gestire la sua immagine, diversamente dal passato quando ruoli e funzioni erano la sua prigione. Il controsenso è evidente non si può ancora parlare di libertà, quando ci viene chiesto di scegliere tra vari modelli ,ma tra quelli e solo quelli imposti dall’esterno.
    Il corpo perfettibile è un corpo che ha bisogno di interventi specifici, presidi medici, chirurgia, ma l’ossessivo ricorso alla cura del corpo può in taluni casi, renderlo mostruoso anziché perfetto vedi la modella francese morta di anoressia che si è volutamente mostrata senza veli in una campagna pubblicitaria contro l’anoressia.
    Rosi Braidotti affronta la tematica del mostruoso, perchè anche il mostruoso mix di orribile e meraviglioso può essere ripensato in relazione al corpo femminile . La donna gravida è mostruosa c’è nel suo corpo tutta l’alterità dell’unità e del duale(incarna un’altro corpo). Ma per l’autrice di “Madri, mostri e macchine”, il mostro cyborg né uomo né donna, riscriverà anche il capitolo delle eterne differenze uomo-donna , prima e ultima frontiera forse destinata ad essere annullata grazie agli straordinari mutamenti indotti dalla biotecnologia. Probabilmente non avverrà nulla di apocalittico, ma ottimo è lo spunto che ci fa riflettere sull’opportunità delle differenze per non negarle , esclusivamente per spingerci ad impegnarci di più nella loro valorizzazione

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