Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    Messaggio  Antonella Pirozzi Dom Apr 29, 2012 5:53 pm

    ESERCIZIO 1

    PASSAGGIO DALL’ICD ALL’ICF
    Nel 1970 l’Oms(organizzazione mondiale della sanità)ha istituito l’ICD(Classificazione internazionale delle malattie).L’ICD ha come scopo l’esplicazione delle patologie e la descrizione delle loro caratteristiche principali.
    Negli anni 80 invece si è parlato di ICIDH, dove l’ O M S ossia l’associazione mondiale della sanità, ha dedotto che si poteva parlare o per meglio dire classificare la MENOMAZIONE, LA DISABILITA’ e L’HANDICAP. Questi termini furono in seguito sostituiti da: MENOMAZIONE, ABILITA’ e PARTERCIPAZIONE. La MENOMAZIONE è una perdita in seguito ad un incidente, o è un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo, la PARTECIPAZIONE è una maggiore attenzione alle capacità di un soggetto e alle sue possibilità, e per concludere l’Abilità fa parte del Dis-Abile, il quale anche se è caratterizzato dal suo svantaggio, egli ha abilità diverse dagli altri, nel conoscere e nello scoprire nuove cose, e per questo è corretto parlare di DIVERSAMENTE ABILE. Inoltre negli anni 90 è nato l’ICF ossia una Classificazione in cui i fattori biologici e patologici non sono gli unici, ma viene presa in considerazione anche l’interazione sociale, infatti secondo l’ICF la DISABILITA' è una condizione di salute che deriva da un contesto sfavorevole.
    DISABILITA’ E DIVERSITA’
    La disabilità spesso viene confusa con la diversità,ognuno di loro ha molteplici significati, il DIVERSO viene isolato,viene additato, viene giudicato e vengono prese le distanze da lui. Il diverso non lo capiamo perché da lui ci allontaniamo e viene disprezzato, ma molto spesso non si prova a capirlo e a integrarlo nella società e quasi sempre non ci proviamo neanche, e per questo egli prova diversità .Il diverso è tale perché è la stessa società che lo etichetta così.Chi è il DISABILE? Il disabile è , una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana , un individuo affetto da disfunzioni motorie e o cognitive, una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità da un diverso funzionamento di esse. Si capisce di essere disabili al contatto con altri Qui abbiamo l’esempio
    dell’Atzori, ballerina che danza attraverso il semplice uso delle sole gambe e nonostante ciò trasmette una forza e un’armonia nei movimenti incredibile e di Pistorius atleta senza gli arti superiori,ma nonostante ciò attraverso le tecnologie integrative riesce ad essere un campione paraolimpico.Se solo rifletto su una mia giornata tipo, mi rendo conto delle tante difficoltà che una persona disabile potrebbe andare incontro ogni giorno. Sono rimasta sconvolta nel vedere dei video che la prof. ha portato in aula, soprattutto ai disagi che loro vanno incontro, ancora di più vedere le indifferenze delle persone che guardano, responsabili che se ne fregano altamente, lasciandoli soli ed inerti, con servizi non funzionabili e non adatti alle loro condizioni.Ci vogliono più fatti e meno parole! Spero che prima o poi tutto ciò si possa risolvere!Nella quarta lezione abbiamo parlato di handicap,deficit e disabilità.Grazie alla spiegazione della prof.sono riuscita a comprendere le differenze ed i significati e soprattutto quando usarli.Per quanto riguarda l'esercizio di gruppo, ci siamo confrontate tra di noi sui vari concetti e sulle varie categorie.La prof. ci ha mostrato alcune scene tratte dal film :"indovina chi viene a cena?" girato negli anni '60 ,la storia parla di due ragazzi che vogliono sposarsi ,lei bianca e lui di colore,inizialmente ostacolati dalle loro famiglie ,che poi alla fine si convincono e i due realizzano il loro sogno. Ovviamente il concetto portante era il "diverso",ma nella società di oggi il disabile viene considerato diverso.
    Per quanto riguarda la simulazione sulla città; io avevo il ruolo da cittadino, inizialmente non ho prestato attenzione agli esclusi, perchè incalzata dal sindaco a esprimere i miei desideri per la festa, poi pensandoci bene , uno sguardo agli esclusi l’ho dato, ho immaginato quello che hanno potuto provare in quel momento: odio e rabbia. Ho pensato molto a questa simulazione e mi sono resa conto che molte volte, presa da tante cose, mi dimentico degli altri ; che egoista!!!!!

    ESERCIZIO 2

    Ad interessarsi della complessità della persona disabile , c’è stata anche la docente Anna Maria Murdaca, con il testo “Complessità della persona e disabilità” l'obiettivo primario che si pone è sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione.Da un lato una simile cultura impone necessariamente un'ottica progettuale e flessibile, articolata su livelli teorico-operativi e sulla continua modificabilità del soggetto, da cogliere nella sua prospettiva biografica; dall'altro necessita di un ripensamento dell'integrazione, intesa - sulla falsariga delle teorie psicoanalitiche - come "spazio riparativo" dove il disabile può sperimentare con gli educatori e gli insegnanti una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nel qui e ora della relazione educativa. L'integrazione diviene così costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, i mezzi per costruire la propria identità, prerequisito fondamentale per il raggiungimento dell'autonomia. Lo scopo finale, dunque, è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere. Perché ciò sia possibile è però necessario un lavoro integrato in grado di coniugare l'aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, assicurando iniziative di vera promozione personale e sociale.

    ESERCIZIO 3

    Remaury, Lipovetsky e Braidotti.
    REMAURY : parla della bellezza della donna, dove la coltiva e per questo l’obiettivo di ogni donna è la giovinezza, la bellezza e la salute.
    LIPOVETSKY: inoltre,evidenzia come l’eterna giovinezza,la perfetta bellezza e la salute totale ,siano diventate strade obbligatorie che i soggetti ,in particolare le donne,devono percorrere per raggiungere un corpo perfetto e la conseguente accettazione da parte della società.
    Il controllo della propria immagine tramite diete e operazioni chirurgiche estetiche porterebbero ad un’immagine definita “mostruosa”,infatti BRAIDOTTI parla di un corpo mostruoso, che definisce “corpo-macchina” sul quale la donna lavora attraverso un rapporto sempre più stretto con la tecnologia.Nella società odierna si ricorre sempre più spesso alla chirurgia estetica per togliere rughe,per aumentare di una taglia il seno,per eliminare qualche difetto del corpo,si usano creme e svariati prodotti per essere belli e sempre più uguali ai modelli proposti dalla tv e dai giornali. Io non sono contro la chirurgia plastica ,secondo il mio parere bisognerebbe usarla solo in casi di difficoltà fisiche ,la bellezza è soggettiva,è stare bene con se stessi e farsi accettare e amare dagli altri per quello che si è.
    La vera bellezza è custodita nel cuore di ognuno di noi.


    Ultima modifica di Antonella Pirozzi il Mar Mag 15, 2012 8:42 pm - modificato 1 volta.
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    Messaggio  maria riccardi 90 Dom Apr 29, 2012 8:59 pm

    l OMS è l organizzazione mondiale della sanità,nel 1970 elabora l ICD ,ossia la classificazione internazionale della malattia, che fornisce per ogni sindrome o disturbo una descrizione delle principali caratteristiche e dei problemi correlati.
    ben presto rivela vari limiti di applicazione e questo induce l oms ad elaborare una nuova classificazione L ICDH nata nel 1980
    che oltre a focalizzare l attenzione sulle cause della varie patologie e sulle loro conseguenze, da anche importanza all ambiente e di quello che esercita sulla salute. mentre l icd parte dal concetto di malattia ,l icdh si concentra di piu sul concetto di salute questa nuova proposta si basa su tre componenti fondamentale: menomazione,disabilità ed handicap.
    menomazione come danno organico o funzionale, relativo ad un settore specifico .è menomazione qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica.un esempio di menomazione puo essere quello di oscar pistorius ,un atleta paraolimpico che a causa di una grave malattia gli furono amputate le gambe.ma questa grande menomazione non ha fermato il grande oscar che grazie a delle protesi le flex foot ha realizzato il suo sogno di atleta
    .-disabilità come perdita conseguente alla menomazione,
    l incapacità di svolgere determinate funzioni di risolvere particolari compiti.un esempio di disabilità può essere andrea un ragazzo sulla sedia a rotelle ,ma grazie alla domotica ossia,la scienza interdisciplinare ,che si occupa delle tecnologie atte a migliorare la vita in casa, può vivere una vita più autonoma e puo anche ridurre il suo handicap.
    -handicap ossia la difficoltà dell individuo a rapportarsi con l ambiente circostante.un altro modo per limitare un handicap può essere il superamento delle barriere architettoniche, che impediscono o limitano gravemente la possibilità di spostarsi autonomamente e sicuro.
    il 22 maggio del 2001 l oms elabora l ICF che vuole descrivere lo stato di salute della persona in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale,familiare, lavorativo) al fine di coglier la difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità .dunque l icf vuole descrivere la sua situazione di vita quotidiana e evidenziare l unicità e la globalità della persona.i termini menomazione,disabilità ed handicap vengono sostituiti da termini quali
    -funzione
    -struttura corporea
    -attività e partecipazione
    la persona dunque considerata non piu come disabile o diverso ,ma come un divers-abile che mette l essere diversamante abile dalle altre abilità .queste diverse abilità possono essere aiutate a svillupparsi grazie anche all ausilio,apparecchiatura che aiuta la persona con deficit a ridurre gli handicap esempio una sedia a rotelle ,o un display o tavoletta braille.a proposito delle tavolette braille ,durante il corso abbiamo avuto il piacere di conoscere il professore palladino e la "santa" scrittura del braille ,che a causa di un esplosione di un ordigno ha perso la vista ,ma nonostante ciò ha dimostrato di essere un grande esempio di resilienza ,la capacità di superare e uscire rafforzati dalle difficoltà ordinarie della vita ,come nel lavoro o nelle malattie gravi.un altro grande esempio di resilienza e simona atzori una ballerina nata senza braccia , ma nonostante ciò insegue il suo sogno con grande passione e dedizione.

    anna murdaca nel suo testo "complessità della persona e disabilità " elabora diversi temi . l obbiettivo è quello di sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità, centrata sul riconoscimento della persona in continua evoluzione.
    per questo bisogna adottare un ottica progettuale e flessibile impegnata sia sul livello teorico che operativo e sulla continua modificabilità,intesa come spazio riparativo,dove il disabile puo sperimentare con gli educatori e insegnanti una serie di situazioni che vengono proiettati e integrati nella relazione educativa.
    l integrazione deve essere un processo continuo ,una ricerca continua di soluzioni,strategie per preservare i diritti dei disabili.
    dobbiamo vedere l uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare.dunque il disabile non più come persona da accudire ma come persona emancipata.
    secondo anna murdaca a determinare la condizione di handicap sono gli ostacoli e le barriere fisiche che favoriscono il processo di esclusione o quello di emarginazione.
    l ambiente familiare per favorire una buona integrazione si deve liberare dal senso e dalla percezione di impossibilità e anche la scuola in questo caso deve aiutarla.si deve coniugare l aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale in modo da assicurare una piena integrazione.
    la nuova cultura della disabilità deve essere attenta a cogliere tante disfunzioni comportamentali cognitive quanto a innalzare le qualità della vita del soggetto.tutto cio deve avvenire in luoghi capaci di svilluppare potenzialità personali, adottando i mezzi piu idonei.
    nota ministeriale-ministero dell istruzione dell università 30 novembre 2001 dice:
    nell obbiettivo prioritario di assicurare il diritto allo studio dei soggetti disabili ,intende fornire un quadro, il piu completo possibile della normativa e alcune indicazioni operative,al fine di dare garanzia agli alunni e alle loro famiglie ,certezza al personale della scuola e ai dirigenti scolastici e nello stesso tempo ,finalizzare le iniziative di formazione prevista per i collaboratori scolastici...
    sono necessari ambienti di apprendimento dove anche gli educatori e gli insegnanti siano preparati.la relazione educativa è l insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l educatore e coloro che educa.deve essere un incontro e uno scambio reciproco ,partecipazione ed alleanze.
    durante il corso abbiamo fatto una simulazione di setting ,dove abbiamo potuto valutare i diversi approcci che l educatore ha adottato nelle diverse situazioni. una educazione relativa varia da soggetto a soggetto ,l educatore deve tener conto delle diverse esigenze di chi si trova avanti -deve cercare di mettere il soggetto a proprio agio-deve stabilire un rapporto di fiducia -e deve costruire un legame affettivo in modo che la persona si lasci andare e abbia la volontà di costruire un rapporto basato sul ascolto e sulla libertà.
    nella relazione educativa con la persona diversamente abile si deve avere una particolare sensibilità e si devono mettere in atto mezzi e programmi specifici ,per poter portare i divers -abili sullo stesso piano dei normo dotati.


    remaury nel testo "gentil sesso debole" e "le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute " esprime il suo concetto sul immagine della donna.secondo l autore la bellezza è associata all idea che la donna abbia il dovere di coltivarla.giovinezza e bellezza sono le caratteristiche che una donna oggi deve continuare ad avere .vi è un triplice obbiettivo giovinezza- bellezza -salute che consentono di raggiungere la perfezione.tutto questo è suggerito dalla società stessa che in un certo senso rende "schiava " la donna dalla bellezza.
    lipovetsy nel libro la terza donna dice che la donna controlla e gestisce la propria immagine all interno dei vari modelli che la società propone.
    braidotti dice che l operazione invasiva di asportazione ,ricomposizione e rimodellamento dell identità non fanno altro che dichiarare l assoluta soggezione della donna ,preda di una pratica manipolatoria. l autrice parla di un corpo mostruoso ,corpo-macchina,schiavo delle tecnologie.come ad esempio la chirurgia estetica molto spesso usata in modo sproporzionata. secondo la braidotti uno degli strumenti per "rigiocare" il corpo in modo da liberarlo dal dualismo che lo ha ingabbiato per secoli è la psicoanalisi.
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    Messaggio  Eleonora Cardella Lun Apr 30, 2012 9:06 am

    Il libro “Nozioni introduttive di Pedagogia della Disabilità” presenta diverse tematiche tra cui ricordiamo: salute, benessere, bellezza, corpo, complessità, resilienza. Tutti argomenti che presentano un filo conduttore al tema della disabilità. Nella lettura del testo, ho cercato di cogliere quello che era il messaggio principale che voleva dare questo libro e ho capito quanto è importante soffermarsi sull’essere umano con disabilità e capire il suo processo di integrazione per andare al di là di ogni menomazione, handicap o diversità. Tutti gli individui meritano di essere rispettati e integrati nel contesto in cui vivono. Ma aspetto ancora più importante è come ci si rivolge ai soggetti che presentano una disabilità. Le parole che usiamo, sono molto importanti e bisogna far attenzione a non confondere i termini tra di loro, in modo da evitare, come dice Canevaro, “di aumentare l’handicap anziché ridurlo”. Il disabile è colui che non riesce a interagire nel contesto in cui vive, a causa di una menomazione; egli quindi ha uno svantaggio rispetto agli altri. Mentre la disabilità presenta una limitazione dello svolgimento delle normali attività, la menomazione invece può essere di tre tipi: temporanea, ossia definita in un tempo determinato, accidentale cioè può avvenire in seguito a un incidente e infine degenerativa cioè può portare alla disabilità. Il nostro compito, in quanto società, dovrebbe essere quello di supportare questi soggetti in modo tale da evitare un loro allontanamento o esclusione.
    Sul tema della disabilità, nel 1980, è intervenuta l’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) creando una la classificazione ICD (Classificazione Internazionale delle malattie) , che potesse raccogliere la causa delle patologie. Una vera e propria enciclopedia per fornire ad ogni patologia una descrizione clinica accurata. Si è andato a cogliere quindi, tramite lo schema eziologia-patologia-manifestazione clinica, l’aspetto eziologico della malattia. Più tardi però, circa dieci anni fa, si è approdati ad un altro tipo di classificazione, più completa dell’ICD, l’ ICF (Classificazione Internazionale del funzionamento, della Disabilità e della Salute) una classificazione sistematica e più nuova, che esprime un concetto multidimensionale della disabilità. Con l’ ICF abbiamo una classificazione applicabile a tutte le persone che indicano la presenza di menomazione nelle strutture corporee, ed è fatta anche a coloro che godono di una buona salute. Partendo dalla malattia, si cerca di creare una classificazione diversa da quella precedente in grado di risolvere e trasformare: disabilità, menomazione, handicap in funzioni, strutture corporee e attività e partecipazione. Questo è stato fatto per dare più attenzione al soggetto e alle capacità di coinvolgimento. La classificazione è stata creata proprio per diversi scopi ma soprattutto per essere utilizzata a livello Internazionale. L’OMS definisce l’ ICF: “un linguaggio standard e unificato che serva da modello di riferimento per la descrizione della salute degli stati a essa correlati”. L’obiettivo dell’ICF quindi non è solo quello di capire lo stato di salute del soggetto, ma di comprendere le conseguenze associate allo stato di salute e impegnarsi per renderle migliori. In questo modo si ha una conoscenza completa della persona ed è possibile quindi intervenire con maggior efficienza su di essa. Questo passaggio dall’ICD all’ICF è stato uno strumento fondamentale per essere utilizzato nell’ambito: sanitario, educativo, di ricerca e sociale.
    È sbagliato pensare per la persona con deficit o per il diverso, che deve essere allontanato o privato della sua libertà, ma al contrario non deve essere neanche etichettato o giudicato altro perché non rientra nei soliti standard precostituiti. Il nostro corso ha preso in esempio diversi casi di disabilità ma è iniziato da un vero esempio di donna, Simona Atzori, che ha fatto della sua disabilità un punto di forza e bellezza. Ha dimostrato come nessun essere umano è limitato nel suo agire e come è importate reagire per far capire che la diversità non è nei movimenti che si fanno o nelle limitazioni che si possono avere. La diversità è caratteristica di ogni individuo ma come valore e non come svantaggio. Stesso esempio può essere fatto con un altro giovane esempio che ci ha dimostrato come è importante superare i propri limiti, Oscar Pistorius un atleta paraolimpico, che non ha mai smesso di lottare per ciò che più piace gli fare, correre. Esempi questi di resilienza, ovvero la capacità di reagire nonostante la situazione avversa.
    Si capisce che non è solo l’identità fisica a costituire il soggetto, bensì è proprio il suo essere che deve emergere e essere valutato. Abbiamo una percezione “falsa” della normalità e anche quando non parliamo di soggetti disabili, è difficile riuscire ad accettare ciò che non è uguale a noi. Quando in aula ad esempio vedemmo le parti salienti del film”Indovina chi viene a cena” è venuta fuori proprio la paura per lo straniero, perché visto diverso da noi, per il colore della pelle, per la lingua; nel finale del film quando lo straniero è accettato, si capisce come bisogna attribuire alla diversità una valenza positiva perché fonte di risorse e nuove conoscenze. Questo film non fu subito accettato e subì anche molte critiche, ma è diventato un classico del cinema antirazzista. Oggi però questi pregiudizi non sono del tutto eliminati e credo che tutto questo non è accettabile dopo tutti i cambiamenti storici e culturali poiché l’approccio con qualcosa che è diverso da noi non ci deve far guardare con occhi diversi e giudiziosi chi abbiamo di fronte. Nella maggior parte dei casi il diverso è nei nostri pregiudizi. Solo perché notiamo differenze fisiche, menomazioni ma anche differenze a livello culturale, siamo subito capaci di crearci delle credenze che risulterebbero sicuramente false se solo non ci soffermassimo alle apparenze. Il diverso diventa, nel pensiero comune, il disabile. Ma il disabile solo perché presenta una menomazione ovvero una mancanza dovuta alla perdita di una struttura corporea o funzionale, non è diverso da chi invece fortunatamente non ha menomazioni. Basterebbe solo creare molte più strutture ed eliminare barriere che creano solo limiti ai disabili, in modo tale da far cambiare alcuni Comuni che non sono per niente organizzati e non danno la possibilità di vivere liberamente. Nella mia città, diverse volte, incontrando per strada dei disabili, ho pensato: come si può convivere con delle menomazioni, a volte anche gravi? Ho cercato di rapportare la mia vita di tutti i giorni alla loro e mi sono accorta fin dal primo movimento che faccio la mattina, ovvero alzarmi dal letto, che una vera autonomia non esiste. Non esiste anche perché non sempre si può dare la possibilità a chi, ad esempio è costretto su una sedia a rotelle di vivere nella propria casa a causa degli spazi. Nella mia casa non è possibile far vivere un disabile. E anche nel mio palazzo, non c’è l’ascensore quindi un disabile come farebbe?
    Attraverso il suo corso poi, sono riuscita anche a fare delle esperienze, pur se circoscritte a pochi minuti, che mi hanno fatto immergere in situazioni che non pensavo fosse possibile; ciò ha permesso di farmi riflettere e inaspettatamente anche crescere. Mi riferisco, in particolare, all’ultima simulazione fatta sull’emarginazione, in quel caso anche se non ero emarginata,ho capito quanto può costare per una persona sentirsi costantemente esclusa, isolata e giudicata. Ho capito quanto la diversità può pesare anche se relativa a cose banali. Quanto è difficile far parte di una società che non sempre può aiutarci e che non sempre può dare la possibilità di far sentire la nostra voce. In questo modo si corre il rischio di far restare, la maggior parte delle persone, semplici spettatori e mai protagonisti.
    Inerente al contesto in cui il soggetto si rapporta, molto importante è uno dei temi che ho accennato sopra. La complessità, che viene affrontata da Anna Maria Murdaca nel libro “Complessità della persona con disabilità”.
    Nel suo libro analizza proprio la logica che sta alla base dello sviluppo e delle capacità del soggetto disabile e l’inserimento di questi nella società. La Murdaca propone degli spazi specifici e attrezzati che spingano verso una visione comune e globale di partecipazione. Afferma che è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap e la successiva emarginazione. Nel suo testo poi si sofferma su: ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, rimodulazione del termine integrazione e comprensione delle reali condizioni di vita del soggetto disabile e quale ruolo può assumere nella società. Obiettivo centrale è dare una nuova definizione all’handicap e non etichettare il soggetto solo per ciò che non ha, ma per quello che può dare; ed è proprio l’ambiente e il luogo in cui il soggetto vive che deve attrezzarsi ed eliminare gli ostacoli che gli impediscono una vita il più normale possibile. Come aveva sostenuto anche l’ ICF bisogna valutare l’influenza che l’ambiente esercita sul soggetto evitando così di metterlo in situazioni di difficoltà, perché bisogna capire che l’handicap del disabile prima di tutto è un fattore sociale e da esso poi avviene il riconoscimento della persona. È necessario valutare qualcuno non per sottrazione ma per ciò che è. Ed è per questo che il concetto di integrazione gioca un ruolo molto importante, perché è in base all’inserimento nel contesto in cui il soggetto vive che è possibile definirlo e stabilire la sua identità nella società. Ma come suggerisce la Murdaca l’integrazione segue nuovi parametri; l’integrazione come accoglienza e come condivisione di valori etici. Si delinea una nuova logica della disabilità che è la stessa del linguaggio: deve essere multilineare e plurisequenziale, deve analizzare il soggetto, deve analizzare il contesto e tutti gli interventi a esso rivolti.
    Valorizzare la persona con tutte le sue caratteristiche e non svalutarla; bisogna stabilire un rapporto tra i soggetti e bisogna anche capire che è importante confrontarsi e creare delle relazioni educative con chi ci circonda. La relazione educativa riguarda qualunque tipo di rapporto noi instauriamo con l’altro. Non ci accorgiamo che nella vita di tutti i giorni, siamo messi davanti ad altre persone con le quali dobbiamo relazionarci e trovare un dialogo e un confronto; spesso sottovalutiamo l’importanza del dialogo con l’altro. Qualunque tipo di rapporto che sia madre-figlio, alunno e docente, educando ed educatore presuppone il confronto ma soprattutto la parità e il rispetto per l’altro. In tutti i rapporti c’è un momento di formazione anche negativo. Ma è lo scambio la parte fondamentale, perché si da e riceve sempre qualcosa. Affinché però la relazione educativa dia esiti positivi bisogna conoscere bene chi abbiamo di fronte, cioè valutare gli aspetti caratteriali, i bisogni, le capacità e tutti gli elementi che servono per poter creare un rapporto.
    In quanto futura educatrice mi sento di approfondire questo ruolo anche attraverso una delle ultime lezioni fatte poiché ci è stata data l’opportunità di vedere praticamente, attraverso dei setting, come ci si deve porre con chi abbiamo di fronte. Dobbiamo chiederci in che modo è possibile non deludere ancora di più chi viene da noi in cerca di aiuto. Il linguaggio del corpo in primis è la cosa che più deve essere controllata perché è da li che instauriamo un contatto con il soggetto. Farlo sentire a sua agio, non metterlo da subito davanti al problema e non farlo sentire sotto giudizio, sono questi i punti fondamentali da cui si dovrebbe partire per poter davvero aiutare qualcuno. Non ha senso fermarsi alle apparenze ed emettere giudizi affrettati, piuttosto conta molto di più capire le motivazioni iniziali che hanno portato il soggetto a compiere atti sbagliati nei confronti della società. Una volta capiti i motivi l’educatore poi, deve curare il soggetto con il fine di reinserirlo nel contesto di provenienza, permettendo così la sua emancipazione e autonomia nella società. Non bisogna però creare rapporti che possono essere traumatici o sbagliati, ovvero creare un legame molto forte con il soggetto può essere sbagliato proprio perché questo non permette la sua emancipazione e di conseguenza invece di rendere indipendente il soggetto si corre il rischio di farlo legare all’educatore, perdendo così la figura iniziale di chi doveva dare il buon esempio ed essere una “guida” per indicare la strada da percorrere.
    Se volessimo assegnare metaforicamente un ruolo, allora dobbiamo ricordare che l’educatore non è il protagonista ma l’aiutante che deve andare alla ricerca di programmi specifici e mirati per mettere in relazione l’aspetto educativo e didattico con l’aspetto terapeutico e sociale. Il luogo in cui avviene la costruzione della nuova identità del soggetto è importante, deve essere un luogo rassicurante, che valorizzi la differenza come risorsa e che faccia sviluppare nuove potenzialità. Questi elementi non possono essere curati singolarmente perché bisogna lavorare sulla globalità della persona.
    Nella visione globale invece un valore assoluto occupa la bellezza, che nella credenza comune, è vista come la qualità fondamentale da avere a tutti i costi. Tutti siamo presi da ciò che si vede esteticamente e curiamo il nostro corpo in maniera maniacale per comunicare la nostra bellezza. Soprattutto la bellezza femminile è sempre stata vista come elemento principale perché simbolo di intelligenza e valori. Si ha proprio il bisogno di vedere la bellezza come una necessità per poter essere qualcuno. Questo bisogno è dato dalla società che impone attraverso i mezzi di comunicazione un’immagine perfetta (es: la taglia 42) e impeccabile. La stessa Fatema Mernissi ne “L’harem delle donne Occidentali ” dichiara come l’Occidente sia vittima dell’estetica. Si impone così la visione di una donna che mette sempre in risalto il suo corpo, come una merce a cui serve un acquirente. E per coloro che invece non rientrano nei giusti canoni? Non resta che sentirsi umiliate ed escluse.
    Arriviamo a un’ideale di macchina piuttosto che di corpo umano, come sostiene la Braidotti; è come se l’unico interesse sia curare la propria bellezza e giovinezza. Remaury ne ”Il Gentil Sesso debole” dice come la corsa alla perfezione è l’unico obiettivo che interessa. All’idea della perfezione è legato il tema del corpo trasfigurato che porta a un’idea di corpo realizzato, ovvero un corpo giovane e sano che possa affascinare. E questo è lo stesso corpo di cui parla Lipovetsky, ovvero un corpo che afferma la sottomissione ai modelli stabiliti. Si va alla ricerca del massimo e si chiede al proprio corpo uno sforzo enorme per essere a tutti i costi perfetti. Anche le pubblicità poi si impongono mentalmente, propongono un modello ben definito di magrezza; senza saperlo nel tempo ciò ha condotto la società verso una di quelle malattie da cui difficilmente si esce, l’anoressia o la bulimia. Colpendo soprattutto quelle adolescenti che sono in un momento di crescita e sviluppo molto importante. Questo tema molto delicato però è stato poi accostato a un tipo di magrezza che si avvicina al deforme e viene definito come mostruoso. Ci avviciniamo quindi a un’inversione: se prima si riteneva che essere magri era essere perfetti, adesso invece si ritiene che la donna senza curve o senza carne non rientra più nei canoni del bello. Approdiamo al concetto di femminile mancante cioè quella femminilità che si avvicina al disumano. La donna così non rappresenta più un tipo di bellezza naturale, ma è come se si volesse per forza creare un corpo che in realtà non le appartiene. Anche l’avvento della tecnologia ha permesso a chiunque volesse di “ricostruirsi” al meglio o come più si preferisce, arrivando a imitare i personaggi famosi che più piacciono e ricorrendo anche a protesi estetiche. Ma credo che l’utilizzo di protesi solo per fini estetici e quindi per “capriccio” non sia giustificato come magari può esserlo se è per necessità. La bellezza è di sicuro qualcosa di soggettivo, e se una persona sente il bisogno di modificare una parte di sé, può farlo liberamente, ma molte volte non si pensa a come attraverso l’uso di protesi, si compromette la propria salute. Credo che ci voglia solo più coscienza nel prendere decisioni di questo genere e più che ricorrere a trasformazioni fisiche si dovrebbe rendere unica la propria persona e valorizzarla. Vorrei concludere il mio pensiero con una frase di uno degli autori che più mi piace, Franz Kafka:” La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio”. Credo che in questa frase sia racchiuso il vero senso, ovvero vivere e accettarsi per come si è e per come Dio ci ha creati ed evitare di ricorrere a interventi chirurgici solo per far vedere apparentemente una perfezione che in realtà non ci appartiene.



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    Messaggio  carmela accurso Lun Apr 30, 2012 9:26 am

    1) Dutrante questo corso ci siamo soffermati su quali possono essere i vari significati delle parole utilizzate per definire persone che non sono "normali".Abbiamo visto anche come queste vengano svantaggiate dalla comunità sociale per le continue barriere architettoniche, ed abbiamo visto come gli esperti abbiano cercato di classificare tutte le patologie esistenti, per poter descrivere al meglio una malattia. Ed è proprio l'OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) a svolgere tutto ciò. Istituita nel 1948, è l’Agenzia delle Nazioni Unite specializzata per le questioni sanitarie.
    La prima classificazione fu elaborata nel 1970: ICD (classificazione internazionale delle malattie) appunto, che risponde al bisogno di cogliere le cause delle patologie, attribuendo ad ogni disturbo e sindrome una descrizione delle caratteristiche principali ed indicazioni che riguardano la diagnosi. Le diagnosi vengono tradotte in codici numerici che possono rendere più facile la memorizzazione e l'analisi dei dati. Creare un enciclopedia medica.A questa classificazione ne fu prodotta un altra nel 1980, ICIDH (classificazione che tenta di spiegare le questioni che riguardano le definizioni delle parole). Infatti vengono inseriti termini come MENOMAZIONE: che è una perdita o anormalità che riguarda una struttura o una funzione psicologica,fisiologia o anatomica. Possono essere transitorie o permanenti. E' un danno funzionale o organico di un settore specifico. La DISABILITA' :è qualsiasi restrizione o carenza della capacità di svolgere una attività e di assolvere particolari compiti nel modo considerati "normali" per un individuo. Altro termine che viene utilizzato è l'HANDICAP. Questa è una difficoltà che impedisce all'individuo di non riuscire a fare qualcosa che è collegato al contesto. E' la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto con gli altri. Bisogna fare un attenta riflessione sulle parole, non bisogna fare confusione tra questi termini. Potrebbero provocare confusioni linguistiche che invece di diminuire l'handicap, lo aumentano. Infatti dopo avere riflettuto e capito la definizione di queste parole, penso che si debba fare un uso più corretto ed aiutare le persone a capire il loro significato. Per questo, ciò che porta a confondere questi termini è considerare l'handicap solo di chi ha problemi, oppure considerare che coloro siano afflitti da qualche problema non siano considerati come uomini normali. In seguito, nel 2001, si è passati all'ICF (classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute).E' una classificazione che considera ache l'approccio sociale. Considera la DISABILITA' come condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Questa classificazione è ideata per essere usata con tutte le persone di qualsiasi età, per descrivere il funzionamento, la disabilità e il contesto delle persone che hanno influesta sullo stato di salute. Per quanto riguarda le parole disabile e diverso, bisogna fare un attenta riflessione. DISABILE è una persona che non è in grado di svolgere le normali attività della vita quotidiana; una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità; un individua che affronta disagi sociali che possono influenzare anche la sua sfera psicologica. Inizia ad inserirsi il termine DIVERSABILE che mette in risalto la persona che ha delle abilità diverse dagli altri, da scoprire e da far emergere. Infatti si ritiene più corretto pronunciare questo termine in quanto è positivo e mette in evidenze altre abilità che possiede una persona con deficit. Di queste capacità ne abbiamo molte testimonianze, infatti persone che hanno perso l'utilizzo di un senso ne potenziano e ne sviluppano maggiormente altri. Come già detto è molto facile identificare persone con dei problemi con termini comuni e generici, e comportarsi in modo non corretto con loro. Per questo proprio nella prima lezione abbiamo trattato il tema della RESILIENZA che significa appunto resistere alle avversità. Un esempio sono Simona Atzori, che nata senza braccia, non si piega e non si scoraggia da questa sua mancanza, infatti come abbiamo visto dai video, è una ragazza gioiosa, allegra e vive in modo spensierato questa sua condizione. Ha una determinazione tale che non le ha impedito di fare nulla. Oscar Pistorius, amputato bilaterale da quando era piccolo, non si è perso d'animo, ed ha coronato il suo sogno, cioè correre. Grazie a delle protesi chiamate flex foot è riuscito a vincere molte gare. Queste persone diversamente abili sono spesso soggetti di barriere architettoniche. Per questo dopo aver svolto un esercizio che mi chiedeva di raccontare la mia giornata tipo per dei disabili, sono rimasta stupita di come le persone non si rendano conto che un percorso può essere molto difficile da affrontare per persone su una sedia a rotelle o per quelle che hanno difficoltà a camminare. Sono una testimonianza marciapiedi che non sono provvisti di scivoli, strade malridotte, montascale non funzionanti, pullman che non sono dotati di appositi strumenti per far salire queste persone ecc.

    2)Anna Maria Murdaca, autrice del libro "Complessità della persona e disabilità" mira:
    * alla ricostruzione di una cultura della disabilità,
    * alla rimodulazione del termine integrazione,
    * e alla comprensione delle reali condizioni di vita e del ruolo che possono assumere i soggetti disabili.
    L'autrice afferma che bisogna scegliere l'ottica della globalità, una nuova cultura e conoscenza della disabilità, che è particolarmente centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione. Anna Maria Muradaca afferma che è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap ( che è l'ostacolo che impedisce ad una persona con deficit di portare a termine una particolare attività), sono ostacoli e barriere fisiche a favorire il processo di emarginazione. Il suo obiettivo è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità. L' integrazione è un processo continuo non un punto di arrivo. Integrazione come condivisione di valori etici. Per questo non si mira all'accudimento, ma all'emancipazione del soggetto con disabilità. Inoltre bisogna valorizzare la modalità di apprendimento deve avvenire con stili cognitivi individuali, in contesti sensibili. Costruire una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità, i quali, non sono soggetti passivi di pietismo ma altrettando responsabili di questa relazione. L'autrice introduce anche il concetto di relazione educativa. Per relazione educativa si intende l'insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l'educatore e l'educando. Tutti gli incontri sono educativi, è necessario il rispetto reciproco, in questa relazione molto importante è l'ascolto dell'altro. Abbiamo la relazione madre/figlio in cui il rapporto si stabilisce in un ambiente familiare.In alcuni casi i protagonisti sono i bambini, ma non sempre. Ad essere educati non sono sempre e solo i bambini, a volte sono loro ad educare gli adulti, a trasmettere. Relazione tra docente/discente che è un legame che produce l'apprendimento, attraverso un rapporto che porta a delle conoscenze.E' l'insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l'educatore e coloro che egli educa. Questa relazione deve essere basata sulla partecipazione di entrambi i soggetti senza che ci siano differenze. Relazione tra educatore/educando in cui l'educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, arricchendole di conoscenze. Il futuro educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, arricchendole di conoscenze. Assolutamente necessario e fondamentale deve essere il rispetto reciproco nella relazione che s’instaura tra l’educatore e l’educando, al fine di arricchimento reciproco. La relazione educativa è tra l’educatore e l’educando in ambito scolastico dove avviene una crescita, una formazione dell’educando. Inoltre una relazione educativa è anche uno scambio di emozioni tra due o più persone. Alla base di una relazione educativa vi è la volontà di costruire un rapporto predisponendosi all’accoglienza, all’ascolto, lasciando spazio alla libertà dell’altro e costruendo pian piano, insieme, un progetto di vita personale e originale. La relazione educativa rimanda all’immagine di una grande famiglia dove l’educatore sta al centro. Questa relazione si costruisce giorno per giorno, a partire dal reciproco sentire e si consolida grazie alla condivisione di un vissuto, intermediario di scambi e di attività con gli alunni. La relazione educativa deve essere un incontro e uno scambio di idee, senza creare dislivelli tra l’insegnante e l’alunno. La relazione educativa è sempre una relazione mediante la quale docente-discente insegnano e apprendono a vicenda, può dunque estendersi anche ai rapporti tra amiche/ci, tra fidanzati, marito-moglie, genitore-figlio/i, in tutti quei rapporti che vengono ad istaurarsi tra due o più persone: perché tutti possono insegnare e tutti possono imparare. Per quanto riguarda invece la relazione educativa al disabile, l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere a tal proposito in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile. Bisogna evidenziare le potenzialità, le doti e le capacità di una persona, e si devono conoscere i tratti caratteriali. Nella relazione educativa è contenuta una finalità implicita, educare alla relazione con gli altri, e che le prime relazioni costruiscono un modello per quelle fututre.

    3) Durante il corso abbiamo trattato anche il tema delle protesi estetiche, che vengono usate spesso e soprattutto in questi ultimi anni, per apparire belle ed essere accettate nella società. Questo è un problema che riguarda le donne , ma anche gli uomini. Tutto questo deriva dal canone di bellezza che viene rappresentato dai mass media come i giornali, la televisione, il cinema. Ed è soprattutto per seguire la moda che le persone cambiano il loro aspetto per essere considerate un canone di bellezza. Autori cone Remaury,Lipovetsky e Braidotti hanno tratta di questao tema, cioè la bellezza. Remaury afferma che siamo orientati verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza,bellezza, salute.Il corpo trasfigurato è legato all’immagine della perfezione corporea. La liberazione de "La terza donna" celebrata da Lipovetsky nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati: Dalla malattia cioè sano, dal peso cioè magro, dal tempo cioè giovane, per cui questa è obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto (come il corpo realizzato). Il controllo della propria immagine, tramite la scelta tra i modelli sociali, conduce la donna verso il corpo realizzato, ossia la conquista di un corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su se stessa, assicurato principalmente attraverso il conseguimento di bellezza e salute. Secondo Lipovetsky la donna ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull’apparente acquisizione di grazia. Infine la Braidotti si interroga sulle modalità d’iscrizione del corpo femminile nell’orizzonte fluido, a volte confuso, della discorsività postmoderna. Braidotti si oppone alla “inflazione discorsiva intorno alla materia corporea”, perché va ripensato il rapporto corpo-mente. La donna, capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre al coltempo. È a partire da questa visione che la Braidotti propone alle donne di incarnare, oltre alla maternità e alla mostruosità, anche la macchina prestandosi al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l’immaginario che le sostiene. Si può far riferimento alle protesi estetiche, tecnologie come miglioramento. La non accettazione del proprio corpo è evidente anche e soprattutto dai media,che manda messaggi ai giovani il più delle volte negativi. Bisognerebbe cambiare i canoni di bellezza che ci vengono proposti oggi, ma è evidente come questo non sia proprio possibile!!!
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    Messaggio  ilenia medici Lun Apr 30, 2012 10:25 am

    La scelta delle parole va fatta con ponderazione, sostiene Canevaro, in quanto fare confusione tra deficit, disabilità e handicap può provocare addirittura un aumento del concetto di handicap anziché ridurlo. Ecco perché la moderna pedagogia sociale non può utilizzare un repertorio terminologico obsoleto o inappropriato ma l’evoluzione lessicale e semantica della terminologia che definisce la diversità deve rispecchiare l’evoluzione culturale, oltre che concettuale e scientifica, del modo di porsi nei confronti di una problematica già ampia e complessa di per sé. L’uso appropriato dei termini rappresenta già di per se un momento di integrazione e usare termini corretti non determina solo atteggiamenti ma incidono su nuove prassi, comportamenti e norme.
    Nel 1970 fu elaborata dall’oms, organizzazione mondiale della sanità, l’icd ,l’enciclopedia delle malattie per rispondere all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, indicando per ogni sindrome un disturbo e una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e percorsi diagnostici; nel 1980 l’oms emana una nuova classificazione internazionale l’icidh sostituendo i termini “menomazione, disabilità e handicap” con “menomazione, abilità e partecipazione” in modo da porre maggiore attenzione su quelle che sono le capacità del soggetto implicando un grande cambiamento nell’atteggiamento assunto nei confronti dei soggetti con deficit. Nel 2001 viene poi pubblicato dall’oms il manuale di classificazione ICF che sta per “ classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute” dove la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole; l’icf è dunque un sistema di classificazione che descrive le mutazioni dello stato di salute di una persona dove la disabilità è considerata come misura delle attività che l’ambiente esterno consente di espletare, quindi si passa dal contesto soggettivo ad uno più ampio che supera la condizione propria della persona disabile. Si può affermare che ICD e ICF sono complementari: il primo fornisce un una “diagnosi” delle malattie , dei disturbi o di altri stati di salute e il secondo invece si occupa del funzionamento , infatti due persone con lo stesso livello di funzionamento non hanno necessariamente la stessa condizione di salute.
    Il giudizio critico e spesso condizionato dagli stereotipi largamente diffusi nel nostro vivere quotidiano ci porta molto, troppo spesso a commettere degli errori, errori di valutazione , errori nel rapportarsi con gli altri soprattutto quando si ha di fronte una persona che presenta delle disabilità; una persona non deve essere considerata globalmente disabile, ma anzi, al variare dei contesti e delle richieste può manifestare abilità e o difficoltà. Mi piacerebbe partire da una frase che è rimasta dentro di me , detta da una persona speciale, da un grandissimo esempio di resilienza, Simona Atzori :…"non lasciare agli altri la possibilità di vedere limiti che tu non senti di avere"..con questa frase si evince la serenità d'animo di una ragazza disabile, che ci rende tutti inadeguati ed insensibili rispetto questo tema ,che non rappresenta affatto un limite bensì una risorsa. E’ diverso chi si sente tale: chi non riesce a rientrare nella norma perché è incapace di comportarsi e di vivere come gli altri o perché crede in altri valori e in altri modelli di vita. E’ diverso chi viene considerato tale e pertanto viene emarginato ed escluso.
    La distinzione tra normalità e anormalità, sebbene inevitabile e necessaria, non è un valore assoluto o eterno, ma una convenzione che può essere messa in discussione, criticata, modificata.
    Non sempre la diversità è anormalità.
    Le differenze tra le persone, le diversità, le peculiarità di ognuno sono la ricchezza stessa di ogni situazione sociale, allo stesso tempo si è abituati in maniera più o meno conscia a considerarla un pericolo, un rischio. È questo l’atteggiamento da correggere e su questo punto che bisogna riflettere. Ognuno di noi è portatore sano di amore, di gioia, di valori e di bontà è solo l’involucro che può essere diverso. Parliamo di disabilità, di diversità.. Ma come si può definire diverso una persona eccezionale come il prof. Palladino? Bhe forse diverso si, diverso perchè noi “normodotati” siamo piagnucoloni, , siamo sempre li pronti a lamentarci e a "fare capricci"come diceva il professore, siamo sempre alla ricerca dell'isola che non c'è trascinati da un consumismo esasperato e tralasciando che la vera bellezza è proprio sotto i nostri occhi, gratuita. Troppi,tanti seminari sulle diversità e disabilita spesso scadono nella retorica senza pero coglierne la vera essenza ,ovvero "la forza della disabilita" che ho avuto l'onore di toccare con mano, di cogliere grazie al professore. Con il suo carisma, con il suo fare brillante, con la sua energia ,ci ha travolti, travolti d'affetto,di amore per gli altri,di amore per la vita; è l'esempio tangibile di come la disabilita possa passare da mera menomazione a vera forza di affrontare la vita ,dove anche le piccole cose rappresentano momenti di gioia e di felicita. Come ho già affermato in un mio laboratorio un invito che faccio a tutti e a me in primis è quello di saper cogliere un momento per un sorriso, per uno sguardo, per una parola di conforto, di ricominciare a creare dei rapporti autentici.. Vi è sempre di più uno scambio superficiale di "carezze"...anche il chiedere "tutto ok, come stai" è diventato, tristemente, un qualcosa di automatico, un qualcosa di cui fondamentalmente non ci interessa neanche la risposta perché troppo presi dalla nostra frenetica vita. Fermiamoci tutti perché le parole molto spesso possono essere dei ponti , ma tante altre volte,invece, possono essere dei grandi muri!
    Altro tema che merita un attenta riflessione è sicuramente quello dell’integrazione, un termine di cui troppo spesso si è abusato con superficialità e come ho già sostenuto nei miei elaborati, oggetto talvolta di convegni e passerelle, ma purtroppo la strada da fare per realizzarla è lunga e piena di difficoltà. Il testo di Murdaca mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione e alla comprensione di quale ruolo effettivamente possono assumere i disabili e quali servizi vengono erogati per le loro esigenze.
    Il concetto di integrazione è strettamente legato a quello della diversità, infatti l’idea di diversità come dimensione esistenziale e non come condizione emarginante permette di ripensare l’educazione in termini di “sistema integrato” in cui anche la persona con handicap trova il giusto riconoscimento. In quest’ottica la diversità, l’identità personale e culturale di ciascuno, viene carpita come valore e motivo di crescita per l’altro. Allora, una volta riconosciuta la differenza concettuale tra deficit e handicap, si può evidenziare che una buona integrazione non significa diminuzione del deficit ma diminuzione dell’handicap. Quando si parla di integrazione si fa dunque riferimento ad un paradigma di tipo ecologico che considera l’integrazione della persona con se stessa, della persona con l’ambiente socio-culturale in cui vive, ma anche prospettive epistemologiche e tra le istituzioni; è il contesto sociale, come suggerisce Anna Maria Murdaca, a determinare le condizioni dell’handicap, sono gli ostacoli e le barriere fisiche a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. L’ICF sottolinea l’importanza di valutare l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui: la società, la famiglia, il contesto lavorativo possono influenzarci e ridurre le nostre capacità di svolgere le mansioni che ci vengono richieste e porci in una situazione di difficoltà.
    L’attenzione deve essere spostata verso l’identificazione della particolarità di ciascun soggetto in funzione delle forme multiple di intelligenza, della pluralità dei suoi stili cognitivi e delle strategie di apprendimento e in particolare per le forme di autismo su cui ho avuto modo di riflettere in alcuni elaborati svolti; purtroppo è facile identificarsi, troppo spesso, in un gruppo di appartenenza con conseguenza inevitabile , però, di una riduzione di possibili spassi di realizzazioni; la bravura dell'educatore deve quindi stare nel fornire degli strumenti per consentire al singolo di esprimere se stesso in maniera unica e originale, deve creare un clima di fiducia ( a mio parere punto di partenza per ogni tipo di relazione), cosa che però molte volte risulta difficile da parte di persone che magari stanno già vivendo un particolare momenti di disagio. Anche in quell’occasione ho sostenuto che occorrerebbe valorizzare un percorso di vita per far nascere nuove opportunità formative adatte a motivare, orientare e sostenere lo sviluppo dell’individuo nella sua complessità . In questo quadro si inserisce una nuova cultura dell’handicap che investe normodotati e disabili, sganciando questi ultimi dalla passività per scoprire invece quel ruolo attivo dimenticato dalla società. Occorre in tema di integrazione fare un salto di qualità per uscire dall’ottica pietistica e assistenziale superando il vittimismo, l’emarginazione e il disadattamento. Solo attivando una rete di collegamenti, oggi insufficiente, tra integrazione dei disabili e interazioni dei servizi, sarà possibile valorizzare vere politiche educative e sociali capaci di promuovere una reale integrazione.
    L’integrazione della persona disabile va ricercata anche nella qualità dei servizi sociosanitari, nelle caratteristiche degli ambienti scolastici e lavorativi, così come ho avuto modo di evidenziare nei laboratori svolti in tema di barriere architettoniche. In ultima analisi credo che l’integrazione presupponga adeguate politiche educative e sociali orientate a realizzare in modo efficace l’uguaglianza educativa adeguando i criteri di insegnamento ai bisogni individuali nel rispetto della personalità di ciascuno. Se a livello teorico e legislativo si è fatto uno sforzo evidente, nella pratica di tutti i giorni si rilevano difficoltà dovute in particolare alla mancanza di relazioni di supporto, di accoglienza tese al recupero dell’autonomia e dell’identità del soggetto disabile.

    Diverse indagini hanno dimostrato che alle persone con un aspetto giudicato attraente vengono attribuite anche presunte virtù interiori come onestà, bontà, gentilezza o intelligenza magari inesistenti. Le recenti manipolazioni della materia corporea, non solo di tipo genetico, ma anche medico, chirurgico, dietetico hanno cambiato radicalmente l’idea di corpo associando l’idea di bellezza a quello di magrezza, ripensando al modello imposto dalle passerelle, e tra queste deformazioni troviamo le modelle anoressiche. Remaury, nel gentil sesso debole, dice che tendiamo continuamente ad una perfezione, abbiamo un triplice obiettivo che è giovinezza- bellezza- salute. Rosi Braidotti invece ripropone in “Madri Mostri e Macchine” , il discorso sugli straordinari mutamenti indotti dalla biotecnologie che stanno radicalmente modificando le pratiche della riproduzione e la relazione degli uomini con la materia corporea; riflette sulla capacità della donna di deformare nella maternità il proprio corpo, che appare agli occhi degli uomini come il MOSTRO- MADRE dal corpo deforme, e per questo motivo viene riproposto alla donna un nuovo corpo definito corpo- macchina che determina la nascita di un corpo nuovo. C’è dunque questo strettissimo rapporto tra donna e tecnologia e come ho già avuto modo di discutere in un mio laboratorio è largamente diffusa una politica di non accettazione del proprio corpo ,molto evidente anche nei mass media che mirano alla trasformazione fisica ed al raggiungimento dell’altro corpo che tutti definiscono genericamente bello e perfetto; in particolare il corpo femminile ha sempre subito delle manipolazioni per rispondere ai dettami della società e della moda così come Lipovetsky ne “la liberazione de la terza donna” parla di modelli dominanti imposti e strutturati: dalla malattia cioè sano, dal peso cioè magro, dal tempo cioè giovani..quindi la donna appare obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo perfetto. La bellezza non è un modello unico, non è un valore assoluto a cui tendere, è un qualcosa diverso da persona a persona , un qualcosa che ci rende unici ed inimitabili ..Oggi invece il bello viene ricondotto al magro, un magro che vogliamo raggiungere a tutti i costi e questo perchè la bellezza ideale, i modelli di perfezione da raggiungere, è un qualcosa che ci martella tutti i giorni in televisione.
    E’ un mondo che va veloce, la percezione di non avere tempo, la paura di non aver vissuto degnamente, non ci premette paradossalmente di realizzarci attraverso i canali convenzionali;
    Il lavoro duro, l’impegno, il sacrificio, le rinunce, sembrano essere valori legati a generazioni ormai passate alle quali ripensiamo riconnettendole ad un senso di inappropiatezza, ai nostri occhi sono “sfigate”;
    I mezzi di comunicazione di massa hanno permesso a persone mediocri di diventare popolari.
    Il ballo, il canto, la recitazione sono attività da sempre considerate ludiche, attività di intrattenimento, non attività lavorative o comunque capaci di generare reddito.
    Cosa è successo alla bellezza? Da questa premessa a mio parere scaturisce la necessità di ognuno di noi di realizzarci in maniera veloce e facile,di acquisire visibilità, popolarità.
    La ricchezza è una necessità, non un risultato.
    La maggior parte delle persone conosce il mero prezzo delle cose presenti sul mercato ma non il valore che tali beni producono nella vita di ognuno di noi.
    Concludo affermando che un corpo scolpito, un viso angelico sono sicuramente d’aiuto ma la vera bellezza arriva da dentro e dl sentirci bene dapprima con noi stessi: è quella la bellezza che illumina i nostri occhi e fa splendere i nostri sorrisi, quella bellezza che rende unica ogni donna e ogni uomo.
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    Ilaria cozzolino


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    Messaggio  Ilaria cozzolino Lun Apr 30, 2012 2:09 pm

    1) Nel 1970, l'OMS elabora l'International Classification of Diseases (ICD), focalizzata sulla causa, sulla descrizione delle principali caratteristiche cliniche e sulle indicazioni diagnostiche delle patologie. Inoltre, al fine di rispondere alla necessità di un'omogeneizzazione dei dati nel mondo, le diagnosi vengono tradotte in codici numerici. L’ICD, che ha particolare riguardo per l'aspetto etiologico della patologia, è una classificazione in cui assume un ruolo centrale il nesso di causa. Tuttavia, il limite è quello di non prevedere le conseguenze della patologia, tanto che, oltre a periodiche revisioni (si ricordi tra l'altro che con l'industrializzazione si diffondono nuove patologie causate da fattori non presenti in natura e sovente caratterizzate da cronicità, multietiologia e irreversibilità), già nel 1976 all'ICD si affianca un testo relativo proprio alle conseguenze delle malattie, o a fenomeni a queste connesse. Nel 1980 si realizza International Classification of Impairment, Disabilities ad Handicap detta brevemente (ICIDH). L'esigenza di un superamento concettuale della ICD è dunque dettata dalla constatazione che le persone, oltre a subire le manifestazioni cliniche della malattia, possono risultare incapaci di svolgere il loro ruolo sociale e di mantenere normali relazioni. In questa prospettiva, l'ICIDH propone le nuove definizioni di Impairment, Disability ed Handicap, di seguito sintetizzate:
    Menomazione:Indica ogni alterazione anatomica o funzionale, psichica o fisica, rispetto agli standard biomedici generalmente accettati. È evidente la specificità medica della definizione, richiesta per un apprezzamento quantitativo e soprattutto qualitativo. Altro punto essenziale, è quello di riferimento, cioè la "normalità", che non è intesa come assoluta, quanto piuttosto come un concetto statistico di normalità in rapporto alle persone di stesso sesso ed età. Inoltre, non sempre la stessa menomazione incide in ugual modo nella vita reale di ogni persona (si pensi all'esempio alla diversa gravità dell'amputazione della falange ungueale del mignolo per un violinista rispetto al resto della popolazione)
    Disabilità: Indica in ogni diminuzione delle possibilità, derivante da una menomazione, di effettuare una specifica azione finalizzata, nello stesso modo di un "medio" essere umano. Non riguarda l'estrinsecazione della funzione relativa ad una struttura anatomica o funzionale, ma l'abilità di tutta la persona, e non di una sua parte, a compiere una determinata azione della vita quotidiana, che consiste in una serie di attività complesse e tra loro integrate, nello svolgimento di un determinato compito (lavorativo, ricreativo, necessario o superfluo) della vita quotidiana. Questo argomento l’abbiamo trattato nel laboratorio orologio barriere architettoniche dove si sono notate le difficoltà che un disabile incontra durante la sua giornata. Infatti abbiamo simulato una nostra giornata tipo rapportata alle difficoltà che può incontrare un disabile.
    Handicap :(termine inizialmente adottato nella traduzione in francese dell'ICIDH) Può derivare da una menomazione, ma in genere è in relazione alla disability con compromissione della sfera sociale dell'individuo. Il fatto che si riferisca non tanto all'individuo in esame, ma alle condizioni esterne (si pensi, ad esempio, all'ostacolo rappresentato da uno scalino per chi è sulla carrozzina), rende questa definizione di non immediato inquadramento medico-legale e richiede l'esigenza di una collaborazione con altre figure professionali.
    Si arriva a maggio 2001, quando l'OMS promulga l'International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF). All'elaborazione di questa classificazione hanno partecipato 192 governi che compongono l'Assemblea Mondiale della Sanità, tra cui l'Italia, che ha collaborato tramite una rete denominata Disability Italian Network (DIN), formata da centri dislocati sul territorio nazionale e coordinata dall'Agenzia regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia. Già il titolo del testo è indicativo di un cambiamento sostanziale nel modo di affrontare il problema, innanzitutto fornendo un linguaggio unificato di classificazione per descrivere lo stato dei soggetti. Inoltre, non ci si riferisce più a un disturbo, organico o funzionale, senza prima rapportarlo a uno stato di salute. Il nuovo documento sostituisce ai termini "impairment", "disability" e "handicap", dalla connotazione negativa con funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione. Un aspetto fondamentale dell'ICF, rispetto alle passate definizioni, è che non riguarda solo le persone con disabilità, ma tutti, assumendo pertanto uso e valore globale. Quindi a ciascun individuo può essere associato uno o più dei suddetti parametri.
    Si tratta dunque di una classificazione:
    • omogenea, perché propone terminologie e classificazioni da usare nel mondo;
    • positiva, perché parte da un contesto "fisiologico" individuale ed ambientale, inteso in senso dinamico, per dire se e quanto ciascuno se ne discosta. Il termine disabilità è stato sostituito da attività; handicap è stato sostituito da partecipazione;
    • globale , perché non interessa solo il menomato nella sua condizione, ma ogni individuo;
    • integrata, perchè si esprime tramite l'analisi dettagliata di tutte le dimensioni esistenziali dell'individuo, poste sullo stesso piano, senza distinzioni sulle possibili cause.
    Gli ambiti nei quali può essere utilizzato ICF sono: Sanitario, Sociale, Educativo, Ricerca, Statistico, Politica sociale e sanitaria.
    In ambito pedagogico bisogna fare una riflessione tra Disabile e Diverso. Il disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, un individuo affetto da disfunzioni motorie e/o cognitive, inoltre i disagi sociali che riscontra il soggetto possono influenzare nella sfera psicologica. Un esempio lo abbiamo riscontrato nell’incontro con il prof Palladino che ha perso la vista all’età di 13 anni e nonostante la sua situazione ha una energia e una solarità.
    Mentre il diverso può essere una persona non necessariamente affetta da menomazione fisica o psichica ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche, si pensi allo straniero una persona diversa per lingua, cultura, costume, abitudini e religione.
    In classe abbiamo affrontato anche questo argomento facendo una simulazione Sindaco/emarginato. La professoressa in classe ha fatto finta di essere un sindaco e ha dettato delle regole; una di queste era quella di escludere tutte le persone con gli occhiali. Io non ero una di quelle escluse ma comunque mi sono sentita male. Gli esclusi attiravano la nostra attenzione ma noi non potevamo fare niente.
    2) Anna Maria Murdaca docente esperta e autrice competente in questioni relative la persona con disabilità nel suo testo “Complessità della persona e disabilità” mira:
    1) alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità che deve essere attenta a cogliere tanto le disfunzioni comportamentali quanto ad innalzare la qualità della vita dei soggetti;
    2) alla rimodulazione del termine integrazione;
    3) alla comprensione delle reali condizioni di vita, quale ruolo effettivamente possono assumere i soggetti disabili.
    Secondo l’autrice occorre adottare l’ottica della globalità, cioè una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta non soltanto ad analizzare i temi del funzionamento e del comportamento o assistenza del soggetto disabile, ma anche centrata sul riconoscimento della persona. E’ il contesto sociale a determinare la condizione di handicap, sono gli ostacoli e le barriere a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione.
    L’ICF sottolinea l’importanza di valutare l’influenza dell’ambiente sulla vita degli individui attraverso la società; la famiglia; il contesto lavorativo. La famiglia è molto importante per la partecipazione alla vita della scuola ed è necessaria per garantire coerenza educativa all'azione di famiglia e scuola. Ciò deve essere coltivato in maniera precisa, soprattutto per porre fine a quella sorta di diffidenza reciproca esistente tra genitori e insegnanti. Entrambi sono inclini ad attribuire l'uno all'altro le cause dell'eventuale disagio/insuccesso scolastico dei figli/alunni. La collaborazione tra scuola e famiglia è indispensabile, se si vuole rendere armonici i processi d'istruzione e di educazione portati avanti dalle due istituzioni. Studi condotti in alcuni paesi del mondo occidentale individuano nella partecipazione tra scuola e famiglia la ragione fondamentale della buona riuscita scolastica dei minori. Sviluppo cognitivo e comportamentale sono positivamente correlati con il corretto andamento dei rapporti tra genitori e insegnanti. Scuola e famiglia devono poter agire su un piano di parità, contraddistinte da precisi diritti e doveri, tese entrambe ad attuare un patto formativo in un rapporto di reale cooperazione. L'istanza della cooperazione conferisce maggiore forza e concretezza al tema del patto formativo, il quale, anch'esso raccomandato dalle leggi, può essere chiarito proprio alla luce della reciprocità tra scuola e famiglia, ovvero in riferimento alla ridefinizione dei rispettivi ruoli e funzioni.
    L’obiettivo del testo di Murdaca è quello di valorizzare la persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità, considerazione innovativa nel campo della disabilità. Su questo tema la professoressa ci ha fatto fare in aula 2 tipi di setting. Il secondo mi ha molto colpito in quanto mi sono immedesimata nella scena, perché parlava di una persona che è timida ed ha difficoltà ad allacciare amicizie. L’educatore si è immedesimato nella situazione ed ha cercato di aiutarla e di comprenderla.

    3) Remaury e Lipovetsky parlano della triade bellezza, salute e giovinezza. La cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza. Nella rappresentazione della femminilità la bellezza è associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla. Diverse indagini hanno dimostrato che alle persone con un aspetto giudicato attraente vengono attribuite anche presunte virtù interiori come onestà, bontà e intelligenza. Ad esempio Remaury nel suo testo “Il gentil sesso debole” dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza e salute.
    Invece Lipovetsky nel suo libro “la terza donna” ha raggiunto una fase positiva della cultura della bellezza, basata sull’apparente acquisizione di grazia. Un corpo è considerato libero o liberato, energetico e perfetto quando si svincola dalle minacce esterne, ad esempio, la liberazione della malattia. L’obiettivo è la conquista dell’eterna giovinezza apparente.
    L'autrice Braidotti parla del corpo femminile però connesso alla tecnologia. Ella afferma che creare un legame tra femminismo e tecnologia,giocare con l'idea di un corpo-macchina è certamente un rischio e non dà alle donne la certezza di uscirne vincitrici da questa sfida. In aula abbiamo parlato se siamo d’accordo sulla chirurgia estetica, io non sono molto favorevole alla chirurgia estetica su di me perché poi non mi riconoscerei. La bellezza standardizzata non mi piace, i difetti hanno il loro fascino.
    Naturalmente questi sono discorsi molto generali e capisco che, se una persona ritiene di avere un difetto molto accentuato con cui non riesce a convivere, la chirurgia estetica può essere una soluzione. Invece se si parla di ritocchi per nascondere l'età li trovo un po' ridicoli. Un po' come i capelli dai colori inverosimili delle vecchiette.
    La disabilità la possiamo trovare anche nell'arte, infatti la docente ci ha fatto vedere delle immagini di quadri. Quello più significativo per me è il ritratto della ballerina Anita Berber di Otto Dix. Anita Berber è stata una ballerina, attrice e scrittrice tedesca molto famosa in Germania ma il suo successo è dato soprattutto dalla sua bisessualità e dalla sua dipendenza dalla cocaina. é morta giovane a 29 anni
    Anita viene rappresentata con un lungo vestito rosso aderente che mostra le sue curve e lo sfondo di questo quadro è anche esso rosso. L'attrice viene rappresentata in tutto il suo splendore come femme fatale ma in realtà il suo volto è segnato da una vita di eccessi e di vizi. L'arte è uno strumento utile perchè ogni singolo artista mostratoci dalla docente in aula ci ha lasciato un messaggio tramite il suo lavoro
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    Messaggio  Antonella Russo Lun Apr 30, 2012 3:58 pm

    1) E’ lungo il percorso che porta dall’ICD all’ICF. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha elaborato intorno agli anni 70’ la “classificazione Internazionale della malattie” o ICD, non è altro che un enciclopedia contenente tutte le caratteristiche cliniche delle malattie ed ha lo scopo di scoprire le varie patologie assegnando ad ogni disturbo le sue principali caratteristiche. Negli anni 80’ si è passiti poi all’ICIDH (International Classification of Impairments, Disadilities and Handicaps), una classificazione internazionale, grazie alla quale si è potuto fare una distinzione tra menomazione, disabilità ed handicap. Per menomazione si intende qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psico-logica, fisiologica o anatomica. La menomazione è un danno organico, una mancanza che non permette il reale svolgimento di un attività. Per disabilità si intende come qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano. La disabilità non è solo un deficit ma una condizione che va oltre la limitazione, oltre le barriere mentali ed architettoniche. Per handicap si intende la condizione di svantaggio conseguente a una menomazione o a una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, al sesso e ai fattori socioculturali. Come avevo già commentato nel laboratorio sulla mappa degli stereotipi, le parole sono importanti (volendo citare la frase di Caneavro) è importante dare il giusto peso alle parole, soprattutto in situazioni "diverse", poiché esse potrebbero causare un seria difficoltà. Ogni parola ha il suo peso e il suo significato ed è giusto usarle con parsimonia. Come possiamo notare, anche sopra, vi è un collegamento tra le tre parole ma non parliamo della stessa cosa. Parte tutto da una menomazione, ovvero mancanza, per passare alla sua esteriorizzazione che da vita ad una dis-abilità ed arrivare all’handicap inteso come disagio sociale. Come si può notare vi è un grandissimo collegamento nonostante il loro unico significato. Bisogna quindi usate la parola giusta al posto giusto.
    Nel 2001, in seguito, è stato pubblicato il manuale di classificazione ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute). Secondo l’ICF la disabilità non è altro che una condizione di salute derivata da un contesto sgradevole. Con questa classificazione i termini menomazione, disabilità e handicap sono stati sostituiti da funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione e fattori ambientali. Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei, incluse le funzioni psicologiche. Le strutture corporee sono parti anatomiche del corpo come organi, arti e loro componenti. Attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo. Partecipazione è il coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita. I fattori ambientali sono caratteristiche, del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti, che possono avere impatto sulle prestazioni di un individuo in un determinato contesto. Questa sostituzione è avvenuta con l’obiettivo di prestare maggiore attenzione alle capacità del soggetto e del suo coinvolgimento all’interno della società. L’ICF non effettua solo una classificazione delle condizioni di salute, di malattia, o traumi, che interessano ICD, ma si occupa anche delle conseguenze associate alle condizioni di salute ponendo come centro la vita delle persone permettendo di evidenziare come queste ultime convivono con la loro situazione e cosa fanno per migliorarla. Questa classificazione viene utilizzata da tutti gli operatori sanitari, sociali ed educativi attraverso l’utilizzo di una checklist che fornisce una descrizione neutrale del funzionamento e i suoi aspetti negativi, presenza o assenza di menomazione, fattori contestuali etc..
    Ritornando all’importanza delle parole spesso le parole diverso e disabile vengono confuse tra di loro. Il disabile, come è stato riportato sopra, è colui che è impossibilitato a svolgere le normali attività di vita quotidiana, colui che presenta una mancanza. Spesso il disabile scopre di esserlo stando insieme ai normodotati. Nonostante questo esistono persone con disabilità che non si sentono tali poiché sono riusciti a superare quelle barriere, stereotipi e pregiudizi, come ho spesso ripetuto nei miei commenti, che purtroppo affollano la nostra società. La disabilità spesso viene confusa con la diversità. La diversità mette alla luce una persone, la quale oltre a possedere una dis-abilità, possiede anche delle abilità diverse dagli altri. Per questo recentemente è stato introdotto il termine diversamente abile, sostituito al termine comune, disabile.
    Quello sopra elencato è la parte teorica, ma la pratica o l’immaginazione ci permette di costatare tutto quello studiato. Il nostro esperimento sull’orologio ci ha permesso si entrare nel mondo di un'altra persona, di una persona diversa da noi, che presenta si delle mancanza ma ha molto altro.
    L’esperienza del sindaco e dell’educatore... Sono tutte esperienze che ci permettono di comprendere quanto la teoria rispecchia la nostra pratica. L’esperimento del sindaco ha potuto dimostrare quello che ho sempre pensato, cioè che la nostra società è sommersa di pregiudizi, ed allontanare le persone con gli occhiali ne è stata la dimostrazione.

    2) Anna Maria Murdaca nel suo testo “Complessità della persona e disabilità” affronta vari temi come quello dell’integrazione, la complessità e umanità della persona, la cura e la relazione educativa, l’ambiente, il disabile come cittadino a pieno titolo, etc… La scrittrice si sofferma principalmente su :
    • La rimodulazione del termine integrazione
    • La ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
    • La ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    L’autrice sostiene che bisogna dirigersi verso l’inclusone adottando l’ottica della globalità. E’ il contesto sociale a determinare la condizione di disabilità e di handicap, sono le barriere fisiche a favorire il processo di esclusione o quello di emarginazione. Qui riporterei nuovamente l’esperimento del sindaco, quello si che è una vera e propria forma di esclusione sociale. L’obiettivo principale dell’autrice è la valorizzazione della persona rispettando le proprie differenze. Dobbiamo quindi cercare di integrarci. Per integrazione si intende un processo continuo, una continua ricerca di soluzione, per cercare di preservare i diritti dei disabili i quali sono cittadini a pieno titolo. Integrare come accoglienza verso diverse identità in prospettiva umanistica e come condivisione di valori etici che tengono conto del rapporto dignità; diventare quindi parte organica di un contesto. Non si dovrebbe considerare nessuno per sottrazione poiché si tratta di persone e devono essere valutate per le loro capacità, perche quando parliamo di disabile parliamo di un uomo. L’idea è quindi quella di pensare ad una società con veri spazi di formazione per disabili sviluppando così indipendenza ed emancipazione. E’ importante quindi stabilire una buona relazione educativa con la quale si intende qualsiasi relazione che si intraprende tra due persone. La prima relazione che si instaura è sicuramente quella con la madre è un rapporto dove si da e si riceve e non necessariamente l’educando deve essere il bambino. È una relazione fatta di esperienze belle o brutte che siano, restano pur sempre esperienze che permettono di formare una persona forte. La seconda relazione avviene con il docente, che rappresenta per certi versi, insieme alla classe, una grande famiglia. Una relazione questa fatti di scambi, fatta di un ricevere e di un dare. Compito primario è quello di instaurare un rapporto solido che gli permette di riuscire a valutare caso per caso, perché come ben sappiamo ogni alunno ha la sua storia, e spesso non si tratta di preferenze ma semplicemente di storie diverse. Insegnare a confrontarsi con l’altro trasmettendo stima e rispetto per la sua persona. La relazione è emozione, positività, fiducia, accoglienza, ascolto.

    3) Abbiamo spesso affrontato il discorso sulle protesi estetiche. Per protesi estetiche si intende un miglioramento del nostro corpo. Spesso ci siamo chiesti se potenziamento o svantaggio. Come ho riportato nell’ commento sulle protesi estetiche il caso di Richard Lee Norris è la dimostrazione di quanto la tecnologia abbia fatto passi da giganti. Quello di Norris è il caso di una protesi estetiche che porta ad un vantaggio sia personale che estetico. Il giovane Richard era costretto a chiudersi in casa per colpa del suo viso mentre grazie alla tecnologia abbiamo potuto far fronte a questo disagio. Questo è un esempio di potenziamento, ma purtroppo nella nostra società esiste anche altro…esistono persone che utilizzano la tecnologia estetica per raggiungere la perfezione, come ci dimostra Remaury nel suo testo “Gentil sesso debole”, abbiamo un triplice obiettivo: Giovinezza-Bellezza-Salute. Per sesso debole si intende principalmente quello della donna che vuole continuare ad avere bellezza e giovinezza. Tutto questo perche forse, come hanno dimostrato recenti studi, le persone con un aspetto giudicato attraente vengono attribuite virtù interiori come l’onestà, la bontà, la gentilezza e via dicendo…Come ci fa notare anche Lipovetsky nel suo libro “la terza donna” i valori tra cui può e deve scegliere una donna sono quelli di eterna giovinezza, perfetta bellezza e salute totale. La prima donna era una donna svalutata, sfruttata, demonizzata. La seconda: l'icona, l'ideale di virtù, la Beatrice. Il ventunesimo secolo, l’era della terza donna racchiude in sé le due precedenti, ma le supera in una nuova, quella di donna indefinita.
    Anche Rosi Braidotti ci riporta nel suo libro “Madri, Mostri e macchine” il cambiamento che si è avuto con l’avvento delle tecnologie. Per la Braidotti non era importante sapere chi siamo ma cosa vogliamo diventare…
    E con questa frase che voglio terminare la mia relazione, cercando di far capire quanto sia importante restare se stessi, e non cercare di cambiare il proprio corpo perché un ideale di bellezza ancora non è stato creato!
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    Messaggio  antonia petrella Lun Apr 30, 2012 4:02 pm

    1) La prima classificazione elaborata dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è la classificazione Internazionale delle malattie (IED), ed è come se fosse un'enciclopedia delle malattie, che rrisponde all'esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. L'ICD si delinea quindi come una classificazione causale, focalizzando l'attenzione sull'aspetto eziologico della patologia. L'ICD però rileva ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l'OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l'attenzione non solo alla causa della patologia, ma anche sulle loro conseguenze, e cosi nasce l'ICIDH, che fu a sua volta sostituita con l'ICF. L'ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della disabilità e della salute) è stata pubblicata dall'OMS nel 2001. L'ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali, al fine di cogliere le loro difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità. L'ICF vuole fornire un'ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in ambiente sfavorevole. Questo ambiente sfavorevole l'abbiamo potuto notare nel laboratorio barriere architettoniche, svolgendo l'esercizio dell'orologio. Da questo esercizio è emerso che al giorno d'oggi il problema barriere architettoniche sia ancora presente nella società in cui viviamo, lo stesso attraversare la strada divente impossibile se non vi è una scesa, il prendere un mezzo pubblico diventa un problema e la causa è la mancanza di scivoli. E' molto comune al giorno d'oggi confondere i termini diverso e disabile. Sono due termini profondamente carichi di molteplici significati che meritano una riflessione. Il disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana, è un soggetto con disturbi fisici o psichici che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normo dotate, come i componenti della sua famiglia. Il diverso invece può essere una persona non necessariamente affetta da menomazione fisica o psichica ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche. Il diverso non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società a suo malgrado, e per questo molto spesso il diverso viene isolato, emarginato solo perchè non lo conosciamo. Il diverso non lo capiamo, quasi sempre perchè non ci proviamo nemmeno.
    2) Anna Maria Murdaca è l'autrice del libro "Complessità della persona e disabilità". Il testo mira: alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazine e alla comprensione delle reali condizioni di vita dei disabili e quali servizi vengono erogati per le lor esigenze. Secondo l'autrice occorre adottare l'ottica della globalità, ovvero una nuova cultura e conoscenza della disabilità, attenta sul riconoscimento della persona in evoluzione. Secondo la Murdaca è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap, sono gli ostacoli o barriere fisiche a favorire il processo di emarginazione oppure quello di esclusione. L'ambiente (famiglia, scuola ecc..) può essere una barriera o un facilitatore per l'integrazione del disabile. L'integrazione è un processo continuo, non un punto di arrivo, una continua ricerca di soluzioni per preservare i diritti acquisiti dei disabili. La relazione educativa favorisce l'integrazione. Le relazione educative sono tutte quelle relazioni che si stabiliscono tra due o più persone, in famiglia madre/figlio, a scuola docente/discente e la relazione tra educatore e disabile, il quale deve mettere in risalto le sue potenzialità e non le sue mancanze. In classe abbiamo fatto un paio di simulazioni riguardante il setting dell'educatore. Nel primo setting vi era l'educatore con una ragazza con il figlio, che aveva problemi con la professoressa di sostegno del figlio, l'educatore si è comportato in modo impeccabile mettendo a proprio agio la ragazza facendola parlare. Nel secondo setting, invece, vi era una ragazza con l'educatore. In questo setting ho visto più vergogna e più timore di parlare da parte della ragazza, anche se l'educatore facendo domande specifiche è comunque riuscita a farla aprire.
    3) Remaury e Lipovetsky, parlano della triade bellezza, salute e giovinezza. Remaury, nel libro "Il gentil sesso debole" dice che siamo orientati e diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza, bellezza e salute. Lipovetsky nel libro "La terza donna" nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati: dalla malattia cioè sano, dal peso cioè magro e dal tempo cioè giovane. L'obiettivo che simbolicamente ci si prefigge, non potendo realizzare quella fisica, è la conquista dell'eterna giovinezza apparente. E proprio riguardo all'eterna giovinezza durante il corso abbiamo affrontato l'argomento delle protesi estetiche. Secondo me le protesi utilizzate solo con lo scopo di migliorare il proprio corpo è una cosa assurda, perchè una persona deve iinvecchiare con l'età, con il tempo, non può rimanere eternamente giovane. Concludo citando Rosi Braidotti, con il testo "Madri, mostri e macchine", la Braidotti parla anche del rapporto tra corpo-macchina, un corpo che diventa talvolta mostruoso, come per esempio quando la donna è in maternità e quindi deforma il proprio corpo e questo diventa per l'uomo allo stesso tempo madre e mostro.
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    Prova intercorso (riapre a giugno) - Pagina 2 Empty OGNI DISABILE HA LA SUA STORIA COME PERSONA,BISOGNA AGIRE E PENSARE GLOBALMENTE.

    Messaggio  SERAFINA CILIENTO Lun Apr 30, 2012 5:21 pm

    1)L’ OMS(organizzazione mondiale della sanità)nel 2001 propone una definizione del concetto di disabilità che è estremamente innovativo rispetto alle classificazioni precedenti. Inizialmente l’ OMS ha elaborato l’ICD(enciclopedia delle malattie)che ha dato una descrizione precisa delle principali caratteristiche cliniche della sindrome e del disturbo dei disabili. E’nata negli anni ’70 ed equipara la disabilità ad una vera e propria malattia. L’ ICD è una classificazione che centra l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia. La disabilità per la prima volta viene espressa in cifre,una vera e propria suddivisione in categorie. Negli anni ’80 nasce ICIDH modificando l’ICD. L’OMS con lo scopo di rimediare al problema della definizione di disabilità crea una classificazione internazionale ossia l’ICDH. Qui si sostituiscono ai termini:menomazione, disabilità ed handicap o svantaggio i termini :menomazione,abilità e partecipazione(quindi una maggiore attenzione al soggetto). In quegli anni però non c’era partecipazione(anticipo dell’integrazione scolastica).Negli anni ’90 la terza classificazione è l’ICF(non ancora utilizzato)secondo il quale la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. Quindi non si considerano più solo i fattori bio-medici e patologici,ma anche l’interazione sociale(si considera la persona in quanto tale). Fondamentale è il contesto sociale poiché esso determina le condizioni di handicap. Sono fondamentalmente gli ostacoli e le barriere(sia mentali che fisiche)a favorire il processo di esclusione ed emarginazione. E’ l’immagine sociale che costruisce le premesse per il riconoscimento della persona e per le opportunità concessegli in quanto l’handicap è un fenomeno assolutamente sociale. Fondamentalmente c’è un pregiudizio di base,una visione che limita,che si basa su considerazioni non reali,ma prive di validità diamo semplicemente un’etichetta a volte per auto-difesa . Cartelli definisce al meglio il concetto di stereotipo: “Lo stereotipo è uno spontaneo meccanismo di difesa dall’angoscia, dalla paura derivante dal nostro rifiuto di specchiarci in una immagine non gratificante e lo stereotipo sociale diventa giustificazione razionale della rimozione del problema”. . Definiamo il diverso tramite uno stereotipo facendo riferimento alla nostra cultura sociale. E’ importante soffermarsi sulla terminologia,sulle parole utilizzate nel campo della disabilità. Ci siamo soffermati sulla parola deficit(la mancanza totale o parziale di una determinata funzionalità fisica);handicap(È la difficoltà a maturare quelle disposizioni necessarie alla realizzazione progressiva della personalità integrale) e disabilità(ossia l’incapacità, conseguente alla menomazione,di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo e nell’ampiezza considerati ‘normali’ per un individuo). Questo porta a due conseguenze:quella di considerare chi ha un handicap problema solo di chi ha quel deficit e quella di pensare che coloro che hanno deficit non sono uomini come gli altri(l’esempio del circo che adopera nani o l’uomo troppo alto come strumento di spettacolo).In realtà la “diversità”porta alla categorizzazione. La disabilità diventa il fattore identificante dell’intera persona che non viene più vista nella sua interezza,ma solo per il suo deficit determinando il meccanismo di esclusione. Portando la “vittima” a sentirsi inadeguato e inferiore. Penso che il termine “disabile”non sia congruo nel senso che secondo me questo termine ha già in sé un accezione negativa in quanto manca di qualcosa,manca di qualche funzione,è limitato. Preferisco il termine diversabile(che ha abilità diverse dagli altri).Abbiamo notato tutti che nel momento della simulazione non avevamo la vista,ma si è sviluppato un altro senso(l’udito). Forse senza il foulard avremmo sentito e non avremmo ascoltato. Abbiamo studiato alcuni esempi:la Atzori o Pistorius che pur avendo il loro deficit di dis-abilità non hanno proprio nulla. Non sembrano affatto dei disabili e credo che loro non si sentano nemmeno come tali. Infatti la Atzori dice “I limiti esistono in chi ci guarda”.Sembra che non le manchi proprio nulla,anzi che abbia più degli altri. Concordo con il titolo del libro di Candido Cannavò “e li chiamano disabili”!Credo che la simulazione della città (in cui io ero dalla parte dei cittadini) ci abbia fatto capire al meglio su quanto sia semplice emarginare piuttosto che includere. La cosa che mi ha colpito è stata che mentre noi potevamo avere qualsiasi cosa in quella città,gli emarginati aspettavano solo un cenno per poter diciamo così “tornare in città".Di solito mi sono trovata proprio emarginata per il mio carattere molto chiuso e trovarmi dall’altra parte mi ha fatto un certo effetto,ma non di piacere. Mi spiaceva per le ragazze vicino la cattedra. Non potevo far a meno di creare empatia con loro,di mettermi nei loro panni che poi secondo me è la “dote”fondamentale di un educatore che ha passione per il suo lavoro . La città poteva esigere che gli emarginati fossero integrati di nuovo all’interno della città o che loro creassero una città tutta loro,ma ciò non è avvenuto. Era molto più semplice chiedere cose che desideravano piuttosto che esigere che i loro diritti fossero rispettati. Si parla tanto di diritti,ma i diritti dei diversabili quando vengono rispettati?!E’ importante secondo me citare John Stuart Mill (uno dei padri del liberalismo)il quale si interrogava in “On Liberty” sulla natura e sui limiti del potere che la società poteva esercitare sull’individuo e rispondeva formulando il ‘principio del danno’, secondo cui l’intervento della società è giustificato solo quando la condotta di un individuo è tale da nuocere agli altri e il singolo deve rispondere verso la società solo delle azioni che incidono sulla sfera di attività del prossimo. Ma qui non si nuoce il prossimo?la società che doveri ha nei confronti dei diversabili? perchè la società non fa sì che TUTTI godano dei propri diritti?! E’ possibile vivere nel 2012 in una democrazia declinata sulla volontà della maggioranza?
    2) Anna Maria Murdaca scrive il testo “Complessità della persona con disabilità”,il quale mira:
     la rimodulazione del termine integrazione
     la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità
     la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità
    Secondo l’autrice occorre abbandonare la logica dell’inserimento(legge 118 del 1971)e dirigersi verso L’inclusione,occorre adottare l’ottica della globalità. Una nuova cultura della disabilità centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica e quindi non solo attenta ad analizzare i temi del funzionamento,dell’assistenza del disabile. L’obiettivo fondamentale è la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità,considerazione innovativa nel campo della disabilità presente nella riforma scolastica della legge delega 28 marzo 2003 n.53 art.1 a fronte dell’ICF. L’integrazione è un processo continuo non un punto di arrivo,una continua ricerca di soluzioni,di strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dei disabili. In particolare il diritto dell’uguaglianza e delle pari opportunità della legge 48 del 1996. Secondo il documento del Miur(le raccomandazioni generali):l’integrazione è intesa come astratta normalità che poi si traduce in propensione all’uniformità,bensì al valorizzare al meglio le dotazioni individuali,non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione senza perdere l’umanità perché si tratta di PERSONE(si caratterizzano per capacità non per quello che non sanno fare).La logica della disabilità è la stessa del linguaggio che deve essere multilineare e plurisequenziale,deve analizzare il soggetto,il contesto. Per quanto riguarda il concetto di cura bisogna tener presente che il termine è intrinseco all’agire educativo,cura come emancipazione dei soggetti volta alla realizzazione dell’uomo per ciò che egli è e per ciò che egli può diventare(Jonas) .La cura educativa va intesa come:atto di comprensione capace di aiutare la persona con deficit a ridare senso e significato alla sua personale esperienza,a ricordarsi di sé,dell’unicità della sua storia. Si cerca un nuovo termine al termine “integrazione”:come accoglienza e come condivisione(di valori etici che tengono conto della dignità,autonomia,identità,potenzialità).A questo proposito occorrono misure di sostegno pedagogico, sociale, sanitario, legislativo e coscienze disponibili. Il nuovo scenario è quello di mirare all’emancipazione del soggetto con disabilità non all’accudimento. La relazione educativa per me è:una persona che stabilisce una comunicazione con un' altra persona(anziano/adulto/adolescente) il cui scopo è quello di creare una relazione fra le persone e che produce un apprendimento in una delle due (a volte anche ad entrambe) e penso che l’educatore sia quella figura d’esempio che porti il soggetto ad essere autonomo.Il libro distingue le relazioni in:madre/figlio; docente/discente(il cui legame produce apprendimento e il cui legame non deve essere di disparità,ma ci deve essere un incontro e uno scambio);mono-direzionali(dove avviene uno scambio si da e si riceve);educatore/educando(tra di loro deve esserci assoluto rispetto e in quel caso l’educatore non riceve nulla di materiale,ma a livello personale veramente tanto quindi c’è una crescita personale da entrambe le parti).Gli educandi non sono necessariamente bambini possono essere anche adulti con problemi di droga,di alcool. Il rapporto deve essere quello di una “guida” per la persona in difficoltà. In una relazione educativa è fondamentale lo scambio di emozioni,dove l’educatore è predisposto all’accoglienza. Il legame affettivo è fondamentale in quanto permette alla persona in difficoltà di fidarsi per poi esprimere le proprie emozioni. L’educatore è soprattutto colui che ascolta anche se ha un pensiero divergente. Tra l’educatore e i suoi alunni deve stabilirsi un rapporto familiare con lo scopo di raggiungere degli obiettivi.l’insegnante non deve limitarsi alla mera lezione fatta di nozioni,ma deve creare un clima sereno,far entusiasmare e confrontare l’alunno con gli altri,deve farli sentire a loro agio. Tutti i rapporti umani sono formativi. Per quanto riguarda i soggetti disabili bisogna potenziare le doti e non mettere in luce le “mancanze”, considerare i suoi bisogni. Inoltre l’atteggiamento dell’educatore deve essere accogliente per fare in modo che il soggetto si fidi e parli e l’educatore ha il compito di ascoltare. L’immagine della prima giornata del corso,quella del fiore nato sull’asfalto per me rappresenta proprio la “missione” dell’educatore. Il suo compito è quello di seminare proprio come la donna che seminava con l’intento di far nascere dei fiori sull’asfalto,ma il suo scopo è quello di far nascere delle figure autonome,resilienti,con una propria identità e una propria autostima. La relazione educativa è uno spazio ripartivo nel quale il disabile sperimenta con gli educatori/insegnanti una serie di vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati,ricostruiti e integrati nella relazione educativa e che consentono agli operatori di progettare delle opportunità educative affinché il disabile ripensi al proprio stato e alle proprie capacità eliminando maschere o blocchi scoprendo le forze resilienti capaci di far superare le difficoltà insite nella personalità. La nuova cultura della disabilità deve essere attenta a:cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive quanto a innalzare la qualità della vita dei soggetti.La costruzione dell’identità deve avvenire in luoghi rassicuranti,capaci di sviluppare le potenzialità personali cercando di valorizzare la differenza come risorsa. L’integrazione(che integra,mira alla globalità della persona) deve consistere in un azione di sviluppo;d’interazione;modulazione e coordinazione dei processi motori,risposte emotivo-affettive;potenzialità cognitive e relazioni sensoriali.La nuova politica socio-educativa consiste in:integrazione;differenziazione e personalizzazione.Ci interessano:i contesti di apprendimento;le strategie;gli ausili;la costruzione della conoscenza.Tutto finalizzato alla sollecitazione dello sviluppo di:indipendenza ed emancipazione nei soggetti disabili.
    3)Remaury nel suo testo “il gentil sesso” dice che la cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza(data dai mass-media).Si pensa che la bellezza è associata all’idea che la donna abbia il dovere di coltivarla. Un corpo attento alle direttive della triade dei media:bellezza,salute e giovinezza. La responsabilità e la cura della salute è sempre stata affidata alla donna per gli altri e oggi anche per se stessa. Molte indagini hanno dimostrato che alle persone con un aspetto attraente vengono attribuite virtù interiori magari inesistenti. Così come lo scultore riproduce il suo ideale di bellezza,così oggi la figura del corpo di una donna si attiene ai modelli dominanti del tempo. Quelle che non si adeguano (obese,trasandate etc.) finiscono con il sentirsi umiliate se non riescono ad entrare in questi standard,stereotipi offerti dalla società(donna bianca,magra,famosa).Giovinezza e bellezza sono componenti fondamentali se si vuole apparire. Le manipolazioni del corpo adesso non sono solo di tipo genetico,ma anche chirurgico. Hanno cambiato radicalmente l’idea del corpo che può essere modificato a piacere e non più secondo la propria natura. Hans Jonas ,il quale ha dato importanza al concetto di responsabilità verso le generazioni future,dice che l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio per cui non è giusto che esso modifichi il suo corpo. In questo libro la Remaury vuole sottolineare come siamo orientati verso una corsa alla perfezione il cui unico obiettivo è :giovinezza,bellezza e salute.Definisce il corpo in:trasfigurato(il cui corpo deve ascendere faticosamente alla perfezione grazie ai progressi della scienza);esatto(il cui corpo compie progressi verso la perfezione grazie alla scienza);liberato(il cui corpo è liberato dalla malattia,dal peso e dal tempo).La liberazione di cui parla Lipovetsky nel libro “la terza donna”. Dove dice che il corpo femminile in modo particolare ha sempre subito nella storia delle manipolazioni atte alla modifica della sua corporeità per rispondere ai dettami della società e della moda:vere e proprie strategie di trasformazione corporea(come allungare i colli con i collari,i piedi di una ballerina,le scarpe da ballerina fasciate per fare i piedi piccoli della geisha).Il controllo della propria immagine tramite la scelta tra i modelli sociali conduce la donna verso il corpo realizzato(ossia la conquista di un corpo perfetto in quanto prodotto del lavoro su se stessa. L’obiettivo che si prefigge è la conquista dell’eterna giovinezza apparente poiché quella fisica non è realizzabile. Un corpo quindi è considerato libero e perfetto quando si svincola dalle minacce esterne( liberazione dalla malattia->corpo sano).L’eccessiva magrezza di una modella anoressica è sinonimo di mostruosità non più un prototipo di bello,è il femminile mancante. Rosi Braidotti in Madri, mostri e macchine propone il discorso sugli straordinari mutamenti indotti dalle bio-tecnologie, che stanno radicalmente modificando le pratiche della riproduzione e la relazione degli umani con la materia corporea. Il corpo gravido e quello mostruoso si amalgamano nell’immaginazione maschile in una prospettiva dell’orribile e del meraviglioso (affascinante e mortalmente temibile). Il mostro e la madre-matrice sono trasgressioni del limite e della forma del modello di corporeità . Il corpo femminile-macchina ridefinisce il confine tra naturale e tecnologico. I mostri erano esseri malformati,rappresentano l’ibrido.Il mostro è l’incarnazione della differenza dell’umano-base:un deviante,un a-normale,un’ anomalia. Quello che dobbiamo comprendere è che in qualsiasi momento tutti possiamo entrare in uno di questi insiemi(emarginato,diverso,mostruoso ecc.)a seconda dell’etichetta che ci pone il contesto o meglio le persone. Non dobbiamo subire la vita pubblica bisogna impegnarsi per cercare di cambiarla,favorire un’ apertura superando l’indifferenza e l’apparenza proprio a partire dalle esigenze di coloro che non possono accedervi(disabili,poveri,non integrati).
    Voglio concludere con una frase,secondo me,molto bella e significativa che mi è servita da monito fino ad ora: “Dopo il verbo amare,il verbo aiutare è il più bello del mondo”.
    Al di là della prova intercorso vorrei sottolineare come queste simulazioni ci aiutino a comprendere al meglio certe situazioni(ognuno interpretandolo a proprio modo),in realtà secondo me la simulazione è un gioco. Così come i bambini immaginano castelli incantati,principi,condottieri,noi immaginiamo delle situazioni. Il gioco per i bambini così come per gli adulti è un momento educativo,si apprendono nozioni divertendosi,è attraverso di esso che il soggetto impara a conoscere il mondo, a sperimentare il valore delle regole, a stare con gli altri, a gestire le proprie emozioni, a scoprire nuovi percorsi di autonomia. Nel caso del diversabile oltre alla domiotica,alle tecnologie integrative,estensive,il gioco secondo me può avere un ruolo fondamentale per formare la propria identità,la propria autostima,la propria creatività,per rendere il soggetto autonomo,per integrarlo in un gruppo. Non a caso lo sport è un gioco e la Atzori e Pistorius (esempi studiati in aula come persone resilienti) praticano rispettivamente la danza e la corsa. Solitamente si è portati a credere che il gioco sia solo un passatempo, diversi contributi pedagogici invece sottolineano il gioco come un momento assolutamente educativo sia perché giocando si impara e sia perché sono coinvolti i sentimenti,le emozioni del soggetto(bambino/adulto/anziano). Mi scuso di aver messo il mio pensiero sotto questa prova,però ci tenevo a far presente come la pensavo e se mi sono permessa di aggiungerlo è perché la professoressa è aperta all’ascolto e al dialogo con l’altro. Morin ha scritto un libro assolutamente interessante “la testa ben fatta” meditando sulla frase di Montaigne “E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena” credo sia fondamentale esporre il proprio pensiero non secondo una “testa-mente” ricca di nozioni,ma che la stessa sappia interconnetterle tanto da formare un proprio pensiero,considerare tutte le nozioni,il globale.


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    Messaggio  Imma Saviano Lun Apr 30, 2012 5:57 pm

    L’Oms(Organizzazione mondiale della sanità) ha proposto tre classificazioni internazionali molto importanti:ICD(anni 70),ICIDH(anni 80) e ICF(anni 90).
    L’ICD,classificazione internazionale delle malattie, individua la causa delle patologie,fornendo per ogni sindrome e disturbo le principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche.
    Assume il ruolo di enciclopedia medica:si concentra sull’aspetto eziologico della malattia,le diagnosi vengono tradotte in codici numerici e la disabilità secondo questa classificazione si avvicina alle patologie cliniche.
    La seconda classificazione internazionale (ICIDH) pone l’attenzione su tre aspetti fondamentali:
    1)menomazione (qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica,fisiologica o anatomica,cioè un danno organico o funzionale relativo ad un settore specifico e comporta un cattivo funzionamento di un arto o di una parte del corpo),2)abilità,3)partecipazione,cioè mettere in risalto le qualità del soggetto,inserirlo nella società e favorire cambiamenti radicali nel modo di porci nei confronti delle persone con disabilità.
    Spesso si fa confusione tra due termini,disabilità e handicap.
    La disabilità è l’incapacità del soggetto,conseguente ad una menomazione,di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo e nell’ampiezza considerati ‘’normali’’.
    E’ considerata come una carenza,una limitazione o perdita delle capacità.
    L’handicap,invece,è spesso associato in italiano al termine ‘’svantaggio’’e indica un disagio sociale,una difficoltà che la persona disabile ha nel confronto con gli altri perché limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale.
    Ad esempio per un non vedente l’handicap è il non poter usare un normale monitor.
    L’ICF, Classificazione internazionale del funzionamento,della disabilità e della salute,
    rappresenta una vera e propria rivoluzione.
    Si pone come un modello di riferimento per molti operatori sanitari,sociali ed educativi ed è molto utilizzato in vari campi:sanitario,sociale,educativo,ricerca,statistico.
    In questo caso,la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole e pone la sua attenzione alle funzioni,strutture corporee,attività e partecipazione.
    L' interesse dell’ICF è quello di concentrarsi sulle conseguenze delle condizioni di salute,di vedere come la persona convive con questa condizione e che cosa bisogna fare per poter migliorare la sua vita. La disabilità si identifica con lo stato di salute.
    Salute e malattia non vanno confusi:la salute è l’essere tesi verso un equilibrio fisico,psicologico e spirituale;la malattia è uno stato patologico per alterazione delle funzioni di un organo o di tutto l’organismo che ha bisogno di essere curata.
    Nel laboratorio ‘’barriere architettoniche’’notiamo quali sono le problematiche e gli ostacoli che ogni giorno il disabile incontra:salire o scendere le scale,prendere il pullman,ritirare i soldi dal bancomat,marciapiedi,rialzi,gradini,porte strette.
    Quello che stupisce è il comportamento della maggior parte delle persone:ad una persona che ha bisogno di aiuto molto spesso si risponde con l’indifferenza,egoismo,disinteresse.
    Un’altra riflessione da fare e da mettere in pratica riguarda la distinzione tra disabile e diverso.
    Il disabile è colui che trova difficoltà a svolgere le normali attività della vita quotidiana che per noi risultano essere semplici,banali,a causa di disfunzioni motorie e cognitive e dalla mancanza o del diverso funzionamento di una o piu’ abilità.
    Nella società in cui viviamo,spesso viene etichettato:perde il suo nome originario e assume quello di disabile,di paraplegico,del sordo,ecc.
    Noi educatori dobbiamo aiutarli a migliorare la loro vita e a potenziare la loro autonomia ,la loro emancipazione e la loro indipendenza,senza nutrire pregiudizi o sentimenti di pietismo.
    Ammiro quelle persone che nonostante le loro difficoltà lottano per la loro vita e per i loro sogni,si pensi a Oscar Pistorius(atleta paralimpico,con gravi menomazioni agli arti inferiori) che per inseguire il suo sogno di correre ha tirato fuori la sua grinta,la sua forza di volontà e alla fine grazie al suo coraggio di mettersi in gioco ha vinto molte gare oppure alla Atzori,pittrice e ballerina,senza braccia poteva fare qualsiasi attività come ballare,cucire e addirittura portare la macchina.
    Sia Oscar Pistorius sia Atzori sono esempi e modelli da seguire. Dimostrano che la vita è bella nonostante tutto.
    Il diverso invece è colui che si distingue dagli altri,per il senso comune è l’anormalità fatta in persona,ci fa paura perché è il diverso da noi,è l’altro da allontanare,da isolare ed è per questo che proviamo vergogna,solidarietà e orrore.
    Molto spesso anche il disabile viene considerato diverso perché si considerano solo le sue disabilità,le sue difficoltà accantonando le sue abilità e il suo valore come persona.
    Come afferma Rosi Bradotti in Madri,mostri e macchine la normalità è un concetto relativo e soggettivo,non è assoluta.
    Ella la definisce il grado zero della mostruosità.
    Nel laboratorio ‘’mappa degli stereotipi’’,è emerso che noi siamo circondati da pregiudizi,prodotti da ignoranza e dalla paura nei confronti del diverso.
    Lo consideriamo un ostacolo da annientare.
    Io penso,invece, che ogni persona è unica nella sua diversità,è una fonte di arricchimento dal punto di vista culturale ma soprattutto umano.
    Bisogna dare spazio all’incontro,all’ascolto,all’apertura,alla comprensione e non chiuderci all’interno del proprio mondo fatto di tante discriminazioni,stereotipi e pregiudizi.
    In una simulazione,nella quale la professoressa interpretava il ruolo di sindaco,tutti quelli che portavano gli occhiali sono stati messi in un angolo e ostacolati nel partecipare ad una festa. L’emarginazione fa parte della nostra quotidianità e colpisce in modo particolare le persone piu’ deboli e il cosiddetto diverso.
    Spesso di fronte a queste situazioni si risponde con il silenzio,con il non far niente per aiutare le persone a stare bene a integrarsi nella società,come è accaduto nella simulazione per chi come me ha assunto il ruolo di cittadina. Bisogna abbattere il muro del silenzio,dell’indifferenza e aprirsi all’alterità:agire per poter portare cambiamenti e una nuova realtà positiva per tutti.
    Altri approfondimenti e chiarimenti sulla disabilità provengono da Anna Maria Murdaca ,docente e autrice che all’interno del suo testo’’Complessità della persona e della disabilità’’ si concentra su varie tematiche:integrazione,inclusione,inserimento del disabile,la cura,la relazione educativa,l’ambiente,lo spazio riparativo,ma in modo particolare si sofferma sulla:
    ricostruzione di una nuova cultura della disabilità,rimodulazione del termine integrazione,comprensione delle reali condizioni di vita,sul ruolo assunto dai disabili e sui servizi adatti alle loro esigenze.
    Ella si fa portatrice di una nuova cultura,quella della globalità, che permette di prendere in considerazione non solo i comportamenti,il funzionamento,ma anche il riconoscimento della persona in evoluzione.
    Un altro aspetto su cui riflettere è il contesto sociale:infatti,le barriere fisiche e mentali ostacolano la persona disabile e conducono verso l’esclusione e l’emarginazione. L’ambiente(famiglia,scuola,lavoro) può ostacolare (si pensi alle barriere architettoniche,cioè rialzi,marciapiedi,gradini ecc..) o facilitare(si pensi alle tecnologie che possono migliorare la condizione in cui si vive).
    L’obiettivo che tutti noi dobbiamo porci è quello di valorizzare la persona,rispettando le sue differenze.
    Ecco che un ruolo importante spetta all’integrazione ,processo continuo ,sempre in evoluzione per la ricerca di soluzioni e strategie adatte per i disabili.
    Non si deve definire nessuno per sottrazione,ma valorizzare la persona e considerarla nella sua globalità,favorire la cura come emancipazione e realizzazione del soggetto,come luogo riparativo. Ognuno è indispensabile per aiutare la persona ad accettarsi cosi com’ è,a convivere e a superare le problematiche,ma soprattutto a dare un senso alla propria vita.
    I disabili sono cittadini a pieno titolo, bisogna rispettarli e considerarli come persone.
    La relazione educativa è un complesso legame che si stabilisce tra due o piu' persone, tra madre e figlio,tra docente e discente,tra educatore ed educando.
    Si basa sull'ascolto,sul rispetto reciproco,sulle pari opportunità:è un dare e ricevere contemporaneamente.
    Ogni incontro umano è educativo,è un crescita dal punto di vista umano e culturale.
    Tale relazione deve essere incontro,condivisione,partecipazione,alleanza e non deve essere caratterizzata da disparità che può essere causata dai ruoli che si hanno nella relazione.
    Il futuro educatore deve trasmettere positività,deve essere una guida che accompagna e aiuta la persona nel migliorare la sua vita.
    In una simulazione si sono visti due setting.
    Nel primo setting si è visto una relazione educativa tra una madre e un'educatrice.
    Il problema di fondo era l'assenza della maestra di sostegno.
    Già la postura dell'educatrice ha messo a proprio agio la madre del bambino.
    Il modo di porsi e l’approccio determinano l’apertura o la chiusura:si pensi a quelle persone che non si sentono a loro agio ed è per questo che invece di esprimere le loro difficoltà rimangono in silenzio.
    L'educatore dovrà cercare prima di conquistare la loro fiducia e poi costruire un rapporto passo dopo passo;deve valorizzare comportamenti e atteggiamenti essenziali per la persona.
    Nel secondo setting la relazione era tra una ragazza e un'educatrice.
    La ragazza racconta dei suoi problemi:solitudine,isolamento,emarginazione dal gruppo classe a causa della sua timidezza.
    Già il fatto di esplicitare il problema è un grande passo avanti.
    Infatti, nel restituire quello che ha detto inizierà a prendere in qualche modo consapevolezza.
    Per tale motivo,l'educatore deve essere sciolto,no teso e anch'egli deve lavorare su se stesso.
    Lo stesso educatore deve riflettere sul perché egli si trova in quel momento, quali valori e cosa è in grado di offrire.
    Egli deve cercare di mettere in disparte la propria visione del mondo per fare spazio, dentro di sé, a quella possibile che vive la persona che ha di fronte.
    Bisogna metterci prima a posto noi e poi aiutiamo gli altri.
    Importante è anche dosare il proprio livello di emozionalità per non far sentire ancora piu' fragile e debole la persona che abbiamo di fronte.
    In quanto esseri umani,possiamo anche sbagliare:anche le esperienze negative sono formative,ad esempio ci permettono di ritrovare la nostra strada.
    La relazione si costruisce nel tempo con la pazienza con noi stessi e con gli altri.
    Altra questione importante affrontata durante le lezioni riguarda la donna e il suo bisogno di migliorarsi ,di cambiare ed è affrontata in modo particolare come tematica da Remaury,Lipovetsky e Braidotti .
    Il bisogno di coltivare la bellezza appare quasi come un dovere.
    Remaury ne’’ Il gentil sesso debole’’ parla di corsa verso la perfezione e l’obiettivo riguarda la triade giovinezza-bellezza-salute.
    Distingue tra corpo trasfigurato(legato all’immagine della perfezione corporea),corpo esatto(compie progressi verso la perfezione) e corpo liberato(dalla malattia,dal peso e dal tempo,quindi perfetto):
    Lipovetsky ne ‘’La terza donna’’nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti:dalla malattia cioè sano,dal peso cioè magro,dal tempo cioè giovane.
    I valori sono eterna giovinezza,perfetta bellezza e salute totale.
    Rosi Braidotti in ‘’Madri,mostri e macchine’’,afferma che la donna è mostro e madre perché è capace di deformare il proprio corpo.
    Ritroviamo in questo testo anche il tema del corpo macchina(soggetto a tante trasformazioni al punto tale da diventare anche mostro attraverso un rapporto sempre piu’ stretto con la tecnologia) e quello dei mostri(essere nati malformati,l’incarnazione della differenza,i devianti,i cosiddetti anormali).
    Le trasformazioni del corpo grazie alle tecnologia l’abbiamo affrontate anche nel laboratorio Protesi estetiche(tecnologia come miglioramento) utilizzate o per un deficit fisico che causa difficoltà motorie o per la maggior parte dei casi per questione estetiche.
    In ogni epoca storica uomini e donne hanno sempre seguito un ideale di bellezza che corrispondeva ai canoni della società in cui vivevano.
    Ancora oggi si ricorre alla chirurgia per eliminare i difetti fisici e aumentare la propria autostima. Frequenti sono gli interventi al seno,alla bocca,al naso.
    In questo modo il corpo diventa una macchina,un organismo biologico da riprodurre artificialmente nel costante tentativo di dominare la natura.
    Penso che ognuno di noi è perfetto nelle sue imperfezioni,l’importante non è l’aspetto fisico ma sono i valori che coltiviamo giorno dopo giorno, è stare bene con se stessi e con gli altri.


    Ultima modifica di Imma Saviano il Mar Mag 01, 2012 2:49 pm - modificato 1 volta.
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    Prova intercorso (riapre a giugno) - Pagina 2 Empty Re: Prova intercorso (riapre a giugno)

    Messaggio  Baldascino Concetta Mar Mag 01, 2012 9:39 am

    PUNTO 1) L’Oms(Organizzazione mondiale della sanità) ha proposto tre classificazioni internazionali molto importanti :ICD,ICIDH eICF.
    A partire dalla seconda metà del secolo scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e l’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie.
    La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD, 1970) risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. L’ICD si delinea quindi come una classificazione causale, focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.

    EZIOLOGIA --> PATOLOGIA --> MANIFESTAZIONE CLINICA

    L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze: “la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980)L’ICIDH è caratterizzato da tre componenti fondamentali, attraverso le quali vengono analizzate a valutate le conseguenze delle malattie:
    - la menomazione, come danno organico e/o funzionale;
    - la disabilità, come perdita di capacità operative subentrate nella persona a causa della menomazione;
    - svantaggio (handicap), come difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa della menomazione.

    MALATTIA O DISTURBO --> MENOMAZIONI --> DISABILITA’ --> HANDICAPIl 22 maggio 2001 L’Organizzazione Mondiale della Sanità perviene alla stesura di uno strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale: “La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”, denominato ICF.
    All’elaborazione di tale classificazione hanno partecipato 192 governi che compongono l’Assemblea Mondiale della Sanità, tra cui l’Italia, che ha offerto un significativo contributo tramite una rete collaborativa informale denominata.Disability Italian Network (DIN), costituita da 25 centri dislocati sul territorio nazionale e coordinata dall’Agenzia regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia. Scopo principale del DIN risulta essere la diffusione degli strumenti elaborati dall’OMS e la formazione di operatori che si occupano di inserimento lavorativo dei diversamente abili, in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche Sociali.L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità.
    Tramite l’ICF si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.
    Lo strumento descrive tali situazioni adottando un linguaggio standard ed unificato, cercando di evitare fraintendimenti semantici e facilitando la comunicazione fra i vari utilizzatori in tutto il mondo.L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. PUNTO 2) ANNA MARIA MURDACA scrive il testo “Complessità della persona con disabilità”,L'obiettivo primario che si pone il presente lavoro è sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione. Da un lato una simile cultura impone necessariamente un'ottica progettuale e flessibile, articolata su livelli teorico-operativi e sulla continua modificabilità del soggetto, da cogliere nella sua prospettiva biografica; dall'altro necessita di un ripensamento dell'integrazione, intesa - sulla falsariga delle teorie psicoanalitiche - come "spazio riparativo" dove il disabile può sperimentare con gli educatori e gli insegnanti una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nel qui e ora della relazione educativa. L'integrazione diviene così costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, i mezzi per costruire la propria identità, prerequisito fondamentale per il raggiungimento dell'autonomia. Lo scopo finale, dunque, è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere. Perché ciò sia possibile è però necessario un lavoro integrato in grado di coniugare l'aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, assicurando iniziative di vera promozione personale e sociale. PUNTO 3)REMAURY nel suo testo “il gentil sesso debole”L’intento di questo libro è quello di “smontare” il dispositivo che ingiunge alla donna di perfezionare incessantemente la propria bellezza e la propria salute, per riuscire a portare alla luce tutto ciò che contribuisce a rafforzare questo rapporto di soggezione che fa dell'individuo uno schiavo del proprio corpo”. PUNTO 4)LIPOVETSKY nella terza donna afferma che: C'era una volta la prima donna: svalutata, sfruttata, demonizzata. Poi è venuta la seconda: l'icona, l'ideale di virtù, la Beatrice. Ventunesimo secolo: è l'era della terza donna. Racchiude in sé le due precedenti, ma le supera in una nuova accezione: quella di donna indefinita. Un termine da non intendere in senso negativo, ma come il fondamento dell'autodeterminazione. L'autrice si muove sul terreno minato della condizione femminile, scatenando esplosioni e sovvertimenti. Controcorrente, il suo è un percorso volto a sottolineare la parità dei sessi, ma anche la loro diversità intrinseca. PUNTO 5)BRAIDOTTI nel suo libro madri mostri e macchine afferma:Gli straordinari mutamenti indotti dalle bio-tecnologie stanno radicalmente modificando il discorso e le pratiche della riproduzione e la relazione degli umani con la materia corporea. In un orizzonte che si nutre di un immaginario di catastrofe imminente, si moltiplicano gli interrogativi sull'origine della vita e i poteri della scienza. Occorre dunque ripensare alla relazione antica, complessa e multiforme che c'è tra le madri, i mostri e le macchine, relazione che passa per il corpo ma anche per la sua rappresentazione simbolica. Il corpo gravido e quello mostruoso si mischiano da sempre nell'immaginario maschile come qualcosa di orribile e meraviglioso, affascinante e mortalmente temibile.


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    Messaggio  giusy armida Mar Mag 01, 2012 11:28 am



    1)il manuale di classificazione dell'ICF è stato pubblicato dall'OMS ( ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA') nel 2001 per proporre un concetto di disabilità multidimensionale.
    Si supera, così, la prima classificazione internazionale delle malattie, L'ICD, del 1970, la quale si limitava a fornire una descrizione di ogni sindrome o disturbo. Tutto era oggettivo e alquanto limitato!Per l'ICF la disabilità diviene una condizione di salute determinata da un contesto sociale sfavorevole.I TERMINI:
    MENOMAZIONE=perdita o anormalità a carico di una struttura psicologica, fisiologica, anatomica.
    DISABILITA'=limitazione o perdita della capacità di compiere un'attività rispetto alle aspettative normali della persona.
    HANDICAP= "svantaggio", difficoltà che la persona con disabilità ha nell'affrontare il confronto esistenziale con gli altri.
    VENGONO SOSTITUITI DAI TERMINI: FUNZIONI, STRUTTURE CORPOREE, ATTIVITA' E PARTECIPAZIONE.
    L'ICF supera l'obiettività dell'ICD e studia anche le conseguenze associate alle condizioni di salute, aprendosi e più settori: sanitario, sociale, educativo, di ricerca, statistico.
    Questo è stato importante per rivalutare il concetto di DISABILE.
    Il disabile non è una persona inferiore o non capace, semplicemente è una persona impossibilitata a compiere alcune funzioni tipiche dei normodotati. ognuno di noi è diverso dall'altro ed è importante far fiorire in tutti, compresi i disabili, le proprie potenzialità. Le loro abilità devono venir fuori, da qui il progetto di sostituire il termine DISABILE con DIVERSABILE o DIVERSAMENTE ABILE. La diversabilità è un termine prospettico e positivo, porta alla speranza che un giorno, anche grazie alla domotica e alle nuove tecnologie, i disabili potranno in pieno svolgere una vita propria e godere della loro identità.La diversità deve essere intesa come un fattore comune di tutti gli esseri umani, solo così si supererà la categorizzazione e la svalutazione di persone abili diversamente.
    Tante sono state le lezioni che ci hanno fatto render conto di come un disabile non è per niente valutato nella società, per esempio con il laboratorio dell'orologio abbiamo ritrascorso una nostra giornata tipo da disabile. Tutto è sembrato così difficile, barriere architettoniche che non permettono loro di muoversi, ascensori troppo stretti, marciapiedi occupati abusivamente da macchine..Anche alle iene hanno dimostrato come sia impossibile una vita di un disabile al pari di tutti:binari non muniti di passerelle, scalini impraticabili, bagni non accessibili..un'altra simulazione che durante il corso mi ha molto segnato è stata quella dell'emarginazione; avendo gli occhiali, quel giorno, mi sono sentita eclusa.. ma nello stesso tempo parte di un gruppo. Inizialmente volevo togliermi gli occhiali e non alzarmi, ma sentivo di appartenere alle ragazze che si erano alzate e così le raggiunsi, è stato per me un laboratorio molto significativo..



    2)Anna Maria Mucarda, autrice del libro "complessità della persona disabile" riesamina alcuni argomenti importanti circa il tema della disabilità:il disabile ha svantaggio non perchè è inferiore, ma perchè è il contesto sociale a determinare la sua condizione di Handicap.
    L'ambiente è fondamentale per il disabile perchè può risultare sia una barriera che una facilitazione. L'integrazione deve mirare all'inclusione e all'emancipazione della persona, è un processo continuo che si adatta alla diversità di ogni singolo individuo. Nessuno dovrebbe essere inteso per sottrazione, bisognerebbe tralasciare ciò che non si può fare e valorizzare le capacità del soggetto.L'integrazione va riformulata come accoglienza e condivisione di valori che riguardano la dignità umana. La costruzione di una personalità dovrebbe avvenire nel pieno sviluppo delle proprie potenzialità.La strategia da applicare è quindi quella della relazione educativa dove si sperimentano, insieme, una serie di situazioni, di vissuti emotivo- affettivi, che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti; è un continuo collegamento di esperienze raccontate empaticamente.La Mudarca mette in gioco una nuova cultura della disabilità attenta alle disfunzioni del comportamento cognitivo, quanto alla qualità di vita dei soggetti. L'integrazione deve cndurre ad un'identità personale che intrecci la persona con la sua globalità.La nuova politica Socio-Educativa riguarda:
    -l'integrazione
    -la differenziazione
    -la personalizzazione
    il disabile è un cittadino uguale a tutti e come tale non ha bisogno di pietismo, ma di partecipazione. la relazione educativa, dunque, si ramifica in più tematiche:
    -il rapporto madre/figlio: la famiglia è il primo ente educatore e come tale deve creare un rapporto "speciale" con il bambino, ragazzo e così via..
    -docente/discente: la scuola accompagna l'educazione del bambino, è il luogo in cui l'apprendimento si sviluppa. Affianco alla didattica deve, però, svilupparsi un rapporto sincronico, di rispetto e di fiducia.
    -educatore/educando: l'educatore ha quel "qualcosa in più" che gli permette di distinguersi dagli altri.. chiamasi passione, amore ! la sua positività deve accompagnare tutte le relazioni educative, deve saper abbattere quei muri che a volte si creano con l'educando e tracciare un sentiero di dialogo, ascolto, sostegno. Bisogna non arrendersi mai e trovare la forza per capire le paure e le difficoltà di chi si ha di fronte.
    Alla base di qualsiasi rapporto ci sono le emozioni, si rimanda ad un'immagine di grande famiglia dove si trasmettono competenze culturali e didattiche, ma si supera la classica lezione passiva, limitata alle nozioni da imparare.
    -la relazione con il disabile: in questo rapporto speciale l'educatore deve mettere in luce le doti e le potenzialità della persona. Bisogna procedere con calma, mano nella mano, tra il frastuono e la fretta, ponendosi al prossimo con amore e calore ..come un esempio da seguire.

    3)Negli ultimi decenni ci siamo resi conto di come la cultura può trasformare il concetto di bellezza.Bruno Remaury, nel suo libro ,"il gentil sesseo debole.." studia l'immagine della donna tra cosmetica e salute, di quanto l'aspetto fisico coicida con la descrizione della nostra interiorità..più si è belli e più di è solari, gentili, disponibili..oggi i media predispongono canoni perfetti di bellezza e modellano la nostra mente riproducendoli in modo tassonomico e ripetitivo. La TV accetta solo donne che siano magre, belle, giovani(in salute). Una triade vista come un dovere quasi morale verso il nostro aspetto fisico. Il corpo liberato non è più succube di questa malattia di perfezione , è svincolato da ogni ogni limitazione e sottomissione a canoni impossibili.
    ..continuando, Lypovetsky Gilles, scrive un saggio intitolato " la terza donna"..tanto tempo fa esisteva un prima donna: svalutata, sfruttata..successivamente è arrivata la seconda:l'ideale di virtù, l'icona, la musa..con la venuta del ventunesimo secolo si è affermata la TERZA DONNA, una donna emancipatrice che lotta per la parità dei sessi, che supera le prime due e si autodetermina..con un solo limite..quello di controllare la propria immagine ridimensionandosi a modelli estetici imposti e strutturati.
    La magrezza ecessiva diventa MOSTRUOSITA'! si parla, infatti, di donne con una mancata femminilità.. senza curve, senza carne, senza forme..
    In ultimo, Rosa Braidotti si interroga sul rapporto corpo- mente. La modificazione del corpo femminile è spinto sempre di più alla chirurgia estetica, al ritocco.. sino ad arrivare ad un corpo- macchina ..una donna sconfitta che diventa mostro!
    non a caso a lezione in uno dei tanti laboratori abbiamo parlato di protesi estetiche.. alcune società obbligano la modificazione del proprio corpo per poter entrare in tribù o clan; in altre, come la nostra tutto nasce per un capriccio estetico. Nella danza, per esempio, puo rientrarci solo chi ha caratteristiche fisiche ben strutturate.. che per la maggior parte dei casi non si trovano in un unico corpo.. io credo che guardare solo al fisico sia futile, bisogna andare oltre e capire l'emozione e l'interiorità che è in ognuno di noi..
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    Baldascino Francesco


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    Messaggio  Baldascino Francesco Mar Mag 01, 2012 1:02 pm


    L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) considera le condizioni di salute con l’ICD - International Classification of Diseases (Classificazione Internazionale delle Malattie); mentre con l’ICIDH - International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità e Svantaggi Esistenziali), proposto nel 1980, definisce il concetto di disabilità, distinguendolo dalla menomazione e dall’handicap, ma legandolo ad essi secondo una relazione lineare e causale:
    - menomazione: qualsiasi perdita o anormalità di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche;
    - disabilità: ogni limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività nelle modalità o nell’ampiezza comunemente considerati normali per un individuo;
    - handicap: condizione di svantaggio conseguente a menomazione e/o disabilità che limita o impedisce l’adempimento del ruolo considerato normale di un soggetto in relazione all’età, sesso e fattori sociali e culturali.Una nuova classificazione proposta dall’OMS nel 2001, l’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), sposta l’oggetto della classificazione dalla menomazione alla salute. Allo sviluppo di questo sistema hanno partecipato 192 stati, tra cui l’Italia, che ha contribuito tramite la rete informale Disability Italian Network (DIN). Il cambiamento d’oggetto ha una portata immensa, in quanto la vecchia concezione si focalizzava sulla misurazione di deficit, menomazioni e patologie di una popolazione specifica, mentre il concetto di salute coinvolge la popolazione intera, rilevando dati come le competenze attive e gli stati funzionali di qualsiasi individuo.
    La disabilità è quindi definita come il risultato di una discrepanza tra le richieste dell’ambiente e le prestazioni del singolo individuo. Si interviene sui fattori che influenzano l’utilizzo di una particolare funzione, in modo da arrivare ad una riduzione effettiva della disabilità. Il grado di disabilità non è dato dall’entità del danno subito, ma dalla misura in cui l’ambiente e il contesto in cui ci troviamo ci richiede l’uso funzionale della parte danneggiata.
    L’ICF è un modello biopsicosociale in cui le determinanti del benessere o la qualità della vita sono la risultante di sistemi complessi. Lo stato di salute delle persone viene descritto in relazione agli ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo), la loro situazione rispetto al contesto socio-culturale di riferimento. 2)Anna Maria Mucarda, ne l suo libro COMPLESSITà DI UNA PERSONA DISABILE afferma che:: L'obiettivo primario che si pone il presente lavoro è sottolineare la necessità di una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata sul riconoscimento della persona come individuo in continua evoluzione. Da un lato una simile cultura impone necessariamente un'ottica progettuale e flessibile, articolata su livelli teorico-operativi e sulla continua modificabilità del soggetto, da cogliere nella sua prospettiva biografica; dall'altro necessita di un ripensamento dell'integrazione, intesa - sulla falsariga delle teorie psicoanalitiche - come "spazio riparativo" dove il disabile può sperimentare con gli educatori e gli insegnanti una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nel qui e ora della relazione educativa. L'integrazione diviene così costruzione di luoghi di senso nei quali il disabile può trovare gli elementi, i mezzi per costruire la propria identità, prerequisito fondamentale per il raggiungimento dell'autonomia. Lo scopo finale, dunque, è quello di promuovere una vera integrazione dei disabili nella comunità che li educa e li fa crescere. Perché ciò sia possibile è però necessario un lavoro integrato in grado di coniugare l'aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, assicurando iniziative di vera promozione personale e sociale. 3)Remaury e Braidotti: Affascinante studio sui rapporti controversi tra mass media e corpo femminile. Partendo dalla premessa della visione dell’altro più estesa, in quanto non facente parte dell’universo di riferimento studiato, l’antropologo Remaury ci spiega le ragioni di un mercato e di una sofferenza della donna, attraverso i messaggi promozionali che ad essa si rivolgono, i quali hanno sostituito quella precettistica antica che si rivolgeva alla sua educazione morale e fisica. Mediante una ricognizione nel mondo della pubblicità, della comunicazione, della cosmetologia e delle scienze sociali, l’autore individua precipuamente l’onnipervasività dell’immagine femminile in una specifica strategia di conservazione patriarcale da parte del discorso dominante. Non è infatti vero, come molti si ostinano oggi a dichiarare che l’acquisita libertà di scelta da parte delle donne le abbia liberate dalla mossa della plasmazione ad uso del pensiero maschile: “Più le pratiche corporali si diversificano più causano una marcata dipendenza dai modelli tradizionali, un’incarnazione in profondità di quei discorsi più la donna moltiplica e diversifica i suoi saperi e le sue pratiche e meno riesce a liberarsi delle rappresentazioni sottese a entrambi”. Confondendo l’idioletto femminile con il discorso dominante si soggiace ad un colossale inganno: quello della presunta libertà di scelta. Le devianze dal modello, se non soggette e riconducibili ad altri canoni, generano l’esclusione dalla norma, anche quando essa viene intesa come “il grado zero della mostruosità”.
    Ricollegandosi al testo di Rosi Braidotti, madri mostri macchine si potrebbe leggere il saggio di Remaury come una prima introduzione al canone della norma così come il testo della Braidotti ne individuava gli archetipi della teratologia e nella deformazione. La norma comunicativa si riassume nella triade bellezza, salute, giovinezza, cui si aggiunge la supremazia del modello della giovane bianca e occidentale. Il corpo femminile esce da questa indagine in una pericolosa prospettiva di “maturità”: esso è cioè inteso in senso positivista come via via perfezionabile di pari passo con la presunta civilizzazione derivata dalla tecnocrazia. I metodi invasivi, ma altamente democratici, della bellezza alla portata di tutti, sono quelli offerti dalla cosmetologia e dalla chirurgia estetica. L’operazione invasiva di asportazione, ricomposizione, rimodellamento dell’identità non fanno che dichiarare l’assoluta soggezione della donna, preda di una pratica manipolatoria sempre più sotterranea, astuta ed ineludibile. In questo discorso il linguaggio della persuasione estetica appare alienante nella sua pretesa prescrittiva di apparente e semplicistico benessere, il cui soggetto è chiamato, come in molti slogan pubblicitari, a ridurre l’essere al solo corpo.LIPOVETSKY nel suo libro LA TERZA DONNA dice che:C'era una volta la prima donna: svalutata, sfruttata, demonizzata. Poi è venuta la seconda: l'icona, l'ideale di virtù, la Beatrice. Ventunesimo secolo: è l'era della terza donna. Racchiude in sé le due precedenti, ma le supera in una nuova accezione: quella di donna indefinita. Un termine da non intendere in senso negativo, ma come il fondamento dell'autodeterminazione. L'autrice si muove sul terreno minato della condizione femminile, scatenando esplosioni e sovvertimenti. Controcorrente, il suo è un percorso volto a sottolineare la parità dei sessi, ma anche la loro diversità intrinseca.
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    Messaggio  Lucia Esposito Mar Mag 01, 2012 2:08 pm

    L’acronimo OMS sta ad indicare “l’organizzazione mondiale della sanità”. L’ OMS si occupa di stilare classificazioni di malattie di ogni genere e nel 1970 nasce la prima classificazione, l’ ICD ovvero la “classificazione internazionale delle malattie” questa classificazione era costituita da una serie di numeri, ad ogni malattia veniva attribuito un numero e ad ogni paziente veniva diagnosticata una patologia numerica, cioè gli veniva assegnato un numero, in questo modo era più semplice la memorizzazione delle varie caratteristiche cliniche. Si restava però ancorati al campo medico limitandosi solo alla diagnosi e non si guardava alla vita della persona come un qualcosa da migliorare ne si consideravano le sue capacità quanto, invece, si evidenziavano le difficoltà. Nel 1980 l’OMS stila un’altra classificazione: l’ICIDH che sta per “classificazione internazionale di menomazioni, disabilità ed handicap”, questa classificazione divide in 9 macro-categorie le menomazioni e le disabilità ed in 7 macro-categorie gli handicap. Nel 2001, l’OMS ha pubblicato il manuale di classificazione ICF ovvero “classificazione internazionale del funzionamento,della disabilità e della salute” in questa classificazione i termini menomazione, disabilità ed handicap vengono sostituiti da funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione. Questo perché l’ICF si interessa al contesto nel quale nasce la disabilità ed è proprio il contesto ad essere considerato la causa della condizione di salute. Quello che rende migliore l’ICF è che non considera solo le malattie ma anche i traumi o le conseguenze di un contesto sfavorevole che ha causato la malattia, perché è importante non trattare il malato come un numero e considerare, prima di tutto, che ogni individuo è unico, che sia malato o che non lo sia, nella sua unicità è speciale e non sente di avere dei limiti ma sono gli altri ad imporli, “i veri limiti esistono in chi ci guarda” questo è un messaggio che mi è arrivato dritto al cuore quando abbiamo analizzato il caso di Simona Atzori, un grandissimo esempio di forza e di resilienza, è la prova vivente che anche se ha una disabilità quest’ultima non la rende diversa. Molto spesso il termine disabilità viene confuso con il termine diversità poiché nella nostra concezione stereotipata crediamo che il disabile è un diverso e viceversa. Diviene, dunque, necessario fare una distinzione. Tutti siamo diversi e unici perché la diversità è specificità ma non per questo tutti siamo soggetti a menomazioni fisiche o psicologiche, viene considerato diverso l’immigrato perché ha un colore diverso di pelle, viene considerato diverso colui che non si adegua a quello che noi decidiamo essere “la norma”, è diversa una persona per via della sua cultura,delle sue abitudini o della sua religione. Un soggetto che non comprendiamo lo consideriamo diverso e lo escludiamo dalla società, etichettandolo.
    Il diverso non sceglie di essere diverso ma siamo noi a scegliere per lui, spesso ne abbiamo paura ma quello che ancora non è chiaro al mondo intero è che tutti siamo diversi, ci rendono diversi le nostre esperienze, il nostro vissuto. In una simulazione fatta in classe io, insieme ad altre mie compagne, sono stata considerata diversa per via dei miei occhiali e per questo emarginata. Il mio primo pensiero è stato di togliere gli occhiali e fingere di non avere questa diversità, ma non l’ ho fatto e mi sono portata all’angolo della classe come mi era stato indicato. In una prima fase ho pensato fosse una cosa ingiusta e discriminante ma in una seconda fase mi sono sentita più importante perché la mia diversità era più evidente rispetto agli altri, perché per quanto siamo tutti diversi sembriamo tutti uguali. L’unicità, personalmente, l ho individuata nell’avvocato Vassallo e nel professore Palladino, due uomini di grande forza e resilienza, come Simona Atzori ed Oscar Pistorius, ma due uomini che ho potuto ascoltare e che mi hanno trasmesso il desiderio di aiutare a rendere autonome le persone che ne hanno bisogno. Il disabile, invece, è una persona che non riesce a svolgere le normali attività quotidiane. Un soggetto può essere disabile allo stato fisico ma anche psichico. Il termine stesso disabile indica che il soggetto è caratterizzato dalla mancanza di una o più abilità, indica il soggetto in difficoltà, non abile nel fare qualcosa. L’individuo in questione ha uno svantaggio nel compiere le sue regolari attività, ed è un soggetto che per svolgere una vita normale ha bisogno di ausili, e secondo il mio parere ha bisogno anche di persone solari e resilienti, figure che trasmettono la forza e la voglia di andare avanti e vivere questa vita appieno.

    Questo non toglie che il soggetto con disabilità è un soggetto complesso. Anna Maria Murdaca, docente esperta della persona con disabilità, afferma che attraverso il contesto sociale si determina la condizione di handicap, poiché il soggetto con disabilità viene emarginato attraverso gli ostacoli e le barriere fisiche. Con l’ esercitazione dell’orologio, mi sono resa conto di quanto questa affermazione della professoressa Murdaca sia vera, molti edifici sono in prevalenza scale e non hanno scivoli o ascensori. Anche il servizio pubblico, come le metropolitane e i pullman hanno difficoltà a prestare servizio ad un soggetto con disabilità. Murdaca, con il testo “complessità della persona con disabilità” si pone come obiettivi:
    1.la rimodulazione del termine integrazione,
    2.la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità,
    3.la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità.
    Murdaca per rimodulare il termine integrazione parla di una società ripensata apposta per soggetti con disabilità, per questo attrezzata con spazi di formazione. Una società che accoglie, che è disposta alla condivisione. L’ integrazione è un processo continuo e non ha un punto di arrivo, per questo, è anche sviluppo, lo sviluppo di ausili e strategie che permettono al soggetto con disabilità di essere autonomo ed integrato. Questo perché non bisogna mai dimenticare che il soggetto con disabilità è comunque una persona, in tutto e per tutto, e che in ogni caso è un cittadino a pieno titolo. Per la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, occorre soffermarsi sulla complessità della persona con disabilità: il termine stesso disabile considera il soggetto per sottrazione, non abile in qualche cosa, e tende a sottolineare quello che il soggetto non è capace di fare, partendo da questo, il termine più corretto è diversabile o diversamente abile poiché questi due termini indicano un soggetto che ha capacità diverse dalle nostre e non un soggetto privo di determinate capacità. Quindi il punto di partenza per una nuova cultura della disabilità è il linguaggio da utilizzare, e non è un aspetto da sottovalutare poiché tutti sappiamo quanto le parole possano ferire. Stare attenti a non ferire è un concetto intrinseco nell’agire educativo, ferire un individuo vale a dire scoraggiarlo. Nel rapporto educativo occorre essere predisposti all’ascolto e allo scambio alla pari. Ogni relazione è educativa, una relazione educativa è anche uno scambio di emozioni. Nella relazione educativa al disabile, l’educatore deve mettere in risalto le doti del disabile, mirare all’autostima attraverso percorsi programmati e mirati al raggiungimento di pari opportunità con i normodotati. Opportunità. Spesso i soggetti con disabilità è di questo che hanno bisogno, come il caso di Oscar Pistorius che ha partecipato alle olimpiadi con delle protesi alle gambe. Personalmente, nell’esercitazione, ho espresso la mia approvazione per la decisione di consentire ad Oscar Pistorius di gareggiare con i normodotati, diversamente dalla mia collega Antonella Camposano alla quale ho risposto con la frase “ Se sono uguale agli altri perché non potrei partecipare alle olimpiadi?...non privatemi della possibilità di farlo”. Ho risposto in questo modo perché, infondo, quello che non viene mai preso in considerazione è il disabile come persona, io mi sento fortunata perché sono normodotata ma riesco o almeno provo ad immedesimarmi in un disabile, come quando sono stata emarginata nell’esercitazione in classe, e sento dentro il peso del giudizio delle persone. E’ facile dire “il disabile è un cittadino a pieno titolo” e poi quando un disabile chiede di gareggiare con i normodotati dirgli di no. Pistorius e Atzori sono due persone che non sentono il peso del giudizio delle persone perché non si sono fatti fermare da questo, perché hanno persone al loro fianco che gli danno la forza, gli trasmettono quella resilienza che non li scoraggia e gli permette di vivere a pieno la loro vita sentendosi perfettamente normodotati perché autonomi. Le relazioni sono importantissime,ogni relazione segue delle tappe di sviluppo, la relazione si stabilisce sulla base dell’ascolto reciproco, ma sono fondamentali anche le motivazioni, ed esempio : è fondamentale per il soggetto in formazione sentirsi gratificato. L’obbiettivo finale è la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità, attraverso le disfunzioni comportamentali cognitive e la qualità della vita dei soggetti, portare il disabile verso lo sviluppo della propria identità e della propria autostima.

    È l’ autostima ad essere un tema principale in molte cose, spesso le malattie sono causate da mancanza di autostima, come l’anoressia e la bulimia, anche io come Rosi Braidotti ritengo che la salute fisica sia legata alla salute psichica della persona. Braidotti analizza il valore che assume il cibo nella vita delle persone, alcuni ne fanno un abuso perché lo ritengono fonte di gioia e di piacere, mentre altre persone lo vedono come un nemico e quindi lo rifiutano. Il problema principale sta nei mass media che ci trasmettono un immagine di bellezza distante dal concetto di salute, inoltre, il corpo diventa l’unico mezzo per poter emergere nella società e non è certo un caso che parallelamente siano aumentati i casi di anoressia e bulimia. Il problema maggiore risulta essere nelle donne che si lasciano molto influenzare da questa cultura dell’immagine poiché sentono come il bisogno di essere “belle”. Bruno Remaury, ad esempio, scrive “le immagini del corpo femminile tra cosmetica e salute” che fa riferimento alla figura femminile della nostra cultura moderna che è quella donna magra, alta con un viso liscio e perfetto e pieno di trucco. Remaury scrive anche “il gentil sesso debole” in riferimento al sesso femminile che risulta essere il sesso chiamato in causa, orientato alla perfezione con un triplice obiettivo che consiste in : bellezza,giovinezza e salute, su questo tema anche Gilles Lipovetsky scrive “la terza donna” ovvero la donna che si fa sottomettere dai modelli dominanti ovvero dalla malattia per essere sana, dal peso per essere magra e dal tempo per essere giovane. La cosa più triste, secondo me, è proprio la debolezza del sesso femminile e soprattutto la voglia che ha di cambiare e trasformarsi pur di piacere. Ma al tempo stesso la donna compie una trasformazione mostruosa poiché modificando il proprio corpo diventa tutt’altro che naturale, come scrive Rosi Braidotti nel suo testo “madri,mostri e macchine”. Tutto questo è strettamente correlato al giudizio delle persone, al peso che ha nella nostra vita il giudizio degli altri perché modifichiamo il nostro corpo solo per piacere agli altri, in alcuni casi anche per piacere a noi stessi ma l’obiettivo è principalmente piacere agli altri. A tal proposito cito : “Un signore anziano è sfigurato, la gente lo chiama il vecchio brutto, ma nessuno sa che è così perchè da giovane si è battuto in guerra per proteggere il nostro paese. Un ragazzo è grasso, molto, la gente lo chiama palla di lardo, ma nessuno sa che ha una brutta malattia che continua a farlo ingrassare. Una ragazza di 14 anni ha un figlio, la gente la chiama puttana, ma nessuno sa che è stata stuprata a soli 12 anni. Nessuno sa niente, perchè l'unica cosa che sanno fare è giudicare dall'apparenza” Forse è questo il vero problema delle persone, non rendersi conto del fatto che la gente giudicherà sempre, anche gli interventi chirurgici per diventare “belle” saranno sempre giudicati ed è , quindi, completamente inutile continuare a imitare modelli di bellezza che, poi , così belli non sono. Le cose naturali sono le cose più belle perché sono semplici e imperfette ed è l’imperfezione a rendere unica e bella una persona.
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    Messaggio  simonaesp Mar Mag 01, 2012 6:24 pm

    1) l' Organizzazione Mondiale della Sanita' (OMS), ha elaborato una serie di classificazioni con lo scopo di garantire la comparabilita' delle informazioni di salute.
    La prima classificazione, del 1970 , prende il nome di Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD) .
    Un tipo di classificazione che si fonda sull'aspetto eziologico della malattia, con lo scopo di fornire descrizione e caratteristiche di ogni sindrome o disturbo attraverso codici numerici rendendo possibile la memorizzazione ,la ricerca e l'analisi dei dati.
    L'ICD ha permesso di avvicinare la disabilita' alle patologia cliniche ma risultavano problemi di definizione, per questo l'OMS introduce , nel 1980, un nuovo tipo di classificazione : International Classification of Impairments,Disabilities and Handicaps (ICIDH).
    Essa si basa su:
    1. MENOMAZIONE: perdita o anormalita' a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica.
    2. DISABILITA' : L'incapacita' , conseguente alla menomazione, di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo e nell'ampiezza considerati normali per un individuo. (Termine che verra' poi sostituito da ABILITA')
    3.HANDICAP : difficolta' che la persona con disabilita' affronta confrontandosi con gli altri, il disagio sociale che deriva dalla perdita di capacita',e' la forma di svantaggio dovuto da una disabilita'. (termine che verra' sostituito da PARTECIPAZIONE, ossia soffermarsi sul coinvolgimento sociale del soggetto disabile).

    Quando l'OMS parla di "salute" si rifa' ad un approccio fisico, spirituale e psicologico.
    Quindi la salute riguarda tutta la persona e non solo alcune sue parti e non puo' essere separata dal contesto con cui la persona interagisce , per questo, quando parliamo di handicap ( a differenza della malattia che riguarda una determinata parte del corpo) si parla di miglioramento della vita della persona e non guarigione, perche' l handicap e' una situazione permanente ma non immodificabile.

    Per questo, nel 2001, l'OMS propone una definizione innovativa di disabilita' attraverso la Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilita' e della salute ( ICF) secondo cui la disabilita' e' una condizione che nasce da un contesto sfavorevole, proprio per questo essa non classifica solo patologie ma inserisce la classificazione delle conseguenze associate alle condizioni di salute, quindi pone come centrale la qualita' della vita delle persone affette da una patologia.

    ICF e' stata introdotta per studiare il soggetto a 360 gradi, infati essa si divide in :
    1. Funzionamento e Disabilita' : per indicare dei problemi, definire il termine disabilita' e funzionamento
    2. Fattori Contestuali: i fattori ambientali che influenzano il funzionamento e la disabilita' e fattori personali( tipo razza, religione, sesso ecc.)
    Quindi entrano in gioco non solo gli aspetti medici ma anche gli aspetti sociali e quindi il contesto ambientale con cui interagisce una persona .

    Nel capo della disabilita' il fattore contestuale diviene fondamentale in quanto diventa terreno fecondo per la crescita dell' handicap ( come citato prima, handicap =disagio sociale che deriva dalla perdita di capacita').
    La propensione ad assumere un atteggiamento di pietismo o etichettamento fa si che spesso il disabile scopra il proprio disagio confrontandosi con persone normodotate .
    Si pensi al caso di Pistorius, un ragazzo senza gli arti inferiori che tramite le flex foot e' riuscito ad eliminare totalmente il suo disagio , tanto da gareggiare alle Olimpiadi, oppure si pensi al caso di Simona Atzori che pur non utilizzando nessun tipo di supporto sviluppa abilita' diverse dalle normali e riesce non solo a vivere la propria vita ma ha sviluppato anche doti artistiche, e' qui che potrei usare il termine "diverso" poiche' Atzori ha abilita' diverse dagli altri.
    Il termine diversita' viene spesso associato al termine disabilita' ed assume un significato dispreggiativo, si riferisce ad individui a cui mancano una o piu' abilita' senza pensare che un disabile non e' solo questo ma che puo' avere tante altre doti che vanno coltivate.
    Per questo la disabilita' deve essere vista non solo come fattore personale ma anche sociale, esistono persone disabili che riescono a superare la propria menomazione e non si sentono piu' tali...
    Un disabile ,se le circostanze lo permettessero, potrebbe convivere con serenita' il proprio deficit, d'altro canto ci ritroviamo in una citta' piena di barriere architettoniche che rendono impossibile il superamento di quei limiti che se abbattuti migliorerebbero la qualita' della vita di ogni disabile che finisce per ritrovarsi in prigione a casa propria, o peggio...nell'esercizio dell'orologio mi son resa conto che un disabile in casa mia non riuscirebbe nemmeno ad andare in bagno.
    Di conseguenza essere disabile al giorno ,d'oggi, significa essere emarginato , come diceva l'ex ministro della salute di Trento, quando parlava della casa domotica, e' si importante rendere autonomo un disabile, ma e' ancora piu' importante non escluderlo dalla vita sociale.


    2) Per questo nasce l'esigenza di ridefinire una NUOVA CULTURA DELLA DISABILITA' che prenda in considerazione le norme e disposizioni che regolano la tutela di soggetti svantaggiati, il problema delle barriere architettoniche , potenziare l'inserimento lavorativo ecc...
    Secondo Murdaca occorre sviluppare una nuova cultura e conoscenza della disabilita' che oltre ad interessarsi a cio' che e' stato sopra elencato, deve essere centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione.
    Introduciamo,dunque, il concetto di INTEGRAZIONE.
    Per integrazione intendiamo l'inserimento di una persona in un ambito.
    Tale concetto necessita di essere rimodulato guardando alla globalita' della persona , senza pensare di poter curare separatamente ogni sua funzione perdendo la capacita' di integrare e di considerare l'insieme.
    Cio' significa integrare dal punto di vista sociale/ scolastico/lavorativo.
    E a tal proposito il documento MIUR definisce l'integrazione come :
    "Astratta normalita' che poi si traduce in propensione all'uniformita',bensi' al valorizzare al meglio le dotazioni individuali".
    Come detto in precedenza, ICF sostiene l'idea che l'influenza dell'ambiente incida sulla vita delle persone e quindi, se negativa, tale influenza porta allo sviluppo dell'handicap.
    E' il contesto sociale quindi a determinare la condizione di handicap, e quindi gli ostacoli e le barriere fisiche , favorendo il processo di emarginazione.
    L'integrazione e' un fattore sociale, cosi' come l handicap diviene uno stereotipo sociale.
    Non si va oltre l apparenza , e si considera un disabile per quello che non e' puttosto per quel che e' davvero e per le sue capacita' che vanno oltre il deficit, Per questo non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione , senza perdere di umanita' perche' si tratta di persone e si caratterizzano per capacita' e non per quello che non sanno fare, ma si parla di persone.
    Quindi l'obiettivo diventa : VALORIZZARE LA PERSONA.
    Tale obiettivo e' raggiungibile tramite nuovi rapporti educativi.
    Un agire educativo volto allo sviluppo dele concetto di CURA, cioe' arrivare all emancipazione del soggetto, cioe' far realizzare l' uomo per quel che e'e per quello che puo' diventare.
    L'agire educativo diventa un atto di umana comprensione capace di aiutare la persona con deficit a ridare senso alla sua personale esperienza. Il rapporto educativo deve quindi basarsi sul rispetto e sulla capacita' di ascoltare.
    Parliamo quindi di un nuovo concetto di integrazione che viene vista come accoglienza verso il prossimo e come condivisione di valori.Quindi a differenza del passato non parliamo piu' di accudimento , ma di emancipazione.
    Diventa importante il processo di maturazione psicologica, cognitiva e affettiva accompagnato da un processo di ascolto e sostegno.


    3) E' facile al giorno d'oggi confondere l'immagine di bellezza con l'immagine della donna .
    Si porta avanti l'idea di una donna che debba migliorare il proprio aspetto in base alle figure imposte dalla societa' stessa .
    Una societa' che erroneamente spesso associa alla bellezza anche virtu' interiori , cosi' come viene associato al deforme la malvagita', si pensi alle proposte cinematografiche in cui il buon principe e' sempre meraviglioso ed il malvagio e' sempre un deforme.
    Come e' possibile definire la bellezza? Ognuno di noi riconosce il concetto di bellezza in maniera diversa, in aula e' stato infatti difficile far conciliare le nostre risposte alla domanda : "chi e' bello per voi?" perche' allora la societa' ci impone stereotipi di bellezza da seguire a tutti i costi per essere accettati .
    Siamo diventati ormai tutti uguali, tutti con lo stesso trucco, con la stessa acconciatura, con lo stesso modello di jeans perdendo totalmente la propria personalita' pur di sentirsi accettati in un "branco".

    Parlano della donna e della bellezza che ad essa viene associata Remaury, nel " il gentil sesso debole" e Lipovetsky, nel "la terza donna" e Braidotti con "Madri mostri e macchine".

    Remaury dice che siamo orientati verso una corsa alla perfezione , abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza, bellezza, salute.
    Ramaury definisce Il CORPO TRAFIGURATO, legato all'immagine della perfezione corporea , il CORPO ESATTO, che e' il modello dominante , ed infine il CORPO LIBERATO ,dalla mattina , dal tempo obbligatoriamente perfetto.

    Parla di liberazione Lipovetsky ne la terza donna,in cui la donna segue il modello dominante e strutturato "LIBERO" dalla malattia, dal peso e dal tempo obbligata dalla societa' che offre tali modelli.
    Si parla di lavoro che ognuno di noi deve fare sul proprio corpo , si parla di vero e proprio culto del corpo.
    Come scrive Lipovetsky, la terza donna raggiunge una fase positiva di tale culto, basata sull acquisizione di grazie.
    La donna diviene colei che controlla e gestisce la propria immagine riferendosi alla varieta' di modelli di bellezza che la societa' propone, quindi la donna raggiungera' il limite della maturita' positiva quando si identifichera'in uno dei modelli proposti...

    Con il passare del tempo e delle societa' i modelli da seguire cambiano , e non sono sempre accessibili...
    Si pensi a come fosse piu' facile raggiungere le curve di Marilyn Monroe ,e come sia difficile oggi eliminare ogni rotondita' dal nostro corpo tanto che spesso le adolescenti, ma non solo, nell aspirare a raggiungere i fisici delle odierne modelle cadono nell'oscurita' dell anoressia o della bulimia, non rendendosi conto che la maggior parte di cio' che viene proposto, o per azione chirurgica o per azione televisiva o per un eccezionale make-up ,e finto.
    e' questo che oggi la societa' ci propone : LA FINZIONE.
    Si cerca di imitare donne perfette senza nessun risultato perche' la perfezione non esiste, e' solo un modello superficiale che ci viene imposto.

    Si percecisce un altro aspetto della donna con Braidotti che la definisce un mostro per la sua capacita' di deformare il proprio corpo con la maternita',e da qui che si passa da "bellezza " a "mostruosita'". Per l'immaginazione maschile il corpo gravido e quello mostruoso si confondono in una prospettiva dell'orribile e del meraviglioso.




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    Messaggio  valeriaminucci Mer Mag 02, 2012 10:13 am

    Esercizio 1
    L’OMS ha stilato nel corso degli anni 3 diverse classificazioni per le malattie: ICD , ICIDH , ICF. Nel 1970 è stato elaborato l’ICD cioè “la classificazione Internazionale delle malattie”. Questa vuole cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. La seguente classificazione è incentrata sull’aspetto eziologico della malattia, le diagnosi sono tradotte in codici numerici che favoriscono la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati. Avvicina la disabilità alle patologie cliniche, facendo dell’elenco una sorta di enciclopedia medica. Successivamente fu elaborata l’ICIDH questa nuova classificazione si basava su tre fattori tra loro interagenti e integranti: la menomazione, la disabilità, e lo svantaggio o handicap. Questi termini verranno poi sostituiti da: menomazione, abilità, partecipazione ( veniva in questo modo data una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alla possibilità di un suo coinvolgimento sociale). Ultima classificazione pubblicata dall’OMS nel 2001 è l’ICF essa propone una definizione del concetto di disabilità multidimensionale, quindi più innovativa rispetto alle precedenti classificazioni. La sigla ICF sta ad indicare “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità, e della Salute”. Per l’ICF la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. L’ICF è una classificazione che descrive le modifiche dello stato di salute di una persona e gli stati ad essa correlati. I termini: menomazione, disabilità, handicap utilizzati nelle precedenti classificazioni vengono sostituiti dai termini: funzioni, strutture corporee, attività e partecipazione. Con l’intento di indicare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale. L’ICF non classifica solo le condizioni di salute, malattie, disordini o traumi che interessano l’ICD, ma le conseguenze associate alle condizioni di salute, pone come centrale la qualità della vita delle persone affette da una patologia permette di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinchè possano contare su una vita serena. Il passaggio dall’ICD all’ICF avvenne per varie motivazioni: le informazioni che venivano date dalle diagnosi medica non bastavano per descrivere ciò che la persona era capace di fare o non fare. La classificazione ICF è stata ideata per essere usata con persone di qualunque fascia d’età, per descrivere la presenza o l’assenza di menomazione nelle funzioni e strutture corporee. E’ uno strumento importane per gli operatori del campo sanitario, del sociale, dell’istruzione e del lavoro. Accettandolo si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte della società. Il contesto sfavorevole di cui ci parla l’ICF è costituito dalle cosi dette “barriere architettoniche” ossia quegli ostacoli che rendono difficile la vita di una persona con difficoltà motorie. . E’ il contesto sociale che determina la condizione d handicap, basti pensare agli ostacoli, le barriere fisiche (come le mentali e culturali) che portano all’esclusione o all’emarginazione. Ciò che per noi può sembrare semplice come il fare una passeggiata con amici per loro non lo è, in quanto trovano auto parcheggiate davanti agli scivoli per le carrozzine, e sono costretti quindi a procedere per strada, esempi di barriere architettoniche si trovano anche nelle metropolitane come mostrato dal video delle Iene, troviamo montascale che non funzionano. Ma gli ostacoli, le “barriere” sono presenti anche nelle nostre abitazioni basti pensare al gradino presente nel bagno, palazzi dove non c’è l’ascensore, citofoni posizionati troppo in alto per essere raggiunti. Questo ed altro portano a considerare le persone con disabilità dei “diversi” e per questo motivo capita spesso che vengono posti ai margini della società. Essere posto ai margini o essere considerato un “diverso” anche in una simulazione non è una cosa semplice. Durante una lezione è stata effettuata una simulazione dove la docente si è finta sindaco dittatore e ha deciso di emarginare tutte le ragazze con gli occhiali. Io sono stata emarginata e nonostante fosse una finzione in quel momento non mi sono sentita accettata, mi sono sentita inutile, un “diverso”. Ma in realtà chi sono veramente il diverso e il disabile? Il diverso molto spesso crediamo che sia l’altro, il mostro, lo straniero, in realtà il diverso non sceglie di essere tale, ma viene “etichettato” come tale dalla società. La diversità porta alla categorizzazione, cioè alla collocazione di certe persone in determinate categorie. Molto spesso con i nostri comportamenti, tendiamo ad alzare dei “muri” verso l’altro solo perché “diverso da noi”. Esempi di restrizione verso un diverso lo ritroviamo nel film “Indovina chi viene a cena” , qui il diverso, l’altro, è colui che ha la pelle di colore diverso. Ma perché giudicare una persona solo dal colore della pelle se siamo tutti uguali? In questo film notiamo come le differenze razziali ruotano attorno al “colore” della pelle senza andare oltre, ci si limita al giudizio dell’altro basandosi su pregiudizi infondati. Il disabile invece è una persona impossibilitata a svolgere le normali attività della vita quotidiana. Il disabile è un individuo con disfunzioni e/o cognitive, una persona caratterizzata dalla mancanza di una o più abilità. Il disabile è un soggetto con disturbi fisici o psichici che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con i normodotati come i familiari, o i compagni di scuola. Spesso nei confronti della persona disabile ti tende ad assumere una forma di pietismo, si tende ad etichettare e quindi si parlerà del sordo, del disabile ecc.

    Esercizio 2
    Anna Maria Murdaca nel suo testo: Complessità della persona con disabilità si sofferma su tre punti: - la rimodulazione del termine integrazione, - la ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, - la ridefinizione di un progetto di vita per le persone con disabilità. Secondo lei occorre adottare l’ottica della globalità, cioè una nuova cultura della disabilità, attenta non solo ad analizzare i temi del funzionamento, del comportamento o dell’assistenza del disabile, ma centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione e colta nella sua dimensione olistica. Lo stato di salute di una persona può essere influenzato dalla società, famiglia, contesto lavorativo. La famiglia dovrebbe liberarsi dalla percezione di impossibilità di miglioramento della situazione psico-fisica di un figlio/a disabile. Le insegnanti dovrebbero guardare “oltre la scuola” perché essa può contribuire a sviluppare l’integrazione e competenze nell’alunno disabile. L’ambiente (costituito da: scuola, famiglia, assistenza sociosanitaria ecc) può essere una barriera o un facilitatore. Per quanto riguarda la “persona” con disabilità l’obiettivo è valorizzarla, andando a rispettare le differenze e l’identità. L’integrazione è un processo continuo per cercare soluzioni, strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dai disabili. Si mira all’emancipazione del soggetto con disabilità, si vuole portare il disabile verso lo sviluppo della propria identità, della propria autostima, verso il cognitivo. Si pensa ad una comunità sociale che superi i limiti di una società che spesso trascura i disabili. L’aspetto fondamentale è: coniugare l’aspetto educativo con quello didattico, quello terapeutico con quello riabilitativo e sociale, in modo che si possa garantire ai soggetti disabili quel diritto all’integrazione piena assicurando iniziative di promozione personale. La costruzione dell’identità personale deve avvenire in luoghi rassicuranti e capaci di sviluppare le potenzialità personali cercando i mezzi più idonei per valorizzare le differenze. Rimodulare l’integrazione significa guardare alla globalità della persona. L’integrazione deve consistere in un’azione di: sviluppo, interazione, coordinazione dei processi motori e psicomotori, risposte emotivo affettive e relazionali. Ciò che consente la crescita di una persona è anche la relazione educativa. Costruire una relazione educativa è un obiettivo educativo di primaria importanza che richiede tempo e l’impegno dei soggetti in causa, essa costituisce la parte più importante per la pedagogia, si realizza in diversi luoghi e strutture specializzate differenti. La relazione educativa si costruisce con l’altro e per l’altro, si dispone nella dimensione dell’essere per l’altro, si traduce in ascolto. L’obiettivo dell’educatore è quello di rieducare e condurre il soggetto a cambiamenti positivi e corretti. Si stabilisce anche nel contesto familiare tra madre e figlio, in ambito scolastico tra docente e discente e questo legame produce apprendimento attraverso un interconnessione che porta alla fusione delle conoscenze. Il futuro educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce, arricchendole di conoscenze. L’insegnante deve trasmettere le proprie competenze culturali e didattiche ma deve prima di tutto, creare un clima sereno, deve far sentire a suo agio l’individuo creando un clima di fiducia. Necessario e fondamentale è il rispetto reciproco nella relazione, per un arricchimento reciproco. L’educatore deve essere paziente, sensibile, attento delle diversità, accettare il pensiero divergente e soprattutto deve essere pronto a mettersi in discussione e migliorarsi. Tutti i rapporti umani sono formativi, l’incontro con l’altro segna entrambe le persone sia positivamente che negativamente. Un esempio di relazione educativa è stato simulato durante una lezione dove sono stati creati due setting, il primo dove c’è stata l’interazione tra un genitore e l’educatrice, in questa simulazione la madre lamentava l’assenza dell’insegnante di sostegno per suo figlio. L’altra simulazione vedeva come protagonista una ragazza la quale fingeva di avere problemi di socializzazione. Confrontando le due simulazioni quella che mi ha maggiormente colpita è stata la prima dove c’è stata la prontezza dell’educatrice di mettere subito a proprio agio la donna e il suo modo di rapportarsi per tranquillizzarla ha evidenziato l’essere disponibile e sensibile dell’educatore senza però farsi coinvolgere emotivamente nella situazione. Nella seconda simulazione di setting educativo invece credo che l’educatrice abbia commesso un errore nel momento in cui ha posto all’educanda la domanda “se aveva amici”, in quanto la ragazza già inizialmente aveva esposto il suo problema di non riuscire a socializzare e ciò la portava ad essere emarginata dal gruppo classe.

    Esercizio 3
    Nella società odierna i mass-media continuano a proporre un ideale di donna dove la giovinezza e la bellezza sono le caratteristiche che una donna oggi deve continuare ad avere a tutti i costi se vuole restare o apparire in televisione. La costruzione estetica del corpo si attiene ai modelli dominanti del proprio tempo. Il miglioramento fisico ed estetico è l’adempimento dei suoi bisogni, il bisogno di essere bella. Coloro che non si adeguano finiscono con il sentirsi umiliate se non riesco a rientrare in questi standard ( ad esempio la taglia 42) nonostante i mezzi offerti dalla società. Ma la magrezza non è solo sinonimo di bellezza, basti pensare alle modelle anoressiche che rappresentano un prototipo di bello che però diventa mostruoso. Esempi sono le modelle Kate Moss e Isabelle Caro la quale è morta a soli 28 anni, divenuta famosa in Italia a seguito della campagna pubblicitaria choc sull’anoressia. Durante il periodo della campagna pesava soli 30 chili per 1.68 cm di altezza. La modella aveva fatto anche televisione per uscire dall’incubo dell’anoressia e sensibilizzare le ragazze ai rischi della malattia. Ma perché morire a 28 anni o meno per cercare di essere più belle ed essere alla ricerca del “corpo perfetto” tuffandosi in malattie come l’anoressia, bulimia o ricorrendo ad interventi di chirurgia estetica? E’ di protesi estetiche che ci siamo occupati in una lezione; il continuo ricorrere ad interventi chirurgici è sempre più frequente anche tra giovanissimi, è diventato una moda. Sono favorevole all’utilizzo di protesi estetiche se servono a migliorare il rapporto del soggetto con se stesso in modo particolare quando occorrono a seguito di incidenti. L’utilizzo delle protesi però non deve essere qualcosa che porta a cambiamenti estetici radicali o eccessivi, anche se ognuno è consapevole delle proprie azioni. Di quest’argomento si sono interessate: Remaury, Lipovetsky e Braidotti. Remaury nel suo testo: Il gentil sesso debole ritiene che siamo orientati e diretti verso la perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Lipovetsky nel suo testo: La terza donna, si sofferma su tre punti epocali: inizialmente c’era la donna svalutata, sfruttata; successivamente la donna è divinizzata rappresenta l’ideale di virtù. Nel 21° secolo arriva la nuova donna la quale ha in se le due figure di donna precedenti ad essa, ma le supera perché questa è una donna indefinita la quale tende a nascondere la sua sottomissione ai modelli dominanti della sua epoca che la indirizzano verso un corpo perfetto. La Braidotti nel suo testo: Madri mostri e macchine, si interessa della figura materna la quale durante il periodo della gravidanza subisce un cambiamento corporeo, il suo corpo appare agli uomini come il mostro-madre cioè come qualcosa di orribile ma affascinante allo stesso tempo. Credo che al giorno d’oggi ci sia tutto quest’interesse nei confronti della chirurgia estetica perché si è più attenti all’apparire che all’essere.



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    Messaggio  rossellamaiorano91 Mer Mag 02, 2012 10:35 am

    Davvero importante è fondamentale è stato il passaggio dall ICD all'ICF.L'OMS(Organizzazione Mondiale della Sanità)ha organizzato una serie di classificazioni,la prima è stata proprio l' ICD intesa proprio come un enciclopedia delle malattie,consisteva nel cogliere la CAUSA DELLE PATOLOGIE FORNENDO COSI DELLE FONDAMENTALI INDICAZIONI DIAGNOSTICHE.L' elemento particolare di questa classificazione è che le diagnosi venivano tradotte in codici numerici cosi da poter ricordare ogni singolo paziente.Nel 1980 è nata una seconda calssificazione ovvero l ICIDH che si basa su 3 fattori fondamentali la MENOMAZIONE,L'ABILITA,E LA PARTECIPAZIONE,ma nonostante tutto vi era però dei limiti cosi L' OMS ha proposto una terza classificazione e forse quella decisiva chiamata ICFnata nel 2001 e propone una nuova definizione del concetto di disabilita,intesa come una CONDIZIONE DI SALUTE DERIVATA DA UN CONTESTO SFAVOREVOLE.L ICF ha la capacità di descrivere le modifiche dello stato di salute di una persona.L ICF a differenza dell ICD considera anche l aspetto sociale,biologico,personale non si limita alla classificazione delle condizioni di salute di traumi o di malattie ma ASSOCIA LE CONDIZIONI DI VITA,questo significa che ha la capacità di EVIDENZIARE LA PATOLOGIA E ALLO STESSO MODO DI TROVARE DELLE CONDIZIONI GIUSTE PER IMPARARE A CONVIVERE CON CIò CHE SI POSSIEDE,per questo tale classificazione richiede la necessita di un linguaggio internazionale e standard.L'ICF rappresenta uno strumento importante per gli educatori.L'ICF si interessa di molti ambiti :quello sanitario,sociale,educativo,politico.Spesso quando parliamo lo facciamo senza pensarci giusto per dar aria alla nostra bocca,ogni parola che diciamo ha dei significati nascosti e può ferire molte persone,infatti lo stesso Canevaro afferma che "LA SCELTA DELLE PAROLE VA FATTA CON PONDERAZIONE"questo argomento mi ha fatto molto riflettere perchè le parole sono un' arma a doppio taglio,le parole possono essere MURI o possono significare LIBERTA,nel campo della disabilità spesso sono dei MURI.La disabilità non è solo un DEFICIT privazione a livello organico o psichico,ma è una condizione che va oltre la LIMITAZIONE DELLE BARRIERE MENTALI,spesso cadiamo nell' errore di etichettare i disabili facendoli sentire ancor di minor importanza e facendoli vivere COME SE FOSSERO UN PESO.Dobbiamo considerare il DIVERSO,il DISABILE come essere SPECIALI.Nell'errore consideriamo il disabile come una persona incapace e piena di problemi o come una persona sfortunata provando cosi COMPASSIONE,invece il diverso viene sempre EMARGINATO,DERISO diciamo che il diverso rappresenta anche il disabile e lo stranieroSi pensa al disabile solo come quella persona a cui mancano delle competenze senza considerare che egli possiede anche altre ABILITà.Sicuramente la vita di un disabile non è semplice anche a causa della nostra società che per queste persone offre ben poco.Non mi sono mai fermata per un attimo a pensare alla loro vita ma riscontrano problemi quotidianamente e hanno sempre bisogno dell'aiuto di qualquno.Penso che le cose non si possono dire fin quando non si provano sulla propria pelle infatti quando la professoressa in una delle lezioni ci ha fatto descrivere la nostra giornata tipo ho capito molte cose,come molti sono stati gli ostacoli per un disabile.Siamo sempre alla ricerca di qualcosa,siamo esseri EGOISTI dobbiamo imparare a non soffermargli all ' aspetto fisico all' apparenza ma bisogna andare OLTRE e considerare l' altro COME CRESCITA PERSONALE...E proprio uno dei rischi che può incorrere un disabile è quello di sentirsi EMARGINATO.Anna Murdaca nel suo testo"complessità della persona con disabilità"secondo l' autrice bisogna mirare alla GLOBALITà,c'è bisogno di una nuova cultura e nuove conoscenze nel campo della disabilità.L'obiettivo è quello di VALORIZZARE LA PERSONA considerandola come una NOVITA per il contesto sociale e no come una MINACCIA,favorendo cosi l INTEGRAZIONE,è un processo contininuo ove non c'è sosta e la FINE deve essere intesa sempre come un nuovo INIZIO.L'integrazione chiama in causa 2 soggetti uno è il disabile,ma l' altro soggetto è l EDUCATORE che deve essere pronto a risultati positivi e negativi.Ciò che la Murdaca afferma è pensare alla Globalità ovvero guardare nella TOTALITà della persona e non considerarla per SOTTRAZIONE.Ogni disabile ha la propria vita diversa da un'altro disabile,non bisogna pensare di accudire un disabile perchè la DISABILITà NON è UNA MALATTIA ma bisogna operare su altre abilita cosi da poter rendere il disabile UNICO...bisogna pensare che dietro a quella parola DISABILE vi è una persona con sentimenti.Quando si parla di DISABILE,DIVERSO,STRANIERO spesso li associamo ad un aspetto MOSTUOSO.La bellezza oltre ad essere quella corporea vi è anche una bella interna,una bellezza dell' anima e del cuore.Ma allora quali sono i modelli di bellezza??Non esite un modello di bellezza standard.Vi è l'idea di CORPO TRASFIGURATO ovvero quello legato ad un'immagine PERFETTA.CORPO ESATTO il quale segue le varie trasformazioni del PROGRESSO e infine IL CORPO LIBERATO,inteso come LIBERAZIONE DA UNA MALATTIA.Il controllo della propria immagine spesso cade nell errore di costruire UN CORPO REALIZZATO,COSTRUITO.Spesso per BELLEZZA si fa rifermimento alla MAGREZZA,ma quella non è solo BELLEZZA,ma anche MOSTRUOSITà.La modella Kate Moss rappresenta l'emblema della mancanza di carne di un corpo DE-FEMMINILIZZATO.COSI SEGUENDO LA MODA SI RISCHIA DI PERDERE LA PROPRIA UNICITà GRANTENDO COSI L'OMOLOGAZIONE.Spesso per rientare nei canoni della bellezza molte persone ricorrono anche a chirurgie ma bisogna fare dei propri DIFETTI I PROPRI PREGI....Remaury parla di un triplice obiettivo:GIOVINEZZA BELLEZZA E SALUTE.Dell'importanza dell' esaltazione del corpo mi viene in mente anche ciò che affermava Foucolt l'idea di un corpo SANO,RIGIDO DI UN CORPO-SOLDATO infatti con Foucolt ci fu il passaggio da un corpo che rappresentava la FORZA ad un corpo ELEGANTE.Penso che non ci sia un prototipo di bellezza da seguire,LA VERA BELLEZZA è QUELLA DI ESSER SERENI CON SE STESSI,ESSER FELICI,AMARE L ALTRO.
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    Messaggio  elena.scognamiglio89 Mer Mag 02, 2012 10:35 am

    Il libro “Nozioni introduttive di Pedagogia della disabilità” vuole farci riflettere sui termini usati nell’ambito della disabilità e soprattutto sulla persona con disabilità.
    L’OMS,cioè l’Organizzazione Mondiale della Sanità,ha elaborato nel 1970 l’ICD,la Classificazione Internazionale delle malattie,una sorta di enciclopedia medica che ci fornisce un elenco di tutte le patologie,fornendo per ogni sindrome e disturbo,una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e indicazioni diagnostiche. Nel 1980 l’Oms ha poi elaborato l’ICIDH nel tentativo di capire meglio cosa fare e come classificare la disabilità. Questa nuova classificazione si basa su tre fattori:
    • Menomazione:qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica,fisiologica o anatomica. Essa rappresenta l’esteriorizzazione di una patologia. La menomazione può inoltre essere temporanea,accidentale o degenerativa
    • Disabilità:qualsiasi limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività nei modi e nei limiti considerati normali per un individuo. Essa è caratterizzata da esclusioni nella realizzazione dei compiti rispetto a ciò che sarebbe normalmente atteso.
    • Handicap:difficoltà riscontrata nel confronto con gli altri,una condizione di svantaggio in seguito ad una menomazione o una disabilità.
    Purtroppo nella vita di tutti i giorni disabilità ed handicap vengono spesso confusi e considerati come la stessa cosa,portando a considerare l’handicap come un problema solo di chi ha qualche deficit e pensare che coloro che abbiano qualche deficit non siano uomini come tutti gli altri. Quello che dobbiamo capire è che dobbiamo dare il giusto significato alle parole,darle un peso ed eliminare ogni stereotipo e pregiudizio. Non a caso in aula ci è stato presentato un esercizio in cui dovevamo scrivere cosa fosse per noi un disabile,un mostro,il diverso,etc. e mi sono resa conto che alla fine abbiamo tutti più o meno,gli stessi stereotipi. Nonostante questo mi sono però resa conto che nel momento in cui dovevamo metterci tutte all’interno di una categoria non riuscivamo a farlo perché ognuna era diversa dall’altra.
    Nel 2001 l’Oms ha elaborato un’altra classificazione,l’ICF (Classificazione Internazionale del funzionamento,della disabilità e della salute) che propone una definizione del concetto di disabilità che viene considerata una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole. I termini menomazione,disabilità e handicap vengono sostituiti da: funzioni,strutture corporee,attività e partecipazione per dare una maggiore attenzione alle capacità del soggetto. L’ICF mette al centro la qualità della vita delle persone con una patologia e ci mostra come esse convivono con la loro condizione e come possono migliorarla per avere una vita più felice,ad esempio con ausili e tecnologie(ci è stato proposto in aula il caso di Pistorius,un’atleta paralimpico,che ha subito l’amputazione degli arti inferiori e che adesso utilizza il flex foot,un piede flessibile a forma di c in fibra di carbonio,grazie al quale ha vinto molte competizioni).
    Adottando questa classificazione si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società.
    In un altro esercizio all’interno del forum ci è stato chiesto di riflette su una delle parole presentateci. Io avevo scelto proprio la parola DIVERSO,spiegando che ho passato parte della mia infanzia pensando di esserlo. La diversità purtroppo viene concepita come non normalità,porta alla categorizzazione,a meccanismi di esclusione e svalutazione e inducono le persone che ne sono vittima ad interiorizzare sentimenti di inferiorità e inadeguatezza,che possono portare all’autosvalutazione e all’autoesclusione. Il diverso può essere anche una persona che non è affetta da menomazione fisica o psichica,ma che si distingue dagli altri per le sue caratteristiche. Egli non sceglie di esserlo,ma viene etichettato dalla società suo malgrado. Prendo come esempio me stessa:io nonostante la malattia mi sentivo come tutte le altre,ma iniziai a notare lo sguardo delle persone a ogni cambiamento del mio viso. Mi guardavano in modo strano, piano piano hanno iniziato ad escludermi,fino a quando non ho iniziato a sentirmi completamente invisibile e soprattutto diversa dagli altri. Per quanto riguarda l’esperienza della città fatta in aula,sono stata dall’altra parte, quella dei cittadini. Come ho già detto,ero in parte felice perché sapevo di poter avere tutto quello di cui avevo bisogno,ma il mio sguardo andava sempre dall’altra parte,perché sapevo esattamente cosa stavano provando gli emarginati. Per quanto riguarda la parola DISABILE,esso è una persona con disturbi fisici o psichici che spesso scopre il suo disagio confrontandosi con persone normodotate. Purtroppo molto spesso nei confronti del disabile si tende ad assumere un atteggiamento di pietismo. Ci sono persone che non si sentono tali e riescono a compiere qualsiasi tipo di attività grazie al superamento di barriere architettoniche,creando ad esempio per loro,case domotiche,che gli permettono di vivere autonomamemente. Il termine disabilità è stato quindi sostituito dal termine DIVERSABILITà che rappresenta una persona che oltre ad avere una disabilità,ha anche abilità diverse dagli altri. Io l’ho capito tramite la simulazione con la benda sugli occhi:io non potevo assolutamente vedere,ma riuscivo a percepire i minimi rumori. Questo è quanto accade in un non-vedente,come il prof.Palladino:egli non poteva sapere quante ne eravamo in aula,ma percepiva la nostra presenza tramite la nostra voce.
    Secondo Anna Maria Murdaca bisogna adottare una nuova cultura e conoscenza della disabilità centrata anche sul riconoscimento della persona in evoluzione. Secondo l’autrice,è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap,sono gli ostacoli e le barriere fisiche a favorire il processo di esclusione oppure quello di emarginazione. Basti pensare al video delle Iene,che mostravano tutte le difficoltà che incontravano le persone disabili nel momento in cui dovevano prendere la metropolitana. Secondo Murdaca bisogna valorizzare la persona con il rispetto delle differenze e delle identità, bisogna integrarla,perché l’integrazione è un processo continuo,una continua ricerca di soluzioni,strategie che servono a preservare i diritti dei disabili. A questo proposito si può parlare del concetto di cura,ossia quell’atto di umana comprensione capace di aiutare la persona con deficit a ridare senso e significato alla sua esperienza. Murdaca dice che bisogna tener conto del soggetto mutante e differenziato,per questo si arriva a parlare di INTEGRAZIONE come accoglienza verso diverse identità e come condivisione di valori etici, ma soprattutto di EMANCIPAZIONE che richiede ambienti attendibili e sostenibili,per portare il disabile verso lo sviluppo della propria identità e autostima. La nuova cultura della disabilità deve essere attenta a cogliere le disfunzioni comportamentali cognitive e innalzare la qualità della vita;deve avvenire in luoghi rassicuranti,capaci di sviluppare le potenzialità personali cercando i mezzi più idonei a valorizzare la differenza e creando spazi di formazione per i soggetti con disabilità,come fa ad esempio l’Associazione Autism Aid Onlus. Molto importante è la relazione educativa,ossia l’insieme dei rapporti sociali che si stabiliscono tra l’educatore e coloro che egli educa,in cui si cerca di capire chi si ha di fronte,i suoi problemi,le sue difficoltà,senza soffermarsi sulle apparenze ma cercando di comprendere i fattori che spingono un soggetto a comportarsi in un certo modo. Alla base della relazione educativa deve esserci la volontà di costruire un rapporto basato sull’accoglienza,ascolto,lasciando lo spazio alla libertà dell’altro e costruendo un progetto di vita insieme. Parlando in particolare di disabilità,l’educatore deve prendere in considerazione la diversa situazione e mettere in atto programmi specifici per far emergere le doti del disabile.
    Il mondo di oggi si basa sempre più sui mass media e soprattutto sui canoni di bellezza che essi ci propongono che sono molto spesso,o quasi sempre,irrealizzabili per la maggior parte della popolazione. Da una parte i mass media ci fanno capire che la bellezza si presenta in un corpo magro (o muscoloso per quanto riguarda i maschi),mentre dall’altra parte abbiamo una lotta contro il grasso perché considerato brutto e sbagliato. Il predominio dell’immagine ha sempre di più caratterizzato lo stile di vita delle persone e le loro relazioni interpersonali,dando così un’eccessiva attenzione al corpo. Ormai in tv non facciamo altro che vedere modelle magrissime,attrici che si sottopongono ad operazioni chirurgiche per apparire in perfetta forma anche a 60 anni e noi,ritrovandoci sempre con queste immagini perfette davanti agli occhi,vogliamo sempre di più somigliare a loro e nascono così tutti quei problemi legati al cibo o sentiamo casi di operazioni chirurgiche andate male. Infatti in tv non viene fatto vedere tutto il lavoro che c’è dietro queste donne stupende,come l’esercizio fisico,le restrizioni alimentari,le operazioni di trucco e soprattutto di fotomontaggio. I media illudono le persone dicendo che è possibile raggiungere quel risultato solo con un po’ di volontà,ma sappiamo benissimo che non è così. Chi ha parlato dei modelli di perfezione sono Remaury,Lipovetsky e Braidotti. Remaury afferma che oggi siamo diretti sempre di più verso la perfezione e ci poniamo un triplice obiettivo:giovinezza,bellezza,salute, anche se poi sappiamo benissimo che ad esempio per raggiungere un corpo bello e magro,molte ragazzine soffrono di anoressia e bulimia,quindi la salute inevitabilmente va via. Egli parla anche di corpo trasfigurato legato cioè all’immagine della perfezione corporea alla quale si arriva grazie ai progressi della scienza. Lipovetsky parla invece del corpo liberato,cioè quel corpo liberato dalla malattia,dal peso e dal tempo,obbligatoriamente perfetto. I valori tra cui si può e si deve scegliere sono quelli dell’eterna giovinezza , perfetta bellezza ed eterna salute. Questo corpo liberato nasconde però la sottomissione della donna ai modelli imposti dai media che la fanno tendere verso quel corpo perfetto di cui tanto parlano. Braidotti invece,in “Madri,mostri,macchine”analizza i mutamenti indotti dalle biotecnologie che stanno modificando la relazione degli uomini con il proprio corpo. La donna viene vista come un qualcosa di orribile dagli uomini in quanto è capace di deformare il proprio corpo durante la gravidanza diventando al contempo mostro e madre. C’è poi un forte legame che lega la donna alle tecnologie,in quanto avendo paura dei segni del tempo,non fa altro che sottoporsi ad operazioni chirurgiche,correndo a volte anche grossi rischi,ma questo non le ferma affatto. Tutto sta nel voler ingannare la morte,la vecchiaia,ma le operazioni chirurgiche ci possono solo liberare dai segni del tempo,ma la morte purtroppo non può ingannarla ancora nessuno,nemmeno il più bravo chirurgo plastico al mondo!
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    Messaggio  MIRIAM MUSTO Mer Mag 02, 2012 11:49 am

    1) l’OMS( Organizzazione Mondiale della Sanità) ha elaborato, nel suo campo, una serie di classificazioni. La prima forma di Classificazione fu: ICD = ( classificazione Internazionale delle malattie) sorta intorno al 1970. Tale classificazione pone la sua attenzione sulle cause delle patologie, fornendo una descrizione delle caratteristiche cliniche, di ogni sindrome o disturbo; Ogni diagnosi, inoltre, viene tradotta in una serie di codici numerici, per facilitare la memorizzazione.
    Tale sistema di classificazione, però, con il passar del tempo venne sostituita prima con ICIDH (Sorta nel 1980 come classificazione internazionale che cerca di risolvere alcuni problemi inerenti alle definizioni). Poi in seguito con ICF = (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) sorta nel 2001, che diede una nuova definizione al termine: “disabilità”. Il passaggio dall’ICD all’ICF, avvenne per vari motivi, prima di tutto perché le informazioni che venivano date dalla diagnosi medica, non erano considerati sufficienti nel definire ciò che la persona era in grado di fare, e non. La classificazione ICF, ideata per qualsiasi fascia di età, rappresenta uno strumento importante per gli operatori del campo sanitario, perché adottandolo ci si accerta del diritto delle persone con disabilità e le loro condizioni di salute (lo stress, l’invecchiamento, anomalia congenita). ICF viene utilizzato in campo: Sanitario,Sociale, Educativo.
    Per ICF “La disabilità” è una condizione di salute derivata dal contesto sfavorevole. Il contesto sfavorevole è causato da vari motivi,potuti osservare durante il laboratorio. come:la mappa degli stereotipi partendo con una frase di Canevaro “le parole sono importanti”infatti in un contesto scoiale sono proprio le parole che fanno la differenza. per questo io scelsi il DIVERSO. considerato tale solo da chi vuole veramente vederlo così.”Ricordiamoci quindi che siamo unici esattamente come tutti gli altri”. un altro esercizio in laboratorio è stato quello delle barriere architettoniche ,grazie al quale sono riuscita a capire che tutto ciò che per noi “normali” può risultare semplice,si trasforma in una serie di difficoltà per un disabile. ciò che tutti noi dovremmo fare è immedesimarci nelle loro difficoltà,in modo tale da riuscire a capire meglio le loro esigenze. oppure il laboratorio del sindaco: facendo due gruppi,quelli con gli occhiali e quelli senza,mi sono chiesta ma cosa hanno loro di diverso da me??la risp è nulla in quanto un paio di occhiali non possono far sentire una persona emarginata dal contesto classe. Durante queste lezioni la nostra attenzione si è focalizzata in generale sulla PERSONA, e in particolare sulla PERSONA CON DISABILITA’. Ciò che mi ha lasciata allibita è che troppo spesso la disabilità è intesa come diversità. ma questo è del tutto sbagliato perché ognuno di noi, è diverso dall’altro! Di conseguenza disabilità non è sinonimo di diversità! Anzi! Vi è una tale confusione tra termini:deficit,disabilità e handicap. Infatti il DEFICIT potrebbe essere per esempio la cecità di una persona; la DISABILITà è l’incapacità di svolgere determinate funzioni e di assolvere particolari compiti nel modo normale per un individuo; L’HANDICAP invece è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto esistenziale con gli altri,il termine handicap traducibile in italiano con “svantaggio”. Utilizzare dei termini impropri può essere un modo per aumentare l’handicap anzichè ridurlo. questo è del tutto sbagliato perché ognuno di noi, è diverso dall’altro! Di conseguenza disabilità non è sinonimo di diversità! Anzi! La disabilità è uno stile di vita!
    Addirittura c’è chi è convinto che i termini siano intercambiali! E questo è un ulteriore errore!
    2)La società ci vuole tutti uguali,tutti perfetti e chi devia da questo percorso è considerato “altro” da noi;tutto ciò che è diverso ci spaventa,ci spiazza. In realtà ciò accade perché non si prova a guardare agli altri come semplici esseri umani e capire che la diversità non è un difetto o una condizione ma un’occasione per prendere dall’altro qualcosa che noi non abbiamo:un’esperienza,una visione del mondo,una capacità particolare. Il termine integrazione significa proprio “inserire una persona o un gruppo in un ambiente o in un contesto in modo che ne diventi parte organica” per poter raggiungere questo scopo è necessario soffermarsi sull’identità della persona,sul suo contesto sociale,sulle leggi in vigore e sul loro effettivo utilizzo nella quotidianità. È necessaria una rimodulazione del termine integrazione in quanto esso da solo non basta e va integrato esso stesso con altri due termini:accoglimento e condivisione;accoglienza verso identità diverse e condivisione di valori etici come dignità e autonomia.
    Tutto ciò porta ad una nuova cultura della disabilità. Non si parla solo di funzionamento e assistenza del soggetto disabile ma di persona in evoluzione,del suo inserimento in contesti lavorativi,degli ausili tecnologici che possono migliorare la qualità della vita del disabile. Tra gli autori studiati chi ci parla di questi temi è l’autrice Anna Maria Murdaca; la quale nel testo “complessità della persona e disabilità” affronta tematiche di grande rilevanza come:l’ambiente,l’integrazione,la cura,ecc… secondo la Murdaca bisogna guardare alla persona disabile nella sua globalità e non scomporla in funzioni;non è la disabilità che caratterizza la persona ma la sua identità e personalità che vanno valorizzate e incentivate,bisogna considerare queste persone come cittadini a pieno titolo e provvedere affinché ognuno di essi raggiunga una perfetta integrazione all’interno del contesto sociale e dell’ambiente in cui si trova. L’integrazione è proprio uno dei problemi che la persona disabile deve affrontare. Esso non è altro che un processo continuo, che ricerca soluzioni,strategie, diritti dei disabili. L’integrazione viene quindi vista come : accoglienza verso diverse identità, e come condivisione di valori etici. A favorire l’integrazione vi è: la relazione educativa. Essa attraversa una serie di tematiche come relazione madre/figlio,quindi in ambito familiare;relazione docente/discente,produce l’apprendimento è un prendere e dare in sincronia;relazione educatore/educando in cui il futuro educatore deve trasmettere qualcosa di positivo nelle relazioni che costruisce,arricchendole di conoscenza. Nel suo testo” complessità della persona e disabilità”,ci parla di cervello-mente-corpo:la motricità nella disabilità. L’unità corporea si raggiunge grazie al movimento,al coordina manto motorio,nel quale le parti del corpo entrano in relazione con il mondo e con gli altri. Un tale esempio potrebbe essere quello della Atzori;potremmo dire che la ragazza è “diversa”soltanto perché non ha le braccia come un essere umano,ma in realtà ciò che davvero la rende diversa è la capacità di sorridere alla vita ed andare avanti con serenità nonostante avesse tutto contro di lei. Grazie alla sua resilienza,ovvero la capacità di reagire e far fronte a situazioni di forte disagio,mediante l’attivazione di competenze individuali e risorse interiori. il soggetto disabile vive solitamente una condizione fisica socialmente limitante,legata al contesto di appartenenza. L’ambiente esterno dovrebbe porsi nei confronti del soggetto con handicap non con atteggiamenti svalutativi o riduttivi ma riconoscendo l’originalità di ogni persona e i punti di forza che ciascuno possiede,solo in questo modo sarebbe possibile favorire il processo resiliente di recupero.
    3)negli anni 60 appare per la prima volta il volto di Twiggy elegante modella,attrice e cantante londinese,diventa famosa a 17 anni decide di affidare alla sua immagine il lancio della minigonna. dal 1980 in poi aumentano sulle riviste le figure intere delle modelle dalle taglie sempre minori. Prima della comparsa della tv non c’erano particolari attenzioni rivolte al peso e alla propria immagine corporea. È stato dimostrato che il confronto tra il proprio corpo e quello di modelli di bellezza,porti ad una diminuzione del tono dell’umore nella maggioranza di soggetti femminili. Il contesto sociale è un elemento determinante, non solo per l’integrazione dei disabili, ma anche per la formazione di ideali, di aspettative degli adolescenti. A giocare un ruolo fondamentale per la formazione di stereotipi, di ideali, sono le riviste, le televisioni, che trasmettono immagini di modelli estetici ,modelle,ballerine/i ad esempio, difficili da raggiungere.
    Molto spesso l’immagine della donna si confonde con quella della bellezza, infatti la responsabilità, la cura della salute è sempre stata affidata alla donna, che deve prendersi cura del suo corpo. Autori come : Remaury, Lipovetsky e Braidotti si sono interessati alla tematica della donna, in particolare al suo bisogno di migliorarsi, di trasformarsi, di raggiungere “l’eterna giovinezza apparente”. Remaury dice che le donne sono dirette verso la perfezione,che le rende libere dal pese e dal tempo. Lipovetsky invece,ci propone l’immagine di una terza donna che nasconde la sua sottomissione a modelli dominanti. Tutto ciò che è espresso da questi autori ci riporta alla realtà attuale,nella quale abbiamo il disprezzo del proprio corpo e sempre più un avvicinamento alle protesi estetiche viste come”tecnologie del miglioramento”. Concludo dicendo che sono pienamente d’accordo alle protesi estetiche laddove sono di sostegno per una disabilità come nel caso di uno sportivo o ancora di malformazioni al viso etc… ma assolutamente no per le protesi come estetica soltanto per accontentare un capriccio che può essere il seno piccolo o un naso troppo grande. Quindi cerchiamo di vedere nei nostri piccoli difetti un aspetto positivo.
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    Messaggio  Stefania Tufano Mer Mag 02, 2012 12:17 pm

    A partire dalla seconda metà del secolo scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato differenti strumenti di classificazione inerenti l’osservazione e l’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie.
    La prima classificazione elaborata dall’OMS, “La Classificazione Internazionale delle malattie” (ICD, 1970) risponde all’esigenza di cogliere la causa delle patologie, fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche. L’ICD si delinea quindi come una classificazione causale, focalizzando l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia. Le diagnosi delle malattie vengono tradotte in codici numerici che rendono possibile la memorizzazione, la ricerca e l’analisi dei dati.
    L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione e ciò induce l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di classificazione, in grado di focalizzare l’attenzione non solo sulla causa delle patologie, ma anche sulle loro conseguenze: “la Classificazione Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap” (ICIDH, 1980). L’ICIDH non coglie la causa della patologia, ma l’importanza e l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. La presenza di limiti concettuali insiti nella classificazione ICIDH ha portato l’OMS ad elaborare un’ulteriore strumento: “La Classificazione Internazionale del funzionamento,disabilità e salute (ICF, 2001).
    L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità. Tramite l’ICF si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità. Il primo aspetto innovativo della classificazione emerge chiaramente nel titolo della stessa. A differenza delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH), dove veniva dato ampio spazio alla descrizione delle malattie dell’individuo, ricorrendo a termini quali malattia, menomazione ed handicap (usati prevalentemente in accezione negativa, con riferimento a situazioni di deficit) nell’ultima classificazione l’OMS fa riferimento a termini che analizzano la salute dell’individuo in chiave positiva (funzionamento e salute).
    L’ICF vuole fornire un’ampia analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute e ambiente, arrivando alla definizione di disabilità, intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
    L’OMS, attraverso l’ICF, propone un modello di disabilità universale, applicabile a qualsiasi persona, normodotata o diversamente abile.
    L’ICF si pone come classificatore della salute, prendendo in considerazione gli aspetti sociali della disabilità. Ciò che importa è intervenire sul contesto sociale costruendo reti di servizi significativi che riducano la disabilità, uno dei fattore che permette di ridurre la disabilità, è la scelta delle parole. Quest'ultima va fatta con ponderazione, utilizzare termini impropri possono essere un modo per aumentare l'handicap anziché ridurlo, la disabilità, è una condizione che va oltre la limitazione, supera le barriere architettoniche. Il disabile è una persona che è impossibilitata a svolgere le normali attività quotidiane, un individuo affetto da disfunzioni motorie o cognitive, spesso si assume nei confronti dei diversamente abili atteggiamenti di pietismo. TUTTI SONO DIVERSI NON TUTTI SONO DISABILI. Il termine disabile dichiara solo che a un individuo manca una o più competenze, senza considerare le sue abilità. La disabilità viene confusa con la diversità, ma questi sono due concetti diversi. La diversità, è una persona che presenta delle abilità diverse dagli altri, questa porta alla CATEGORIZZAZIONE, cioè alla collocazione di certe persone in determinate categorie. Quando pensiamo al diverso, immaginiamo un individuo diverso dalle persone che gli vivono intorno, ma il diverso non per forza è affetto da menomazione, esso può essere lo straniero, il genio. Il diverso non sceglie di esserlo ma viene etichettato tale dalla società stessa.
    Molte sono state le esperienze fatte a lezione, abbiamo constatato,vivendo una giornata tipo di un disabile di come molti siano gli ostacoli che un diversamente abile deve affrontare tutti i giorni e spesso non potendo fare tutto ciò che desidera, avverte ancora di più questo senso di inferiorità, di esclusione; un altro esempio è quello dell'emarginazione, in una prova fatta in classe, sono stata etichettata semplicemente per un qualcosa di diverso, e questo fa capire che ogni giorno ci sono molte persone che vengono emarginate dalla società, perchè purtroppo ci troviamo in una società mentalmente ancora troppo chiusa per far si che venga rotto una volta per tutte il concetto di stereotipo, emarginato.

    Il testo di Anna Maria Murdaca ,Complessità della persona e disabilità, si pone l'obiettivo di:
    -ricostruire una nuova cultura della disabilità,
    -rimodulare il termine di integrazione,
    -comprendere le reali condizioni di vita, quale ruolo effettivamente possono svolgere i disabili.
    Occorre adottare l'ottica della globalità, centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione. Spesso è il contesto sociale a favorire il processo di esclusione o quello di emarginazione. Bisogna saper valorizzare la persona per ciò che è.
    L'integrazione svolge un ruolo fondamentale,è un processo continuo, una continua ricerca di soluzioni, strategie idonee a preservare i diritti acquisiti dai disabili.
    Nessuno deve essere definito per sottrazione perchè si tratta di persone e come tali devono essere valorizzate e considerate cittadini a pieno titolo.
    L'idea è di ri-pensare ad una società con veri spazi di formazione per i soggetti con disabilità,i quali non sono soggetti passivi di pietismo ma responsabili della relazione io-altro.
    La Relazione educativa è dunque una relazione tra persone in cui uno dei partecipanti,cerca di favorire nell’altro una maggiore valorizzazione delle proprie capacità presenti e potenziali ,in modo da incoraggiare una crescita che nel rispetto delle caratteristiche individuali ,porti a graduali miglioramenti della qualità della vita. L’operatore deve far percepire alla persona di essere accolta nella relazione per come è,nella sua globalità e non giudicata per i suoi limiti o mancanze. L'incontro con l'altro arricchisce la nostra persona.
    La relazione educativa si costruisce giorno dopo giorno, a partire dal reciproco sentire e si consolida grazie alla condivisione di un vissuto.
    Grazie a due simulazioni svolte in classe inerenti la relazione educativa, ho capito delle cose molto importanti, prima fra tutte l'atteggiamento da assumere di fronte a una persona in difficoltà, che la mia collega ha saputo riportare molto bene, il suo essere serena, ha messo serenità anche alla persona che aveva di fronte, l'ascoltare senza avere dei pregiudizi, ha fatto sì che la mamma del bambino (in questo caso il problema esposto dalla mamma era l'assenza della maestra di sostegno) si esprimesse liberamente senza timore. La seconda relazione era tra una ragazza e un'educatrice. Il problema della ragazza era la difficoltà difficoltà di relazionarsi con gli altri, con il gruppo classe. L'educatore deve innanzitutto svolgere un lavoro prima su se stesso, nel senso che deve mettere da parte l'emotività, perchè non farebbe altro che peggiorare la situazione anziché migliorarla, deve avere molta pazienza e passione, senza di esse sarà difficile poter aiutare l'altro.

    La società influisce pesantemente sull'aspetto fisico della donna, ci troviamo di fronte a una donna insoddisfatta e alla continua ricerca della bellezza assoluta.
    La tecnologia come miglioramento,può essere intesa come scoperta evolutiva,indagine scientifica ma il fine non sempre è pratico o necessario,talvolta viene utilizzata per migliorare l'estetica del proprio corpo, per essere più belle...ormai la bellezza è qualcosa che ci martella tutti i giorni, partendo dai modelli che ci vuole imporre la tv, modelli irragiungibili. La vera bellezza arriva da dentro, dal sentirci bene con noi stesse. Non per tutti è così, spesso è necessario riflettere a lungo prima di amare se stesse e il proprio corpo, molto spesso ci disprezziamo, odiamo quello che vediamo allo specchio. Per molti la donna ideale è magra, un fisico da urlo insomma e in più un viso senza imperfezioni. MA secondo me la vera bellezza è essere sempre se stesse, amarsi per quel che si è, senza rincorrere dei modelli irragiungibili, saremo soltanto perennemente insoddisfatte e poi il MONDO E' BELLO PERCHE' E' VARIO, finiremmo per diventare tutti uguali...
    Remaury nel testo “Gentil sesso debole”, affronta il tema dell'immagine del corpo femminile tra cosmetica e salute. La bellezza è associata come un dovere da coltivare. Dice che siamo diretti verso una corsa alla perfezione, abbiamo un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza-salute. Mentre con Lipovetsky ne “ La terza donna” nasconde la sua sottomissione ai modelli dominanti imposti e strutturati, obbligata dal sociale a percorrere una delle strade possibili verso il corpo realizzato (attraverso un lavoro su se stesse).
    Rosa Braidotti ci parla di “Madri mostri e macchine” riflette su come la donna sia capace di deformare il proprio corpo, diventando un qualcosa di orribile ( mostro e madre al contempo). È proprio da ciò che la Braidotti propone alle donne di incarnare anche la macchina prestandosi “ al gioco di ridefinire sia le tecnologie attuali sia l'immaginario che le sostiene”. Per la nostra società la bellezza è un aspetto fondamentale che una donna deve avere se vuole restare in televisione cosi allo stesso tempo ci sono altre società che impongono dei canoni di bellezza ,se pur diversi dai nostri, per far parte di tribù. Penso che bisogna imparare a valorizzare la nostra persona per ciò che è. Ognuno di noi è perfetto nelle sue imperfezioni. Però vivendo in una società come la nostra mi rendo conto che l'individuo sarà continuamente al servizio del proprio corpo...
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    Messaggio  anna gemma buono1 Mer Mag 02, 2012 12:46 pm

    Il passaggio dall’ICD all’ICF ha costituito un enorme passo avanti nel campo della disabilità. L’OMS ,ossia l’organizzazione mondiale della sanità ,elaborò nel 1970 la sua prima classificazione delle malattie detta appunto ICD che classificava le patologie come una sorta di enciclopedia clinica fornendo per ogni sindrome e disturbo una descrizione delle principali caratteristiche cliniche ed indicazioni diagnostiche .Questa classificazione però col tempo si è rilevata non esaustiva e per questo nel 1980 è stata messa a punto una nuova classificazione detta ICIDH che si basa su tre fattori :-menomazione
    - disabilità
    -handicap
    Per menomazione si intende una qualsiasi perdita o di una struttura o di una funzione fisica o psicologica .Per disabilità si intende la limitazione o perdita delle capacità di compiere un’azione.
    L’handicap invece è la difficoltà che la persona con disabilità affronta nel confronto con gli altri ,ed è quindi il suo disagio sociale. Ma anche questa classificazione ha dovuto subire delle modifiche cha hanno portato alla classificazione ICF che non considera la disabilità come una condizione soggettiva o come una caratteristica propria della persona ma che da una maggiore attenzione alla capacità del soggetto e alle sue possibilità di coinvolgimento sociale.
    Sottolineando quindi l’evidente ruolo che gioca il contesto nella disabilità .L’ambiente ha infatti un importante influenza nello sviluppo che può essere positiva o negativa .
    Nella nostra società vi sono molte problematiche che creano un ambiente sfavorevole soprattutto per i disabili .Basti pensare alla problematica delle barriere architettoniche e ha come influisce negativamente su le persone disabili ,che risentono di difficoltà che potrebbero benissimo essere evitate, facendo si che si sentono ancora più emarginati. Come affermavo infatti nel laboratorio relativo a questa problematica i disabili vengono trattati come dei relitti della società ,quando basterebbe fornirgli gli strumenti necessari per esserne parte integrante .
    Un proverbio cinese infatti dice: “ dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno ; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita” Ciò a dimostrare quanto sia importante aiutare queste persone a sviluppare una propria autonomia .
    Il problema principale però è cambiare il modo di pensare di tutti affinché avere il montacarichi funzionante non sia una richiesta soltanto dei "disabili”!!!!!
    Un’altra caratteristica infatti del disagio sociale che vivono i disabili è proprio il pregiudizio.
    La disabilità viene vista come mostruosità e anormalità ;nei confronti dei disabili ci sono atteggiamenti ambivalenti alcune volte di derisione altre volte di pietismo ,che non fanno altro che alimentarla.
    I pregiudizi sono così ,si insinuano nelle nostre menti come fossero un virus poi così difficile da distruggere. “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”
    Pregiudizi che si esprimono anche nell’arte dove è molto difficile trovare dei modelli di disabilità o bruttezza .
    Per esempio quando abbiamo visionato il quadro “ GIOCATORI DI SKAT” di Otto Dix ,la mia prima impressione è stata di repulsione ,ho pensato "che brutto" ,questo perché ci sono comunque dei modelli culturali che seguiamo e che sono diventati oramai parte di noi.
    Alla base dei pregiudizi ci sono oltre concezioni errate anche un cattivo uso delle parole ed è il motivo principale della ricerca di una giusta classificazione.
    Le parole infatti sono difficili da maneggiare e l’ho capito ancora di più affrontando il laboratorio della mappa degli stereotipi. Di fronte all’esercizio, in cui io e le mie colleghe dovevamo definire dei termini utilizzando anche luoghi comuni ,ci siamo trovate molto in difficoltà specialmente con la parola “diverso” che viene spesso legata alla disabilità. Il disabile è il diverso ,colui “non” può fare ,che “non” è come gli altri.
    Il laboratorio ha evidenziato però che tutti siamo diversi e abbiamo anche delle caratteristiche uguali , spesso siamo parte di categorie dispregiate come per esempio il fatto di essere napoletani.E questo fa riflettere molto sul ruolo che certe “etichette” hanno nella nostra vita. La categoria “disabili” è già in se un’emarginazione come se un disabile sia soltanto il suo handicap è non più una persona! Come affermava Gianni nella sua poesia chiamatemi per nome e non portatore di handicap ,forse usate chiamare gli altri portatore di occhiali?
    Questa svalutazione induce in queste persone un senso di inferiorità e inadeguatezza che possono portare all’autoesclusione . Il termine dis-abile dovrebbe guardare a ciò che una persona può fare ,a ciò che può dare in modo “diverso” come infondo facciamo tutti .
    Bisogna quindi riflettere prima di utilizzare certi termini e cambiare molto il pensiero che spesso li genera.
    Per cambiare percezione bisognerebbe capire realmente come ci si sente nell’essere discriminati, degli emarginati ,degli esclusi .Ciò che ho provato nella simulazione della “cecità” nel sentire le parole di Gianni ,di Gennaro o Sara , che attraverso la benda hanno risuonato più forte,esprimendo la loro sofferenza ,il loro dolore ,il loro spesso sentirsi incompresi ,soli e non accettati.
    Tutto ciò fa riflettere molto sul ruolo che giochiamo noi “ normodotati” nei confronti della vita di queste persone , come spesso non solo le nostre parole ma anche i nostri gesti i nostri sguardi giudicano e sentenziano persone sconosciute.
    Altre volte semplicemente lo sguardo lo spostiamo per non vedere ,come nella simulazione della città ,dove gli emarginati erano a due passi da noi ma sembrava non ci fossero.
    Ma è attraverso la riflessione anche di queste esperienze che si può migliorare la società affinché si elimini quel disagio sociale che si trovano ad affrontare i disabili.
    Sul ruolo sociale e sulla necessità di ricostruzione di una nuova cultura della disabilità riflette Anna Maria Murdaca che nel suo testo “complessità della persona e disabilità” si pone l’obbiettivo di realizzare una vera “integrazione” che non miri a un astratta “normalità” ma che voglia valorizzare proprio la persona proprio nella sua individualità ,rispettando differenze e identità. “Ogni disabile ha la sua storia”
    Non si dovrebbe infatti definire mai nessuno per sottrazione ,poiché si tratta di persone che si caratterizzano per le capacità , per ciò che sanno o che potrebbero fare, e non viceversa.
    L’integrazione viene visto come un processo continuo ,una continua ricerca di nuove strategie ,che non mirino a accudire il disabile proteggendolo in una campana di vetro ,ma che hanno come obiettivo la sua emancipazione. Fondamentale è quindi la relazione educativa che deve essere finalizzata a sviluppare indipendenza ed autonomia.
    La relazione educativa è un complesso legame che si forma fra docente e discente, un legame che "crea" il reale apprendimento, una profonda interconnessione che porta alla fusione delle conoscenze, è un prendere e dare in sincronia.
    Ogni relazione è educativa ,in quanto ogni incontro umano è portatore di significati valori o opinioni che assumono un peso nella vita di colui che li riceve. Personalmente ho incontrato molte persone che hanno influenzato la mia vita sia positivamente che negativamente ,alcuni incontri sono stati per me molto educativi anche quelli fatti in classe in particolare con l’associazione autism o il professore Palladino .
    Sicuramente il primo rapporto educativo avviene nella famiglia che ,nella prospettiva di questa nuova cultura di integrazione, dovrebbe liberarsi dal senso di impossibilità di miglioramento della situazione del figlio ,cercando di trasmettere un clima di positività e tentando di non assumere atteggiamenti troppo protettivi.
    Nella relazione educativa deve risaltare prima di tutto il rispetto dell’altro e del suo valore in quanto persona.
    L’educatore deve poi soprattutto essere disponibile e aperto ad ascoltare e ,come abbiamo visto nei setting della lezione sulla relazione educativa, deve trasmettere positività anche attraverso i gesti ,la mimica ,la posizione corporea .Inoltre deve accettare il pensiero divergente ed essere sempre pronto a mettersi in discussione , valutando caso per caso a seconda del tipo di alunno/ragazzo che ha davanti, cercando di valorizzarne le caratteristiche soggettive. Ma soprattutto deve essere d’esempio, l’educatore infatti non deve mai dare è il cattivo esempio, anzi ci si aspetta da lui un modello da seguire, diventare un punto di riferimento,una guida. Deve mostrare la strada per esempio sul come relazionarsi ,come farsi capire ed ascoltare.
    Fondamentale infatti è proprio l’ascolto anche nel silenzio poiché l’educatore non deve per forza dare soluzioni .L’ascolto infatti è la base di ogni rapporto perché è attraverso di esso che si impara a conoscere e capire l’altro .
    Spesso infatti non ci capiamo perché non ascoltiamo realmente l’altro.
    Come ho infatti sperimentato nella simulazione della cecità dove è bastata una benda per farmi capire che noi molte volte “sentiamo” solamente senza ascoltare realmente le parole ,il significato e le emozioni che vi sono dietro .
    Nel relazionarsi con il disabile inoltre si deve cercare di far emergere le sue doti lavorando sulle sue potenzialità ,cercando di lavorare su un piano di pari opportunità .Non si deve avvantaggiarlo o assumere degli atteggiamenti di preferenza poiché deve essere considerato soprattutto una persona al pari degli altri.
    L’educazione non solo dei disabili ma di tutti deve mirare quindi a creare un ambiente più positivo, una nuova società dove vengano non solo accettate ma valorizzate le differenze individuali come opportunità e arricchimento.
    Differenze anche sul piano estetico e corporeo .Come ben sappiamo infatti non abbiamo modelli culturali che ci impongono degli standard anche sull’idea di bellezza.
    Idea che è mutata nel corso degli anni e che ha coinvolto soprattutto il corpo femminile ,passando dall’idea di donna prosperosa come simbolo di maternità e fecondità,alla donna-grissino.
    La cultura dell’immagine nelle donne si confonde con quella della bellezza ,per cui la donna deve e soprattutto sente il bisogno di essere bella .Addirittura ad un aspetto giudicato attraente vengono attribuite presunte virtù interiori Di fatti persino nei luoghi di lavoro la bellezza viene vista come caratteristica essenziale ,non è in fatti vero che in molti annunci lavorativi si chiede specificamente “ bella presenza”?come se la bellezza fosse un dato oggettivo.
    La bellezza invece è decisamente relativa e dipende dai modelli culturali di riferimento, come infatti abbiamo visto nel laboratorio delle protesi estetiche ogni popolazione ne ha un idea diversa con cui ogni individuo si relaziona.
    L’idea di bellezza è quindi soggettiva come affermava leopardi infatti ”non si troverà una sola donna della cui bellezza o bruttezza tutti gli uomini convengano”
    Nella ricerca della perfezione si utilizzano i metodi più disparati a seconda della cultura di appartenenza , vi è pratica dei Masai di allungarsi i lobi degli orecchi attraverso degli orecchini , oppure di allungarsi il collo attraverso delle collane. Nella nostra società si utilizzano i progressi della scienza e in particolare della chirurgia estetica che ci avvicinano ai nostri obiettivi .
    Come afferma Reumary nel “gentil sesso debole” siamo orientati verso un triplice obiettivo: giovinezza-bellezza –salute
    Nell’inseguire questi obiettivi vogliamo creare un corpo liberato dalla malattia ,dal peso e dal tempo.
    Ma attraverso la trasformazione che mettiamo in atto per crearlo diamo vita a qualcosa che diventa mostruoso. Per esempio il modello delle donne magre ha creato il prototipo di bellezza anoressica che si avvicina al mostruoso ,al corpo senza carne che incarna in qualche modo la morte ,la patologia. Ma non riusciamo a sfuggire a quest’ottica di ricerca della perfezione perché nell’essere fuori da quei canoni ci sentiamo dei “diversi”,degli esclusi.
    Come infatti riflette Brainotti ciò che accomuna tutte le diversità è la distanza da quei corpi della normalità :il loro essere stati visti da sempre come mostruosi ,come deformi rispetto alla norma.
    Il diverso è allora chi è al di fuori alla norma ,ma chi decide la norma???
    Siamo noi stessi a volere creare dei modelli di riferimento a cui poi tendiamo omologandoci . Tutto ciò perché appunto non siamo aperti alla diversità ,all’accettazione dell’altro nelle sue differenze: culturali ,estetiche o caratteriali , ma dobbiamo educarci ed educare a questa nuova e più interessante prospettiva.
    Rita Gaita 1990
    Rita Gaita 1990


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    Messaggio  Rita Gaita 1990 Mer Mag 02, 2012 1:40 pm

    Importante nella vita di tutti i giorni, è l’utilizzo della parole, che spesso vengono usate in maniera errata perché non se ne conosce il significato oppure perché spesso si pensa che termini totalmente opposti tra loro siano per qualche strana ragione sinonimi. Questa mancata attenzione, però viene attuata anche nel momento in cui si trattano temi delicati facendo confusione, ad esempio, tra handicap, disabilità e menomazione. A tal proposito, negli anni ’70, l’OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità - ha deciso di dar vita ad una classificazione delle malattie formando un’enciclopedia. Nacque così l’ICD -Classificazione Internazionale delle Malattie – che coglieva le cause delle malattie fornendo una descrizione di quest’ultima e facendo attenzione all’ aspetto eziologico seguendo il seguente schema:
    EZIOLOGIA  PATOLOGIA  MANIFESTAZIONE CLINICA
    Agli inizi degli anno ’80, fu apportata una modifica all’ICD, dando vita all’ ICIDH che aveva in comune con l’ICD il termine menomazione – in entrambi i casi,infatti,si vuole indicare un problema fisico o organico che non può essere definito in altro modo – e che differiva da quest’ultimo per i termini abilità e partecipazione che sostituiscono i termini disabilità ed handicap. Quindi:
    ICD
    • Menomazione
    • Disabilità: limitazione, conseguente a menomazione,di svolgere determinate attività che sono considerate normali da un essere umano. È la perdita di una capacità operativa ed è formata da esclusioni nella realizzazione dei compiti. Così facendo si oggettiva la menomazione.
    • Handicap: nasce dalle barriere che la società pone, portando quindi ad uno svantaggio nel soggetto. Comprende, inoltre, anche la difficoltà che il soggetto affronta nel confrontarsi con gli altri.
    ICIDH
    • Menomazione
    • Abilità
    • Partecipazione: maggior attenzione alla capacità del soggetto e al suo coinvolgimento sociale in quanto,questi, non è una persona disabile ma diversamente abile, cioè una persona che ha altre caratteristiche e opportunità rispetto agli altri.
    Negli anni ’90,però,ci si rese conto che non si potevano prendere in considerazione solo i fattori biomedici, ma c’era bisogno anche di prendere in considerazione il contesto sociale,perché spesso è questo che rende determinate situazione sfavorevoli. Si decise così di dar vita all’ ICF – Classificazione Internazionale del Funzionamento ,della disabilità e della salute – che vede la disabilità come qualcosa derivante da un contesto sfavorevole (seconda parte dell’ICD,perché la prima si basa sul funzionamento e disabilità), che spesso pone delle barriere e che non permette al soggetto di dar vita alla propria personalità. Ci sono, a tal proposito, due tipi di barriere:
    - quelle da me definite “mentali”, che portano ad una disfunzione a livello psicologico. Nascono dal nostro modo di considerare le persone diversamente abili incapaci nello svolgere un’attività. Così facendo, si viene ad abolire la resilienza che è in loro, portandolo a sentirsi inferiori al resto del mondo a causa dei giudizi altrui.
    - Quelle da me definite “materiali” che dipendono dal contesto in cui si vive e dalla società, che non è predisposta in maniera adeguata verso persone con disabilità. La stessa società,infatti, spesso non prende in considerazione la necessità di dare degli aiuti alle persone diversamente abili, anzi, se proprio vogliamo precisare la situazione, gli aiuti ci sono perché ci sono moltissime leggi che vanno a tutelare le persone diversamente abili, ma nessuna di queste viene attuata. A tal proposito, in aula,vedemmo dei video che mi lasciarono abbastanza basita ,perché, si notava la difficoltà di persone paraplegiche, costretti a camminare in mezzo alla strada dove passavano le macchine perché non c’erano gli scivoli ai marciapiedi,oppure non potevano prendere un mezzo pubblico perché non c’erano i giusti ausili. La stessa difficoltà la si sarebbe incontrata nello svolgere le attività che svolgevo io (chiesa, università, uscite varie con mezzi pubblici…)e che ho messo in evidenza nell’orologio, l’attività più difficile che abbia mai svolto, solo perché non ho mai pensato a quante barriere ci potessero essere, dato che a me sembra tutto naturale e semplice.
    Nel nuovo millennio, il millennio della tecnologia,della domotica (come abbiamo visto nelle ultime lezioni in aula),dell’apertura mentale, non è possibile che ragioniamo ancora così, che esistano spazi adatti con altrettanti ausili utili e che non permettiamo ad una persona diversamente abile di svolgere una vita normale. Ieri, a tal proposito,parlando con un amico del peso delle parole, arrivai a scontrarmi con lui proprio perché definiva tutte le persone diversamente abili come “handicappati” e non ammetteva ragioni nel capire che sono due significati del tutto opposti, perché alla fine per lui il termine “handicappato” indica una persona disabile, quindi perché non usarlo? Ma soprattutto,cosa che mi ha fatto arrabbiare ancora di più, perché considerare queste persone capaci di svolgere delle attività come tutti noi? Questo,dopo essermi arrabbiata abbastanza,mi ha portata a capire quanto la nostra mente ancora oggi sia chiusa non solo a livello terminologico( in questo caso penso che non si debba parlare di vera e propria chiusura mentale, in quanto molte persone non conoscono l’esistenza di tutte queste diversità di significato tra i termini), ma anche e soprattutto, a livello di considerazione delle capacità di persone che non sono normodotate. Molti pensano infatti, che una persona diversamente abile non sia in grado di poter far nulla a causa della sua disabilità; è così che si vengo a creare i pregiudizi, perché alla fine quello del mio amico (e di molte altre persone che sicuramente ci sono, ma non conosco) sono pregiudizi basati sul nulla, che non hanno senso, ma soprattutto che vanno a dispregiare quello che è l’essere speciale che abbiamo di fronte.
    All’interno di questo vasto discorso, inoltre,chiesi se diverso e disabile per lui fossero la stessa cosa e lui rispose di si, considerando questi termini quasi intercambiabili tra loro senza capire che se la disabilità è un’oggettivazione della menomazione derivante da un contesto sfavorevole o dall’impossibilità di svolgere determinate azioni; la diversità è solo uno stereotipo sociale, qualcosa che nasce da noi e che porta poi alla categorizzazione di tutte quelle persone con determinate difficoltà. Diverso,infatti, significa avere addosso un etichetta che ti porta ad essere oggetto di pietismo oppure addirittura di emarginazione. Ciò mi permette di collegarmi alla simulata fatta in aula sulla emarginazione (sindaco/ cittadino) che portò la maggior parte di noi a ragionare su quanto possa essere doloroso sia emarginare(se dall’altro lato c’è una persona a cui vuoi bene) sia essere emarginato. A volte ciò accade non solo per problemi di disabilità, ma anche per piccoli motivi, come capitò a me alle medie che mi prendevano in giro per le orecchie, e che portano comunque il soggetto a sentirsi escluso, brutto e a porsi domande a cui non si può dare una risposta perché fondamentalmente, non c’è una motivo valido del perché accada ciò.
    Importante, su un argomento tanto delicato, è il libro della Murdaca “complessità della persona con disabilità” che mette in evidenza la rimodulazione del termine integrazione; che mira alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità e alla ridefinizione di un progetto di vita delle persone con disabilità.
    Partendo dal primo degli obiettivi qui riportati, la Murdaca, tende a rimodulare il termine integrazione perché capisce che nella società odierna, l’integrazione viene vista come un fine da raggiungere. Una volta che il ragazzo diversamente abile si è integrato, l’educatore, l’insegnate e la famiglia, pensano di aver raggiunto il loro obiettivo, invece non è così. Come ci dice la stessa scrittrice, l’integrazione è un processo in continua evoluzione e che dura tutta la vita, una continua ricerca di strategie, di soluzioni, atte a far integrare la persone, nel migliore dei modi, nel contesto in cui si trova, che cambia continuamente e che va dalla scuola, alla famiglia, al tempo libero ecc…. Per fare ciò, però, è necessario ricorrere alla logica della globalità, che prende in considerazione l’interazione tra i sistemi biologico, intellettivo, affettivo e sociale. Per questo motivo,un individuo svantaggiato non deve essere identificato con il suo stesso deficit, ma ha pari diritti e dignità di tutti gli altri esseri umani e deve essere considerato "persona", nell’accezione più globale del termine. La persona,infatti, non può essere scomposta in funzioni, cioè non si possono mettere dei limiti, in quanto questi spesso possono essere superati - un esempio è l’Atzori, che se solo le fossero stati posti dei limiti, lei non avrebbe mai avuto l’opportunità di ballare, cosa che non è accaduta perché si è considerata la globalità della persona che ha dato vita a un comportamento resiliente - bisogna,quindi,dare spazio a tutte le sue capacità e ciò viene affermato anche dalla legge 104, 5 febbraio 1992 – LEGGE-QUADRO PER L'ASSISTENZA, L'INTEGRAZIONE SOCIALE E I DIRITTI DELLE PERSONE HANDICAPPATE –
    Il nuovo concetto di integrazione, quindi, comprende anche quelli che sono i concetti di accoglienza verso le diverse identità con cui veniamo a contatto in un’ottica olistica e condivisione dei valori che prendono in considerazione la dignità,l’identità e le potenzialità personali. Questo cambiamento di rotta che avviene nel rimodulare il termine integrazione, porta a sua volta alla nascita di una cultura della disabilità, che non deve essere vista più come una malattia da curare, ma deve mirare all’emancipazione del soggetto, che deve diventare indipendente non solo da quelli che sono le barriere fisiche, ma anche mentali che spesso vengono imposte dagli altri. La disabilità quindi cambia, perde il suo valore spregiativo per aprirsi all’integrazione e al cambiamento educativo. Questo cambiamento consiste nel considerare i disabili cittadini a pieno titolo, dove i soggetti con disabilità non sono più oggetto di pietismo, ma responsabili di relazioni. Attuare ciò,non è una cosa semplice,infatti, è necessario avere delle misure di sostegno, sia pedagogiche che sociali, adatte. Si viene così a creare un nuovo scenario che si basi su rapporti educatori / insegnanti a pieno titolo ed esperti nel cerare una rete tra la persona, il contesto sociale,l’ambientale, gli spazi educativi e infine la famiglia. Includo anche quest’ultima, perché, non sempre la famiglia è pronta ad affronta un problema di disabilità. Spesso i componenti si trovano spiazzati,dando vita a situazioni peggiori di quelle che si possono incontrare nel mondo esterno. Non essere accettati dalla famiglia o essere trattati con pietismo da questi ultimi, è peggio del vedere attuare determinati comportamenti da persone estranee. In questo modo la persona diversamente abile si trova ad essere ancor più sfiduciato, perché viene a mancare quello che è un buon rapporto madre/figlio oppure figlio/componenti familiari. I rapporti educativi, sono alla base di una buona integrazione e di una formulazione di una nuovo programma per la persona con disabilità; un progetto di vita che deve essere costruito con l’aiuto dell’educatore, che deve porre il soggetto con disabilità sul suo stesso piano. Si devono, quindi, instaurare dei rapporti di fiducia e di scambio reciproco; bisogna entrare nell’ottica dell’ “arricchimento bilaterale”. Non è solo l’educatore a dare, ma anche la persona che è di fronte all’educatore o all’insegnante.
    Allo stesso tempo, il contesto, deve essere considerato "spazio riparativo" dove il disabile può sperimentare, con gli educatori e gli insegnanti, una serie di situazioni e vissuti emotivo-affettivi che vengono elaborati, criticati, proiettati, ricostruiti e integrati nella relazione educativa. L'integrazione diviene la costruzione di luoghi nei quali il disabile può trovare gli elementi e i mezzi per costruire la propria identità e raggiungere la propria autonomia. Tutto ciò, infine, non si deve basare su soluzioni generali, ma ogni soluzione è a se stante, perché ogni soggetto è diverso e ogni contesto in cui l’educatore, l’assistente socio-sanitario,l’insegnante si trovano a lavorare è sempre diverso, come diverso è il vissuto della persona con disabilità.
    Come si può notare, però le difficoltà di integrazione, non le vivono solo le persone diversamente abili, o menomate, ma le vivono tutti coloro che hanno un determinato aspetto o che non rispecchiano i canoni della bellezza che la società impone. Questi canoni, posso essere soddisfatti solo tramite gli interventi chirurgici e le protesi estetiche che non sono più fatte solo per motivi “curativi” (laddove ci dovesse essere una menomazione), ma vengono fatte per motivi estetici, a tal punto che nella società si è diffusa moltissimo la chirurgia estetica, praticata dagli uomini,ma soprattutto dalle donne,la cui figura, orami, si confonde con quella della bellezza, concetto diffuso grazie ai mass media che propongono l’ideale della femminilità che deve essere per forza coltivato dalla donna. In genere, infatti, si tende ad attribuire delle qualità ad una donna bella, senza sapere che forse quella donna interiormente e caratterialmente è vuota; al contrario, si tende ad attribuire caratteristiche spregiative ad una donna che invece è brutta, quando probabilmente questa abbia molte più virtù di quanto possa sembrare.
    A tal proposito, possiamo far riferimento a tre autori importanti che hanno trattato il tema del corpo trasformato e mostruoso, Remaury, Lipovetsky e infine Braidotti.
    Remaury afferma che i bisogni di bellezza,di miglioramento fisico e di giovinezza, siano stati imposti dalla società e siano diventate le caratteristiche che deve avere una donna oggi per vivere nel mondo televisivo e che condizionano la vita quotidiana. Sempre più donne,infatti, tendono a restare giovani, a trasformare o abolire quello che è il passaggio del tempo solo per paura di invecchiare, mostrare la propria età e non essere apprezzati dagli altri. L’autrice,infatti, parla di “manipolazione corporea”, che si dirama in tantissimi campi da quello genetico a quello chirurgico, arrivando addirittura a quello dietetico, che porta le donne ”più robuste”, a seguire metodi alimentari particolari o addirittura a diventare bulimiche o anoressiche, rendo , così, il loro corpo privo di forme e di bellezza, privo di quella femminilità che la donna pensa di aver raggiunto con questi metodi. Questo tema così delicato, viene trattato e approfondito da Lipovetsky che mette in evidenza due temi fondamentali. Il primo prende il nome dal suo libro, cioè “La terza donna” dove non si tende a sottolineare l'uguaglianza dei sessi, ma la loro diversità intrinseca; il fine ultimo della sua tesi è mostrare come la donna realizzi se stessa realizzando pienamente e consapevolmente la propria differenza. Per questo, dopo aver analizzato due modelli del passato ( la prima donna: svalutata, sfruttata, demonizzata; la seconda: l'icona, l'ideale di virtù, la Beatrice) in cui la diversità è stata strumentalizzata per neutralizzare la stessa donna con la sua indipendenza e differenza, eccolo individuare le terza via, che di questa diversità recupera il senso profondo. L’autore si chiede se nella moderna società occidentale, dove la parità dei diritti è sancita per legge, le scelte dei due sessi in materia di amore, matrimonio, lavoro, figli spesso sono divergenti perché resistono ancora i cliché del passato. Il secondo tema fondamentale,invece, è la de-femminilizzazione della donna, considerando la bellezza come una malattia che porta a quello che è un corpo mostruoso. Del corpo mostruoso, invece, ne parla Braidotti, che tratta il tema della normalità definendola “grado di mostruosità zero” . Questa riassume in sé una serie di aspettative e di norme socio-simboliche che fanno di un certo tipo di corporeità il modello di base. La scienza ha manifestato interessi morbosi nel controllare la riproduzione dei mostri. La procreazione di corpi abietti e mostruosi, è stata oggetto di studi approfonditi. Il bello del mostruoso, però, è che vince sempre e questo è stato prova in numerosi testi scritti,ma soprattutto nei cartoni Disney dove il famoso “Gobbo di Notre Dame, Quasimodo” o la “sirenetta Ariel” erano considerati esseri mostruosi e quindi cattivi, invece, alla fine si sono dimostrati capaci di aiutare chiunque, dando vita alla loro personalità e al loro lato buono che non era stato considerato dal popolo raffigurato nei cartoni animati. Quanto detto fino ad ora,quindi, ci fa capire quanto le persone non devono essere giudicate dall’aspetto fisico, ma dal loro carattere e dalle loro capacità; devono, come detto prima, essere guardati nella loro globalità e non guardare solo ciò che non va bene, spingendoli a gesti del tutto errati come la chirurgia plastica, che modifica il corpo rendendolo “artificiale”.
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    Messaggio  elisabetta.monto Mer Mag 02, 2012 1:46 pm

    L’OMS, l’organizzazione mondiale della sanità è nata come agenzia specializzata in materia di salute. Nacque nel 1948 e fu così che per la prima volta fu data la definizione di salute intesa come il raggiungimento di un benessere fisico, psichico e sociale.

    La salute di tutti i popoli è fondamentale per il raggiungimento della pace e della sicurezza e dipende dalla
    piena cooperazione degli individui e degli Stati. Il raggiungimento da parte di tutti gli Stati della
    promozione e protezione della salute è un valore per tutti. Lo sviluppo diseguale nella promozione della
    salute e nel controllo delle malattie, specialmente nelle malattie infettive, da parte dei diversi paesi, è un
    pericolo per tutti. […] L’estensione a tutti gli individui dei benefici del progresso in campo medico,
    psicologico e in campi di conoscenze correlati, è essenziale al pieno raggiungimento della salute.

    L’OMS ha formulato una classificazione delle malattie e patologie (ICD) spiegandone ogni caratteristica clinica. Ad ogni malattia fu dato un codice di numeri, per rendere più facile la memorizzazione.
    Negli anni 80,l’OMS,ripensò all’ICD , formulando l’ICIDH, International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps. Furono modificati tre termini: menomazione( intesa come una perdita psichica ,fisica),disabilità(è l’incapacità di svolgere funzioni e compiti) e svantaggio si passò a menomazione, abilità e partecipazione .Questi cambiamenti portarono a una visione diversa del soggetto, un soggetto non più ai margini della società ma posto all’interno della società infatti si parla di abilità e non più di disabilità, vengono messe in risalto le proprie caratteristiche e non il proprio handicap.Fu così che questi cambiamenti portarono all’elaborazione dell’ultimo manuale di classificazione l’ICF, classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute ,nel 2001. Secondo l’ICF un contesto sfavorevole può portare il soggetto a una condizione di disabilità. Con L’ICF, cambia totalmente l’approccio nei confronti della disabilità, si crea una visione multiprospettica non basandosi più solamente sulla classificazione delle patologie ma il soggetto diviene il punto centrale. Il soggetto viene guardato globalmente, a 360° ,si prende in considerazione anche l’interazione sociale e le conseguenze associate alle condizioni di salute. A lezione abbiamo riflettuto su due parole che spesso vengono confuse: disabile e diverso. Il disabile è una persona che non ha le possibilità per svolgere attività normali della vita di tutti i giorni ,in quanto, è un individuo affetto da disfunzioni motorie o psicologiche. Proprio su questo tema, connesso alle barriere architettoniche , in aula, abbiamo visto diversi video. I disabili incontrano ogni giorno le cosiddette barriere architettoniche (scalini, corridoi, ..ecc) non essendo così liberi di spostarsi e compiere azioni di routine. Dai video ho compreso che in realtà lo stato, la legge, la società non attua nulla di adeguato per le loro esigenze, non creando infrastrutture adatte per vivere unavita “normale”. Disabile, una parola, mille pregiudizi eppure sono esseri umani come noi, forse il termine migliore da usare non è disabili ma diversabili. E’ più giusto dare questa definizione perché con questo termine vengono messi in risalto le abilità di una persona che possono essere potenziate e sviluppate. Proprio su ciò, l’Atzori ,in un video, ha affermato “Non permettere agli altri di vedere in te dei limiti che non senti di avere”. Osservando l’Atzori ho visto una persona non “ diversa” ma del tutto “normale” , è vero ,non ha le braccia ma questo non la rende diversa dalle altre persone, anzi, il suo è un vero e proprio atteggiamento di resilienza, la sua voglia di andare avanti e di sorridere abbatte tutte le difficoltà.
    Spesso, come ho detto prima, il disabile viene confuso con il diverso, con la diversità. Il diverso è inteso come una persona non simile, ma con delle caratteristiche divere dalle persone che lo circondano. Spesso, il diverso, ci fa paura, ci incute timore, lo isoliamo tendiamo a non comprenderlo e ad emarginarlo e quindi anche a categorizzarlo. La società, anche su questo aspetto, non aiuta anzi lancia attraverso i mass media continui canoni di bellezza e perfezione da seguire. E come raggiungere quella bellezza che per noi porta alla “normalità”??
    Attraverso la chirurgia estetica. Anche su quest’ultimo argomento ,sul forum, abbiamo discusso molto. Il mio pensiero è stato chiaro fin da subito; sono favorevole all’uso della chirurgia estetica, può salvare la qualità di vita di molte persone, può renderle non “diverse” ma “normali”. La chirurgia non deve essere intesa solo come seno, labbra o zigomi rifatti, infatti , esistono persone che hanno delle malformazioni fin dalla nascita dovute a causa di malattie o incidenti. Un esempio , che ho conosciuto attraverso il corso , è Pistorius.
    Oscar Pistorius è un importantissimo esempio di come le tecnologie integrative vengono utilizzate per il completamento di una parte del corpo mancante. La sua è una storia che durante le lezioni mi ha toccato molto ,nonostante abbia vissuto in piccolissima età il trauma dell’amputazione, credo che questo disagio abbia alimentato in lui una voglia di vivere maggiore ,una continua sfida per raggiungere la normalità. Ritornando al tema della normalità e ai canoni di bellezza da seguire, possono affermare che oggi l’intento della donna è quello di essere eternamente bella e giovane in quanto questo è l’unico modo per essere accettata dalla società.La donna vuole plasmare il suo corpo, proprio come uno scultare fa con la propria statua ,il suo miglioramento fisico porta a soddisfare i proprio desideri, i propri bisogni, il bisogno di essere bella! la televisione, le copertine , e altri mezzi di comunicazione ,pretendono ragazze giovani ,snelle, belle e atletiche infatti Fatema Mernissi afferma, nel suo libro “l’harem delle donne occidentali” che l’Occidente è vittima della “taglia 42,le taglie 40 e 42 sono la norma”. Tutto questo porta a problemi di accettazione , spesso capita anche a me di sentirmi a disagio per i miei chili in più anche se non mi è mai capitato di essere umiliata e presa in giro eppure questi atteggiamenti , spesso, vengono assunti dalle persone che ci circondano e dalla società. Questi stati d’animo frastornati portano a due gravi conseguenze: l’anoressia e la bulimia. Un esempio lampante sono le modelle, ragazze costrette ad essere magrissime, senza curve, per rimanere sulle passarelle o in televisione. Il corpo delle modelle tende ad essere un vero e proprio contrasto del corpo sano. Nel libro “il gentil sesso debole” Renato Remaury afferma che la società di oggi è in corsa continua nella ricerca di questo modello di perfezione, una perfezione basata su tre obiettivi ovvero giovinezza-bellezza-salute. Si cerca di arrivare a quel corpo esatto che grazie alla scienza, chirurgia e tecnologia sta diventando il modello dominante. E proprio sulla tecnologia che Rosi Braidotti si sofferma parlando del corpo-macchina, un corpo trasformato che diviene mostruoso. “la donna, capace com’è di deformare nella maternità il proprio corpo, diventa nell’immaginario maschile qualcosa di orribile: mostro e madre al contempo”. A mio parere non esiste una bellezza assoluta da seguire, ogni persona è bella e diversa per una propria caratteristica fisica , purtroppo veniamo tartassati da questi canoni di perfezione tutti i giorni e a volte diviene difficile anche per me non osservarli. Oggi purtroppo viene guardato prima di tutto l’aspetto esteriore che quello interiore,ma credo che la personalità ,il carattere, i valori e la morale siano le caratteristiche migliori di una persona.
    Nel testo “Complessità della persona e disabilità”, la docente, Anna Maria Murdaca affronta tematiche come la complessità della persona, l’inclusione e l’inserimento del disabile, l’ambiente, lo spazio, le capacità funzionali tematiche che mirano alla ricostruzione di una nuova cultura della disabilità, alla rimodulazione del termine integrazione, alla comprensione delle reali condizioni di vita di un disabile. Quindi ,la Murdaca, si interessa all’aspetto globale della persona disabile, abbandonando la logica dell’inserimento (legge 118del 1971) e dirigersi verso una nuova strada ovvero l’inclusione. Il suo obiettivo è quello di rispettare e far emergere la persona rispettando le differenze. Il contesto sociale ,è in una posizione importante, in quanto determina la condizione di handicap. Dunque l’ambiente da un lato può essere una barriera dall’altro un facilitatore, un esempio può essere l’insegnante o l’educatore da un lato può integrare il disabile dall’latro può emarginarlo. L’integrazione avviene con l’aiuto e l’incontro dell’educatore o di altri professionisti, attraverso numerose strategie . La relazione tra docente e discente o madre e figlio ecc è un momento di crescita di entrambi le parti ,d’incontro, di scambi di idee.
    A lezione in una simulazione è stato affrontato questo concetto di relazione educativa facendo riferimento a due setting. Quella lezione mi piacque molto perché è emerso quanto sia importante il nostro lavoro di educatrici e quanto ancora ho da imparare nella relazione educativa.






    Daria Casolare
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    Prova intercorso (riapre a giugno) - Pagina 2 Empty Re: Prova intercorso (riapre a giugno)

    Messaggio  Daria Casolare Mer Mag 02, 2012 2:24 pm

    PASSAGGIO DALL' ICD ALL'ICF:
    Nel 1948 è nata l'Organizzazione Mondiale della Sanità detta OMS, agenzia specializzata dell'ONU, che ha come obbiettivo di far raggiungere a tutte le popolazioni del mondo un livello di salute alto, non solo un benessere fisico ma anche sociale e mentale. L'OMS nel 1970 ha elaborato la "prima classificazione internazionale delle malattie" (ICD) che ha il compito di fornire tutte le spiegazioni necessarie per classificare le varie patologie, fornendo per ogni sintomo o disturbo una descrizione delle principali caratteristiche di tipo clinico e diagnostiche.

    La classificazione detta ICIDH(1980) distingueva 3 termini(parolechiave):
    -Menomazione: è una qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica. Spesso sono difetti o perdite a carico di tessuti, arti o altre strutture del corpo, incluso il sistema mentale. Nel corso abbiamo trattato il tema della resilienza che è fortemente collegato con la menomazioni; ad esempio Pistorius il quale aveva al posto degli arti inferiori aveva due protesi, le quali gli avevano agevolato la sua vita. Pistorius esempio di forza e coraggio che aveva sconfitto la sua menomazione!
    -Disabilità: qualsiasi limitazione della capacità di agire, naturale conseguenza ad uno stato di menomazione o minorazione. E' l'incapacità di svolgere determinate funzioni e compiti nel modo cosiderato normale per una persona. La disabilità non è solo un deficit, mancanza e privazione, ma è una condizione che oltre la limitazione, che supera le barriere mentali ed archittetoniche. Anche se spesso queste barriere sono difficili da superare non perchè il disabile sia incapace ma per il contesto che lo circonda.. Ad esempio prendiamo la nostra città Napoli e vediamola con gli occhi di un disabile su una sedia a rotelle, vedo che le città crescono si sviluppano ma vedo un menefreghismo da parte degli enti verso le persone disabili..a tutto si pensa al di fuori di loro, oppure spesso ci sono degli aiuti come pedane..ascensori che però spesso sono fuori uso, eppure non si chiede tanto ma semplicemente libertà di movimento! Queste barriere archittetoniche non fanno altro che aumentare l'insicurezza in queste persone..
    -Handicap: è lo svantaggio di una persona a seguito di una disabilità o menomazione. L'handicap è la difficicoltà che la persona con disabilità affronta nel suo contensto esistenziale, il disagio con gli altri che deriva dalla perdita di funzioni o capacità. Molto spesso le persone pensano che coloro che sono affetti da qualche deficit non siano uguali agli altri, subito usano termini come "divesità"..ma mi domando chi siamo noi per poter giudicare o "classificare" gli altri????!!!!!..Frequentemente per queste persone diversamente abili purtroppo esiste l'emarginazione, una vera e propria esclusione dai rapporti sociali, che provoca nel soggetto un disagio psichico e sociale. L'emarginazione nella nostra società provoca molti danni come disagio, sofferenza, tensioni, abbassamento dell'autostima...

    Col passare degli anni la classificazione ICIDH aveva mostrato una serie di limitazioni, per esempio non si classificava la disabilità come un concetto dinamico, nel senso che poteva essere solo di tipo temporaneo, oppure che una persona può essere menomata senza essere disabile. Così nel 2011 l'OMS ha riformulato questa classifica proponendo una nuova classificazione detta ICF (classificazione dello stato di salute) , la quale a differenza della ICIDH non classifica solo le condizioni di salute, disordini o traumi ma le conseguenze associate alle condizioni di saloute, pone al centro dell'attenzione la vita della persona, i fattori ambientali ..diciamo che ha una prospettiva multidimensionale. Il nuovo approccio permette la correlazione fra stato di salute ed ambiente arrivando così alla definizione di disabilità come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. Accettare la filosofia dell'ICF vuol dire considerare la disabilità un problema che non riguarda i singoli cittadini che ne sono colpiti e le loro famiglie, ma coinvolgere tutta la comunità..soprattutto le istituzioni!!!!
    La nuova classificazione ICF:
    -funzioni corporee
    (funz mentali, sensoriali, riproduttive, sistemi rspiratori e cardiovascolari ecc)
    -strutture corporee
    (sistema nervoso, visione e udito, comunicazione verbale, movimento, cute ecc)
    -fattori ambientali
    (prodotti e tecnologia, ambiente naturale, relazione e sostegno sociale, sistemi, sevizi e politici)
    -attività e partecipazione
    (vita domestica, vita sociale e civile, cura della propria persona, compiti e richieste generali ecc)

    ANNA MARIA MURDACA ED IL SUO TESTO:
    L'autrice Anna Maria Murdaca nel suo testo " Complessità della persona e disabilità" propone di ricostruire una nuova cultura della disabilità, attenta non solo ai temi o i comportamenti del soggetto disabile ma attento all'evoluzione della persona nella sfera affettiva, personale, relazionale e sociale. Uno degli obbiettivi è valorizzare la persona umana rispettando le sue differenze e la sua identità. Non si mira all'accudimento, alla cura ma all'emancipazione del soggetto con disabilità, si deve costruire un ambiente dove il soggetto maturi vari processi psicocognitivi, psicoaffettivi e psicosociali per favorirli un futuro migliore. Si deve costruire un progetto di integrazione cercando di valorizzare al meglio le dotazioni individuali. Murdaca dice che "non si dovrebbe definire nessuno per sottrazione" non siamo degli oggetti, le persone si caratterizzano per le loro capacità non per le loro incapacità! Infatti come ho scritto prima spesso molte persone isolano i diversamente abili sono perchè non hanno le loro stesse capacità...quando in realtà nessuno di noi è perfetto..ognuno di noi ha delle capacità e dei limiti! Infatti spesso si parla di contesto sociale il quale determina la condizione di handicap con barriere culturali e mentali che favoriscono la condizione di emarginazione. L'ambiente come sottolinea l'ICF è molto importante per l'individuo, la sua influenza spesso è negativa infatti l'handicap è in primis un fenomeno sociale. Murdaca parlando dei vari aiuti, parla di cura intesa una progressiva emancipazione dei soggetti verso la propria realizzazione, cercar di far capire al soggetto la propria unicità, la propria specialità, e le proprie capacità. Tutto ciò avviene attraverso uno spazio riparativo dove nasce una relazione educativa, dove come ho scritto nel commento precedente si instaura un rapporto non solo professionale ma anche emotivo fra l'educatore e l'educando (in questo caso..anche se le relazioni educative possono nascere fra vari soggetti ed in vari contesti). L'educatore in questa relazione progetta una serie di situazioni emotive ed affettive dove al disabile viene offerta l'opportunità di ripensare a se stesso, alle proprie capacità, aiutandolo ad eliminare blocchi e disagi in modo da fargli scoprire la forza che ha dentro sè! Ed è quì che rispunta il tema della famosa Resilienza, questa parolina magica che purtroppo ancora poche persone riescono a scoprire..ma che grazie alla propria forza e all'aiuto di educatori, familiari e docenti può far rinascere!

    REMAURY, LIPOVETSKI E BRAIDOTTI:
    Ritornando al discorso precedente la società ha una grande influenza non solo sui disabili ma su tutti noi. Il contesto culturale è un elemento fondamentale per la formazione dei modelli ideali, soprattutto i mass media hanno una forte influenza sui giovani ma anche sugli adulti puntando sempre più sull'apparenza e sull'estetica. Spesso si parla di bellezza..una bellezza con dei canoni assurdi come la taglia 38, le labbra rifatte, il seno di dimensioni enormi.. tutto ciò ha favorito un'omologazione delle masse non solo a livello mentale ma anche a livello fisico. Studiosi come Remaury hanno studiato la bellezza e i suoi canoni, spiegano che tutti noi siamo diretti verso una corsa alla perfezione con un triplice obbiettivo..bellezza, giovinezza e salute. Spesso in tv, sulle riviste vediamo i corpi cosidetti esatti oppure il corpo liberato ossia quel corpo che vuole raggiungere la perfezione con tre canoni bellezza, salute e giovinezza eterna. Come dice Lipovetsky la liberazione della "terza donna" nasconde la sua sottomissione a modelli guida, i quali dominano tutte le altre donne... c'è un vero e proprio culto del corpo! Tutto questo bombardamento da parte dei mass media e soprattutto della cultura di oggi non ha fatto altro che aumentare casi di bulimia, anoressia, fisse mentali per l'attività fisica..le quali hanno portato anche conseguenze mortali! Anche Rosa Braidotti ha parlato di bellezza nel suo testo "Madri mostri e macchine" parlando di un argomento molto delicato dove descrive che la diversità (ossia la bellezza che non fa parte dei canoni della perfezione) viene spesso associata alla bruttezza..o addirittura alla mostruosità. Ricordo che anche durante una lezione del corso vedemmo alcuni quadri di Botero, Modigliani, Picasso e la Venere di Botticelli..dove venivano raffigurate figure con altri stereotipi..tipo un naso più grande, un corpo più formoso..e dove questi pittori ci vogliono far capire che la bellezza non è una ma ognuno ha il suo ideale. Poi ricordo che parlammo anche di protesi estetiche..Sono d'accordo con la chirurgia plastica se serve a migliorare per far sentire meglio con se stessi e naturalmente sono d'accordo con la chirurgia che può compensare qualche mancanza..tipo le flexy foot..ma non sono assolutamente d'accordo con quel tipo di chirurgia invasiva, che ti stravolge il corpo e i lineamente del viso, perchè credo che ognuno di noi è bello così perchè è UNICO!



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    PAOLA MUSELLA


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    Messaggio  PAOLA MUSELLA Mer Mag 02, 2012 3:56 pm

    ESERCIZIO 1
    IL PASSAGGIO DALL’ICD ALL’ICF

    La prima classificazione elaborata dall’OMS(Organizzazione Mondiale della Sanità) è la classificazione Internazionale delle malattie o ICD del 1970.
    Questa classificazione focalizza l’attenzione sull’aspetto eziologico della malattia;costituisce una vera e propria enciclopedia delle malattie in cui le diagnosi vengono tradotte in codici numerici.
    Poi si è parlato di ICIDH(International Classification of Impairments,Disabilities and Handicaps)elaborata dall’OMS negli anni 80.
    Quest’ultima ha fatto si che i termini:-MENOMAZIONE
    -DISABILITà
    -HANDICAP
    fossero sostituiti dai seguenti termini:-MENOMAZIONE
    -ABILITà
    -PARTECIPAZIONE.

    Inoltre nel 2001 l’OMS ha pubblicato il Manuale di classificazione l’ICF(Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della Salute).
    Essa non classifica solo condizioni di salute,malattie bensì le conseguenze associate alle condizioni di salute; permette quindi di evidenziare come queste persone convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinchè possano sperare un’esistenza più serena.
    L’ICF rappresenta uno strumento importante e soltanto adottandolo si accetterà il diritto delle persone con disabilità ad essere parte naturale della società stessa.
    Secondo l’ICF,la disabilità è una condizione di salute derivata da un contesto sfavorevole e proprio per questo motivo che l’ICF analizza lo stato di salute di questi soggetti.
    Tuttavia è necessario soffermarci su due concetti “DISABILE” e “DIVERSO”.
    Spesso la disabilità viene confusa con la diversità:
    -La Disabilità =è una condizione di chi in seguito a una o più menomazioni,ha una ridotta capacità d’interazione con l’ambiente sociale, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività del vivere quotidiano e spesso si ritrova in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale.
    -La Diversità o meglio Diversabilità =l’idea del termine diversamente abile nasce nell’anno 2003,definito l’Anno Europeo dei Disabili,nel sottolineare che la persona disabile oltre ad avere una disabilità possiede delle abilità diverse dagli altri ,da scoprire,far emergere e potenziare.
    Il diverso può essere una persona non necessariamente affetta da una menomazione fisica o psichica ma si distingue per altre caratteristiche,un esempio:lo straniero,l’handicappato,il genio.
    Il diverso di solito non sceglie di esserlo ma viene etichettato dalla società.
    Un esempio significativo è stata la visione del film:”Indovina chi viene a cena”,che in parte racconta il tema della discriminazione razziale sulla gente di colore nell’America degli anni 60; e dopo quasi un decennio continua a trasmettere un forte messaggio: che i pregiudizi continuano ad esserci anche soltanto nel discriminare e nel considerare diverso un uomo soltanto in base al colore della sua pelle.
    Bisogna accogliere il “diverso” non come un individuo che rappresenta un ostacolo anzi credo che quest’ultimo costituisca una risorsa dalla quale potremmo solo arricchirci reciprocamente di nuove conoscenze.
    ESERCIZIO 2
    Anna Maria Murdaca,docente esperta e autrice competente in questioni relative a persone con disabilità;attraverso il testo “Complessità della persona e disabilità” riprende delle problematiche riguardanti soggetti disabili.
    Questo testo mira:
    -alla ricostruzione di una nuova CULTURA della disabilità intenta ad innalzare le qualità di vita di questi soggetti; non attenta al funzionamento del comportamento di questi soggetti piuttosto centrata sul riconoscimento della persona in evoluzione colta nella sua dimensione olistica;
    -alla rimodulazione del termine INTEGRAZIONE,in quanto secondo Murdaca è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap,sono gli ostacoli e le barriere fisiche a favorire il processo di esclusione e di emarginazione. L’obiettivo è quindi la valorizzazione della persona umana con il rispetto delle differenze e delle identità. L’integrazione non è altro che un processo indispensabile per far fuoriuscire al meglio le doti individuali di ciascun soggetto.
    -alla ridefinizione di un PROGETTO DI VITA che si basi sulla cura intesa come progressiva emancipazione e che aiuti la persona con deficit a ridare senso e significato alla propria personale esperienza, unicità e ad accettarsi e convivere con la propria specialità.
    Tuttavia,da non trascurare è la presenza di una forte relazione educativa che consentirà la crescita della persona in tutte le varie dimensioni e il senso di appartenenza della comunità educatrice.
    La relazione educativa costituisce uno spazio ripartivo nel quale si consente agli operatori di progettare delle opportunità “educative” da offrire al disabile affinchè quest’ultimo ripensi alle proprie capacità funzionali e modifichi la propria immagine eliminando i propri blocchi e disagi. In tal modo potrà far emergere le forze resilienti che gli daranno la possibilità di superare le difficoltà insite nel profondo della personalità.
    Ciò che è fondamentale è l’efficace relazione che si instaura tra l’educatore e l’educando;in quanto l’educatore deve essere una guida,un punto di riferimento,deve trasmettere un clima sereno all’educando senza mettere in luce le mancanze bensì le sue potenzialità e ascoltarlo.
    ESERCIZIO 3
    Oggi purtroppo ci si occupa del corpo e delle sue relazioni con la tecnologia.
    Le recenti manipolazioni della materia corporea hanno cambiato l’idea di CORPO.
    Ad esempio Remaury nel “Il gentil sesso debole” afferma che tutti siamo orientati a raggiungere la perfezione, abbiamo uno specifico obiettivo:giovinezza-bellezza-salute.
    Poi Lipovetsky nel suo libro “La terza donna” tende a sottolineare come l’eterna giovinezza,la bellezza perfetta e la totale salute siano diventati dei sentieri obbligatori,che in particolare le donne devono percorrere con fatica per poter mostrare un corpo perfetto e di conseguenza farsi accettare dalla società.
    Braidotti,addirittura ci parla in “Madri,mostri e macchine” di tecno-corpo,riferendosi al legame tra femminismo e tecnologia;propone alle donne di incarnare oltre alla maternità e alla mostruosità,anche la macchina.
    In particolare il corpo perfetto è diventato l’ideale di riferimento ed un modo considerato basilare per emergere nella vita. Infatti quelle persone che non si adeguano finiscono con il sentirsi umiliate se non riescono a rientrare in questi standard nonostante i mezzi offerti dalla società.
    Tutto ciò genera un enorme conflitto tra cultura dei mass-media(ritenuti responsabili della realtà sociale) e la fisiologia,che porta le donne ad essere insoddisfatte della propria immagine corporea.
    Per questo motivo che spesso ci si ricorre a protesi estetiche.
    Bisogna però riflettere sull’utilizzo di quest’ultime;in quanto esso può essere giusto qualora fosse indispensabile a sostituire una parte mancante del corpo dando un sostegno e una corretta funzionalità.
    D’altra parte non sarebbe giusto condividere con persone che spesso e volentieri ricorrono all’utilizzo di protesi soltanto per essere accettati dalla società e non per un grave e reale problema.

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