Silvana Marchese 1990 Dom Apr 08, 2012 9:24 pm
Tra le immagini che abbiamo visionato in aula quella che mi ha colpito di più è stata la raffigurazione del dipinto di Otto Dix, giocatori di skate, dipinto risalente agli inizi del 1900.
Questo dipinto raffigura 3 reduci di guerra che portano sul proprio corpo i segni del conflitto, mi ha colpito perché appena ho visto l’immagine ho pensato a come fosse strano, che già un secolo fa ci fosse l’esigenza di creare delle protesi integrative come integrazione di parti mancanti del corpo. Protesi rozze, di legno ,di ferro o di metallo, che con il passare degli anni e l’avanzamento tecnologico sono diventate sempre più sofisticate , in fibra di carbonio , resine ,acciaio, silicone, o goretex (per la ricostruzione dei tessuti della pelle). E quindi facendo un confronto tra passato e presente mi è saltato all’occhio lo sviluppo tecnologico, che, negli anni, cerca di rendere sempre più semplice e migliore la vita di persone disabili. Le protesi di quel tempo, nel dipinto, hanno permesso a dei soldati disabili di giocare una semplice partita a carte, le protesi di oggi danno ad un disabile una qualità di vita migliore.
Oltre alla visione dei dipinti, in aula abbiamo fatto l’esperimento di metterci nei panni di persone cieche. L’esperimento consisteva nell’utilizzare un foulard come benda per gli occhi, benda che ci avrebbe portato alla temporanea perdita della vista,e nell’ esprimere le nostre emozioni in seguito all’ascolto di poesie riguardanti la disabità. Brividi, tristezza ,commozione e disorientamento, sono queste le sensazioni che ho provato bendata,e ascoltando soprattutto la sesta poesia “chiamatemi per nome”. Brividi e commozione per l’intensità delle parole e per il messaggio che la poesia ha voluto esprimere, ma allo stesso momento tristezza per le stesse parole in quanto non credo sia giusto che delle persone per non sentirsi “diverse” debbano chiedere di non essere trattate come tali.
Non voglio più essere conosciuta
per ciò che non ho
ma per quello che sono:
una persona come tante altre.
Chiamatemi per nome.
Anch’io ho un volto, un sorriso, un pianto,
una gioia da condividere.
Anch’io ho pensieri, fantasia, voglia di volare.
Chiamatemi per nome.
Non più:
portatrice di handicap, disabile,
non vedente, non udente, cerebrolesa, tetraplegica.
Forse usate chiamare gli altri:
“portatore di occhi castani” oppure “inabile a cantare”?
o ancora: “miope” oppure “presbite”?
Per favore abbiate il coraggio della novità.
Abbiate occhi nuovi per scoprire che,
prima di tutto,
io “sono”.
Chiamatemi per nome.
Disorientamento per la presenza del buio, il buio che a noi vedenti fa tanta paura, ma che per persone cieche è la quotidianità, la normalità, noi che abbiamo tutto alla portata di mano quando ci troviamo dinanzi a semplici difficoltà non sappiamo reagire. Ed io in quel momento se mi fossi trovata in una qualsiasi difficoltà non avrei saputo reagire.