La relazione educativa è stata la lezione di oggi e penso sia stata la più interessante di tutte da un lato perché dolente o nolente è una cosa che tocca tutte noi dato che un giorno saremo chiamate ad essere educatrici e andremo ad instaurare relazioni con altre persone e dall’altro perché mi sono sentita coinvolta in prima persona. Sulla base di quello che faccio in chiesa con i bambini/adolescenti e anche sulla base di ciò che apprendo dalle scuole di formazioni per noi animatori a cui sono spesso chiamata a partecipare, il discorso della relazione non è stata una cosa nuova, ma è un qualcosa su cui ho già avuto il piacere il riflettere più volte. Noi abbiamo sempre trattato la relazione animatrice/bambino, capendo però che quello che mettiamo in atto con i bambini, ovvero “l’ascolto sincero” -stare li ad ascoltare il bambino e non semplicemente a sentirlo, il guardarlo negli occhi e controllare la postura, perché solo così puoi capire cosa quel bambino prova in quel momento, se si trova in difficoltà, se ha vergogna- lo dobbiamo attuare anche con le persone adulte. Diciamo che quello che la prof ha spiegato oggi è stato preso da me come il vedere le mie scuole di formazioni sotto un altro punto di vista, cioè quello lavorativo, facendomi cogliere l’importanza di queste, anche al di fuori del contesto chiesa e quindi ho avuto finalmente l’opportunità di trovare un parallelismo con quello che è il mio “lavoro” adesso, cioè lo studio (cosa che non ho mia avuto il piacere di fare). Posso affermare che la cosa che ogni volta mi colpisce sono le parole RISPETTO E PARITA’ citate in entrambi i contesti. Molte volte noi educatori, ci dimentichiamo che dobbiamo considerare l’altro come noi stessi. Dobbiamo prendere in considerazioni che ciò che l’altra persona fa (sia essa adulto, bimbo o adolescente), può arricchirci, può portarci a pensare ad un dato problema e alla sua possibile soluzione in maniera totalmente diversa da quello che pensavamo prima. Importante, inoltre, è lo stare attenti, a tutto ciò che può farci capire quanto quella persona sia pronta ad instaurare subito una relazione, se è meglio andarci in maniera più diretta, in maniera più cauta, quanto la persona che c’è di fronte sia forte a tal punto da fidarsi subito di noi. Non dobbiamo aspettarci subito che la persona che abbiamo di fronte si metta in una situazione di relazione e fiducia, perchè fidarsi dell’altro subito, spesso è difficile e spesso avviene dopo molto tempo e molti tentativi. Sono consapevole del fatto che queste sono tutte belle parole scaturite da una lezione che per me è stata favolosa, però penso che se certe cose non si provano a mettere in atto davvero, allora tali parole non servono a nulla. Per mettere in atto ciò, però, non ci dimentichiamo che non dobbiamo essere per forza educatrici o animatori in un determinato contesto, ma possiamo iniziare a fare questo nostro “tirocinio” nella vita di tutti i giorni, dove spesso siamo distratti da mille cosa a tal punto da non saper aiutare nemmeno un amico in difficoltà. Credetemi metterlo in atto con i bimbi/adolescenti è la cosa più difficile che ci sia, soprattutto se questi bimbi spesso vengono da situazioni difficili, come spesso mi è capitato. È difficile trovare un metodo educativo valido, ecco perché la cosa fondamentale, come diceva Michelina oggi è avere pazienza e saper aspettare che la persona che si trova di fronte a noi piano piano inizi a fidarsi e soprattutto trovare il metodo adatto a quella situazione, perché non esistono metodi fissi, ma come ben sappiamo questi cambiano col cambiare delle situazioni e delle persone.
Per quanto riguarda il setting, posso affermare che il primo l’ho visto più come un’esperienza fatta da persone adulte,ora mi spiego meglio. Nel primo setting abbiamo visto l’interazione tra una madre e un’educatrice, quindi tra due persone adulte, che erano a loro agio nel trattare l’argomento, un po’ perché l’educatrice è stata gentilissima e ha messo in condizioni di rilassamento la donna e un po’ perché la donna si lamentava di una mancanza che c’era stata da parte di una terza persona,quindi c’era più nervosismo per la mancanza di rispetto che vergogna per la situazione in sé. Il secondo setting, invece, era tra una ragazzina adolescente e un’educatrice, quindi tra una ragazza ed un adulto. In tal caso ho riscontrato molta più difficoltà rispetto al primo, perché la ragazza, aveva un maggior timore ad esporre i propri problemi, vuoi per l’età, vuoi perché comunque una ragazza si trova sempre in difficoltà a trattare un tema così personale con un adulto. Spesso i ragazzi tendono a non chiedere aiuto ad una persona più grande per un problema così, perché lo ritengono inutile o perché hanno semplicemente vergogna e non si fidano del fatto che quella persona, anche se con più anni, può aiutarla a capire o quanto minimo a renderla consapevole del problema che c’è. Da come si è capito, o almeno spero, quello che mi ha colpito di più è stato il secondo setting, ma sempre e solo per il motivo sopra citato, cioè lavorando con bambini ed adolescenti certe cose si notano e si nota spesso la difficoltà a trattare con noi “adulti” , addirittura con me che sono appena ventiduenne, argomenti un po’ più personali, rispetto alle mamme che tendono (anche se non sempre) ad essere più spontanee e rilassate.
Per quanto riguarda la simulazione sulla città come affermato oggi in aula, ho fatto la stessa simulazione martedì con in ragazzi e quindi mi sono trovata ad essere sia “emarginato” sia “emarginante” in quessta situazione. Dal punto di vista della cittadina,oggi, mi sono sentita un po’ male (forse perché un po’ prevenuta dalla simulazione simile già vissuta), perchè ho visto le mie amiche andare via e non poter far nulla, però allo stesso tempo, oltre a osservare le colleghe escluse che chiedevano aiutano, che cercavano di interagire con noi, ho pensato anche io, come tutti del resto, a quali benefici potevo avere essendo rimasta in città e non se c’erano altre soluzioni per riammetterle con noi. Dal punto di vita della cittadina, quindi, mi sono sentita solo in colpa, perché ho immaginato quello che le altre provavano e soprattutto perché, se più persone volevano il rientro degli emarginati, potevano andare in gruppo dal sindaco e discuterne cercando di trovare una soluzione, sennò come si suol dire pazienza, ci sottomettevamo all’autorità e non facevamo nulla. Dal punto di vista dell’emarginato, invece (sempre sul ruolo vissuto martedì e non oggi), ho provato come le mie colleghe,anche io un forte senso di esclusione e questo mi ha fatto tornar in mente quanto stavo alle scuole medie e la maggior parte dei ragazzi mi escludeva e mi prendeva in giro perché avevo le orecchie grandi. In quel momento,ho capito la cattiveria che c’è nel non degnare neanche di uno sguardo (cosa che noi spesso facciamo, non guardiamo l’altro neanche quando parla) un’altra persona e come quella persona si sente esclusa dalla vita comune. L’ultima cosa che volevo dire e di cui ho discusso con delle amiche all’uscita, è che se io fossi stata dal lato delle emarginate, non essendo la situazione di una sola persona, avrei organizzato una rivolta, oppure avrei creato un’altra città. Per esperienza so che non è facile da fare, molte volte certe cose sono più facili da dire quando ci si trova all’esterno della situazione perché quando ci si è dentro, in quelle situazioni, ci si sente alienati totalmente, ci si sente spersonalizzati e non si pensa a trovare una soluzione, ma si rimugina solo su quanto avviene e sul perché.
Ringrazio la prof per l’opportunità che ci ha dato oggi e mi scuso se il commento è troppo lungo. Spero di non essere uscita fuori traccia :D
Assolutamente no Rita,
il tuo commento mi è piaciuto molto e mi ha fatto molto riflettere.
Come gli altri post, sei riuscita a colpire molteplici aspetti.
FB