L’adozione del modello sistemico per l’analisi e l’interpretazione dei processi formativi implica la necessità di considerare il singolo non più come un elemento isolato ma in costante relazione con la pluralità dei contesti socio-culturali nei quali avviene il processo di formazione M. L. Iavarone – F. Sarracino (a cura di), Le parole chiave della formazione, Tecnodid 2004. Infatti non si può parlare di educazione, di formazione, di apprendimento nel senso più ampio, se non si considera l’individuo in relazione con gli altri e quindi in relazione con le diversità (poiché ognuno di noi è diverso dall’altro proprio come ho sostenuto nel commento a proposito della mappa degli stereotipi). Di tale relazione si occupa l’educazione inclusiva il cui fine ultimo è quello di garantire la partecipazione effettiva dell’individuo nella società e il raggiungimento del suo pieno potenziale a patto che gli vengano fornite opportunità di apprendimento. Quindi la questione dell’inclusione è fondamentalmente una questione di diritti umani, di equità, di giustizia sociale e la creazione di una società non discriminatoria. Se infatti l’integrazione, come rimarcato nel testo l’Index per l’Inclusione, tende a identificare uno stato o una condizione, l’inclusione rappresenta piuttosto un processo, una filosofia dell’accettazione, ossia la capacità di fornire una cornice dentro cui gli alunni — a prescindere da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale — possono essere ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità a scuola.
Il maggiore impeto per l’educazione inclusiva è stato dato nella conferenza mondiale sui bisogni educativi speciali: accesso e qualità, tenuto a Salamanca nel giugno del 1994. In tale circostanza è stata sottolineata la necessità di creare un sistema di educazione inclusiva in cui le scuole ordinarie siano più inclusive cioè siano in grado di essere al servizio di tutti bambini, in particolare quelli con disabilità.
Il problema, come suggeriscono gli autori Booth e Ainscow nel testo l’Index per l’Inclusione, risiede nella tradizionale tendenza della scuola a riconoscere e comprendere le situazioni problematiche solo in funzione del loro inquadramento in una particolare categoria: «disabilità», «disturbo del comportamento», «provenienza culturale», «difficoltà di apprendimento». Creare una scuola inclusiva significa fornire un’educazione efficace a tutti i bambini offrendo possibilità e opportunità di un’ampia gamma di metodi di lavoro e trattamento individuale per assicurare che nessun bambino sia escluso dalla socializzazione e dalla partecipazione della scuola. Un curriculum inclusivo indirizza lo sviluppo cognitivo, emozionale, sociale e creativo del bambino. Esso è basato su quattro pilastri dell’educazione: apprendere a conoscere, fare, essere e vivere insieme. E’ importante che il curriculum sia flessibile abbastanza per fornire possibilità per l’adattamento ai bisogni individuali e per stimolare gli insegnanti a cercare soluzioni che possano essere in sintonia con i bisogni, le abilità e gli stili di apprendimento di ciascun ragazzo. Ciò significa che il processo di inclusione dipende molto dalle attitudini degli insegnanti verso gli alunni, in particolare quelli con disabilità, dal come considerano le differenze presenti nel gruppo classe e dalla loro volontà di affrontarle effettivamente. Il percorso formativo dell’insegnante,la disponibilità di supporto, la grandezza della classe sono tutti fattori che influenzano gli atteggiamenti degli insegnanti.
Anche l’ambiente gioca un ruolo determinante. E’ infatti molto importante focalizzarsi sulla creazione di un ottimo ambiente di apprendimento così che tutti i bambini possano apprendere bene e raggiungere il loro potenziale. Questo comprende metodi di insegnamento centrati sul bambino e lo sviluppo di appropriati materiali e strumenti di apprendimento. Uno degli strumenti che nasce per favorire l’inclusione è l’Index, messo a punto da Booth e Ainscow del Centre for Studies on Inclusive Education, il cui scopo è la realizzazione di un ampio lavoro di ricerca, e le sue domande costituiscono fondamentalmente il punto di partenza per avviare un’estesa raccolta di dati dentro e fuori la scuola. Solo conoscendo a fondo la situazione della scuola e il punto di vista dei diversi stakeholder è possibile infatti avviare quel profondo processo di rinnovamento dell’organizzazione scolastica postulato dagli autori.
Altro strumento estremamente importante è il Capability Approach sviluppato da A.M. Sen. L’idea che sta alla base dell’approccio della capability è che gli assetti sociali dovrebbero tendere ad espandere le capabilities delle persone, ossia la loro libertà di promuovere i beings e doings a cui essi stessi danno valore. Pertanto noi non possiamo pensare la menomazione e la disabilità come importanti aspetti della diversità umana ma, attraverso tale approccio è possibile una comprensione delle differenze come una funzione dei confronti tra le persone piuttosto che distinzioni sulla base di categorie fisse.
Il raggiungimento di obiettivi promossi da simili dispositivi, quali appunto l’inclusione, il confronto, la valorizzazione delle capacità individuali, è possibile se il lavoro portato avanti non proviene dal singolo insegnante ma se si crea la collaborazione tra gli insegnanti. Obiettivi condivisi, metodi di insegnamento, progettazione e valutazione sono tra i punti fondamentali di un modello di fornitura del servizio di istruzione che coinvolge l’insegnante curriculare e specializzato in un modello di insegnamento definito co-insegnamento. Questo metodo può rendere la pratica dell’insegnamento più soddisfacente e gli insegnanti formano un legame, insegnano e apprendono l’uno dall’altro, e forniscono reciproco supporto.
In questo gioco di squadra non può certo mancare il coinvolgimento dei genitori che, se da un lato necessitano di informazioni di base circa i loro bambini e a volte hanno bisogno di informazioni più specifiche o di confronti con altri genitori che hanno obiettivi comuni, dall’altro rappresentano una vera e propria risorsa perché, come suggerisce l’UNESCO, possono fornire un valido contributo all’educazione dei figli, possono diventare parte integrante del processo di presa di decisione, possono essere ascoltati quando parlano dei loro figli, possono rappresentare la forza complementare alle abilità professionali e condividerne le responsabilità. Contatti regolari e buone relazioni tra gli insegnanti della scuola e i genitori possono favorire i progressi educativi del bambino e il ben-essere sociale. Ma, come afferma Allan, le barriere all’inclusione si estendono al di là dei sistemi scolastici e riguardano modi di conoscere, modi di apprendere e modi di lavorare. Tali barriere possono essere, se non eliminate, almeno ridotte se si crea quel sistema da cui sono partita in questa mia analisi, se cioè si stabilisce una collaborazione attiva tra politici, personale scolastico, famiglie e altri stakholder, incluso il coinvolgimento attivo dei membri della comunità locale come i leader politici, i professionisti dell’ambito educativo e i media. Murphy sostiene infatti che: l’evitamento (quando non la diretta ostilità) che spesso i cosiddetti normali manifestano nei confronti di chi è disabile non è la conseguenza naturale del deficit fisico di quest’ultimo, ma piuttosto l’espressione del deficit di carattere e ampiezza di vedute di chi si comporta così. Insomma, è il loro problema, non il nostro. Già… proprio come dice la Atzori: i limiti sono in chi guarda, in chi osserva. Ma lei è un esempio vivente non solo di resilienza ma anche di capacità di valorizzare il proprio essere e le proprie potenzialità dimostrando di rimettere in discussione il concetto di normalità.
Se allora è necessario creare una rete tra tutte le agenzie formative e tra tutti coloro che in qualche modo concorrono al benessere individuale e a quello sociale, è opportuno che ognuno faccia la propria parte in modo serio e scrupoloso per garantire pari diritti e la costituzione di una società più equa e rispettosa dell’individualità.