Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Rita Gaita 1990
    Rita Gaita 1990


    Messaggi : 15
    Data di iscrizione : 13.03.12

    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty capitolo 6...verso un'educazione inclusiva.

    Messaggio  Rita Gaita 1990 Lun Mag 14, 2012 7:39 pm

    Tra i due capitoli scelti ho deciso di trattare il sesto, sia perché l’inclusione è un tema che già abbiamo trattato nell’altra prova intercorso,quindi questo mi permette di creare un uniformità tra i due elaborati, sia perchè mi ha attirato molto il conoscere “l’index per l’inclusione” di cui prima non avevo mai sentito parlare e sia perché INCLUSIONE è un termine semplice da pronunciare ma molto difficile da mettere in atto. Tutti pensiamo che includere qualcuno nella nostra vita sia semplice, invece non lo è. Non è facile farlo con la persona che si ama e con cui si decide di vivere per tutta la vita perché si hanno comportamenti e idee contrastanti, figuriamoci come può esserlo nel momento in cui trattiamo temi delicati come la disabilità. Includere una persona diversamente abile, nella società moderna e nella vita di tutti i giorni, è ancora più difficile perché la nostra mentalità , i nostri giudizi e i nostri comportamenti – dagli insegnati , alla famiglia, alle persone estranee- portano queste persone ad essere e a sentirsi escluse, nonostante, a livello legislativo, abbiano moltissime norme che tutelino la loro integrazione in qualsiasi possibile campo.
    Come ben sappiamo il concetto di inclusione,ha acquistato una grande importanza negli ultimi anni,vedendo nell’educazione, il grimaldello per porre un limite alla diversità e all’esclusione. Il termine inclusione,infatti, non fa riferimento solo ai casi di disabilità, ma anche a tutti quei casi che fanno riferimento all’emarginazione culturale, sociale, etnica, religiosa ecc…. Includere, quindi, significa creare un’educazione che miri ad eliminare le esclusioni e le differenze tra persone, in quanto questa è un diritto di tutti e non un privilegio per pochi. L’inclusione, non è un fine, ma è lo scopo per raggiungere il fine della creazione di una società non discriminatoria. In tale ambito, importante, è la conferenza di Salamanca del ’94, dove si affermava che ”un sistema di educazione inclusivo,può svilupparsi solo se le scuole,come altri centri di apprendimento, diventino più inclusivi, prendendo in considerazione tanto la necessità dei poveri, degli svantaggiati, dei bambini – anche con disabilità – quanto quelli degli adulti coinvolti.”
    L’inclusione, si basa su quattro punti importanti:
    1. L’inclusione come processo: una continua ricerca dei migliori metodi da attuare per rispondere alla diversità. Trovato un metodo adatto, non bisogna fermarsi ad esso, ma bisogna continuare a cercare, ad andare avanti, perché ogni persona è diversa e ogni contesto è diverso e in continuo cambiamento.
    2. L’inclusione come identificazione e riduzione di barriere: barriere, come affermato nella precedente prova intercorso, sia materiali che mentali e che portano il soggetto a non identificarsi con la società, ma a sentirsi un mostro, da escludere ed emarginare.
    3. L’inclusione come presenza - quanto i bambini sono effettivamente presenti nel loro processo integrativo ed educativo– partecipazione e successo – le conseguenza dell’apprendimento –
    4. L’inclusione come attenzione a gruppi di studenti che possono essere a rischio di marginalizzazione, esclusione o insuccesso scolastico.
    Tra i quattro punti sopra elencati, il 4° è quello che, a mio avviso (senza togliere niente agli altri), racchiude quella che è l’educazione all’inclusione, perchè prende in considerazione il monitoraggio di quei ragazzi che sono più a rischio, così da intraprendere nuovi percorsi per far in modo che questi partecipino con successo al processo educativo.
    L’inclusione, però, oltre a considerare questi vasti aspetti, si occupa del diverso modo di comprendere la disabilità. Si è spostata, infatti, l’attenzione da quella che era la menomazione del soggetto che gli impediva di svolgere determinate attività e che lo portava ad essere qualificato come disabile, all’ambiente sociale che spesso tende ad escludere queste persone – tema già trattato nel momento in cui abbiamo parlato dell’ICF e del suo prendere in considerazione, all’interno della classificazione, non solo le malattie, ma anche i contesti sfavorevoli; inoltre abbiamo trattato tale argomento grazie ai video visti in classe e ne abbiamo discusso in numerosi commenti dove il contesto non includeva queste persone nella vita quotidiana, perché non forniva loro le necessarie cure e attenzioni, negando, quindi, delle opportunità ad una persona con disabilità. Queste opportunità negate, però, non le osserviamo solo nei mancati ausili, ma anche nella mancata fiducia che si ha verso queste persone, nel mondo del lavoro,dove si tende a vedere le necessità della maggioranza e non della “minoranza” e nel mondo scolastico dove si tende a vedere quelle che sono le necessità del gruppo escludendo il singolo soggetto-
    All’interno di questo vasto discorso, non dobbiamo dimenticare che l’inclusione si basa su alcune figure chiave che sono:
    gli insegnanti:
    l’educazione inclusiva, consiste nel dare una buona educazione a tutti i bambini, indipendentemente dalle loro abilità diverse. Ciò, però, porta gli insegnanti a dover avere determinate attitudini che spesso sono totalmente assenti. Molti di loro, infatti, non si aprono benevolmente all’educazione inclusiva, facendo diventare così, l’inclusione un qualcosa di estremamente difficile. L’esempio lampante di ciò, è visibile nel momento in cui un insegnante considera un ragazzo diversamente abile come una “palla al piede”, come colui che ritarda l’apprendimento degli altri ragazzi, senza capire che se solo si aprisse di più all’altra persona, se solo cercasse di aiutarla, di capire quali strategie adottare andando anche oltre i curricola ministeriali, allora, si verrebbe a creare una vera educazione all’inclusione, dove il ragazzo non si sentirebbe escluso dal gruppo classe, ma si sentirebbe parte di quest’ultimo. Ciò però non è facile che avvenga, perchè molte volte gli insegnanti non hanno le competenze adatte ad affrontare un caso simile, o comunque, nel caso in cui queste competenze dovessero essere presenti, si pensa a finire il programma in tempo a svantaggio di colui che “non è come gli altri”. A tal proposito bisogna evidenziare che lo scopo fondamentale è proprio quello di evitare l’emarginazione. Ciò si può attuare affiancando all’insegnate della classe, quello che è un insegnante specializzato, che collabora con egli e che è in grado di attuare programmi e metodi e di personalizzare i ritmi del soggetto avente disabilità. Ma a cosa serve questo affiancamento o co-insegnamento? Serve a non far sentire solo l’insegnate nell’affrontare una situazione di disabilità e ad aiutarlo ad attuare l’integrazione, perché sarà affiancato da insegnati specializzati nella valutazione e progettazione di programmi adatti e nel sostegno agli insegnanti. Ciò, porta a rendere la pratica dell’insegnamento più soddisfacente. Ma in cosa consiste il co-insegnamento? Consiste nel far in modo che il ragazzo affetto da disabilità, svolga lo stesso programma degli altri ragazzi, solo con ritmi diversi e con qualche aiuto in più.
    La famiglia:
    la famiglia come ben sappiamo è il primo nucleo con cui il ragazzo viene a contatto e molto spesso nei casi di disabilità, la famiglia non sa come comportarsi, portando, quindi, il soggetto all’annullamento della resilienza che è in lui. In questo contesto, importante è la collaborazione scuola-famiglia o se vogliamo istituzioni-famiglia affinchè questa sia sempre partecipe della vita del ragazzo e non venga mai lasciata sola in un momento così delicato della vita familiare. Un genitore, infatti, non può essere chiamato solo nel momento in cui ci sono dei problemi, ma deve essere chiamato continuamente, affinchè nasca un continuum tra scuola, istituzioni e famiglia, che deve essere messa al corrente anche dei successi del bambino, così che la fiducia dei genitori nel bambino e nelle sue capacità cresca sempre di più. Così facendo, si favoriscono i processi educativi del bambino. Questa comunicazione, avviene o può avvenire in diversi modi, ad esempio con delle consultazioni, cioè prima che il bimbo inizi la scuola e durante l’anno si cercano, tramite vari metodi, le visioni dei genitori; appunti scuola – famiglia dove sia i genitori che gli insegnanti scrivono su una specie di diario quelli che sono i comportamenti significativi del bambino, al contrario, più dettagliati, invece, sono i rapporti scritti. Da quello che possiamo notare,quindi, ci sono molti metodi per mettere in comunicazione la scuola, gli insegnati e la famiglia, spesso esclusa e non considerata nel processo educativo del bambino.
    Capability approach:
    il cosiddetto “approccio secondo le capacità” , fu formulato da Martha Nussbaum e prende in considerazione i benefici e i risultati dell’educazione che sono visti come multidimensionali e sono mirati al raggiungimento della libertà, concetto fondamentale nel momento in cui si parla di capacità del bambino (il concetto di libertà, ad esempio, fu oggetto di laboratorio nel momento in cui parlammo di domotica,cioè quella tecnologia che porta all’emancipazione del ragazzo, però “esternamente”; “internamente” questa emancipazione deve avvenire grazie all’educazione, alla scuola e alla famiglia).L’educazione gioca un ruolo importante nello sviluppo delle capabilites, cioè delle capacità e abilità del bambino. La disabilità, infatti, risulta una limitazione delle capacità del bambino, quando alla fine non è per niente una limitazione, ma semplicemente la messa in evidenza di altre capacità. L’educazione ha lo scopo di fornire agli individui i mezzi per interpretare le cose che succedono, per partecipare e per socializzare. La possibilità di un bambino di convertire le risorse in capability, dipende anche dal contesto in cui vive, infatti, le opportunità che possiede sono legate ai propri genitori e al funzionamento della società. L’educazione ha un ruolo importante e deve consistere in un processo che dà una maggiore autonomia ai bambini e che gli permetta di interpretare la vita e di attribuirle un senso e un valore. Il progetto che scaturisce da ciò, ha come finalità,quindi, quello di una scuola inclusiva, che sia capace di educare gli alunni senza la necessità di categorizzarli ed etichettarli.
    Quanto detto fino a questo momento, può essere sintetizzato in una sola frase, ovvero, “ l’index per l’inclusione”, che si riferisce all’educazione di tutti i bambini e ragazzi sia con “bisogni educativi speciali” sia con apprendimento normale. Questo offre il miglioramento delle scuole e si fonda sulle rappresentazioni del gruppo docente, del consiglio d’istituto, degli alunni e delle famiglie. Lo scopo è quello di fornire un esame dettagliato di come si possono superare gli ostacoli al fine di far apprendere e partecipare il bambino. Incoraggia, quindi una visione dell’apprendimento in cui i bambini e i ragazzi siano coinvolti. I concetti chiave di questo sono:
    Inclusione: con questo termine si vuole indicare una scuola in continuo movimento. Codesto indica il cambiamento verso la crescita degli apprendimenti e della partecipazione di tutti gli alunni, cioè collaborare attraverso esperienze di apprendimento condivise. Ridurre, quindi, l’esclusione. Ciò può avvenire solo occupandosi dell’interezza della persona; della globalità della persona, come la definiva la Murdaca, una persona a tutto tondo e non con determinati aspetti da considerare, escludendone altri.
    Ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione: questo termine, viene utilizzato per focalizzare l’attenzione su ciò che occorre fare per migliorare l’educazione di ogni allievo, siano essi disabili o normodotati. Questi ostacoli all’apprendimento, infatti, possono impedire l’accesso alla scuole o limitare la partecipazione alle attività.
    Risorse per sostenere l’apprendimento e la partecipazione: in genere per sostenere l’apprendimento, le risorse sono sempre maggiori rispetto a quelle che vengono usate. Per risorse però non si intende solo compensi in denaro, ma anche quelle che sono le risorse umane – alunni,insegnanti,famiglie – in particolare gli alunni, le cui capacità si sostenere il compagno o di orientare il loro apprendimento sono scarsamente utilizzate. All’interno della scuola, quindi, c’è una ricchezza di conoscenze la cui partecipazione è limitata. L’index in questo campo, aiuta ad attingere da tutti questi saperi, che non sono presi in considerazione, per dar vita ad uno sviluppo personale.
    Sostegno alla diversità: l’index assume una nozione più ampia di sostegno interpretandolo come “ogni attività che accresce le capacità da parte della scuola di rispondere alla diversità degli alunni”. Fornire un sostegno individuale, rappresenta solo una parte dello sforzo di cui parla l’index. Fornire sostegno, infatti, significa anche solo ricordarsi di tutti gli alunni presenti in aula e prendersi cura di loro progettando qualcosa per la partecipazione di tutti. Il coinvolgimento, quindi, del gruppo docenti è importante per mantenere una forte connessione tra sostegno individuale e di gruppo nelle attività curricolari.
    Alla fine di tutto ciò una domanda che sorge spontanea, o che può sorgere è: “ma a cosa serve l’index? “ Serve a contribuire alla promozione dell’inclusione tramite la cooperazione tra tutte le persone coinvolte nell’attività scolastica. Il processo educativo, infatti, non deve essere visto come un processo meccanico, ma come frutto della connessione tra valori, emozioni e azioni.
    In conclusione,a mio parere, l’inclusione è il modo in cui le società devono tenere conto delle persone che prima erano escluse e devono riuscire a riformulare le politiche dell’intera società, tenendo conto che oggi ci sono nuovi attori, nuovi soggetti e nuovi cittadini. Questo progetto è piuttosto complesso perché,come affermato prima, inclusione significa trasformazione. L’educazione deve essere uno dei temi importanti di emancipazione, perché, l’inclusione scolastica non è unicamente a beneficio delle persone con disabilità ma anche degli altri alunni, che possono avere modelli che arricchiscono il rapporto tra capacità diverse e modelli di comportamento. Il compito della scuola non è di insegnare soltanto una serie di materie ma anche comportamenti, rapporti sociali e relazioni nell’ambito della diversità.
    Volevo concludere con una frase per me molto significativa che Padre Oreste ha pronunciato ieri alla messa dei bambini e che racchiude il senso più profondo dell’accoglienza e dell’inclusione: “in una famiglia povera una mamma vuole bene alla figlia, in una famiglia ricca la mamma vuole bene alla figlia. C’è differenza tra queste due famiglie? No, in entrambe c’è l’amore della mamma per la figlia. Ci avviene perché SOLO L’AMORE E’ IN GRADO DI ANNULLARE TUTTE LE DIFFERENZE”
    MARTINA MARFE'
    MARTINA MARFE'


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty PROVA FINALE MARTINA MARFE'

    Messaggio  MARTINA MARFE' Lun Mag 14, 2012 9:04 pm

    Il tema della FELICITA’appassiona da sempre l'umanità: scrittori, poeti, filosofi, persone comuni, ognuno si trova a pensare, descrivere, cercare questo stato di grazia. Il concetto di felicità compare in ogni cultura e per tentare di definire questa condizione alcuni studiosi hanno posto l'accento sulla componente emozionale e immediata, come il sentirsi di buon umore, altri sottolineano l'aspetto cognitivo e durevole , come il considerarsi soddisfatti della propria vita. Il termine felicità deriva dal prefisso indoeuropeo “fe” che sta a significare abbondanza, ricchezza, prosperità e a volte viene descritta come contentezza, soddisfazione, tranquillità, appagamento a volte come gioia, piacere, divertimento. La Ghedin ci mostra come con il passare del tempo il significato di questa parola si sia trasformato, infatti mentre tradizionalmente si faceva riferimento all’ eudaimonia come “buon demone”, cioè buona sorte, con i sofisti Socrate, Platone, Aristotele e la loro visione antropocentrica si afferma che l’uomo con le sue scelte e la sua libertà può diventare felice, anche contro la sorte. La sensazione immediata di felicità, cioè gioia, piacere provocata dal raggiungimento di uno stato desiderato è definito da Nettle come felicità di PRIMO LIVELLO. Il SECONDO LIVELLO si presenta quando si attua un bilancio delle sensazioni provate e quindi si riflette su quanto la vita può essere soddisfacente e appagante. Mentre con il TERZO LIVELLO viene raggiunta l’eudaimonia, cioè l’ideale del vivere bene, compiuto quando la persona realizza le proprie vere potenzialità. La psicologa Carol Ryff sostiene che il ben-essere va oltre la semplice felicità coinvolgendo altri elementi importanti come: la crescita personale, la padronanza del proprio ambiente, la franchezza con se stessi. Il BEN-ESSERE è definito come un “vivere bene” che avvolge la persona a 360 gradi. Secondo Sen non dobbiamo identificare gli elementi costitutivi dello stato di benessere, con oggetti tipo reddito, risorse, posizione sociale o altro, ma mettere al primo posto l'insieme delle capacità di perseguire da sé, liberamente, tali elementi.Oggi grazie alla PSICOLOGIA POSITIVA si sta rompendo con la tradizione e invece di porre attenzione sul malessere delle persone, ci si sta occupando di individuare proprio quegli elementi che contribuiscono a migliorare le condizioni di vita di queste. A livello individuale ciò che può concorrere al benessere sono le caratteristiche positive personali, come l’ottimismo, la perseveranza, la felicità; mentre a livello contestuale contribuisce il supporto sociale, l’armonia con il proprio ambiente, il senso di appartenenza.
    Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale,quanto al CAPITALE SOCIALE, cioè l’insieme delle capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi, grazie alle strutture che lo circondano, con i contesti. Nessun individuo è infatti svantaggiato, diventa tale in un ambiente sociale e culturale che non è pronto ad accoglierlo. Tutti nascono con la capacità di vivere il ben-essere e il ruolo dell’educazione deve essere proprio quello di creare ambienti che possano permettere a tutti di decidere di essere ciò che si vuole.
    Per Delle Fave ciascun individuo è un agente attivo che può collaborare allo sviluppo della comunità e questo vale soprattutto per i cosiddetti gruppi svantaggiati: persone con disabilità, anziani, persone in condizioni di disagio psicosociale, immigrati, minoranze. Seguin, si occupò di DISABILITA’ adottando un punto di vista innovativo a suo tempo, egli mirava all’inclusione nella società dei bambini disabili, reputandoli capaci di acquisire un adeguata educazione proprio come tutti gli altri. Il suo progetto si è sempre più evoluto e l’obiettivo oggi di interventi educativi non è solo quello di far in modo che queste persone possano essere in grado di mangiare,vestirsi,lavarsi, ma soprattutto è quello di dargli la possibilità di scegliere la vita che vogliono vivere. L’educatore ha il compito ora di guardare al ben-essere del disabile, puntando sulle sue forze piuttosto che sulle sue debolezze, fornendo competenze sociali e relazionali per far in modo di includerlo nella sua società.
    La Dott. Iavarone sostiene che l‘EDUCAZIONE INCLUSIVA, ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita della persona, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale ed è per questo che bisogna formare figure professionali in grado di stabilire relazioni educative che abbiano come obbiettivo quello di dare a tutti indistintamente pari opportunità nel vivere una vita felice.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty La felicità...un Bisogno dell'uomo

    Messaggio  Cira Toscano Mar Mag 15, 2012 8:32 am

    Quando parliamo di FELICITA’?E COS’è?
    La Felicità è da sempre un tema discusso da poeti,scrittori,filosofi. Ognuno pensa,descrive e cerca questo stato di Grazia. L'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità .Tutti sono “Alla ricerca della felicità”.Nel 2006 uscì anche un film che aveva questo titolo e la trama racconta proprio di un uomo costretto a vendere tutto ciò che aveva per prendersi cura del figlioletto,perse il lavoro e la moglie. Un uomo che perde tutto,ma restano i sentimenti e resta l’immagine di un padre che nonostante tutto RESTA e DECIDE di sognare per sé e per suo figlio realizzando l’ambizione di desiderare un po’ della felicità che cita nel titolo. -La felicità era originariamente “avere un buon demone”,una buona sorte,proprio dall’epistemologia di Eudaimonia. Qui il concetto di felicità era semplicemente legato al termine fortuna. Invece con i grandi Socrate-Platone e Aristotele si inizia ad affermare che l’uomo con le sue scelte e la sua libertà può diventare felice anche contro la sorte. –La felicità ha ancora molti altri usi che possono essere classificati secondo Nettle in: .FELICITA’ DI PRIMO LIVELLO->il senso più immediato e diretto della felicità implica un’emozione o una sensazione qualcosa come gioia o piacere. .FELICITA’ DI SECONDO LIVELLO->Quando le persone non intendono raccontare la loro vita da un punto di vista positivo e negativo,ma semplicemente facendo un bilancio e dopo aver riflettuto sulle gioie,sui piaceri ,sulle emozioni positive e sulle esperienze negative, sperimentano che la loro vita è stata accompagnata più da emozioni positive che negative. .FELICITA’ DI TERZO LIVELLO->La felicità intesa in senso Aristotelico del vivere bene. Ma allora parliamo di felicità solo riferita a persone perfette e normodotate?Mi viene da pensare…persone che allora non hanno il dono della vista e non possono osservare cosa le circonda non sono felici?A tal proposito abbiamo fatto all’inizio del nostro corso una simulazione di cecità,dove noi eravamo bendati e la prof tranquillizzandoci ci leggeva delle poesie. Uno dei temi che è emerso è stato proprio quello di vedere la vita in bianco e nero e non a colori,di conseguenza una mancanza di Felicità. E ancora i laboratori del:Prof Palladino e l’incontro con alcuni uomini dell’UNIVOC che ci hanno manifestato che la loro cecità nonostante sia un ostacolo,è per loro un dono immenso perché il Signore gli ha permesso lo sviluppo degli altri sensi in maniera più accentuata. Un’altra strada per parlare di felicità è quella di individuare talenti personali e forze dove Peterson e Seligman hanno condotto rassegne di religioni,culture,filosofie. La teoria di Seligman della felicità relativa alla vita piacevole,alla buona vita,e alla vita significativa che integra e si costruisce sulle concezioni eudaimonica ed edonica della felicità. La felicità dal punto di vista edonistico riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni sensoriali hanno maggior peso delle esperienze dolorose. La felicità dal punto di vista eudaimonico risulta dall’attuazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del proprio vero sé. WATERMAR dice che la felicità è massimizzata quando le attività di vita delle persone coincidono con i loro più profondi valori,risultando autentici e vivaci. Invece RYAN E DECI con la loro teoria dell’autodeterminazione pensavano che la felicità e la crescita psicologica sono collegate al perseguimento dell’autonomia,della competenza e dei bisogni associati. Ma ciò che accomuna le teorie eudaimoniche è che LA FELICITà RISULTA NON DAL PERSEGUIMENTO DEL PIACERE MA DALLO SVILUPPO DELLE FORZE E VIRTù INDIVIDUALI.
    .L’OMS ha indicato la promozione della salute come obiettivo principale della medicina,definendo la salute come BEN-ESSERE fisico,psicologico e sociale. SHAFER definisce il BEN-ESSERE come “vivere bene,da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico,anche in presenza di una malattia che sia TEMPORANEA O CRONICA. Forse la prima e unica cosa quando ci presentano la parola BEN-ESSERE è (SOLO)quell’idea di pensare a centri benessere dove si parla di cura della pella,prendersi cura del proprio corpo,rilassarsi,pensare solo a se stessi. Il corpo è il nostro principale mezzo di espressione e comunicazione. Esso separa ciascuno di noi dal mondo esterno e, al tempo stesso ci mette in relazione con gli altri perché è la via attraverso la quale esprimiamo sentimenti, emozioni, stati d'animo. CANEVARO parla del benessere di un individuo che è legato al capitale sociale,cioè all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi per elementi di mediazione con le strutture che lo circondano,con i contesti Ognuno di noi nasce con qualcosa di MAI esistito,qualcosa di nuovo. Ognuno ha un suo modo originale di vedere,ascoltare,toccare,gustare e pensare ovvero tutti abbiamo le potenzialità per DECIDERE DI ESSERE CIO’ CHE VOLGIAMO e il ruolo dell’educazione è quello di permettere l’attivarsi di questo potenziale attraverso la creazione di un mondo facilitante. Legato al benessere ricordiamo la Teoria dell’equilibrio dinamico che nonostante i cambiamenti nelle circostanze di vita dell’individuo,i livelli di felicità rimangono costanti nel tempo. L’equilibrio dinamico si riferisce alla tendenza dell’uomo di adattarsi al cambiamento “controllo omeostatico”.Il benessere dipende dunque non soltanto dalle componenti fisiche,sociali emozionali,dal tempo libero,ma anche dalle condizioni ambientali e lavorative. Infatti Con "Benessere negli ambienti di vita" si individuano le condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza nei luoghi di vita (casa, lavoro, ambienti ricreativi ecc.) che assicurano la tutela della salute dei fruitori. Per "Benessere organizzativo" si indicano tutte le misure volte a promuovere e tutelare il benessere fisico, sociale e psicologico di tutti i lavoratori. Numerosi elementi concorrono al raggiungimento del benessere organizzativo, sia di natura individuale(progresso di carriera, autonomia, responsabilità, riconoscimenti, soddisfazione..), sia dal punto di vista dell'organizzazione globale(cooperazione, flessibilità, mobilità, sicurezza, fiducia..) .Inoltre parliamo anche di “BENESSERE DISABILI”come lo stesso titolo del libro ci indica,occupandoci dunque di disabilità. Spesso il Benessere delle persone disabili è considerato semplicemente in una dimensione strettamente determinata dalla capacità di “Autonomia”. L’aspetto relazionale è sicuramente fondamentale .Il ben-essere rappresenta una condizione variabile fatta di tappe intermedie e modificazioni in costante cambiamento. Sarebbe dunque bello cominciare a costruire i soggetti partendo dalla forza che essi esprimono e non dalle loro debolezze. Questo invece è quello che è venuto fuori parlando di un disabile sulla sedia a rotelle e dell’educatore che ha il ruolo di farlo sentire “normale,accettato e NON diverso” dunque potenziandolo e non facendo risaltare le mancanze. L’obiettivo era quello di far si che il disabile potesse lavarsi,vestirsi AUTONOMAMENTE prendendo carico di se stesso .L’aiuto dell’educatore è semplicemente quello di facilitare la comunicazione con l’ambiente esterno. Negli anni 70 invece si è parlato con ZIGLER di Bambini con “Ritardo Mentale” . Fu sostenuto che i bambini con ritardo mentale NON avessero SOLO un basso quoziente intellettivo,ma avevano anche personalità distintiva e stili motivazionali che derivavano dalle loro molteplici esperienze di fallimento .Rispetto ai bambini loro coetanei,quelli con ritardo mentale avevano dunque minori aspettative di successo. Anche le famiglie spesso(o meglio quasi sempre soprattutto nella fase iniziale) alla nascita di un figlio disabile sono nella più totale fase di disorganizzazione,di shock,di non organizzazione ma poi col tempo riescono ad organizzarsi adattandosi al “trauma del bambino”.C’è da dire che le persone con disabilità hanno una bassa qualità di vita che dovrebbe essere migliorata e normalizzata per prevenire a quello che potrebbe esssere un domani,un futuro senza speranza e un futuro senza felicità. LA FELICITà è UN SOFFIO…E’ A UN PASSO DALL’UOMO…E’ UN SUO BISOGNO!
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  lucia schiano lomoriello Mar Mag 15, 2012 8:42 am

    La felicità è un oasi nel deserto , un traguardo a cui tutti aspirano, è un percorso ad ostacoli, è un mettersi alla prova per riuscire ad inserirsi in un tessuto sociale che tende ad emarginare anziché accogliere. Ma cos è la felicità? Un attimo fuggente? E’ gioire delle piccole cose della vita...? O è quel guardare sereno la propria vita e sentire che non manca nulla e ,quindi osservare serenamente come uno spettatore e ,poter dire: che cose meravigliose perfette quelle che vivo! Felicità e buona sorte sono state per molto tempo un binomio perfetto , ma che oggi entra sempre più in crisi , lasciando ampio spazio al pensiero di grandi autori come Platone il quale affermò che è l’uomo che, con le proprie scelte e con la sua libertà può tendere alla felicità anche contro la cattiva sorte. La felicità è un sentimento non misurabile , è sinonimo del vivere bene e quindi bisogna capire come questo sia possibile. La felicità viene paragonata ad una stazione con le sue fermate : NETTLE ne individua tre di soste : la felicità di primo livello ossia il raggiungimento di uno stato desiderato, la felicità di secondo livello in cui si pongono sulle braccia di una bilancia i piaceri e i dolori e infine la felicità di terzo livello in cui si realizzano le proprie potenzialità. Ma secondo RUFF la felicità è ben altro!E’ un insieme che comprende crescita persona, padronanza del proprio ambiente , franchezza con se stessi e assenza di dolori e tanti elementi di piacere. Fattori che contribuiscono al ben –essere sono l’ottimismo , la felicità , la perseveranza , e l’autodeterminazione, ma , vi sono ben altri fattori esterni che contribuiscono ad essa i quali : senso di appartenenza e armonia con il proprio ambiente di vita. La causa della nostra infelicità va spesso associata al pensiero generale e alla cultura d’accoglienza. E’ come se sentissimo dei vocii nelle orecchie, che ci dicessero che noi non andiamo bene , o per il modo di fare o per il modo d’essere. Spesso è la non accettazione a quei costumi , che ci imprigionano dietro un muro di infelicità. Ed è così che iniziano i più svariati pensieri su come possiamo cambiare le carte in tavola. Ricorriamo così all’uso di alcool , chirurgie estetiche solo per essere apprezzati e accolti nel sociale , ma questa non è felicità , perché non siamo più noi stessi , ma siamo ciò che gli altri vogliono farci diventare , siamo così solo maschere infelici.. Se ci rivolgiamo a chi ci capita per caso affianco e gli chiedessimo se è felice , di solito la risposta è negativa .Questo perché oggi giorno le persone credono che la felicità sia la realizzazione dei propri desideri e sia legata ad oggetti materiali , al denaro ad una macchina, ad una casa , ad un posto di lavoro. Indubbiamente, tutti noi vorremmo questo , vorremmo realizzare i nostri sogni , ma in fondo questi non fanno la felicità . Dare senso alla propria vita consiste nell’usare le proprie forze al servizio di qualcosa e di qualcuno. Ognuno ha un suo modo originale di vedere, ascoltare , toccare , pensare……ognuno ha un proprio potenziale irripetibile e i propri limiti. Abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo. Il compito dell’educatore è quello di attivare tali potenzialità attraverso un ambiente facilitante. Lo stesso CANEVARO afferma che il ben-essere di un individuo sono l’insieme delle capacità che egli ha di organizzarsi ed adattarsi grazie ad elementi di mediazione con le strutture che lo circondano e con i contesti di appartenenza. La felicità è il vivere bene da un punto di vista psicologico spirituale e fisico anche in presenza di una malattia. Il ben essere quindi non dipende solo dal corretto funzionamento di organi e apparati vitali ma, soprattutto dagli stati di vita e di lavoro , del tempo libero , della condizione dell’ambiente e dalle qualità umane dei contesti. Mi sono sempre posta la domanda se il disabile possa saper cosa significhi amare , sorridere , gioire…. l’handicap è una complicazione ma non necessariamente un’infelicità costante. L’handicap è una parte di una persona, non la globalità. Se il contesto familiare e sociale sa accettare con serenità la presenza dell’handicap e aiuta la persona a sviluppare capacità collaterali, ecco che la persona può essere più felice di una persona che vive in un contesto che la penalizza. Ed è per questo che non escludo che una persona con handicap possa essere felice. A questo proposito SEGUIN medico francese , nella metà dell’800 guidò le prime scuole per bambini disabili .Egli promosse una visione progressista nel quale affermò che i bambini con disabilità potessero essere educati e che potessero assumere il loro giusto ruolo nella società. Rivaluta così la figura dell’educatore che, non è solo quella di aiutare a mangiare , vestire e lavare , ma quella di poter attingere alla loro potenzialità e capacità di scelta per poter vivere la vita che egli stessi vogliono vivere. EDEGERTON afferma che migliorare le condizioni oggettive di vita delle persone con disabilità è la cosa più giusta e opportuna che si deve fare in una società equa. Spesso si è fermati ad alleviare i problemi in persone con disabilità e non nel promuovere stati positivi che invece aiuterebbero soggetti con disabilità ad affrontare con consapevolezza le situazioni della vita di ogni giorno. Medianti appositi studi e ricerche ZIGLER notò che i bambini affetti da ritardo mentale avevano minor aspettative di successo , bassa motivazione alle sfide e si affidavano agli altri invece che a se stessi per la soluzioni di problemi , ed è per questo che si cerca di favorire in essi lo sviluppo di un sentimento globale di autosufficienza .Nasce spontanea una domanda, i genitori di figli disabili come reagiscono al loro stato?Beh da quanto leggo i genitori passano attraverso stati diversi :shock, disorganizzazione emotiva , riorganizzazione e adattamento al trauma , essi affermano che la disabilità dei propri figli aggiungono qualcosa alle loro vite rendendole più ricche di significato. Come il caso di Simonetta Aztori , i suoi genitori no si son fermati nel osservare il suo handicap ma anzi con tanto amore e con molto coraggio hanno superato mille ostacoli per il bene della loro piccola , hanno affrontato una società ancora culturalmente chiusa nel loro modo di pensare , hanno saputo dare una vita serena felice a Simonetta che ha visto realizzare il suo sogno di danzatrice e grande artista, un altro empio di come i genitori sono la forza dei loro figli , è quella di Andrea giovane disabile costretto a vivere sulla sedia a rotelle , grazie ai suoi genitori oggi è riesce a vivere una vita comune come tutti noi , i suoi genitori dopo tanti sacrifici gli hanno potuto realizzare il sogno di abitare in una casa tutta sua , dove con l’avvento della domotica ha potuto acquisire una propria privacy dove potere accogliere anche i suoi amici ….I genitori così come l’ambiente influenzano lo sviluppo di un bambino con disabilità. I genitori sono la forza il perno d’affidamento su cui noi tutti possiamo contare. Pochi gironi fa ho avuto la conferma come persone affette da handicap possano saper cosa vuol dire amare. Sono entrata in un negozio per fare un regalo al mio ragazzo , e c’era questa ragazza affetta da handicap, ella voleva fare un regalo ad una persona per lei speciale , e ha chiesto alla commessa un pallone ad elio a forma di cuore con la scritta ti amo, la commessa pero inizialmente dubbiosa che la ragazza potesse pagare , gli disse che non ce l’aveva , però poi questa ragazza ne vide uno più piccolo che però c’era la scritta ti voglio bene , ma chiese alla commessa se avesse uno con scritto ti amo ,ciò che mi ha colpito è stata la convinzione di quel ti amo perché poi lei ha esposto la frase << io non lo voglio bene , voglio più che bene , lo amo proprio>> era emozionatissima! Li mi son data una risposta al mio quesito : tutti sanno amare ed essere felici ,che si tratti di un normodotato o di un diversamente abile non c’ è differenza. Poi a dir la verità anche la lezione di pochi giorni fa in cui ci è venuta a far visita la signora Tina o come il caso del professore Palladino sono testimonianza di chi nella vita anche se affetti da malattie riescono a vincere la depressione lo sconforto per amore della famiglia.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  angela32 Mar Mag 15, 2012 9:48 am

    Tra i due capitoli ha scelta ho preferito il primo. Trattata della felicità, dello star bene. Quante volte ci siamo chiesti cos’è la felicità….?ma noi siamo felici? Cosa determina la felicità? La risposta sarà data sicuramente in base al momento.. al periodo.. ke viviamo….se stiamo attraversando un buon momento allora diciamo ke siamo felici..se nn stiamo attraversando un buon momento allora diciamo ke nn siamo felici..allora possiamo dire ke la felicita e condizione del nostro vivere in una determinata fase della nostra vita..anke se molte volte abbiamo tutte le condizioni per poter dire ke siamo felici e nn ci sentiamo felici. A parer mio la felicita è quel attimo ke aspettavi da tempo,,,un gesto inaspettato…la felicita e quando il mio ragazzo mi fa una sopresa..ed è fondamentale nella nostra vita per poter vivere e star bene…ma e anke vero ke per poter vivere la felicità e per poterti creare momenti di felicità devi sentirti serena con te stessa, se manca quella la felicità da sola nn ha senso. La felicità si puo definire di primo grado, quando è provocato dal raggiungimento di uno stato desiderato, di secondo grado,quando ti fai un bilancio di quelo ke e stato e di ke sei, di terzo grado, quando ti kiedi cosa ti serve per essere felici. L’oms, ha indicato la promozione della salute, dello star bene per poter vivere meglio, ed ha definito la salute come condizione di ben-essere fisico, psicologico, e sociale. Lo studio del ben-essere ha l’bbiettivo di individuare dei metodi ke possono rendere la vita degli individui migliore e di migliorare il loro livello di ben- essere. Promuore il ben-essere, coinvolgendo tutti , e tra questi tutti in maniera particolare coloro ke sono meno fortunati di noi, i disabili. L’obbiettivo e di poter attingere alle loro potenzialità e capacità di scelte di vita ke essi scelgono di vivere…fornire delle risposte utili ed adeguate. Dar vita cosi a delle condizioni in modo ke lo star bene si concretizzi in felicità. Angela mercadante.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  MIRIAM MUSTO Mar Mag 15, 2012 10:26 am

    Tra i due capitoli ho preferito scegliere il primo,intitolato “ben-essere nella disabilità”. Il primo interrogativo che si pone è:che cos’è la felicità? il concetto di felicità è sfuggente ,ma compare in ogni cultura. Molte lingue distinguono tra qualcosa di estremamente immediato,come la gioia o il piacere,e qualcosa di più durevole come la soddisfazione o l’appagamento. La radice della parola “felicità” deriva dal prefisso “fe” da cui deriva “fecundus” ,femina. Il concetto di felicità è intesa in diversi modi e in diversi tempi e culture anche da molti autori. All’inizio si pensava che la felicità fosse legata esclusivamente alla fortuna, ma con Socrate,Platone e Aristotele è stata intesa come un prodotto dell’uomo nato dalle sue scelte andando anche contro la sorte.
    I molteplici usi del termine felicità hanno portato a classificarla in tre momenti differenti tra loro:
    -Il primo è il momento in cui il soggetto raggiunge una meta da lui desiderata;
    -Il secondo è il momento in cui si cerca di effettuare un bilancio tra le sensazioni positive e quelle negative,con il superamento di quelle positive;
    -Il terzo è più difficile analizzarla in quanto implica un analisi su che cosa sia vivere bene e in che modo lo si realizzi. Una teoria basata sull’equilibrio afferma che nonostante i cambiamenti nelle circostanze della vita dell’individuo,i livelli di felicità rimangono costanti nel corso del tempo. L’equilibrio dinamico si verifica in riferimento alla tendenza umana di adattarsi rapidamente ai cambiamenti dell’ambiente (HEADEY). NETTLE afferma che se le persone passano molto tempo a riflettere sulla nozione di ben-essere e di felicità,allora questo è un buon motivo per studiarle. Infatti il ben-essere dipende non solo dal corretto funzionamento di organi e di apparati vitali,ma soprattutto dagli stili di vita e di lavoro, dalla condizione dell’ambiente e dalle qualità umane dei contesti. Lo studio del ben-essere ha un obiettivo:quello di individuare dei metodi che possano rendere in grado gli individui di aumentare il loro livello di ben-essere. Le circostanze esterne della vita vengono quindi considerate il principale predittore della felicità delle persone. Allargando il nostro discorso sul ben-essere,facciamo riferimento al ben-essere per i disabili. Non molto tempo fa,molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. In parte queste istituzioni sono cresciute dagli sforzi di EDOUARD SEGUIN,medico francese che nel 1800 guidò la prima scuola per bambini disabili. SEGUIN promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e assumere il loro giusto ruolo nella società. Ma in realtà cosa significa per un disabile avere una buona qualità di vita?? Essa comprenderebbe:ben-essere emozionale,materiale,fisico,relazioni interpersonali,inclusione sociale e diritti. Migliorare le condizioni oggettive di vita delle persone con disabilità è la cosa migliore da fare in una società equa. Parlando di bambini disabili è inevitabile fare riferimento alle famiglie che hanno bambini disabili. Dal momento che non si può negare che i genitori di questi bambini abbaino a che fare con alti livelli di stress,la ricerca dovrebbe focalizzare l’attenzione sui modi in cui alcune famiglie sono coinvolte in diverse situazioni di successo. Infatti alcune famiglie con un bambino disabile,possono avere percezioni positive che li portano ad avere una migliore qualità di vita familiare e ad avere l’obiettivo di realizzare il pieno potenziale dei propri figli. Molto importante è il parere della prof. IAVARONE la quale afferma che la pedagogia ha a cura il ben-essere e la qualità della vita del soggetto,occupandosi della sua istruzione,educazione e tutelando la sua salute e non solo il suo sviluppo fisico,ma soprattutto psicosociale.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Benvenuta diversità!........Cap. 6 Ben-essere disabili

    Messaggio  Aiello Raissa Mar Mag 15, 2012 10:44 am

    Se cerchiamo di andare oltre il termine , l’ Educazione Inclusiva , come il libro ci suggerisce di pensare è “ una RIFORMA che supporta e dà il benvenuto alla diversità tra tutti gli allievi “.Lo scopo principale dell’ educazione inclusiva è quello di fare in modo che l’educazione possa essere intesa come processo principale per lo sviluppo degli individui , della società stessa, e per poter ridurre la povertà,l’esclusione,l’ignoranza e l’oppressione .Nel mondo sembra esserci la cattiva concezione di un’ educazione come privilegio per pochi ma l’educazione inclusiva cerca con i mezzi a sua disposizione di poter dare un’accezione diversa all’educazione,come diritto per tutti .Per poter fare ciò è opportuno comprendere quali siano le esigenze di coloro che quotidianamente sono vittime di esclusione ed emarginazione ovvero : bambini , studenti di minoranze etniche,bambini con disabilità o con difficoltà di apprendimento,bambini affetti da AIDS e HIV,partendo dalla trasformazione delle scuole e di tutti i centri di apprendimento, perché l’educazione non si verifica solo nelle aule scolastiche ma in diversi contesti formali ed informali. Bisogna consentire a tutti i bambini l’accesso all’inclusione e quindi di poter prendere parte liberamente alla vita scolastica che non sia,però ,soltanto fautrice dello sviluppo di abilità e conoscenze ma da insegnamento dei valori fondamentali della vita .L’inclusione non è un semplice fine da perseguire ma deve essere intesa come mezzo per la realizzazione di una SOCIETA’ INCLUSIVA che dia spazio all’equità sociale e ai diritti umani. Nel 2002 DYSON in un’importante rassegna affermò che l’educazione inclusiva deve cercare di rispondere agli studenti che sono diversi l’uno dall’altro e che nel loro piccolo pongono alla scuola delle vere sfide che mirano non al mantenimento degli studenti nelle scuole ma alla loro piena partecipazione all’apprendimento. Credo che l’educazione inclusiva intenda avviare il suo operato partendo dalla scuola perché essa rappresenta un sottoinsieme della società,per cui le pratiche,gli atteggiamenti e gli insegnamenti impartiti da questa istituzione faranno da monito per la vita in società. L’educazione deve poter essere accessibile a tutti,al di là delle differenze,perché tutti ne hanno il diritto,solo così è possibile la nascita di una società che non sia discriminatoria nei confronti del “diverso”.Anche in uno dei miei laboratori ( Le barriere architettoniche ) ho trattato della superficialità da parte delle istituzioni riguardo le barriere che quotidianamente non consentono al “diverso” di poter vivere la propria autonomia e di poter far parte della società come accade per i “normodotati”.Eppure si tratta di persone,che siano adulti,giovani o bambini (i quali rappresentano il nostro futuro), persone che come noi respirano,hanno un cuore,fanno parte del mondo,non sono un mondo a parte e con le loro differenze possono FARE la differenza (e mi scuso per il gioco di parole) perché è la loro particolarità che li rende unici,un bagaglio di ricchezze dal quale la società può attingere soprattutto in campo lavorativo.
    Riuscire ad usufruire delle risorse messe a disposizione dall’ambiente consente di poter abbattere le barriere per mettere le scuole al servizio di tutti i bambini,in particolar modo,quelli con disabilità. Pensare a delle “SCUOLE SPECIALI” è deleterio se pensiamo ad un processo di inclusione. Le scuole regolari, invece, rappresentano la risorsa migliore per combattere gli atteggiamenti discriminatori per diversi motivi,perché forniscono un’educazione efficace,migliorano l’efficienza e soprattutto permettono di minimizzare i costi del sistema educativo .Credo che le scuole speciali tendano a marcare la “diversità” quindi a NON ridurre l’HANDICAP .. Ma cos’è la disabilità?La disabilità è una condizione dovuta a delle menomazioni o deficit che limitano le capacità della persona disabile non consentendogli di partecipare alla società e di svolgere le normali attività quotidiane .Ecco perché è importante attuare una politica dell’inclusione, in questo modo il soggetto viene in un primo momento incluso nella scuola e poi nella società limitandone le difficoltà di inserimento. La colpa maggiore,non è del disabile e dei suoi deficit,se non riesce ad integrarsi,ma è della società che non si predispone a riguardo. E’ l’ambiente sociale in cui vivono che li esclude dalla partecipazione senza preoccuparsi di dover fare il possibile per abbattere le barriere (anche architettoniche) che non consentono di poter imparare,passeggiare liberamente,ne di muoversi liberamente nelle loro case. La nostra ,purtroppo, è una società che va incontro ai bisogni della maggioranza e non della minoranza delle persone disabili. Il movimento inclusivo deve coinvolgere tutti i livelli della società perché le barriere dell’inclusione possono essere ridotte solo attraverso la collaborazione tra i politici,le famiglie ,il personale scolastico,lo scopo è quello di creare un ambiente favorevole all’apprendimento,non solo a scuola,ma anche a casa perché se la scuola rappresenta il luogo primario per lo sviluppo dell’apprendimento,la famiglia è il luogo in cui l’apprendimento deve essere applicato!Il primo luogo di supporto all’inclusione è la SCUOLA ,essa è uno dei principali strumenti per prevenire l’esclusione e per garantire la piena partecipazione in ogni ambito della vita. La scuola deve supportare i bambini ,deve essere come un’amica per loro ,rendere proattivi gli insegnanti ed, il dirigente scolastico deve stimolare la nascita di un clima di forte risoluzione ai problemi. Più di tutto dovrebbe essere pronta ad offrire una ampia gamma di metodi di lavoro per il trattamento individuale dei bambini, non solo per coloro che hanno delle difficoltà,ma anche per gli altri ,perché ogni bambino ha delle differenti abilità ;quindi il curriculum deve essere flessibile affinché possa essere adattato ad ognuno per assicurare che non ci sia esclusione. Tutto ciò per mirare al superamento degli stereotipi trascendendo da ogni forma di differenza,che sia religiosa,culturale o di genere. Altro fondamentale supporto all’ inclusione,sono gli INSEGNANTI. In primo luogo,un buon insegnante deve sensibilizzare i suoi alunni al principio di UNICITA' , cioè fare in modo che le differenze di ogni bambino vengano considerate come caratteristiche uniche. Gli insegnanti devono incentivare le abilità e le capacità dei loro alunni,devono preoccuparsi di essere chiari nell’esposizione,nel fornire istruzioni e modalità di lavoro in modo da garantire la comprensione da parte di tutti e saper comprendere le reazioni dei bambini a ciò che gli è stato insegnato perché solo se il bambino acquisisce il contenuto degli insegnamenti l’insegnate può essere ritenuto valido. Un ‘ottimo insegnante deve considerare i suoi bambini disabili un’opportunità e non un problema,e trasmettere questa idea anche tra i bambini “normodotati “ in modo tale da garantire la formazione di un ambiente favorevole alle relazioni sociali tra normodotati e disabili. Il bambino disabile deve potersi sentire a proprio agio ma affinché questo accada è opportuno che anche l’ insegnante non abbia riluttanza nei suoi confronti. Purtroppo esistono casi in cui l’insegnante ha delle conoscenze specialistiche riguardo all’inclusione ma non ha attitudini per metterle in pratica. Spesso accade che gli insegnanti credano che i bambini con disabilità tolgano tempo all’ insegnamento degli studenti che non hanno difficoltà . Se non si ha la piena predisposizione alla disabilità , l’inclusione non avviene, e l’insegnante declina ogni sua responsabilità relegandole ad un insegnante specializzato : il sostegno individualizzato , che incrementa la differenza. L’ insegnante speciale deve collaborare con l’insegnante curricolare in modo da non sottolineare ancora di più la diversità e per fornire reciproco supporto che serva da aumento dell’istruzione per tutti i bambini. Il suo compito principale è quello di costituire un programma che sia più uguale possibile a quello della classe. L’ ultima,ma non per importanza, figura fondamentale all’inclusione è la FAMIGLIA che come gli altri nodi della rete apporta il suo potenziale . Il sogno di ogni genitore è quello di vedere il proprio figlio realizzato,ma in particolare,il sogno dei genitori di un bambino disabile è quello di vedere il proprio figlio indipendente .I genitori devono essere coinvolti nella scuola perché in questo modo riescono a sentirsi parte attiva dell’educazione del proprio figlio,devono conoscere gli obbiettivi di base,devono essere coinvolti nel prendere delle decisioni,devono essere informati del progresso dei loro figli ma soprattutto devono essere loro stessi a fornire le informazioni fondamentali riguardo ai loro figli. In questa fitta rete tutti i nodi: le istituzioni scolastiche,gli insegnanti e le famiglie devono poter stare bene in relazione tra loro per consentire una limpida comunicazione,con un obbiettivo comune e cioè quello di favorire il ben-essere soggettivo del bambino coinvolto ed in seguito il suo ben-essere sociale! Di fondamentale importanza,all’interno di questa visione reticolare è lo sviluppo di un CAPABILITY APPROACH. L’ approccio della capability ha un forte significato in ambito educativo poiché considera l’educazione come un mezzo per la libertà umana .L ‘essere educato significa non solo sviluppare competenze ed abilità per immettersi nel campo del lavoro ma significa ,inoltre, essere in grado di poter espandere ,al di fuori dell’ambiente scolastico, altre capabilities . Presa coscienza delle sue capacità il bambino sentendosi forte riesce a diventare autonomo .Ciò ci consente di poter pensare quindi che anche il bambino con disabilità,se ha ricevuto la giusta educazione inclusiva può riuscire ad andare oltre le sue menomazioni che in alcune condizioni lo limitano,ma in altre no!....Quindi perché escluderlo!...L’ essere disabile necessariamente comporta delle menomazioni ma non si può dire lo stesso del contrario. La differenza può essere superata solo se i governi e le comunità si impegnano a rimuovere le barriere che impediscono l’inclusione in modo da disporre le giuste risorse e i supporti che consentano ai bambini con disabilità di poter crescere in ambienti inclusivi.
    A proposito del tema dell’inclusione c’ è un libro che tratta di questa tematica : Index per l’inclusione.
    Ho avuto l’opportunità durante un laboratorio di poter avere informazioni riguardo a questo testo che ,premetto di non aver letto. Il testo,in linea generale, tratta dell’inclusione come tema fondamentale all’interno delle scuole partendo dalla definizione di “Educazione di base”, strumento adeguato per affrontare il difficile compito di trasformare la diversità in normalità. Il testo cerca di affrontare le sfide del pluralismo e dare gli strumenti ad insegnanti,genitori ed amministratori per l’inserimento dei “diversi”nella società. La diversità caratterizza ciascun individuo per cui bisogna riconoscere i bisogni del singolo ma nell’ampio quadro della pluralità delle differenze. Il termine INTEGRAZIONE porta con sé il concetto di ESCLUSIONE che prevede l ‘integrazione di chi la subisce .L’INCLUSIONE , invece, scaturisce dalla comunità che attraverso degli atteggiamenti include in sé un individuo il quale apporta le sue ricchezze individuali alla comunità. Index per l’inclusione si batte per una vera filosofia dell’inclusione che miri a creare non solo delle culture inclusive ma anche delle pratiche e delle politiche tali.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Ben-essere disabili

    Messaggio  rosannapetrone Mar Mag 15, 2012 10:49 am

    Cos’è la felicità? Un quesito che tutti si pongono e a cui anche io a volte non ho saputo dare una risposta, molte religioni e lingue gli hanno attribuito un significato diverso, un qualcosa di immediato o qualcosa da raggiungere piano piano, qualcosa di più significativo e durevole come la soddisfazione o qualcosa di tempestivo come il piacere e la gioia.
    La felicità significa vivere una buon vita, nelle culture contemporanee le persone stanno cercando di arrivare alla felicità con tutti i metodi possibili.
    Quando le persone ci parlano di felicità, della loro felicità non intendono dire che sono perennemente felici, ma che hanno messo sulla bilancia i momenti positivi e quelli negativi e da questo hanno dedotto che sono di più quelli positivi e quindi si reputano felici. Esistono perciò tre livelli relativi alla felicità:
    -felicità di primo livello: è una felicità soggettiva.
    - felicità di secondo livello: comprende anche i processi cognitivi.
    -felicità di terzo livello: valutarla implica esprimere un giudizio su cosa sia vivere bene.
    A tal propostito la psicologa Carol Ryff ha sostenuto che il ben-essere abbraccia più elementi, della semplice felicità di secondo livello. Secondo la psicologa ,infatti, le componenti più ampie del concetto di ben-essere devono essere correlata ad una felicità più ristretta, ma successivamente ci si è resi conto che questa correlazione era debole e quindi si potevano trovare individui dotati di un grande livello di ben-essere psicologico ma con poca felicità di secondo livello.
    Esistono due punti di vista della felicità: dal punto di vista edonistico, ossia la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore, e dal punto di vista eudaimonico ossia l’ attualizazione del potenziale dellì individuo.
    Di particolare importanza è le teoria di Seligman della felicità autentica correlata alla vita piacevole, alla vita significativa e alla buon vita, che si costruisce sulle concezioni eudaimonica ed edonica della felicità.
    Un ulteriore contributo è la teoria del flusso ossia l’ impegno che ha un individuo in una sfida impegnativa e motivante.
    Le caratteristiche sono appunto il sentimento di concentrazione e questo può essere un sentiero verso le felicità.
    Ghedin ci spiega che in quanto esseri umani tendiamo alla complessità da un punto di vista biologico, psicologico e sociale. Egli sostiene che lì individuo nasce con un corredo genetico che poi arircchisce nel corso della sua vita attreverso informazione che arrivano dall’ esterno.
    Successivamente un medico fracesce Edouard Seguin cercò di far capire che anche i bambini disabili dovevano e potevano essere educati e avere il loro ruolo nella società. Il modello formativo si diffuse rapidamente ma le scuole nel corso del tempo cambiarono i loro obiettivi.
    Ci si reso conto che gli studenti non venivano seguiti, curati, le scuole non erano più educative ma erano diventate affidatarie. Molte di queste scuole erano distanti dal centro ed isolate e questo non aiutò i disabili, infatti questo favorì la segregazione, l’ abbandono e il sovraffolamento.
    Da questo si è cercato di promuovere il benessere dei disabili per arrivare all’ autonomia l’ obbiettivo non è solo quello di far si che queste persone imparino a mangiare, a vestirsi e a lavarsi da soli, ma che possano essere autonomi anche nelle loro potenzialità e nelle loro scelte.Questo compito è dell’ operatore che cerca di fornire delle risposte, di risolvere i problemi ai disabili.
    Nel corso abbiamo parlato anche di come le persone affette da disabilità riescono a fare del loro disagio una vera è propria spinta in più come Pistorius che grazie a delle protesi speciali alle gambe adesso riesce a correre o come l’ Atzori che non ha le braccia ma riesce a ballare, o come il prof Palladino non vedente, ma che riesce a sentire anche l’ ultima ragazza dell’ aula! Queste persone secondo me sono felici perché hanno fatto della loro disabilità un punto di partenza per tornare a sorridere.

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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Che cos'è la felicità?

    Messaggio  Antonella De Rosa Mar Mag 15, 2012 11:04 am

    Che cos’è la felicita?
    Questa domanda ha rappresentato sin dall’antichità il tema di molti dibattiti filosofici, religiosi ed educativi, ma tuttora, non si può dare una definizione certa ed assoluta. Il concetto di felicità appare in tutte le culture e in tutte le epoche.
    Il significato originario della felicità per la cultura mitica dei pre-socratici era avere una buona sorte. Poi, però, con Socrate, Platone e Aristotele il concetto di felicità si arricchisce di nuovo significati; infatti si inizia ad affermare che è l’uomo attraverso le sue scelte e la sua libertà a decidere se diventare felice anche contro la sorte.
    L’uso del termine felicità, afferma Nettle , può essere classificato in tre sensi:
    • FELICITA’ DI PRIMO LIVELLO: Il senso più immediato e diretto della felicità implica un’emozione o una sensazione transitoria di piacere. Il piacere è provocato dal raggiungimento di una cosa desiderata e ottenuta.
    • FELICITA’ DI SECONDO LIVELLO: le persone ,dopo aver riflettuto sul bilancio tra piacere e dolori, affermano di essere felici.
    • FELICITA’ DI TERZO LIVELLO: La persona raggiunge lo stato di felicità quando realizza al meglio le proprie potenzialità.
    Le teorie contemporanee sulla felicità raggruppano le due teorie sviluppate dalla psicologia positiva, ovvero la teoria edonistica, secondo la quale la felicità riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore; e la teoria eudamonica, secondo cui la felicità è il risultato dell’attuazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del proprio vero sé. Infatti è importante che la persona, affinché possa dirsi felice, sfrutti a pieno le proprie forze per raggiungere i propri obbiettivi, provando così soddisfazione per ogni traguardo conseguito e dando un senso alla propria vita.
    La psicologa Carol Ryff ha sostenuto che il ben-essere umano coinvolge un insieme di elementi come la crescita personale, la franchezza con se stessi la padronanza del proprio ambiente.
    L’ OMS ha definito la salute come una condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale.
    Spesso i termini felicità e ben-essere soggettivo sono stati usati come sinonimi con il secondo che rappresenta il termine più scientifico dei due.
    Il ben-essere soggettivo include due livelli: Individuale e contestuale.
    • A livello individuale i fattori che contribuiscono al ben-essere sono l’ottimismo, la felicità, la perseveranza e l’autodeterminazione.
    • A livello contestuale i fattori esterni che contribuiscono al ben-essere sono il supporto sociale, il senso di appartenenza e l’armonia con il proprio ambiente.
    A tal proposito Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo non è legato solo alla sua condizione individuale ma anche, e soprattutto, all’insieme di capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano. Infatti è importante considerare il benessere come un progetto da condividere con gli altri. A tal proposito la Iavarone afferma “Questo perché non si parla di benessere fisico o economico, ma benessere come stato complesso proprio per il suo carattere globale quindi multi componenziale, multi dimensionale.
    La Delle Fave afferma che è fondamentale considerare che ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di sviluppo e cambiamento della società, anche le persone con disabilità, i cosiddetti svantaggiati. La Delle Fave però mette in evidenza che gli individui di per sé non sono svantaggiati ma lo diventano in un ambiente sociale in cui la loro condizione comporti conseguenza svantaggiose. Ciascun individuo deve essere incoraggiato a seguire il proprio percorso . Ogni essere umano è nasce con qualcosa mai esistito prima,con una unicità assoluta nel modo di pensare, di agire , di vedere, di pensare. Ognuno di noi ha la possibilità e la capacità di ben-esser. Dal punto di vita educativo ciò sta ad indicar che tutti abbiamo la potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo!!
    Ghedin parlando di ben-essere disabili mette in evidenza che inizialmente la preoccupazione maggiore per coloro che si occupavano di disabilità non era promuovere il ben-essere delle persone disabili come possibilità di vivere esperienze positive. Infatti molti bambini e adulti disabili venivano assistiti in istituzioni con finalità caritatevoli. La prima di esse fu guidata nell’1800 dl medico francese Edouard Seguin. Quest’ultimo promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere educati e assumere il giusto ruolo nella società.
    Questo modello formativo si diffuse rapidamente, ma nel corso del tempo le scuole cambiarono il loro obiettivo. Invece di favorire il ritorno delle persone nella società le istituzioni divennero un luogo per allontanare le persone. Solo in seguito il concetto di normalizzazione venne condiviso a tal punto di condurre l’integrazione delle persone affette da disabilità nella società. Negli scorsi anni si sono sviluppati servizi di educazione speciale e supporto alle famiglie.
    Oggi, molto spesso il benessere delle persone disabili è considerato un una dimensione più strettamente connessa all’ autonomia,invece, ciò che non bisogna trascurare è l’aspetto relazionale. A tal proposito vorrei enunciare le persone che abbiamo trattato e incontrato durante il corso:
    • Simona Atzori: La ballerina senza braccia che con l’aiuto dei genitori, delle persone che le sono state vicino e soprattutto grazie alla sua forza di volontà ce la fatta ed è del tutto autonoma! Cit:”i veri limiti sono negli occhi di chi ci guarda”
    • Oscar Pistorius: L’atleta senza arti inferiori che ha vinto tanti trofei nello sport e ancor di più nella vita!! Cit: “Non mi sono mai concentrato sui limiti della mia condizione ma ho sempre cercato di intuirne le possibilità, le sfide che poteva lanciarmi. In generale è una responsabilità, non solo per il significato sportivo del gareggiare a livello internazionale , ma la responsabilità è legata al mio percorso, al fatto di trasmettere un messaggio alle persone, ai bambini, che è quello di non arrendersi alle difficoltà.
    • Professore Palladino: Cieco a causa di un esplosione. Ricco di vita e pieno di luce!! Cit: “ vuj sit furtunat e nun o sapit”
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty 2prova intercorso

    Messaggio  filomena mosca Mar Mag 15, 2012 11:30 am

    1 capitolo
    Il concetto di felicità è sfuggente ma ciò non ne altera il valore,il tema di felicità compare in ogni cultura.Molte lingue distinguono tra qualcosa di stremamente immediato , come la gioia o il piacere,e qualcosa di più durevole come la soddisfazione o l'appagamento.La parola eudaimonia in origine significava "buon demone",quindi stava ad indicare che per essere felici bisognava avere un buon demone,una buona sorte.La felicità era strettamente legata alla fortuna;questo significato era caratteristico della cultura mitica e del mondo pre-socratico.Successivamente con Socrate,poi con Platone e infine con Aristotele,la parola eudaimonia si carica di nuovi significati,iniziando ad affermare che l'uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice,anche contro la sorte.Pertanto essere felici non sempre costituisce uno stato assoluto,infatti la felicità è connessa al portare a compimento l'intera vita,non con il piacere che si prova nell'attimo fuggente.Per questo in Aristotele la felicità è strettamente connessa all'etica e alla virtù.Il senso più immediato di felicità implica un'emozione o sensazione , qualcosa come gioia o piacere.La sensazione è provocata dal raggiungimento di uno stato desiderato Nettle definisce questo stato di felicità " felicità di primo livello".Poi c'è la felicità di secondo livello che è quella in cui le persone affermano di essere felici dopo aver effettuato un bilancio tra piaceri e dolori,tra emozioni positive ed emozioni negative,rigurda quindi le soddisfazioni per la propria vita.Infine c'è la felicità di terzo livello che è quella in cui la persona nella sua vita realizza le proprie vere potenzialità.In base a questo tipo di felicità vorrei fare riferimento ad Oscar Pistorius e Simona Artzori che nonostante le loro problematiche hanno realizzato le loro potenzialita;Pistorius nella corsa diventando un'atleta e l'Artzori nella danza e nella pittura.Schafer afferma che Il benessere è stato definito "vivere bene, da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico,anche in presenza di una malattia temporanea o cronica".Ci sono due teorie per quanto riguarda la felicità, c'è la felicità dal punto di vista edonistico,che riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoi hanno maggiore peso rispetto alle esperienze dolorose.Mentre la felicità dal punto di vista eudaimonico risulta dall'attualizzazione del potenziale dell'individuo e dal perseguimento del proprio vero sè.Il benessere considera la soddisfazione delle proprie esigenze e anche il conseguimento di funzionamenti che variano anche considerando la cultura di riferimento.Canevaro afferma che il benessere di un'individuo non è legato alla sua condizione individuale autarchica,quanto a quello che qualcuno oggi chiama capitale sociale,cioè l'insieme di capacità che l'individuo ha di organizzarsi e di adattarsi grazie a elementi di mediazione con le strutture che lo circondano,con i contesti.La Delle Fave afferma che è fondamentale,in una prospettiva eudaiminica,considerare che ciascun individuo deve essere visto come agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri della comunità e soprattutto per i cosiddetti gruppi svantaggiati:persone con dosabilità,anziani ed immigrati.Possiamo constatare, che gli individui non sono di per sè svantaggiati, ma lo diventano in un ambiente sociale o culturale in cui a loro condizione comporti conseguenze svantaggiose.Quindi ognuno di noi nascendo ha la capacità di benessere,ogni individuo ha un suo modo originale di vedere,ascoltare,gustare e pensare.Quindi ognuno ha un suo proprio potenziale irripetibile di possibilità e di limiti.Il benessere è costituito da diversi componenti:fisiche e psichiche e sociali,emozionali,psicologiche.La Prof M.L Iavarone afferma che il benessere possiede più dimensioni in quanto il desiderio di benessere si trasforma sia sincronicamente,in contaminanza con un episodio particolare in un determinato momento dell'esistenza dell'individuo,sia diacronicamente se il processo di tensione al benessere lo si riconduce ad un intervallo di tempo più lungo della vita di un soggetto.Edouard Seguin,un medico francese nel 1800 guidò la prima scuola per bambini disabili,Seguin promosse la visione che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società.Il modello formativo promosso da Seguin si diffuse rapidamente,ma nel corso del tempo queste scuole cambiarono drasticamente il loro obiettivo.Invece di favorire il ritorno delle persone nella società,le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane da una società meno indulgente.L'immagine pubblica generale delle persone con disabilità è che esse abbiano una bassa qualità di vita.Esiste consenso generale che la loro qualità di vita deve essere migliorata e molti paesi hanno adottato questa visione attraverso politiche ufficiali.I governi facilitano l'accesso per le persone con disabilità al mercato del lavoro,all'educazione,e ai trasporti per stimolare la partecipazione sociale.L'obiettivo politico è quello di "normalizzare" le vite delle persone con disabiltà.Infatti Ghedin afferma che bisogna avere un'approccio positivo per l'inclusione dei disabili nella società.La prof Iavarone sostiene che la pedagogia, ha a cuore il benessere e la qualità della vita del soggetto,occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione,tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Brusini Rosa Mar Mag 15, 2012 4:53 pm

    CAPITOLO 1 ben-essere nella disabilità
    Fin a poco tempo fa la psicologia ha studiato solo gli aspetti negativi della psicologia tralasciando lo studio della sua parte positiva (la psicologia positiva) con il concetto di felicità ad essa correlato. Ma cos’è la felicità? Innanzitutto etimologicamente parlando il termine felicità, comprende un ampia gamma di significati. Pertanto gli usi del termine felicità possono essere classificati in tre livelli: -la felicità di primo livello è quella che si prova quando si raggiunge uno stato desiderato; -la felicità di secondo livello è quella che si prova per la soddisfazione della propria vita; -la felicità di terzo livello è quello che si prova quando si realizzano le proprie vere potenzialità.
    Spesso i termini felicità e ben-essere sono confusi. Vediamo cos’è il ben-essere: il benessere è vivere bene, da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica (Shaffer). La psicologia positiva si chiedeva che cosa permette alle persone di vivere bene, essere felici e soddisfatti. Seligman a tal proposito individua la vita piacevole, la buona vita, e la vita significativa. La vita piacevole è quella che massimizza le esperienze piacevoli e positive. La buona vita si ha quando una persona utilizza la forza e la virtù in attività da cui trae piacere e a cui è appassionato. Infine la vita significativa si ha quando gli individui applicano la forza e la virtù per sviluppare amicizie e servire la comunità. Un altro contributo deriva dalla teoria del flusso di Csikszentmihalyi. Il flusso è uno stato di impegno e felicità ottimale e che se applicato in campo educativo è un possibile sentiero verso la felicità e il ben-essere.
    Inoltre Ghedin colloca il concetto di ben-essere anche in funzione del contesto sociale e culturale nel quale si trova un individuo. Un individuo infatti influenza e viene a sua volta influenzato dall’ambiente e dalla cultura. Infatti Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo è legato all’insieme della capacità di adattamento nell’ambiente, che si ha grazie a elementi di mediazione con i contesti che lo circondano.
    Inoltre Ghedin richiama il pensiero della Iavarone secondo cui il concetto di benessere fa riferimento a componenti sia fisiche che emozionali e il desiderio di benessere si trasforma sia in senso verticale, nei diversi tempi della vita, sia in senso orizzontale, nei suoi diversi luoghi..
    Lo studio del benessere inoltre ha grossi benefici per le future generazioni, in quanto studiandolo si può arrivare a trovare fonti di benessere che non siano puramente materiali, come purtroppo accade oggi giorno.
    Per quanto riguarda invece il benessere nel caso della disabilità, partiamo da Seguin, un medico francese che nella metà dell’800 creò istituti nel quale le persone disabili potessero essere educate e spronate per un reinserimento nella società. Ma poi col passare del tempo si andò a perdere questa funzione, e questi istituti divennero posti per tenere lontane queste persone dalla società. Bisogna invece mirare a far si che queste persone siano autonome e in grado di svolgere una vita “normale” . è questo il concetto di benessere disabili. Inoltre questo tipo di benessere non è un concetto limitato al singolo individuo disabile, ma è un concetto di azione dell’intera società. Questo perché l’obiettivo non è solo unicamente quello di permettere a queste persone di mangiare, vestirsi e lavarsi da soli, ma soprattutto far si che possano attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che essi scelgono di vivere.
    Infine Ghedin si occupa di quanto la famiglia influisca sulla persona disabile. Vari studi dimostrano che i genitori con figli disabili subiscono forti momenti di stress iniziale che gli consentono di attuare strategie di coping, ovvero strategie per ridurre lo stress e affrontare il problema; pertanto questi familiari hanno una migliore propensione alla risoluzione dei problemi e quindi ad una migliore qualità della vita. Oltre le famiglie anche le istituzioni, lo stato tramite norme, leggi, decreti aiutano le persone con disabilità all’inserimento sociale tramite posti di lavoro, scuole e servizi vari. Ma sono più felici le persone con disabilità che partecipano in società? Queste e altre domande rimangono senza risposta scientifica, però grazie alla mia esperienza lavorativa e grazie al corso della professoressa Briganti ho potuto constatare che queste persone lottano tutti i giorni per condurre una vita normale. Tutti gli ospiti che ci hanno accompagnato durante il corso ci hanno reso partecipi delle loro battaglie al raggiungimento di una vita autonoma e “normale”. Quindi anche se non c’è ancora un fondamento scientifico per valutare ciò io mi affido alle sensazioni e alle emozioni.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Capitolo 1 Ben-essere nella disabilità

    Messaggio  Tommasina Cataldo Mar Mag 15, 2012 6:32 pm

    La felicità è da sempre stata al centro di vari dibattiti nell’ambito filosofico,religioso ed educativo. Alcuni studiosi credono che sia importante per comprendere il funzionamento umano,altri,invece,sostengono che sia inutile in quanto non permette di comprendere la sofferenza umana. Il concetto di felicità è presente e varia in ogni cultura,infatti,si distingue tra qualcosa di immediato o qualcosa di duraturo. “Eundaimonia” è il significato originario della felicità nella cultura mitica e presocratica,e derivava da “buon demone”,quindi considerava la felicità legata alla sorte o fortuna(infatti questo significato è stato mantenuto in alcune lingue anglosassoni). Da Socrate ad Aristotele,Ghedin delinea di come la felicità acquisisce diversi e nuovi significati. Gli usi del termine felicità possono essere classificati in vari modi basati sul senso crescente. Il senso più immediato e diretto implica un’emozione intesa come gioia,quindi può considerarsi transitoria. La sensazione è determinata dal raggiungimento di uno stato inaspettato ma desiderato, questa viene riconosciuta da Nettle come “felicità di primo livello” (le persone si considerano felici dopo aver fatto dei bilanci nella loro vita e constatato che vi sono state più emozioni positive che negative). La “felicità di secondo livello” riguarda i processi cognitivi più complessi in paragone con i risultati alternativi. Infine, la “felicità di terzo livello” ,più ampia, che riguarda l’ideale aristotelico del vivere bene ,l’ eundaimonia tradotto in felicità (persona che matura le sue potenzialità). I termini felicità e ben-essere soggettivo sono stati usati in modo alternativo. Per ben-essere si intende: 1. Una componente cognitiva. 2. Una componente affettiva. Questo concetto riguarda sia il livello individuale che quello contestuale ,quindi fattori interni e fattori esterni,che influiscono sul benessere. Si può definire come benessere il “vivere bene ,da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico,anche se in presenza di una malattia cronica o temporanea”. La psicologia positiva si chiede su cosa le persone possono fare per essere felici,infatti, Seligaman ha proposto diverse strade tra le quali le emozioni passate ,future, momentanee che sono basate sui piaceri sensoriali, o una felicità legata all’esperienze. Recentemente è stata di grande importanza la teoria della felicità autentica, proprio di Seligman, relativa alla vita piacevole,alla buona vita e a quella significativa. Dalla psicologia positiva confluiscono molte teorie, tra cui: quella eudonica,felicità come massimizzazione dei piaceri e minimizzazione dei dolori; eudamonica ,felicità come attualizzazione del potenziale dell’individuo . Importante è stata anche la teoria del flusso di Csikszentmihalyi,che considera il flusso come uno stato di impegno,di felicità ottimale ed esperienza massima,che si verifica quando un soggetto è assorbito in alcuni compiti impegnativi. Alcune caratteristiche di questa teoria sono stati utilizzati per collegare la felicità al benessere,un passaggio importante per il profilo educativo,perché l‘educatore crea delle condizione che permettono all’educando di assumere posizioni positive nei confronto delle esperienze,e di rendere l’apprendimento un’esperienza piacevole. Il termine eudaimonia proviene dal greco e si traduce con “divinità buona/benevola”. Sen ha dato importanti contributi al concetto di benessere eudaimonico, definendolo attraverso : funzionamenti ,che riguardano i risultati e i traguardi di una persona; e le capabilities,sono l’insieme di funzionamenti di cui la persona dispone nell’ambiente. Quindi, il benessere considera sia le soddisfazioni delle proprie esigenze che il conseguimento dei funzionamenti nelle varie culture. La relazione tra individuo e collettività è forte,anche quando si tratta di ben-essere,infatti, gli uomini tendono ad attribuire le loro azioni non solo a stati interni,ma anche a quelli esterni. Proprio per questo è importante e desiderabile che la crescita del singolo sia legata allo sviluppo sociale della collettività. Da un punto di vista educativo, si può tradurre con la decisione di essere chi vogliamo,e da parte dell’educazione di facilitare l’ambiente circostante per permettere ad ogni soggetti di co-evolversi. La teoria dell’equilibrio dinamico afferma che nonostante i cambiamenti di vita, i livelli felicità rimangono costanti. Questo equilibrio dinamico è dipeso dalla tendenza umana ad adattarsi rapidamente(detto “controllo omeostatico”). Questa teoria critica la ricerca di interventi per aumentare la felicità sui soggetti,ma la ricerca psicologica non ha potuto ignorare il concetto di raggiungimento del ben-essere e di felicità. Il ben-essere si sostanzia di diverse componenti:fisiche e psichiche ,sociali, emozionali , psicologiche;e fa riferimento sia alla valutazione biologico-clinica che all’autovalutazione soggettivo-emozionale. Esso cambia in senso verticale,in base ai tempi, e in senso orizzontale ,in base ai luoghi; e si trasforma sia sincronicamente e sia diacronicamente. Molti sono stati gli studi sul benessere,che hanno per obiettivo principale quello di delineare metodi per aumentare il ben-essere in ogni individuo,e abbandonare definitivamente la sofferenza. È possibile così delineare i bisogni umani:approccio top-down ,nel quale il ben-essere dipende dalle caratteristiche globali della personalità e di come una persona reagisce agli eventi esterni;approccio bottom-up ,una persona che sviluppa una condizione di felicità attraverso esperienze positive. Questi numerosi studi hanno portato molti benefici,e soprattutto alla scoperta che la felicità non è legata ai beni materiali. Molto complessa si è presentata la condizione di ben-essere dei disabili,in quanto inizialmente non veniva considerato questo aspetto. Molti soggetti venivano mandati in istituti caritatevoli,ma la situazione cambiò con Seguin ,che fondò la prima scuola per disabili. Nonostante questo innovativo metodo formativo,molte scuole divennero semplici luoghi di “affidamento”,in quanto hanno favorito,anche per la posizione geografica, situazione di isolamento e abbandono. In seguito si avviò un profondo cambiamento ,chiudendo questi istituti e favorendo servizi di educazione speciale e supporto alle famiglie. Si costruiscono dei nuovi programmi educativi che favoriscono l’autodeterminazione,ovvero rendere il disabile non solo in grado di provvedere a se stesso, ma di compiere delle scelte, di potenziarlo nella vita e nelle sue capacità. Oggi la ricerca si sta muovendo in una direzione che vuole promuovere alle persone con disabilità di condurre una “buona vita”. Filoni di ricerca:
    Il movimento della qualità di vita,che comprende le esperienze di vita esterne e oggettive vissute delle persone con disabilità. Ha come obiettivo un’analisi della soddisfazione interna per approfondire lo studio della felicità. Sono state delineate dai vari studiosi delle dimensioni tra cui il ben-essere emozionale,che sembra più vicino la felicità.
    Per il movimento della doppia diagnosi, i ricercatori cercano di alleviare i problemi a persone con disabilità ,in particolare a coloro che hanno un ritardo mentale ,in quanto sono più vulnerabili. Infatti, essi possono presentare sintomi di disadattamento o psichiatrici ,e la ricerca si focalizza sui modi di migliorare tali comportamenti negativi.
    Personalità –motivazione e felicità, Zigler ha sostenuto che i bambini con ritardo mentale presentano un basso “QI”,bassa motivazione,alti livelli di impotenza,si affidano di più agli altri,a causa delle varie esperienze di fallimento. Secondo gli studiosi, la motivazione intrinseca nasce da situazioni positive e può includere aspetti legati alla felicità e al ben-essere,per questo l’obiettivo principale è favorire lo sviluppo di sentimenti di autoefficacia fondata sulla possibilità di gestire la propria vita.
    La ricerca sulla famiglia di bambini con ritardo mentale ha dimostrato come a volte la madri vivono come un evento luttuoso la nascita di un figlio disabile. I genitori di bambini disabili vivono ,a differenza degli altri genitori, periodi prolungati di stress, e un atteggiamento negativo verso la disabilità può incrementare altro stress alla famiglia. Diverse famiglie riescono ad agire anche in maniera positiva nei confronti della disabilità ,sia per la crescita del bambino disabile,che per il realizzamento dei loro figli.
    La concezione pubblica è che le persone con disabilità hanno una bassa qualità di vita, ma è importante considerare quanto i governi cercano di “normalizzare” le vite di queste persone, incrementando per i disabili i trasporti,gli accessi ai lavori ,stimolando alla partecipazione sociale. Questa prospettiva vuole mirare al ben-essere soggettivo delle persone con disabilità e un loro miglioramento di vita. Nella società occidentale il diritto di star bene per tutti è divenuto un qualcosa di legittimo,aiutando le persone a sviluppare le proprio risorse e a far leva sulle proprie capacità permettendo di raggiungere una condizione di ben-essere. Come afferma la Iavarone, la pedagogia cerca di mirare al ben-essere di ogni soggetto e di migliorare la sua qualità di vita. Infatti,come abbiamo visto nel nostro percorso la relazione educativa è fondamentale per la formazione di qualsiasi soggetto,anche per un disabile. La possibilità di prevedere situazioni difficoltose ,di far emergere le doti di un disabile,portare un disabile al pari di normodotati,su questi obiettivi dovrebbe incentrarsi la relazione educative con un disabile. La disabilità,inoltre, è stata “normalizzata” non solo grazie ai vantaggi della politica,ma soprattutto grazie alla tecnologia (integrativa,estensive ed invasiva) che ha permesso di abbattere barriere ed ostacoli,riducendo l’handicap ,e permettendo ad alcuni disabili di poter vivere realmente. (Mi riferisco al grandissimo esempio di Pistorius e di quanto le protesi lo hanno aiutato a coronare il suo sogno.)
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Irene De Vita Mar Mag 15, 2012 6:58 pm

    CAPITOLO 6
    Verso un’educazione inclusiva
    Le figure chiave che possono essere considerate come supporto dell’inclusione sono:
    • Sistemi educativi inclusivi
    • Insegnanti e ambiente di apprendimento
    • Famiglia
    Questi tre sistemi devono collaborare e impegnarsi per sollecitare un buon risultato sia a livello educativo che sociale ed affettivo dei propri bambini. Innanzitutto bisogna avere una panoramica inclusiva della scuola, appunto per questo sono stati proposti una serie di metodi che hanno la possibilità di contribuire ad una visione inclusiva di quest’ultima: discussioni di gruppo, discussioni sui dati provenienti da interviste con gli studenti, interazione tra scuole diverse per favorire comunicazione e collaborazione. Come ben sappiamo la scuola, è agenzia di socializzazione(secondaria), per questo deve promuovere e offrire i metodi e le possibilità di lavoro individuale e di gruppo, per assicurare che nessun bambino sia escluso dalla socializzazione e dalla partecipazione a scuola. Una buona educazione inclusiva, può aiutare a superare future difficoltà di apprendimento tra giovani e adulti. Tutto questo a mio avviso può rivelarsi efficace anche in una RELAZIONE EDUCATIVA, perché anch’essa può aiutare a far sentire le persone più incluse, si parlerà con meno fatica, ci si sentirà più tranquilli e le persone saranno disponibili con noi e viceversa. Bisogna dunque, incitare le capacità i bisogni e i desideri dei bambini. Questo è uno dei lavori che dovrebbero essere svolti dagli insegnanti. Caratteristiche della scuola dovrebbero essere quelle del rinforzo positivo, alte aspettative, buon apprendimento, cooperazione tra scuole diverse e tra insegnanti e genitori. Lavorare in classi inclusive, è un vantaggio per gli studenti e gli insegnanti. La paura che spesso “perseguita” questi insegnanti, è quella di non sentirsi all’altezza di lavorare con ragazzi disabili inclusi in classi regolari. Tutto questo, devono però impegnarsi a superarlo, altrimenti i loro sforzi e anche quelli del sistema di inclusione si vanificheranno. I docenti che si ritengono responsabili dell’istruzione di tutti i bambini, sono portati a voler ridurre le barriere, per far accedere gli studenti disabili e con bisogni speciali, questo significa: “accomodare”, ovvero fornire molteplici modalità di apprendimento a tutti, andando incontro. LEONT’EV ci parla di un modello che analizza le operazione delle strutture sociali: TEORIA DELL’ATTIVITA’.
    La teoria dell’attività sostiene che un’attività sociale è sempre costituita da:
     Obbiettivo che guarda le azioni dei partecipanti
     Strumenti che vengono forniti per svolgere l’attività
     I soggetti e le loro caratteristiche
     L’influenza data ai soggetti dalla comunità di appartenenza
     Le regole e i valori che vigono nella partecipazione
     Modalità di lavoro
    Tutto questo non porta ad un apprendimento statico, formale e passivo, anzi produce differenti situazioni e differenti risposte a queste situazioni, perché come sappiamo di fonte ad un problema non esiste una sola ed unica soluzione, ma tante perché il problema va guardato da tutti i punti di vista. Secondo la mia opinione questo significa abbattere le barriere mentali. A proposito di ciò bisogna parlare anche di Index per l’inclusione, questo promuove uno sviluppo inclusivo perché muove dall’interno, cioè dalle conoscenze,esperienze del suoi personaggi e analizza la scuola nelle sue dimensioni pratiche, politiche e della cultura. L’ Index offre materiale per le famiglie gli insegnanti e gli alunni per costruire un proprio ambiente inclusivo nel quale non esistono diversità, ma che queste ultime possano essere frutto di scambio reciproco. Lo sviluppo rispetto all’ambiente scolastico deve essere un processo dinamico. Sono importanti le intenzioni che orientano l’azione verso gli obiettivi e significato e scopo sono anch’essi parte integrante dell’attività. Infine le scuole dovrebbero fornire ai bambini la conoscenza per proteggere essi stessi dal rischio di sfruttamento.
    Il sogno di un genitore è quello di vedere il proprio figlio realizzarsi, socialmente utili, che contribuiscano al bene della comunità. Questo è il sogno di tutti i genitori, anche di quelli di bambini disabili. Questo perché spesso i disabili vengono emarginati, esclusi quando invece meriterebbero di essere trattati con dignità come tutti ed essere inclusi nella LORO comunità. Rispetto a questo argomento, mi viene in mente un laboratori svolto in classe: Emarginato o cittadino? In questo laboratorio furono escluse dalla città non reale(aula) le persone con gli occhiali (ipotetica disabilità). Io non “portatrice” di occhiali rimasi nella città, ad onor del vero mi sentii quasi in “colpa” , perché potevo restare in città(la mia comunità) senza avere niente in più alle persone emarginate. E’ inoltre di fondamentale importanza che il genitore sia coinvolto nella relazione con gli insegnanti e con la scuola, perché questo può avere un effetto benefico, per i bambini ma anche per i genitori che seguono i figli in tutto. L’UNESCO(Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura), suggerisce che, se i genitori vengono visti come veri e propri accompagnatori nell’educazione dei figli è poi indispensabile che:
     Partecipanti attivi, che possono fornire un valido contributo
     Genitori come parte integrante
     Genitori che vengono ascoltati dagli insegnanti quando parlano dei loro figli
     Responsabilità condivisa tra genitori e professionisti( insegnanti, educatori…)
    E’ in conclusione fondamentale l’interazione tra studenti e insegnanti, insegnanti e genitori, genitori e figli e tutti questi con la comunità.
    Si è parlato in questi ultimi anni dell’Approccio Capability e al suo significato. Questo tipo di approccio considera l’educazione come connessa con la libertà umana. Prima di tutto il modello capability guarda precisamente all’aspetto relazionale, di come il bambino interagisce con l’ambiente scolastico. Caratteristica principale di quest’approccio è la sua capacità di concentrarsi su ciò che le persone sono effettivamente in grado di fare ed essere, cioè, sulle loro capacità. L’educazione rende l’uomo autonomo e gli dà nuove capacità dalle quali attingere. L’approccio capability è una struttura di pensiero e non una teoria educativa. Quest’approccio apre a nuovi orizzonti, più innovativi e riesamina l’educazione inclusiva e quella più in generale.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  MarySalvati Mar Mag 15, 2012 9:10 pm

    Capitolo 1: Ben-essere nella disabilità.


    Fin dai tempi più antichi si è cercato di definire il concetto di felicità. Essa fu sempre percepita come un elemento essenziale ,per alcuni addirittura il fine ultimo della vita umana, protagonista indiscussa del dibattito filosofico, religioso ed educativo per tantissimi anni. Si tratta quindi di qualcosa estremamente immediato, come la gioia o il piacere, o qualcosa di più durevole come la soddisfazione o l’appagamento?Rispondere a tale domanda non è semplice, possiamo provarci tuttavia prendendo in considerazione lo sviluppo del significato del termine. “Eudaimonia” deriva da buon demone, la felicità era avere un buon demone, ovvero una buona sorte, quindi felicità connessa alla fortuna. La radice della parola “felicità” deriva dal prefisso indoeuropeo “fe”, da cui deriva fecundus, ovvero fecondità. I più grandi filosofi, tra cui Platone e Aristotele, parlavano di felicità come di virtù, connessa quindi all’etica. Collegandoci alla Contemporaneità, solo recentemente le scienze sociali hanno iniziato in modo sistematico a studiare il concetto di felicità, forse per comprendere anche il concetto di sofferenza umana. La felicità quindi è stata oggetto di studio dell’analisi scientifica, in particolar modo della psicologia positiva. Nettle definisce tre livelli di felicità:
    1- Felicità di primo livello: implica emozioni o sensazioni transitorie;
    2- Felicità di secondo livello: implica appagamento e soddisfazione come risultato del bilancio tra emozioni positive e negative;
    3- Felicità di terzo livello: Eudaimonia come realizzazione di tutte le proprie potenzialità nell’arco della vita.
    L’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) ha definito la salute come una condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale. Spesso i termini ben-essere soggettivo e felicità sono stati usati come sinonimi, non tenendo conto del fatto che il ben-essere soggettivo include sia una componente cognitiva che una affettiva. Ben- essere vuol dire “vivere bene” da un punti di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia. La “buona vita” consiste nello spendere le proprie forze nel modo migliore possibile nelle relazioni, nel lavoro e nel tempo libero: si tratta della “teoria della felicità autentica” di Seligman, il quale propone anche diverse strade che conducono alla felicità. Si tratta delle emozioni positive di eventi passati ed eventi futuri(quindi la soddisfazione); ancora seconda strada come concetto di flusso( che ci tiene concentrati su compiti stimolanti), ed infine la terza che consiste nell’individuare talenti personali e forze. La felicità è stata oggetto di studio anche di teorie contemporanee:
    - Teoria eudonica( felicità come minimizzazione del dolore);
    - Teoria eudamonica (felicità come attivazione del proprio potenziale);
    - Teorie sviluppate dal movimento della psicologia positiva(felicità come espressività personale e perseguimento dell’autonomia).
    La teoria del flusso è stata associata al concetto di ben-essere, nel senso che il flusso corrisponde ad uno stato impegnato e quindi come possibile sentiero verso la felicità. Da tale ipotesi possiamo azzardare una riflessione sulla prospettiva educativa e sul ruolo degli insegnanti che dovrebbero favorire l’esperienza del flusso, cercando di stimolare nei bambini un atteggiamento positivo nel confronti della vita. Il ben-essere non implica solo la soddisfazione delle proprie esigenze, il singolo è inestricabilmente connesso alla collettività, è parte di essa;quindi si tende conseguentemente alla complessità ancora da un punto di vista biologico, psicologico e sociale. Diventa in effetti fondamentale il processo di analisi di ciò che è possibile, perché da ciò deriva il prestare attenzione collegato strettamente all’empowerment sociale. La teoria dell’equilibrio dinamico afferma che nonostante i cambiamenti di vita, i livelli felicità rimangono costanti. Questo equilibrio dinamico è dipeso dalla tendenza umana ad adattarsi rapidamente all’ambiente(Controllo omeostatico). Ma cos’è realmente il ben-essere? Si tratta forse di emozioni effimere?il bisogno di sfide? Il ben-essere anche se sembra strano non ignora la sofferenza, ma cerca la promozione della salute, della resilienza; parte tutto da una concezione olistica, prospettive sia soggettive che oggettive. Ben- essere non relativo esclusivamente alla quantità di beni e di risorse materiali, ma riferito al ben-essere psicologico e sociale dei cittadini, come ci tengono a precisare alcuni ricercatori. La capacità di ben-essere è presente sin dalla nascita ma, può essere debellata da situazioni di svantaggio sociale. Anni addietro bambini ed adulti con disabilità venivano assistiti in istituzioni caritatevoli. Il maggior contributo per lo sviluppo di tali istituzioni fu dato da Seguin che a partire dalla metà dell’800, cercò di promuovere il giusto ruolo di bambini disabili nella società. I propositi di Seguin con l’andare del tempo cambiarono, infatti le istituzioni divennero posti per tenere le persone con disabilità lontane dalla società. Attualmente invece si cerca di favorire l’inclusione nelle comunità. [L’educazione inclusiva , ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita della persona, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale Cit.M.L Iavarone]. Il ben-essere delle persone disabili va promosso attraverso lo sviluppo dell’autodeterminazione, cercando di sviluppare la loro autonomia, dandogli motivazione, stimoli e voglia di fare, quindi si tratta di un vero e proprio progetto dinamico da condividere. L’operatore dovrebbe dare il proprio aiuto non supportando il disabile in tutto e per tutto(facendolo sentire inadeguato e non-autosufficiente, un vero e proprio ramo secco), dovrebbe limitarsi solo a facilitare l’accesso all’impalcatura relazionale. Si tratta in effetti di migliorare la qualità della vita sviluppando dimensioni come ben-essere emozionale, materiale, relazioni interpersonali, autodeterminazione, ecc.(evitare barriere architettoniche e stupidi pregiudizi sono solo alcuni esempi). La maggior parte delle ricerche sono focalizzate su soggetti con ritardo mentale che presentano la doppia diagnosi(ritardo mentale e disordini psichiatrici). I bambini affetti da tale patologia hanno non solo un basso “QI”, ma presentano anche minori aspettative di successo, scarsa motivazione intrinseca che affievoliscono il sentimento globale dell’autoefficacia. Alcune ricerche furono incentrate anche sulle famiglie di bambini con ritardo mentale. Quando nasce un bambino con disabilità il fatto si trasforma in un evento angoscioso, ci sono madri che attraversano fasi di shock e che vanno incontro ad un livello di stress inevitabile. Ma non dimentichiamo che la famiglia è un sistema integrante, il bambino apprende strategie di coping rifacendosi ai propri genitori che sono chiamati quindi ad evitare di assumere un atteggiamento negativo. A tal proposito ricordo un laboratorio svolto per quanto riguarda l’autismo. Erano presenti genitori di bambini autistici che svolgevano la loro vita normalmente, erano tranquilli sereni orgogliosi dei propri bambini. L’obiettivo in effetti è quello di normalizzare le vite di persone con disabilità, attraverso il miglioramento della qualità di vita. Ciò si è verificato in buna parte con l’aiuto delle tecnologie integrative, estensive, invasive . Anche i disabili hanno il proprio diritto a stare bene. La buona vita che nel caso della disabilità si collega al concetto di resilienza. Persone come Pistorius, Atzori e la Signora Tina, sono dimostrazioni di come la disabilità non è così potente, non può fermare nessun cuore che ha voglia di continuare a vivere.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty cap 1 Ben-essere nella disabilità

    Messaggio  TammaroAlessia89 Mar Mag 15, 2012 10:13 pm

    Vorrei cominciare il mio intervento, con un famoso aforisma di Oscar Wilde che recita "La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha. ". Ciò che subito viene da chiedermi è " Di cosa gli uomini hanno bisogno nella loro vita per essere felici?" Forse di essere ricchi, magri, amati, soddisfatti, accettati... qualcun'altro forse risponderebbe semplicemente "vorrei avere la salute". Ogni uomo è sempre una sintesi perfetta del suo patrimonio genetico, della cultura e della società nella quale vive, così ogni sua scelta sarà sempre dettata anche dall'ambiente estreno. Qualsiasi sia la risposta che ogni uomo decida di dare alla mia domanda, l'importante è ricordarsi che tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere e avere ciò che vogliamo.
    All'epoca dei grandi filosofi quali Socrate, Platone e Aristotele si affermava che la felicità dell'uomo dipendeva molto dalle sue scelte e dalla sua libertà, anche contro la cattiva sorte. Oggigiorno il discorso cambia completamente, poichè viviamo in un'epoca ricca che offre tanti piaceri che però velocemente diventano effimeri. Specialmente i giovani, vissuti prevalentemente nel benessere, sono continuamente bombardati da immagini, stereotipi, illusioni, così per essi la felcità diventa quasi un'isola irraggiungibile. Vivere con la possibilità di avere tutto, ha formato intere generazioni di uomini insoddisfatti, infelici, alla rincorsa di qualcosa che forse non esiste. L'essere umano ha bisogno di mettersi alla prova, ha bisogno di continue sfide, ha bisogno di avere uno scopo, un obiettivo e di lottare per esso. Le persone felici sono quelle che riescono ad ottenere le cose che vogliono o quanto meno cercano e hanno la possibilità di farlo. Bisogna specificare che ci sono vari livelli di felicità: c'è un livello inziale, che si manifesta quando una cosa desiderata e inaspettata, accade; poi c'è un livello intermedio che rappresenta una sorta di bilancio critico sulla propria vita, dove i piaceri e le emozioni positive hanno la meglio su quelle negative; poi c'è un livello finale, un livello di felicità per così dire completo, proiettato in una vita prospera e realizzata dalle vere potenzialità dell'uomo. Ognuno di noi per vivere in uno stato di benessere e felcità ha bisogno di fattori sia individuali che contestuali. Nei fattori individuali entrano in gioco componenti sia cognitive che affettive, e risultano indispensabili caratteristiche quali: l'ottimismo, l'autonomia, la determinazione e la perseveranza. Tra i fattori esterni o contestuali invece ricordiamo il supporto sociale, il senso di appartenenza e l'armonia con il proprio ambiente; quest'ultimo dovrebbe sempre creare le condizioni positive affinchè tutto questo accada. La felicità e il ben-essere dipendono allora da diverse componenti che non sono solo quelle fisiche, psicologiche ed emozionali, ma soprattutto quelle sociali. Non mi sarei mai sognata di affrontare in un mio esame questi argomenti, quali la felicità e il ben-essere di una persona, e fino a qualche tempo fa, anche molti studiosi lo ignoravano, ma se gli uomini passano molto del loro tempo a riflettere su questi concetti, questo è già un buon motivo per studiarli. L'approfondimento di temi, quali il ben-essere, non vuole ignorare la sofferenza, le malattie, ma prevenirle e cercare così in qualche modo di aumentare il livello di vita degli individui. Bisognerebbe chiedersi le persone disabili sono felici quanto gli altri? Purtroppo l'immagine pubblica generale delle persone con disabilità è che esse abbiano una bassa qualità della vita. La buona vita di una persona non dipende solo dal corretto funzionamento di organi e di apparati vitali. Una persona può vivere con pienezza la propria vita a prescindere dalla malattia, che possa essere temporanea o cronica.
    Sfortunatamente per anni le persone disabili sono state assistite con finalità quasi caritatevoli. A lungo andare atteggiamenti di pietismo e compassione piuttosto che formare una persona autonoma, finirebbero per sottolineare un'immagine di inadeguatezza e di debolezza. I bambini disabili purtroppo accumulano diverse esperienze negative, di fallimento e impotenza e così sono portati a credere meno in se stessi. Come ci è stato scupolosamente illustato in aula dal Professor Vassallo padre di un bambino autistico, sono importantissimi degli interventi mirati e ben pianificati da un Sistema formativo integrato, ovvero risulta molto importante una collaborazione tra la famiglia, educatori e scuola, al fine di formare una personalità completa anche nel bambino disabile, laddove interventi isolati sarebbe inutili. E' inoltre fondamentale che le famiglie non si vergognino dei figli nati con disabilità, ma che al contrario superino velocemente il trauma e non facciano pesare la situazione sul bambino, e ricorrere ad una specialista. Come ho già scritto nel laboratorio sull'autismo; l'educatore che crea le condizioni che rendono le persone in grado di apprendere e rende questo apprendimento un' esperienza piacevole fa si che questa esperienza diventi intrinsecamente rilevante e pone le basi per leggere il mondo con curiosità ed interesse. Alla luce della legge 104/92, il nostro obiettivo dovrà essere sempre quello di normalizzare la vita delle persone, qualsiasi sia la loro disabilità, cercando sempre di garantire loro gli stessi diritti di accesso alla vita pubblica e cercando di aumentare la qualità delle loro vita.
    Ciascun individuo, deve essere visto, sempre come un agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri, sopratutto per i cosiddetti gruppi svantaggiati. Ogni individuo deve essere formato all'autonomia, che non sia solo il semplice vestirsi e lavarsi. Una autonomia che non sia un termine solo decantato, ma che sia una vera e piena presa di coscienza per tutta la società, disabili e non: autonomia nel relazionarsi con l'altro, autonomia di stabilire una relazione positiva con se stessi e con l'ambiente esterno... ma soprattutto l'autonomia di imparare a scegliere con consapevolezza e spirito critico. Ogni persona dovrebbe essere formata a quello che il libro chiama "flusso" ovvero quello stato di impegno, di sfida, che ti fa perdere la cognizione del tempo tanto si è presi dal proprio progetto, quel forte sentimento di concentrazione e totale assorbimento. La pedagogia qualsiasi essa sia e la sua rierca attiva, come ci insegna la professoressa Iavarone, ha a cuore la PERSONA, in quanto tale, senza distinzione di sesso, razza, età o disabilità, e ha come unico obiettivo l'educazione e la formazione, nella garanzia della sua salute, del suo ben-essere e della sua felicità.
    Qualche anno fa in un momento particolare della mia vita, amavo prendere in mano un foglio e appuntare frasi, idee, che forse per presunzione, definivo poesie... parlando di felicità, non ho potuto che rammentare alcuni passi; e per concludere questo mio esercizio, ho deciso di condividerne un pezzo:
    La felicità..
    cosa sono disposti gli uomini a sopportare
    pur di assaporarla anche solo per
    sporadici e labili istanti?!
    Sentieri tortuosi,
    curve inaspettate,
    salite avvilenti,
    burrasche estenuanti..
    e poi,
    eccola finalmente una luce
    un raggio improvviso
    Che inganna,
    offusca la mente..
    Così una meteora si camuffa a cometa.
    Ma per quanto potrebbe brillare?
    per quanto potrebbe appagare un miraggio?!
    Bhe mi auguro che l'uomo con le sue scelte e la sua libertà, possa diventare e essere felice, anche contro la cattiva sorte, ma di una felicità, che non sia solo un miraggio, o un attimo fuggente, ma che porti al compimento dell'intera vita.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Un inclusione per tutti!!!

    Messaggio  VALERIAILLIANO Mer Mag 16, 2012 6:57 am

    L’educazione inclusiva parte dal presupposto che l’educazione non deve essere vista come un privilegio per pochi, ma come un diritto per tutti. Un’ educazione che va incontro alle esigenze di tutti i bambini, come i poveri e i bambini con disabilità, dando loro l’opportunità di apprendere indipendentemente dalle abilità diverse che possiedono. L’intento è quello di ridurre ed eliminare l’esclusione da e nell’educazione, rispondendo ai diversi bisogni di tutti. È importante che i bambini abbiano in egual misura accesso all’inclusione, che tutti partecipino attivamente alla vita scolastica e raggiungano il loro potenziale. Infatti Dyson afferma che non basta la presenza dei bambini a scuola ma bisogna massimizzare la loro partecipazione. Per un’ educazione inclusiva occorre una scuola inclusiva; la scuola deve essere al servizio di tutti i bambini, deve essere equa e giusta, deve superare dei limiti/ostacoli come quello della diversità, nello specifico nell’ambito della disabilità. A supportare l’educazione inclusiva sono tre giustificazioni: una giustificazione educativa, nel senso che bisogna sviluppare dei metodi di insegnamento che rispondono alle differenze individuali in modo tale che tutti i bambini ne possano beneficiare; una giustificazione sociale, che consiste nell’educare tutti i bambini insieme, formando una società giusta e non discriminatoria; una giustificazione economica, infatti è meno costoso educare tutti i bambini contemporaneamente, piuttosto che creare un sistema di differenti tipi di scuole specializzate per diversi gruppi di bambini. L’educazione inclusiva mira soprattutto all’educazione inclusiva dei disabili, fornendo loro un apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita, così da poter sviluppare come in tutti gli altri bambini le potenzialità, l’autostima, la dignità e con l’intento di metterli nelle condizioni di partecipare attivamente alla vita sociale. Per garantire lo sviluppo di tale progetto è necessario la collaborazione e la cooperazione tra le varie strutture, organizzazioni e singoli enti. L’inclusione è prima di tutto un processo continuo, che ci insegna a vivere con la differenza e imparare dalla differenza; per parlare di inclusione bisogna eliminare le barriere architettoniche e richiedere la presenza, la partecipazione e il successo di tutti i bambini nei vari contesti di vita, e bisogna infine fare attenzione a quei gruppi di studenti che possono essere a rischio di esclusione, che per questo motivo vengono continuamente controllati. Come sappiamo spesso è il contesto sociale a determinare l’esclusione dei più deboli; ad esempio se una persona ha difficoltà ad accedere ai servizi di trasporto non è perché egli ha una menomazione fisica, ma perché il mezzo di trasporto non è strutturato in maniera tale da garantire l’accesso a tutti. Ricordo il video “Giornata del disabile in Italia” nel quale la giovane donna costretta a vivere sulla sedia a rotelle, a causa di un incidente, era impossibilitata a raggiungere autonomamente diverse destinazioni per l’assenza di apposite strutture e per mancanza di rispetto da parte dei cittadini. Spesso la società è organizzata per affrontare i bisogni della maggioranza delle persone non disabili rispetto alla minoranza delle persone disabili. Lo spiega chiaramente la simulazione svolta in aula sull’emarginazione, nella quale la minoranza ( le ragazze con gli occhiali da vista) ha avuto la peggio sulla maggioranza (le ragazze senza occhiali da vista), a seguito di una decisione presa senza alcun fondato principio da parte dei più potenti, nel nostro caso dall’insegnante/sindaco. Un ambiente di apprendimento per l’inclusione dipende anche dall’interazione che si instaura tra gli insegnanti, i genitori, i bambini e la comunità. Una relazione che non si limita al contesto scolastico ma anche extrascolastico. La partecipazione della famiglia e della comunità è indispensabile per l’apprendimento del bambino. Ogni bambino è diverso dall’altro per abilità e necessità, ciò significa che il sistema educativo inclusivo deve mirare ad un’educazione appropriata, un’educazione personalizzata così da mettere in atto appositi strumenti per cercare soluzioni che siano in sintonia con i bisogni di ciascun ragazzo. Al di là della figura del bambino, gli insegnanti, insieme ai genitori, sono gli attori principali di questo processo di inclusione. Essi devono conoscere e implementare i principi dell’educazione inclusiva, devono riconoscere i bambini che necessitano di un’educazione speciale, devono applicare correttamente i metodi considerati congrui alla situazione e devono valutare i risultati. La relazione educativa deve essere impostata con cura; l’insegnante deve porre il bambino in una condizione favorevole, quasi familiari, in modo tale che quest’ultimo possa aprirsi e confidarsi. Proprio come fecero le ragazze durante la simulazione svolta in aula; coinvolgere quanto è più possibile l’altro. È fondamentale che l’insegnante instauri un rapporto con i ragazzi, che trasmetta loro un feedback positivo, che sappia dosare correttamente il tempo a disposizione e che sia un punto di riferimento per i ragazzi. Spesso capita che il processo di inclusione non raggiunga dei buoni risultati e l’insegnate attribuisce la colpa dell’insuccesso al bambino con disabilità o ai genitori; in realtà i veri responsabili sono gli insegnanti stessi che il più delle volte non sono competenti, non hanno tutte le carte in regola per poter gestire un processo di inclusione, in questo caso sono loro le principali barriere da superare. In un contesto scolastico è importante la creazione di un ottimo ambiente di apprendimento così che tutti i bambini possano apprendere bene e raggiungere il loro potenziale. L’insegnante deve centrare l’attenzione sul bambino, su un apprendimento attivo e cooperativo, basato sull’esperienza. I bambini disabili possono richiedere più tempo per l’apprendimento, quindi l’insegnante deve gestire adeguatamente il tempo e deve utilizzate materiali e metodi adeguati. È importante nel contesto sociale le relazioni che si vengono a creare tra il docente e la classe, ma anche tra i disabili e i normodotati; sono delle interazioni ricche di importanza. Oggi si parla anche di co-insegnamento: una collaborazione che si instaura tra gli insegnanti della classe e l’insegnante specializzato. Insieme progettano, implementano e valutano i programmi educativi di alcuni o di tutti gli alunni della classe. Secondo Friend e Cook ci sono diversi approcci di co-insegnamento: uno insegna e l’altro osserva, così è possibile osservare il lavoro del ragazzo durante l’insegnamento, uno insegna, l’altro si sposta fornendo assistenza se necessario, insegnamento alternato quando un insegnante è responsabile dell’insegnamento per la maggior parte del gruppo classe, mentre l’altro lavora solo con una piccola parte di essa, insegnamento parallelo quando gli insegnanti si dividono la classe e insegnano la stessa cosa simultaneamente, insegnamento “a tappe” quando si dividono il contenuto e gli studenti e per concludere l’insegnamento in team, più complesso, quando gli insegnanti forniscono istruzione contemporaneamente. Altra figura importate nel processo di inclusione è la famiglia: i genitori desiderano vedere i propri figli inclusi e funzionanti nella società, lo stesso discorso per i genitori dei bambini disabili. Essi hanno bisogno di informazioni sui loro bambini, devono conoscere il loro andamento, ma soprattutto devono essere coinvolti quando bisogna prendere decisioni e fare delle scelte. Possono essere collaboratori importanti nell’aiutare i propri bambini ad acquisire abilità specifiche. L’Unesco considera i genitori come partner nell’educazione dei propri figli: devono garantire una partecipazione attiva nel processo di inclusione, devono ascoltare ed esser ascoltati, devono prendere delle decisioni, devono aiutare i figli nei compiti a casa e nella preparazione dei materiali di classe. Infine devono instaurare delle relazioni con gli insegnanti, infatti è stato dimostrato che i bambini imparano meglio quando nelle scuole si creano delle buone relazioni sociali. Oggi si parla anche di Capability Approach, secondo la quale l’educazione deve fornire oltre alle abilità legate al mondo del lavoro delle abilità di vita, per dare la possibilità all’uomo di conoscere, agire e vivere insieme in un contesto sociale. Saito afferma che l’educazione può espandere le capacità di un bambino inizialmente inconsapevoli, quindi capacità intesa come opportunità per il futuro. Inoltre afferma che bisogna sviluppare una capacità di giudizio, nel senso che il bambino deve essere in grado di capire qual è il modo più adeguato per usare le proprie abilità attraverso l’educazione. Il modello della capability approach guarda in che modo il bambino trasforma le risorse a disposizione in abilità e come si relaziona al contesto di riferimento. INDEX PER L’INCLUSIONE è un testo che offre agli insegnanti, i genitori e agli alunni diversi materiali per cercare di creare in un ambiente inclusivo la propria realtà scolastica. Questo testo valorizza le diversità che sono le basi per il miglioramento e per il progresso della scuola. Spiega in che modo lo studente può superare le barriere che ostacolano l’apprendimento e come migliorare la propria esperienza scolastica. In questo testo si parla di educazione di base, un’educazione utile per essere abili nel trasformare la diversità in un fattore in grado di contribuire alla comunicazione reciproca, che sia essa individuale o di gruppo. Il testo mette a confronto due termini: “integrazione” ed “inclusione”. L’integrazione è un termine che porta con sé il concetto di “esclusione”; nel senso che c’è qualcuno escluso, posto ai margini, che deve essere integrato. Nel caso dell’inclusione invece, non è il soggetto che si deve integrare, ma è la comunità che si apre per farlo inserire, attraverso culture, politiche e pratiche inclusive. L’intento è quello di inserire i bisogni del singolo in un ambito più ampio che è quello delle differenze.
    Imma Saviano
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Capitolo 1:ben-essere nella disabilità

    Messaggio  Imma Saviano Mer Mag 16, 2012 8:21 am

    La felicità e il vivere una buona vita sono temi centrali all’interno del dibattito filosofico,religioso ed educativo da centinaia di anni.
    Che cos’è la felicità è una domanda molto frequente nella vita quotidiana e compare in ogni cultura. La radice di felicità deriva dal prefisso indoeuropeo ‘’fe’’ da cui deriva fecundus,femina,ferax.
    Molte lingue distinguono tra qualcosa di immediato come la gioia o il piacere e qualcosa di piu’ durevole e significativo come la soddisfazione e l’appagamento. Alcuni fanno riferimento al concetto di eudaimonia che derivata da ‘’buon demone’’ considera la felicità come il possesso di fortuna. Il concetto di felicità va incontro a tantissime trasformazioni:si pensi a Socrate,Platone e Aristotele i quali ritengono che l’uomo diventa felice con le sue scelte e la sua libertà,anche contro la sorte. Importanti sono i tre livelli della felicità di Nettle: il primo livello riguardo il raggiungimento di uno stato desiderato,il secondo livello riguarda la riflessione sul bilancio tra piaceri e dolori,tra emozioni positive ed emozioni negative e nel rendersi conto attraverso un giudizio sulle sensazioni che molti sono stati i piaceri vissuti nella propria vita,infine,il terzo livello riguarda il realizzare le proprie potenzialità.
    Il benessero umano è piu’ ampio rispetto alla semplice felicità di secondo livello.Infatti,secondo la psicologa Carol Ryff esso coinvolge crescita personale,finalità,padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi.A tale proposito,l’OMS(Organizzazione mondiale della sanità) ha parlato di salute come condizione di benessere fisico,psicologico,sociale e ha posto come obiettivo primario la promozione della salute. La psicologia positiva ha messo in risalto i vari modi per raggiungere la felicità. Seligman,ad esempio,ritiene che una persona può avere emozioni positive circa il passato(soddisfazione) e circa il futuro ( speranza e ottimismo).
    Altri modi per raggiungere la felicità potrebbero essere:individuare talenti personali o usare le proprie forze in modo appropriato e utile nel sociale.
    Delle teorie contemporanee fanno parte la teoria eudonica( felicità come massimizzazione dei piacere e minimizzazione del dolore), la teoria eudamonica( felicità come attualizzazione delle potenzialità dell’individuo e perseguimento del proprio se) e le teorie della psicologia positiva(una di queste è quella di integrare la teoria del flusso,stato di impegno,felicità ottimale e esperienza massima con i concetti di benessere e anche gli insegnanti dovrebbero prendere il flusso come un punto di riferimento per stimolare nei bambini un atteggiamento positivo nei confronti della vita).
    La teoria dell’equilibrio dinamico afferma che nonostante i cambiamenti nelle circostanze di vita dell’individuo,i livelli di felicità rimangono costanti e si verifica quando l’individuo si adatta ai cambiamenti dell’ambiente (controllo omeostatico).
    Il benessere è un concetto spiegato molto bene da Canevaro,il quale afferma che il benessere di un individuo è legato al capitale sociale,cioè alle capacità che ognuno di noi possiede nell’organizzarsi e adattarsi utilizzando elementi di mediazione con le strutture e i contesti che ci circondano. Quindi,come afferma Delle Fave ogni individuo è portatore di cambiamento e di sviluppo della comunità e decide di essere quello che vuole diventare.
    Ecco che un ruolo fondamentale spetta all’educazione,la quale deve promuovere un ambiente dove tutti devono collaborare in maniera consapevole per ottenere cambiamenti positivi e favorire atteggiamenti positivi nei confronti della esperienze belle e brutte della vita.
    Il benessere riguarda varie componenti(fisiche,psichiche,emozionali) e dipende soprattutto dagli stili di vita. Benessere significa vivere bene sotto tutti i punti di vista anche in presenza di una malattia,infatti,ha lo scopo di prevenire la malattia attraverso una buona salute,resilienza e crescita psicologica..Occorre trovare diverse strade per poter aumentare il nostro stato di benessere.
    Altro tema affrontato nel primo capitolo è quello di benessere disabili. In passato bambini e adulti erano rinchiusi in istituzioni caritatevoli grazie a Edouard Seguin,medico francese che nella seconda metà del 1800 diresse la prima scuola per bambini disabili con lo scopo di educarli e per avere un ruolo nella società. Con il tempo,lo scopo delle istituzioni divenne quello di allontanarli dalla società.
    Le istituzioni godevano di pessime condizioni:erano meno educative,isolate e questo causò molti abbandoni negli anni cinquanta e negli anni sessanta del secolo scorso.
    Miglioramenti ci furono con la ‘’normalizzazione’’ che riusci’ attraverso varie politiche ad avere come unico obiettivo l’integrazione delle persone con disabilità.
    Quindi,oggi,l’obiettivo principale è l’inclusione. In seguito sono stati sviluppati servizi di educazione speciale,supporto alle famiglie,programmi di formazione per gli adulti e particolare importanza riveste il concetto di autodeterminazione e autonomia che permette alle persone disabili di effettuare delle scelte per la loro vita. L’educatore partendo dalle forze e non dalle debolezze dei disabili devi aiutarlo nel cammino relazionale:questo non significa solo mangiare,vestirsi,lavarsi ma saper leggere l’ambiente,interpretare i propri bisogni e dare forma ai propri desideri e saperli perseguire con una sana progettualità. Cambia anche il concetto di benessere :non piu’ individuale ma collettivo,cioè da condividere con gli atri,costituito da tappe e cambiamenti tendenti a nuovi riadattamenti.
    Vari filoni di ricerca hanno contribuito a indagare le dimensioni di felicità e benessere nella disabilità:
    -il movimento della qualità della vita comprende esperienze di vita esterne e oggettive vissute dalla persona disabile,in particolare ci si sofferma sulla loro soddisfazione interna e su alcune dimensioni chiave della qualità della vita( benessere emozionale,relazioni interpersonali,inclusione sociale,diritti ecc…);
    -il movimento della doppia diagnosi nel quale lo scopo principale era quello di alleviare i problemi dei disabili e non nel promuovere stati positivi,quindi,identificare e migliorare comportamenti negativi e sintomi soprattutto nelle persone con ritardo mentale o doppia diagnosi( ritardo mentale e disordini psichiatrici) perché sono piu’ a rischio;
    -personalità,motivazione e felicità, Zigler si sofferma sul fatto che i bambini disabili hanno basso Q1,personalità diversa,minori aspettative di successo,basse motivazioni e per risolvere i loro problemi si affidavano agli altri senza contare su se stessi. La motivazione intrinseca che si riferisce al piacere di usare le proprie forze è importantissima per aumentare il comportamento e l’apprendimento;
    -la ricerca sulla famiglia,la madre soffre per il figlio ‘’non perfetto’’,prova angoscia,dolore,stress perché non riescono ad accettare la situazione in cui vivono.
    L’obiettivo politico è quello di normalizzare le vite delle persone con disabilità attraverso l’accesso al lavoro,all’educazione,ai trasporti e soprattutto alla partecipazione sociale( cambiamenti di atteggiamenti nei loro confronti) perché sono persone e devo essere rispettate,no etichettate.
    Si può imparare e insegnare a stare bene attraverso dei professionisti,insegnati,educatori,operatori socioassistenziali,sanitari. La relazione educativa implica un rapporto di dare e ricevere allo stesso tempo basata sull’ascolto,sul rispetto reciproco e pari opportunità.
    La relazione è incontro,condivisione,partecipazione,alleanza. Il nuovo educatore deve trasmettere positività,deve essere una guida che accompagna e aiuta le persone a migliorare la qualità della loro vita e deve valorizzare comportamenti e atteggiamenti essenziali per la persona. Come afferma Iavarone la pedagogia speciale si occupa del benessere,della qualità della vita del soggetto,della sua istruzione,della sua salute e del suo sviluppo fisico e psicologico.
    Ci sono molti esempi di persone disabili felici che abbiamo riscontrato nel laboratorio di disabilità:Atzori,ballerina e pittrice,senza braccia riesce a fare di tutto addirittura portare la macchina;Oscar Pistorius,atleta paralimpico che per realizzare il suo sogno di correre indossa flex foot al posto delle gambe,cioè piedi flessibili a forma di C, composto in fibra di carbonio con ginocchia regolabili e scarpette da tennis;il professore Palladino,un non vedente che si da da fare per gli altri,legge,sostiene la sua famiglia,un nonno eccellente che ha deciso di affrontare in modo positivo la vita e di non scoraggiarsi o chiudersi in casa;la signora Tina,una grande donna,paralizzata tutto il lato destro,cucina,ricama,scrive e affronta a testa alta i suoi problemi.
    Tutte queste persone rappresentano storie diverse ma quello che hanno il comune è la forza,l’energia,il coraggio,la voglia di vivere e di dare un senso alla propria vita e sperare in un domani migliore. Bisogna sempre vedere il lato positivo della cose. Concludo dicendo che ‘’Non esiste notte tanto lunga che impedisca al sole di risorgere’’.


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Ben-essere disabili 1°capitolo

    Messaggio  Anna Bianco Mer Mag 16, 2012 10:19 am


    Sentire il canto degli uccelli,vedere un ape posarsi sul fiore è la felicità della signora Tina,vedere il suo progetto realizzato è la felicità per il professor Ronga,riuscire,nonostante tutto, a realizzare i propri sogni è la felicità per Pistorius e per Atzori…ma cos’è realmente la felicità?la felicità esiste?Le scienze sociali hanno iniziato a studiare il concetto di felicità anche se è un concetto che in maniera trasversale è stato studiato per centinaia di anni:si pensi alla filosofia,alla religione!Ogni cultura associa al termine felicità diverse connotazioni:in tedesco “gluck” significa sia felicità che fortuna,in inglese”happines” vuol dire felicità ma anche accadere,capitare!Felicità deriva dal prefisso “fe” da cui deriva fecundus in quanto generante!Per molti la felicità non è nient’altro che la gioia,un cosa immediata ed effimera,per altri essere felicità vuol dire portare a compimento la propria vita,associando quindi la felicità a qualcosa di più duraturo!Lo studioso Nettle stabilisce tre livelli di felicità:il primo livello si ha quando si ha una bella sensazione dopo aver raggiunto un obbiettivo desiderato;il secondo livello si ha quando si sente un senso di soddisfazione ed appagamento della propria vita;il terzo livello si ha quando una persona,nell’arco della sua vita,realizza le proprie potenzialità!Spesso il termine Ben-essere soggettivo e felicità sono stati accumunati. Si intende per ben-essere soggettivo una piena soddisfazione della propria vita e la presenza di affetto positivo e mancanza di quello negativo. Per molti altri studiosi l’essere felice è strettamente legato anche all’ambiente circostante:il senso d’appartenenza,l’armonia con il proprio ambiente,oltre che da fattori individuali quali la autodeterminazione,la perseveranza. Lo stesso Canevaro sosteneva che il ben-essere dell’individuo è legato al CAPITALE SOCIALE ossia alle capacità dell’individuo di organizzarsi e di adattarsi alle cose che lo circondano. Scligman diceva:”La buona vita consiste nell’usare le proprie forze in maniera proficuo nel lavoro,nelle relazioni. La vita significativa aggiunge un’altra componente,usare le proprie forze al servizio di qualcosa di più grande,trovare significato e scopo nella vita. Non bisogna vivere e basta ma soffermarci su tutto anche sulle piccole cose, dobbiamo realizzare i nostri obbiettivi investendo tutto noi stessi perché la vita è una lotta continua(diceva la signora Tina)e noi dobbiamo vincere tutte le battaglie!L’Atzori diceva che non dobbiamo imporci limiti che non sentiamo di avere,infatti i limiti sono negli occhi di chi ci guarda. Nessuno è nato svantaggiato ma lo diventa in un ambiente sociale non pronto a queste situazioni. La capacità di ben-essere è,infatti, presente ,sin dalla nascita, in ognuno di noi quindi ognuno ha una vastità di possiblità ed un altrettanta vastità di limiti bisogna soltanto riuscire a potenziare i nostri punti di forza. Tutti abbiamo la possibilità di DECIDERE DI ESSERE CIO’ CHE VOGLIAMO ed il ruolo dell’educazione è permettere che ciò avvenga lavorando su tutti i contesti,individuali e sociali. Per i disabili raggiungere uno stato di ben-essere significa riuscire a raggiungere la propria autonomia. La ricerca in questo campo ha fatto passi da gigante,si pensi alla casa domotica,alla scrittura Brail per i ciechi. Molti studiosi hanno analizzato se la felicità per i disabili fosse solo determinato da fattori interni oppure anche da fattori esterni. I fattori interni sono fondamentali ,infatti bisogna alleviare i problemi alle persone disabili,in particolare quelli con ritardi mentali, in quanto sono sottoposti a maggior rischio,far crescere in loro un senso di autoefficacia ma altrettanto fondamentali sono gli agenti esterni che possono favorire una durevole felicità attraverso una migliore condizione di vita. Come ho ripetuto più volte in alcuni miei forum la famiglia svolge un ruolo da protagonista quando si parla di disabilità. L’appoggio delle persone care è fondamentale e le iniziative del professor Ronga rispecchiano in pieno questo aspetto. Ricordo ancora l’incontro con il professor Palladino che oltre alla sua presenza ci ha onorato la conoscenza di tutta la sua famiglia che inizialmente si è preso cura di lui e che oggi si può ben dire si appoggia su lui per qualsiasi aiuto…oggi è lui a prendersi cura di loro!Ricordo la mamma del bambino autistico che con tanto amore ha raccontato la sua storia e che non lo ha mai abbandonato. La famiglia diviene quindi un fattore a rischio in quanto i genitori dei bambini con disabilità sono più esposti a stress rispetto a genitori di bambini normodotati e siccome ogni bambino fa appello a meccanismi di coping dei membri della famiglia quest’ultima deve mostrarsi verso di loro come un punto di forza!Uppal dopo una lunga ricerca su persone affette da paralisi ha evidenziato che le persone che sono disabili dalla nascita sono più felici rispetto alle persone che sono diventati disabili nel corso degli anni ovviamente c’è sempre l’eccezione come il professor Palladino che ritiene di essere stato fortunato poiché a differenza dei ciechi dalla nascita lui ha potuto vedere il sole, il mare,la natura ciò che loro possono soltanto immaginare.
    Cos’è quindi fondamentale per rendere un disabile felice?Migliorare la loro qualità di vita,offrendo loro la propria autonomia e grazie alla legge 104/92 che offre ai disabili gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici si può dire che stiamo facendo dei passi in avanti!
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  simona capasso Mer Mag 16, 2012 11:02 am

    cap 1 Tra i due capitoli che mi sono stati proposti, ho deciso di scegliere quello che riguarda la felicità, all’interno della disabilità. La felicità nel campo della disabilità sembra quasi un paradosso, perché una persona disabile non può percepire il sentimento di felicità, in quanto la felicità sta a significare vivere una buona vita, infatti nelle culture contemporanee le persone stanno cercando metodi sempre più utili per diventare felici. Ma che cos’è la felicità? La felicità è uno stato d’animo di un individuo all’interno della società, questo è un concetto che compare in ogni cultura ed il suo significato è cambiato in diversi secoli nella vita. Infatti un termine che riguarda la felicità è quello di eudaimonia , questo è una dottrina morale che identifica il bene con la felicità, in quanto indica uno stato di benessere che comprende sia la soddisfazione personale dell'individuo, sia la sua collocazione nel mondo. Con Socrate, Platone ed infine con Aristotele, il termine eudaimonia si carica di nuovi e diversi significati, e l’uomo così può affermarsi con le proprie scelte, e quindi può diventare felice anche contro la sorte. Per Socrate la felicità interiore era l'effetto di un comportamento virtuoso, mentre per Aristotele la felicità era la conseguenza di un atteggiamento razionale che fosse in grado di distinguere il giusto mezzo tra opposti comportamenti estremi. Inoltre il pedagogista Seligman parlando di felicità sostiene che esistono tre tipi di vita che possiamo vivere: La prima è quella che egli chiama “la vita piacevole” ossia quella che amplia le esperienze piacevoli e positive, la seconda è quella che Seligman chiama una “vita buona” ossia si ha quando gli individui sviluppano le loro forze da cui egli stesso ne trae piacere e di cui ne è appassionato , e la terza è quella che egli chiama una “vita piena di significato” cioè si ha quando gli individui applicano le forze e le virtù in attività che contribuiscono a un bene più grande come ad esempio sviluppare amicizie o servire la comunità . Nel mondo moderno, quando si parla di felicità, si intende per lo più la semplice soddisfazione individuale, perché la nostra "felicità" non dipende in primo luogo dalla nostra "distribuzione" nel mondo, ma dal modo in cui ci sentiamo. Infatti la felicità è un sentimento soggettivo, il quale non tutti possono sentirsi felici, in quanto dipende dallo stato d’animo e dal momento che una persona sta vivendo, quindi un’ individuo per essere felice deve sentirsi bene con se stesso non solo fisicamente, ma anche spiritualmente e psicologicamente. Infatti il ben-essere considera la soddisfazione delle proprie esigenze, in quanto gli esseri umani cercano continuamente di attribuire significato e senso alle circostanze e agli eventi che la vita gli propone, Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale, ma all’insieme di capacità che l’ individuo ha di organizzarsi ed adattarsi grazie ad elementi di mediazione con le strutture che lo circondano. Mentre Delle Fave afferma che è molto importante considerare che ciascun individuo, deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità, e soprattutto per i gruppi svantaggiati, ossia persone con disabilità, anziani, persone con disagi sociali ecc… infatti ogni essere umano nasce con un qualcosa di nuovo, ognuno ha la capacità di percepire, gustare, toccare, e quindi ognuno di noi nasce ed ha la capacità di benessere. Quindi il benessere non dovrebbe essere considerato solo ed esclusivamente in riferimento alla quantità di beni e risorse materiali che il paese possiede, ma fa riferimento soprattutto al benessere psicologico, fisico e sociale dei suoi cittadini. La pedagogia del benessere si regge sul convincimento che "imparare a star bene" possa essere insegnato affinché i soggetti acquistino la capacità di costruire da se stessi il proprio personale benessere favorendo particolari processi di comunicazione tesi a sviluppare l'autonomia delle persone coinvolte. Inoltre molti bambini e adulti con disabilità venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli, infatti nella seconda metà del 1800 un medico francese Edouard Seguin, guidò la prima scuola per bambini disabili, infatti egli promosse attraverso una visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere educati, e quindi potevano assumere il loro giusto ruolo all’interno della società. Questo modello si diffuse molto rapidamente all’interno delle scuole, ma col tempo queste scuole cambiarono il loro obiettivo, col risultato che le scuole divennero meno educative e gli studenti non venivano curati. La professoressa M.L. Iavarone si occupa principalmente di modelli pedagogici e didattici della formazione con particolare riferimento alla formazione dei formatori e degli insegnanti. Negli ultimi anni si è interessata, in particolare, ai problemi connessi alla professionalità educativa nei diversi ambiti psico -socio-sanitari e dei servizi alla persona: l' approdo di questa ricerca è la “pedagogia del benessere”, quale nuova frontiera di lavoro educativo per l’interpretazione del bisogno-desiderio come opportunità per la valorizzazione del potenziale conoscitivo e per realizzazione della dimensione emotivo-esistenziale del soggetto, nella duplice dimensione individuale e collettiva. Infine come afferma la professoressa Iavarone che il ben-essere non può essere assimilato a una generale condizione di ben-essere fisico o economico, ma va definito come uno stato complesso perché multicomponenziale, multidirezionale e multidimensionale. Per me un vero e proprio esempio di resilienza è quello della ballerina di danza classica Simona Atzori che nonostante la sua grave disabilità è riuscita a coronare il suo sogno, ossia quello di realizzarsi nella danza e nell’arte, la quale anche con una disabilità è riuscita ad andare avanti, ad essere forte , ed a fare ciò che più amava nella vita.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty capitolo 1

    Messaggio  nunzia apicella Mer Mag 16, 2012 11:09 am

    Ho deciso di scegliere tra i due capitoli proposti il primo, perché credo sia un controsenso parlare di felicità nel campo della disabilità. Ma che cosa è la FELICITA’?. La felicità si include nella vita di un uomo, rendendo il proprio stato d’animo positivo. Questi stati d’animo positivi influiscono in modo considerevole sui comportamenti e sui processi di pensiero di ogni individuo, rendendo l’uomo stesso “FELICE” di vivere la propria vita. Si è felici quando si raggiunge la realizzazione di un desiderio che riesca ad appagare tutte le aspettative di un soggetto. Quando si è felici si ha una visione diversa del vivere in società, infatti il vivere bene determina il buon umore e a sua volta questo determina l’autostima personale e maggiore fiducia in se stessi. Secondo alcuni studi la felicità è maggiormente presente nelle persone estroverse , le quali modificano e potenziano le loro interazioni con molte persone vicine e lontane. A questo punto mi sorge una domanda. Ma le persone disabili con tutte le loro problematiche e i loro vincoli possono essere estroverse? Secondo me nella società in cui vivono persone con determinati deficit fisici o handicap visibili esiste una negazione di diritto alla felicità, in quanto per via di molti pregiudizi essi non possano esprimere il loro modo di pensare e sotto questo punto vengono oppressi e vincolati nel presentarsi per quello che sono. Se la felicità rende libere e spontanee le persone, come può la società aiutare a far sentire tali le persone affette da disabilità? Beh esisterebbero molti modi, il primo sarebbe quello di abbattere questo muro resistente, il quale si è fortificato nel corso degli anni attraverso l’etichettare persone menomate, di quelle persone che appaiono differenti dalla norma. Dovremmo dare a tutte le persone il diritto alla ricerca della felicità in quanto essa fa vivere meglio le persone e dovremmo dunque cercare di far vivere al meglio possibile anche coloro che hanno una vita difficile piena di ostacoli e cercare di non negare questo diritto perché appartiene ad ognuno di noi. Bisogna promuovere quindi questo benessere che appartiene soprattutto ai disabili, per far nascere quel senso di vivere la vita positivamente cogliendo tutte le emozioni che essa ci regala. Noi siamo la società, noi siamo il futuro,noi siamo coloro che possono creare e distruggere questo sentimento. Essa è un bisogno primario e non esiste una determinata età per conoscere la felicità, non si è mai ne troppo vecchi ne troppo giovani per occuparsi del benessere dell’anima. La felicità non è un’emozione oggettiva ma è una capacità individuale perché secondo le mie aspettative che possono essere varie io determino la mia gioia e dunque il mio essere felice. Essa varia anche da cultura a cultura e da regioni geografiche, ad esempio nel terzo mondo la felicità sta nel fatto di ricevere da bere e da mangiare, invece in un paese sviluppato la felicità si conquista con l’acquisto di una macchina di lusso o di una villa. Quindi il desiderio realizzato di un qualcosa sta nella sua materialità,ma la felicità anche se determinata da un qualcosa di materiale non è assolutamente da considerarsi tale, perché essa deriva da noi e anche se può essere distrutta per via di un evento negativo che ci rende infelici, determina comunque un passo importante della nostra vita che è esistito realmente. La felicità ha occupato un posto rilevante anche nelle dottrine morali dell’antichità classica, essa è infatti indicata come una dottrina etica eudemonista. L’ eudeimonia deriva dal buon demone dove la felicità in passato era legata alla buona sorte e all’avere fortuna, ma con PLATONE,SOCRATE e ARITOTELE questo termine si carica di nuovi significati, dove l’individuo può determinare la sua felicità anche contro la sua sorte. Ogni essere umano cerca di dare un significato e un senso agli eventi, ai comportamenti e alle interazioni sociali che lo accompagnano nella sua vita. CANEVARO sostiene che il ben-essere di un soggetto non è legato alla sua condizione individuale ma è legata alla sua capacità,che l’individuo stesso determina attraverso la sua organizzazione e al suo adattarsi nella stessa società. Mentre DELLE FAVE sostiene che è fondamentale che ogni individuo deve essere visto come un’ agente attivo di cambiamento e di sviluppo della comunità di cui fa parte e questo è un qualcosa che è indirizzato a tutti i membri della società comprese le persone con disabilità, persone anziane, immigrati e in stato di minoranza. Ognuno quindi deve riuscire a costruire il proprio vivere e il proprio benessere in quanto noi abbiamo la potenzialità di decidere di essere ciò che vogliamo e il ruolo dell’educazione permetterà di attivare questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente sereno e facilitante in cui ogni attore sarà in grado di cooperare verso uno sviluppo positivo della società. L’educazione quindi permetterà di portare tutti sulla retta via ,quella via che creerà una società dove il benessere occuperà un posto primario e dove verrà quindi promossa la relazione tra il ben-essere del singolo e lo sviluppo dell’intera collettività, quindi il significato di felicità si espande sempre di più attraverso l’educazione verso il concetto di ben-essere e quindi al raggiungimento dello stato di piacere. Per questo l’obiettivo primario dell’educazione, sarà quello di favorire un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita da parte di un disabile per determinare cosi un miglioramento di qualità della propria esistenza. Di relativa importanza occupa un posto EDOUARD SEGUIN,medico francese il quale nella metà del 1800, guidò la prima scuola per bambini disabili,egli infatti riteneva che bambini affetti da disabilità potessero essere educati e quindi essere integrati giustamente nella società. Il senso di questa scuola cambiò radicalmente il suo significato infatti dall’educare i bambini affetti da disabilità si passò a non educarli in quanto le istituzione invece di integrarli nella comunità determinarono il loro allontanamento. Ad interessarsi del benessere dei disabili è stata anche MARIA LUISA IAVARONE, professoressa associata per il settore scientifico disciplinare di pedagogia generale e sociale. Essa si occupa dei modelli pedagogici e didattici della formazione con particolare interesse alla formazione dei formatori e degli insegnanti. Negli ultimi anni si è interessata ai problemi di professionalità educativa nei diversi ambiti psico- socio -sanitari. Il tema principale di questa ricerca è appunto la pedagogia del benessere, la quale viene vista come una nuova frontiera di lavoro educativo per riuscire a risolvere quel bisogno visto come desiderio che andrà a valorizzare la conoscenza e la dimensione emotiva ed esistenziale del soggetto in temi individuali e collettivi. Quindi questa pedagogia del benessere, si basa sul convincimento che imparare a stare bene possa essere insegnato, affinchè i soggetti acquistino la capacità di costruire da se stessi il proprio personale benessere, favorendo cosi processi di interazione e comunicazione atti a sviluppare l’autonomia delle persone. Vorrei portare come esempio di benessere nella società disabile il prof VINCENZO PALLADINO, lui per me è un vero esempio di resilienza, lo si capisce dalla sua armonia nel parlare, nel sorridere e lo si capisce dall’amore che lui ha verso la vita, quella vita che gli ha tolto il dono di guardare il mondo nell‘età più bella. Lui ora guarda attraverso gli occhi di chi non vede , ma attraverso la sua disabilità, ha imparato a vedere molto di più rispetto ad una persona normodotata. La sua forza e la sua vittoria verso questa vita priva di colori gli hanno permesso di andare avanti e di lottare,di rialzarsi e di poter partecipare attivamente senza perdersi, quindi lui per me rappresenta l’esempio vivente di un individuo che nonostante le sue problematiche è riuscito ad integrarsi totalmente nella società in cui vive.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  alessandra sbrizzi Mer Mag 16, 2012 12:59 pm

    La ricerca della felicità
    che cos'è la felicità? e come si fa ad essere felici?
    Da anni ormai si ripropongono questi interrogativi ed ogni cultura ha dato la propria risposte diverse.
    Infatti per alcuni la felicità è un attimo e non può essere duratura per altri altri invece è qualcosa di durevole e significativo come la soddisfazione o l'appagamento.
    Eudonomia deriva da "buon demone" ,la felicità era avere un buon demone,una buona sorte ed era strettamente legata alla fortuna.
    La felicità è connessa al portare al compimento l'intera vita non con il piacere che si prova con l'attimo fuggente.
    La felicità è divisa per livelli:
    1)il primo livello è dovuto al raggiungimento,forse inaspettato di uno stato desiderato.
    2)secondo livello quando le persone dicono di essere felici è perchè dopo un bilancio della loro vita e delle emozioni positive e di quelle negative capiscono che le gioie e le emozioni positive sono di più.
    3)Infine c'è il terzo livello di felicità che rappresenta una felicità più ampia l'eudaimonia ovvero una vita in cui la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità.
    Nell'800 Seguin guidò la prima scuola per bambini di sabili per permettergli di assumere il giusto ruolo nella società.Purtroppo però nel corso del tempo queste scuole hanno modificato il loro obiettivo,trasformandosi in luoghi che isolavano i disabili favorendo il sovraffollamento e l'abbandono.
    Dopo tanti anni queste istituzioni sono state chiuse.
    Il ben-essere delle persone disabili deve essere considerato come il raggiungimento dell'autonomia come le case domotiche o le protesi per Pistorius.
    L'obiettivo è quello di far scegliere a ognuno come vuole vivere.
    In Italia di fondamentale importanza è stata la legge 104 che offre alle persone disabili gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici dei normodotati.
    Anche se guardando in aula quei filmanti delle ienemi sono resa conto ancora di più che è difficile vivere "bene" per una persona disabile in città dove le barriere architettoniche sono dovunque e per di più c'è la non curanza delle persone che normodotate che che prendono posto per i disabili o che parcheggiando motorini o macchina davanti agli scivoli.
    Concludo rifacendomi alle parole della prof.Iavarone la pedagogia soprattutto quella speciale ,ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto,occupandosi della sua isrtuzione ma anche della sua educazione,tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche psico sociale.
    "potrebbe essere che cercare di essere più felici è futile quanto cercare di essere più alto"
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty cap 6: verso un'educazione inclusiva

    Messaggio  Miryam Polidoro Mer Mag 16, 2012 1:01 pm

    Il capitolo 6 l’ho trovato estremamente coerente con tutto quello che abbiamo studiato in questo corso: abbiamo imparato, infatti, che non bisogna definire nessuno per sottrazione, e che la disabilità non è un modo a parte ma una parte del mondo. Proprio per questo credo che, come affermava la Murdaca, occorre abbandonare la logica dell’inserimento e dirigersi verso l’inclusione. Mezzo fondamentale per garantire l’inclusione di tutti è l’educazione. L’educazione deve essere vista non come un privilegio per pochi, ma come un diritto per tutti. L’educazione inclusiva è un processo che comprende la trasformazione di scuole e altri centri d’apprendimento per andare incontro alle esigenze di tutti i bambini. Essa mira ad eliminare l’esclusione che è una conseguenza di atteggiamenti negativi e di una mancanza di risposta alla diversità. L’educazione inclusiva è essenziale per perseguire l’equità sociale ed è un elemento costitutivo dell’apprendimento per tutta la vita. Proprio per questo è d’importanza sociale che tutti i bambini abbiano accesso all’inclusione. La scuola è la principale istituzione di socializzazione della nostra società, proprio per questo è fondamentale che l’educazione inclusiva parti da essa.
    L’INCLUSIONE NELLE SCUOLE
    Fino agli anni Ottanta il sistema scolastico del Regno Unito è stato caratterizzato da una netta separazione tra le scuole ordinarie (mainstream schools) e quelle speciali (special schools), destinate ad accogliere gli alunni che per le loro particolari condizioni venivano ritenuti non adatti alla frequenza degli istituti normali. Nel corso del tempo, tuttavia, quella che era sempre apparsa come una scelta «naturale» di separazione tra due categorie di alunni chiaramente distinguibili — gli allievi normali e quelli «speciali» — è apparsa sempre meno giustificabile sul piano etico, educativo e relazionale. Indubbiamente il punto decisivo di svolta è stato in questo senso la pubblicazione del Rapporto War nock nel 1978. Il Rapporto per la prima volta introduceva la nozione di Bisogni Educativi Speciali (SEN, Special Educational Needs) e sollecitava un netto cambiamento di prospettiva delle strategie educative nei confronti degli alunni «diversi», attraverso l’adozione di un approccio inclusivo basato sull’individuazione di obiettivi educativi comuni a tutti gli alunni, indipendentemente dalle loro abilità o disabilità. L’idea di integrazione muove infatti dalla premessa che è necessario fare spazio all’alunno disabile all’interno del contesto scolastico. Per quanto positivo possa suonare tale intento, è evidente che questo assunto può essere interpretato, in modo abbastanza letterale, soprattutto come esigenza di trovare una collocazione fisica dell’alunno all’interno degli spazi scolastici, lasciando poi all’intervento degli operatori di sostegno e al contatto più o meno frequente con i compagni il compito di assicurare una condizione di relativa vivibilità dell’esperienza da parte dell’alunno disabile. Come sottolinea il Centre for Studies on Inclusive Education, inclusione è ciò che avviene quando «ognuno sente di essere apprezzato e che la sua partecipazione è gradita». In particolare quattro elementi chiave tendono a caratterizzare fortemente la concettualizzazione dell’inclusione: l’inclusione è un processo, l’inclusione ha a che vedere con l’identificazione e la rimozione delle barriere, l’inclusione riguarda la presenza, la partecipazione e il successo di tutti gli studenti, l’inclusione comprende una particolare attenzione a quei gruppi di studenti che possono essere a rischio di marginalizzazione, esclusione o insuccesso scolastico. Come afferma Ainscow, i metodi che contribuiscono a costruire una visione inclusiva della scuola sono: osservazioni reciproche elle pratiche della classe, seguite da discussioni strutturate su quello che avviene, discussioni di gruppo su un video di un collega che insegna, discussioni sull’evidenzia statica riguardante risultati ai test, registri di frequenza o indici di esclusione degli allievi, discussioni sui dati provenienti da interviste con gli studenti, esercizi di sviluppo dello staff basati su sui di casi o interviste, cambiamenti nel curriculum, cooperazioni tra scuole, incluse le visite ad altre scuole per favorire la comunicazione e la visione i buone prassi. E’ qui che entra in ballo il co-insegnamento, che è la collaborazione tra insegnanti che consente, infatti, di stendere un programma che sia il più possibile collegato a quello della classe. Bisogna sempre tenere presente che lo scopo fondamentale di tutto il lavoro è quello di EVITARE L’EMARGINAZIONE.
    L’INCLUSIONE CON LE FAMIGLIE
    Dato che il primo e il più importante ambiente educativo con cui il bambino viene a contatto è la famiglia, occorrerebbe appunto educare all’inclusione anche le famiglie. Questo può avvenire coinvolgendo i genitori su ampia base nella scuola, in modo non solo da condurre allo sviluppo di relazioni positive tra casa e scuola, ma rendendo ancora più probabile che i genitori prendano un interesse attivo nell’educazione dei loro bambini. Come suggerisce l’ Unesco, i genitori devono diventare veri partner nell’educazione dei loro figli.
    CAPABILITY APPROACH
    Credo che il Capability Approach sia un approccio fondamentale per favorire ancora di più l’inclusione e lo stare bene del bambino con disabilità, poiché l’approccio della capability considera l’educazione come fortemente connessa con la libertà umana. Sotto questa visione, i benefici e i risultati dell’educazione sono misurati attraverso raggiungimenti sostanziali nella libertà, espressa in termini di capabilities umane.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty La felicità non è un' utopia, impegnamoci a raggiungerla.

    Messaggio  Roberta Narici Mer Mag 16, 2012 1:11 pm

    Tutti gli esseri umani sono costantemente impegnati a raggiungere Felicità. Ma che cos’è? Una destinazione o un attimo fuggente? In ogni cultura c’è il concetto di felicità e, ciascuna, guarda ad essa come qualcosa di diverso: alcuni credono che sia un insieme di emozioni positive, altri, il raggiungimento di una vita soddisfacente e altri ancora definiscono la felicità come qualcosa di estremamente immediato come la gioia o il piacere. Aristotele, con la parola eudaimonia, afferma che l’uomo può raggiungere la felicità anche contro la sorte perché per eudaimonia si intende una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità. L’organizzazione mondiale della salute ha definito la salute come una condizione di benessere inteso da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico. Per trovare significato nella parola felicità, bisogna sviluppare, potenziando i propri e gli altrui punti di forza in attività che producano piacere ed esperienze positive e, partendo da questo presupposto, si arriva alla consapevolezza che il benessere non è solo un fattore soggettivo. Infatti, la felicità individuale, si realizza soprattutto nell’ambito dello spazio sociale a contatto con l’altro per il completamento di sé stessi. Vi è infatti un’ interdipendenza tra individuo e sistema culturale e questo perché ciascuno dev essere visto come agente attivo di cambiamento e sviluppo guardando al benessere sia come diritto per sé stesso che come dovere verso il prossimo. Ogni essere umano è unico ed irripetibile e può raggiungere la felicità ma, lo svantaggio, parte proprio da un ambiente sociale sfavorevole. Il benessere non è solo interconnesso alla salute ma a tutti i fattori sociali, lavorativi ed affettivi, c’è bisogno quindi di incoraggiare tutte le persone che abbiamo intorno a raggiungere un benessere interiore partendo dai punti di forza evidenziando i talenti e rinforzando le proprie e le altrui capacità non definendo mai nessuno per sottrazione. Può una persona con disabilità essere felice? Nel commento sulle barriere architettoniche, ho già parlato di Veronica, la mia amica di sempre nata paraplegica e ho pensato di individuare cosa può significare felicità per lei e quindi a tutte le cose che la rendono felice: andare in piscina, avere in regalo dei fiori, le passeggiate al mercatino e il suo cane che scodinzola, ma sono emozioni effimere che quando vanno via lasciano il segno di un giorno positivo. Cosi, ho scelto di chiederle: “Vera, sto facendo un lavoro per l’università e devo definire la felicità, ma per te che cos’è? “ la sua risposta mi ha spiazzata: “Poter fare una passeggiata da sola quando sono triste”. Più che il bisogno di gambe funzionanti, ho pensato subito all’autonomia e quindi alla possibilità di non dipendere da nessuno. L’autonomia è dunque oggetto di benessere per le persone con disabilità perche riduce al minimo il disagio sociale e, per fortuna, la tecnologia si sta muovendo in questo senso grazie alla domotica. Partire quindi dalla forza che esprime una persona con disabilità e non dalle sue debolezze, un po’ come l’immagine dello yin&yang che ho modificato come icona della disabilità; ho bucato la perfezione ma per aggiungere una caratteristica come valore aggiunto e non mancante. Muoversi quindi verso il benessere, come ci suggerisce M.L.Iavarone, identificandolo come uno stato multi direzionale, perché comprensivo di fattori fisici, economici e soprattutto inclusione sociale, promuovendo gli stati positivi di gratitudine e speranza.
    La famiglia riveste un ruolo fondamentale nella vita delle persone con disabilità e, successivamente allo stato di shock per la paura di affrontare la disabilità, in realtà può rendere la vita più ricca di significato: i due papà di bambini autistici che sono venuti ad aprirci il cuore ne sono testimonianza. Il loro impegno ad affrontare il problema rende loro la vita piena di stimoli per portare al raggiungimento la realizzazione dei loro figli. Insomma, il diritto alla felicità, dovrebbe essere inserito nei diritti inviolabili dell’uomo.
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    Laura polverino


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Laura polverino Mer Mag 16, 2012 1:51 pm

    Che cos’è la felicità? La felicità,non è un’emozione,è un’energia interiore che tutti abbiamo,ma non lo sappiamo. Il concetto di felicità compare in ogni cultura,molti tendono a distinguerla dalla gioia e dall’allegria,considerando la felicità una nostra condizione interiore che è presente in ognuno di noi ,.mentre la gioia e l’allegria sono manifestazioni emotive che dipendono dall’esterno. Esse possono essere conseguenze della felicità,ma non causa. Infatti possiamo fingere di essere allegri e gioiosi, ma è molto più difficile fingere di essere felici. Nel mondo presocratico ,la felicità era avere un buon demone,una buona sorte (eudaimonia),quindi la felicità era strettamente legata alla fortuna. Con Socrate, con Platone e poi con Aristotele, la parola eudaimonia si carica di nuovi significati,e si inizia ad affermare che l’uomo con le sue scelte e con la sua libertà può diventare felice ,anche contro la sorte. La felicità è connessa al portare al compimento l’intera vita , non con il piacere che si prova nell’attimo fuggente , per questo in Aristotele la felicità è strettamente connessa all’etica e alla virtù. Nettle ci parla di felicità di primo livello,provocata dal raggiungimento uno stato desiderato, di secondo livello,in cui facendo un bilancio tra emozioni positive e negative,le persone percepiscono di avere sperimentato più emozioni positive che negative. Esiste però un senso di felicità ancora più ampio ,si fa riferimento all’ideale aristotelico del vivere bene ,infatti per eudaimonia si intende una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità. Questo significato di felicità rappresenta la felicità di terzo livello. Ma se la felicità è dentro ognuno di noi perché sembra così rara? Io credo che il nostro cervello è pronto a generare felicità in ogni istante ,ma spesso prevalgono in noi pensieri e ricordi negativi. Quindi per essere felici è necessario aiutare il cervello con un atteggiamento giusto,positivo che agevoli la felicità. La felicità è presente in noi sempre,essa si può celare anche nel dolore. Ogni stato d’animo come piacere ,dolore, gioia contiene in sé la possibilità della felicità .Il pianto ,ad esempio se accettato,ci apre ad una considerazione più larga della vita .Spesso siamo noi a porre condizioni alla felicità, a renderci dipendenti e infelici,andiamo sempre alla ricerca di un qualcosa che arriverà domani o meglio solo quando qualcos’altro si sarà realizzato. La cosa importante che dovremmo fare è quella di accogliere le emozioni come sfiducia ,tristezza ed incertezza senza giudicarle ed aiutarle a sfumare,con un atteggiamento mentale diverso e positivo. La psicologa Ryff ha sostenuto che il benessere umano coinvolge un insieme di elementi più ampi della semplice felicità come la crescita personale ,la padronanza del proprio ambiente e la franchezza con sé stessi .Infatti possono trovarsi individui con un alto livello di benessere psicologico,ma con poca felicità. L’OMS ha definito la salute come una condizione di benessere fisico ,psicologico e sociale. Il benessere soggettivo,l’ottimismo ,la felicità e l’autodeterminazione contribuiscono al benessere , ma anche il supporto sociale l’armonia con il proprio ambiente di vita sono i principali fattori che contribuiscono al benessere. CSIKSZENTMIHALYI ,ci parla della teoria del flusso,esso è lo stato di impegno di felicità che si verifica quando un individuo è assorbito in una sfida impegnativa e motivante .Questo stato impegnato è stato esaminato come un possibile sentiero verso la felicità. Canevaro afferma che il benessere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale ,ma alla sua capacità di adattamento al contesto che lo circonda. Quindi gli individui non sono di per sé svantaggiati,lo diventano in un ambiente in cui la loro condizione comporti conseguenze svantaggiose. Basti pensare alle numerose barriere architettoniche che incontrano i disabili nella loro quotidianità proprio per una mal organizzazione dell’ambiente in cui si vive, io credo che una città che pensa un po’ di più alle esigenze delle persone,sarà una città dove sarà anche più bello vivere. Inizialmente le preoccupazione maggiore per coloro che si occupavano di disabilità non era certo promuovere il benessere delle persone disabili. Soltanto intorno al 1800 ,SEGUIN affermò che i bambini con disabilità potessero essere educati e quindi assumere il loro giusto ruolo all’interno della società. In seguito il concetto di normalizzazione divenne ampiamente condiviso dalle famiglie e dai sostenitori giungendo a politiche che integravano le persone con disabilità all’interno della società. Questi programmi si avvicinano al concetto di autodeterminazione che mira a rendere in grado le persone con disabilità di compiere scelte personali per la loro vita. Si cerca quindi di promuovere il benessere dei disabili ,puntando alla sua autonomia. Infatti oggi grazie alla domotica è possibile migliorare le qualità della vita delle persone disabili, li aiuta ad essere,appunto più autonomi e più soddisfatti di sé. La famiglia ha un ruolo importante per lo sviluppo e l’integrazione del bambino disabile. Spesso però le madri alla nascita di un figlio con disabilità cadono in stadi di stress e shock,tutto ciò influenza la crescita del bambino con disabilità .Visto che l’obiettivo è quello di normalizzare le vite delle persone con disabilità è necessario prima di tutto che i genitori si pongano l’obiettivo di realizzare il pieno potenziale dei loro figli, per poter puntare poi alla sua integrazione nella società. Iavarone afferma che nella società occidentale il diritto a star bene sembra essere divenuto qualcosa di facilmente attingibile,la convinzione che imparare a star bene possa essere insegnato viene perseguita attraverso la formazione dei diversi professionisti che favoriscono la cura ,il sostegno e l’aiuto. Infatti un bravo educatore è colui che favorirà l’adozione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita.
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    maria rosaria russino


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 2 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  maria rosaria russino Mer Mag 16, 2012 1:53 pm

    L’essere felice è stato da sempre e ,tutt’oggi lo è, un tema importante per psicologi e per tutti coloro che cercavano di capire come la felicità portava a condurre una vita serena. Il tema della felicità è comunque collegato sia al ben-essere sia alla soddisfazione di raggiungere scopi precisi durante l’arco della propria vita. Definire la felicità è cosa poco semplice; si giunge alla felicità quando si è in pieno stato di gioia o di piacere , o anche riuscire a svolgere nel quotidiano tutto ciò che si vuole e che porta ad un senso di appagamento. Oggi, come nel passato , la felicità sia legata all’avere fortuna o meglio buona sorte; mentre per altri questo obiettivo lo si poteva perseguire attraverso il proprio essere razionale e attuare scelte che avrebbero condizionato il proprio futuro. Secondo l’OMS la felicità è una condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale!! Anche il saper adoperare alla meglio le proprie forze e virtù permetteva una buona vita relativa alla felicità autentica. Qualsiasi individuo impegnato in una sfida giornaliera è motivato dal flusso d’impegno che terminerà con la felicità. E’ noto che il ben-essere è soggettivo , in quanto come afferma Ghedin ogni singola persona è complessa e a seconda del suo corredo genetico costruirà poi il corredo culturale in seguito all’interazione con l’ambiente , che lo porterà a seguire buona o meno vita con o senza felicità. Oltre al contesto è anche la mente che con l’interpretare le proprie esperienze condiziona il proprio ben-essere e la propria felicità. Riprendendo tale concetto per i bambini disabili , in passato, erano considerati soggetti da allontanare dalla società , in quanto venivano rinchiusi in istituti meno educativi e più affidatari. Solo più recentemente si è giunti a saper interpretare l’ambiente e i propri bisogni ; è grazie al ben-essere emozionale che si giunge facilmente alla felicità. Quindi migliorando tale condizione e sviluppando una società equa si favorisce l’insegnamento del disabile. Oltre al contatto sociale è importante anche il modo di affrontare tale diversità e difficoltà da parte della famiglia. Sono soprattutto le madri che più lentamente, a causa di shock improvviso, riescono a superare il tutto; ma che solo grazie all’amore per i propri figli fan si che lo stesso bambino riesca a condurre una buona vita felice e connessa a tutte le molteplici attività del sociale. Tutto ciò è garantito dai diversi professionisti che garantiscono e promuovono relazioni di cura , sostegno e aiuto o meglio quello che sarà in futuro il nostro lavoro di “educatore”.

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