BENESSERE NELLA DISABILITA’
Essere in pace con se stessi - l'essenza del benessere –
e quindi riuscire a stabilire una perfetta armonia
tra corpo, mente e spirito non può considerarsi un fattore
meramente ed esclusivamente legato alla disponibilità economica…
Ciò che davvero conta, quindi, nel raggiungimento della felicità
è la salute, l'energia, l'entusiasmo,
la stabilità emotiva e la tranquillità psicologica.
Cose che poco hanno di materiale.
(Deepak Chopra)
Ecco voglio partire proprio da questo aforisma per trattare nel presente lavoro il tema della felicità e del benessere e capire i loro significati considerando diversi punti di vista. Iniziando dal primo di questi due termini, la felicità è stata il tema principale del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni, ma solo di recente le scienze sociali hanno iniziato a dedicarsi allo studio di tale concetto. Per esempio uno dei filoni delle scienze sociali che si è dedicato all’analisi scientifica della felicità, degli aspetti positivi dell’esperienza umana e, dunque, delle situazioni che sono fonte di felicità per gli individui, è la psicologia positiva. Ciò che tutt’ora ci chiediamo è che cosa sia la felicità. Tale concetto, infatti, è presente in ogni cultura: alcune collegano la felicità a qualcosa di estremamente immediato, come la gioia e il piacere, altre, invece, a qualcosa di più durevole come la soddisfazione e l’appagamento. Tuttavia il concetto di felicità non varia soltanto in base alla cultura di un popolo ma anche in base al periodo storico. Infatti il suo significato originario , caratteristico del mondo presocratico, era quello di “fortuna” in quanto “eudaimonia” derivava da “buon demone”, la felicità era, dunque, avere un buon demone, una buona sorte. Contrariamente con Socrate, Platone ed Aristotele si inizia ad affermare che l’uomo soltanto con le sue scelte può diventare felice; dunque la felicità non viene collegata alla fortuna bensì al principio del libero arbitrio. Nettle, uno degli studiosi della psicologia positiva, sostiene che ci sono tre livelli di felicità:
• DI PRIMO LIVELLO: si è felici quando si prova un’emozione o una sensazione, come gioia o piacere. La sensazione scaturisce dal raggiungimento di uno stato desiderato;
• DI SECONDO LIVELLO: si è felici quando, dopo aver paragonato piaceri e dolori, emozioni positive ed emozioni negative, si deduce che, nel lungo termine, si sono presentate più piaceri ed emozioni positive che dolori ed emozioni negative; dunque questo livello include sensazioni di appagamento e soddisfazione;
• DI TERZO LIVELLO: la felicità è equiparata all’ ”eudaimonia”. Con questo termine si intende una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità.
La psicologa Carol Clyff afferma che il benessere umano non comprende soltanto gli elementi della felicità di secondo grado indicati da Nettle, bensì comprende anche crescita personale, finalità, padronanza del proprio ambiente e sensazioni di piacere ed assenza dal dolore. Ora che ho introdotto anche il concetto di benessere oltre a quello di felicità, approfitto per citare il pensiero della professoressa Iavarone riguardo al medesimo concetto. Ella parla di una “pedagogia del benessere” che consiste nell’insegnare a star bene affinché i soggetti acquistino la capacità di costruire da se stessi il proprio personale benessere favorendo particolari processi di comunicazione tesi a sviluppare l'autonomia delle persone coinvolte. L’ottica privilegiata, nel suo testo “pedagogia del benessere”, è quella educativa. Secondo quest’ultima la formazione al benessere deve consistere in una sensibilizzazione di tutti allo stare bene, basata sull'idea che tutti possiamo imparare a star meglio e che il benessere non e' soltanto una questione di quantità di risorse ma soprattutto di qualità di scelte, individuali e sociali. Secondo la professoressa Iavarone, la pedagogia, e in particolare quella sociale, focalizza l’attenzione sul benessere e sulla qualità della vita del soggetto occupandosi della sua istruzione, della sua educazione e tutelando la sua salute e il suo sviluppo fisico e psicosociale. Ghedin ci propone il concetto di benessere dal punto di vista dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) secondo cui la salute è una condizione di benessere fisico, psicologico e sociale ossia di benessere soggettivo. Quest’ultimo può essere favorito da diversi fattori sia individuali come l’ottimismo, la felicità, la perseveranza e l’autodeterminazione, sia contestuali come il supporto sociale, il senso di appartenenza, armonia con il proprio ambiente di vita. Tra i diversi autori proposti da Ghedin e che si sono interessati al concetto di benessere c’è anche Seligman che ha indicato diverse strade che conducono alla felicità. La prima è quella di provare emozioni positive circa il passato, come la soddisfazione, emozioni positive circa il futuro come la speranza e l’ottimismo ed emozioni positive circa il presente basate sui piaceri momentanei. Un’altra strada verso la felicità è lo stato di “flusso” introdotto dalla psicologia positiva. Il flusso è uno stato di impegno che si verifica quando un individuo è inserito in compiti stimolanti che mettono alla prova le sue capacità. Tale stato comprende la consapevolezza di quello che deve essere fatto, un sentimento di concentrazione e una perdita del senso del tempo e può dar vita ad affetti positivi come orgoglio, contentezza e rilassamento. Questo aspetto mi permette di fare una riflessione su quello che deve essere il giusto ruolo che gli insegnanti devono svolgere nell’educazione dei bambini; infatti il compito dell’educatore non deve essere solo quello di tendere il bambino verso il “flusso”, bensì deve fare in modo che il bambino provi piacere ad apprendere e dunque favorire lo sviluppo di un atteggiamento positivo nei confronti dell’esperienze di vita per poi essere in grado di attuare autonomamente delle scelte in direzione della propria felicità. In aggiunta l’educatore deve condurre il bambino ad utilizzare e potenziare i propri talenti e a perseguire l’autodeterminazione per sviluppare la propria libertà e le proprie responsabilità creando un ambiente stimolante. Ancora un’altra strada verso la felicità è quella di individuare in se stessi delle virtù e delle forze. Peterson e Seligman, a tal proposito, hanno proposto 6 virtù: giudizio e conoscenza, coraggio, umanità, giustizia, temperanza e trascendenza. Continuando ancora con il pensiero dello psicologo positivista, Seligman ha esposto un’importante teoria, quella della felicità autentica. In questa teoria suddivide la vita in tre categorie: la vita piacevole, la buona vita e la vita significativa. La vita piacevole si ha quando gli individui vivono esperienze positive; la buona vita si ha quando gli individui impiegano le loro forze e virtù in attività da cui traggono piacere; la vita significativa si ha quando gli individui impiegano le loro forze e virtù in attività per un bene più grande. Questa distinzione si basa sulla differenza che Seligman sottolinea tra felicità edonistica e felicità eudaimonica. La prima si raggiunge quando le esperienze positive sono in maggior numero rispetto a quelle negative; al contrario la seconda si raggiunge quando l’individuo mette in atto il proprio potenziale perseguendo il proprio sé. Ci sono diversi studiosi che, seguendo i passi di Seligman, hanno postulato delle teorie eudaimoniche sulla felicità. Per esempio Waterman con la teoria dell’espressività personale secondo cui si raggiunge la felicità quando le attività di vita delle persone coincidono con i loro valori; in modo analogo Ryff e Keyes con la teoria dei sei aspetti dell’attualizzazione umana secondo cui ci sono sei aspetti della vita umana che contribuiscono alla felicità come autonomia, crescita personale, auto-accettazione, obiettivi di vita, padronanza ambientale e relazioni positive con gli altri; infine Ryan e Deci con la teoria dell’autodeterminazione secondo cui si raggiunge la felicità solo quando si riesce ad acquisire autonomia e competenze. Da quanto detto si può dedurre che ciò che accomuna queste teorie è il principio eudaimonico secondo cui la felicità è frutto non del perseguimento dei piaceri bensì dell’attualizzazione delle proprie forze e virtù. Oltre agli psicologi citati anche l’economista A.M Sen ha focalizzato l’attenzione sul benessere eudaimonico e, per definire tale costrutto, introduce due concetti: quello di funzionamenti e quello di capabilities. Il primo consiste nell’insieme dei traguardi a cui una persona arriva attraverso attività, ruoli e lo sviluppo dell’identità personale; il secondo consiste nell’insieme dei funzionamenti che una persona possiede nell’ambiente e, quindi, è l’insieme delle possibilità di scelta tra tutti i funzionamenti disponibili. Sen sostiene, dunque, che il benessere si raggiunge perseguendo i funzionamenti che scelgono dalle capabilities che il sistema culturale mette a disposizione. In questa prospettiva risulta principale la relazione tra il benessere individuale e lo sviluppo della collettività; infatti l’interdipendenza tra gli individui e il sistema culturale è insito nella natura umana in quanto essi tendono alla complessità a livello biologico, psicologico e sociale. Questo può essere spiegato sostenendo che tutti gli individui nella loro crescita costruiscono una cultura attraverso l’acquisizione, la selezione e l’integrazione di informazioni che ricevono dall’ambiente esterno. Quindi Sen guarda il benessere soggettivo con una prospettiva più ampia in quanto sostiene che esso non può attuarsi in maniera indipendente dall’interesse della comunità. Altro punto di vista più ampio è quello di Canevaro secondo cui il raggiungimento del benessere soggettivo è legato al “capitale sociale” ossia l’insieme delle capacità dell’individuo di adattarsi al contesto che lo circonda. Da molte analisi che sono state fatte sul benessere Ghedin deduce che esso non è altro che il risultato dell’integrazione tra sistema biologico, psichico e sociale in quanto dipende non solo dal corretto funzionamento biologico ma anche dagli stili di vita, dal contesto, dal lavoro, dal tempo libero, ecc. Ghedin fa riferimento anche a due approcci, differenti per il loro modo di considerare il concetto in esame: l’approccio top-down e l’approccio bottom-up. Il primo fa dipendere il benessere dalle caratteristiche della personalità che influenzano la reazione dell’individuo agli eventi; secondo questo approccio il benessere soggettivo dipende dal modo in cui l’individuo interpreta le circostanze. Il secondo approccio, invece, fa dipendere il benessere soggettivo dall’esperienze positive che l’individuo riesce a conseguire grazie a contesti esterni favorevoli. Fino ad ora Ghedin ci ha proposto tutta una serie di analisi e le conseguenti teorie di diversi autori sul benessere in generale. Tuttavia, nell’ambito del benessere, egli si è interessato in maniera particolare a quello dei disabili. Infatti egli racconta che non molto tempo fa bambini ed adulti disabili venivano accolti nelle istituzioni il cui scopo non era promuovere il loro benessere bensì semplicemente accudirli. Verso la metà dell’Ottocento, poi, qualcosa è cambiato grazie agli sforzi di Seguin, un medico francese che diresse la prima scuola per bambini con disabilità dove fece in modo che questi ultimi non fossero semplicemente accuditi ma educati affinché assumessero un loro ruolo nella società. Il modello di scuola di Seguin si diffuse molto ma, in seguito, fu abbandonato per la considerazione che adottando questo approccio i bambini non venivano curati; si svilupparono, dunque, scuole che non avevano finalità educative ma erano soltanto affidatarie e che, invece di integrare i bambini con disabilità nella società, li allontanavano da quest’ultima. Soltanto con lo scorrere del tempo si è giunti ad attuare delle politiche con finalità di integrazione delle persone con disabilità nella società. Sono stati, infatti, sviluppati servizi di educazione speciale le cui finalità erano quelle di far acquisire abilità di adattamento, autodeterminazione e capacità di compiere scelte personali per la propria vita e dunque renderle autonome. Mi sembra opportuno citare Anna Maria Murdaca che nel suo testo “Pedagogia della disabilità” , parlando di disabilità, ha sostenuto che non bisogna mai definire nessuno per sottrazione cioè le persone non si caratterizzano per ciò che non sanno fare, ma per la loro capacità di sentire, di agire e di pensare nel loro modo specifico e personale. Questo aspetto viene proposto anche da Ghedin il quale sostiene che l’educatore, trovandosi di fronte un bambino o anche un adulto disabile deve partire dalle loro capacità e potenzialità e non dalle loro debolezze. Inoltre la psicologia positiva sostiene che il benessere non è qualcosa di stabile ma qualcosa che è in continuo divenire in quanto ogni individuo tende al riadattamento esistenziale e che anche gli avvenimenti negativi devono essere accolti cercando di estrapolare l’ aspetto positivo di ogni evento. In questo quadro la psicologia positiva si riferisce al fatto che, nonostante le sue condizioni fisiche o mentali di disabilità, una persona può comunque raggiungere il benessere; a questo riguardo Schafer ha sostenuto che il benessere è vivere bene da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica. Fino a poco tempo fa avrei di sicuro confutato questa affermazione poiché ho sempre collegato la disabilità ad uno stato di insoddisfazione e di infelicità in quanto disagio non solo fisico ma anche affettivo, relazionale e quindi sociale. Tuttavia l’incontro con il signor Palladino, avvenuto durante il corso di Pedagogia della disabilità, ha cambiato del tutto l’orientamento del mio pensiero. Vincenzo Palladino all’età di 13 anni ha perso la vista in seguito ad un incidente ma, nonostante la sua sofferenza, è uscito dalla chiusura in casa ed in se stesso per dedicarsi al sociale, infatti egli, non solo è riuscito a tirar su una famiglia ma addirittura un’associazione che offre assistenza alle persone non vedenti o ipovedenti. Il suo spirito ottimistico è la testimonianza del fatto che, nonostante la sua disabilità, è riuscito a raggiungere il benessere dedicandosi a guidare la sua famiglia e la sua associazione per non vedenti. Negli anni si sono susseguiti differenti filoni di ricerca sul benessere:
• MOVIMENTO DELLA QUALITA’ DELLA VITA: esso si è soffermato sull’analisi della soddisfazione interna che gli individui provano con le esperienze di vita esterne. I ricercatori di questo filone hanno analizzato in maniera particolare il benessere emozionale dei disabili, soffermandosi sulla soddisfazione provata rispetto alle condizioni di vita esterne come il lavoro, gli amici, il luogo dove si vive, ecc. Per contro i ricercatori della psicologia positiva sostengono che il benessere non dipende dalle condizioni ambientali.
• MOVIMENTO DELLA DOPPIA DIAGNOSI: secondo questo filone rispetto alla popolazione generale le persone con ritardo mentale sono più soggette a psicopatologia e doppia diagnosi e possono presentare problemi come stereotipie, comportamenti auto-lesionistici, problemi che costituiscono i maggiori ostacoli in setting sociali come il lavoro o le amicizie. Partendo da questo presupposto la ricerca si è soffermata sull’analisi dei modi di migliorare i comportamenti negativi ed i sintomi e del benessere delle persone con ritardo mentale.
• PERSONALITA’-MOTIVAZIONE E FELICITA’: questo filone di ricerca sostiene che i bambini con ritardo mentale hanno minori aspettative di successo, bassa motivazione alle sfide e si affidano agli altri la soluzione dei problemi. Dunque i ricercatori hanno focalizzato l’attenzione sull’analisi della motivazione intrinseca cioè il piacere che deriva dall’usare le proprie risorse e sentirsi competente nel proprio ambiente. Oltre a questi filoni c’è anche quello della “ricerca sulla famiglia” che non si focalizza sui livelli di stress a cui vanno incontro le famiglie con bambini disabili bensì sui modi in cui le stesse sono coinvolte in situazioni di successo.