Pedagogia della disabilità 2012

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Pedagogia della disabilità 2012

Pedagogia della disabilità (2012)- Stanza di collaborazione della classe del corso di Pedagogia della disabilità (tit. O. De Sanctis) a cura di Floriana Briganti


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

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    Fiorella Moio


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty BEN-ESSER DISABILE CAPITOLO 1

    Messaggio  Fiorella Moio Mar Mag 22, 2012 10:43 am

    Il concetto di felicità ha cambiato significato col passare del tempo.
    La felicità è presente in tutte le culture assumendo diversi aspetti come:
    gioia, piacere, soddisfazione, appagamento.
    Prima si riteneva che la felicità fosse legata all’Eudaimonia ovvero alla fortuna (Buon Demone). Successivamente, i filosofi come Socrate, Aristotele e Platone hanno affermato che l’uomo potesse diventare felice assecondando i propri desideri e le proprie scelte anche contro la fortuna.
    Il raggiungimento della vera felicità avviene con il compimento di tre livelli:
    1° livello è il raggiungimento inaspettato di un desiderio tanto voluto;
    2° livello si ha con il senso di soddisfazione per la propria vita;
    3° livello si ha quando la persona realizza le proprie potenzialità.
    La psicologa Carol Ryff sostiene che il ben-essere umano comprende la crescita personale e la padronanza del proprio ambiente.
    L’OMS definisce la salute come una condizione di benessere fisico, psicologico e sociale.
    Il ben-essere soggettivo include: una componente cognitiva che valuta la soddisfazione di vita e una componente affettiva divisa in presenza di affetto positivo e in assenza di affetto negativo; infatti le caratteristiche positive come l’ottimismo, la felicità, la perseveranza contribuiscono al ben-essere individuale. Seligman chiama l’insieme di emozioni positive “vita piacevole”, parla di felicità autentica affermando che: la vita piacevole si ha con le esperienze piacevoli e positive; la buona vita si ha quando le persone sviluppano le loro virtù traendole da ciò che più le appassiona; la vita significativa si ha quando l’individuo impiega le sue virtù per sviluppare amicizie o servire la comunità. L’obiettivo dell’educazione è quello di far assumere un atteggiamento positivo nei confronti di esperienze di vita per poter raggiungere la propria felicità. Viene posta in primo piano la relazione tra il benessere del singolo individuo e lo sviluppo della società. Gli esseri umani vogliono attribuire ad ogni evento, comportamento e intenzione, un significato specifico.
    Secondo Ghedin gli esseri viventi tendono alla complessità da un punto di vista biologico, psicologico e sociale. Delle Fave afferma che è fondamentale considerare il soggetto come individuo attivo per il cambiamento e sviluppo della comunità, soprattutto per i gruppi svantaggiati.
    Tutti devono essere incoraggiati a seguire il proprio percorso e ad usare le proprie virtù, coltivare attività che favoriscono esperienze ottimali; ognuno ha un suo potenziale, tutti possiamo decidere di essere ciò che vogliamo e il ruolo dell’educazione è quello di permettere lo sviluppo di questo potenziale attraverso la crescita in ambienti facilitanti. Secondo la professoressa Iavarone il ben-essere nasce dall’integrazione tra sistemi biologico, psichico, sociale e dipende soprattutto dagli stili di vita, dalla condizione ambientale e dal tempo libero.
    L’obiettivo è quello di individuare dei metodi che rendono l’individuo in grado di aumentare il loro ben-essere. Sono state fatte ricerche che hanno valutato il ben-essere e la felicità nel disabile, analizzando la loro soddisfazione interna.
    Alcuni ricercatori hanno identificato i vari aspetti della qualità della vita tra cui: il ben-essere emozionale, relazioni interpersonali, ben-essere materiale e ben-essere fisico. Alcuni studi hanno valutato il ben-essere emozionale dei disabili analizzando la soddisfazione dovuta ad un evento esterno. I ricercatori della psicologia positiva hanno affermato che una maggiore quantità di denaro o altre condizioni non porta alla felicità complessiva. Dopo diverse ricerche si è potuto affermare che le famiglie con un bambino disabile hanno un comportamento positivo e di conseguenza hanno una migliore qualità della vita familiare. Successivamente si è potuto affermare che le persone disabili dalla nascita sono più felici rispetto alle persone che sono diventate disabili nel corso degli anni.
    Parlando di ben-essere del disabile ho subito pensato al progresso della tecnologia e all’invenzione della casa domotica, un argomento che mi ha risollevato e che mi ha dato più speranza verso la tecnologia del futuro. La casa domotica è una casa intelligente che compie azioni dopo il comando vocale con un “semplice” telecomando, è stata realizzata grazie alla DOMOTICA, una scienza che studia i modi per rendere confortevole e sicura la vita dell’individuo.
    Melania Moscato
    Melania Moscato


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Cap. 1 Ben-essere disabili!

    Messaggio  Melania Moscato Mar Mag 22, 2012 10:51 am

    La "felicità " in quanto " soddisfazione per la propria vita", rappresenta l'aspetto più importante e significativo della Qualità della vita.
    Deriva dal prefisso indoeuropeo "fe" che significa ricchezza, abbondanza, intesa come condizione di soddisfazione totale che occupa un posto nelle dottrine etiche eudemonistiche.

    Questo tema appassiona da sempre scrittori, poeti, filosofi ma anche persone comuni.
    Tra questi troviamo Nettle che sostiene che la felicità può essere di 3 livelli: nel primo livello la felicità corrisponde a gioia o piacere, un'emozione, una sensazione; il secondo livello corrisponde all'affermazione di essere felici della vita percependo che nel lungo termine hanno sperimentato più piaceri o emozioni positive che negative ( livello chiamato anche di "appagamento" e "soddisfazione"); nel terzo livello, invece, la felicità non si può misurare così facilmente e nella sua valutazione esprime un giudizio su cosa sia vivere bene e in che misura lo si realizzi nella propria vita. E' un senso di felicità più ampio per la quale la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità.
    Il ben-essere è stato definito da Shafer come " vivere bene, da un punto di vista psicologico, spirituale, fisico, anche se in presenza di una malattia cronica".
    Canevaro, invece, afferma che il ben-essere di un individuo deriva dalla capitale sociale cioè quella capacità di organizzarsi e di adattarsi grazie ad elementi di mediazione con le strutture che lo circondono.
    Il ben-essere si sostanzia di diverse componenti : fisiche, psichiche, sociali, psicologiche,emozionali. Come sostiene la Prof. Iavarone il ben-essere segue più direzioni ( luoghi e tempi della vita), possiede più dimensioni sia sincronicamente che diacronicamente. Per questo è definita come una Pedagogia Speciale perchè mette in risalto il ben-essere e la qualità della vita del soggetto. occupandosi soprattutto dell'educazione, l'istruzione tutelando la salute e lo sviluppo fisico e psicosociale.
    Fino a non molto tempo fa i disabili venivano assistiti all'interno di istituzioni le quali invece di far favorire il ritorno delle persone nella società, divennero posti per tenere le persone lontane appunto da essa.
    Attualmente ci sono servizi di educazione speciale e supporto per le famiglie con programmi basati sull intera comunità e che cercano e spronano le persone con disabilità a compiere scelte personali per la loro vita. Gli stati d'animo positivi possono influire in modo considerevole sia sul comportamento sia sui processi di pensiero, rendendoli maggiormente adeguati e funzionali alle situazioni di vita dell'individuo.
    L'obiettivo non è solo quello di far si che queste persone siano in grado di mangiare, vestirsi o altro , ma invece è quello di attingere alle loro potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita da loro scelta . Migliorare le condizioni oggettive di vita delle persone con disabilità è la cosa giusta da fare in una società come la nostra.
    Ma è soprattutto quello di favorire lo sviluppo di un sentimento globale di autoefficacia fondato sulla possibilità di rendere potenti le persone nella gestione delle loro vite.

    Per quanto riguarda invece nell'ambito familiare, l'handiccapato si colloca in una posizione di frontiera tra la salute e la malattia ma anche fra l'uguaglianza e la devianza.
    Dykeus sostiene che quando nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma in un evento angosciante e luttuoso, in cui i genitori, e particolarmente la madre, possano avvertire un enorme senso di frustrazione che può sfociare in crisi depressive.
    Il modo con cui un bambino disabile sarà accolto, aiutato, integrato nella sua famiglia e il modo con cui questa saprà trovare delle strategie di cambiamento per vivere serenamente e con grande impegno questo evento, certamente dipende da fattori individuali, relazionali, sociali ed economici.

    Il disabile è persona e come tale ha una sua identità, autenticità, un suo modo di rapportarsi al mondo e per questo bisogna avere RISPETTO!!!
    marigliano francesca
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  marigliano francesca Mar Mag 22, 2012 10:52 am

    La felicità, oggetto di studio e di dibattito, da sempre invade gli spazi dei più disparati settori della cultura umana. Dalla filosofia alla letteratura, dalla religione alle scienze numerosi i vicoli cechi, i punti interrogativi che l’uomo in genere e gli studiosi si sono posti. Se riflettiamo, infatti, notiamo che alla domanda: che cos’è la felicità? Emergono all’interno della nostra mente numerose risposte e spesso in contrasto tra loro, proprio perché il concetto è sfuggente e indefinito. Dal punto di vista etimologico la parola “felicità” deriva dal prefisso indoeuropeo “fe”, da cui “fecundus”,”femina”, “ferax”, tanto che i latini parlavano di terra “felix”, quando la stagione era stata fertile. Pertanto, nel definire questo oggetto molteplici sono gli autori e filosofi che si sono calati in tale ricerca, e in occasione prendo ad esempio due studiosi che convergono in direzioni simili. Da un lato vi è Giacomo Leopardi che durante tutto il corso della sua vita fa del suo mancato adattamento al contesto sociale un problema di felicità, forma indefinita non concessa in natura all’uomo, bensì fatta suo desiderio:
    “La Natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma il bisogno; vero bisogno come quel di cibarsi. Perché chi non possiede la felicità è infelice come chi non ha di che cibarsi, patisce la fame. Or questo bisogno ella ci ha dato senza la possibilità di soddisfarlo”.
    (Zibaldone, 1831)
    o ancora felicità proiettata nel futuro per una vita di aspettative:
    “La felicità è possibile a chi la desidera perchè il desiderio è senza limiti necessariamente, perché la felicità assoluta è indefinita e non ha limiti [..] e la felicità ed il piacere è sempre futuro, [..] esiste solo nel desiderio del vivente e nella speranza o aspettativa che ne segue"
    (Zibaldone, 1821)

    Dall’altro, invece, Arthur Schopenhauer che espone la sua concezione di felicità nel seguente modo: la vita è un pendolo che oscilla tra dolore e noia, "dolore" perché l' uomo per natura desidera, e dunque soffre fin quando non raggiunge il suo scopo, fin quando non realizza il suo desiderio, prova un attimo fugace di felicità e piacere ma poi subito dopo si annoia nuovamente e incomincia a desiderare altro. Mentre il pendolo oscilla così incessantemente…

    “ Dei giorni felici della nostra vita ci accorgiamo solo quando ormai hanno lasciato il posto a giorni infelici”
    L'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, in breve, è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità . Ma chi sono le persone felici? Gli studi che hanno cercato di rispondere a questa domanda evidenziano come la felicità non dipenda tanto da variabili anagrafiche come l'età o il sesso, né in misura rilevante dalla bellezza, ricchezza, salute o cultura. Al contrario sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative alla personalità quali ad esempio estroversione, fiducia in se stessi, sensazione di controllo sulla propria persona e il proprio futuro. La felicità edonistica consiste nella massimizzazione del piacere e nella minimizzazione del dolore. Ciò significa che le emozioni positive hanno suscitato maggiori gratificazioni sensoriali rispetto a quelle negative. La felicità eudaimonica invece dipende dall’attuazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del proprio vero sé. Non a caso gli studi recenti di Ryan e Deci su quest’ultimo tipo di felicità saggiano che la felicità e la crescita psicologica sono collegate al perseguimento dell’autonomia, della competenza e dei bisogni associati; la felicità risulta non dal perseguimento del piacere ma dallo sviluppo delle forze e virtù individuali.
    Nettle attraverso un suo studio sulla felicità ha fornito tre classificazioni:
    FELICITA’ DI PRIMO LIVELLO: si attribuisce alla felicità un’emozione come la sensazione di gioia o di piacere, che possono essere transitorie, proprio perché tale stato è dovuto al raggiungimento di una cosa tanto desiderata, ormai ottenuta.
    FELICITA’ DI SECONDO LIVELLO: le persone che affermano di essere felici, lo fanno in seguito ad un bilancio tra momenti positivi e negativi vissuti nel corso della vita, in virtù del quale emerge la prevalenza di momenti vissuti positivi.
    FELICITA’ DI TERZO LIVELLO: vediamo protagonista l’ideale aristotelico del vivere bene, in un senso più ampio di felicità, detto eudaimonia, ossia una vita in cui la persona riesce a sviluppare e realizzare le proprie potenzialità.
    A proporre diverse strade che conducono alla felicità è la studiosa Seligman, che sostiene che una persona può provare emozioni positive rispetto al passato, come soddisfazione ed emozioni positive rispetto al futuro, come la speranza e l’ottimismo. Mentre le emozioni positive che si hanno nel presente fanno fondamento su piaceri sensoriali, come guardare un tramonto, ascoltare una canzone e mangiare qualcosa che si gradisce in particolar modo. Ciò è quello che l’esperta ama definire “la vita piacevole”. In seguito riprende il concetto di flusso già sviluppato intorno al 1990. Che consiste in un insieme di emozioni che emergono durante lo svolgimento di attività o compiti che mettono alla prova le nostre abilità. Durante tali azioni abbiamo senso del controllo, le emozioni sono limitate e perdiamo il senso del tempo. Il flusso a seconda delle persone si può verificare durante la lettura di un libro, l’osservazione di un paesaggio, lo scrivere una lettera, il completare un modellino e così via, ma la cosa da evidenziare è che durante lo svolgimento di tali azioni non vi sono emozioni positive, ma emergono quando l’atto si conclude con al seguito effetti positivi come appagamento, orgoglio, contentezza e rilassamento. Un’altra buona via per trovare la propria felicità è impiegare le proprie forze in modo costruttivo nel lavoro, nelle relazioni e nel tempo libero. Mi sembra opportuno ricordare la teoria della felicità autentica relativa alla vita piacevole di Seligman. Ella sostiene che se un soggetto impiega il suo tempo in qualcosa che lo appassiona e da cui trae anche piacere, quest’ultimo ha una vita piacevole, buona, significativa perché ha contribuito a sviluppare la sua vita e quella della comunità. Proprio perché l’uomo tende alla complessità dal punto di vista biologico, psicologico e sociale. Ogni essere umano forma la propria cultura assimilando le informazioni dall’ambiente esterno, è un po’ come dice Cartesio, la nostra mente è bianca, vuota poi in seguito con l’esperienze la popoliamo. Elisabetta Ghedin vuole dare un duplice significato al termine ben-essere, non a caso la parola è disgiunta. Quindi non si vuole riferire solo alla condizione di felicità che l’essere umano cerca e prova, ma pone anche l’attenzione alla condizione che l’uomo disabile vive. Inizialmente la disabilità non veniva vista nell’ottica secondo cui i soggetti affetti potessero vivere esperienze tali da attribuirne valori positivi. Solo a metà del 1800 grazie al medico francese Seguin si diffusero degli istituti, delle vere e proprie scuole che miravano alla rieducazione di bambini con disabilità in modo tale da poterli inserire perfettamente nella società. E anche se queste strutture trovarono terreno fertile per potersi propagare ben presto cambiarono le proprie finalità, drasticamente. Gli studenti non avevano le cure opportune, anziché avvicinarli alla società li allontanavano, le scuole da luogo di educazione divennero luoghi di affidamento , per non dire di reclusione e di abbandono, visto che molti istituti furono chiusi e gli unici rimasti aperti si trovavano in zone molto isolate vivendo situazioni di sovraffollamento. Tutto ciò fino a quando le famiglie cercarono di indurre al concetto di “normalizzazione” indirizzando la società verso politiche di inserimento per i disabili. Numerose ricerche hanno dimostrato che i genitori di bambini disabili vivono una forte situazione di stress in quanto il figlio si presenta come un evento angosciante e luttuoso. Soprattutto le madri passano attraverso diverse fasi: shock, disorganizzazione emotiva, e poi riorganizzazione dopo che esse si sono adattate al trauma di avere un bambino con disabilità. Molteplici ricerche hanno riscontrato che non vi sono differenze tra persone disabili e persone normodotate sulle valutazioni della soddisfazione di vita, frustrazione e umore. Altri studi evidenziano che le persone disabili alla nascita dimostrano di essere più felici rispetto alle persone che lo sono diventante nel corso degli anni. E a tal proposito vorrei ricordare l’incontro con il professore V.Palladino dove appunto sottolineava le sviluppate abilità motorie del nato non vedente, e delle difficoltà che il divenuto nel corso degli anni ha soprattutto nei primi tempi. Numerosi professionisti (educatori, insegnati, operatori socio assistenziali, sanitari), hanno la convinzione che imparare a star bene possa essere insegnato, e si impegnano a seconda del titolo a gestire relazioni, di cura, sostegno, aiuto. Iavarone sostiene che la pedagogia, e in modo particolare la pedagogia sociale abbia a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ma anche dalla sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale. Oggi , numerosi sono i paesi che si sono impegnati nel garantire una politica di vita per le persone disabili, l’Italia si è fatta carico di un tale obiettivo mediante la legge 104/92 per offrire a queste persone gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici delle persone non disabili. Ovviamente parole scritte solo sulla carta, perché come già ho affermato in un precedente laboratorio, l’Italia non è ancora pronta a garantire la piena inclusione di questi soggetti, e lo si può notare dalla disorganizzazione delle città che negano la piena autonomia ai disabili con le numerose barriere architettoniche da cui sono costituite. Concludo ricordando che le persone disabili sono persone con pieni titoli esattamente come noi. Non bisogna calpestarli, non bisogna sottovalutarli, ma hanno bisogno solamente di avere una vita normale a tutti gli effetti, proprio come la nostra.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty La ricerca della Felicità

    Messaggio  Maresca Socc. Addolorata Mar Mag 22, 2012 11:13 am

    “Il padre: Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa..neanche a me! Ok?
    Il figlio: ... ok
    Il padre: Se hai un sogno, tu lo devi proteggere, quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te che non lo sai fare, se vuoi qualcosa… vai lì e inseguila!”
    Il concetto di felicità è presente in ogni cultura. Alcune di esse la intendono come una gioia o un piacere immediato,altre,invece,come una soddisfazione o un appagamento più duraturo e significativo. Quindi,a mio parere,sulla base di ciò,si può dire che non esiste una definizione universale di “felicità”.che valga per tutti perché ognuno è libero di poterla intendere e interpretare a modo proprio. E’ possibile individuare tre livelli differenti di felicità:
    - Il primo livello è dovuto al raggiungimento,forse inaspettato,di uno stato desiderato.
    - Il secondo livello è dovuto alla riflessione su un bilancio tra emozioni positive ed emozioni negative,con la prevalenza delle prime.
    - Il terzo livello,infine,è dovuto alla realizzazione,da parte del soggetto,delle proprie potenzialità.
    Da un punto di vista edonistico,la felicità riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli e le gratificazioni sensoriali hanno maggiore peso delle esperienze dolorose. Al contrario,la felicità da un punto di vista eudaimonico risulta dall’attualizzazione del potenziale dell’individuo e dal perseguimento del proprio vero sé. Infatti,è molto importante,per riuscire a vivere una vita significativa,che il soggetto sfrutti a pieno le proprie forze per raggiungere i propri obiettivi,provando soddisfazione per ogni traguardo conseguito e dando un senso e uno scopo alla propria vita.
    Ognuno di noi nasce con la capacità di ben-essere ed ogni soggetto è unico e irripetibile,e dotato di individuali possibilità e,ovviamente,anche di limiti. Spetta,poi,ad ogni singolo individuo il compito di imparare a costruirsi e a vivere il ben-essere,come meglio crede.Ghedin parla di benessere disabili spiegando che inizialmente la preoccupazione maggiore per coloro che si occupavano di disabilità non era certo promuovere il benessere delle persone disabili. Seguin invece, promosse la visione progressista per la quale i bambini con disabilità andrebbero appropriatamente educati affinché potessero assumere il loro giusto ruolo nella società. Per promuovere il benessere delle persone disabili si sono sviluppati servizi di educazione speciale e di supporto alle famiglie, e programmi basati sulla comunità che mirano a far incontrare i bisogni materiali degli adulti. È importante considerare il benessere, non come uno stato individuale, ma come un progetto dinamico da condividere con gli altri.Sono vari i filoni di ricerca che hanno contribuito a indagare le dimensioni di felicità e benessere nella disabilità, con l’obiettivo di promuovere capacità di condurre una “buona vita”, vivere vite stimolanti e soddisfacenti e coltivare ciò che è meglio per se stessi.Quello che mi ha colpito di più riguardo a questo argomento sono state le ricerche sulle famiglie di bambini con ritardo mentale. Quando invece del “bambino sano e bello” nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma in un evento angosciante e luttuoso. Le madri, secondo Dykens, passano attraverso diversi stadi: shock, disorganizzazione emotiva, e poi riorganizzazione, dopo che esse si adattano al trauma di avere un bambino con disabilità. Alcune indagini condotte da Mullins, Lazarus, hanno dimostrato che lo stress può anche non essere una conseguenza inevitabile dell’avere un figlio disabile, in quanto la disabilità dei loro figli ha aggiunto qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato. Di questo ne abbiamo avuto conferma nel giorno in cui abbiamo incontrato tre genitori di bambini autistici, genitori non stressati, genitori che senza dubbio hanno aggiunto elementi positivi alle loro vite, genitori che quotidianamente vedono miglioramenti nei bambini autistici curati nella struttura che hanno realizzato.La Prof. Iavarone infine afferma che il ben-essere non può essere assimilato a una generale condizione di ben-essere fisico o economico, ma va definito come uno stato variamente complesso perché multicomponenziale, multidirezionale, multidimensionale. Tuttavia nelle società occidentali il diritto a star bene sembra essere giustamente divenuto qualcosa di più legittimo e facilmente attingibile; diritto che può essere esercitato quanto più le persone vengono aiutate a ricorrere alle proprie risorse e a fare leva sulle proprie potenzialità ossia aiutandole a sviluppare la capacità di acquisire forza e potere nel determinare il proprio stato di ben-essere.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty BEN-ESSERE DISABILI (cap.1)

    Messaggio  Maria Maestoso Mar Mag 22, 2012 11:15 am

    Cos’è la felicità? Il concetto di felicità lo troviamo in ogni cultura, la felicità è legata a tutta la vita dell’individuo, per questo Aristotele dice che la felicità è legata all’etica e alla virtù.
    Nettle definisce tre livelli di felicità:
    Primo livello :quando il senso più immediato di felicità implica un’emozione o una sensazione, gioia o piacere.
    Secondo livello: quando le persone affermano di essere felici della loro vita, non intendono dire che hanno una vita piena di gioia ma che hanno avuto più esperienze positive che negative.
    Terzo livello: la felicità è più ampia, dovuta alla realizzazione di una propria potenzialità
    Spesso i termini felicità e ben-essere sono stati usati in modo intercambiabile anche se il secondo rappresenta il termine più scientifico tra i due. Il ben-essere è il vivere bene da un punto i vita psicologico, spirituale e fisico. Iavarone afferma che il benessere cambia nei tempi e nei luoghi .
    Fino a molto tempo fa i disabili venivano assistiti in istituzioni che non favorivano la loro integrazione nella società. Attualmente ci sono servizi di educazione speciale che cercano di promuovere il ben-essere nei disabili considerando una dimensione che determina autonomia. L’obiettivo non è solo quello di far si che i disabili siano in grado di mangiare, vestirsi, ecc… ma possano avere potenzialità e capacità di scelta per vivere la vita che scelgono di vivere, e quindi possa portare in loro la felicità.
    Come dice Iavarone la pedagogia speciale ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita dei soggetti occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione tutelando la salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche psico-sociale.
    ESSERE FELICI E’ UN DIRITTO DI TUTTI!

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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  daniela oliva Mar Mag 22, 2012 11:57 am

    Le emozioni sono componenti fondamentali della nostra vita, da esse, spesso, traiamo gli stimoli che muovono le nostre giornate. Da sempre l'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene e lo appaghino, è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità . Quest'ultima è data da un senso di appagamento generale e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo sperimenta.
    Il tema della felicità appassiona da sempre l'umanità: scrittori, poeti, filosofi, persone comuni, ognuno si trova a pensare, descrivere, cercare questo stato di grazia. Per tentare di definire questa condizione alcuni studiosi hanno posto l'accento sulla componente emozionale , come il sentirsi di buon umore, altri sottolineano l'aspetto cognitivo e riflessivo , come il considerarsi soddisfatti della propria vita. La felicità a volte viene descritta come contentezza, soddisfazione, tranquillità, appagamento a volte come gioia, piacere, divertimento.
    Nettle distingue tra felicità di primo, secondo e terzo livello:
    - La felicità di primo livello è quella che implica un’emozione o una sensazione transitoria , quali la gioia o il piacere, la quale è provocata dal raggiungimento di uno stato desiderato.
    - La felicità di secondo livello riguarda non tanto le sensazioni quanto i giudizi sul bilancio delle sensazioni. Le persone, cioè, percepiscono che sono soddisfatte per la propria vita, perché nel luungo termine hanno sperimentato piu’ emozioni positive che negative.
    - La felicità di terzo livello è rappresentata dal vivere bene, dal vivere una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità.
    L’OMS ha indicato come obiettivo principale della medicina la “promozione della salute”, ed ha definito la salute come una condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale.
    Seligman ha proposto diverse strade che, in modi diversi, conducono alla felicità:
    - una persona può avere emozioni positive circa il passato, come la soddisfazione e emozioni positive circa il futuro, come la speranza e l’ottimismo.
    -una persona può provare felicità basata in modo predominante su emozioni positive che Seligman chiama “la vita piacevole”
    - un’altra strada per costruire il proprio benessere è quella di individuare e valorizzare le proprie potenzialità utilizzandole come tampone contro le debolezze per ottenere abbondanti gratificazioni e felicità autentica.
    Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo dipende dal capitale sociale, ossia dall’insieme delle capacità che l’individuo ha di organizzarsi e adattarsi grazie ad elementi di mediazione con le strutture che lo circondano.
    Secondo Delle Fave ciascun individuo deve essere visto come agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità e questa considerazione vale soprattutto per i soggetti svantaggiati, quali disabili, anziani, immigrati, etc.
    Infatti, gli individui non sono svantaggiati di per se’, ma lo diventano in un ambiente sociale in cui la loro condizione comporti conseguenze svantaggiose, a causa di qualche discrepanza rispetto alle aspettative sociali.
    Ogni persona deve essere incoraggiata a usare efficacemente i propri talenti e punti di forza ed a coltivare attività che favoriscano esperienze ottimali.
    Ad esempio, Simona Atzori e Oscar Pistorius grazie alla loro resilienza e ai vari ausili messi a disposizione dalla tecnologia, sono riusciti a individuare e sviluppare i loro talenti, a realizzare i loro desideri e a raggiungere il loro ben-essere.
    Tutti abbiamo le potenzialità di decidere di essere ciò che vogliamo e il ruolo dell’educazione è quello di permettere l’attivarsi di questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente facilitante in cui la persona coinvolta possa essere in grado di evolvere in senso positivo.
    In passato non ci si preoccupava di promuovere il ben-essere delle persone con disabilità, ma i disabili venivano assistiti nelle istituzioni con finalità caritatevoli. Negli anni passati si è poi attivato un processo di de-istituzionalizzazione e di inclusione nella comunità. Inoltre si sono sviluppati servizi di educazione speciale e supporto alle famiglie al fine di rendere in grado le persone con disabilità di essere il piu’ autonome possibile e di compiere scelte personali per la loro vita.
    La pedagogia speciale ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita della persona, occupandosi della sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale (Cit. Iavarone). L’obbiettivo è quello di migliorare la qualità della vita dei soggetti con disabilità sviluppando dimensioni come ben-essere emozionale, materiale, relazioni interpersonali, autodeterminazione.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Annarita Riviergi Mar Mag 22, 2012 12:13 pm

    Tra i due capitoli a scelta del libro Ben-essere disabili,ho preferito il primo capitolo.La scelta non è stata poi così difficile perchè lo abbia fatto,forse perchè le tematiche che Ghedin tratta in questo capitolo mi hanno fatto riflettere di più su me stessa.Il primo interrogativo posto è:cos?è la felicità?E'un concetto alquanto sfuggente,ma ogni cultura è alla ricerca di esso.La radice della parola "felicità"deriva dal prefisso "fe"da cui deriva "fecundus"femina,tanto che i latini parlavano di terra "felix"quando questa era stata molto fertile.La felicità poi,è stata spiegata e classificata da diversi autori in diversi modi.In origine si pensava che la felicità fosse legata solo alla fortuna,ma con Socrate ,Platone ed Aristotele si arriva al punto di dire che essa fosse il prodotte delle scelte fatte dall'uomo in totale libertà sfidando anche la sorte.Troviamo molto usi del termine felicità,e vengono classificati in tre momenti diversi tra loro.
    _Il primo è il senso più immediato diretto i felicità;
    _Il secondo è una sorta di bilancio tra le sensazioni positive e negative;
    _Il terzo,ma non meno importante,non si può misurare,in quanto non è facile dare un'analisi di come vivere bene e di come si realizzi.
    Spesso i termini felicità e ben-essere soggettivo,sono stati usati in modo intercambiabile.Il ben-essere infatti,è stato definito "vivere bene,da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico..."SCHAFER.Invece NETTLE afferma che quando le persone parlano di felicità,tendono ad uno stato positivo delle cose,sorridono,infatti l'ideale del vivere bene viene tradotto in "felicità".Dall'essere felici poi si ha anche una fisicità ottima ovvero MENS SANA,IN CORPORE SANO.Soffermiamoci ora però sul ben-essere riferito alla Disabilità,fino a poco tempo fa,le persone affette da disabilitàvenivano"curati"per fini caritatevoli in delle strutture molto spesso non appropriate a loro.Parte di esse sono cresciute grazie alla tenacia e alla volontà di EDOUARD SEGUIN.Medico francese,che nel 1800 instituì la prima scuola a prova di bambini disabili.La cosa che più premeva a Segui,era quella di far vivere in modo normale questi bambini,ovvero avere una buona qualità di vita.Ma allora cosa significherebbe tutto ciò??Una vita di ben-essere in tutti i sensi,fisico,psicologico,emozionale,sociale,legislativo.Il nostro solo obbiettivo sarebbe quello renre il posto in cui vivono facile da vivere e non da difficile da sopravvivere.Bisogna comprendere a pieno l loro vita e le loro esigenze,e a volte renderle nostre,in modo di aiutarli.Bello e di sicuro importsnte,è stato il pensiero della prof.IAVARONE,la quale afferma che la Pedagogia,ha cura del ben-essere del soggetto,della sua vita,dele sue esigenze,occupandosi al meglio,della sua istruzione,educazione ma soprattutto della sua salute,fino al raggiungimento di essa.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Annarita Riviergi Mar Mag 22, 2012 12:13 pm

    Tra i due capitoli a scelta del libro Ben-essere disabili,ho preferito il primo capitolo.La scelta non è stata poi così difficile perchè lo abbia fatto,forse perchè le tematiche che Ghedin tratta in questo capitolo mi hanno fatto riflettere di più su me stessa.Il primo interrogativo posto è:cos?è la felicità?E'un concetto alquanto sfuggente,ma ogni cultura è alla ricerca di esso.La radice della parola "felicità"deriva dal prefisso "fe"da cui deriva "fecundus"femina,tanto che i latini parlavano di terra "felix"quando questa era stata molto fertile.La felicità poi,è stata spiegata e classificata da diversi autori in diversi modi.In origine si pensava che la felicità fosse legata solo alla fortuna,ma con Socrate ,Platone ed Aristotele si arriva al punto di dire che essa fosse il prodotte delle scelte fatte dall'uomo in totale libertà sfidando anche la sorte.Troviamo molto usi del termine felicità,e vengono classificati in tre momenti diversi tra loro.
    _Il primo è il senso più immediato diretto i felicità;
    _Il secondo è una sorta di bilancio tra le sensazioni positive e negative;
    _Il terzo,ma non meno importante,non si può misurare,in quanto non è facile dare un'analisi di come vivere bene e di come si realizzi.
    Spesso i termini felicità e ben-essere soggettivo,sono stati usati in modo intercambiabile.Il ben-essere infatti,è stato definito "vivere bene,da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico..."SCHAFER.Invece NETTLE afferma che quando le persone parlano di felicità,tendono ad uno stato positivo delle cose,sorridono,infatti l'ideale del vivere bene viene tradotto in "felicità".Dall'essere felici poi si ha anche una fisicità ottima ovvero MENS SANA,IN CORPORE SANO.Soffermiamoci ora però sul ben-essere riferito alla Disabilità,fino a poco tempo fa,le persone affette da disabilitàvenivano"curati"per fini caritatevoli in delle strutture molto spesso non appropriate a loro.Parte di esse sono cresciute grazie alla tenacia e alla volontà di EDOUARD SEGUIN.Medico francese,che nel 1800 instituì la prima scuola a prova di bambini disabili.La cosa che più premeva a Segui,era quella di far vivere in modo normale questi bambini,ovvero avere una buona qualità di vita.Ma allora cosa significherebbe tutto ciò??Una vita di ben-essere in tutti i sensi,fisico,psicologico,emozionale,sociale,legislativo.Il nostro solo obbiettivo sarebbe quello renre il posto in cui vivono facile da vivere e non da difficile da sopravvivere.Bisogna comprendere a pieno l loro vita e le loro esigenze,e a volte renderle nostre,in modo di aiutarli.Bello e di sicuro importsnte,è stato il pensiero della prof.IAVARONE,la quale afferma che la Pedagogia,ha cura del ben-essere del soggetto,della sua vita,dele sue esigenze,occupandosi al meglio,della sua istruzione,educazione ma soprattutto della sua salute,fino al raggiungimento di essa.
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    Messaggio  anna abbate Mar Mag 22, 2012 12:13 pm

    Cos’è la felicità?credo che sia impossibile trovare qualcuno che, almeno una volta nella propria vita, non si sia posto questa domanda. Il concetto di felicità compare in ogni cultura, di fatto, molte lingue la distinguono non solo in qualcosa di estremamente immediato (gioia e piacere) ma anche di qualcosa più durevole e significativo (soddisfazioni e appagamento). La felicità è strettamente legata alla fortuna. Personalmente si può dedurre che non ci sia una valida e specifica definizione di “felicità” perché ogni individuo è libero di poterla intendere a modo proprio. Con Socrate, Platone, e Aristotele la parola “felicità” si carica di nuovi significati. Si inizia ad affermare che l’uomo con le sue scelte, e con la sua libertà può diventare felice, anche contro la sorte. In particolare per Aristotele, la felicità, è strettamente collegata all’etica e alle virtù, non più intese in senso moralistico, ma di azione e attività. Nettle individua tre livelli di felicità: Primo livello ->raggiungimento inaspettato di uno stato desiderato Secondo livello -> riflessioni del bilancio di emozioni positive e negative Terzo livello -> realizzazione da parte del soggetto delle proprio potenzialità. Nettle, afferma, che quando le persone parlano di felicità, generalmente, intendono uno stato che comporta giudizi e sensazioni positive. Dal punto di vista “edonistico”la felicità riguarda la massimizzazione del piacere e la minimizzazione del dolore, questo si verifica quando il piacere prevale sul dolore. Al contrario, dal punto di vista “eudaimonico” riguarda l’attuazione del potenziale dell’individuo e il suo perseguimento del proprio vero sé. Per riuscire a vivere una vita significativa, è molto importante per l’individuo che sfrutti a pieno le proprie forze per il raggiungimento dei propri obiettivi, provando, in questo modo, un senso di soddisfazione per ogni traguardo raggiunto, dando un senso alla propria vita. Ognuno di noi nasce con la capacità di ben-essere, di fatto, ogni individuo è unico e irripetibile avente limiti e potenzialità individuali. A sua volta ha il compito di imparare a costruirsi e a vivere il ben-essere come meglio crede. Iavarone afferma che il ben-essere segue più direzioni e la sua percezione, da parte del soggetto, cambia nei diversi “tempi” della vita e dei suoi diversi “luoghi”. Il ben-essere possiede molte dimensioni,in quanto il desiderio di ben-essere si trasforma sia sincronicamente (in concomitanza con un episodio particolare in un determinato momento dell’esistenza di un individuo) sia dia cronicamente (se il processo di tensione al ben-essere lo si riconduce a una fase della vita di un soggetto). Quello che mi ha maggiormente colpito leggendo questo capitolo,sono state le notevoli e numerose ricerche realizzante sulle famiglie aventi dei figli disabili, e di come quest’ultimi si comportano di conseguenza. Solitamente,alla nascita di un bambino sono connesse profonde aspettative di gratificazione personale e sociale. Il desiderio di ogni genitore è quello di avere un figlio sano,bello e che abbia tutto al proprio posto. Quando invece,nasce un figlio con disabilità il fatto si trasforma in un evento angoscioso e luttuoso. Mullins ha condotto un’analisi di circa 60 libri scritti da genitori di figli disabili,e ha messo in evidenza la presenza di stress emotivo e preoccupazioni,ma ha anche concluso che,per la maggior parte degli autori,la disabilità dei loro figli ha aggiunto qualcosa alle loro vite rendendole anche più ricche di significato. Senza dubbio,crescere un figlio disabile non può essere un’impresa facile ma,certamente,non è IMPOSSIBILE. E’ una questione di volontà,quella per serve per ogni cosa. E’ importante stare accanto al bambino disabile,fargli percepire la nostra presenza ma soprattutto è fondamentale amarlo con tutto il cuore e non farlo sentire mai diverso da nessuno. La felicità non è un PRIVILEGIO,m un DIRITTO.
    UN DIRITTO CHE SPETTA A TUTTI!!!!!

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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Francesca Starita Mar Mag 22, 2012 1:03 pm

    2) Il futuro già presente oggi ci parla di un forte aumento dell’eterogeneità sociale, individuale, economica, esistenziale dell’uomo e l’obiettivo principale è di non continuare a separarlo per categorie, ognuno titolare di un “problema “ o “disturbo”, ma farlo relazionare, socializzare nonostante le diversità. Il termine che spiega ciò è INCLUSIONE.
    In questi ultimi anni il vocabolo inclusione ha cominciato gradualmente a sostituire quello tradizionale di integrazione. Queste due espressioni rimandano a due scenari educativi molto diversi; infatti il termine "integrazione": tende ad identificare uno stato, una condizione ed è orientato allo sviluppo delle potenzialità della persona disabile nella comunicazione, relazione e socializzazione. Mentre quando si parla di "inclusione" l’attenzione è posta alle barriere, interne ed esterne, che ostacolano l’apprendimento e la partecipazione di tutti gli studenti all’esperienza scolastica. Ha la capacita di fornire una cornice in cui gli alunni, a prescindere da abilità, linguaggio, origine etnica o culturale, possono essere ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità a scuola.
    La scuola principalmente contribuisce a questo obiettivo, poiché nella società attuale l’istruzione, l’educazione, sono i principali strumenti che possono umanizzare e prevenire l’esclusione sociale garantendo opportunità future di partecipazione a tutti gli ambienti della vita. Le scuole inclusive sono in grado di cambiare gli atteggiamenti verso la diversità educando tutti i bambini insieme e formando la base per una società giusta e non discriminatoria, inoltre ha dato alle famiglie, agli alunni e alla stessa scuola, contenuti, opportunità, approcci nuovi e soprattutto una nuova prospettiva culturale nei confronti delle persone con disabilità. Gli attori che possono essere considerati come risorse valutabili a supporto dell’ inclusione sono: gli insegnanti, le autorità della scuola, i genitori e gli istituti di formazione.
    Le caratteristiche della scuola si dovrebbero basare: sulla presenza di una leaderschip qualificata, un ambiente di apprendimento accogliente, un monitoraggio de i progressi degli studenti e la cooperazione tra scuola e famiglia.
    Mentre le caratteristiche dell’ insegnante dovrebbero essere: efficiente uso del tempo, avere buone relazioni con gli studenti, dargli supporto e fornire un feedback positivo.
    Il co-insegnamento è considerato uno dei più popolari modelli di insegnamento per aumentare l’eguaglianza di istruzione tra gli studenti con disabilità nelle classi comuni. La collaborazione tra l’insegnante curricolare e l’insegnante specializzato (di sostegno) consente di stendere un programma che sia il più possibile collegato a quello della classe, fornendosi reciproco supporto.
    Un altro atteggiamento importante che deve essere presente nelle scuole inclusive è coinvolgere i genitori, poiché non solo conduce allo sviluppo di relazioni positive tra casa e scuola, ma rende anche più probabile che i genitori prendano un interesse attivo nell’educazione dei loro figli. Vedere i genitori e gli insegnanti co- operare provoca un effetto benefico per i bambini.
    Ciò che riesamina l’educazione inclusiva e l’educazione più in generale è la CAPABILITY APPROCH, struttura di pensiero che introduce nuovi concetti per tentare di spiegare le relazioni dinamiche tra aspettative e adattamento per una persona con disabilità, entro lo spazio valutativo delle capability o capacità. L’obiettivo specifico della ricerca è quello di migliorare il benessere delle persone con disabilità, quello delle loro famiglie e della collettività circostante, ottenendo così un’inclusione più profonda, duratura e soprattutto, partecipata. Il concetto su cui si basa quindi è quello di definire la diversità una caratteristica fondamentale dell’umanità. In altre parole, si riconosce come ciascun individuo sia diverso dagli altri nelle caratteristiche personali, per le circostanze sociali e ambientali in cui vive, nella capacità di convertire risorse personali, sociali, economiche e culturali in funzionamenti a cui dà valore. In questa prospettiva, quindi, la disabilità rappresenta una delle infinite forme di differenziazione che contraddistinguono gli essere umani.
    Altro strumento che si occupa di promuovere l’apprendimento e la partecipazione nella scuola è L’INDEX PER L’INCLUSIONE: approccio pratico che identifica ciò che l’inclusione viene a significare in tutti gli aspetti e gli spazi della scuola; ovvero è uno strumento che implica un esame dettagliato del come possono essere superate le barriere dell’apprendimento e alla partecipazione di ogni alunno per creare una comunità solidale.
    Questi metodi sono un’arma in più per contrastare le diversità, ma la vera crescita sta nel sensibilizzare ogni singolo individuo dalla nascita, quindi il primo organo di diffusione sono le famiglie e la scuola, proprio per questo mi ritengo soddisfatta dell’apprendimento che ho avuto in queste lezioni in modo tale che un giorno possa partire da me l’insegnamento alla non discriminazione, prima come futura mamma poi come eventuale educatrice scolastica.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty 1 CAP BEN-ESSERE DISABILE

    Messaggio  mariangela manna Mar Mag 22, 2012 2:29 pm

    Cos è la felicità??questa domanda è stata la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni, le persone stanno cercando metodi sempre piu utili per diventare felici.. Il concetto di felicità compare in ogni cultura,molte lingue distinguono tra qualcosa di immediato come la gioia o il piacere,e qualcosa di piu duro come la soddisfazione e l’ appagamento. Eudaimonia derivava da buon demone,l a felicità era avere un buon demone ossia una buona sorte pochè in quei tempi la felicità era legata alla fortuna. Con Socrate,Platone e Aristotele la parola eudaimonia assume significati nuovi, si inizia ad affermare che l’uomo con la sua libertà e le sue scelte può essere felice anche contro la sorte. Nettle afferma che il termine felicità può essere classificato in tre sensi:
    felicità di primo livello:implica un emozione o una sensazione transitoria di piacere
    felicità di secondo livello: le persone dopo aver riflettuto sul bilancio tra piaceri e dolori, afferma di essere felice
    felicità di terzo livello:quando la persona prospera o realizza le proprie vere potenzialità.
    La psicologa carol ryff ha sostentuto che il ben-essere umano coinvolge un isnieme di elemnti piu ampio della semplice felicità di secondo livello e cio comprende crescita prsonale, padronanza del proprio ambiente e franchezza con se stessi.
    L’organizzazione mondiale della sanità (OMS)ha definito la salute come condizione di ben-essere fisico,psicologico e sociale. Spesso i termini felicità e ben-essere sono stati usati come sinonimi, ma il ben-essere soggettivo include sia una componente cognitiva che una affettiva. Il ben-essere è definito vivere bene, da un punto di vista psicologico,spirituale e fisico anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica. La psicologia positiva si chiedeva cosa permetteva alle persone di essere felici e soddisfatti e a proposito di ciò Seligman individua la vita piacevole, la buona vita e vita significativa.la vita piacevole è quella che massimizza le esperienze piacevoli e positive. La buona vita si ha quando una persona utilizza la forza e la virtù in attività da cui trae piacere e a cui è appassionato, infine la vita significativa si ha quando gli individui applicano la forza e la virtu per sviluppare amicizie e servire la comunità. Un atro significativo contributo è quello di integrare la teoria del flusso di Csikszentmihalyi in cui vengono messe alla prova le nostre abilità grazie a compiti stimolanti (ad esem scrivere,leggere,completare un puzzle ecc).le persone sono cosi concentrate in una determinata attività da perdere consapevolezza del loro stato emotivo, e se il flusso viene applicato in campo educativo è un possibile sentiero per la felicità e il ben-essere. Gli esseri umani cercano continuamente di attribuire senso e significato agli eventi,ai comportamenti, agli stati interni e alle intenzioni sociali infatti, per Ghedin l individuo nasce da un corredo genetico e nel corso della vita acquisisce il suo corredo culturale attraverso l’ acquisizione di informazioni dall’ambiente esterno, quindi è importantante fare attenzione a cio che l uomo desidera per se stesso e per la comunità. Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo proviene dall’insieme di capacità che l individuo stesso ha di organizzarsi o di adattarsi all’ambiente. La Delle Fave afferma che è fondamentale considerare che ciascun individuo deve essere visto come un agente di cambiamento per la comunità,soprattutto i gruppi svantaggiati,quindi gli individui,diventano svantaggiati in un ambiente in cui le loro condizioni comporta degli svantaggi .Edouard Seguin,un medico francese nel 1800 guidò la prima scuola per bambini disabili,Seguin promosse la visione che i bambini con disabilità potessero essere appropriatamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società.Il modello formativo promosso da Seguin si diffuse rapidamente,ma nel corso del tempo queste scuole cambiarono drasticamente il loro obiettivo.Invece di favorire il ritorno delle persone nella società,le istituzioni divennero posti per tenere le persone lontane da una società meno indulgente. L’immagine pubblicagenerale delle persone con disabilità è che avessero una bassa qualità di vita. Infine Ghedin si occupa di quanto la famiglia influisca sulla persona disabile. Vari studi dimostrano che i genitori con figli disabili subiscono forti momenti di stress iniziale che gli consentono di attuare strategie di coping, ovvero strategie per ridurre lo stress e affrontare il problema; pertanto questi familiari hanno una migliore propensione alla risoluzione dei problemi e quindi ad una migliore qualità della vita. Infine come sostenuto dalla prof iavarone la pedagogia ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto,occupandosi dela sua istruzione ma anche della sua educazione, tutelando la sua salute e il suo sviluppo non solo fisico ma anche e soprattutto psicosociale.. CREDO, CHE NON ESISTANO DIVERSITà PER CHI METTE SEMPRE AL PRIMO POSTO IL CUORE..
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    Messaggio  palmina formato Mar Mag 22, 2012 2:45 pm

    Personalmente ho deciso di svolgere la prima traccia, in quanto è un trema che mi ha sempre appassionato, incuriosito.E' Possibile che nessuno di noi ci si sia cimentato a darne una risposta?Alla domanda "cos'è la felicità", le risposte si susseguono veloci, alcune buttate tanto per dare la risposta e altre invece più complesse.Esso "è tutto e nulla" è un'istante", inteso come un momento qualsiasi che grazie ad un determinato evento, ci fa sentire felici, senza dover essere necessariamente una persona importante o ambire a grandi cose.E l'Uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene, alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità.Quest'ultima è data da un senso di appagamento generale e la sua intensità varia a seconda del numero e della forza delle emozioni positive che un individuo sperimenta. Questo stato di benessere, soprattutto nella sua forma più intensa la gioia non solo viene esperito dall'individuo, ma si accompagna da un punto di vista fisiologico, ad una attivazione generalizzata dell'organismo. Molte ricerche mettono in luce come essere felici abbia notevoli ripercussioni positive sul comportamento, sui processi cognitivi, nonché sul benessere generale della persona. Ma chi sono le persone felici? Gli studi che hanno cercato di rispondere a questa domanda evidenziano come la felicità non dipenda tanto da variabili anagrafiche come l'età o il sesso, né in misura rilevante dalla bellezza, ricchezza, salute o cultura, al contrario sembra che le caratteristiche maggiormente associate alla felicità siano quelle relative alla personalità quali ad esempio estroversione, fiducia in se stessi, sensazione di controllo sulla propria persona e il proprio futuro. Parlare di felicità nella società di oggi significa avventurarsi in un discorso molto complesso, e credo che tutte le persone abbiano la stessa tensione a realizzarla nella propria vita, indipendentemente dall’essere disabili o meno.
    Una disabilità può impedire a una persona di “fare qualcosa” ma non di “fare tutto” e questo ci rende tutti uguali, se consideriamo che ognuno di noi non sarà mai in grado di “fare tutto”.
    Si dice che i soldi non diano la felicità e in buona parte questo è vero, ma è anche vero che se a persone, in qualche modo svantaggiate dal punto di vista psico-fisico, andiamo a togliere anche le possibilità economiche, toglieremo loro automaticamente anche le pari opportunità a cui tutti abbiamo diritto, per intraprendere una vita dignitosa.
    Nel micro-cosmo di una famiglia dove sia presente una persona disabile le difficoltà sono oggettivamente maggiori. E questo lo si può ben capire.
    Ma oggi tutti noi, sia che rappresentiamo qualcosa, sia che se siamo normali cittadini, dobbiamo riaffermare la priorità e il valore dell’inclusione sociale, le pari opportunità nell’accesso all’istruzione, alla formazione, all’occupazione, all’alloggio, ai servizi collettivi, all’assistenza sanitaria…per le persone disabili.
    Quello che conta nella vita è il benessere dell’individuo, la sua dignità e la soddisfazione del quotidiano, attraverso la creazione di situazioni il più possibile assimilabili a quelle in cui vivono le “persone normodotate”.
    In realtà ora si assiste alla riduzione dei diritti attualmente praticabili.
    Si parla molto di “qualità della vita” e io sottolineo le parole “qualità” e “vita”: la prima fa pensare a valori come la relazione, il benessere e la salute; la seconda indica che si ha a che fare con gli aspetti prioritari dell’esistenza dell’uomo.
    La qualità della vita della persona con disabilità, come quella di qualsiasi persona , non dipende dalla sua condizione soggettiva, bensì dal livello di inclusione della società, che la accoglie e dalle risorse che mette a sua disposizione (istruzione, ausili, servizi e così via), oltre naturalmente dai comportamenti, dai sostegni e dalle risorse della famiglia, dall’ambiente di vita…
    E questo livello va mantenuto e adattato per tutto il corso della vita. Non può e non deve una manovra finanziaria destabilizzante!!!.
    La disabilità, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), è data dall’interazione tra le persone con disabilità e le barriere ambientali, inclusi gli atteggiamenti e le immagini discriminatorie che la società produce.
    La nuova genetica umana, e le ideologie culturali e politiche che la sostengono, lavora direttamente contro questa definizione e promuove il concetto che la persona con disabilità sia, né più né meno, la sua stessa disabilità.
    Sono gli effetti negativi dell’interazione con questo ambiente a produrre disabilità,
    non le nostre disabilità, siano esse di origine genetica o, come nella gran maggioranza dei casi, causate da malattia, incidente o conflitto armato.
    La felicità passa assolutamente dalla valorizzazione esistenziale della persona e dal diritto ad essere ciò che si è.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Loredana Calise Mar Mag 22, 2012 2:59 pm

    CAPITOLO 1
    La felicità e quello che significa vivere una buona vita ha rappresentato la base del dibattito filosofico, religioso ed educativo. La felicità è lo stato d'animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri. Derivante dal greco, significa etimologicamente "abbondanza", "ricchezza", "prosperità". La sua nozione, intesa come condizione di soddisfazione totale, occupa un posto di rilievo nelle dottrine morali dell'antichità classica, tanto è vero che si usa indicarle come dottrine etiche eudemonistiche.
    Anticamente, il termine felicità si pensava fosse legata esclusivamente alla fortuna, ma con Socrate, Platone e Aristotele è stata intesa come un prodotto dell'uomo nato dalle sue scelte andando anche contro la sorte.
    Nettle afferma che quando le persone parlano di felicità, generalmente intendono uno stato che comporta sensazioni positive oppure giudizi positivi sulle sensazioni. Quando la definizione viene ampliata fino ad includere altri valori e beni umani, il concetto diventa incoerente.
    Egli divide la felicità in tre fasi differenti:
    1. dovuto dal raggiungimento di uno stato desiderato;
    2. dovuto dalla riflessione su un bilancio tra emozioni positive ed emozioni negative, con la prevalenza dellle prime;
    3. dovuto dalla realizzazione delle proprie potenzialità.
    L’OMS ha indicato la promozione della salute come l’obiettivo principale della medicina, ed ha definito la salute come una condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale. Il ben-essere soggettivo include:
    • una componente cognitiva che valuta l’intera soddisfazione di vita;
    • una componente affettiva che è a sua volta suddivisa nella presenza di affetto positivo e nell’assenza di affetto negativo.
    Seligman ha proposto diverse strade che conducono alla felicità. Una persona può avere emozioni positive cir4ca il passato, ed mozioni positive circa il futuro. La persona può provare felicità basata in modo predominante su emozioni positive che Seligman ha definito “la vita piacevole”.
    Molto importante è proprio il concetto di “vita piacevole” che integra e si costruisce sulle concezioni eudaimonica ed edonica della felicità. La vita piacevole è quella che massimizza le esperienze piacevoli e positive.
    La felicità, da un punto di vista edonistico riguarda la massimizzazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore e si verifica quando le esperienze piacevoli hanno maggior peso delle esperienze dolorose. Al contrario, dal punto di vista eudaimonico risulta dall’attualizzazione del potenziale e dal perseguimento del proprio vero sé.
    Una teoria importante è la “teoria del flusso” di Csikszentmihalyi, secondo il quale il flusso è lo stato di impegno che si verifica quando un individuo è assorbito in una sfida impegnativa e intrinsecamente motivante. Questo stato impegnato è stato recentemente esaminato come un possibile sentiero verso la felicità ed espande il concetto di felicità e ben-essere al di la dello stato di piacere. L’obiettivo prioritario nel campo dell’educazione è quello di favorire l’adozione di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita per essere in grado di gestire le proprie scelte e di adottare comportamenti consapevoli nella direzione della propria felicità.
    Canevaro afferma che è fondamentale, considerare che ciascun individuo deve essere visto come un agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità e questo vale per tutti i membri della comunità e soprattutto per i cosiddetti gruppi svantaggiati, (gli individui non sono di per sé svantaggiati: lo diventano in un ambiente sociale o culturale in cui la loro condizione comporti conseguenze svantaggiose, a causa di qualche discrepanza rispetto alle aspettative e alle regole sociali). Da una prospettiva educativa questo significa che tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo e ruolo dell’educazione è quello di permettere l’attivarsi di questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente “facilitante” in cui gli attori coinvolti possano essere in grado di co-evolvere insieme nella direzione di uno sviluppo positivo.
    La teoria dell’equilibrio dinamico afferma che nonostante i cambiamenti nelle circostanze di vita dell’individuo, i livelli di felicità rimangono costanti nel corso del tempo. L’equilibrio dinamico si verifica in riferimento alla tendenza umana di adattarsi rapidamente ai cambiamenti dell’ambiente. Questo processo di adattamento è comunemente chiamato “controllo omeostatico”.
    Quindi,il ben-essere segue più direzioni e la sua percezione, cambia sia in senso verticale, nei diversi “tempi” della vita, sia in senso orizzontale, nei suoi diversi “luoghi”. Il ben-essere possiede più dimensioni, in quanto il desiderio di ben-essere si trasforma sia sincronicamente, in concomitanza con un episodio particolare in un determinato momento dell’esistenza di un individuo, sia diacronicamente se il processo di tensione al ben-essere lo si riconduce a una fase o a un intervallo di tempo più lungo della vita di un soggetto.
    Lo studio del ben-essere ha implicazioni per la vita stessa degli individui. L’biettivo è quello di individuare dei metodi che possano rendere in grado gli individui di aumentare il loro livello di ben-essere.
    Edouard Seguin, un medico francese, nel 1800, guidò la prima scuola per bambini disabili. Egli promosse la visione progressista che i bambini con disabilità potessero essere appropriamente educati e quindi assumere il loro giusto ruolo nella società. Il modello formativo si diffusa rapidamente, ma nel corso del tempo queste scuole cambiarono il loro obiettivo. Invece di favorire il ritorno delle persone nella società, le istituzioni divennero posti per tener le persone lontane dalla stessa società. Dopo molti anni queste istituzioni sono state chiuse e c’è statala completa inclusione con servizi di educazione speciale e supporto alle famiglie. Ecco, allora che in questa direzione si cerca di promuovere il ben-essere delle persone disabili, considerandolo una dimensione strettamente determinata dalla capacità di autonomia. L’obiettivo è di costruire a partire dai soggetti e dalla forza che essi esprimono, piuttosto che dalle loro debolezze.
    Oggi, la ricerca della felicità, si sta spostando sull’analisi del concetto di ben-essere e felicità per le persone con vari tipi di disabilittà con l’obiettivo di promuovere capacità di condurre una “buona vita”, vivere vite stimolanti e soddisfacenti e colltivare ciò che è meglio per se stessi. In Italia è stata fondamentale la Legge 104 che offre alle persone disabili gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici dei normodotati. Questo dimostra che la partecipazione delle persone disabili, migliora la loro vita e il loro ben-essere soggettivo.
    La ricerca sulle famiglie di bambini con ritardo mentale ha dimostrato come a volte le madri vivono la loro nascita in uno stato luttuoso. I genitori di bambini disabili vivono periodi di stress, ed è stato dimostrato come un atteggiamento negativo verso la disabilità può incrementare altro stress alla famiglia. Diverse famiglie riescono ad agire anche in maniera positiva nei confronti della disabilità, sia per la crescita del bambino disabile, che per il realizzamento dei loro figli.
    La Professoressa Iavarone afferma che la pedagogia, in particolare quella sociale, ha a cuore il ben-essere e la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istituzione ed educazione, tutelando la salute e il suo sviluppo fisico e psicosociale, quindi bisogna formare diversi professionisti che sappiano gestire relazioni di cura, sostegno e aiuto perché tutti abbiamo il diritto di star bene ed essere felici. Infatti, come abbiamo visto nel nostro percorso per la relazione educativa è fondamentale per la formazione di qualsiasi soggetto, anche per un disabile. La possibilità di prevedere situazioni difficoltose, di far emergere le doti di un disabile. La disabilità, inoltre, è stata “normalizzata” non solo grazie ai vantaggi della politica, ma soprattutto grazie alla tecnologia, che ha permesso di abbattere barriere riducendo l’handicap, e permettendo ai disabili di poter vivere realmente, (come per esempio Pistorius).
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Gisella Santonastaso Mar Mag 22, 2012 3:29 pm

    1) Ben-essere nella disabilità
    Alla Fatidica domanda: "Sei Felice?".. Risalta il più delle volte quello sguardo ironico un pò scettico.. e il più delle persone
    che conosciamo,che ci circondano ci rispondono che l'essere Felici è una cosa troppa grande...
    Che l'essere Felici si raggiunge con anni di Vita..
    Che l'essere Felici lo si raggiunge con un Figlio o che l essere felici è il raggiungimento dei propri scopi lavorativi,sociali e
    familiari... C'è una poesia Di Fabio Volo che... è incisa dentro me..
    "E crescendo impari che la felicità non e' quella delle grandi cose.
    Non e' quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi...
    la felicità non e' quella che affanosamente si insegue credendo che l'amore sia tutto o niente,. ..
    non e' quella delle emozioni forti che fanno il "botto" e che esplodono fuori con tuoni spettacolari...
    la felicità non e' quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.
    Crescendo impari che la felicità e' fatta di cose piccole ma preziose...
    ...e impari che il profumo del caffe' al mattino e' un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone,
    le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità,
    che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.
    E impari che la felicità e' fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,
    e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno, e che sederti a leggere all'ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.
    E impari che l'amore e' fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore,
    e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.
    E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.
    E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.
    E impari che tenere in braccio un bimbo e' una deliziosa felicità.
    E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami...
    E impari che c'e' felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'e' qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.
    E impari che nonostante le tue difese,
    nonostante il tuo volere o il tuo destino,
    in ogni gabbiano che vola c'e' nel cuore un piccolo-grande
    Jonathan Livingston.
    E IMPARI QUANTO SIA BELLA E GRANDIOSA LA SEMPLICITA'. "
    Leggo quello che per me sono delle parole che risuonano ogni giorno nella mente, quello che osservo ogni giorno davanti ai miei occhi e
    quello che spero di sentire e che non sento con le mie orecchie.. Cosa? La semplicità... e rimembro un articolo che lessi su un giornale,se non sbaglio il "Di Più",
    la storia di una donna Cristina Celsi,bella la sua semplicità,persona con disabilità in carrozzina,
    che raccontava a Lignano Sabbiadoro (Udine), in occasione delle Manifestazioni Nazionali della UILDM
    (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), la sua esperienza di "volontaria internazionale con disabilità".
    Era la prima volta che avevo letto una persona disabile fare la volontaria e non "l'ospite della struttura"
    e far riconoscere il suo ruolo! La cosiddetta "semplicità" di cui voglio farne come perno centrale questo mio lavoro per poi trovarci nel gradino più
    alto ossia quello di trovare la FELICITA' e la voglia di Vivere....
    Ricordiamo Il professore Palladino,Simona Atzori,Oscar Pistorius,sono tutti casi,che nonostante le loro difficotà,incomprensioni,non si arrendono di vivere
    la loro Vita,la Vita che Dio gli ha donato,con una sola e semplice passione..
    Raggiungere la loro Felicità...e il loro adempimento per una vita sempre più fruttuosa e piena di persone sensibili che quando si sentono osservati o giudicati
    non devono essere fatto in maniera "diversa" ma solo ed esclusivamente nella più semplice normalità che ogni individuo,ogni essere umano, ha diritto di avere.
    Nel libro,nel primo capitolo,di "ben-essere disabili" dell'autore Ghedin, nella psicologa Ryff spiega che il ben-essere non implica solo lo stato di felicità,ma molti altri fattori.
    Infatti afferma che possiamo trovare individui con un ben-essere psicologico molto alto,ma con un basso livello di felicità e al contrario.
    Importante risulta, per Seligman, essere la teoria della felicità autentica relativamente alla vita piacevole,alla buona vita e alla vita significativa.
    Dove la prima massimizza le esperienze positive, la seconda si sviluppa qualora l’individuo riesce in qualche attività da cui trae soddisfazione personale
    e infine la terza si ha quando l’individuo con le proprie potenzialità riesce a sviluppare un qualcosa di positivo nel sociale.
    Canevaro afferma che il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale,quanto al capitale sociale,
    cioè l’insieme delle capacità che l’individuo ha di organizzarsi e di adattarsi, grazie alle strutture che lo circondano con i contesti.
    Delle fave sostiene che è fondamentale che ogni individuo deve essere visto come un’ agente attivo di cambiamento e di sviluppo della comunità di cui fa parte e questo è un qualcosa
    che è indirizzato a tutti i membri della società comprese le persone con disabilità, persone anziane, immigrati e in stato di minoranza.
    Ognuno quindi deve riuscire a costruire il proprio vivere e il proprio benessere in quanto noi abbiamo la potenzialità di decidere di essere ciò che vogliamo e il ruolo dell’educazione
    permetterà di attivare questo potenziale attraverso la creazione di un ambiente sereno e facilitante in cui ogni attore sarà in grado di cooperare
    verso uno sviluppo positivo della società
    Inoltre Nettle afferma che se le persone passano molto tempo a riflettere sulla nozione di ben-essere e di felicità,allora questo è un buon motivo per studiarle.
    Infatti il ben-essere dipende non solo dal corretto funzionamento di organi e di apparati vitali,ma soprattutto dagli stili di vita e di lavoro,
    dalla condizione dell’ambiente e dalle qualità umane dei contesti. Lo studio del ben-essere ha un obiettivo:quello di individuare dei metodi
    che possano rendere in grado gli individui di aumentare il loro livello di ben-essere.
    Voglio finire questo lavoro con una domanda da fare all'essere umano che forse non avrò mai una risposta per quanto oggettiva sia, "La vera felicità fa parte del nostro ben-essere,
    di poter e riuscire ad Amare il prossimo,a riuscire ad essere Felici con la semplicità con cui l'uomo stesso è nato
    o è solo ed esclusivamente basata su obiettivi e scopi della nostra vita sociale???...
    A voi una risposta...
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    Martina Molino


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Martina Molino Mar Mag 22, 2012 3:50 pm

    La Ghedin affronta i concetti quali, felicità, ben-essere e soddisfazione, ponendo in relazione tra loro diverse e numerose riflessioni fatte da altrettanti autori.
    Ma soffermiamoci a pensare cos’è la felicità e quali condizioni comporta.
    Da secoli siamo tutti alla continua ricerca della felicità, tanto che risulta essere oggetto di dibattiti religiosi, filosofici ed educativi ed è affrontata da ogni cultura. Solo ultimamente ci si è rivolti al concetto di felicità e agli aspetti positivi dell’esperienza umana con più attenzione grazie agli studiosi delle scienze sociali e all’analisi scientifica.
    Il movimento della Psicologia Positiva, nato in contrapposizione ad alcune correnti di pensiero che criticano i suoi fondamenti in quanto ritengono che sia necessario comprendere la sofferenza umana, ha destinato la sua attenzione agli aspetti positivi dell’esperienza umana e alle situazioni fonti di felicità per gli individui.
    Come abbiamo già visto per quanto riguarda la classificazione ICF dell’OMS, l’attenzione si è spostata sugli indicatori positivi ( ben-essere ) della condizione dell’individuo ( e non più su quelli negativi che sottolineavano mancanze, non abilità, mal-essere ) che influenzano il suo sviluppo e la sua crescita personale e sociale.
    Nonostante sia difficile concentrare il concetto di felicità in una definizione, molti si impegnano a farlo nella speranza che così si conoscano i meccanismi che permettono di arrivarci. Nettle incomincia definendo i parametri del senso di felicità che lui chiama “felicità di primo livello” intesa come un senso immediato e transitorio che implica emozioni o sensazioni come la gioia e il piacere.
    La “felicità di secondo livello” è quella su cui si soffermano maggiormente gli psicologi e, al contrario di quella di primo livello, si riferisce ai giudizi sul bilancio delle sensazioni che provocano appagamento e soddisfazione della propria vita.
    Infine la “felicità di terzo livello” è quel momento in cui la persona realizza le proprie potenzialità.
    È emerso da numerose analisi sulla natura del ben-essere che le persone sono felici quando riescono ad ottenere quello che vogliono, a soddisfare le proprie aspettative oppure quando facendo un bilancio degli aspetti positivi e di quelli negativi che li hanno coinvolti, denotano una maggior presenza di quelli positivi.
    Infatti, per la Sen il concetto di ben-essere prevede la soddisfazione delle proprie esigenze primarie.
    Per la psicologa Ryff il ben-essere umano supera il concetto di felicità di secondo livello e comprende elementi come: crescita personale, autonomia, auto accettazione, obiettivi di vita, padronanza del proprio ambiente, franchezza con se stessi e relazioni positive con gli altri.
    Seligman prevede diverse strade che conducono alla felicità, la soddisfazione è raggiunta da una persona attraverso le emozioni positive legate al passato, l’ottimismo e la speranza sono invece collegate alle emozioni positive sul futuro.
    Le emozioni positive nel presente invece, sono date da piaceri momentanei.
    Un’ ulteriore strada per la felicità autentica è quella che conduce ad una vita piacevole, ad una buona vita e ad una vita significativa e quindi una vita che permetta alla persone di individuare ed usare le proprie virtù e le proprie forze nelle relazioni, nel lavoro e nel tempo libero. È questo il caso della felicità nella prospettiva eudaimonica. Invece la felicità da un punto di vista edonistico esalta i piaceri e riduce i dolori.
    Aristotele riteneva che la felicità individuale potesse essere realizzata nello spazio sociale grazie al collegamento tra il ben-essere personale e quello collettivo.
    È importante quindi, come sostiene Canevaro, che il ben-essere di un individuo sia legato al capitale sociale, ovvero all’insieme delle capacità che permettono all’individuo di organizzarsi ed adattarsi ai contesti. Come sostiene Murdaca, è il contesto sociale a determinare la condizione di handicap in quanto gli ostacoli e le barriere fisiche, mentali e culturali incrementano il processo di esclusione ed emarginazione.
    Inoltre come sostiene anche la Della Fave, è necessario considerare ogni individuo come agente attivo di cambiamento e sviluppo della comunità, nessuno escluso, siamo tutti cittadini con gli stessi diritti.
    Tutti abbiamo le potenzialità per decidere di essere ciò che vogliamo e come dice anche il protagonista del film “la ricerca della felicità” al figlio:”Se hai un sogno tu lo devi proteggere. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. Punto.”.
    “ SI PUÒ FARE ” come dice anche il film dall’omonimo titolo e come sosteneva il Presidente Obama nella sua campagna elettorale: “ Yes, we can! ”
    È compito dell’educatore far emergere queste potenzialità attraverso la costruzione di un ambiente che trasmetta tranquillità e serenità, nella direzione della propria felicità, è un cammino verso lo sviluppo positivo dell’individuo ma anche dello stesso educatore perché, come abbiamo detto più volte, ogni relazione che si instaura tra due o più persone è educativa e permette a tutti quelli coinvolti di crescere a prescindere dai ruoli che si ricoprono, è un dare e avere costante nel rispetto reciproco.
    Per la prf. Iavarone è importante favorire un’ educazione inclusiva, che preveda istruzione, tutela della salute e uno sviluppo in particolare psicosociale più che fisico del soggetto, tutto ciò accompagnato dal fondamentale e necessario stato di benessere di quest’ultimo.
    Ne consegue che il concetto di ben-essere è diventato il contenuto essenziale di ogni relazione educativa.
    Ma quali sono i fattori chiave per raggiungere lo stato di ben-essere?
    Il ben-essere è un concetto soggettivo, confuso e vago ma ciò che ci da la possibilità di restare ancorati a questa sensazione è un atteggiamento positivo a livello psicologico, emozionale, fisico anche in presenza di una malattia sia passeggera che cronica ( Schafer ) e sociale.
    Il ben-essere e le emozioni positive influenzano necessariamente tutti gli aspetti della nostra vita ( Fredrickson ) determinando così un giudizio positivo che ci permette di esprimere la nostra felicità . I bisogni umani, in una prospettiva olistica, top-down permettono alle persone di superare le sfide della vita con le loro forze. La resilienza è proprio quell’attitudine che l’individuo ha per riuscire a reagire a situazioni di disagio. Questa qualità l’abbiamo riscontrata in persone come Simona Atzori, Oscar Pistorius e la signora Tina che ci venne a raccontare la sua esperienza o anche nei genitori dei bambini autistici che hanno fondato l’associazione “Autism Aid onlus”.
    La percezione che il soggetto ha del ben-essere muta sia in senso verticale, cioè nei diversi “tempi” della sua vita, sia in senso orizzontale, cioè nei diversi “luoghi”.
    Ma, grazie al “controllo omeostatico” e alla teoria dell’equilibrio dinamico, i livelli di felicità dell’individuo non cambiano nonostante le circostanze di vita siano mutevoli ( Headey e Cummins ).
    Per la Iavarone, il ben-essere è una condizione complessa in quanto si orienta in diverse direzioni, componenti e dimensioni, tanto che il desiderio di ben-essere si trasforma sia sincronicamente che diacronicamente.
    Per Diener felicità e ben-essere sono commutabili, il ben-essere soggettivo prevede una componente cognitiva ed una affettiva.
    Il ben-essere per le persone disabili si basa sugli stessi principi del ben-essere per le persone normodotate. L’approccio che è ampiamente sostenuto dalla psicologia positiva prevede l’importanza di considerare il ben-essere come un progetto dinamico da condividere con gli altri. È importante incominciare da se stessi ( come fa anche il protagonista del film “ lo scafandro e la farfalla” ), aiutarsi, come abbiamo già detto, a fronteggiare le avversità attraverso le proprie forze e potenzialità, facendo valere le proprie scelte.
    Ruolo fondamentale dell’insegnante in quanto educatore è quello di permettere alla persone disabili in questo caso, attraverso programmi di formazione, di essere pronti a diventare autonomi anche nel mondo del lavoro.
    Edouard Seguin, medico francese, nella metà del 1800, fu il primo a creare una scuola per bambini disabili ma fu soprattutto promotore della visione progressista che vede i bambini disabili come bambini “normali” a cui è dovuto il diritto ad essere educati per poter ricoprire il giusto ruolo nella società ( integrazione e inclusione completa ).
    Ora, nella società contemporanea questo concetto si è ampliato, si sono creati diversi e molteplici servizi di educazione e supporto alle famiglie.
    Ricerche fatte sui soggetti con ritardo mentale, ed ora anche su persone con vari tipi di disabilità, si sono chieste se queste persone sono felici e se vivono una vita soddisfacente.
    Filoni di ricerca come il Movimento della Qualità della vita, si pone l’obiettivo di analizzare la soddisfazione interna più che esterna dei soggetti disabili ma alla fine non fa altro che concentrarsi proprio su questi ultimi aspetti. I ricercatori pertanto si preoccupano di più di alleviare i problemi e migliorare i comportamenti negativi di queste persone piuttosto che promuovere in loro stati positivi come invece fanno i sostenitori della psicologia positiva ( Diener, Oishi, Lucas, Lyubomirsky, Sheldon e Schkade ). Secondo Schalock sono dimensioni della qualità della vita: ben-essere emozionale ( è quello che più si avvicina alla felicità), materiale e fisico; relazioni interpersonali; autoderminazione, inclusione sociale e diritti.
    Anche Edgerton, grazie a degli studi fatti su adulti con ritardo mentale, ha evidenziato che i fattori ambientali non incidono in modo predominante sulla felicità complessiva ma sono molto più importanti le predisposizioni interne che permettono di raggiungere una felicità duratura.
    Zigler, in base al concetto di impotenza appresa rilevato da Seligman, ha notato che i bambini con ritardo mentale avevano sì un “QI basso” ma avevano anche una personalità distintiva causata dalle loro continue esperienze di fallimento e che procurava in loro sfiducia e sentimenti di depressione.
    Ciò che rovinano l’equilibrio di un genitore con un figlio disabile sono le aspettative del genitore che, se non vengono soddisfatte, gli procurano uno stato di stress.
    Ma, come affermano Mullins e Lazarus, ci sono anche genitori che vivono bene la situazione del figlio disabile grazie alla promozione delle percezioni positive.
    Si è falsamente convinti che le persone disabili abbiano una bassa qualità di vita e pertanto si cerca in tutti i modi di “normalizzarla”. Su questa direzione, diversi studi ( condotti da Cameron e Stensman ) hanno verificato che tra persone disabili e normodotate non esistono alcune differenze in merito alla soddisfazione delle loro vite e che il ben-essere soggettivo non è legato alla gravità della disabilità ( Uppal ).
    In realtà non si può insegnare a star bene.
    MARIA VITTORIA PIROZZI
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  MARIA VITTORIA PIROZZI Mar Mag 22, 2012 4:07 pm

    La felicità può essere il raggiungimento di un desiderio, la soddisfazione di vederlo realizzato. Il bisogno di felicità, sotto il profilo psicologico, può essere anche una soluzione ad un problema e la soluzione del problema dà l'appagamento quindi gioia. La felicità si sviluppa sia in senso intellettuale sia materiale, sia fisico sia psichico, sia affettivo sia emozionale. Per fare degli esempi pratici su come il valore della felicità cambi anche in virtù della cultura e del contesto ambientale, la felicità può essere un sorriso di un bambino o l'acquisto di una villa con piscina, può essere un matrimonio o la conquista dell'Everest, la pace dei sensi o la vincita dei mondiali. Nel terzo mondo il raggiungimento di una ciotola di riso ''bisogno primario'' è felicità. Nei paesi ricchi il comprare un'auto di lusso ''bisogno sovrastrutturato'' è felicità. Sono due emozioni non comparabili ma che fanno parte della felicità umana. Secondo teorie contemporanee, la felicità è provare ciò che esiste di bello nella vita. Non è una emozione oggettiva ma una capacità individuale, non è casuale come un evento del destino ma una capacità da scoprire ed imparare. Bisogna imparare ad essere felici. La felicità non è inseguire i sogni ed aspettative di domani, ma al contrario cercare di godere di quello che sia ha oggi. La felicità non è nel futuro, ma solo nel presente. La felicità è uno stato di gioia solo del presente. Spesso si inseguono i soldi, il benessere, la fama, il successo, il potere ritenendo che il loro raggiungimento dia la sensazione di felicità. Secondo tali teorie questo atteggiamento crea ansia che è in contrasto con lo stato della felicità. La corsa ci rende schiavi del sistema, se uno è schiavo non è libero e quindi non è felice, solo la libertà dal sistema ci fa vedere il presente e ci fa gioire di quello che ci circonda. La felicità è un sentimento, un’emozione, uno stato emotivo non quotidiano che solitamente consegue alla soddisfazione di un desiderio. Provoca gioia, piacere, contentezza, soddisfazione, tranquillità, appagamento, divertimento ed anche altro. L’umanità vive cercandola, e prova, o dovrebbe provare, ogni istante a pensare come trovarla. Filosofi, scrittori, poeti e letterati hanno tentato di descriverla, ed hanno posto l'accento sulla sua componente emozionale, come il sentirsi di buon umore, e sull'aspetto cognitivo e riflessivo, come il considerarsi soddisfatti della propria vita.Tanti sono stati gli autori di libri analizzati ad occuparsi di questa questione.Tra questi vi è Ghedin,il quale afferma che l'uomo nel corso della sua esistenza acquisisce e integra le informazioni ambientali,che incontra continuamente,proprio per questo diventa importante analizzare ciò che è possibile, desiderabile e significativo per il singolo e per la comunità, perchè permette di prestare attenzione ai punti di forza, a risorse, processi di crescita in una prospettiva piu ampia. Ogni persona nasce con la capacità di ben-essere, e spetta al singolo il compito di imparare a costruirsi e vivere il ben-essere come meglio crede. A riguardo di ciò, Lavarone, afferma che: “Il benessere segue più direzioni e la sua percezione, da parte del soggetto, cambia sia nei diversi “tempi” della vita che nei suoi diversi ”luoghi”.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty capitolo 6 testo Ben - essere disabile

    Messaggio  soleluna Mar Mag 22, 2012 4:19 pm

    La legge Casati del 1859 segna una data importante: la nascita della scuola pubblica italiana. Ovviamente il sistema d’istruzione articolato in seguito a tale legge è strettamente riservato ai bambini normodotati e con situazioni socio-familiari in grado di fare a meno della manodopera infantile. La prima normativa inerente l’inserimento di alunni “portatori di deficit” nella scuola italiana si rifà alla Riforma Gentile del 1923, nella quale si sancisce l’obbligo scolastico sino ai 14 anni d’età e si garantisce l’istruzione, nelle scuole speciali, ai soli disabili sensoriali (ciechi e sordomuti). Con l’avvento della Costituzione e gli art. 3, 34, 38 della stessa, nonché della Dichiarazione Universale dei diritti Umani del 1948 (art 26), vengono istituite le “classi differenziali” all’interno della scuola pubblica per l’istruzione di alunni disabili. Solo con la legge 118/1971 prima e con la legge 517/1977 poi, verrà sancito il diritto d’istruzione degli alunni disabili nelle cosiddette “classi comuni” sia nella scuola elementare (oggi definita Primaria) che nella scuola media (oggi Secondaria di I grado). Secondo questi piani di legge che regolavano l’attività scolastica (alla scuola all’epoca non era riconosciuta l’ autonomia di cui gode oggi) l’ integrazione di alunni con difficoltà si realizzava mediante la rimozione delle barriere architettoniche e l’intervento di “docenti specializzati”. Finalmente, si arriva alla legge 104/92 il cui art. 13 garantisce l’integrazione delle persone disabili nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado attraverso “un inserimento sistemico che prevede il coinvolgimento di varie istituzioni (ASL, Enti Locali, famiglia…)”. “Compito della scuola è educare istruendo le nuove generazioni (…) Non è pensabile una scuola costruita su un modello unico di studente astratto. La scuola dell’autonomia è una scuola che concentra la propria proposta formativa ed il percorso curricolare nell’attenzione a quell’essere unico e irripetibile che si ha in classe” (anno 2007 - Il Ministro della Pubblica Istruzione, G.Fioroni - Indicazioni per il curricolo della scuola dell’infanzia e della scuola del primo ciclo d’istruzione). La dimensione olistica della persona alla quale si riferiscono le “Indicazioni” di cui sopra, richiede un’attenta riflessione circa la pratica educativo-formativa che un insegnante (in termini educativo-didattici), la famiglia (in termini formativi) e le agenzie del territorio che a vario titolo (terapeutico - sociale…) interagiscono con la persona da educare-istruire, debbano adottare. Oggi la ricerca in materia ha condotto ad una radicale sostituzione del termine integrazione con il termine inclusione, ed un’educazione inclusiva sembra essere l’unica risposta alla creazione di persone inclusive, di società inclusive, in vista della realizzazione di ideali di pace, libertà e giustizia. Non serve portare il cuscus a scuola per fare integrazione e rendere il soggetto straniero membro della nostra comunità; non serve accettare il compagno disabile per definire lo stesso integrato nella classe: in linea con quanto esplicato nell’ “Index per l’inclusione” di Booth e Ainscow (ricerca sul sistema d’istruzione Inglese pubblicato nell’anno 2000 dal Centre for Studies on Inclusive Education) sino ad oggi la scuola e le classi sono state pensate e strutturate per alunni autoctoni (Italiani nel nostro caso) e normodotati; di conseguenza, per non esserne tagliati fuori, l’alunno straniero e l’alunno disabile si sono dovuti adattare a questa serie di costruzioni, rappresentando loro le eccezioni di una regola che il contesto sociale definisce “normale”. La chiave di svolta è stata proprio questa inversione di tendenza, decentrando il concetto di “normalità”. Già con la pubblicazione dell’ICF da parte dell’OMS, il focus della disabilità viene spostato su di un altro versante: compaiono parole come “funzionalità”, “diagnosi funzionale”, “profilo di funzionamento” della persona disabile (sui quali strutturare il PEI e il PEP) che rivoluzioneranno il modo di intendere la disabilità, non più come fatto soggettivo e handicappante, ma come questione sociale, rimandando alla società stessa, allo Stato l’obbligo di rimuovere quelle barriere che impediscono la realizzazione personale di una persona con deficit. “Non si deve definire nessuno per sottrazione” (A.M. Murdaca) ma bisogna guardare alle potenzialità che ciascun soggetto possiede: alle capabilities, ossia alle opportunità pratiche che una persona potrebbe avere se immersa in un contesto favorevole al fine di raggiungere le functionings, vale a dire quello stato di essere e fare (le funzionalità). Il capability set elaborato da A. M. Sen rappresenta appunto la gamma delle libertà di ciascun soggetto di poter essere e fare se messo nelle opportune condizioni: la disabilità, come è stato dimostrato, risulta nella limitazione della capability, la menomazione influenza i funzionamenti e diventa disabilità sotto alcuni aspetti ma non sotto altri; la disabilità indica menomazione ma non necessariamente la possiede: un bambino che viene messo nella corretta interazione con l’ambiente circostante di apprendimento, adeguatamente strutturato, è un bambino messo nelle condizioni ideali per la conversione delle risorse in funzionamenti. Il capability approch in educazione si fonda proprio sulla presa in considerazione di tutti i fattori che possono determinare il successo o l’insuccesso formativo di un fanciullo: “nessun enfasi viene posta sui fattori dentro il bambino, sui fattori educativi , o viceversa, poiché l’attenzione del modello e sull’interazione tra i due elementi (“Ben – essere disabili” di E. Ghedin). Ne consegue che le figure chiave di questo processo in continua evoluzione, i protagonisti che devono accogliere tale sfida educativa sono gli insegnanti e i genitori (o comunque la famiglia). Oggi gli insegnanti (della scuola Primaria) non a caso vengono definiti: equipe pedagogica e la loro professionalità sta anche nel fatto che devono garantire l’unità al sapere che le discipline sembra frammentare, non per fornire un mero bagaglio di conoscenze e abilità, ma per addestrare alla vita, alla quotidianità, attraverso l’ acquisizione delle competenze psicosociali di base (life skills) utili ad una corretta collocazione/ relazione sociale. Tuttavia, nell’essere persona umana, anche l’insegnante può avere una più o meno condivisibile visione del proprio gruppo classe e degli alunni con Bisogni Educativi Speciali. L’insegnante dovrebbe lavorare attivamente e deliberatamente per raggiungere i suoi (loro) obiettivi (Unesco – 2007) contenuti nella programmazione educativo- didattica stilata ad inizio di ogni anno scolastico per le classi di riferimento, condivisa dal Collegio dei Docenti, sulla base dei curricula strutturati in team in considerazione dei bisogni educativo-formativi degli alunni ed in linea con il Piano dell’Offerta Formativa (POF d’Istituto). Alla fine di ogni percorso educativo-didattico viene posto un traguardo di competenze (abilità e conoscenze); lo stesso traguardo è raggiunto attraverso il conseguimento di più obiettivi intermedi. La valutazione dei risultati in merito alle performances didattiche e relazionali (l’educazione è un processo che in veste totalmente la persona, sia da un punto di vista cognitivo-intellettivo che da quello emotivo-relazionale) deve prevedere un target valutativo ad ampio spettro, strutturato in base alle reali capacità di ciascun soggetto (educazione personalizzata: target alto-medio-basso). La differenza tra gli studenti non entra solo in merito alla diversità per cultura, etnia, provenienza o per disabilità, ma anche in merito all’eccellenza che va sostenuta e motivata alla pari. Così come afferma Tomlison (1993), 3 sono i principi che un docente applica nelle classi differenziali che, tuttavia, risulterebbe utile applicare anche nelle classi comuni: 1. Proporre prove d’ingresso per capire a che punto siamo; 2. Selezionare metodi attraverso i quali ciascun studente possa apprendere ( così come vuole la teoria delle intelligenze multiple di Gardner); 3. Coltivare la relazione insegnante- studente. Come ho avuto modo di esplicare nel laboratorio “La relazione educativa”, un sano rapporto di fiducia e collaborazione tra docente – discente è una condizione “sine qua non” si comprometterebbe il successo formativo di ciascun alunno (da insegnante affermo che insegnare è un dono: bisogna essere capaci di trasmettere non di impartire). La professionalità docente dovrebbe garantire la capacità di mettere in discussione il proprio punto di vista, il ripensare alla propria pratica quotidiana e rimodularla per centrare meglio l’obiettivo, la condivisione con i colleghi e le famiglie delle scelte, delle strategie, dei metodi e degli strumenti. Inoltre, insieme al Dirigente Scolastico, il corpo docente dovrebbe farsi promotore di atteggiamenti positivi verso l’inclusione poiché viceversa, il loro diniego rappresenterebbe la principale barriera all’inclusione. “Quindi, rendere potenti questi individui, equipaggiarli con una nuova confidenza e abilità nel processo di introduzione dell’inclusione come un principio guida, avrà implicazioni per atteggiamenti e le performance degli insegnanti” ( UNESCO, 2009 dal testo “Ben – essere disabili” di E. Ghedin). Secondo tale ottica, Ainscow (co-autore dell’Index) ritiene che la scuola efficace ha una leadership efficace e un corpo docente in grado di affrontare tutti gli studenti e i loro bisogni; gli insegnanti efficaci stimolano le abilità degli studenti predisponendo compiti di qualità, fornendo loro le opportunità per scegliere i loro compiti, variando strategie di apprendimento degli studenti (Ainscow-2005). L’insegnante efficace è colui in grado di co-insegnare al contempo nella stessa classe con l’insegnante specializzato, allo scopo di “aiutarsi l’un l’altro fornendo differenti aree di esperienza che quando fuse insieme correttamente, possono risultare in un aumento all’istruzione per tutti i bambini” (Cit. in Bessette 2008, dal testo “Ben-essere disabili” di E. Ghedin). Il monitoraggio costante da parte degli Organi Collegiali, attraverso il confronto con i parametri contenuti nell’ “Index per l’inclusione ” ( di T. Booth e M. Aiscow) può rappresentare una modalità per effettuare una sorta di analisi SWOT, al fine di evidenziare i punti forti e deboli, della pratica educativo-didattica di ciascuna Istituzione Scolastica. Ma non serve disporre delle migliori professionalità docenti e di strutture all’avanguardia per garantire il successo di un’ educazione inclusiva senza un corretto rapporto con la famiglia che, lo ricordiamo, è la prima agenzia educativo-formativa del bambino. E’ importante e necessaria una corretta comunicazione periodica con la famiglia degli alunni (disabili e non) non soltanto nel momento in cui insorgono problemi, ma durante tutto l’arco del percorso educativo. Le stesse “Indicazioni per il curricolo” affermano che “non c’è possibilità che la scuola realizzi il proprio compito senza la condivisione della famiglia”. L’Unesco suggerisce che i genitori devono diventare veri partner nell’educazione dei loro figli, devono essere coinvolti, resi parte attiva e partecipi delle scelte della scuola, devono essere ascoltati quando parlano dei loro figli, devono essere sensibilizzati al lavoro sinergico da fare insieme anche ad altre figure di supporto (fisioterapisti, logopedisti…) nell’interesse dei loro figli. Ecco perché ad inizio di ogni anno scolastico la scuola sottoscrive con le famiglie degli alunni che accoglie il “Patto di corresponsabilità” detto anche “Contratto formativo scuola- famiglia”, il quale è parte integrante del Piano dell’Offerta Formativa d’Istituto ( definito la Carta d’identità di ogni Istituzione Scolastica, altrimenti detto POF), che diventa a tutti gli effetti un documento ufficiale. Il Patto così stipulato, viene onorato nel corso dell’anno con incontri formali e informali docenti – genitori, comunicazioni scritte da entrambe le parti per entrambe le parti, e, come suggerimento ultimo, nella comunicazione giornaliera attraverso un “Diario di bordo” aperto alla consultazione delle famiglie. Non è esclusa, ovviamente, una modalità di comunicazione diversa tra scuola e famiglia che ogni Istituzione scolastica o genitore può proporre di adottare, attraverso il sereno dialogo con chi, come lui, ha a cuore l’interesse del fanciullo. Concludo questa mia dissertazione affermando da insegante che sono consapevole del fatto che la mia è una missione piuttosto che una professione e io sono qui per onorare tale missione, per perfezionare le mie competenze, al fine di offrire una più ampia e professionalmente valida offerta formativa ai mie alunni.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Educazione inclusiva

    Messaggio  Cozzolino Chiara1987 Mar Mag 22, 2012 4:32 pm

    Ho deciso di scegliere il capitolo 6 perché penso che tratti un argomento importantissimo per quanto riguarda l’eguaglianza e il riconoscimento dei diritti,a scuola, a tutti i bambini, senza distinzione alcuna.
    Si tratta dell’educazione inclusiva,un concetto che ha preso importanza maggiore recentemente e che ingloba a sé le differenze tra gli allievi,tiene conto dell’esigenze di tutti i bambini,studenti immigrati,bambini con disabilità e difficoltà nell’apprendimento.
    L’educazione è vista come mezzo per uno sviuppo personale sano ma anche come mezzo per la creazione di una società libera,armoniosa,giusta e in pace,avversa all’esclusione e alla discriminazione. In questa società i bambini saranno i futuri protagonisti,coloro che dovranno essere attivi e che dovranno dimostrare il loro potenziale;l’educazione quindi non è dei pochi eletti ma è un diritto di tutti.
    Un contributo forte fu dato dalla conferenza tenuta a Salamanca nel 1994 in cui si richiedevano maggiori riforme nelle scuole ordinarie con l’obiettivo di rendere le scuole efficienti per tutti,in particolare per i bambini con disabilità.
    Lo stesso tema è stato ripreso nel 2000 dal Forum Mondiale sull’Educazione,tenutosi a Dakar in cui si è dichiarato che l’educazione per tutti deve rispondere alle necessità dei poveri,delle minoranze etniche,dei bambini lavoratori e di quelli con disabilità.
    L a Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità,è stata ratificata dal Parlamento italiano con la Legge 3 marzo 2009, n°18 ed ha come scopo quello di promuovere,proteggere ed assicurare i diritti umani alle persone con disabilità.
    Inoltre l’articolo 24 della Convenzione dichiara che gli Stati Parti riconoscono l’istruzione alle persone con disabilità senza discriminazioni garantendo un sistema di istruzione inclusivo a tutti i livelli. Le barriere all’inclusione possono essere ridotte grazie alla collaborazione tra politici,docenti,membri della comunità locale,professionisti nell’educazione e riconoscendo l’inclusione come:
    1)un processo,in cui si impara a vivere con la diversità e trarre da essa dei vantaggi.
    2)un modo per abbattere le barriere ,progettando miglioramenti nelle politiche e nelle pratiche.
    3)un mezzo per la partecipazione e il successo di tutti gli studenti,tenendo conto dell’assimilazione di ideali e virtù e non solo del successo accademico e didattico.
    4)apertura e interesse verso quei gruppi di studenti a rischio di marginalizzazione,esclusione o insuccesso scolastico.
    Affinché tutti i bambini godino dell’apprendimento e siano inseriti in un contesto di accettazione bisogna che prima di tutto siano considerati nella loro unicità e non come un problema e rivalutare il sistema educativo nella scuola.
    Il processo di apprendimento comincia prima che il bambino vada a scuola;la famiglia è il primo luogo e la cura e l’educazione nell’infanzia sono importanti per costruire società inclusive.
    La famiglia conosce molto meglio degli insegnanti il proprio bambino e le sue esigenze ed è quindi necessario un rapporto costante tra corpo docente e corpo genitoriale,rapporto grazie al quale il bambino imparerà meglio.
    La famiglia non deve essere esclusa dal processo educativo scolastico anzi è un alleato importante,come infatti dimostra la ricerca i genitori possono essere collaboratori importanti per l’acquisizione di specifiche abilità.
    La scuola ordinaria,certamente,deve rivedere il suo curriculum e indirizzarlo a tutti per essere inclusivo; nel Regno Unito,ad esempio,Dyson et al. hanno scoperto che molte scuole hanno adottato strategie di insegnamento e che quindi sono efficaci nel processo di inclusione che loro definiscono con il termine di “ecologia dell’inclusione”.
    Un curriculum inclusivo è quello indirizzato allo sviluppo cognitivo,emozionale,sociale e creativo del bambino ed è basato sui 4 pilastri del 21esimo secolo: apprendere a conoscere,fare,essere e vivere insieme.
    Un insegnamento efficace è quello esercitato da insegnanti che hanno compreso che un curriculum deve essere flessibile,indirizzato alle necessità di ognuno,in modo che tutti apprendano;che la realzione docente-discente è fondamentale e va costruita nel tempo;che è necessario mettersi in gioco e affrontare i casi di disabilità senza nascondersi dietro a discorsi di incompetenza e irresponsabilità ;che è necessario fornire agli alunni compiti di qualità e strumenti che contribuiscono all’apprendimento.
    Negli ultimi anni,nel campo educativo,si sta valutando l’efficacia dell’approccio della capability che considera l’educazione come conquista di libertà umana.Sotto questa prospettiva l’educazione è vista come mezzo per acquisire non solo competenze e abilità orientate al mondo del lavoro ma anche abilità di vita,e possibilità di conoscere,agire e vivere insieme in un contesto sociale.
    L’educazione deve mettere a disposizione del bambino una serie di capabiities alle quali potrà attingere e dare così la condizione di essere autonomo e libero di scegliere cosa vorrà diventare.Accade spesso che l’insegnante trovi difficoltà nell’insegnare e far amare la propria materia:questo diventa un limite per un bambino che probabilmente,non saprà mai qual’è la sua vera attitudine verso quella materia.
    E così la disabilità se trova degli ostacoli nel modello educativo sarà accentuata e l’ambiente d’apprendimento provocherà uno svantaggio maggiore.
    L’INDEX per inclusione è un documento che fornisce una guida per le scuole volte al progetto dell’inclusione.L’obiettivo principale è quello di abbattere le barriere e gli ostacoli dell’apprendimento di tutti gli studenti,anche di quelli che non hanno bisogno di un’educazione speciale.L’inclusione quindi non riguarda solo i disabili ma tutti,tiene conto delle varie differenze,di cultura,di etnia,di genere.<< Disabile non è l’individuo, ma la situazione che, non tenendo conto della pluralità dei soggetti e delle loro caratteristiche specifi che, ne privilegia alcuni a scapito di altri>>. L’Index propone quindi l’idea di guardare alla complessità di ogni studente e delle sue necessità,sviluppando in questo modo la capacità di essere pronto e favorevole alle differenze.


    “Tu non sei come me: tu sei diverso
    Ma non sentirti perso
    Anch’io sono diverso, siamo in due
    Se metto le mie mani con le tue
    Certe cose so fare io, ed altre tu
    E messi insieme sappiamo far di più
    Tu non sei come me: son fortunato
    Davvero ti son grato
    Perché non siamo uguali:
    Vuol dire che tutt’e due siamo speciali”

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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty BEN-ESSERE DISABILI: ESERCIZIO FINALE

    Messaggio  ascione ass Mar Mag 22, 2012 4:43 pm

    Che cosa è la felicità?

    Questa è una domanda che l’uomo si è posto in ogni era e in ogni cultura, dando interpretazioni talvolta diverse.
    Può essere qualcosa d’immediato, come le gioia o il piacere, oppure di più durevole come la realizzazione o la soddisfazione.
    Per Aristotele, la felicità è connessa alla virtù e all’etica in senso pratico; riferendosi al compimento dell’intera vita e non al piacere di un breve momento che passa.
    La felicita di “primo livello” è quella immediata di piacere transitorio, quella intermedia è caratterizzata da appagamento facendo un bilancio di piaceri e dolori nella propria vita ed infine la felicità di “terzo livello” che è quella del vivere bene.
    Carol Ryff (psicologa) ha sostenuto che il ben-essere dell’uomo è determinato da diversi fattori: crescita personale, padronanza del proprio ambiente, piaceri, finalità e assenza di dolori.
    La qualità della vita è determinata dalla soddisfazione per i vari aspetti della vita e il ben-essere generale.
    L’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha indicato come obbiettivo principale della medicina la promozione della salute, come condizione di ben-essere fisico, psicologico e sociale.
    Secondo Selìgman, la buona vita è possibile trovando il significato e lo scopo di essa, investendo le proprie forze nel lavoro, nel tempo libero e nelle relazioni.
    In educazione, l’educatore ha l’obiettivo di favorire un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di vita, per gestire al meglio le scelte e i comportamenti che portano in direzione della propria felicità. Rendere l’apprendimento una cosa piacevole fa si che questo faccia vedere il mondo con maggiore interesse.
    Ognuno di noi nasce con la capacità di ben-essere; ognuno deve essere incoraggiato ad usare i propri punti di forza, talenti e coltivare attività che favoriscano esperienze positive. L’individuo per sé non è svantaggiato, lo diventa in un ambiente sociale o culturale svantaggioso a causa delle aspettative sociali.
    Il ben-essere è composto da componenti sociali, fisiche, psichiche, emozionali e psicologiche. Ma purtroppo la nostra società offre talmente tanti piaceri che l’uomo è talvolta assuefatto da essi; desiderando cose sempre più grandi che lo portano poi all’infelicità.
    Lo studio del ben-essere è in continuo movimento è ha come obiettivo la promozione della salute, resilienza e crescita psicologica non ignorando la sofferenza dell’uomo.
    Il ben-essere e la felicità non sono collegati solamente alla ricchezza e risorse materiali, ma anche al ben-essere sociale e psicologico.
    Nell’ambito della disabilità, negli ultimi anni, sono stati fatti grandi passi; una volta abbandonata l’idea di assistere bambini e adulti con disabilità in maniera caritatevole, si è passati alla consapevolezza che queste persone possono attingere da se stessi, scegliendo di vivere come preferiscono.
    L’obiettivo è quello di partire dai punti di forza e non dalle debolezze, promuovendo la capacità di vivere vite stimolanti e soddisfacenti, facendo ciò che è meglio per se stessi. Partendo dalla motivazione che scaturisce dal piacere di usare le proprie risorse e sentirsi competente nel proprio ambiente.
    Secondo Edgerton, migliorare le condizioni di vita delle persone con disabilità è una cosa giusta da fare in una società equa.
    Nelle società occidentali il diritto di ben-essere è diventato legittimo; aiutando le persone a fare leva sulle proprie potenzialità, dando loro la possibilità di determinare il proprio stato di ben-essere.
    La prof. Iavarone sottolinea l'importanza della pedagogia nel migliorare la qualità della vita del soggetto, occupandosi della sua istruzione ed educazione occupandosi soprattutto dello sviluppo psicosociale.
    In Italia con la Legge 104/92, l’obiettivo è quello di normalizzare le vite delle persone disabili dando la possibilità ad esse di avere gli stessi diritti di accesso ai servizi pubblici, al mondo del lavoro, all’educazione e ai trasporti per stimolare la partecipazione sociale. Molto spesso però nelle nostre città questi aspetti esistono solo in teoria!!!

    La felicità e il ben-essere, secondo me, scaturiscono dal coraggio e dall’ambizione nel realizzare i propri sogni e progetti, senza desiderare cose troppo grandi (per le proprie possibilità); accontentandosi della semplicità che la vita ci offre, anche a costo di andare contro i canoni e i modelli imposti dalla società!!!

    Federica Riccardo
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  Federica Riccardo Mar Mag 22, 2012 4:55 pm

    La felicità è un concetto difficile da rendere oggettivo.Ogni individuo percepisce a seconda delle proprie esperienze la felicità in maniera diversa.Sempre di meno sento dire “sono felice”,ma sempre di più vedo la corsa verso la felicità.E' complicato forse pronunciare questa parola perchè si ha paura che qualcosa possa andare storto, come per scaramanzia si tiene segreta nell'anima e se qualcuno domanda “sei felice?”,la maggior parte risponde “sono serena in questo momento”.Non riusciamo ad immaginare di poter dire FELICE perchè ciò implicherebbe una situazione stabile,senza più obiettivi,cosa per l'uomo inammissibile,ambizioso com'è si sentirebbe già arrivato,alla conclusione della vita.L'uomo ha bisogno di adrenalina,di eventi inaspettati che gli sconvolgano la vita per sentirsi vivo e parte di questo mondo.
    La felicità è stata oggetto dibattuto a lungo tra filosofi e psicologi.Nonostante le critiche si è fatto largo la strada dell'analisi scientifica della felicità e gli aspetti positivi dell'esperienza umana.In particolare la psicologia positiva che ha cercato di indirizzare le indagini psicologiche verso gli aspetti positivi dell'esperienza umana e ciò che rende felici gli individui.La parola felicità ha etimologie diverse a seconda della lingua,può significare fonte di gioia o piacere,oppure appagamento o soddisfazione.La radice della parola “felicità” deriva dal prefisso indeuropero “fe” che vuol dire “fecundus”, “femina”, “ferax” (fertile).Eudaimonia vuol dire “buona sorte”,ma nel corso del tempo ha avuto diversi significati con Platone e Socrate,cioè che l'uomo con il suo libero arbitrio può fare le sue scelte e diventare felice anche contro la sorte.
    Nettle classifica tre livelli di felicità: 1) la percezione immediata di felicità,implica una sensazione come la gioia o piacere,sensazioni transitorie che si percepiscono in momenti inaspettati. 2) Essere felici secondo gli psicologi non vuol dire vivere in uno stato perenne di gioia,ma fare un bilancio della propria vita tra le esperienze positive e negative.Terzo ed ultimo livello di felicità di ha quando una persona potenzia o realizza le proprie capacità.
    Il ben-essere umano è più ampio rispetto alla felicità che Nettle afferma nel secondo livello.Infatti la psicologa Carol Ryff infatti afferma che il ben-essere umano coinvolge la crescita personale,dominio del proprio ambiente e sincerità con se stessi.Tuttavia l'OMS(Organizzazione Mondiale della Sanità) ha messo in primo piano la salute come obiettivo della medicina,definendo la salute come ben-essere fisico,psicologico e sociale.Le caratteristiche per poter raggiungere questo stato di salute-ben-essere sono l'ottimismo,la felicità,la perseveranza e l'autodeterminazione.Seligman propone diverse vie che conducono l'uomo alla felicità,provando emozioni positive riguardanti il passato come soddisfazione,ed emozioni positive che riguardano il futuro come la speranza e l'ottimismo.Un'altra strada per tentatare di arrivare alla felicità può essere coltivare i propri talenti personali,soprattutto per essere utile all'interno della società.
    Le teorie contemporanee sulla felicità includono:la teoria eudonica, la teoria eudamonica e le teorie sviluppate dalla psicologia positiva.La teoria eudonica riguarda l'amplificazione dei piaceri e la minimizzazione del dolore.Invece la teoria eudamonica riguarda l'attuare il potenziale dell'individuo e il perseguimento del proprio sé.Le teorie sviluppate invece dalla psicologia positiva hanno dato un grande contributo integrando la teoria del flusso.Il flusso è lo stato di felicità,di esperienza massima che viene a verificarsi quando un individuo svolge un lavoro impegnativo e stimolante.Questa teoria è molto importante poiché suggerisce il ruolo che gli insegnanti dovrebbero assumere nei confronti dei bambini .Un educatore che svolge il proprio lavoro con dedizione,facendo apprendere le cose con coinvolgimento in maniera piacevole,non otterrà altro che curiosità ed interesse da parte dell'educando.La relazione che si va d instaurare tra educatore ed educando è una relazione educativa.L'uomo necessità,in quanto essere sociale di avere un confronto con gli altri per poter capire meglio se stesso.Canevaro a tal proposito afferma che il ben-essere di un individuo non è legato alla sua condizione individuale ma alla capacità che ha di organizzarsi e di adattarsi attraverso mediazioni e le strutture che lo circondano.La Delle Fave invece afferma che è fondamentale per l'individuo essere un elemento attivo,dinamico e di sviluppo per la società,soprattutto questo concetto vale per i disabili e le persone svantaggiate che vengono sempre riposti ai margini della società rendendoli oltre che inabili per le loro condizioni,anche inattivi.Tutti quanti siamo uguali quando nasciamo,ma le cose diventano diverse quando ci si confronta con il mondo esterno,con la società,iniziano a sorgere le discrepanze sociali.Ogni uomo ha il diritto di essere incoraggiato a fare leva sui propri punti di forza,tutti quanti abbiamo le stesse opportunità perchè siamo tutti diversi nell'aspetto ma tutti uguali di fronte ai diritti.Tutti noi abbiamo diritto al ben-essere e di sviluppare le nostre capacità.Il ben-essere si sostanzia di componenti diverse: fisiche,psicologiche e sociali,queste componenti dipendono dagli stili di vita che l'uomo conduce.Ben-essere sta ad indicare vivere in maniera sana e corretta,prevenendo così anche le malattie.Il ben-essere è rivolto soprattutto in questo contesto alla disabilità.Tempo fa i bambini e gli adulti con disabilità venivano assistiti in strutture caritatevoli, possibili grazie ad Edouard Seguin medico francese,il quale nel 1800 guida la prima scuola per bambini disabili.Seguin si basa sull'idea che i bambini disabili hanno il diritto di essere seguiti ed avere un'educazione per mettersi alla pari con il resto della società.Questo modello di scuola però viene pian piano ad allontanarsi,diventando semplicemente un luogo dove affidare il bambino anzichè guidarlo ed istruirlo.Invece di favorire negli anni a seguire(50'-60') l'integrazione di questi bambini disabili nella società,venivano isolati completamente,tant'è vero che le strutture ospitanti sorgevano in luoghi deserti e lontani dalla città.Con l'introduzione del concetto di “normalizzazione” i familiari dei bambini disabili erano motivati ad unirsi e arrivare all'integrazione dei propri figli nella società.Ad oggi sono stati fatti grandi passi avanti per la tutela delle persone disabili.Servizi,strutture,programmi di formazione e supporti per le famiglie per un unico obiettivo:l'inclusione.Soprattutto programmi che aiutino il disabile a sviluppare la propria indipendenza, che parta dai punti di forza e non dalle debolezze,per questo è importante il concetto di autodeterminazione,che mira a compiere scelte personali per la loro vita.Cambia così anche ilconcetto di ben-essere non solo finalizzato all'individualismo,ma dinamico e condivisibile con gli altri.
    Vari filoni di ricerca hanno contribuito ad indagare le dimensioni di felicità e ben-essere nella diabilità:
    -MOVIMENTO DELLA QUALITA' DELLA VITA:La qualità della vita di una persona dipende dalle esperienze esterne e di come queste esperienze segnino la persona(disabile),soffermandosi sulla loro soddisfazione interna e su alcune riflessioni importanti riguardanti la vita(ben-essere emozionale,relazioni interpersonali,autodeterminazione,inclusione..)
    -MOVIMENTO DELLA DOPPIA DIAGNOSI: I ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione sulle persone affette da disabilità,per alleviare la loro condizione,in particolare coloro che hanno disturbi come ritardo mentale che sono a più alto rischio di psicopatologia o doppia diagnosi.Le persone con questa patologia sono vulnerabili,umori altalenanti e difficoltà nel relazionarsi con gli altri.La ricerca quindi è interessata a trovare un modo per migliorare i comportamenti negativi e i sintomi,cercando così di aiutare queste persone a vivere meglio nella società.
    -PERSONALITA'-MOTIVAZIONE E FELICITA':Negli anni 70' Zigler affermò che bambini con ritardo mentale avevano un QI più basso rispetto alla norma e una personalità particolare,e scarsa motivazione nel fare le cose.Infatti questi bambini tendevano ad appoggiarsi agli altri nello svolgimento di compiti.Verso gli anni 80' gli studiosi esaminarono la motivazione intrinseca di quanto questa cosa fosse fondamentale per soggetti con un deficit intellettivo,di riuscire a svolgere le proprie mansioni con le proprie forze,migliorando così il comportamento e l'apprendimento.
    -LA RICERCA SULLA FAMIGLIA:Una madre quando partorisce un figlio ripone molte aspettative sul bambino,pensando che crescerà sano e bello.Quando nasce un figlio con una malattia risulta difficile accettarlo,perchè si allontana quell'ideale del bambino perfetto che la mamma si era prefissata.Tutto questo crea profondo disagio,stress e confusione sia alla madre che al resto della famiglia.Per cercare di ovviare a questo fatto bisogna stare vicino alle famiglie con assistenza da parte degli operatori sociali,cercare di accettare il bambino con disabilità,perchè qualora questo non dovesse accadere potrebbe sentirsi escluso e sentire ancora di più il peso della sua condizione.Come dice la Iavarone la pedagogia speciale si occupa della qualità di vita del soggetto della sua salute e della sua istruzione,una visuale a 360°.
    Durante il corso di pedagogia della disabilità ho avuto l'opportunità di confrontarmi con persone testimoni di resilienza,con una grande forza d'animo che nonostante le avversità che le ha piegate hanno saputo reggersi e andare avanti combattendo con grande spirito ed energia.Pystorius,il professor Palladino,Atzori,la signora Tina..tutte persone disabili che hanno saputo reinventarsi e risollevarsi dalle sorti avverse e che li accomuna è:LA VOGLIA DI VIVERE A PIENO LA VITA!!!


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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  ERIKA IARNONE Mar Mag 22, 2012 4:57 pm

    BENESSERE NELLA DISABILITA’
    Essere in pace con se stessi - l'essenza del benessere –
    e quindi riuscire a stabilire una perfetta armonia
    tra corpo, mente e spirito non può considerarsi un fattore
    meramente ed esclusivamente legato alla disponibilità economica…
    Ciò che davvero conta, quindi, nel raggiungimento della felicità
    è la salute, l'energia, l'entusiasmo,
    la stabilità emotiva e la tranquillità psicologica.
    Cose che poco hanno di materiale.
    (Deepak Chopra)
    Ecco voglio partire proprio da questo aforisma per trattare nel presente lavoro il tema della felicità e del benessere e capire i loro significati considerando diversi punti di vista. Iniziando dal primo di questi due termini, la felicità è stata il tema principale del dibattito filosofico, religioso ed educativo per centinaia di anni, ma solo di recente le scienze sociali hanno iniziato a dedicarsi allo studio di tale concetto. Per esempio uno dei filoni delle scienze sociali che si è dedicato all’analisi scientifica della felicità, degli aspetti positivi dell’esperienza umana e, dunque, delle situazioni che sono fonte di felicità per gli individui, è la psicologia positiva. Ciò che tutt’ora ci chiediamo è che cosa sia la felicità. Tale concetto, infatti, è presente in ogni cultura: alcune collegano la felicità a qualcosa di estremamente immediato, come la gioia e il piacere, altre, invece, a qualcosa di più durevole come la soddisfazione e l’appagamento. Tuttavia il concetto di felicità non varia soltanto in base alla cultura di un popolo ma anche in base al periodo storico. Infatti il suo significato originario , caratteristico del mondo presocratico, era quello di “fortuna” in quanto “eudaimonia” derivava da “buon demone”, la felicità era, dunque, avere un buon demone, una buona sorte. Contrariamente con Socrate, Platone ed Aristotele si inizia ad affermare che l’uomo soltanto con le sue scelte può diventare felice; dunque la felicità non viene collegata alla fortuna bensì al principio del libero arbitrio. Nettle, uno degli studiosi della psicologia positiva, sostiene che ci sono tre livelli di felicità:
    DI PRIMO LIVELLO: si è felici quando si prova un’emozione o una sensazione, come gioia o piacere. La sensazione scaturisce dal raggiungimento di uno stato desiderato;
    DI SECONDO LIVELLO: si è felici quando, dopo aver paragonato piaceri e dolori, emozioni positive ed emozioni negative, si deduce che, nel lungo termine, si sono presentate più piaceri ed emozioni positive che dolori ed emozioni negative; dunque questo livello include sensazioni di appagamento e soddisfazione;
    DI TERZO LIVELLO: la felicità è equiparata all’ ”eudaimonia”. Con questo termine si intende una vita in cui la persona realizza le proprie potenzialità.
    La psicologa Carol Clyff afferma che il benessere umano non comprende soltanto gli elementi della felicità di secondo grado indicati da Nettle, bensì comprende anche crescita personale, finalità, padronanza del proprio ambiente e sensazioni di piacere ed assenza dal dolore. Ora che ho introdotto anche il concetto di benessere oltre a quello di felicità, approfitto per citare il pensiero della professoressa Iavarone riguardo al medesimo concetto. Ella parla di una “pedagogia del benessere” che consiste nell’insegnare a star bene affinché i soggetti acquistino la capacità di costruire da se stessi il proprio personale benessere favorendo particolari processi di comunicazione tesi a sviluppare l'autonomia delle persone coinvolte. L’ottica privilegiata, nel suo testo “pedagogia del benessere”, è quella educativa. Secondo quest’ultima la formazione al benessere deve consistere in una sensibilizzazione di tutti allo stare bene, basata sull'idea che tutti possiamo imparare a star meglio e che il benessere non e' soltanto una questione di quantità di risorse ma soprattutto di qualità di scelte, individuali e sociali. Secondo la professoressa Iavarone, la pedagogia, e in particolare quella sociale, focalizza l’attenzione sul benessere e sulla qualità della vita del soggetto occupandosi della sua istruzione, della sua educazione e tutelando la sua salute e il suo sviluppo fisico e psicosociale. Ghedin ci propone il concetto di benessere dal punto di vista dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) secondo cui la salute è una condizione di benessere fisico, psicologico e sociale ossia di benessere soggettivo. Quest’ultimo può essere favorito da diversi fattori sia individuali come l’ottimismo, la felicità, la perseveranza e l’autodeterminazione, sia contestuali come il supporto sociale, il senso di appartenenza, armonia con il proprio ambiente di vita. Tra i diversi autori proposti da Ghedin e che si sono interessati al concetto di benessere c’è anche Seligman che ha indicato diverse strade che conducono alla felicità. La prima è quella di provare emozioni positive circa il passato, come la soddisfazione, emozioni positive circa il futuro come la speranza e l’ottimismo ed emozioni positive circa il presente basate sui piaceri momentanei. Un’altra strada verso la felicità è lo stato di “flusso” introdotto dalla psicologia positiva. Il flusso è uno stato di impegno che si verifica quando un individuo è inserito in compiti stimolanti che mettono alla prova le sue capacità. Tale stato comprende la consapevolezza di quello che deve essere fatto, un sentimento di concentrazione e una perdita del senso del tempo e può dar vita ad affetti positivi come orgoglio, contentezza e rilassamento. Questo aspetto mi permette di fare una riflessione su quello che deve essere il giusto ruolo che gli insegnanti devono svolgere nell’educazione dei bambini; infatti il compito dell’educatore non deve essere solo quello di tendere il bambino verso il “flusso”, bensì deve fare in modo che il bambino provi piacere ad apprendere e dunque favorire lo sviluppo di un atteggiamento positivo nei confronti dell’esperienze di vita per poi essere in grado di attuare autonomamente delle scelte in direzione della propria felicità. In aggiunta l’educatore deve condurre il bambino ad utilizzare e potenziare i propri talenti e a perseguire l’autodeterminazione per sviluppare la propria libertà e le proprie responsabilità creando un ambiente stimolante. Ancora un’altra strada verso la felicità è quella di individuare in se stessi delle virtù e delle forze. Peterson e Seligman, a tal proposito, hanno proposto 6 virtù: giudizio e conoscenza, coraggio, umanità, giustizia, temperanza e trascendenza. Continuando ancora con il pensiero dello psicologo positivista, Seligman ha esposto un’importante teoria, quella della felicità autentica. In questa teoria suddivide la vita in tre categorie: la vita piacevole, la buona vita e la vita significativa. La vita piacevole si ha quando gli individui vivono esperienze positive; la buona vita si ha quando gli individui impiegano le loro forze e virtù in attività da cui traggono piacere; la vita significativa si ha quando gli individui impiegano le loro forze e virtù in attività per un bene più grande. Questa distinzione si basa sulla differenza che Seligman sottolinea tra felicità edonistica e felicità eudaimonica. La prima si raggiunge quando le esperienze positive sono in maggior numero rispetto a quelle negative; al contrario la seconda si raggiunge quando l’individuo mette in atto il proprio potenziale perseguendo il proprio sé. Ci sono diversi studiosi che, seguendo i passi di Seligman, hanno postulato delle teorie eudaimoniche sulla felicità. Per esempio Waterman con la teoria dell’espressività personale secondo cui si raggiunge la felicità quando le attività di vita delle persone coincidono con i loro valori; in modo analogo Ryff e Keyes con la teoria dei sei aspetti dell’attualizzazione umana secondo cui ci sono sei aspetti della vita umana che contribuiscono alla felicità come autonomia, crescita personale, auto-accettazione, obiettivi di vita, padronanza ambientale e relazioni positive con gli altri; infine Ryan e Deci con la teoria dell’autodeterminazione secondo cui si raggiunge la felicità solo quando si riesce ad acquisire autonomia e competenze. Da quanto detto si può dedurre che ciò che accomuna queste teorie è il principio eudaimonico secondo cui la felicità è frutto non del perseguimento dei piaceri bensì dell’attualizzazione delle proprie forze e virtù. Oltre agli psicologi citati anche l’economista A.M Sen ha focalizzato l’attenzione sul benessere eudaimonico e, per definire tale costrutto, introduce due concetti: quello di funzionamenti e quello di capabilities. Il primo consiste nell’insieme dei traguardi a cui una persona arriva attraverso attività, ruoli e lo sviluppo dell’identità personale; il secondo consiste nell’insieme dei funzionamenti che una persona possiede nell’ambiente e, quindi, è l’insieme delle possibilità di scelta tra tutti i funzionamenti disponibili. Sen sostiene, dunque, che il benessere si raggiunge perseguendo i funzionamenti che scelgono dalle capabilities che il sistema culturale mette a disposizione. In questa prospettiva risulta principale la relazione tra il benessere individuale e lo sviluppo della collettività; infatti l’interdipendenza tra gli individui e il sistema culturale è insito nella natura umana in quanto essi tendono alla complessità a livello biologico, psicologico e sociale. Questo può essere spiegato sostenendo che tutti gli individui nella loro crescita costruiscono una cultura attraverso l’acquisizione, la selezione e l’integrazione di informazioni che ricevono dall’ambiente esterno. Quindi Sen guarda il benessere soggettivo con una prospettiva più ampia in quanto sostiene che esso non può attuarsi in maniera indipendente dall’interesse della comunità. Altro punto di vista più ampio è quello di Canevaro secondo cui il raggiungimento del benessere soggettivo è legato al “capitale sociale” ossia l’insieme delle capacità dell’individuo di adattarsi al contesto che lo circonda. Da molte analisi che sono state fatte sul benessere Ghedin deduce che esso non è altro che il risultato dell’integrazione tra sistema biologico, psichico e sociale in quanto dipende non solo dal corretto funzionamento biologico ma anche dagli stili di vita, dal contesto, dal lavoro, dal tempo libero, ecc. Ghedin fa riferimento anche a due approcci, differenti per il loro modo di considerare il concetto in esame: l’approccio top-down e l’approccio bottom-up. Il primo fa dipendere il benessere dalle caratteristiche della personalità che influenzano la reazione dell’individuo agli eventi; secondo questo approccio il benessere soggettivo dipende dal modo in cui l’individuo interpreta le circostanze. Il secondo approccio, invece, fa dipendere il benessere soggettivo dall’esperienze positive che l’individuo riesce a conseguire grazie a contesti esterni favorevoli. Fino ad ora Ghedin ci ha proposto tutta una serie di analisi e le conseguenti teorie di diversi autori sul benessere in generale. Tuttavia, nell’ambito del benessere, egli si è interessato in maniera particolare a quello dei disabili. Infatti egli racconta che non molto tempo fa bambini ed adulti disabili venivano accolti nelle istituzioni il cui scopo non era promuovere il loro benessere bensì semplicemente accudirli. Verso la metà dell’Ottocento, poi, qualcosa è cambiato grazie agli sforzi di Seguin, un medico francese che diresse la prima scuola per bambini con disabilità dove fece in modo che questi ultimi non fossero semplicemente accuditi ma educati affinché assumessero un loro ruolo nella società. Il modello di scuola di Seguin si diffuse molto ma, in seguito, fu abbandonato per la considerazione che adottando questo approccio i bambini non venivano curati; si svilupparono, dunque, scuole che non avevano finalità educative ma erano soltanto affidatarie e che, invece di integrare i bambini con disabilità nella società, li allontanavano da quest’ultima. Soltanto con lo scorrere del tempo si è giunti ad attuare delle politiche con finalità di integrazione delle persone con disabilità nella società. Sono stati, infatti, sviluppati servizi di educazione speciale le cui finalità erano quelle di far acquisire abilità di adattamento, autodeterminazione e capacità di compiere scelte personali per la propria vita e dunque renderle autonome. Mi sembra opportuno citare Anna Maria Murdaca che nel suo testo “Pedagogia della disabilità” , parlando di disabilità, ha sostenuto che non bisogna mai definire nessuno per sottrazione cioè le persone non si caratterizzano per ciò che non sanno fare, ma per la loro capacità di sentire, di agire e di pensare nel loro modo specifico e personale. Questo aspetto viene proposto anche da Ghedin il quale sostiene che l’educatore, trovandosi di fronte un bambino o anche un adulto disabile deve partire dalle loro capacità e potenzialità e non dalle loro debolezze. Inoltre la psicologia positiva sostiene che il benessere non è qualcosa di stabile ma qualcosa che è in continuo divenire in quanto ogni individuo tende al riadattamento esistenziale e che anche gli avvenimenti negativi devono essere accolti cercando di estrapolare l’ aspetto positivo di ogni evento. In questo quadro la psicologia positiva si riferisce al fatto che, nonostante le sue condizioni fisiche o mentali di disabilità, una persona può comunque raggiungere il benessere; a questo riguardo Schafer ha sostenuto che il benessere è vivere bene da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico, anche in presenza di una malattia che sia temporanea o cronica. Fino a poco tempo fa avrei di sicuro confutato questa affermazione poiché ho sempre collegato la disabilità ad uno stato di insoddisfazione e di infelicità in quanto disagio non solo fisico ma anche affettivo, relazionale e quindi sociale. Tuttavia l’incontro con il signor Palladino, avvenuto durante il corso di Pedagogia della disabilità, ha cambiato del tutto l’orientamento del mio pensiero. Vincenzo Palladino all’età di 13 anni ha perso la vista in seguito ad un incidente ma, nonostante la sua sofferenza, è uscito dalla chiusura in casa ed in se stesso per dedicarsi al sociale, infatti egli, non solo è riuscito a tirar su una famiglia ma addirittura un’associazione che offre assistenza alle persone non vedenti o ipovedenti. Il suo spirito ottimistico è la testimonianza del fatto che, nonostante la sua disabilità, è riuscito a raggiungere il benessere dedicandosi a guidare la sua famiglia e la sua associazione per non vedenti. Negli anni si sono susseguiti differenti filoni di ricerca sul benessere:
    MOVIMENTO DELLA QUALITA’ DELLA VITA: esso si è soffermato sull’analisi della soddisfazione interna che gli individui provano con le esperienze di vita esterne. I ricercatori di questo filone hanno analizzato in maniera particolare il benessere emozionale dei disabili, soffermandosi sulla soddisfazione provata rispetto alle condizioni di vita esterne come il lavoro, gli amici, il luogo dove si vive, ecc. Per contro i ricercatori della psicologia positiva sostengono che il benessere non dipende dalle condizioni ambientali.
    MOVIMENTO DELLA DOPPIA DIAGNOSI: secondo questo filone rispetto alla popolazione generale le persone con ritardo mentale sono più soggette a psicopatologia e doppia diagnosi e possono presentare problemi come stereotipie, comportamenti auto-lesionistici, problemi che costituiscono i maggiori ostacoli in setting sociali come il lavoro o le amicizie. Partendo da questo presupposto la ricerca si è soffermata sull’analisi dei modi di migliorare i comportamenti negativi ed i sintomi e del benessere delle persone con ritardo mentale.
    PERSONALITA’-MOTIVAZIONE E FELICITA’: questo filone di ricerca sostiene che i bambini con ritardo mentale hanno minori aspettative di successo, bassa motivazione alle sfide e si affidano agli altri la soluzione dei problemi. Dunque i ricercatori hanno focalizzato l’attenzione sull’analisi della motivazione intrinseca cioè il piacere che deriva dall’usare le proprie risorse e sentirsi competente nel proprio ambiente. Oltre a questi filoni c’è anche quello della “ricerca sulla famiglia” che non si focalizza sui livelli di stress a cui vanno incontro le famiglie con bambini disabili bensì sui modi in cui le stesse sono coinvolte in situazioni di successo.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Riferimento: libro Ghedin, Ben-essere disabili esercizio finale

    Messaggio  antoniodisabato Mar Mag 22, 2012 5:01 pm


    Il tema della felicità è stato trattato in ambito filosofico , religioso ed educativo per centinaia di anni . I primi cenni storici che riguardano questa tematica la indicavano come “buona sorte” (buon demone ovvero un contesto in cui la felicità era strettamente legata alla fortuna) questo significato, che appartiene alla cultura mitica presocratica è conservato dalle lingue anglosassoni moderne. Con Socrate, passando per Platone e finendo con Aristotele il termine si amplia di altri significati concedendo all’uomo la possibilità di diventare felice attraverso le proprie scelte e la propria libertà anche contro la sorte. Quest’evoluzione ha a che fare con situazioni che si riveleranno migliori rispetto a quanto ci si aspettasse , essere felici non è sempre uno stato assoluto ma un “paragone” con delle aspettative e con ciò che altri possiedono. “La felicità è connessa al portare a compimento l’intera vita ,non con il piacere che si prova nell’attimo fuggente”. Lo psicologo Daniel Nettle distingue tre livelli di felicità : la felicità di primo livello si raggiunge attraverso sensazioni transitorie provocate dal raggiungimento ( forse inaspettato) di uno stato desiderato che non coinvolge molta cognizione ed è ristretto ad un determinato e limitato arco di tempo, molto fugace. La felicità di secondo livello riguarda la riflessione sul bilancio tra piaceri e dolori, tra emozioni negative ed emozioni positive considerando quali tra esse hanno avuto il sopravvento sulle altre nel corso della propria vita comprendendo anche processi cognitivi più complessi come ad esempio il paragone con eventuali risultati alternativi. Per quanto riguarda la felicità di terzo livello possiamo dire che non si può misurare facilmente (come le precedenti) ,ciò perché rappresenta una vita in cui la persona realizza tutte le proprie potenzialità ed, esprimere un giudizio su che cosa sia vivere bene e in che modo lo si realizzi nella propria vita è molto difficile. Spesso i termini felicità e ben-essere soggettivo sono stati usati per definire la medesima cosa con il secondo che comunque rappresenta il termine più scientifico dei due. Il benessere soggettivo contiene una componente cognitiva che valuta l’intera soddisfazione di vita ed una componente affettiva suddivisa nella presenza di affetto positivo e nell’assenza di affetto negativo. Per ogni individuo le caratteristiche positive personali come ad esempio il ben-essere soggettivo, l’ottimismo, la felicità , la perseveranza …sono fattori che contribuiscono al ben-essere. Secondo Schafer il ben-essere è : “vivere bene da un punto di vista psicologico, spirituale e fisico anche in presenza di una malattia temporanea o cronica”. “L’approccio delle capability applicato alla disabilità : dalla teoria dello sviluppo umano alla pratica “ è un dossier il cui obiettivo principale del è di ripensare le politiche per il ben-essere proponendo alle persone con disabilità, alle loro famiglie ed alle comunità in cui esse vivono un approccio delle capability ( delle capacità). Tale approccio guarda allo sviluppo come ad un processo di espansione delle capacità e delle opportunità reali delle persone affinché ciascuno possa scegliere di condurre una vita a cui
    attribuisce valore. Questo richiede agli enti pubblici e alle persone coinvolte a vario titolo un cambiamento culturale importante, in quanto le persone con disabilità, le loro famiglie, le associazioni non saranno più dei destinatari passivi di politiche e servizi ma soggetti attivi del cambiamento. Un altro elemento fondamentale dell’approccio delle capability è quello della diversità, considerata una caratteristica propria dell’umanità: sono proprio le differenze di natura fisica, psicologica, sociale, ambientale, economica che determinano una diversa capacità di trasformare beni e risorse in opportunità concrete e poi in conseguimenti reali e la disabilità è solo uno dei molteplici fattori che possono incidere su questo processo di trasformazione.
    La diversità è una caratteristica essenziale dell’umanità, ciascun individuo è diverso dagli altri nelle
    caratteristiche personali, per le circostanze sociali e ambientali in cui vive, nella capacità di convertire risorse personali, sociali, economiche e culturali in funzionamenti a cui dà valore. In questa prospettiva, quindi, la disabilità rappresenta una delle infinite forme di differenziazione che contraddistinguono gli essere umani. L’ “approccio delle capability” o delle “capacità” è stato inizialmente formulato a metà degli anni Ottanta da Amartya Sen, professore di economia e filosofia ad Harvard insignito del Premio Nobel per l’Economia nel 1998.
    Le ragioni che fanno ritenere questo schema teorico particolarmente idoneo per analizzare e misurare la qualità della vita e la sostenibilità dei processi di sviluppo in contesti avanzati sono principalmente due. In primo luogo, esso descrive il benessere individuale non come una condizione statica e materialistica, definita dal semplice possesso in un certo istante temporale di un dato ammontare di risorse materiali (siano esse il reddito o i beni a disposizione) ma come un processo in cui i mezzi e le risorse acquisibili o disponibili rappresentano uno strumento – certamente essenziale e irrinunciabile – per ottenere benessere, ma non costituiscono di per sé una metrica adeguata a misurare il benessere complessivo delle persone o la qualità della vita che esse riescono a realizzare. In secondo luogo, l’approccio delle capacità è un approccio complesso: non si limita a estendere l’attenzione al di là della sola dimensione monetaria, richiama l’attenzione sulla pluralità di fattori personali e familiari, e sulle molteplicità di contesti sociali, ambientali, economici, istituzionali, culturali, che agiscono nella determinazione del processo di benessere individuale. L’idea di fondo è che lo sviluppo debba essere inteso non solo in termini di crescita economica ma come promozione dello sviluppo e del progresso umano, delle condizioni di vita delle persone la cui realizzazione non può prescindere da elementi fondamentali quali la libertà di scelta e di azione, il benessere, non solo materiale, e la qualità della vita. In base a questo approccio, benessere, povertà ed eguaglianza dovrebbero dunque essere valutati nello spazio delle capacità, cioè delle opportunità reali che le persone hanno di vivere la vita a cui attribuiscono valore. Le risorse economiche, i beni, il reddito di cui disponiamo sono mezzi, certamente essenziali e irrinunciabili, ma la valutazione del benessere non può limitarsi a considerare l’ammontare complessivo di tali risorse. Ciò che conta è quanto le persone riescono effettivamente a fare con le risorse a loro disposizione. Occorre inoltre tener conto che le persone differiscono tra loro sotto diversi punti di vista. Vi sono differenze di tipo fisico e psicologico (ad esempio, per quanto riguarda il sesso, l’età, la condizione di salute, la presenza o meno di handicap, le abilità naturali), di tipo sociale ed economico (il livello di istruzione, la struttura familiare, la condizione occupazionale etc.) o di tipo ambientale (diverso è, ad esempio, l’ambiente naturale in cui viviamo ma diverso è anche il contesto istituzionale, politico, culturale). L’insieme di queste caratteristiche personali, familiari, sociali, ambientali determina e condiziona la nostra capacità di conversione dei beni e delle risorse a disposizione in ‘funzionamenti’ ovvero in conseguimenti reali. Nel linguaggio comune il benessere materiale è inteso in senso tradizionale come disponibilità di risorse . Le politiche mirano a compensare le restrizioni presentate in alcune attività su determinati individui piuttosto che a riflettere sulle barriere che impediscono una piena partecipazione. Questo modello, dunque, presenta varie implicazioni negative in quanto predice la disabilità dei disabili nella società. Il modello sociale è basato su un paradigma molto diverso. Rifiuta decisamente l’idea di limite alla salute come menomazione e pensa la persona come “persona con disabilità”. Questa visione, promossa dai movimenti delle persone con disabilità, tende a concentrarsi sulle barriere che esistono all’interno del contesto sociale, impedendo ad una persona di raggiungere lo stesso livello di funzionamento di una persona che non abbia una menomazione. In questa prospettiva è la società che deve essere ridisegnata affinché prenda in considerazione i bisogni delle persone con disabilità .Ritengono che le limitazioni fisiche diventino disabilità perché la società non è attrezzata per accogliere la differenza nei funzionamenti umani. Inserire il tema della disabilità in tutte le politiche pubbliche rappresenta un modo sostenibile di ridisegnare la società al fine di includere le persone con disabilità e di permettendogli di raggiungere uno stato di benessere .

    Teresa Buonanno
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty BEN-ESSERE NELLA DISABILITA'

    Messaggio  Teresa Buonanno Mar Mag 22, 2012 5:20 pm

    Il tema della felicità appassiona da sempre l'umanità: scrittori, poeti, filosofi, persone comuni, ognuno si trova a pensare, descrivere, cercare questo stato di grazia. Per tentare di definire questa condizione alcuni studiosi hanno posto l'accento sulla componente emozionale , come il sentirsi di buon umore, altri sottolineano l'aspetto cognitivo e riflessivo , come il considerarsi soddisfatti della propria vita. La felicità a volte viene descritta come contentezza, soddisfazione, tranquillità, appagamento a volte come gioia, piacere, divertimento.L'etimologia fa derivare la parola "felicitas" da felix-icis, "felice", la cui radice "fe-" significa abbondanza, ricchezza, prosperità.
    La nozione di felicità, intesa come condizione (più o meno stabile) di soddisfazione totale, occupa un posto di rilievo nelle dottrine morali dell'antichità classica, tanto è vero che si usa indicarle come dottrine etiche eudemonistiche (dal greco eudaimonìa) solitamente tradotto come "felicità".Aristotele parlava di felicità come libera espressione del proprio ingegno, il sommo bene che l’uomo può realizzare, strettamente connesso all’etica e alle virtù, intese non tanto in senso moralistico, ma di azione, di attività.
    Dostoevskij rappresentava la felicità come la condizione proveniente dalla conoscenza dellecause dell’infelicità. " F. de La Rochefoucauld " affermava che la felicità sta nel gusto e non nelle cose;si è felici perché si ha ciò che ci piace, e non perché si ha ciò che gli altri trovano piacevole.
    Giacomo Leopardi dichiarava, che gli uomini furono felici soltanto nell’età primitiva, quando vivevano a contatto con la natura, finché non si servirono della ragione per mettersi alla ricerca del vero. " Esisterebbe la luce se non ci fossero le tenebre? " Per essere perfettamente felici bisognerebbe non sapere nulla della propria felicità:
    ma c'è mai stato un solo sentimento umano, per quanto puro, che non sia stato sfiorato da qualche impercettibile riflessione? Capiremmo cos'è la felicità se non conoscessimo il dolore? Le persone con handicap mentale possono essere felici e dare felicità agli altri.
    I disabili mentali sono felici quando sono circondati dall’amicizia, dalla stima, dalla solidarietà. La disabilità può non essere un ostacolo, anzi può diventare un modo diverso, più sensibile e profondo di vedere il mondo.
    L’handicap non è una condanna, né una condizione di per sé triste ed infelice. L’infelicità dei disabili dipende spesso dall’essere esclusi ed isolati, dall’essere rifiutati dalla società.
    Vivere accanto ai disabili mentali è un arricchimento in umanità e può far maturare una comprensione della vita più larga e profonda.
    I disabili mentali, infatti, possiedono una comprensione di quello che nella vita è essenziale. Questa “sapienza” non ha sempre modi diretti per esprimersi, ma può trovare nel rapporto con gli altri la maniera di manifestarsi.
    I disabili mentali possono dare un contributo prezioso alla nostra società ed essere artefici di un cambiamento di mentalità e di cultura assai importante.
    Mostrano che si può essere felici in ogni condizione della vita se si è circondati dall’amicizia, in un atteggiamento fiducioso ed aperto agli altri. Sono un richiamo ai valori della gratuità e della solidarietà, dell’amicizia e dell’accoglienza senza i quali è impossibile vivere pienamente.
    Mena Pace
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    Messaggio  Mena Pace Mar Mag 22, 2012 5:26 pm

    Benessere disabili: Primo capitolo
    In ogni epoca e in ogni cultura l’uomo ha cercato di dare una definizione al concetto di felicità. Già i primi filosofi dell’età antica come Socrate e Platone iniziarono a riflettere su cosa fosse la felicità, affermando che essa coincide con la possibilità dell’uomo di essere libero e incondizionato. Platone, nella sua opera “Repubblica”, pensa a una città ideale in cui il concetto di giustizia non è più un’ utopia. Giustizia come principio su cui ogni politica dovrebbe fondarsi per garantire il benessere collettivo.
    Sull’idea di felicità si distinguono due correnti di pensiero: una che considera la felicità come qualcosa di immediato da attribuire a una gioia o un piacere momentaneo, l’altra che definisce la felicità una vera e propria norma di vita. A interporsi tra le due concezioni c’è la definizione proposta dalla psicologia. Essa sostiene che, quando un soggetto afferma di essere felice della propria vita, non fa che mettere a confronto le emozioni positive e quelle negative, giungendo alla conclusione che ha sperimentato più gioie che dolori. Diversi autori e psicologi si sono cimentati nell’analizzare il concetto di felicità. Seligam concepisce la felicità sia come percezione di emozioni positive riguardo il passato (soddisfazione), il presente (piaceri sensoriali o emozioni momentanee), e il futuro (speranza e ottimismo), sia come soddisfazione e orgoglio di aver portato a termine un lavoro lungo e impegnativo. La felicità dal punto di vista edonistico mira ad accrescere i piaceri e ridurre il dolore, mentre dal punto di vista eudaimonico tende a far coincidere le attività di vita delle persone con lo sviluppo delle forze e delle virtù individuali.
    Il benessere è un fenomeno complesso, caratterizzato da diverse componenti: quelle fisiche, psichiche e sociali; esso dipende non solo dal corretto funzionamento dell’organismo, ma soprattutto dagli stili di vita e di lavoro, dal tempo libero e dalla condizione dell’ambiente. Lo stato di felicità, inteso come benessere psicologico, spirituale e fisico, si può possedere anche in presenza di una malattia temporanea o cronica. La percezione del benessere avviene sia in senso verticale, cioè in diversi “tempi” della vita, che orizzontale, in diversi “luoghi”. Secondo Iavarone il benessere può manifestarsi in maniera sincronica, contemporaneamente a un particolare episodio verificatosi in un determinato momento, o diacronica, quando si riconduce lo stato di benessere a una fase della vita di un soggetto. Numerose analisi hanno verificato che le persone dicono di essere felici, cioè di raggiungere uno stato di benessere, quando ottengono quello che vogliono. La ricca società in cui viviamo offre tante stimoli ai piaceri, ma questi si rilevano presto effimeri, svanendo non appena ce ne allontaniamo. Secondo numerosi ricercatori di Psicologia Positiva e di economia, l’indice nazionale di benessere non dovrebbe essere considerato solo in relazione alla quantità di beni e risorse materiali che un Paese possiede ma, soprattutto, in riferimento al benessere psicologico e sociale dei suoi cittadini. Il contesto relazionale in cui le persone vivono, la condivisione del bene pubblico e la partecipazione alla vita sociale rappresentano fattori di rilevante importanza per il benessere di un individuo, spesso molto di più rispetto alla disponibilità di risorse materiali. Quando si parla di benessere, bisogna tener conto che il contesto sociale e ambientale esercitano sui soggetti una notevole influenza. Nel caso della disabilità l’ambiente contribuisce alla riduzione e alla crescita dell’handicap, favorendo o ostacolando le capacità di autonomia, condizione indispensabile al benessere di un individuo. Lo stato di autonomia non è da attribuire soltanto alla capacità di compiere da soli le azioni più comuni come mangiare, vestirsi e lavarsi ma va ricercata soprattutto nella possibilità di esprimere le proprie capacità e potenzialità e condurre una “buona vita”.
    Analizziamo ora alcuni filoni di ricerca che hanno contribuito a indagare le dimensioni di felicità e benessere nella disabilità.
    Qualità della vita
    La qualità della vita comprende il benessere emozionale, relazioni interpersonali, benessere materiale e fisico, autodeterminazione, inclusione sociale e diritti. I ricercatori nel campo della psicologia positiva affermano che, tra queste dimensioni, quella che più si avvicina alla felicità è il benessere emozionale. Secondo Diener, Oishi e Lucas, infatti, raggiunta la soglia minima di bisogni di base, una maggiore disponibilità di denaro altera di poco la felicità dei soggetti. Il miglioramento dei fattori esterni non necessariamente conduce ad uno stato durevole di felicità nelle persone con disabilità.
    La ricerca sulla famiglia
    La nascita di un bambino con disabilità, spesso si trasforma per le famiglie in un evento angosciante e luttuoso. I genitori di bambini con disabilità passano attraverso prolungati periodi di stress rispetto ad altri genitori. Anche per un bambino con disabilità, come per ogni altro bambino, la famiglia e i sistemi ambientali influenzano il suo sviluppo. Un atteggiamento negativo nei confronti del bambino disabile da parte di familiari, parenti, amici o della comunità in cui vive, contribuisce ad aumentare lo stato di stress. Per questo motivo risulta importante approfondire i modi attraverso cui le famiglie sono in grado di gestire lo stress e sviluppare percezioni positive che migliorano la qualità della vita.
    Generalmente si pensa che persone con disabilità abbiano una bassa qualità della vita. Per questo motivo i governi promuovono leggi che facilitano la loro integrazione nel mondo del lavoro, dell’educazione e dei trasporti per stimolare la partecipazione sociale. L’obiettivo è equiparare il livello della qualità dei vita delle persone disabili con quello dei normodotati. Risultati di alcuni ricerche dimostrano che le persone nate con disabilità sono più felici rispetto a quelle diventate disabili nel corso degli anni.
    Simona Atzori ed Oscar Pistorius rappresentano i casi più adatti per parlare di benessere in disabilità. Simona con la danza ed Oscar con lo sport sono figure emblematiche per convincersi che la disabilità non è necessariamente una condizione di mancanza, ma può trasformarsi in occasione per mettersi in gioco e scoprire le proprie doti. Con passione e zelo sono riusciti a raggiungere alte vette, senza mai sentirsi svantaggiati rispetto ai normodotati ed hanno dato prova che nella vita, anche essendo portatori di disabilità, si possono realizzare i propri obiettivi.
    Parlare di disabilità, come abbiamo visto, significa anche parlare di famiglia e in relazione alle esperienze laboratoriali vissute in aula penso che il professor Palladino insieme alla sua meravigliosa famiglia sia di esempio per tutti, disabili e normodotati. Un uomo che ha trovato la sua felicità nell’amore trasmesso agli altri; una persona che ha saputo affrontare i problemi della vita mantenendo il sorriso sul volto; che non si è scoraggiato di fronte alle difficoltà e ha avuto la forza di aiutare chi necessitava d’ aiuto. Un uomo che apprezza la vita così com’è, dimostrando che non sono i beni materiali a rendere felice l’uomo ma l’amore e l’affetto che si riceve e si dona agli altri.
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    ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso) - Pagina 11 Empty Re: ben-essere disabili: esercizio finale (chiuso)

    Messaggio  elenacapobianco Mar Mag 22, 2012 5:31 pm

    Ho deciso di trattare il primo capitolo perchè mi ha emozionato di più. Mi ha colpito molto la domanda:che cos'e' la felicità? Questa domanda è stata al centro di molti dibattiti per molti anni,credo che ognuno di noi nella nostra vita ci siamo posti questa domanda;credo che non so se c'è una risposta. Eudaimonia originariamente derivava da "buon umore" , quindi la felicità era avere un "buon demone" , e in quel contesto era molto legato alla fortuna. La parola felicità deriva dal prefisso indoeuropeo "fe" da cui deriva "fecund","felix" che i latini usavano per dire che la stagione era stata fertile. Il concetto di felicità cambia da cultura a cultura. Essa è uno stato di benessere, soprattutto nella sua forma più intesa, la gioia. L'uomo è sempre alla ricerca di quelle sensazioni che lo facciano star bene e lo appaghino. Con Socrate,Platone ed Aristotele la parola eudaimonia si carica di significati nuovi,e iniziano ad affermare che l'uomo con le sue scelte e la sua libertà poteva raggiungere la sua felicità. La felicità è il piacere che si trova in quell'attimo fuggente. Per questo per Aristotele la felicità è connessa all'etica e alla virtù, intese non in senso moralistico di azione. La sensazione che si prova quando si è felici è provata dalla realizzazione oppure dal raggiungimento di una cosa in un momento inaspettato. Vi sono alcuni personaggi che affrontano questa tematica come Nettle che divide la felicità in tre livelli:
    -felicità di primo livello: è quando si afferma di aver raggiunto uno stato di felicità
    -felicità di secondo livello:esaminare la propria vita rilanciando la quantità di emozioni negative e positive avute nella propria vita
    -felicità di terzo livello:verificare le proprie capacità e potenzialità che si hanno nella propria vita.
    Ciò che si differenzia dal ben-essere che sta a considerare la soddisfazione delle proprie esigenze che variano in base alla cultura di appartenenza. Canevaro sostiene che il ben-essere di un'individuo proviene dall'insieme di capacità che l'individuo ha di addattarsi all'ambiente. Ad occuparsi del benessere dei disabili è stato anche Zigler il quale sostiene che il bambino col ritardo mentale aveva più possibilità di successo rispetto ad un bambino normodotato. Spesso le mamme dei bambini disabili non sono felici perchè hanno messo al mondo un bambino disabile. Secondo la prof.Iavarone in aula ci spiegò quanto sia importante l'istruzione anche per loro, perchè meritano una vita come la nostra, e meritano di essere anche loro felici. Credo che per loro sia molto difficile svolgere una vita come la svolgiamo noi, soprattutto perchè per noi una cosa che può sembrare semplice,per loro può non esserlo.

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